Archivio del Tag ‘spesa pubblica’
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Renzi, atroce imbroglio: la faccia allegra della catastrofe
Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?E non si venga a dire che gli 80 euro sono una rottura di questa politica. Chi fa credere questo è in totale malafede. Quell’assegno è stato concordato tra Renzi e Merkel per indorare la pillola del rigore alla vigilia delle elezioni, e verrà restituito con gli interessi, con le tasse i ticket e i tagli ulteriori alla spesa sociale. Però bisogna ammettere che l’operazione gattopardesca per il momento è riuscita. Durante i governi Monti e Letta si parlava sempre più di vincoli europei e di austerità. Ora non se ne parla più, le questioni economiche e sociali vengono dopo il calcio. Si parla di legge elettorale e di abolizione del Senato elettivo, di riforme di tutti i tipi, ma di austerità non si parla più, la si attua e basta. Gli scandali delle grandi opere non provocano più nessuna pubblica discussione sulla loro necessità, ma solo uno stanco ritorno delle campagne di moralizzazione ipocrita e inconcludente, con Renzi naturalmente alla loro testa. Anche Grillo pare esserci cascato in pieno… la crisi economica si risolve con le riforme… Ma va, son venti anni che i liberisti fanno questa propaganda e attuano questa politica e la crisi si aggrava sempre di più.Comunque con ben maggiore efficacia rispetto al suo ammiratore invidioso e frustrato, Berlusconi, Renzi può compiere un’opera di distrazione di massa. Naturalmente non c’è la fa da solo, con lui stanno tutti i poteri forti nazionali e internazionali e un sistema informativo vergognoso, che è saltato sul suo carro come quei giornalisti “embedded” che stavano in Iraq sui carri armati di Bush e raccontavano quelle menzogne che han fatto danno sino ad oggi. Qualcuno parla ancora di Fiscal Compact? Nel nuovo Pd di Renzi che vuol battere i pugni in Europa, qualcuno propone forse di abolire quella mostruosità unica che è il pareggio di bilancio costituzionale? Cameron, quando quella riforma fu approvata, disse che Keynes, cioè lo stato sociale, erano stati messi fuori legge. Nelle elezioni locali qualche candidato del Pd si è forse impegnato a mettere in discussione il patto di stabilità? No di certo, perché Renzi spinge a fare i primi della classe in Europa. Forse anche per questo il vertice europeo torinese è stato rinviato: vuoi mai che per colpa delle parole di qualche sconsiderato burocrate i temi dell’austerità potessero tornare di pubblico confronto?Bisogna depistare e nascondere, noi siamo la seconda cavia di Europa dopo la Grecia. Si mette in atto la stessa politica, ma con un metodo diverso, quello di Renzi. Che si paragona a Obama ma in realtà è un epigono di Blair, che ha distrutto in Gran Bretagna tutto ciò che aveva resistito alla signora Thatcher. Compreso il suo partito. Attenti, sostenitori esultanti e anestetizzati del Pd: alla fine sarà proprio il vostro partito a pagare la politica del suo leader. Intanto però si festeggia e le fragili e tremebonde opposizioni ufficiali di destra e sinistra si inchinano al regime. Berlusconi e la Lega son sempre più parte del gioco. La Cgil ha adottato come massima forma di protesta il borbottio, anche se riceve uno schiaffone al giorno. Grillo dialoga sulle riforme e la lista Tsipras ha già le prime scissioni verso il Pd. Il presidente del consiglio sta sbancando.Eppure, nonostante i clamorosi successi attuali, il progetto di Renzi è destinato a fallire per due ragioni di fondo. La prima è che la crisi economica si trasforma in stagnazione e continuerà così, senza nessuna luce in fondo al tunnel. D’altra parte la politica di Renzi non serve ad uscire dalla crisi, ma solo ad abituarci a convivere con