Archivio del Tag ‘spread’
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Blondet: Salvini Ebbasta si è smarrito tra Berlino e Israele
«Chi vuole pace, sostiene il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele». E fin qui tutto bene (o quasi, visto che il binomio “pace” e “Israele” suona estremamente controverso). Ma il condottiero Matteo Salvini, in missione nello Stato ebraico (che ha appena riformato le sue leggi introducendo una norma “razziale” che pone gli ebrei al di sopra di chiunque altro), aggiunge, sul suo profilo Instagram: «Sono appena stato ai confini nord con il Libano, dove i terroristi di Hezbollah scavano tunnel e armano missili per attaccare il baluardo della democrazia in questa regione». I “terroristi” di Hezbollah? Replica Maurizio Blondet: non sa, Salvini, che Hezbollah «ha pagato un alto prezzo di sangue combattendo contro i terroristi veri, quelli dell’Isis, armati e addestrati e protetti da Israele e Usa? Non sa che sono alleati in Libano con i cristiani maroniti, e hanno difeso con le armi in pugno i cristiani d’Oriente, da tutti noi abbandonati? Non hanno spiegato, a Salvini, che proprio Hezbollah – insieme ai russi e agli iraniani – ha sostenuto la Siria, impedendo che cadesse nelle mani dei tagliagole jihadisti messi in campo, sottobanco, dall’intelligence occidentale con l’aiuto di Netanyahu e Erdogan, due notori campioni della democrazia e dalla pace nel mondo?«Non solo vicepremier, non solo ministro dell’interno». Adesso, scrive Blondet, Salvini «scavalca tutti e fa il ministro degli esteri. Insomma, fa tutto lui. E anche di più. Naturalmente raccogliendo enormi successi diplomatici». Blondet lo definisce il classico elefante nella cristalleria, che va a spasso in Israele «ignorando come gli israeliani lo abbiamo insultato sui giornali, dicendo che dovevano dichiararlo “persona non grata” perché neofascista, “populista, separatista, nazionalista”». E questo «lo dicono “loro”, unico stato razziale, a lui». “La visita di Salvini divide Israele”, scriveva l’Agi alla vigilia: «Il vicepremier incontrerà il premier Netanyahu ma non il presidente Rivlin (per motivi di agenda, spiega il portavoce). Il quotidiano di sinistra “Haaretz” lo dichiara “persona non gradita”». Perché la visita di Matteo Salvini in Israele sta facendo tanto discutere? Voci di protesta si alzano anche dai 5 Stelle, che sulla questione israelo-palestinese hanno posizioni ben diverse da quelle del leader della Lega.Già nel comizio di sabato, a Roma, secondo i media, Salvini si era proposto «come ministro per l’Europa e premier» indossando abiti non suoi annunciando di parlare «a nome di 60 milioni italiani», con questo obiettivo: «Datemi mandato per trattare con la Ue». Poi però ha proclamato che intende mettere in piedi «un nuovo asse Roma-Berlino», da opporre al morente asse franco-tedesco. «Se fosse cosciente dell’enormità di quel che dice – scrive Blondet – sarebbe sì fascista», ma invece «lui non sa». Aggiunge Blondet: «Per sua bocca, semplicemente, parla l’Italia di Sfera Ebbasta arrivata al governo. Quindi il commento giusto è quello di Osho: “Stavolta al Giappone non gli diciamo un cazzo”». Ma come, fino a ieri Salvini era per l’uscita dall’Ue e adesso vuole l’alleanza con la Germania, che ha messo ko l’Italia con l’austerity? Scrive l’analista Giovanni Zibordi: se il Piano-A era il 2,4% di deficit, il Piano-B sarebbe il 2%, al minimo accenno di contrarietà da parte di Bruxelles? «C’è caos totale sulla Brexit, le banche europee crollano in Borsa, Francia nel caos che ora sfonda l’austerità, recessione in arrivo… Gente con un minimo di competenza, a Roma, avrebbe dettato le condizioni alla Ue, infischiandosene della spread che è un bluff». Non pago, Salvini fa il messia in Israele. Chiosa Blondet: «Qualcuno è in grado di fermarlo, Sfesso Ebbasta? Sedarlo?».«Chi vuole pace, sostiene il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele». E fin qui tutto bene (o quasi, visto che il binomio “pace” e “Israele” suona estremamente controverso). Ma il condottiero Matteo Salvini, in missione nello Stato ebraico (che ha appena riformato le sue leggi introducendo una norma “razziale” che pone gli ebrei al di sopra di chiunque altro), aggiunge, sul suo profilo Instagram: «Sono appena stato ai confini nord con il Libano, dove i terroristi di Hezbollah scavano tunnel e armano missili per attaccare il baluardo della democrazia in questa regione». I “terroristi” di Hezbollah? Replica Maurizio Blondet: non sa, Salvini, che Hezbollah «ha pagato un alto prezzo di sangue combattendo contro i terroristi veri, quelli dell’Isis, armati e addestrati e protetti da Israele e Usa? Non sa che sono alleati in Libano con i cristiani maroniti, e hanno difeso con le armi in pugno i cristiani d’Oriente, da tutti noi abbandonati? Non hanno spiegato, a Salvini, che proprio Hezbollah – insieme ai russi e agli iraniani – ha sostenuto la Siria, impedendo che cadesse nelle mani dei tagliagole jihadisti messi in campo, sottobanco, dall’intelligence occidentale con l’aiuto di Netanyahu e Erdogan, due notori campioni della democrazia e dalla pace nel mondo?
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Noi sfruttati senza pietà, caduto lo spauracchio dell’Urss
Da quando sono scoppiati gli spread e la Germania detta l’agenda politica europea a suon di austerità, lo slogan più battuto è stato: “Siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità”. Tuttavia, da un punto di vista scientifico, nel senso quantitativo del termine e cioè misurabile, la ricchezza in Occidente è di molto aumentata nell’ultimo mezzo secolo, e niente affatto diminuita. Detto diversamente, se per ricchezza intendiamo i beni prodotti e creati manipolando la materia, la ricchezza è aumentata, così come quel fluidificante degli scambi che chiamiamo denaro. Oggi, rispetto a 50 anni fa ci sono più immobili, più infrastrutture, più bicchieri, più vestiti, più occhiali, più scarpe, più libri, più telefoni, più televisori, più automobili, più mutande, più apparecchi per chi vuole raddrizzare i denti e sexy toys per chi si vuole divertire. Per il più banale dei ragionamenti logici, allora, non ha alcun senso sostenere che gli occidentali sono vissuti al di sopra delle loro possibilità. Tramite le loro “possibilità”, europei, americani e australiani hanno moltiplicato in modo esponenziale la ricchezza sul pianeta.C’è un momento chiave nella nostra storia recente che spiega bene il vero motivo per cui il mainstream, gli accademici ed i grandi capitalisti recitano la favoletta del “siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità”, ed è il 1989. Che in molte aree del socialismo reale si vivesse male rispetto agli standard occidentali, ma anche rispetto a quelli autoctoni del passato, non c’è alcun dubbio. I protagonisti di quella stagione sono ancora quasi tutti vivi, e dunque per quanto molta letteratura sia stata ammaestrata dalla narrazione anticomunista, è agli atti, ad esempio, che a Bucarest durante la presidenza Ceausescu il cibo fosse razionato. Dunque, non si tratta di spulciare di qua e di là un’area del blocco comunista o di quello capitalista per stabilirne il benessere. Il punto sta nel paradigma plurale che caratterizzava il mondo prima del 1989. E per paradigma plurale si intende la possibilità che un governo in qualsiasi parte del mondo potesse assumere forme comuniste, socialdemocratiche, teocratiche o capitalistiche.Il caso europeo è emblematico. Nel vecchio continente, infatti, c’era un capitalismo molto temperato, perennemente spaventato dalla possibilità che il modello dei vicini paesi del blocco comunista potessero convincerci ad assumere altre forme di governo. Detto diversamente, il capitalismo del dopoguerra ci concesse di tutto, ma senza rinunciare ad accumulare ricchezza. In quella stagione – per paura che arrivasse il comunismo – il capitalismo occidentale rinunciò ad accumulare tutta la ricchezza, come sarebbe nella sua natura, ma ne distribuì una minima parte. Il che, tradotto, significò orari di lavoro ridotti, il tempo indeterminato, il reintegro sul luogo di lavoro a seguito di vittoria ad un processo contro l’azienda, l’accesso gratuito o semigratuito a beni essenziali come la salute, l’istruzione, la casa ed il