Archivio del Tag ‘spread’
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Grillology al governo, che vergogna: una calamità nazionale
Magari fosse solo un Fico caduto dall’albero della demenza politically correct a rendere urgente l’uscita dei grillini al governo. Magari fosse solo la vistosa inadeguatezza del Marziano Toninelli o il paradosso di un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato. E magari fosse solo la Ministro della Difesa che detesta la difesa, quella Trenta che è riuscita a far sollevare perfino i generali come non accadeva dai tempi deI golpe. Magari fosse solo l’aver sporcato, ridicolizzato, la Festa della Repubblica coi loro comportamenti, facendola diventare festa dei rom e dei clandestini. Ma il tempo è maturo ormai perché vadano a casa, anche se sono scappati dalla medesima, secondo l’esegesi di Berlusconi, che almeno sui grillini ci prende ancora. Nella sua tattica politica Salvini ha fatto bene a non far saltare il banco del governo all’indomani del voto, ha fatto bene a puntare sulle priorità da fare. E capisco quanta allergia abbia a sentir parlare da Berlusconi di centro-destra e di ritorno all’ovile. Lui magari fa bene a giocare così la sua partita. Ma noi, cittadini italiani, non ce la facciamo più ad avere tra i piedi questa compagnia di giro tardo-grillina.Il senso dello Stato e lo stato delle cose, il senso del pudore e della dignità nazionale richiedono una procedura d’urgenza. La loro degenza al governo ci preoccupa sul piano dei conti e delle cose da fare; ci preoccupa sul piano dei simboli, dei messaggi e la credibilità delle istituzioni, la storia e la cultura del paese. Ci preoccupa sul piano umano, perché è un’accozzaglia imbarazzante e scombinata, che se non fosse al governo non avrebbe alcun mestiere alternativo. Appena nascosti dietro la foglia di un premier che almeno come titolo di studio – curriculum a parte – e come capacità di figurare e saper dire, pur senza fare, si presenta come un decoroso avvocato. Ma gli altri, per carità. Mi vergogno da italiano di essere rappresentato da questa gente. E mi sono vergognato l’altro giorno a visitare il padiglione dell’Italia alla Biennale di Venezia. La cosa più prodigiosa che ho visto è stata la nave Msc e l’imbarcazione appena speronata, che giacevano, sfiniti, una a fianco dell’altra dopo il rovinoso amplesso.No, per carità, c’erano padiglioni che suscitavano stupore, interesse, curiosità. E l’arsenale e i giardini sono una meraviglia. Ma il padiglione dell’Italia era l’esatta fotografia del Nulla Assoluto italo-grillino. Un nulla ideologico però antifascista. Quella porcata, che insulta l’Italia geniale nel cinquecentenario di Leonardo, e poi di Raffaello e Dante, ma anche dei grandi artisti del nostro Novecento, ha ricevuto il plauso del ministro Bonisoli, che è il pacco dei grillini tirato ai beni culturali. Quel padiglione era l’esatta figurazione dell’Italia di Fico e della Trenta, oltre che di Di Maio e tutti gli altri. Davanti a quella porcata enfatizzata come un capolavoro con messaggio, ho avuto un fremito di cittadinanza e d’amor patrio e mi sono detto: questa roba non è l’Italia, non è il paese che la storia, l’arte, l’ingegno hanno tracciato nei secoli. E questa Non-Italia che si perde nel labirinto della vacuità è lo specchio dei grillini al governo. Urge che se ne vadano, che si tolgano dai “coglioni”. O se preferite che si tolgano i coglioni.Perdonatemi il linguaggio greve e per me inusuale, ma non riesco più a sopportare la presenza di questo circo di pagliacci e animali rintronati. Trovo che la loro unica ideologia sia, per restare nel linguaggio confacente, il testadicazzismo, derivazione del fancazzismo e delle loro capacità personali. Torno al fico maturo per l’opposizione. La presidenza della Camera a volte peggiora le persone, lo sappiamo dai suoi predecessori. Ma nel caso di Fico l’impresa di peggiorarlo era praticamente impossibile. Lui si presentava già come il massimo esponente del Nulla Grillino di Sinistra. Di più e di peggio non si poteva. Uno che come titolo di studio è laureato in canzone neomelodica napoletana, e non nel senso che almeno cantava e si guadagnava da vivere per strada o tra i tavoli del bar passando col piattino; ma, peggio, studiava i cantanti napoletani, studiava la fenomenologia di Mario Merola e Nino d’Angelo. Un genio enciclopedico. Fico della Mirandola.Uno che fino a quarant’anni, cioè fino a che non vinse la ruota della fortuna coi 5 Stelle non aveva arte né parte. Uno che rappresenta l’ala più grillina dei grillini, fanatico dell’Ideologia di Grillology. Lui è ovviamente nemico, anche per fatto personale, della meritocrazia; è totalmente appiattito sul politically correct anche in temi bioetici e ha subito sbandierato, insediandosi a Montecitorio, la sua continuità antifascista con la Boldrina. Poi i rom, i migranti… Insomma uno che rappresenta il movimentismo extraterrestre dei 5 Stelle in versione radical-pop. Peggio della sinistra c’è solo la sinistra in formato grillino. E in tutto questo, per i media e le Massime Cariche nel nostro Paese, Papa incluso, il pericolo più grave per l’Italia, i suoi conti e la sua tenuta è Salvini… Non so se convenga nel gioco politico far saltare ora il governo, e convenga che il fico maturo cada da sé dalla pianta; non so se sia pericoloso esporsi con una crisi al pressing europeo e rimettere il pallino nelle mani di Mattarella. Ma i grillini al governo sono un’emergenza nazionale. E’ urgente il foglio di via, che s’imbarchino in fretta sulla Sea Wacht per il percorso inverso.(Marcello Veneziani, “Urge cacciare i grillini dal governo”, da “La Verità” del 4 giugno 2019).Magari fosse solo un Fico caduto dall’albero della demenza politically correct a rendere urgente l’uscita dei grillini al governo. Magari fosse solo la vistosa inadeguatezza del Marziano Toninelli o il paradosso di un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato. E magari fosse solo la Ministro della Difesa che detesta la difesa, quella Trenta che è riuscita a far sollevare perfino i generali come non accadeva dai tempi deI golpe. Magari fosse solo l’aver sporcato, ridicolizzato, la Festa della Repubblica coi loro comportamenti, facendola diventare festa dei rom e dei clandestini. Ma il tempo è maturo ormai perché vadano a casa, anche se sono scappati dalla medesima, secondo l’esegesi di Berlusconi, che almeno sui grillini ci prende ancora. Nella sua tattica politica Salvini ha fatto bene a non far saltare il banco del governo all’indomani del voto, ha fatto bene a puntare sulle priorità da fare. E capisco quanta allergia abbia a sentir parlare da Berlusconi di centro-destra e di ritorno all’ovile. Lui magari fa bene a giocare così la sua partita. Ma noi, cittadini italiani, non ce la facciamo più ad avere tra i piedi questa compagnia di giro tardo-grillina.
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Foster: ora i boss dell’Ue faranno a pezzi l’Italia, ecco come
La lettera di Tria non ha convinto la Commissione Europea, che in un documento di 14 pagine ha attaccato le principali riforme del governo Conte e aperto la strada alla procedura di infrazione per debito eccessivo. Il governo, ricorda Federico Ferraù su “Sussidiario”, ha risposto dicendo di voler rispettare il Patto di Stabilità. «Apparentemente, dunque, i giochi sono ancora aperti: si tratta. Ma è un’illusione, perché il destino dell’Italia è già scritto». Lo ha deciso il club di Stati che contano. Quello che in Italia – e prima, forse, anche altrove – non si è capito è che non c’è politica che tenga, perché l’unica “politica” che vige nell’Ue è l’annientamento di chi vìola le regole, anche se le regole non hanno funzionato. A dirlo è Chris Foster, investitore professionista che ha operato sui mercati internazionali e che ha conosciuto molto da vicino gli ambienti dell’eurocrazia europea. È possibile, gli domanda Ferraù, che la Commissione uscente creda davvero di salvare l’Europa sanzionando chi viola le regole e insistendo sulle ricette di austerity, che sono la causa della vittoria dei populisti nelle urne? «Il piccolo super-club di paesi che controlla il grande “club a 28 Stati” ha le sue ragioni per gestire meglio il potere», dice Foster. «Per il centro-nord Europa, l’Italia da risorsa è diventata un problema da tutti i punti di vista. Meglio distruggerla definitivamente, sia dal punto di vista economico che politico».