essa. Dobbiamo accettare la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato sociale, e imparare a sopravvivere arrangiandoci. Ci dobbiamo rassegnare alla ingiustizia e alla diseguaglianza, questo insegnano il Jobs Act o il feroce articolo 5 del decreto Lupi, che colpisce con crudeltà da Ottocento vittoriano i senza casa. Il punto non è la soluzione della crisi, impossibile con l’austerità, ma la passività sociale. È su questa che contano Renzi e la signora Merkel per andare avanti. Ed è su questo che falliranno.Certo ora sfiducia e rassegnazione sono massimi, mai in Italia si è fatto così tanto danno alle persone con così poche reazioni. Ma questa situazione finirà, il conflitto ripartirà e Renzi rischierà allora di apparire per come lo dipinge il suo unico oppositore televisivo, il comico Maurizio Crozza. La seconda ragione è che l’Europa della signora Merkel che ha benedetto Renzi ha rivelato tutta la sua subalternità e fragilità mondiale. Il governo ucraino con i suoi ministri nazifascisti ha rotto il disegno della Germania di portare l’Europa da essa dominata alla intesa cordiale con Putin e ad una maggiore autonomia dagli Stati Uniti. La nuova guerra, anzi la guerra mai finita in Iraq, rafforza la stessa spinta di fondo. Gli Usa hanno ripreso il controllo del blocco occidentale con la vecchia Nato e ancor di più lo faranno con il Ttip, il patto liberista tra le due sponde dell’Atlantico che vuole trasformare la Ue in appendice di Usa e Canada, mentre di fronte si delinea la nuova alleanza globale di Russia e Cina.Forse non ce ne siamo accorti nel teatrino della nostra politica, ma la globalizzazione è morta, si torna ai grandi schieramenti di potenze e un’Europa indebolita da anni di austerità viene assorbita nel vecchio impero americano. Povero Renzi, che c’entra la sua politica con tutto questo? Nulla, e ancora una volta il conto di un potere politico gattopardesco, che sta indietro rispetto alla realtà del mondo, lo pagheremo tutti noi. Bisogna augurarsi allora che il regime di Renzi non ci metta i venti anni di quello berlusconiano per farci scoprire tutti i suoi danni. Bisogna augurarselo e bisogna agire perché questo regime fallisca il prima possibile. Solo con la sconfitta di Renzi e del renzismo si ridà un futuro a questo paese.(Giorgio Cremaschi, estratto dall’intervento “Facciamo fallire il regime renziano”, da “Micromega” del 20 giugno 2014).Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?
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Pareggio di bilancio, tasse e crisi: Renzi si piega all’Ue
Più tasse, più crisi, meno lavoro: l’Italia dovrà affrontare nuovi “sacrifici umani” per piegarsi alla legge del pareggio di bilancio entro il 2015. Gli elettori che hanno votato il Pd di Renzi alle europee sono serviti: lo schermo della propaganda è crollato col verdetto dell’Ecofin, dopo l’inutile presenza del premier italiano all’ultimo vertice di Bruxelles. Almeno altri 2 miliardi di euro da trovare, a partire dalla finanziaria di ottobre. «Mentre il presidente del Consiglio era a Bruxelles per negoziare, a parole, maggiori margini di flessibilità all’interno del rispetto dei trattati esistenti – scrive “Libero” – contemporaneamente lo stesso vertice sanciva nero su bianco la bocciatura alla prima e unica richiesta formale fatta dal governo di deroga ai patti europei». Di fatto, sono state vanificate le richieste del ministro Padoan, che voleva far slittare dal 2015 al 2016 il pareggio di bilancio strutturale. Ora, con la bocciatura dell’Ue, l’Italia avrà un anno in meno per comprimere ulteriormente la spesa pubblica e mettere in croce famiglie e aziende.Per rispettare il trattato-capestro, continua il quotidiano milanese, servono coperture per il bonus Irpef, i famosi 80 