trasporto. Tutto questo – che passa sotto il nome di welfare State – contenne la ricchezza dei capitalisti senza che questi si impoverissero.Semplicemente, con questa modalità, le ricchezze che si accumulavano vennero ridistribuite, seppur in parti davvero risibili. Le modalità di ridistribuzione furono diverse, ma su tutte i contratti di lavoro e gli investimenti pubblici tramite l’emissione di debito pubblico. Dopo il 1989, finita la paura che i governi potessero assumere forme inclini alla pianificazione economica statale, il capitalismo si tolse la maschera e mostrò il suo vero volto. Il volto di chi non intende distribuire la ricchezza creata, ritenendo di poterlo fare non a seguito di presunti meriti, ma in virtù di rinnovati rapporti di forza. Nemmeno negli anni ’50, ’60, ’70 e ’80 il capitalismo voleva distribuire la ricchezza, ma voleva accumularla perché questo è nella sua natura. Dunque, in quella stagione, noi e chi ci ha preceduto non è vissuto al di sopra delle sue possibilità, ma al di sopra della volontà dei capitalisti.Conti alla mano, tenuto conto della capacità produttiva mondiale, anche allora si visse al di sotto delle proprie possibilità, ma in misura effettivamente meno drastica di quanto avviene oggi. Il motivo per il quale – in Europa – non si accettano revisioni alle regole e non si trova uno sbocco al problema euro non sta dunque in considerazioni tecniche alla Mario Draghi, ma in una precisa volontà lobbystica. Risulta quanto mai ingenuo, o stupido chi, come Varoufakis ieri o Savona/Borghi/Bagnai oggi, pensa di poter convincere i burocrati europei sul deficit. Anche i tecnocrati conoscono le soluzioni, ma non le vogliono applicare perché non vogliono scientemente operare nella direzione di una ridistribuzione di ricchezza.(Massimo Bordin, “Siamo vissuti al di sopra delle loro volontà”, dal blog “Micidial” del 7 dicembre 2018).Da quando sono scoppiati gli spread e la Germania detta l’agenda politica europea a suon di austerità, lo slogan più battuto è stato: “Siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità”. Tuttavia, da un punto di vista scientifico, nel senso quantitativo del termine e cioè misurabile, la ricchezza in Occidente è di molto aumentata nell’ultimo mezzo secolo, e niente affatto diminuita. Detto diversamente, se per ricchezza intendiamo i beni prodotti e creati manipolando la materia, la ricchezza è aumentata, così come quel fluidificante degli scambi che chiamiamo denaro. Oggi, rispetto a 50 anni fa ci sono più immobili, più infrastrutture, più bicchieri, più vestiti, più occhiali, più scarpe, più libri, più telefoni, più televisori, più automobili, più mutande, più apparecchi per chi vuole raddrizzare i denti e sexy toys per chi si vuole divertire. Per il più banale dei ragionamenti logici, allora, non ha alcun senso sostenere che gli occidentali sono vissuti al di sopra delle loro possibilità. Tramite le loro “possibilità”, europei, americani e australiani hanno moltiplicato in modo esponenziale la ricchezza sul pianeta.
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Boccia contro il governo, ma tutela solo il 5% delle imprese
Un governo come quello in carica, che si propone di rilanciare la domanda interna e la produzione industriale, dovrebbe avere il gradimento della Confindustria, cosa che invece non avviene, almeno a giudicare dalle dichiarazioni del suo presidente Boccia. Secondo il leader degli imprenditori italiani, infatti, i provvedimenti contenuti nel Def non aiutano la crescita. Mancherebbero gli investimenti per le grandi opere infrastrutturali e soprattutto le risorse per diminuire il cuneo fiscale, che è la somma delle imposte dirette, indirette e dei contributi previdenziali che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti. Più semplicemente: il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa al netto in busta paga e questa differenza in Italia è molto alta. Rilievi giusti, di fronte ai quali il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle sembrerebbe completamente fuori contesto e prospettiva. Tuttavia, chiedere più investimenti, meno imposte e tasse e nel contempo il rispetto delle assurde norme europee, ancorché accettate dai governi precedenti, diventa un vero e proprio ossimoro economico. E’ come aspettarsi la crescita dalla recessione, la diminuzione delle imposte dall’aumento delle stesse.Dalle dichiarazioni di Boccia assolutamente non si capisce dove voglia andare la classe imprenditoriale italiana, ma forse si capisce fin troppo bene. Valerio Malvezzi ci fornisce una prima chiave di lettura. Infatti nell’industria e nei servizi le imprese italiane sono poco più di quattro milioni. Orbene, su quattro milioni di imprese, le grandi imprese, quelle con oltre duecentocinquanta addetti, sono 3.140 e assorbono il 18% dei lavoratori. Le restanti aziende, pari al 94,9% del totale, hanno una media di 3,8 lavoratori ed impiegano il 48% di tutti gli addetti, praticamente assorbono la metà dell’occupazione italiana. Dette imprese, con meno di 10 operai, giuridicamente sono denominate micro-imprese. In definitiva, il sistema Italia si regge sugli artigiani, sui commercianti, sui piccoli agricoltori, sui piccoli imprenditori. Boccia parla nell’interesse di queste micro-imprese o delle poche aziende che hanno dimensioni tali per potere esportare? La risposta è univoca. La Confindustria è strettamente legata al progetto globalista degli anni ‘90, che assume la forma più compiuta con la creazione dell’Unione Europea, e che può essere così riassunto: stabilità dei prezzi, indipendenza della banca centrale, basso costo del denaro, delocalizzazioni, grande attenzione all’export.Sappiamo anche, però, che questo nel medio-lungo periodo ha comportato la ristrutturazione del sistema-paese, da grande potenza industriale a mera piattaforma logistica di trasformazione e consumo di prodotti non nazionali. Ma perché portare avanti questa visione ottusa, che ormai da anni caratterizza tutto l’ambiente confindustriale, priva di impegno per la stragrande maggioranza degli imprenditori? Per il potere. I vincoli esterni, il giudizio dei mercati, l’arbitraggio fiscale, le strutture sovranazionali non elette hanno marginalizzato il ruolo della politica, ridotto il Parlamento o mero gabelliere di Bruxelles, hanno evirato le organizzazioni sindacali e impedito qualsiasi lotta di classe degna di questo nome conferendo così un grande potere politico e decisionale alle imprese multinazionali. In definitiva, che la politica economica del governo 5 Stelle-Lega possa avere successo e alleviare i problemi del 95% degli imprenditori italiani alla Confindustria interessa poco. In fondo essa rappresenta solamente ed esclusivamente gli interessi delle lobby nostrane, che sono pronte ad immolare l’Italia nel perseguimento del progetto distopico globalista secondo i dettami dei suoi cattivi maestri. Ça va sans dire: cummannari è megghiu ca futtiri.(Raffaele Salomone-Megna, “Cummannari è megghiu ca futtiri”, da “Scenari Economici” del 10 dicembre 2018).Un governo come quello in carica, che si propone di rilanciare la domanda interna e la produzione industriale, dovrebbe avere il gradimento della Confindustria, cosa che invece non avviene, almeno a giudicare dalle dichiarazioni del suo presidente Boccia. Secondo il leader degli imprenditori italiani, infatti, i provvedimenti contenuti nel Def non aiutano la crescita. Mancherebbero gli investimenti per le grandi opere infrastrutturali e soprattutto le risorse per diminuire il cuneo fiscale, che è la somma delle imposte dirette, indirette e dei contributi previdenziali che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti. Più semplicemente: il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa al netto in busta paga e questa differenza in Italia è molto alta. Rilievi giusti, di fronte ai quali il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle sembrerebbe completamente fuori contesto e prospettiva. Tuttavia, chiedere più investimenti, meno imposte e tasse e nel contempo il rispetto delle assurde norme europee, ancorché accettate dai governi precedenti, diventa un vero e proprio ossimoro economico. E’ come aspettarsi la crescita dalla recessione, la diminuzione delle imposte dall’aumento delle stesse.