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Cremaschi: questo governo è a pezzi, come e più del paese
Matteo Salvini vuol far cadere il governo: e non per calcoli elettorali o di alleanze, ma perché «non vuole precipitare in una finanziaria da trenta miliardi gestita da Tria con alle spalle Mattarella». Secondo Giorgio Cremaschi, il capo della Lega ha di fronte la foto di Renzi, che gli ricorda che se alle europee si può vincere “uno contro tutti”, poi si può perdere “tutti contro uno”. Quindi, secondo Cremaschi, Salvini «vuol andare al voto e fare campagna contro i vincoli Ue, che poi se vincesse le elezioni sicuramente rispetterebbe, come fanno tutti i sovranisti reazionari nella Ue». Però – aggiunge su “Contropiano” l’ex sindacalista Fiom, ora esponente di “Potere al Popolo” – Salvini non può semplicemente staccare la spina a Conte, per altro abbastanza “scarico” di suo. Per farlo, il leader leghista deve trovare una ragione “di programma”, come suol dirsi: deve cioè «dimostrare che il governo non vuole realizzare ciò che serve agli italiani, soprattutto a quelli che per lui vengono prima degli altri». Qui però Salcvini incontra una grossa difficoltà, vale a dire i 5 Stelle, «che hanno deciso di restare attaccati come cozze al governo, accettando tutto».Intanto, i grillini hanno accolto la sospensione del codice-appalti in punti di fondo, sostituendolo con la normativa europea, «ben più permissiva per un paese come il nostro che ha caporali, mafie e record di morti sul lavoro». Aggiunge Cremaschi: «La Lega quando si tratta di affari è europeista ultrà». Nei prossimi giorni, continua l’analista, i pentastellati «accetteranno il decreto sicurezza bis, copiato da Bolsonaro che a sua volta copia da Pinochet». Non solo: «Poi diranno sì all’autonomia differenziata, alla Flat Tax e infine anche al Tav in valle di Susa». A quel punto Salvini sarebbe in difficoltà: quali pretesti potrebbe trovare per rompere l’alleanza? «Dovrà inventarsi altri “programmi”, il ripristino del gatto a nove code sulle navi e delle punizioni corporali nelle scuole, l’indipendenza di Treviso, un tunnel sotto San Pietro, l’abolizione delle tasse e delle leggi sulla sicurezza sul lavoro». Secondo Cremaschi, «Salvini sparerà richieste idiote persino per lui», sperando che i 5 Stelle finalmente si arrendano e gettino la spugna. «E invece accetteranno, come sempre», ovvero: «Spiegando che era esattamente ciò che volevano».Che farà allora il povero Salvini? «Probabilmente andrà piangendo da Mattarella e chiederà consiglio a lui: scusi presidente, sono disperato, come si fa a far votare a settembre?». Cremaschi, giustamente critico coi grillini e spesso feroce con Salvini, non cita però il Piano-B che sarebbe in stato di avanzato sviluppo, e che il leader leghista non può non conoscere: l’avvento di Draghi a Palazzo Chigi, su pressione dei soliti poteri forti europei con la collaborazione dei consueti “terminali” italiani. Obiettivo: scongiurare le elezioni anticipate, “annullare” Salvini, sottoporre l’Italia a una super-austerity “lacrime e sangue”, col pretesto dell’aggravarsi della crisi (solito schema: spread, agenzie di rating, “letterine” della Commissione Europea). Draghi potrebbe smarcarsi, per non bruciarsi la possibilità di raggiungere il Quirinale dopo Mattarella? Il piano potrebbe ripiegare su un Cottarelli qualsiasi, per congelare l’Italia nel freezer peggiore della storia recente (tra i surgelati ovviamente i 5 Stelle, la salma del Cavaliere e l’anonimo Pd). Salvini e la Meloni – gli unici vincitori delle europee – resterebbero fuori. Sembra un film già visto.Matteo Salvini vuol far cadere il governo: e non per calcoli elettorali o di alleanze, ma perché «non vuole precipitare in una finanziaria da trenta miliardi gestita da Tria con alle spalle Mattarella». Secondo Giorgio Cremaschi, il capo della Lega ha di fronte la foto di Renzi, che gli ricorda che se alle europee si può vincere “uno contro tutti”, poi si può perdere “tutti contro uno”. Quindi, secondo Cremaschi, Salvini «vuol andare al voto e fare campagna contro i vincoli Ue, che poi se vincesse le elezioni sicuramente rispetterebbe, come fanno tutti i sovranisti reazionari nella Ue». Però – aggiunge su “Contropiano” l’ex sindacalista Fiom, ora esponente di “Potere al Popolo” – Salvini non può semplicemente staccare la spina a Conte, per altro abbastanza “scarico” di suo. Per farlo, il leader leghista deve trovare una ragione “di programma”, come suol dirsi: deve cioè «dimostrare che il governo non vuole realizzare ciò che serve agli italiani, soprattutto a quelli che per lui vengono prima degli altri». Qui però Salvini incontra una grossa difficoltà, vale a dire i 5 Stelle, «che hanno deciso di restare attaccati come cozze al governo, accettando tutto».
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Spolpare l’Italia: solo Salvini e Meloni contro il piano-Draghi
Solo Matteo Salvini e Giorgia Meloni potrebbero scongiurare l’avvento a Palazzo Chigi di Mario Draghi, invocato da Berlusconi per affondare il traballante governo gialloverde e recuperare così un ruolo politico ammiccando alla tecnocrazia europea. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, che ha accesso a fonti riservate nell’ambito del circuito massonico internazionale. Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette a fuoco la “sovragestione” che pilota i destini europei (con l’Italia il più delle volte nel ruolo di vittima), Carpeoro era stato il primo, alla vigilia delle europee, a lanciare l’allarme-Draghi: la supermassoneria reazionaria, in cui il presidente della Bce milita, sta aumentando la pressione su Super-Mario perché accetti di formare un governo “lacrime e sangue”, come quello di Monti. Le premesse ci sono tutte: l’alleanza gialloverde è al capolinea, e la crisi economica – già seria, anche a causa del mancato ampliamento del deficit – è destinata ad aggravarsi in modo artificioso, attraverso la sapiente regia politica dello spread. La solita tenaglia finanziaria, preannunciata direttamente dai tecnocrati di Bruxelles: lo provano le fughe di notizie sulle “letterine” della Commissione Europea che prospettano una severa punizione per il nostro paese, costretto a tagli sanguinosi e al probibile aumento dell’Iva.A completare il quadro, i ministeri-colabrodo da cui escono le notizie: questo è un governo che non gode della leale collaborazione di molti dirigenti e funzionari ministeriali, dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Certo Salvini ha vinto, alle europee, ma non ha stravinto. Altro dato: una parte della magistratura gli ha dichiarato guerra. Lo dimostra il dissequestro della nave Sea Watch, ampiamente previsto dallo stesso Carpeoro: «Un bell’escamotage, per scavalcare il ministro dell’interno. Prima si sequestra la nave, sottraendola così al controllo del governo. Poi si fanno sbarcare i migranti, e infine si dissequestra il natante. Risultato: tutti i migranti entrano in Italia, alla faccia di Salvini, e senza che nessun altro paese europeo si assuma l’onere dell’accoglienza». Tutto questo, senza contare la “guerriglia” dei 5 Stelle pro-Ong. «Stanno cercando di spingere Salvini, in ogni modo, a far saltare il governo». Ed è esattamente l’obiettivo numero uno dell’eurocrazia, che sogna di insediare Mario Draghi – in autunno – al posto di Giuseppe Conte. Obiettivo: «Finire di svendere l’Italia, cioè la metà che ancora ci resta, facendoci fare la fine della Grecia». Dettaglio: vorrebbero mettere le mani anche sui nostri beni culturali. E soprattutto: impedire che vengano un giorno conteggiati, come patrimonio di altissimo valore anche finanziario, nel rating dell’Italia. «Portaci via anche i beni culturali sarebbe la “soluzione finale”, come quella attuata da Hitler per annientare gli ebrei».Per Carpeoro, la situazione è gravissima. Uno dei problemi si chiama Luigi Di Maio: «Non che avessi molta fiducia in lui, ma si è dimostrato uno zero assoluto. E se hai degli zeri, anziché degli statisti, dove speri di andare?». Molto meglio Salvini, oggi al centro di un autentico assedio, su ogni fronte (politico, mediatico, giudiziario). «Ma nemmeno Salvini è adeguato alla situazione», ammette Carpeoro: al leader della Lega mancano l’esatta visione della situazione e una sufficiente capacità di proiezione nel futuro. Molta tattica, ma senza una vera strategia. Nel gioco s’è infilato in contropiede l’anziano Berlusconi, che per uscire dall’angolo s’è inventato la carta Draghi: «Una mossa abile e raffinata per tornare ad avere un ruolo politico, in questo caso alleandosi con la tecnocrazia Ue». Ma nemmeno Berlusconi ha fatto bene i suoi conti: «Si è presentato come il garante dell’ordine europeo, è vero, ma non ha capito che l’Europa non ha nessuna paura del sovranismo. In più, dalle elezioni la burocrazia Ue è uscita rafforzata, non certo indebolita».Forse, il Cavaliere riuscirà davvero a spianare a Draghi la strada per Palazzo Chigi (nel caso, con la determinante collaborazione dei poteri forti, Quirinale e Bankitalia in testa, aiutati dall’impennarsi dello spread e dal consueto gioco al massacro delle agenzie di rating). Ma alla fine Forza Italia si sfalderà: «E’ un partito pieno di Casini e di Alfani, tutta gente con la valigia sempre pronta». I grillini? Ormai in caduta verticale: la base non riesce a esprimere un’alternativa alla sciagurata leadership di Di Maio, «telecomandato da un Davide Casaleggio che ormai si consulta regolarmente con personaggi come Tajani e Jacques Attali, l’eminenza grigia di Macron». Il Pd zingarettiano? Encefalogramma politicamente piatto: si limita a sperare che Conte (cioè Salvini) cada, lasciando il posto a Draghi. «E con Draghi, Salvini non avrebbe nessuna possibilità di sopravvivenza, al governo». Unica chance: «Lui e la Meloni hanno i numeri per tentare di resistere, ed entrambi hanno forti ambizioni personali». Escluse, ovviamente, le elezioni anticipate: Salvini e Meloni vincerebbero, potendo poi governare insieme. Come finirà? Male, secondo Carpeoro, perché – tanto per cambiare – mezza Europa spera di banchettare sul cadavere dell’Italia, dopo aver spolpalto gli italiani con il consueto appoggio dei “collaborazionisti” interni. «Duecento anni fa, l’Italia non esisteva neppure: era in mano a signorotti che si vendevano allo straniero per far fuori lo starerello confinante. Non è cambiata molto, la situazione». E oggi stiamo per toccare il fondo, con una crisi sociale che minaccia di farsi devastante. «Se non altro, più scuro di mezzanotte non può fare. E ormai ci siamo».Solo Matteo Salvini e Giorgia Meloni potrebbero scongiurare l’avvento a Palazzo Chigi di Mario Draghi, invocato da Berlusconi per affondare il traballante governo gialloverde e recuperare così un ruolo politico ammiccando alla tecnocrazia europea. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, che ha accesso a fonti riservate nell’ambito del circuito massonico internazionale. Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette a fuoco la “sovragestione” che pilota i destini europei (con l’Italia il più delle volte nel ruolo di vittima), Carpeoro era stato il primo, alla vigilia delle europee, a lanciare l’allarme-Draghi: la supermassoneria reazionaria, in cui il presidente della Bce milita, sta aumentando la pressione su Super-Mario perché accetti di formare un governo “lacrime e sangue”, come quello di Monti. Le premesse ci sono tutte: l’alleanza gialloverde è al capolinea, e la crisi economica – già seria, anche a causa del mancato ampliamento del deficit – è destinata ad aggravarsi in modo artificioso, attraverso la sapiente regia politica dello spread. La solita tenaglia finanziaria, preannunciata direttamente dai tecnocrati di Bruxelles: lo provano le fughe di notizie sulle “letterine” della Commissione Europea che prospettano una severa punizione per il nostro paese, costretto a tagli sanguinosi e al probabile aumento dell’Iva.