euro. Soprattutto, al governo occorrono le risorse per rendere strutturale il bonus, ma all’appello mancano 20 miliardi. Il guaio è che il pareggio di bilancio, aberrazione tecnocratica che deprime l’economia devastando il tessuto produttivo del paese, è stato inserito nella Costituzione italiana già nel 2012 col voto unanime di Pd, Pdl e terzo polo: da quel momento, solo «eventi eccezionali» possono giustificare il «ricorso all’indebitamento», ricorda “Pagina 99”. La catastrofe discende dal Trattato di Maastricht, di impronta “feudale” e neoliberista, che mira ad azzerare la sovranità pubblica per sabotare la missione socio-economica dello Stato, storico garante del benessere diffuso, lasciando mano libera al super-potere dell’élite finanziaria e delle sue multinazionali. Determinante l’adozione della moneta unica, che sottrae allo Stato la capacità di far fronte alla spesa sociale e sostenere gli investimenti strategici – welfare, istruzione, sanità, infrastrutture – che hanno guidato lo sviluppo del dopoguerra in tutto l’Occidente grazie al ricorso al deficit positivo, la leva strategica e democratica del debito pubblico.A partire da Maastricht, l’oligarchia che condiziona i politici insediati a Bruxelles ha disposto la storica limitazione del 3% nel rapporto tra deficit e Pil. Cinque anni dopo, nel 1997, il tetto del 3% – che non corrisponde ad alcun criterio economico ma è solo un’indicazione politica per indebolire gli Stati, esponendoli allo strapotere delle corporation – è stato recepito nel Patto di Stabilità e Crescita. «Le cose sono cambiate con il grande crack del 2008», aggiunge “Pagina 99”. «Che la crisi dei debiti sovrani europea sia stata figlia di finanze pubbliche fuori controllo è una tesi più controversa di quanto possa sembrare ad un primo sguardo: può forse attagliarsi al caso della Grecia, ma assai meno – ad esempio – a quello dell’Irlanda, dove il debito pubblico è stato gonfiato proprio dagli interventi a soccorso del settore finanziario privato». In ogni caso, continua il giornale, i piani di salvataggio varati dall’Unione Europea per gli Stati maggiormente in difficoltà hanno determinato la richiesta di una contropartita da parte del paese che più ha contribuito, in termini finanziari, alla loro realizzazione: la Germania.Da qui, l’imposizione di regole sempre più stringenti sulla finanza pubblica: dal 13 dicembre 2011 è in vigore il cosiddetto Six-pack, un pacchetto di regolamenti ripresi successivamente anche dal Fiscal Compact, che punta ad azzerare il deficit. «Il disavanzo strutturale è differente dal semplice rapporto deficit-Pil», precisa “Pagina 99”, perché corretto dall’impatto del ciclo economico e delle misure una tantum e temporanee: «Ad esempio, nel caso dell’Italia, il Def appena approvato dal Parlamento riferisce che l’indebitamento netto strutturale sarà del -0,6% nel 2014, a fronte di un rapporto deficit-Pil del -2,6%». È la prima di queste due variabili che doveva essere azzerata entro il 2015, secondo quanto programmato dal governo Letta. Ed è a questo medesimo dato che ha fatto riferimento Padoan nella sua missiva indirizzata alla Commissione Europea, sonoramente bocciata. «Il Fiscal Compact ha ulteriormente irrigidito questo percorso, imponendo ai paesi sottoscrittori di inserire il pareggio di bilancio nei rispettivi ordinamenti nazionali, ad un livello costituzionale».Comunque, osserva Daniele Basciu sul blog “Economia Mmt”, era tutto già scritto nel Def varato da Renzi ad aprile 2014: nel documento, messo a punto da un ministro come Padoan (tecnocrate iper-liberista proveniente dall’Ocse, con alle spalle “ricette” per indebolire gli Stati a vantaggio dei colossi finanziari) il governo aveva già previsto, da qui al 2018, di aumentare le tasse e l’avanzo primario, «cioè