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Barnard: torniamo Italia, via da questa chemio-Eurozona
L’Italia deve uscire dall’Eurozona. L’Italia si deve ricordare come stavamo – sì, certo, con le nostre mafie, le mazzette, i politucoli puzzoni, le parrocchiette industriali – quello che volete, ma come stavamo prima di diventare un intero popolo di straccioni che spendono una moneta tedesca. Ma vi ricordate? Si lavorava, si compravano case e si risparmiava per i figli più di chiunque altro al mondo. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di un gruppo di ragazzetti stellati che vogliono farci tutti più onesti e corretti, ma che concordano in pieno col mantenere 60 milioni d’italiani annichiliti sotto la Chemioeconomia della moneta tedesca. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di non vedere più Rom e neri per strada, ma che invece ce ne faremmo tantissimo di avere un ‘duro con l’Europa’ che lo fosse davvero, e non un falsario cagasotto bulletto che ci ha ingannati perché tira proprio lui a diventare un Vip proprio in quell’Europa.L’Italia deve, prima di tutto, raccontare ai suoi cittadini cosa devono e dovranno pagare per tornare italiani, proprio i prezzi uno dopo l’altro, con precisione di somme e di tempi, e chiedersi: siamo disposti a pagarli per pochi anni, o forse solo mesi, per poi però tornare italiani? Rispondete sì o no. L’Italia deve allo stesso tempo raccontare ai suoi cittadini, anzi, ricordargli, quali sono i premi che dopo la burrasca gli pioveranno addosso se molliamo la moneta tedesca della Chemioeconomia. E che premi. Questo è un paese che solo-solo accettasse i prezzi della sfida all’abominio della moneta tedesca, poi diventa il Paradiso, e allora sì che andranno fatti i muri alle frontiere, ma non contro i Rom e i neri, contro australiani, tedeschi, olandesi, americani, belgi, russi…Non ci vuole molto. Basta stare compatti e stretti gli uni agli altri per il poco tempo della tempesta. Poi, mentre ci piovono addosso quei premi, ricordarsi sempre di questa regola al ministero del Tesoro: con moneta sovrana italiana, la spesa pubblica sarà maggiore delle tasse, e si scrive deficit senza nessun riguardo per le %, per tutto il tempo necessario fino a che l’ultimo disoccupato sarà stato assunto, fino a che i pensionati poveri saranno solo un brutto ricordo, fino a che le parole malattia e liste d’attesa saranno introvabili su Google Italia. L’Italia deve tornare Italia, e questa è la via. L’Italia deve.(Paolo Barnard, “L’Italia deve”, dal blog di Barnard del 6 dicembre 2018).L’Italia deve uscire dall’Eurozona. L’Italia si deve ricordare come stavamo – sì, certo, con le nostre mafie, le mazzette, i politucoli puzzoni, le parrocchiette industriali – quello che volete, ma come stavamo prima di diventare un intero popolo di straccioni che spendono una moneta tedesca. Ma vi ricordate? Si lavorava, si compravano case e si risparmiava per i figli più di chiunque altro al mondo. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di un gruppo di ragazzetti stellati che vogliono farci tutti più onesti e corretti, ma che concordano in pieno col mantenere 60 milioni d’italiani annichiliti sotto la Chemioeconomia della moneta tedesca. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di non vedere più Rom e neri per strada, ma che invece ce ne faremmo tantissimo di avere un ‘duro con l’Europa’ che lo fosse davvero, e non un falsario cagasotto bulletto che ci ha ingannati perché tira proprio lui a diventare un Vip proprio in quell’Europa.
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Magaldi: che delusione, l’esperienza gialloverde sta fallendo
«Diciamocelo: l’esperienza gialloverde sta fallendo. Lega e 5 Stelle rischiano grosso, di fronte alla cocente delusione degli elettori che avevano creduto nella loro scommessa». Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che svela la natura supermassonica del vero potere, che in Europa si nasconde dietro la tecnocrazia di Bruxelles e le cancellerie che contano, Berlino e Parigi in primis. Spettacolo penoso, la retromarcia tattica del governo Conte di fronte alle minacce dell’euro-establishment, «come se il problema fosse davvero il deficit al 2,4%», che ora peraltro il governo si sta preparando a “sacrificare”. Linea perdente, dice Magaldi: guai, a cedere al ricatto. Perché siamo di fronte a una colossale farsa: tutti sanno benissimo che Bruxelles non ha affatto a cuore il benessere del sistema-Italia. L’unico vero obiettivo dei nostri censori – Moscovici e Juncker, Macron e Merkel – è stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di rovesciare il paradigma neoliberista dell’austerity, propagandato e difeso “militarmente” a colpi di spread. Sul piano contabile non può far paura a nessuno, l’esiguo incremento del deficit inizialmente previsto dal Def per il 2019. Lo sanno Di Maio e Salvini, ma lo sanno anche i signori di Bruxelles. A inquietare gli oligarchi, semmai, è la bandiera della ribellione, sventolata dall’Italia per qualche settimana.L’orgogliosa rivendicazione post-keynesiana del governo Conte, sottolineata dal richiamo al New Deal rooseveltiano da parte di Paolo Savona, poteva innescare un benefico contagio europeo, basato sulla richiesta di sovranità democratica. Se invece ora l’Italia fa retromarcia e dice “abbiamo scherzato”, per Lega e 5 Stelle può essere l’inizio della fine, sostiene Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Una riflessione a tutto campo, quella del presidente del metapartitico Movimento Roosevelt, nato per rigenerare la politica italiana scuotendola dal torpore conformistico dell’equivoca Seconda Repubblica, durante la quale la finta alternanza dei partiti al potere – centrodestra e centrosinistra – ha costretto l’Italia a imboccare la via del declino, tra delocalizzazioni e privatizzazioni improntate alla “teologia” neoliberale che demonizza la spesa pubblica al solo scopo di trasferire potere e ricchezza ai grandi oligopoli privati. Magaldi è stato uno sponsor del governo Conte, che ha lungamente supportato e incoraggiato – a patto però che rompesse l’incantesimo che vieta all’Italia di riappropriarsi della sua sovranità, a cominciare da quella monetaria.L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, invoca il ricorso a una moneta parallela. Proprio la gestione dell’euro – monopolizzata dal cartello finanziario che detiene il controllo della Bce – è uno dei punti strategici su cui farà leva il “partito che serve all’Italia”, cantiere politico roosveltiano che il prossimo 22 dicembre a Roma comincerà a costruire un’agenda concreta. Le delusione di fronte al cedimento all’Ue non impedisce a Magaldi di continuare a considerare Lega e 5 Stelle gli unici interlocutori potenzialmente credibili: certo, se si alza bandiera bianca sul deficit 2019, la partita è destinata a slittare al 2020, dopo le