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Finti sovranisti, innocui: il banco vince sempre, anche in Ue
Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.I problemi economici (recessione, disoccupazione, indebitamento) sono stati presentati alla base come frutto di un’errata o avara posizione della cricca eurocratica, e come se si trattasse di conquistare il diritto a fare più deficit, e senza prospettare un piano B per il caso che le cose non cambieranno. Non è stata denunciata la monopolizzazione privatistica del potere monetario e finanziario nelle mani di un cartello sovranazionale, il quale ha da decenni deciso una politica globale di restrizione dello sviluppo reale, di finanziarizzazione della società e della politica, di centralizzazione del potere delle proprie mani, di sottomissione delle istituzioni, dei governi, dei parlamenti, attraverso il loro indebitamento programmato e a strozzo che li rende ricattabili e burattinabili, con enormi incrementi nella diseguaglianza, che hanno portato una minuscola élite al controllo della maggioranza del reddito e della ricchezza, e massacrato i diritti dei lavoratori. E poi li chiamano “populisti”.Neppure si è messo in discussione, prospettando un piano B per il caso di rifiuto dei dovuti correttivi, lo statuto e la gestione delle Bce, né la politica bancaria-monetaria europea che assegna all’Italia metà della liquidità pro capite che dà alla Francia e alla Germania, né il sistematicamente mancato rispetto tedesco dei limiti di surplus commerciale. Il problema dell’immigrazione è stato presentato e travisato in termini di mercanti di esseri umani, di affarismo dell’accoglienza e di abuso da parte degli stessi migranti. Non hanno spiegato, perché non si potevano mettere in urto con Cina, Francia, Belgio e altri paesi, che l’immigrazione sostitutiva di massa, o invasione, è spinta dal fatto che la Cina si sta accaparrandosi le terre africane, e gli occidentali le materie prime; e tutto questo produce le ondate di migranti economici e conflitti che degenerano in croniche guerre e guerriglie locali.Questi due problemi fondamentali, quello economico e quello migratorio, hanno cause e interessi retrostanti così potenti che non si possono nominare al grande pubblico, né li si può additare come avversari da combattere, ma si additano cause e colpevoli abbordabili. I partiti politici “sovranisti” e “populisti” italiani non hanno nemmeno messo in discussione l’impostazione di fondo dell’Unione Europea che, sin dalla sua progettazione, che, sotto la pelle d’agnello di Ventotene, pianifica e sta attuando la concentrazione del potere e delle risorse del continente nelle sue aree più efficienti, ossia in Germania e parte della Francia e dell’Olanda, a spese degli altri paesi. Nessuno ha descritto gli effetti e la funzione dell’Euro a questo disegno strategico, intenzionale. Nessuno ha promesso che porterà l’Italia fuori dall’euro, se l’euro non verrà riformato in modo tale che non abbia più quell’effetto. Nessuno ha fatto un conto oggettivo dei danni e benefici dell’Ue (politica agricola, politica fiscale, politica monetaria): sarebbe stato troppo rivelatore! Dove sono allora il sovranismo e il populismo, all’atto pratico?I partiti creduti sovranisti non sono realmente sovranisti anche perché non hanno messo in luce il problema della posizione appunto subalterna dell’Italia rispetto agli interessi di altri paesi dell’Ue, non hanno proposto una soluzione realistica a questa condizione che ci condanna alla sistematica e progressiva spoliazione e deindustrializzazione e africanizzazione. Si sono limitati a dire che avranno più forza nel Parlamento Europeo, mentre in ogni caso i vari partiti “sovranisti” europei sono e rimangono una minoranza in quel Parlamento, e sono divisi tra loro perché portatori di interessi nazionali in buona parte contrapposti. Non è che Lega e 5 Stelle stiano sprecando le opportunità per mettere in luce e in discussione un sistema di potere contrario agli interessi nazionali: stanno semplicemente evitando di scontrarsi con esso per non essere licenziate. Almeno fino ad oggi.(Marco Della Luna, “Il Banco vince sempre”, dal blog di Della Luna del 27 maggio 2019).Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.
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Salvini nella ruota del criceto: si agita, ma non otterrà nulla
Salvini è in gabbia: si agita come un criceto nella sua ruotina, ma non può evadere dalle sbarre Ue. Lo afferma “Contropiano”, in un editoriale di Sergio Cararo che analizza l’esito profondo del voto europeo. Politica e media italiani celebrano la vittoria di Salvini, che però «si è venuto a trovare in una situazione in cui, qualsiasi cosa farà, si troverà in mezzo a rogne rilevanti». In primo luogo, l’assalto “sovranista” all’architettura europea è fallito. «In Francia la vittoria della Le Pen è stata di strettissima misura e del tutto insufficiente a un cambio dei rapporti di forza. Orban in Ungheria si è ormai allineato e coperto al Partito Popolare, e comunque il suo paese “pesa” poco». Per contro, a sinistra «c’è stato un sostanziale allineamento alla visione dominante, tanto che in Italia e Spagna gli elettori hanno preferito gli originali (dal Pd al Partito socialista spagnolo) alle alternative tiepide». E in Grecia, “Syriza” cede il primo posto ai conservatori di Nuova Democrazia. «Le forze della sinistra popolare più antagoniste al sistema, come la francese “La France Insoumise”, «non hanno capitalizzato il ciclo di conflitto sociale aperto dai Gilets Jaunes».Al contrario, la struttura politica, ideologica ed economica europeista – pur perdendo la storica “maggioranza” popolari-socialdemocratici – si è rafforzata, «e questo mette fine ad ogni velleità di Salvini di negoziare alcunchè». Bruxelles, aggiunge Cararo, starebbe infatti considerando di proporre per l’Italia una procedura di infrazione già il prossimo 5 giugno per “debito eccessivo”. «E poi c’è la manovra finanziaria “lacrime e sangue” da decine di miliardi che si tradurrà nella Legge di Stabilità da varare in autunno». Infine i grandi gruppi multinazionali, come Fca e Renault, daranno vita al maggiore produttore dell’automotive, «materializzando uno di quei “campioni europei” evocati nel recente Trattato di Aquisgrana». Sulle eventuali “rodomontate” propagandistiche di Salvini, continua “Contropiano”, pesano da un lato la minaccia dello spread (quello che tolse di mezzo Berlusconi, e che sta già risalendo) e dall’altro gli interessi del “Partito Trasversale del Pil” che, soprattutto tra gli elettori di Salvini nel Nord, «è pronto a tirare per le orecchie il ragazzo se dovesse mettere a rischio l’economia».Insomma, «si ha la netta impressione che Salvini sia come un criceto sulla ruota, ma dentro la gabbia». Ha e dà la sensazione di muoversi, e se avvicini un dito «può dare morsi anche dolorosi (soprattutto sul piano repressivo)», ma sostanzialmente «resta fermo nello stesso punto e chiuso dalla gabbia su ogni lato». Il capo della Lega «ha riportato a casa una parte dei consensi del blocco di destra, con una media tra il 2008 e il 2013 (ma con ben tre milioni di voti in meno rispetto a quell’anno)», includendo in questo blocco anche i voti di Berlusconi, che oggi però «appare più “intrigato” dal blocco europeista che dagli ululati di Salvini e della Meloni». Per Cararo, si tratta di «una sostanziale partita di giro tutta all’interno del blocco reazionario consolidato da decenni e di cui una parte, per un periodo, ha provato ad saggiare l’ipotesi del M5S». Ma, con un bagno di sano realismo, è indispensabile tener conto dell’astensionismo – un oceano: quasi il 44% – che di fatto «dimezza anche le sensazioni stimolate dalle sole percentuali».“Contropiano”, blog vicino a “Potere al Popolo”, fornisce «una diagnosi definitiva sull’inutilità e l’inesistenza della cosiddetta “sinistra”». Osserva Cararo: «Chiunque abbia la lucidità e la tenacia di misurarsi sul terreno della ricostruzione di una ipotesi di classe, ormai sa che tale fattore e il contesto politico-culturale in cui è sopravvissuto non possono che scomparire dal ventaglio di ipotesi da prendere in esame». Sempre secondo Cararo, è l’austerità “europeista” a produrre la destra e ad alimentarla. «E l’impossibilità per chiunque di mettere in campo politiche che migliorino le condizioni di vita delle classi popolari – anzi: l’obbligo feroce a peggiorarle – rende il gioco politico sterile e impotente». Ma in questa impotenza, «le uniche “soluzioni” che diventano possibili sono quelle a “costo zero”», ossia «quelle repressive, che cercano il consenso indicando un nemico di comodo su cui scaricare rabbia e frustrazioni create da altri». Aggiunge Cararo: «E’ l’incubo della scarsità che scatena la caccia a qualcun altro, per ridurre i posti intorno a una tavola sempre più povera».Salvini è in gabbia: si agita come un criceto nella sua ruotina, ma non può evadere dalle sbarre Ue. Lo afferma “Contropiano”, in un editoriale di Sergio Cararo che analizza l’esito profondo del voto europeo. Politica e media italiani celebrano la vittoria di Salvini, che però «si è venuto a trovare in una situazione in cui, qualsiasi cosa farà, si troverà in mezzo a rogne rilevanti». In primo luogo, l’assalto “sovranista” all’architettura europea è fallito. «In Francia la vittoria della Le Pen è stata di strettissima misura e del tutto insufficiente a un cambio dei rapporti di forza. Orban in Ungheria si è ormai allineato e coperto al Partito Popolare, e comunque il suo paese “pesa” poco». Per contro, a sinistra «c’è stato un sostanziale allineamento alla visione dominante, tanto che in Italia e Spagna gli elettori hanno preferito gli originali (dal Pd al Partito socialista spagnolo) alle alternative tiepide». E in Grecia, “Syriza” cede il primo posto ai conservatori di Nuova Democrazia. «Le forze della sinistra popolare più antagoniste al sistema, come la francese “La France Insoumise”, «non hanno capitalizzato il ciclo di conflitto sociale aperto dai Gilets Jaunes».