preleverà più tasse di quanto spenderà». In presenza di risparmio sulla spesa pubblica, ricorda Basciu, è necessario che ci siano dei deficit a controbilanciare il risparmio stesso, perchè ci sia la piena occupazione. Viceversa, senza più deficit, la strada della disoccupazione è segnata. «Il governo Renzi aveva quindi già deciso di non fare deficit, cioè aveva deciso di impegnarsi ad aumentare i disoccupati e i fallimenti delle aziende, che chiuderanno per diminuzione di clienti in grado di spendere e fare acquisti». Con buona pace degli ingenui elettori di Renzi, che «sono completamente all’oscuro del funzionamento di un’economia moderna».Per Basciu, seguace della Modern Money Theory di Warren Mosler introdotta in Italia da Paolo Barnard, quella degli elettori Pd è «una specie di tribù convinta che, recitando certe litanie e formule su “Sky” e sul “Corriere della Sera”, l’economia magicamente si rimetta in moto: sono i flagellanti delle processioni sacre, che mentre il celebrante recita i riti si battono sulla schiena con dei giunchi per propiziarsi la divinità». Ma questa non è più economia, protesta il blogger: è antropologia. «Il Def è il testo sacro, subordinato a Trattato di Maastricht e al Fiscal Compact, testi sacri di ordine superiore in cui sono scritte le regole. Il ruolo dell’officiante è trovare le formule per rivolgersi alle masse». Così Renzi dichiara: «O l’Europa cambia direzione di marcia o non esiste possibilità di sviluppo e crescita», ma si contraddice nello stesso discorso, aggiungendo: «Noi non chiediamo di violare la regola del 3%». Ergo, «Renzi farà l’austerity, come i testi sacri prescrivono», e di fatto «promette meno deficit, quindi più disoccupati».Ma l’elettore di Renzi che ha in casa un figlio disoccupato o un parente artigiano che chiude perchè non ha più clienti? Niente paura, «assiste alla celebrazione del rito ed è felice, sta bene: “C’è qualcuno”, pensa, “che si prende cura di me”». Qualcuno della “scuola” di Padoan, beninteso, che tratta lo Stato come se fosse una famiglia o un’azienda, cioè un soggetto economico per il quale il risparmio è virtù, mentre il debito è un problema. Fingendo di non sapere che tra famiglie e aziende il denaro può solo passare di mano in mano, mentre lo Stato sovrano il denaro lo crea in quantità teoricamente illimitata, per far fronte ai bisogni della società, tenendo conto della salute del sistema produttivo. In teoria, la missione dello Stato democratico è la piena occupazione: quella che i neoliberisti vogliono cancellare dalla storia, inserendo anche nelle nostre Costituzioni il cancro del pareggio di bilancio, cui ora l’Unione Europea obbliga l’Italia di Renzi, senza sconti.Più tasse, più crisi, meno lavoro: l’Italia dovrà affrontare nuovi “sacrifici umani” per piegarsi alla legge del pareggio di bilancio entro il 2015. Gli elettori che hanno votato il Pd di Renzi alle europee sono serviti: lo schermo della propaganda è crollato col verdetto dell’Ecofin, dopo l’inutile presenza del premier italiano all’ultimo vertice di Bruxelles. Almeno altri 2 miliardi di euro da trovare, a partire dalla finanziaria di ottobre. «Mentre il presidente del Consiglio era a Bruxelles per negoziare, a parole, maggiori margini di flessibilità all’interno del rispetto dei trattati esistenti – scrive “Libero” – contemporaneamente lo stesso vertice sanciva nero su bianco la bocciatura alla prima e unica richiesta formale fatta dal governo di deroga ai patti europei». Di fatto, sono state vanificate le richieste del ministro Padoan, che voleva far slittare dal 2015 al 2016 il pareggio di bilancio strutturale. Ora, con la bocciatura dell’Ue, l’Italia avrà un anno in meno per comprimere ulteriormente la spesa pubblica e mettere in croce famiglie e aziende.