europee, traguardo al quale il governo intende presentarsi senza avere sulle spalle il peso dell’eventuale procedura d’infrazione per eccesso di debito. Ma così, obietta Magaldi, non si può sperare di andare lontano. Per un motivo essenziale: è perdente, sempre e comunque, piegarsi a un ricatto. E quello degli oligarchi Ue è un ricatto ipocrita, travestito da economicismo: il rigore viene spacciato per strada maestra, quando gli stessi ideologi dell’austerity sanno perfettamente che il taglio della spesa produce solo recessione e disoccupazione.La stessa manovra gialloverde non è certo impeccabile, annota Magaldi: non c’è ancora la più pallida idea di come applicare l’eventuale reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio, mentre – sul fronte leghista – siamo lontani anni luce dal decisivo sgravio fiscale promesso alle elezioni. «E’ di quello che hanno bisogno come il pane gli ambienti imprenditoriali che avevano sostenuto Salvini: cosa importa, alle aziende, del “decreto sicurezza” appena approvato? Oltretutto, quel decreto – davvero pessimo – potrebbe anche configurare pesanti e inaccettabili limitazioni alle libertà personali». Neppure nella versione con il deficit al 2,4%, insiste Magaldi, la manovra mostrava sufficienti investimenti nei settori in grado di rilanciare l’economia: un impegno troppo esiguo, non certo adeguato a garantire quel “moltiplicatore economico” di cui il paese ha bisogno. Premessa: «Aumentare il deficit è doveroso, per rimettere in moto l’economia, purché però si investa nei settori che garantiscano la crescita dell’occupazione». Si corre il rischio di fare «la stessa figura di Tsipras, che ha tradito i greci per piegarsi all’Ue». Altro paragone increscioso, quello con Matteo Renzi: «Era andato a Bruxelles facendo il fanfarone, annunciando svolte epocali per uscire dall’austerity di Monti e Letta, ma poi ha ceduto su tutta la linea».Tsipras e Renzi sappiamo che fine hanno fatto. A Salvini e Di Maio, un analogo scivolone costerebbe l’osso del collo. Anche perché ormai l’opinione pubblica italiana ha preso le misure, ai padreterni di Bruxelles: oggi, a Mario Monti ed Elsa Fornero l’italiano medio non stenderebbe più il tappeto rosso. S’è messo in moto qualcosa di profondo, nel paese, anche grazie alla politica pre-elettorale della Lega e dei 5 Stelle, carica di aspettative. Ora, come dire, sarebbe folle rimangiarsi la parola data. Guai ad arretrare, di fronte alle minacce dei burattini di quella che resta una cupola finanziaria supermassonica, la stessa che ha insediato all’Eliseo il micro-oligarca Macron, contro il quale oggi la Francia stessa si sta sonoramente ribellando. E l’Italia che fa, resta a guardare? Si lascia intimidire da uno spaventapasseri come Juncker dopo aver promesso cataclismi epocali? Grave errore, sottolinea Magaldi, aver usato toni irridenti con l’Ue, se poi ci si prepara a genuflettersi a Bruexelles come Renzi e Gentiloni. Meglio un dialogo franco e leale, giusto per dire: cari amici, che ne direste di farla davvero, l’Europa?Sottinteso: questo obbrobrio di Ue va cestinato, perché ha disastrato l’economia del continente seminando crisi su crisi. Da dove ripartire? Ovvio, dall’inizio: la parola chiave è antica, si chiama “democrazia”. E in questa pseudo-Europa, purtroppo, oggi è sinonimo di “rivoluzione”. Magaldi preferisce il termine “radicalismo”, ma il senso è quello: radere al suolo l’impalcatura (marcia dalle fondamenta) dell’attuale Disunione Europea, dove la Germania – come segnala l’imprenditore Fabio Zoffi – bacchetta l’Italia per il suo 130% di debito, mentre quello di Berlino (occulto) veleggia verso il 300% del Pil. Negli ultimi anni, a scuotere l’opinione pubblica hanno provveduto celebri “whistleblower” come Julian Assange (Wikileaks) e Edward Snowden (la disinvoltura della Nsa nella gestione dei Big Data, in termini di spionaggio di massa). Dal canto suo Magaldi – altro “insider”, se vogliamo, ma proveniente dal mondo delle Ur-Lodges – ha scoperchiato il vaso di Pandora delle quasi onnipotenti superlogge sovranazionali. Obiettivo: consentire al pubblico di aprire gli occhi, imparando a riconoscere la vera identità dei tanti oligarchi che si spacciano per guide illuminate.L’Ue? Un loro prodotto. Movente: confiscare diritti, sovranità e democrazia, per organizzare il più grande trasferimento di ricchezza della storia, dal basso verso l’alto. Narrazione mainstream: è giusto tagliare lo Stato. Risultato scontato: sofferenze sociali. Parla da solo il caso italiano: 25 anni di decandenza ininterrotta, presentata come fisiologica. Una farsa colossale, abilmente inscenata da partiti “comprati” e disinformatori di corte. Poi è arrivato l’inciampo elettorale dei gialloverdi. E ora che fanno, tornano a casa con la coda tra le gambe? Sappiano, ribadisce Magadi, che non possono farlo: l’Italia non li perdonerebbe. Perché la vera sfida è solo all’inizio. E tutti i falsi dogmi del dominio – rigore, austerity, pareggio di bilancio – saranno spazzati via, il giorno che l’Europa nascerà davvero, con la sua Costituzione democratica e il suo governo federale, finalmente eletto dagli europarlamentari votati dai cittadini europei. Utopia? Non per Gioele Magaldi, intenzionato a incalzare «gli amici gialloverdi» senza fare sconti a nessuno, avendo chiaro «quello che serve davvero all’Italia». Non la diplomazia, con Bruxelles, ma il confronto (durissimo) che in tanti avevano sperato potesse essere inaugrato proprio da Salvini e Di Maio.«Diciamocelo: l’esperienza gialloverde sta fallendo. Lega e 5 Stelle rischiano grosso, di fronte alla cocente delusione degli elettori che avevano creduto nella loro scommessa». Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che svela la natura supermassonica del vero potere, che in Europa si nasconde dietro la tecnocrazia di Bruxelles e le cancellerie che contano, Berlino e Parigi in primis. Spettacolo penoso, la retromarcia tattica del governo Conte di fronte alle minacce dell’euro-establishment, «come se il problema fosse davvero il deficit al 2,4%», che ora peraltro il governo si sta preparando a “sacrificare”. Linea perdente, dice Magaldi: guai, a cedere al ricatto. Perché siamo di fronte a una colossale farsa: tutti sanno benissimo che Bruxelles non ha affatto a cuore il benessere del sistema-Italia. L’unico vero obiettivo dei nostri censori – Moscovici e Juncker, Macron e Merkel – è stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di rovesciare il paradigma neoliberista dell’austerity, propagandato e difeso “militarmente” a colpi di spread. Sul piano contabile non può far paura a nessuno, l’esiguo incremento del deficit inizialmente previsto dal Def per il 2019. Lo sanno Di Maio e Salvini, ma lo sanno anche i signori di Bruxelles. A inquietare gli oligarchi, semmai, è la bandiera della ribellione, sventolata dall’Italia per qualche settimana.