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Renzi al Bilderberg con Gruber, ma il vero potere è altrove
La 67ma riunione del gruppo Bilderberg si terrà a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al 2 giugno. Politica, economia, industria, finanza e media: tra i circa 130 partecipanti, nella “delegazione” italiana ci saranno Matteo Renzi, Stefano Feltri del “Fatto Quotidiano” e Lilli Gruber. Lo conferma, in una nota, l’“Huffington Post”. Saranno trattati 11 grandi temi globali in quattro giorni, tra questi anche ambiente e futuro: “Un ordine strategico stabile”, “Quale futuro per l’Europa?”, “Cambiamenti climatici e sostenibilità”. E poi “Cina”, “Russia”, “Il futuro del capitalismo”, “Brexit”. E ancora: “L’etica dell’intelligenza artificiale”, “I social media come arma”, “L’importanza dello spazio”, “Le minacce cyber”. «A iniziare le conferenze del gruppo – scrive l’“Huffington” – fu un’idea del magnate statunitense David Rockefeller. La prima riunione si tenne il 29 maggio del 1954 all’Hotel Bilderberg nei Paesi Bassi e il punto focale dell’incontro fu la crescita dell’antiamericanismo che si respirava in Europa occidentale». Lo stesso Bilderberg oggi spiega che a Montreux è invitato «un gruppo eterogeneo di leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del mondo accademico, del lavoro e dei media».Fondato nel 1954, il Bilderberg Meeting è una conferenza annuale «progettata per favorire il dialogo tra Europa e Nord America», spiega lo stesso club sul proprio sito. Ogni anno, tra 120-140 leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del lavoro, del mondo accademico e dei media sono invitati a prendere parte al Meeting. Circa due terzi dei partecipanti provengono dall’Europa e il resto dal Nord America; circa un quarto dalla politica e dal governo e il resto da altri campi. Il Bilderberg si definisce «un forum per discussioni informali su questioni importanti». Gli incontri «si svolgono secondo la Chatham House Rule, che stabilisce che i partecipanti sono liberi di utilizzare le informazioni ricevute, ma né l’identità né l’affiliazione degli oratori o di altri partecipanti possono essere rivelate». Grazie alla natura privata del Meeting, i partecipanti «prendono parte come individui piuttosto che in qualsiasi veste ufficiale, e quindi non sono vincolati dalle convenzioni del proprio ufficio o da posizioni prestabilite». In quanto tali, «possono prendere tempo per ascoltare, riflettere e raccogliere idee». Non vi è alcun ordine del giorno dettagliato, non vengono proposte risoluzioni, non vengono votate né emesse dichiarazioni politiche.Da anni, il Bilderberg fa parlare di sé lasciando trapelare (o addirittura presentando apertamente) la lista degli invitati. «Tanta sovraesposizione – sostiene il saggista Gianfranco Carpeoro, acuto analista delle dinamiche del potere – sembra fatta apposta per lasciare al riparo, nell’ombra, i veri centri di potere». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, spiega che il Bilderberg (come la Trilaterale e la Chatham House inglese, il Council on Foreign Relations statunitense, il Gruppo dei Trenta, la stessa Bce) sono in realtà istituzioni “paramassoniche”, cioè progettate da massoni ma aperte a “profani”. In pratica, cinghie di trasmissione del vero potere, che per Magaldi è esercitato – in modo occulto – dalle 36 superlogge sovranazionali che hanno in mano governi, finanza e geopolitica. Fanno parte di questa categoria i think-tanks come l’Aspen Institute, il Forum di Davos, il Club di Roma. Sono gli incubatori dell’attuale mondialismo, che le Ur-Lodges di segno neo-conservatore hanno sostanzialmente imposto al pianeta dopo il crollo dell’Urss, al termine di una lunga preparazione avviata nel 1971 con il Memorandum neoliberista di Lewis Powell (Wall Street) e completata nel 1975 con il manifesto “La crisi della democrazia”, saggio firmato da Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki su commissione della Trilaterale.Attraverso l’analisi della massoneria di potere, nel suo lavoro editoriale Magaldi sintetizza la traiettoria dell’Occidente nell’ultimo mezzo secolo: l’espansione del progressismo varato da Roosevelt in base alla dottrina economica di Keynes (benessere diffuso) proseguì fino alla presidenza di Lyndon Johnson, ma – dopo l’omicidio di Jfk – fu brutalmente fermata da altri due delitti politici, l’assassinio di Bob Kennedy e Martin Luther King. In Europa, l’Italia fu il campo di battaglia che vide opporsi le due anime della supermassoneria: un funzionario kennediano come Arthur Schlesinger jr. fu determinante nel neutralizzare i tre tentativi di golpe condotti nella pensiola. E al colpo di Stato dei colonnelli in Grecia, i progressisti risposero nel ‘74 con la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo, fatta scattare non a caso il 25 aprile, per ricordare la liberazione antifascista dell’Italia. Quattro anni dopo fu rapito e ucciso Aldo Moro, politico che intendeva preservare la sovranità italiana di fronte al nuovo globalismo che stava già progettando l’Ue. Poco prima del sequestro, Moro fu minacciato e intimidito a Washington da Kissinger: fu lo stratega del golpe cileno ad “avvertire” il leader democristiano che avrebbe rischiato la vita, insistendo con l’alleanza con il Pci di Berlinguer.Nel suo libro, Magaldi rivela che Kissinger è stato l’eminenza grigia della “Three Eyes”, la superloggia che più di ogni altra, prima dell’11 Settembre, si è impegnata per fermare l’avanzata dei diritti sociali in Occidente. Sempre Magaldi sostiene che la P2 di Gelli non era che il braccio operativo italiano della “Three Eyes”. In un recente convegno a Milano, il Movimento Roosevelt – di cui Magaldi è presidente – ha ricordato le figure di Olof Palme e Thomas Sankara. Due massoni progressisti, assassinati nella seconda metà negli anni ‘80 alla vigilia dell’avvento della globalizzazione neoliberista del pianeta, che avrebbe incluso anche la Cina e che oggi colpisce duramente l’Africa: lo stesso Sankara, leader carismatico del Burkina Faso, si era opposto alla schiavitù finanziaria del debito. Palme, unico premier europeo ucciso mentre era in carica, fu freddato a Stoccolma nel 1986. Un uomo scomodo: fautore del miglior welfare europeo e dell’impegno diretto dello Stato nell’economia sociale, avrebbe ostacolato la nascita di questa Ue, di segno oligarchico. Un anno dopo l’omicidio Palme scomparve da Roma il professor Federico Caffè: era considerato il maggior economista keynesiano d’Europa, capace di fornire agli Stati gli strumenti per consentire ai governi di sostenere finanziariamente le economie, puntando al benessere dei cittadini.Il neoliberismo è oggi la nuova religione universale: ne fanno professione anche Lilli Gruber, Matteo Renzi e lo stesso Mattia Feltri, ospiti del Bilderberg. La teologia neoliberale prevede che siano gli attori finanziari a decidere le politiche degli Stati, a prescindere dalle elezioni: i governi sono ricattati dal debito statale, che si chiama ancora “pubblico” ma è stato privatizzato, essendo detenuto da fondi d’investimento privati. Di qui il dogma dello “Stato minimo”: obbligo di tagliare la spesa pubblica, fino a ridurre a zero il ruolo sociale dello Stato con il pareggio di bilancio. Una linea politica risultata disastrosamente evidente in Italia con l’avvento di Monti nel 2011, fedele esecutore dell’austerity imposta da Bruxelles. Nel frattempo, alla crisi sociale determinata dal rigore finanziario si è accompagnata l’esplosione del caos geopolico planetario, innescato dal crollo dell’Urss e deflagrato con l’attentato del 2001 alle Torri Gemelle, per arrivare fino al terrorismo targato Isis. Una dinamica infernale, che Magaldi riconduce alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpha” creata dai Bush per esportare in tutto il mondo la strategia della tensione. Obiettivo: imporre a mano armata la globalizzazione neoliberista. Una narrazione, questa, da cui restano lontanissimi politici come Renzi e giornalisti come Mattia Feltri e Lilli Gruber, che non ha mai neppure citato il libro di Magaldi (ben noto invece ai signori del Bilderberg e a tutti i veri potenti di questi anni, da Napolitano a Draghi).La 67ma riunione del gruppo Bilderberg si terrà a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al 2 giugno. Politica, economia, industria, finanza e media: tra i circa 130 partecipanti, nella “delegazione” italiana ci saranno Matteo Renzi, Stefano Feltri del “Fatto Quotidiano” e Lilli Gruber. Lo conferma, in una nota, l’“Huffington Post”. Saranno trattati 11 grandi temi globali in quattro giorni, tra questi anche ambiente e futuro: “Un ordine strategico stabile”, “Quale futuro per l’Europa?”, “Cambiamenti climatici e sostenibilità”. E poi “Cina”, “Russia”, “Il futuro del capitalismo”, “Brexit”. E ancora: “L’etica dell’intelligenza artificiale”, “I social media come arma”, “L’importanza dello spazio”, “Le minacce cyber”. «A iniziare le conferenze del gruppo – scrive l’“Huffington” – fu un’idea del magnate statunitense David Rockefeller. La prima riunione si tenne il 29 maggio del 1954 all’Hotel Bilderberg nei Paesi Bassi e il punto focale dell’incontro fu la crescita dell’antiamericanismo che si respirava in Europa occidentale». Lo stesso Bilderberg oggi spiega che a Montreux è invitato «un gruppo eterogeneo di leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del mondo accademico, del lavoro e dei media».