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Sull’Italia un patto tra iene e sciacalli, diretto dall’estero
Dopo tutte le campagne giudiziarie, dopo l’euro, dopo Maastricht, l’Ue, il rigore, il sistema paese Italia rimane ad alta corruzione, bassa legalità, bassa efficienza del settore pubblico, alto clientelismo, tendenza declinante in molti settori, forte emigrazione degli elementi migliori, umani e aziendali. Irrazionale pertanto fare progetti di integrazione europea sul presupposto che il sistema Italia cambi, che si corregga. Ciò non sta avvenendo affatto, e sono decenni che doveva avvenire e non avviene. Anzi, oramai, tra il continuo scoppio di scandali sistemici dell’apparato pubblico e degli stessi organi di controllo, perfino i partiti che lottano contro il sistema e che vogliono mandare tutti a casa e che gridavano “arrendetevi, siete circondati!”, perfino questi finiscono per venire a termini con l’espressione partitica di questo sistema e per riconoscergli una più o meno esistente legittimazione “democratica”.Quindi, prima si accetta che un corpo sociale non cambia la sua mentalità e le sue abitudini consolidate per l’effetto di un decreto o per l’azione esterna di una nuova moneta, prima si accetta il principio che bisogna organizzarlo per ciò che esso è e non per ciò che qualcuno vorrebbe che fosse, prima si accetta che il partito che va al potere ci arriva (anche) grazie alle ruberie del suo apparato di gestione, e che pertanto il paese sarà ancora a lungo amministrato da questo tipo di gente – prima si prende atto di tutto questo, cioè della realtà, e meglio è per tutti. O per quasi tutti. Razionale è quindi chiedersi: date le caratteristiche di questa società reale, in attesa che prima o poi se possibile migliorino, come la si deve organizzare per farla vivere al meglio?Per vivere decentemente, un paese che ha le caratteristiche dell’Italia deve innanzitutto tornare a una spesa pubblica larga, elastica e sostenibile,che crei, come creava in passato, coesione sociale contenendo al contempo il conflitto di interesse Nord-Sud; che dia la precedenza al lavoro (dipendente e autonomo) rispetto alle rendite finanziarie, quindi stimoli gli investimenti privati con piani di investimenti pubblici di lungo termine, sostenga il reddito e la domanda, e assorba la disoccupazione involontaria; che renda possibile un fisiologico aggiustamento del cambio (svalutazione competitiva per mantenere le quote di mercato estero); che alimenti un’inflazione idonea a rendere sopportabile l’indebitamento, agganciando ad essa i salari; che si finanzi senza rischio di default e a bassi tassi di interesse, come prima del 1981 (ossia bisogna ritornare a una banca centrale propria, una moneta propria, un controllo del Tesoro di Stato su entrambe, un vincolo per la banca centrale di comperare i titoli del debito pubblico invenduti, un vincolo di portafoglio per le banche a detenere quote di debito pubblico).Quella sopra delineata non è una stampella per un paese malato, ma una razionale e funzionale organizzazione per la generalità dei paesi, ossia anche per quelli poco corrotti e molto efficienti. Soltanto che questi ultimi possono vivere abbastanza bene anche senza di essa e con la cosiddetta austerità, mentre un paese come l’Italia, con l’impostazione monetaria e finanziaria attuale, semplicemente consuma le sue risorse interne e poi muore. Se non si attuano queste condizioni, la grande intesa tra tutti i partiti intorno al leader oggi o domani trionfante si tradurrà in un’alleanza consociativa per salire tutti sul carro del vincitore e spremere ulteriormente i cittadini e la repubblica, senza più limiti né pudori, dato che non c’è più opposizione, cioè concorrenza e contrasto: un patto fra jene e sciacalli, sotto la direzione dell’avvoltoio d’oltralpe.(Marco Della Luna, “L’Italia: come farla funzionare”, dal blog di Della Luna del 16 giugno 2014).Dopo tutte le campagne giudiziarie, dopo l’euro, dopo Maastricht, l’Ue, il rigore, il sistema paese Italia rimane ad alta corruzione, bassa legalità, bassa efficienza del settore pubblico, alto clientelismo, tendenza declinante in molti settori, forte emigrazione degli elementi migliori, umani e aziendali. Irrazionale pertanto fare progetti di integrazione europea sul presupposto che il sistema Italia cambi, che si corregga. Ciò non sta avvenendo affatto, e sono decenni che doveva avvenire e non avviene. Anzi, oramai, tra il continuo scoppio di scandali sistemici dell’apparato pubblico e degli stessi organi di controllo, perfino i partiti che lottano contro il sistema e che vogliono mandare tutti a casa e che gridavano “arrendetevi, siete circondati!”, perfino questi finiscono per venire a termini con l’espressione partitica di questo sistema e per riconoscergli una più o meno esistente legittimazione “democratica”.