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Bifarini: squadristi dello spread, se li smentisci ti oscurano
Le élites europee e italiane vogliono mantenere lo status quo. Lo fanno per propagandare con il controllo dei media questo modello economico che risulta perdente, sminuendo e ridicolizzando ogni piano alternativo e anche chi la pensa in modo differente. Lo fanno fin nel dettaglio con un macchina del fango sistematica. Il piano del nuovo governo italiano non sembra così radicale? Infatti non lo è, ma occorre comunque ridicolizzarlo. E’ un primo passo e una manovra che va in un’altra direzione rispetto alle precedenti. Ma la ridicolizzazione è architettata fin nei minimi particolari, cosa che fanno anche nei confronti delle persone (è stato fatto anche a me), anche se chi la esercita è minoritario nel paese. La maggioranza degli italiani non crede in queste ricette. Dopo una recente serata a “Otto e mezzo”, su La7, sono stata bersagliata, intimidita, derisa da importanti giornalisti e potenti economisti. Una sorta di bullismo mediatico, così volgare da lasciarmi senza parole. Faccio un esempio su un comportamento che ritengo significativo. Il vicepresidente del Parlamento Europeo, David Sassoli (ex conduttore del Tg1 ed esponente del Pd) si è scomodato per me, bloccandomi su Twitter e taggando il contenuto di un suo tweet al Parlamento Europeo, dove dice che se mi invitano in tv gli italiani potrebbero precipitarsi a ritirare i loro soldi dalla banca. Non pensavo di essere così potente. Si vede che la verità non si può dire in Tv.In televisione avevo detto che mettere in discussione l’Europa è necessario. Che l’austerity è una ricetta che non ha funzionato e non funziona. E’ un modello adottato su scala universale in modo acritico, e l’Europa ne è in questo momento la portatrice più avanzata. Tutti addossano alle politiche del governo l’aumento dello spread, ma accade principalmente perchè il quantitative easing di Draghi e della Bce è agli sgoccioli. Però questo nessuno lo spiega. Perché questi attacchi? Viviamo in una delle società più inique di sempre. Un ristrettissimo numero di persone detiene la maggioranza del potere nel mondo e in questo paese. La loro ricetta di gestione è questo fondamentalismo economico che è il neoliberismo, e anche se non funziona non lo si può mettere in discussione con delle critiche. Chi ha in mano il potere detiene il controllo dei media che sembrano fare di tutto per mantenere lo status quo. Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l’Economia nel 2002, spiega che le ricette di Banca Mondiale, Fondo Monetario Interneazionale, Wto e vari altri organismi sovranazionali producono spesso effetti devastanti nei paesi in cui vengono applicate. Ho moltissimi punti in comune con le teorie di Stiglitz, ma nel contesto maistream la comprensione di questi temi non è passata.Con un martellamento a tappeto hanno convinto gli italiani che l’economia è sapere ogni giorno quali siano le oscillazioni dello spread e le dinamiche del debito. Ma questa non è economia. L’economia ha il compito di far star meglio le persone. I veri problemi dell’economia sono la mancanza di crescita e la disoccupazione. In Italia si dovrebbe anche iniziare a rivedere il meccanismo d’asta usato per il collocamento dei Btp. Il sistema di gestione del debito pubblico italiano va rivisto. La modalità del ‘prezzo marginale d’asta’ comporta che i titoli vengano assegnati al prezzo più basso offerto e quindi al tasso più alto. Ciò comporta un costo del debito pubblico elevatissimo. Basterebbe fare come in Germania, dove esiste un importante sistema di banche pubbliche che intervengono nelle aste dei titoli pubblici. Come si esce da questa fase critica per i mercati? E’ questo continuo stato di tensione che ha effetti deleteri sui mercati. Dovrebbe cambiare l’approccio europeo. I mercati speculano sulle aspettative. La Bce dovrebbe preservare la stabilità dei mercati con politiche monetarie ad hoc.Da noi la classe politica ha tradito gli italiani con privatizzazioni che non vi dovevano essere, o entrando nell’unione monetaria Ue senza che vi fossero le condizioni. In Francia si scende in strada per rivendicare istanze popolari che qui ogni giorno si disprezzano come populismo. Ma è normale, parliamo dei sistemi di privilegi che una casta vuole continuare a mantenere. Il vero problema è questa ideologia delle élites che costringe ampie masse europee all’austerity e alla povertà. Ora, con arroganza aristrocratica, chi detiene le redini di questo tipo di società vuole ancora preservare i propri privilegi. Come si crea la crescita? Con investimenti pubblici produttivi: grandi investimenti e opere che creino lavoro. Con questi interventi ci occuperemmo dello stato di salute del nostro territorio – che abbiamo visto in che condizione è, vedasi il ponte di Genova e tutti i disastri che sono capitati anche ultimamente – e metteremmo in moto un circolo viruoso che procura crescita e benessere. Resta questo lo scopo dell’economia, non l’informazione giornaliera sullo spread. Lo Stato non può continuare a chiedere al cittadino più di quanto dà.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate ad Antonio Amorosi per l’intervista apparsa su “Affari Italiani” il 21 novembre 2018, ripresa dal blog della Bifarini).Le élites europee e italiane vogliono mantenere lo status quo. Lo fanno per propagandare con il controllo dei media questo modello economico che risulta perdente, sminuendo e ridicolizzando ogni piano alternativo e anche chi la pensa in modo differente. Lo fanno fin nel dettaglio con un macchina del fango sistematica. Il piano del nuovo governo italiano non sembra così radicale? Infatti non lo è, ma occorre comunque ridicolizzarlo. E’ un primo passo e una manovra che va in un’altra direzione rispetto alle precedenti. Ma la ridicolizzazione è architettata fin nei minimi particolari, cosa che fanno anche nei confronti delle persone (è stato fatto anche a me), anche se chi la esercita è minoritario nel paese. La maggioranza degli italiani non crede in queste ricette. Dopo una recente serata a “Otto e mezzo”, su La7, sono stata bersagliata, intimidita, derisa da importanti giornalisti e potenti economisti. Una sorta di bullismo mediatico, così volgare da lasciarmi senza parole. Faccio un esempio su un comportamento che ritengo significativo. Il vicepresidente del Parlamento Europeo, David Sassoli (ex conduttore del Tg1 ed esponente del Pd) si è scomodato per me, bloccandomi su Twitter e taggando il contenuto di un suo tweet al Parlamento Europeo, dove dice che se mi invitano in tv gli italiani potrebbero precipitarsi a ritirare i loro soldi dalla banca. Non pensavo di essere così potente. Si vede che la verità non si può dire in Tv.
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Magaldi: se cedono sul deficit i gialloverdi perdono la faccia
Riscrivere, insieme, le regole del mondo. Ingenuo? Forse, ma necessario. “Se non così, come? E se non ora, quando?”, si potrebbe dire, parafrasando Primo Levi. E’ la premessa – implicita – da cui sembra muovere, sempre, l’analisi che dell’attualità politica offre Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), libro-evento che svela la natura supermassonica del potere mondiale. Da presidente del Movimento Roosevelt, meta-partito che si propone di rigenerare la politica italiana partendo da una piattaforma realmente progressista, fondata sul ripristino della sovranità democratica, Magaldi guarda con attenzione al possibile cantiere rappresentato dal governo gialloverde. Ipotesi: ribaltare la narrazione mainstream, ai cui diktat ideologici «si sono appecoronati l’ex sedicente centrodestra e l’ex sedicente centrosinistra», entrambi proni alle direttive dell’élite finanziaria – in sintesi: smantellare l’industria italiana e privatizzare il paese consegnandolo a un oligopolio di grandi poteri economici finto-europeisti, che in realtà utilizzano l’Ue per i loro obiettivi privatistici. Contro questo establishment, almeno fino a ieri, si era levata la voce dei 5 Stelle, gradualmente sovrastata da quella di Salvini. E ora, dopo tanto abbaiare, il governo Conte si appresta a calare clamorosamente le brache rinunciando al pur misero 2,4% di deficit previsto per il 2019?