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Veneziani: chi odia i Mostri di oggi sogna i Draghi di domani
In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.La chiamata alle armi contro il nazismo tornante produrrà effetti elettorali minimi, se non ridicoli, a vantaggio delle forze che si oppongono al Mostro. Nella realtà presente non c’è nessuno che possa sfidare seriamente il governo in carica con qualche possibilità di sostituirvisi. E tantomeno in caso di elezioni politiche anticipate: non si può governare senza affiancarsi, e in posizione di minoranza, a uno dei due mostri in questione. O governi con la Lega o governi coi grillini. Non c’è altra soluzione. Nella sua formidabile performance in cui sembra restaurato come la pellicola di un vecchio film, Berlusconi Settebellezze finge di essere ancora lui il leader del centro-destra con un’incrollabile fede in se stesso – un caso di sconfinata auto-ammirazione. Immagina che la Lega possa rientrare nell’ovile e farsi dirigere da lui, che a suo dire è la Mente, mentre loro sono le braccia o i piedi, personale di servizio o di locomozione.La sinistra fa ancora peggio: attacca il Mostro per antonomasia, Salvini, ma assicura che non si fidanzerà col Mostricciattolo, cioè l’alleato Di Maio. Dopo il voto magari ci sarà il distinguo: nessuna alleanza con Di Maio ma con un Figo, per esempio, sì. Ma intanto la loro fattura di morte sul governo, in che cosa concretamente si traduce? In un sogno proibito, che Berlusconi ha appena accennato, che Mattarella non ha mai pronunciato, e che la sinistra finge di non conoscere. Il sogno è Draghi. Mario Draghi, Sir Marius Drake per la letteratura globish. Al governatore della Bce scade il suo mandato a ottobre, e potrebbe diventare la carta da giocare da parte dell’Europa e delle forze d’opposizione anti-sovraniste d’Italia. Nessuno è così fesso e suicida da augurarsi di tornare alle urne con la probabilità di veder confermato a furor di popolo Salvini e la Lega come il primo leader e il primo partito d’Italia.Allora cosa si spera? Che grillini e leghisti non riescano a superare i malumori accumulati nella campagna elettorale e le palesi divergenze su quasi tutto, unite a una plateale insofferenza reciproca. E che si separino. Dall’altra parte l’Europa agiterà lo spettro del crollo italiano, e allora implorerà Draghi – o un suo succedaneo – di caricarsi del compito. Draghi è stato, va detto, un efficace presidente della Bce, a volte ha tolto le castagne dal fuoco e si è inventato qualche piano marshall finanziario per sostenere gli Stati e sorreggere le banche. Ma è omogeneo all’Establishment euro-globale da una vita. Continuiamo a ricordare il suo ruolo chiave ai tempi dello Yacht Britannia, quando l’Italia privatizzò e svendette i suoi gioielli su ordine dei superiori, sulla nave di Sua Maestà che batteva bandiera inglese. Ma quel che più spaventa è il film già visto. Un paese espropriato della sua sovranità, tramortito e spaventato a colpi di spread e di agenzie di rating, che si affida al grand commis delle istituzioni europee. Ieri Monti, domani Draghi. Mario I e Mario II, euroconcessionari di zona. E buonanotte ai populisti, ai sovranisti, agli elettori.Ipotesi probabile, possibile oppure no? Non ci azzardiamo a fare pronostici ma la furia distruttiva delle opposizioni, della sinistra in particolare, conduce a questa soluzione, con la benedizione di Mattarella. Noi lo abbiamo accennato giorni fa, poi abbiamo sentito e letto conferme in giro, abbiamo visto Berlusconi entusiasmarsi all’ipotesi Draghi e cercare di metterci su il cappello, ricordando che lo aveva mandato lui, non il suo governo, ma proprio lui, alla Banca Centrale Europea. Magari Draghi preferisce pensare al Quirinale o ad altro, vista la brutta fine del suo predecessore e omonimo, il bocconiano funesto Mario I, dei Monti di pietà. E dopo aver visto l’aborto di Cottarelli. A dir la verità, la ricetta grillina in economia, così velleitaria e così fallimentare, ci porta diritti a un governo tecnico tipo Draghi.A chi piace l’ipotesi Draghi, nulla da dire. Ma a chi questa ipotesi non piace o addirittura inquieta, a chi crede che sia un bene non negoziabile la sovranità popolare, nazionale e politica, rispetto al protettorato eurocratico, l’alternativa è chiara: o voti i sovranisti o voti tutti gli altri, della cooperativa Draghi. La scelta sovranista si traduce in primis in Salvini, il Nemico Assoluto e il Bersaglio Concentrico di questa folta truppa di poteri forti e alleati finti. O la Meloni, per chi crede utile votare sovranista ma favorire la caduta del governo coi grillini. A chi piace Drago Draghi e il suo codazzo, non resta che sperare in una vittoria mutilata dei sovranisti e in uno sfascio imminente del governo e del paese, per consentire l’arrivo del Soccorso Globale, voluto dall’Europa, dalla Sinistra, e a fasi alterne da Berlusconi. Chi detesta i grillini al governo ma non vuole arrendersi al Banco dei Pegni, non può che puntare sui sovranisti. Questa è la posta in gioco, Mostri contro Draghi.(Marcello Veneziani, “I Mostri di oggi, i Draghi di domani”, da “La Verità” del 26 maggio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.
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+Europa? I peggiori di sempre: hanno disastrato l’Italia
Il 2011 sembra ieri, ma se da un lato gli italiani hanno una memoria politica cortissima, dall’altro alle elezioni europee di domenica 26 maggio andranno a votare molti giovanissimi, che nel 2011 erano undicenni alle prese con gli insiemi di matematica e i primi turbamenti ormonali. Dunque, meglio rinfrescare a tutti la memoria. I partiti europeisti che si presentano all’agone politico delle prossime europee fanno proposte, analisi e dichiarazioni come se fossero appena arrivati sulla scena. Invece, dietro il trucco nominalistico di sofistica memoria e l’italica abitudine al trasformismo non solo poggiano i loro culi nei parlamenti di tutta Europa da decenni, ma in Italia hanno proprio governato, e persino senza esserne eletti come maggioranza (!). La formazione più europeista di tutte, +Europa, che per la prima volta si presenta alle elezioni europee, è rappresentata sui manifesti di propaganda da Emma Bonino, già minstro per il commercio internazionale con Prodi e ministro degli esteri con Letta (…), è stata commissaria europea. Deputata all’Europarlamento per 4 legislature, è stata nel Parlamento italiano per ben 7 legislature. A Palazzo Chigi entrò a 28 anni, e oggi ne ha 71. In pratica stiamo parlando di una sequoia della politica italiana e internazionale, con più poltrone che denti. Roba da far impallidire Andreotti.Il segretario nazionale della neonata formazione +Europa è Benedetto Della Vedova. Anche per lui un curriculum politico lunghissimo che parte dai Radicali (movimento cuore di +E) e passa per il governo Monti, il governo tecnico voluto da Bruxelles e che arrivò alla maggioranza in Parlamento nel novembre del 2011 dopo aver rovesciato il governo precedente con la vetusta tecnica della Rivoluzione Parlamentare. Tecnica usata per la prima volta in Italia da Agostino Depretis nel 1876 e che consiste nel condizionari i parlamentari a formare governi diversi da quelli indicati dai cittadini col voto. Della Vedova, oggi leader con la Bonino di +Europa, fu sostenitore di Monti ed eletto nel 2013 tra le fila del suo partito, poi continuò la carriera come sottosegretario agli esteri nei governi europeisti di Renzi e Gentiloni. Questi i nomi più noti della lista, che però annovera tantissimi altri politicanti che hanno esercitato già la loro attività come decisori di cose pubbliche, da Pizzarotti a Taradash. Ebbene, come andò l’Italia negli anni di Mario Monti e Letta, che governarono grazie all’appoggio ideologico +europeista?Secondo diversi media, con l’arrivo dell’austerità voluta dai tecnici, Monti in primis, in Italia aumentarono i suicidi economici. I dati non sembrano confermare questa convinzione, che sarebbe dunque in linea con quanto avveniva purtroppo anche negli anni precedenti. Ciò che è fuori discussione, invece, sono gli altri dati macroeconomici. Il Prodotto Interno Lordo, cioè la ricchezza del paese, con Monti calò drasticamente fino a far parlare qualche economista di depressione stile 1929. Se escludiamo il calo del 2008/2009 che riguardò tutte le economie avanzate dell’Occidente causa bolla americana, nel 2012, anno di governo europeista di Monti, mentre tutti i paesi risalivano la china, l’Italia fece un capitombolo a -2,4 (reale: -2,8 secondo la fonte Ameco). La produzione industriale risulta essere in calo da anni, e non è questo il momento di andare a vedere il perché. Ma se il calo era stato contenuto, con una media di circa -1,8, è con Mario Monti ed Enrico Letta che arriva il disastro: -3,6 per cento di produzione industriale con Monti e -2,7 con Letta.La tendenza all’aumento della disoccupazione risale all’ultimo governo Berlusconi, ma lo scettro spetta ancora una volta a Monti. E’ con