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De Benedetti scarica Renzi, l’eroe di ieri è già un bidone
Scalfari non è tipo che scriva a caso e, quando usa le parole, le sceglie una per una e le combina affilandole al meglio. Domenica, la sua abituale articolessa di un ettaro si intitolava: “Quanto è bravo il premier, ma chi ripara gli errori che sta facendo?”. Che è un bel “buongiorno!”. Il pezzo si apre con una interminabile disquisizione sulla modernità che parte da Montaigne ed arriva a Nietzsche, per poi planare su Walter Veltroni. Come dire, dall’Imperatore Tiberio e Leonardo da Vinci al pizzicagnolo sotto casa. Ma fin qui, nulla di importante. Il meglio viene dopo, quando Scalfari, intinto il pennino nel cianuro, viene «al nostro vissuto di questi ultimi giorni». Anche qui una lunga introduzione sulle sorti del sogno europeo, per poi iniziare a parlare dell’occasione che hanno gli italiani di avere un leader «di notevole capacità, che è riuscito nel giro di pochi mesi a trasformare in forza le sue qualità e i suoi difetti». Quel che sembra mettere il vento in poppa all’Italia, cosa che però è vera solo in parte.«La sola vera conseguenza è il suo rafforzamento personale a discapito della democrazia, la cui fragilità sta sfiorando il culmine, senza che il cosiddetto popolo sovrano ne abbia alcuna percezione». Come dire che gli concede una caramella per poi rifilargli una frustata sulle costole. Poi parla delle «esibizioni» di Renzi a Ypres e di Bruxelles, di «dazione» degli 80 euro che non ha funzionato, perché i consumi sono fermi (parola scelta con rara perfidia: “dazione” è il termine che Di Pietro usò nel suo celebre saggio per parlare della corruzione, e qui sembra che Scalfari voglia dire che si è trattato di una mancia elettorale, un modo per comprarsi i voti). Infine viene al dunque: Renzi vuole fare i comodi suoi per mandare la Mogherini a fare l’alto rappresentante della politica estera europea, carica che non conta assolutamente nulla, perché vuole fare i fatti suoi all’interno del partito, e in nome di questo fa un danno incalcolabile bocciando Letta ad un incarico ben altrimenti importante.Poi, gli dice che non capisce nulla di Europa, che non è vero che ha ottenuto lo spostamento del pareggio di bilancio al 2016, perché di fatto deve farlo al 2015 e che deve prepararsi ad una finanziaria di fuoco e che della riforma elettorale e di quella del Senato, all’Europa ed agli italiani non frega assolutamente nulla. Pesante direi, vi pare? Due giorni prima è uscito l’“Espresso” con la copertina che dice: “5 miliardi di tasse in più. Renzi aveva promesso di abbassare la pressione fiscale, ma ora le famiglie dovranno fare i conti con imposte sulla casa molto più alte che in passato. Vanificando così il bonus di 80 euro”. Direi che non c’è bisogno di commenti. Nel numero non c’è un pezzo che riprenda la cover, ma ce n’è un altro acidissimo dedicato alle “quote rosa” del piano di Renzi: Mogherini in Europa, Pinotti al Colle, ecc, ma solo per fare un po’ di raccolta consensi e liberare qualche poltrona, per i giochi interni. Infine sia “La Repubblica” che l’“Huffinghton Post” presentano le imprese europee di Renzi come un mezzo fiasco.Insomma, tutte le cannoniere della flotta De Benedetti sparano ad alzo zero sul vascello renziano. Come mai? Che si siano improvvisamente accorti che Renzi non è l’astuto stratega di cui parlavano solo un mese fa, ma solo un autentico bidone, che vuol mandare la Mogherini in Europa? Per una volta ci sembra che la scelta di Renzi sia felice, perché la carica di Alto rappresentante ecc ecc non conta assolutamente nulla, la