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Solo neoliberismo, dai gialloverdi, contro il neoliberismo Ue
Il governo ha fieramente confermato la sua manovra di bilancio mentre le opposizioni tifano Ue: sembra uno scontro epocale, ma se si diradano le opposte propagande vediamo che siamo di fronte a due modi, (non tanto) diversi di intendere lo stesso liberismo. Lo afferma Giorgio Cremaschi, già dirigente di lungo corso della Fiom, ora esponente di “Potere al popolo”. «La Ue e i suoi fanatici, compresa la penosissima sinistra dello spread, rivendicano tutto l’impianto delle politiche di austerità, che in Grecia hanno distrutto il paese e in Italia, oltre ai danni sociali che viviamo, hanno fatto crescere enormemente il debito pubblico», scrive Cremaschi su “Micromega”. Da quando si è insediato Monti, che ha alzato le tasse e tagliato la spesa pubblica mutilando il welfare (pensioni in primis, legge Fornero) il debito pubblico italiano è aumentato di 400 miliardi di euro, ricorda Cremaschi: «Segno che le politiche di austerità per ridurre il debito lo fanno aumentare, e che la propaganda a loro favore si fonda sul nulla e sul falso». Giusto quindi abbandonarle e seguire altre vie, ovvero «ciò che la propaganda opposta del governo gialloverde rivendica». Solo che, anche qui, secondo Cremaschi «la realtà è ben diversa dagli annunci».Fieramente, il governo Conte scrive all’Ue che manterrà i provvedimenti a tutela dei poveri, il cosiddetto reddito di cittadinanza o quel che ne resta («ormai è chiaro che è solo un ampliamento delle misure del governo Gentiloni», il suo “reddito di inclusione”). L’esecutivo dice che allenterà le rigidità e i vincoli del sistema pensionistico? Invece «resta la Fornero con tutti i suoi vincoli», anche se «per alcuni saranno meno duri». Questa è la realtà, sottolinea Cremaschi. Poi ci sono i condoni fiscali, le promesse di investimenti e altre misure in base alle quali il governo contesta alla Ue le sue previsioni pessimiste e conferma invece che l’Italia crescerà e per quella via ridurrà il debito. Così alla fine «lo scontro tra governo e Ue sta diventando una sorta di ridicola contesa tra ottimisti e pessimisti, su previsioni che, la storia insegna, sono quasi sempre sbagliate, tutte». Ma il governo fa un passo in più, aggiunge l’ex sindacalista: di fronte alle contestazioni sui suoi numeri “ottimisti”, l’esecutivo aggiunge delle “garanzie”. «La prima è la privatizzazione dell’1% del patrimonio pubblico: sembra poco, ma la proprietà pubblica teoricamente viene valutata in ben 1.800 miliardi di euro. Quindi il governo prometterebbe 18 miliardi di ricavi da vendite di beni pubblici».Di Maio assicura che si metteranno all’asta solo proprietà demaniali di poco valore, non i “gioielli” finanziari e industriali? «Bene, ma se davvero fosse così – obietta Cremaschi – o saremmo di fronte a una bufala, o alla gigantesca privatizzazione di circa un terzo di suolo pubblico, visto che la proprietà demaniale da sola vale circa 60 miliardi: altro che gli ettari dati in concessione per il terzo figlio». Secondo Cremaschi, il governo cerca di rispondere alle accuse Ue con le privatizzazioni, «quindi al liberismo con più liberismo, seguendo pedissequamente ciò che fece Monti». Il super-tecnocrate «viene imitato anche nell’altra mossa del governo: l’impegno a non far salire in ogni caso il deficit oltre il 2,4%». Altra bufala, o «garanzia vera e pericolosa»? Nel secondo caso, «il governo dovrà alla fine definire clausole di riduzione del deficit, aumento dell’Iva e tagli di spesa pubblica, esattamente come hanno fatto Monti, Renzi e Gentiloni», e magari «lasciando quelle clausole velenose in eredità ai governi successivi, come hanno fatto tutti i predecessori».Insomma, il governo «alza la bandiera dell’orgoglio nazionale», ma poi «segue sempre di più la via liberista classica dell’Unione Europea». Se n’è accorto il ministro delle finanze della Germania, Olaf Scholz, l’unico ad avere espresso parole di comprensione sulla manovra italiana, affermando che in nostro paese ha diritto di aiutare i più poveri come si fa in tutta Europa. «Paradossalmente – aggiunge Cremaschi – se il governo Merkel fosse ancora il padrone assoluto della Ue, il compromesso sarebbe vicino». Ma sono proprio i governi e i partiti “fratelli” della Lega di Salvini i più duri contro l’Italia. «E siccome questi governi e questi partiti di destra hanno un peso sempre maggiore nella Ue, e il loro avversario Macron compete con loro sul loro stesso terreno, ecco che dare una lezione all’Italia diventa un terreno ove mostrare chi è più forte», sostiene Cremaschi. Così come fermare i migranti, anche dire stop alle “spese folli” degli italiani «è diventato un vanto, ove ogni governante mostra quanto sia più duro degli altri».Per una sorta di legge del contrappasso, conclude l’ex sindacalista, «il governo gialloverde paga nella Ue l’affermarsi delle idee e dei comportamenti di cui va più fiero Salvini». A questo punto, «è difficile prevedere se lo scontro governo italiano-Ue continuerà, o se alla fine ci sarà un compromesso nel nome della continuità delle politiche liberiste che entrambi i contendenti praticano». In ogni caso, secondo Cremaschi «siamo di fronte allo scontro tra due diverse destre economiche e politiche, che configgono nel nome degli stessi valori di fondo e degli stessi programmi di privatizzazioni e tagli allo stato sociale». Per rompere la gabbia del liberismo, nel nome della giustizia e dell’eguaglianza sociale, per Cremaschi «è più che mai necessario essere contro il governo e contro la Ue».Il governo ha fieramente confermato la sua manovra di bilancio mentre le opposizioni tifano Ue: sembra uno scontro epocale, ma se si diradano le opposte propagande vediamo che siamo di fronte a due modi, (non tanto) diversi di intendere lo stesso liberismo. Lo afferma Giorgio Cremaschi, già dirigente di lungo corso della Fiom, ora esponente di “Potere al popolo”. «La Ue e i suoi fanatici, compresa la penosissima sinistra dello spread, rivendicano tutto l’impianto delle politiche di austerità, che in Grecia hanno distrutto il paese e in Italia, oltre ai danni sociali che viviamo, hanno fatto crescere enormemente il debito pubblico», scrive Cremaschi su “Micromega”. Da quando si è insediato Monti, che ha alzato le tasse e tagliato la spesa pubblica mutilando il welfare (pensioni in primis, legge Fornero) il debito pubblico italiano è aumentato di 400 miliardi di euro, ricorda Cremaschi: «Segno che le politiche di austerità per ridurre il debito lo fanno aumentare, e che la propaganda a loro favore si fonda sul nulla e sul falso». Giusto quindi abbandonarle e seguire altre vie, ovvero «ciò che la propaganda opposta del governo gialloverde rivendica». Solo che, anche qui, secondo Cremaschi «la realtà è ben diversa dagli annunci».
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Galloni: come sopravvivere se lo spread sale a quota 400
Ieri l’asta dei Btp è stata molto fiacca. Dicono i giornali perché lo spread è salito a quota oltre 330; insomma, se ci si aspetta che lo spread salga ancora (magari in funzione della procedura contro l’Italia preannunciata per il 22 novembre), gli investitori aspettano a comperare titoli a più lungo termine. Se è così – e, soprattutto gli investitori (grandi banche dealer) sono costrette a comperare titoli per l’immensa disponibilità liquida loro fornita dalle banche centrali che poi obbligano a depositi presso di esse con tassi negativi – perché non offrire bonds a breve e risparmiare sui tassi? Non si sa. Giornali, televisioni, politici e accademici dicono che l’aumento dello spread determina un impoverimento dei possessori di titoli: se anche io li voglio vendere anticipatamente, so che il prezzo cala, quindi, che li venderò (sempre che decida di rientrare in possesso della liquidità prima della scadenza) ad un valore più basso; ma, se me li tengo fino a scadenza, avrò il reddito pattuito e, infine, il rimborso del capitale originario.Casomai, se l’attesa di aumento dei rendimenti dei titoli futuri supera la svalutazione di quelli vecchi di cui si chiede il rimborso anticipato, allora sarà conveniente chiedere quest’ultimo e aspettare il momento buono per investire sul nuovo primario. Di qui due deduzioni: 1) agli speculatori serve che l’aumento delle spread sia seguito da un aumento dei tassi sulle nuove emissioni e, quindi, possono operare in tal senso (come è già accaduto qualche anno fa coi titoli greci); 2) bisogna offrire nuovi titoli a rendimenti e scadenze più corte.A quota 400 tutti – compreso il ministro dell’economia – pensano che il sistema non regga: certo questo sistema che, però, lo si dice da una vita, è intrinsecamente sballato. Occorrono, invece, quattro cose: 1) ridurre i tempi delle scadenze delle nuove emissioni per guadagnare dai tassi più bassi che la speculazione accetta in attesa delle nuove emissioni a lungo termine coi tassi più alti (e che determineranno tra non tantissimo tempo la crisi delle borse ed il rafforzamento dei ribassisti); 2) consentire agli Stati di immettere moneta non a debito a sola circolazione nazionale per finanziare attività nell’ambiente e l’occupazione soprattutto giovanile; 4) non interrompere il quantitative easing della Bce sul mercato secondario; 4) istituire un’agenzia di rating titolata a dare giudizi su basi serie e trasparenti.(Nino Galloni, “Come sopravvivere a quota 400”, da “Scenari Economici” del 20 novembre 2018).Ieri l’asta dei Btp è stata molto fiacca. Dicono i giornali perché lo spread è salito a quota oltre 330; insomma, se ci si aspetta che lo spread salga ancora (magari in funzione della procedura contro l’Italia preannunciata per il 22 novembre), gli investitori aspettano a comperare titoli a più lungo termine. Se è così – e, soprattutto gli investitori (grandi banche dealer) sono costrette a comperare titoli per l’immensa disponibilità liquida loro fornita dalle banche centrali che poi obbligano a depositi presso di esse con tassi negativi – perché non offrire bonds a breve e risparmiare sui tassi? Non si sa. Giornali, televisioni, politici e accademici dicono che l’aumento dello spread determina un impoverimento dei possessori di titoli: se anche io li voglio vendere anticipatamente, so che il prezzo cala, quindi, che li venderò (sempre che decida di rientrare in possesso della liquidità prima della scadenza) ad un valore più basso; ma, se me li tengo fino a scadenza, avrò il reddito pattuito e, infine, il rimborso del capitale originario.