lui che abbiamo il più grande (e grave) contributo alla disoccupazione italiana. Con il governo dell’austerità, infatti, la disoccupazione aumentò dell’1,3 per cento in media all’anno e del 3,7 per il settore giovanile. Con Monti e Letta (da aprile 2012 a fine 2013) la disoccupazione giovanile raggiunse il picco della storia superando abbondantemente il 40 per cento. Tanto per fotografare meglio il dato sulla disoccupazione, basta osservare che oggi gli italiani disoccupati sono il 10,8 per cento, mentre con Monti sfioravano il 12. Tra i giovani era disoccupato il 40 per cento, mentre oggi lo è il 32. “Già, ma Monti fu nominato per risolvere il problema dello spread”. Già mi sembra di sentire la solita solfa europeista sul terrore (immotivato) dello spread. Ma accettiamo la sfida e vediamolo nel dettaglio. Il rapporto deficit/Pil prima del governo piùeuropeista era del 116%. Quando Monti si dimetterà, nel 2013, era al 130%. Lo spread tra i titoli di Stato italiani Btp e i Bund tedeschi aveva sfondato i 500 punti a novembre 2011, ed era stato il dato macroeconomico che aveva convinto i parlamentari italiani a rovesciare il governo politico e a sostituirlo con quello tecnico di Monti.Monti governò circa un anno e mezzo, e per tutti quei mesi lo spread oscillò tra i 300 e i 500 punti. Per molti mesi, anzi, per tutto l’inizio del mandato, lo spread “di Monti” sarà più verso quota 500 che 300, ma a luglio 2012 Draghi pronunciò un famoso discorso durante il quale sostenne che i titoli dei paesi in difficoltà sarebbero comunque stati acquistati, ed ecco che allora (e solo allora) lo spread cominciò un lento calo. Persino l’inflazione non andò bene, con quei governi, perché ci furono tasse per i consumatori (aumento dell’Iva) e gabelle per i risparmiatori (bollo sui depositi). Secondo molti analisti, e soprattutto secondo i numeri, che non hanno colore, i governi piùeuropeisti della prima metà del decennio sono stati di gran lunga i peggiori della storia repubblicana. I danni che hanno fatto in termini occupazionali, di relazioni tra gli italiani, di produzione e di welfare li stiamo ancora pagando cari, a cinque anni di distanza. +Europa per entrare nel Parlamento Europeo dovrebbe superare la quota di sbarramento del 4 per cento. E non ce la farà, perché gli italiani sono smemorati, sì, ma non stupidi.(Massimo Bordin, “Quelli di +Europa hanno già governato, ecco come andò”, dal blog “Micidial” del 23 maggio 2019).Il 2011 sembra ieri, ma se da un lato gli italiani hanno una memoria politica cortissima, dall’altro alle elezioni europee di domenica 26 maggio andranno a votare molti giovanissimi, che nel 2011 erano undicenni alle prese con gli insiemi di matematica e i primi turbamenti ormonali. Dunque, meglio rinfrescare a tutti la memoria. I partiti europeisti che si presentano all’agone politico delle prossime europee fanno proposte, analisi e dichiarazioni come se fossero appena arrivati sulla scena. Invece, dietro il trucco nominalistico di sofistica memoria e l’italica abitudine al trasformismo non solo poggiano i loro culi nei parlamenti di tutta Europa da decenni, ma in Italia hanno proprio governato, e persino senza esserne eletti come maggioranza (!). La formazione più europeista di tutte, +Europa, che per la prima volta si presenta alle elezioni europee, è rappresentata sui manifesti di propaganda da Emma Bonino, già minstro per il commercio internazionale con Prodi e ministro degli esteri con Letta (…), è stata commissaria europea. Deputata all’Europarlamento per 4 legislature, è stata nel Parlamento italiano per ben 7 legislature. A Palazzo Chigi entrò a 28 anni, e oggi ne ha 71. In pratica stiamo parlando di una sequoia della politica italiana e internazionale, con più poltrone che denti. Roba da far impallidire Andreotti.
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Perché a Di Maio conviene mollare Salvini per Zingaretti
«Previsione flash: il Movimento 5 Dtelle e il Pd governeranno il paese. E lo faranno grazie alla strategia di Zingaretti e Di Maio che, pur diversissimi, avranno a breve l’occasione per un riscatto in termini di consenso». L’occasione, scrive Massimo Bordin su “Micidial”, sarà servita su un piatto d’argento proprio dalla Lega, «che non ha idee economiche degne di nota e che ha messo Borghi e Bagnai nell’angolino del Parlamento». Com’è risaputo, infatti, la strategia di Salvini «si è concentrata sui temi caldi come migrazione e sicurezza». Ma questi «non sono temi commestibili», e dopo un po’ di “divertimento” mediatico «la questione economica verrà a galla». Ovvero: «Prima di trastullarsi con barconi e ladri d’appartamento, la gggènte deve pur magnà». Secondo Bordin, «il bubbone non è ancora scoppiato perchè l’Italia galleggia sugli zero virgola (in su o in giù) da diversi anni», vivacchiando in qualche modo. «Con Renzi si è avuto qualche “più” minuscolo del Pil», davvero poca cosa, e quindi «la vita degli italiani – tra salari immobili e precariato – non è cambiata una cippa. Idem con il duo Conte-Tria». Riassumendo: «Il paese se n’era uscito massacrato dalla crisi del 2008 e dalle pressioni ordoliberiste sul debito pubblico, ma diciamo pure che dal 2014 ha galleggiato senza affogare». Eppure «non durerà», profetizza Bordin.A meno che la Ue non subisca una vera inversione di marcia (assai improbabile, peraltro) a seguito delle elezioni europee – aggiunge il blogger – l’Italia «si troverà presto in difficoltà come nel 2008», perché nel frattempo «non ha creato denaro tramite le banche, non ha monetizzato il debito per colpa dei “niet” della Banca Centrale di Francoforte», e in più «i suoi istituti di credito locali sono impossibilitati a prestare soldi (creandoli…) alle imprese del territorio». Di fatto, «la contrazione del credito si sta facendo sempre più pesante, anno dopo anno». Ragiona Bordin: è ipotizzabile che la Lega esca vincitrice alle elezioni europee, anche se non è detto che ciò accadrà con le cifre astronomiche dei sondaggi. In tal caso, «Di Maio dovrà subire un rimaneggiamento al governo, ma potrà così permettersi un profilo più polemico verso il suo partner». Aggiunge “Micidial”: «Se la Lega ai tempi di Bossi poteva fare il partito di lotta e di governo, ora questo ruolo potrà essere finalmente ricoperto dal Movimento 5 stelle, visto che le redini del governo passeranno in modo deciso alla Lega e con esse le principali responsabilità in termini di risultato».Con la recessione, però, secondo Bordin gli italiani cambieranno radicalmente idea “partitica”, cosa che ormai «fanno peraltro con una certa frequenza». E quello sarà il momento di Luigi Di Maio, che potrà affrancarsi da Salvini e avvicinarsi al Pd. «L’ex partito di centro (ora è di destra) guidato da Zingaretti non aspetta altro dai tempi della scomparsa di Renzi». Fantasie? Allucinazioni? Suggestioni? Mica tanto: l’ambiguità della dirigenza pentastellata emerge ogni giorno di più, aggravando il bilancio politico di un governo che – neppure sul fronte leghista – ha avuto il coraggio di sfidare Bruxelles nell’unico modo possibile, cioè difendendo a oltranza l’aumento del deficit (magari ben oltre il misero 2,4% inizialmente proposto) ed emettendo moneta statale parallela, non a debito, per tamponare le falle – meglio, i crateri – della disoccupazione dilagante. Unico merito dei gialloverdi: aver almeno denunciato il problema, nei primi mesi. Se però Salvini “abbaia, ma non morde” (e Di Maio lo abbandona, sfilandosi), niente di più facile che i poteri che “sovragestiscono” l’Italia pensino a un comodo inciucio tra grillini e Pd, rassicurante per Bruxelles, magari sotto l’egida di un super-commissario come Draghi.«Previsione flash: il Movimento 5 Dtelle e il Pd governeranno il paese. E lo faranno grazie alla strategia di Zingaretti e Di Maio che, pur diversissimi, avranno a breve l’occasione per un riscatto in termini di consenso». L’occasione, scrive Massimo Bordin su “Micidial”, sarà servita su un piatto d’argento proprio dalla Lega, «che non ha idee economiche degne di nota e che ha messo Borghi e Bagnai nell’angolino del Parlamento». Com’è risaputo, infatti, la strategia di Salvini «si è concentrata sui temi caldi come migrazione e sicurezza». Ma questi «non sono temi commestibili», e dopo un po’ di “divertimento” mediatico «la questione economica verrà a galla». Ovvero: «Prima di trastullarsi con barconi e ladri d’appartamento, la gggènte deve pur magnà». Secondo Bordin, «il bubbone non è ancora scoppiato perchè l’Italia galleggia sugli zero virgola (in su o in giù) da diversi anni», vivacchiando in qualche modo. «Con Renzi si è avuto qualche “più” minuscolo del Pil», davvero poca cosa, e quindi «la vita degli italiani – tra salari immobili e precariato – non è cambiata una cippa. Idem con il duo Conte-Tria». Riassumendo: «Il paese se n’era uscito massacrato dalla crisi del 2008 e dalle pressioni ordoliberiste sul debito pubblico, ma diciamo pure che dal 2014 ha galleggiato senza affogare». Eppure «non durerà», profetizza Bordin.