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Spread manipolato, Oettinger e Moscovici denunciati al pm
Sparlate pubblicamente della manovra gialloverde, incidendo sullo spread? E noi vi denunciamo alla magistratura. E’ stata depositata presso le procure di Roma e Bari la denuncia intrapresa da due giornalisti, Francesco Palese e Lorenzo Lo Basso, contro i commissari europei Pierre Moscovici e Günther Oettinger per aggiotaggio e manipolazione del mercato in relazione alle loro dichiarazioni negative sulla manovra del governo italiano. «Nelle ultime settimane – si legge nella denuncia di Palese e Lo Basso – alcune dichiarazioni dei commissari europei Moscovici e Oettinger hanno pesantemente turbato i mercati italiani». Si tratta di dichiarazioni rese alla stampa, «non quindi comunicazioni ufficiali come il loro ruolo istituzionale imporrebbe», per giunta effettuate «a mercati aperti». Interventi che, secondo i due giornalisti, che hanno clamorosamente modificato proprio l’andamento dei mercati, «incidendo in modo significativo sulla fiducia e l’affidamento che il pubblico pone della stabilità patrimoniale di banche e gruppi bancari, alterando contestualmente il valore dello spread italiano».
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Ue che manovra: spezzare l’Italia, Bruxelles ha paura di noi
Qua si mette male, molto male. Il guaio non è la manovra economica che sarà pure inappropriata e insufficiente ma che non è così drastica e rivoluzionaria, e non produrrebbe quei danni letali che si raccontano ogni giorno. Il guaio è la reazione alla manovra. Che non è poi nemmeno la bocciatura della manovra, ma è un preciso, deliberato, radicale attacco al governo in carica. Il proposito non è far cambiare la manovra ma far cadere il governo e metterlo contro al suo popolo. Non si tratta di scomodare la letteratura del complotto, i precedenti, perfino quello di Berlusconi che ora è dalla parte di chi lo fece fuori sette anni fa. Non è questione di complotti, è questione di lotta per la sopravvivenza, o se volete, è l’eterna legge dell’autoconservazione del potere che quando è in pericolo prima sparge l’inchiostro e poi aziona i tentacoli. E non si tratta di attacco all’Italia, che pure non gode di fiducia nei potentati, e nemmeno solo di pregiudizi, come dice serafico il premier Conte. No, qui è in gioco l’establishment e il suo potere. Se passa la manovra del governo italiano, e ancora peggio se non devasta l’economia come viene preannunciato tre volte al giorno, viene delegittimato l’establishment tecno-finanziario-capital-sinistrorso che regge l’Unione, di cui in Italia abbiamo molti reggicoda.Altri paesi seguirebbero l’esempio e si sentirebbero in diritto di prendere una loro strada, di non sottomettersi al diktat europeo e alla loro prescrizione tassativa. E alle elezioni europee sarebbe un massacro per gli assetti di potere vigenti, di cui Juncker, Moscovici, sono gli ultimi figuranti. Da qui il terrorismo mediatico-finanziario, le scomuniche scritte e inscenate. Si giocano tutto. Altro che bocciatura della finanziaria. Da giorni, da settimane, da mesi in un crescendo minaccioso, annunciano sventure le cassandre interne e le streghe di Macbeth, che predicevano in futuro in realtà per orientarlo secondo i loro desideri. Eurarchi, agenzie, media e ascari politici, un coro assordante. E sta realmente serpeggiando nel paese quel panico che è di solito alle origini delle catastrofi. Ma il collasso non è indotto da una manovra scarsa e sbagliata ma dall’attacco concentrico al governo, prospettandoci un’altra esperienza Tsipras, come quella che indusse il riottoso premier greco a subire i diktat della Trojka se non voleva ridurre in miseria il suo paese.Il suggerimento sottinteso che viene dato è il seguente: l’Italia ha un debito record ma, come voi dite, è solido il sistema-italia, ha beni, risparmi, proprietà private. Bene, allora mettete mano a quelli, con una patrimoniale, prelievi forzosi, blocco di capitali, tasse sulle case, obbligo d’investire in titoli pubblici, o quel che volete voi. Ovvero trovate i soldi nelle tasche degli italiani, così pagate almeno gli interessi sul debito (che non potrà mai essere estinto, è come il peccato originale ma non ce lo toglie nessun battesimo). E allo stesso tempo vi inimicate il popolo che vi sostiene. Così buonanotte al populismo, al sovranismo e a tutte le menate. Voi capite che il pericolo vero è questo e non la manovra. E non pensate che indignandosi o cercando di suscitare rabbia nel popolo, si possa rispondere con le barricate. No, è una guerra e in guerra contano i rapporti di forza. È una guerra e del resto non potevate pensare che “loro” hanno i giorni contati- come dicevano allegramente – e si limitano a contare i giorni e non a reagire. E disponendo di poteri e alleanze che voi neanche vi sognate, agiscono per mandarvi fuori strada. Voi e il vostro paese, se vi segue.A questo punto io ho paura della paura. Ho paura cioè del panico che stanno instillando nella gente, nelle notizie che fanno circolare, nelle annunciate fughe di capitali all’estero, conti prosciugati e così via. Perché sono quei fatti e soprattutto quelle psicosi agitate a produrre guai seri, reazioni a catena; a gettare i paesi nel caos e nella disperazione, per andare poi da lorsignori col cappello in mano. Questa è la vera manovra pericolosa in atto.E allora che fare? Andare alla guerra, cercare alleati anche fuori d’Europa, farsi espellere dall’Unione, scatenare l’ira del popolo? Non contate molto su quest’ultima, gli haters non sono il popolo, e il popolo vi dà ragione in tempo di pace ma quando c’è il panico e la casa brucia non stanno lì a spegnere il fuoco e ad attaccare chi l’ha appiccato, ma mirano a mettersi in salvo. E’ umano, e da questo punto di vista gli italiani sono più “umani” degli altri (anche, ma non solo per fortuna, nel senso di più vigliacchi, più voltagabbana).Del resto, i governi che sfidano l’Europa dovrebbero avere spalle larghe, grandi leader, forze compatte e decise, che qui non vediamo. Si può decidere di combattere per l’Italia e la sua dignità, ma non si può morire per Di Maio e per le velleità grilline. Bisogna essere realisti, cercare punti d’incontro, intanto crescere, trovare solide alleanze, rafforzarsi, rinsaldarsi, acquisire nuove forze. Alle prime gelate, il consenso si ritira. Sarebbe magnifico poter rovesciare l’establishment attuale ma se non si hanno energie e strategie valide, leadership adeguate ed élite alternative, meglio essere prudenti. Non si può dichiarare guerra al mondo e rispondere alle armi micidiali messe in campo dal Nemico coi tweet, gli scarponi e le manine.(Marcello Veneziani, “Ue che manovra”, da “Il Tempo” del 25 ottobre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Qua si mette male, molto male. Il guaio non è la manovra economica che sarà pure inappropriata e insufficiente ma che non è così drastica e rivoluzionaria, e non produrrebbe quei danni letali che si raccontano ogni giorno. Il guaio è la reazione alla manovra. Che non è poi nemmeno la bocciatura della manovra, ma è un preciso, deliberato, radicale attacco al governo in carica. Il proposito non è far cambiare la manovra ma far cadere il governo e metterlo contro al suo popolo. Non si tratta di scomodare la letteratura del complotto, i precedenti, perfino quello di Berlusconi che ora è dalla parte di chi lo fece fuori sette anni fa. Non è questione di complotti, è questione di lotta per la sopravvivenza, o se volete, è l’eterna legge dell’autoconservazione del potere che quando è in pericolo prima sparge l’inchiostro e poi aziona i tentacoli. E non si tratta di attacco all’Italia, che pure non gode di fiducia nei potentati, e nemmeno solo di pregiudizi, come dice serafico il premier Conte. No, qui è in gioco l’establishment e il suo potere. Se passa la manovra del governo italiano, e ancora peggio se non devasta l’economia come viene preannunciato tre volte al giorno, viene delegittimato l’establishment tecno-finanziario-capital-sinistrorso che regge l’Unione, di cui in Italia abbiamo molti reggicoda.
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Se Trump ha bisogno di Roma per far guerra a Bruxelles
A Washington Dc c’è aria di cambiamento verso l’Italia. Le elezioni di aprile, con la vittoria di Lega e Movimento 5 Stelle, hanno portato al potere il primo governo populista in Europa. Senza contare la vittoria contro l’establishment di Donald Trump. I due paesi ora hanno governi fortemente identitari. Ma non solo. L’America e l’Italia condividono gli stessi interessi nel risolvere problemi come l’immigrazione incontrollata e l’egemonia di Bruxelles. Su altri temi, però, come la politica estera nel Medio Oriente, i due paesi faticano ancora a trovarsi dalla stessa parte, scrive sul “Giornale” Alessandra Bocchi, reduce da una ricognizione nella capitale statunitense per parlare con giornalisti e analisti di orientamento trumpiano. Obiettivo: capire cosa pensa la presidenza americana del nuovo governo italiano. «Il presidente Donald Trump stima molto il nuovo governo italiano, specialmente per avere fermato l’immigrazione», racconta Saagar Enjeti, il corrispondente della Casa Bianca per “The Daily Caller”, uno dei maggiori media conservatori. Enjeti dice che durante la visita del premier Giuseppe Conte alle Casa Bianca ha notato una particolare “affinità” tra i due leader. Trump ha espresso la sua ammirazione verso la posizione del ministro dell’interno Matteo Salvini nel chiudere i porti italiani alle Ong che trasportavano migranti.«Il tema dell’immigrazione è stato fondamentale anche in America per la campagna elettorale di Trump», ricorda la Bocchi. La popolazione americana sta cambiando rapidamente, e quella di origine europea rappresenta il 62% delle persone, mentre qualche anno fa l’85%. E Trump ha un particolare interesse a quello che sta accadendo in Europa. C’è un’affinità culturale tra l’America e l’Europa perché Trump è di origine europea, ma c’è anche un interesse strategico per via del fatto che la sicurezza in Europa è a repentaglio per colpa del terrorismo «importato dagli immigrati», dice Daniel McCarthy, uno scrittore americano ed ex-direttore del “The American Conservative”, un giornale intellettuale alternativo. Un altro tema sulla quale i due paesi condividono interessi è quello dell’Unione Europea, in particolare verso il controllo che la Germania ha su di essa. «Trump non è contro l’Unione Europea in sé, ma lo è per come viene governata al giorno d’oggi dalla Germania», dice ancora Enjeti. «Il rapporto tra questa Casa Bianca e la cancelliera tedesca Angela Merkel è molto conflittuale». Trump era a favore della Brexit durante la sua campagna elettorale e ha cercato di imporre dei dazi sull’Unione Europea in modo tale da danneggiare soprattutto l’industria tedesca.Anche l’Italia ha dei conflitti economici con Bruxelles all’interno della moneta unica, che si sono manifestati particolarmente con il nuovo governo gialloverde. Non a caso, l’America potrebbe comprare i bond (titoli di Stato) italiani per aiutare a tenere in piedi il nostro sistema bancario. Ma non sono tutte rose e fiori, ammette Alessandra Bocchi: Usa e Italia infatti faticano ad allinearsi sulla politica estera, anche se questo non sembra avere alterato i rapporti tra i due Stati, anche perché sarebbe l’establishment repubblicano, e non Trump, a volere continuare la politica americana in Medio Oriente degli ultimi vent’anni. «Fino ad oggi, infatti, un ruolo fondamentale nella politica estera americana è stato ricoperto dai neoconservatori, che hanno spinto per fare guerra in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria. Durante la sua campagna elettorale, Trump aveva promesso la fine di queste guerre, rimettendo al centro gli Stati Uniti: “America first”». Una promessa simile a quella del leader della Lega Matteo Salvini, con lo slogan “Prima gli Italiani”. Entrambi si sono opposti agli interventi militari in Iraq, in Libia e in Siria, nonché all’ostilità verso la Russia che aveva caratterizzato la gestione Obama.Detto questo, da quando è diventato presidente, Trump ha bombardato la Siria sotto il controllo del presidente Bashar al Assad due volte, e ha preso una posizione ancora più dura con le sanzioni contro l’Iran. «Non è un segreto che c’è una guerra interna tra l’establishment repubblicano e la linea del presidente», conferma Curt Mills, reporter di politica estera per “The National Interest”, un giornale di relazioni internazionali americano. «L’establishment è fortemente contro la Russia, e non vedo una possibilità di avvicinamento verso quel paese in questo momento», ammette Mills. Da una parte Trump condivide la linea del nuovo governo italiano, che vuole che ci sia una fine all’ostilità verso il presidente russo Vladimir Putin, dall’altro è estremamente ostile all’alleato russo più importante in Medio Oriente: l’Iran. Proprio Teheran è il nemico principale di Israele, che a sua volta è l’alleato più importante dell’America in Medio Oriente, ragiona Alessandra Bocchi.Gli Usa? Dopo l’omicidio di John Kennedy, che aveva contestato a Tel Aviv la costruzione clandestina della centrale nucleare di Dimona, con tecnologia francese, Washington ha sempre «appoggiato Israele quasi incondizionatamente, anche a discapito dei propri interessi». Benché Trump sia riuscito a ottenere un rapporto meno conflittuale in Medio Oriente rispetto ai suoi predecessori Obama e Bush, è ancora da vedere quanto riuscirà a resistere ai neoconservatori del partito repubblicano, sottolinea Alessandra Bocchi. E anche se restano irrisolti i maggiori interrogativi sull’intesa italoamericana per il Medio Oriente e soprattutto per il rapporto problematico con la Russia di Putin, che difendendo la Siria dall’aggressione dei jihadisti armati dalla Nato ha riproposto il ruolo geopolitico di Mosca nel cuore del Mediterraneo, si sta comunque sviluppando «un asse americano e italiano, che insieme ad altre forze populiste in Europa collabora sui temi come la lotta all’immigrazione di massa e l’egemonia di Bruxelles in Occidente». Musica, in altre parole, per il governo gialloverde assediato ogni giorno dal fantasma dello spread, sapientemente pilotato dagli oligarchi Ue d’intesa con Draghi, che non schiera la Bce a difesa dell’Italia.A Washington Dc c’è aria di cambiamento verso l’Italia. Le elezioni di aprile, con la vittoria di Lega e Movimento 5 Stelle, hanno portato al potere il primo governo populista in Europa. Senza contare la vittoria contro l’establishment di Donald Trump. I due paesi ora hanno governi fortemente identitari. Ma non solo. L’America e l’Italia condividono gli stessi interessi nel risolvere problemi come l’immigrazione incontrollata e l’egemonia di Bruxelles. Su altri temi, però, come la politica estera nel Medio Oriente, i due paesi faticano ancora a trovarsi dalla stessa parte, scrive sul “Giornale” Alessandra Bocchi, reduce da una ricognizione nella capitale statunitense per parlare con giornalisti e analisti di orientamento trumpiano. Obiettivo: capire cosa pensa la presidenza americana del nuovo governo italiano. «Il presidente Donald Trump stima molto il nuovo governo italiano, specialmente per avere fermato l’immigrazione», racconta Saagar Enjeti, il corrispondente della Casa Bianca per “The Daily Caller”, uno dei maggiori media conservatori. Enjeti dice che durante la visita del premier Giuseppe Conte alle Casa Bianca ha notato una particolare “affinità” tra i due leader. Trump ha espresso la sua ammirazione verso la posizione del ministro dell’interno Matteo Salvini nel chiudere i porti italiani alle Ong che trasportavano migranti.