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Carpeoro: il governo cade, arriva Draghi. E Salvini è finito
L’allarme di Carpeoro è coerente con le anticipazioni fornite nelle scorse settimane: in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” aveva annunciato la tempesta giudiziaria che si sarebbe abbattuta sulla Lega, di cui la vicenda di Armando Siri rappresenta soltanto l’ultimo, gravissimo episodio. Secondo Carpeoro – su YouTube con Frabetti il 19 maggio – ora Salvini è in trappola: se trionfa alle europee dovrà rompere con Di Maio e convergere sul centrodestra, ma accettando la premiership di Draghi appena “suggeritagli” da Berlusconi. «Per il Cavaliere è l’ultima zampata: poi si ritirerà, cedendo lo scettro a Tajani, con la scusa delle sue precarie condizioni di salute». Ridotto a ruota di scorta di Draghi, Salvini sarebbe finito. Anche perché il super-banchiere metterebbe in atto una politica di austerity come quella di Monti: rigore assoluto, contrazione della spesa pubblica, tagli alle pensioni e magari anche una patrimoniale. Addio ai sogni leghisti come la Flat Tax, per la quale aveva lavorato proprio Armando Siri, sottosegretario disarcionato da Conte e Di Maio nonostante sia tuttora soltanto indagato. Sarebbe davvero la fine, per una Lega decisa a proporsi come vettore dell’affrancamento dal “giogo” neoliberista di Bruxelles. Addio all’alfiere del sovranismo italiano, costretto al guinzaglio da Draghi.Stessa musica, in ogni caso, se Salvini – per sua fortuna, si potrebbe dire – non dovesse andare così bene, il 26 maggio. Il governo gialloverde è comunque spacciato, secondo Carpeoro, avendo fallito nel suo obiettivo determinante: risollevare l’economia. Carpeoro è un dirigente del Movimento Roosevelt, che – attraverso il presidente, Gioele Magaldi – ha accusato i gialloverdi di eccessiva timidezza, con Bruxelles, al momento di contrattare il deficit 2019. Gli investimesti strategici avrebbero fatto crescere il Pil, riducendo l’incidenza del debito pubblico e quindi la pressione dei signori della finanza (spread) e degli oligarchi di Bruxelles, ben rappresentati dallo stesso Draghi. Appena la crisi si è mostrata in tutta la sua durezza, come si è mosso Di Maio? Ha attaccato Salvini, omaggiato la Merkel e difeso la disciplina europea del rigore. Come se ne esce? «Solo con una mezza rivoluzione», sostiene Carpeoro, assai pessimista. «Salvini si può ribellare soltanto se capisce in che trappola lo hanno cacciato». L’altra carta, per Carpeoro, è virtualmente rappresentata dalla base dei 5 Stelle: a suo parere, i militanti grillini non accetterebbero un governo Draghi. Ma per scongiurarlo dovrebbero prima “divorziare” da Di Maio e Casaleggio. In altre parole: Mario Draghi sembra ormai vicinissimo a Palazzo Chigi, cioè al nuovo commissariamento dell’Italia.«Stavolta la sovragestione internazionale di cui l’Italia è vittima ci ha combinato un trappolone senza via d’uscita», sostiene Carpeoro, che da mesi paventava l’irruzione di Draghi alla guida del governo. «Se la Lega vince le europee – profetizza – la tenaglia giudiziaria si stringerà ulteriormente sul partito di Salvini». Un indebolimento che costringerebbe Salvini – sulla difensiva – ad accettare un ritorno al centrodestra, sotto la “custodia” di Draghi (espressamente evocato da Berlusconi come il “miglior premier possibile”, oggi, per l’Italia). «L’urgenza, poi, verrebbe giustificata dall’aggravarsi della situazione economica». Se invece Salvini delude, alle urne, resterebbe in campo l’asse – sempre più ammaccato – con i 5 Stelle. «Ma sui parametri economici – sottolinea Carpeoro – Di Maio si è pronunciato in modo coerente con la linea di Draghi». Ovvero: vietato sforare il 3% di Maastrich, cosa che invece per Salvini, a parole, «si può e si deve fare». E quindi in quel caso «avremmo probabilmente l’ingresso trionfale di Draghi con questa maggioranza – perché comunque il governo, a causa della situazione economica, cadrà entro la fine dell’anno».Se non è zuppa è pan bagnato: «Comunque gli italiani votino, al 99,9% si ritroveranno Draghi presidente del Consiglio». Viceversa, aggiunge Carpeoro, l’Ue ci taglierà i viveri vietandoci di accedere al deficit, «e la situazione economica ci travolgerà». Dubbi? Uno: «Non so fino a che punto Salvini si scavi la fossa così», dice ancora Carpeoro, considerando che il capo della Lega – formidabile tattico e uomo-immagine – non ha però dato prova, finora, di particolare capacità strategica. «E’ capace di scavarsela davvero, la fossa: però deve saperlo, che per lui sarebbe la fine, perché sarebbe proprio lui il primo che farebbero fuori». Secondo elemento: «I grillini hanno ormai stabilito una cupola “sovragestita” su di essi, sia attraverso il figlio di Casaleggio, sia tramite lo stesso Di Maio. Cupola, cioè gruppo oligarchico di potere, che «utilizza cinicamente Di Battista» come paravento, per mantenere «un sorta di legittimazione», di “verginità” politica apparente. Però attenzione: «La base grillina non è questa: continuo a confidare che all’interno del Movimento 5 Stelle ci sia sicuramente maggior vitalità che dentro qualunque altro movimento», sostiene Carpeoro, che peraltro aggiunge: «Non nutro nessuna fiducia nella nuova sinistra o centrosinistra che dir si voglia, Zingaretti o meno». Per cui «non è una situazione allegra», quella dell’Italia.Tradotto: «Nella peggiore delle ipotesi ci ritroveremo Draghi, il che significherà comunque tagli draconiani sulle pensioni e probabilmente la riproposizione in chiave “cosmetizzata” della possibilità di una patrimoniale». Infine: «Non si farà nulla sul reddito di cittadinanza: l’ha già ammazzato Di Maio, che ha ammesso di aver rinunciato a investirvi un miliardo in più, che ora ha messo da parte. Vuol dire che il reddito di cittadinanza è stato svuotato, e quindi è fallito». Gianfranco Carpeoro (all’anagrafe Pecoraro, avvocato di lungo corso), ha pubblicato nel 2016 il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette in luce la “sovragestione” (largamente massonica) degli attentati targati Isis che hanno colpito l’Europa. Di questa “sovragestione”, in questo caso non più terroristica, sarebbe tuttora vittima l’Italia, abituale preda di potentati stranieri in combutta con settori dell’establishment nazionale. Nel saggio del 2017 “Il compasso, il fascio e la mitra”, sempre Carpeoro presenta lo stesso fascismo come prodotto di “sovragestione”: «Fu la convergenza, storicamente irripetibile, di tre poteri: il grande capitalismo italiano oggi scomparso, la massoneria nazionale – che allora contava – e il Vaticano». Anche per questo «non ha senso riparlare di fascismo nell’Italia di oggi», paese che però continua ad essere più che mai “sovragestito”.Se il Pd è clinicamente defunto, fino a ieri «al governo senza in realtà governare, esattamente come poi i gialloverdi», di fatto controllato dai superpoteri tramite ministri del calibro di Padoan, oggi restano solo i cocci della speranza suscitata da Lega e 5 Stelle, un anno fa. Unica chance: la possibilità che Salvini si smarchi dalla trappola, che gli sarebbe fatale, rovesciando il tavolo già apparecchiato per Draghi. Potrebbe aiutarlo la base grillina, forse, ma certo non Di Maio: Carpeoro lo descrive “coltivato” da anni, dentro e fuori l’ambasciata Usa di via Veneto, dal politologo statunitense Michael Ledeen, già uomo-uombra di Di Pietro e Renzi, massone reazionario del Jewish Institute, punta di diamante della lobby sionista, nonché esponente del B’nai B’rith, esclusiva massoneria ebraica riservata ai dirigenti del Mossad. Beffa gialloverde? Eccome: Mario Draghi officerebbe il funerale dell’unica coalizione politica che, in Europa, ha osato sfidare – almeno all’inizio, anche se solo a parole – lo strapotere oligarchico di Bruxelles e il dogma dell’austerity, sancito una volta di più dal pareggio di bilancio imposto da Monti coi voti di Bersani e Berlusconi. L’Italia ha provato a rialzare la testa? Peggio per lei: la “sovragestione” avrebbe pronto Draghi. La cui “terapia”, dal giorno dopo, decreterebbe la fine del sogno di uscire dalla crisi (e la morte politica di Matteo Salvini, destinato a vincere inutilmente le europee).Matteo Salvini è un morto che cammina: politicamente è finito. Che stravinca le europee o faccia cilecca, il risultato non cambia. Al posto di Giuseppe Conte, a Palazzo Chigi sta per arrivare Mario Draghi. L’attuale presidente della Bce, in scadenza a novembre, sarà presto alla guida di un esecutivo di centrodestra – con la recentissima benedizione di Berlusconi – oppure di una coalizione più larga, se la Lega restasse al di sotto del 30%. Motivo: i conti pubblici italiani sono disastrosi, e la situazione economica è pessima. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto analista dello scenario politico italiano. Già a capo della più tradizionale obbedienza massonica di rito scozzese, Carpeoro vanta contatti privilegiati con il network europeo dei grembiulini di area progressista. Anche grazie a questo, la scorsa estate aveva svelato l’indebita ingerenza della Francia nell’elezione del presidente della Rai. Berlusconi aveva cambiato idea sull’appoggio a Marcello Foa (in prima battuta garantito a Salvini), dopo la telefonata ricevuta da Jacques Attali, eminenza grigia di Macron, che avrebbe contattato anche Napolitano e Tajani. Oggi Carpeoro rilancia: «Dopo una fase di dissidio, la massoneria sovranazionale reazionaria si è ricompattata: sono tornati ad andare d’amore e d’accordo Attali, Tajani, Draghi e – udite udite – lo stesso Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto». Non a caso, nelle ultime settimane, i 5 Stelle hanno attaccato Salvini in modo furibondo.
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Fuga da Bruxelles, grazie ai velleitari pasticcioni gialloverdi
Vuoi vedere che Salvini e Di Maio alla fine riusciranno a liberare l’Italia dall’euro-schiavitù? In che modo, lo spiega Marco Della Luna: la fuga da Bruxelles potrebbe rivelarsi obbligatoria, per evitare la super-stangata in arrivo. Lega e 5 Stelle? Prima hanno fatto promesse “impossibili”, poi si sono rassegnati a una parodia del “cambiamento”. Eppure, anche solo le briciole portate a casa – deficit al 2%, mini-reddito di cittadinanza, quota 100 – ci costeranno così care, restando nell’Eurosistema, da far capire a tutti, a quel punto, che per mettersi in salvo (evitando la catastrofe di una patrimoniale) non resterà che sfilarsi dal club dell’euro-rigore. «Salvini e Di Maio hanno impiccato se stessi, e insieme a sé tutta l’Italia, a promesse elettorali demagogiche, incompatibili con la condizione del paese», premette Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi” e “Cimiteuro”. Reddito di cittadinanza, decreto dignità, quota 100 e Flat Tax sono «misure fattibili solo in uno Stato poco indebitato e in crescita economica, oppure padrone della propria moneta, come Usa e Giappone». Da quelle promesse «i due non possono smarcarsi prima delle elezioni europee, nonostante che emerga sempre più la loro insostenibilità». E dato che l’Italia è fortemente indebitata ed economicamente bolsa, e in più «deve farsi finanziare da investitori esterni in una moneta che non controlla», il governo gialloverde «ha dovuto rinviare o ridurre di molto le promesse iniziali».Peggio: le poche misure attuate hanno già prodotto «effetti sfavorevoli sul piano finanziario», ovvero «aumento di spread e di rendimenti sul debito pubblico, contrazione del credito, uscita di capitali, sfavore di ampi settori produttivi». E pare avranno effetti negativi pure su quello economico, «per giunta in una fase recessiva che li amplificherà, soprattutto se si andrà a sbattere contro il muro delle clausole di salvaguardia, col rialzo dell’Iva che il governo smentisce ma lo ha già iscritto nel Def». Dopo tanti anni di crisi e di contrazione del reddito, i provvedimenti redistributivi «sono in sé moralmente giusti e riscuotono consenso», ma purtroppo – osserva Della Luna – producono «reazioni di sistema in senso opposto, che pareggiano o superano i loro effetti benefici e riequilibranti, perché ricadono proprio sui ceti deboli che quei provvedimenti volevano aiutare». E così calano il credito, i servizi, gli investimenti. «La lezione della storia, mai imparata dai politici volenterosi ma con attitudini culturali inadeguate al loro ruolo, è che lo sforzarsi di ‘correggere’ pettinando contropelo un sistema dinamico, complesso, che tu non controlli e che reagisce, e che è molto più grosso di te, risulta nei fatti sempre controproducente, e ti fa fare perdere il carisma».Il controllo di un sistema economico è cosa complicata, aggiunge Della Luna, ma certo comincia con quello della moneta e con la liberazione dai meccanismi indebitanti. «E l’Italia è in una condizione oggettiva che le impedisce persino di incominciare a farlo: una condizione che la destina a un costante declino». La geopolitica globale, dagli anni ’80, si è finanziarizzata: «Ha definanziato l’economia produttiva e coltiva l’indebitamento irreversibile dei governi e dei privati, la riduzione dei servizi, dei salari, dei diritti dei lavoratori; quindi non vi sarà un rilancio economico generale». L’Italia poi non è affatto indipendente: è sottoposta a interessi stranieri, «e le sue politiche economiche sono asservite ad essi». Siamo «oggetto di una programmatica sottrazione di risorse attraverso l’Ue». In particolare, «l’Eurosistema bancario-monetario, bloccando gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le monete nazionali senza mettere in comune i rispettivi debiti pubblici», all’Italia «fa perdere capitali, industrie e cervelli in favore dei paesi più efficienti, aggravando il suo debito pubblico», e al tempo stesso «fa in modo che essa disponga della metà della liquidità pro capite che hanno Francia e Germania: così in Italia manca il denaro per la domanda interna e per pagare i debiti anche tributari», mentre gli stranieri hanno i soldi per rilevare i nostri asset, «che dobbiamo svendere per procurarci quella liquidità che ci viene artatamente negata».Il nostro sistema-paese, inoltre, «è storicamente zavorrato da prassi di ruberie e inefficienze, sprechi, parassitismo». Tutto fattori che abbassano la nostra efficienza, costringendo lo Stato a notevoli esborsi per aree improduttive. «E tutto ciò si traduce in un sovraccarico tributario tale, a carico delle aree produttive, che mina la loro efficienza e spinge capitali, imprenditori e tecnici ad emigrare, portando con sé la clientela e le tecnologie, per fare concorrenza dall’estero». Queste “zavorre”, aggiunge Della Luna, non possono essere eliminate «perché coincidono con gli interessi immediati di buona parte dell’elettorato e della classe politico-burocratica, che prospera grazie ad esse, e che si è formata attraverso una selezione centrata sullo sfruttamento di tali anomalie e non sullo sviluppo di competenze e capacità utili per il sistema-paese». Una classe che ormai «risponde più a banche e interessi stranieri, che alla nazione». Pertanto, «qualsiasi leader politico italiano sa che può fare ben poco per il paese, essendo stretto tra i vincoli suddetti». Però sa anche che il popolo non ne è consapevole, e quindi non rinuncia a sperare: per questo, il politico «sa che può promettere soluzioni impossibili e essere creduto e votato per qualche tempo, fino a che non sbatterà contro i medesimi vincoli: così hanno fatto Prodi, Berlusconi, Renzi».Ma i nostri Dioscuri, Salvini e Di Maio, che fanno? Uscire o farsi estromettere dall’euro «sarebbe in linea di principio opportuno e indispensabile, per rilanciare l’economia e l’occupazione, evitando il declino totale e la svendita del paese». Però Lega e 5 Stelle, che in passato propugnavano l’Eurexit, «hanno poi smesso di parlarne, visto che non vi sono le condizioni politiche: la gente comune (che non pensa oltre al domani e niente sa di macroeconomia) non capisce la situazione, teme le conseguenze dell’uscita». Al tempo stesso, «gli interessi stranieri, coi loro fiduciari interni al paese, sono forti e controllano i media, con cui fanno propaganda pro-euro e pro-Ue». E così il governo Conte l’anno scorso ha lanciato all’Ue una iniziale sfida («o pseudo-sfida, perché non metteva in discussione l’euro né i vincoli di bilancio»), quella del 2,4% di deficit sul Pil, ma presto ha dovuto mettere la coda tra le gambe e ripiegare al 2,04 (che poi salirà al 2,7 per effetto della mancata crescita rispetto alle previsioni ufficiali). «Questa ingloriosa operazione – avverte Della Luna – è costata ai contribuenti diversi miliardi di interessi aggiuntivi sul debito pubblico, e dovrebbe aver insegnato anche ai poveri di spirito che è meglio non lanciare sfide a chi è molto più forte di te: se non hai la volontà e la forza per liberarti dal padrone, ti conviene obbedire e risparmiarti le legnate».Forse, l’unica strategia realistica e per liberarci dal rigore imposto dall’euro, secondo Della Luna è proprio quella avviata (inconsapevolmente?) dal nostro governo: «Senza dirlo, attraverso misure indebitanti e destabilizzanti come il codiddetto reddito di cittadinanza e la quota cento, si porta nei fatti l’Italia a una situazione di squilibrio finanziario tanto grave che, quando arriverà il momento di fare la legge finanziaria, per evitare una stangata tributaria anche patrimoniale (di nuovo la casa) congiunta a tagli dei servizi, non resterà che uscire dall’euro, magari “temporaneamente”». Secondo Della Luna, la situazione porterebvbe finalmente l’opinione pubblica a «percepire il costo del restare nell’euro», facendo scattare la voglia di fuga. L’elettorato potrebbe manifestarla «in modo tanto energico che Mattarella non ripeta ciò che il suo predecessore fece nel 2011». In altre parole, «si tratta di far sì che il popolo tema molto più la permanenza nell’euro, che l’uscita da esso». Psicologia: «E’ provato che il timore di una perdita di 100 ha una forza motivazionale molto più potente della prospettiva di un guadagno di 100. Oggi la maggioranza del popolo, pur non valutando positivamente l’euro e la stessa Unione Europea, non vuole uscirne per il timore di una perdita economica: sceglie il male minore». La politica economica del governo “legastellato”, «con la sua apparente goffaggine», può invertire i rapporti e «far sì che l’uscita diventi o appaia al popolo come il male minore, creando così le condizioni di consenso popolare per l’uscita».Vuoi vedere che Salvini e Di Maio alla fine riusciranno a liberare l’Italia dall’euro-schiavitù? In che modo, lo spiega Marco Della Luna: la fuga da Bruxelles potrebbe rivelarsi obbligatoria, per evitare la super-stangata in arrivo. Lega e 5 Stelle? Prima hanno fatto promesse “impossibili”, poi si sono rassegnati a una parodia del “cambiamento”. Eppure, anche solo le briciole portate a casa – deficit al 2%, mini-reddito di cittadinanza, quota 100 – ci costeranno così care, restando nell’Eurosistema, da far capire a tutti, a quel punto, che per mettersi in salvo (evitando la catastrofe di una patrimoniale) non resterà che sfilarsi dal club dell’euro-rigore. «Salvini e Di Maio hanno impiccato se stessi, e insieme a sé tutta l’Italia, a promesse elettorali demagogiche, incompatibili con la condizione del paese», premette Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi” e “Cimiteuro”. Reddito di cittadinanza, decreto dignità, quota 100 e Flat Tax sono «misure fattibili solo in uno Stato poco indebitato e in crescita economica, oppure padrone della propria moneta, come Usa e Giappone». Da quelle promesse «i due non possono smarcarsi prima delle elezioni europee, nonostante che emerga sempre più la loro insostenibilità». E dato che l’Italia è fortemente indebitata ed economicamente bolsa, e in più «deve farsi finanziare da investitori esterni in una moneta che non controlla», il governo gialloverde «ha dovuto rinviare o ridurre di molto le promesse iniziali».