Mogherini è come se non esistesse: sono fatti l’una per l’altra. E allora perché tanto e così repentino astio? Una prima ragione è quella che dice esplicitamente Scalfari: Letta. Probabilmente il giullare di Firenze sottovaluta troppo il suo predecessore, che ha amici molto potenti che già hanno mal digerito il suo siluramento a Palazzo Chigi. Poi il modo della sua esternazione («Letta? Nessuno ha fatto il suo nome») deve essere sembrato a lorsignori un insopportabile effetto di rincaro. «Fassina chi?» lo può dire, appunto, a Fassina, ma quando tocca un membro della nobile schiatta dei Letta, vicepresidente dell’Aspen Italia, certe cose non se le deve permettere. E questo stile un po’ tanghero comincia a dare sui nervi a molti.In secondo luogo, si sa che il tamarro di Firenze vuole spedire la Mogherini in Europa per fare un rimpasto di governo che azzeri la presenza di montiani e alfaniani, in modo da liberare sedie per operazioni interne di partito. Solo che, in questo gioco, non tiene presente che montiani e alfaniani sono un pezzo importante del “partito del Colle” e Napolitano ha fatto capire che la cosa non gli va. Il Presidente sa si essere avviato sulla via dell’uscita, ma vuole pilotare la successione, magari a favore di un suo candidato o, quantomeno, per bloccare la strada a quelli più sgraditi. Gli oltre 150 voti di montiani, casiniani e alfaniani sono un pacchetto troppo importante, che va ad aggiungersi agli alleati lettiani, ai senatori a vita e ai pochi fedelissimi nel Pd. Un blocco che sfiora i 200 voti, che può fare la differenza in un Parlamento-spezzatino come quello attuale. Ma nel frattempo occorre tutelare questi amici; per cui niente rimpasto, che Renzi se lo metta bene in testa.Poi la riforma del Senato sta andando in modo diverso da quello auspicato da Scalfari, che vorrebbe un bel Senato «dei talenti e delle competenze» di nomina regia: docenti universitari, finanzieri, alti burocrati, “tecnici” e specialisti vari. Insomma, una cosa di mezzo fra una specie di “governo Monti” allargato e una commissione di saggi come quelle che il Presidente ama nominare. Qui, invece, si minaccia un Senato di sindaci e consiglieri comunali: gente poco fine. Quindi, questa riforma del Senato non interessa agli italiani. Sarebbe diverso se si trattasse del Senato dei talenti e delle competenze, cui gli italiani si appassionerebbero. Poi Renzi ha aperto agli insopportabili cinquestelle. Beninteso: magari non lo fa per simpatia verso di loro o per scrupolo democratico, ma per una sorta di aggiornamento della politica dei due forni di andreottiana memoria, ma non va affatto bene neanche così, perché l’uomo si sta troppo allargando, cercando di giocare a tutto campo (quell’accenno scalfariano al “suo rafforzamento personale a discapito della democrazia” parla molto chiaro).Insomma, il ragazzo poteva anche andare sino ad un certo punto, anche perché si è rivelato efficace nello sbarrare la strada ai barbari antisistema del M5S, ma ora deve stare al suo posto e occuparsi di flessibilità, che è la vera riforma che “l’Europa ci chiede”. E deve fare bene i compiti a casa. Magari ne ha trascurato qualcuno cui era particolarmente interessato l’ingegner De Benedetti. E non sta bene, torni più preparato la prossima volta. Insomma, mi pare che la luna di miele con i poteri forti stia finendo. Accade a volte che dalla primavera si passi all’autunno di colpo, saltando l’estate. Neanche le stagioni sono più quelle di una volta, signora mia…(Aldo Giannuli, “Ma come mai Renzi è cascato antipatico a De Benedetti & C?”, dal blog di Giannuli del 30 giugno 2014).Scalfari non è tipo che scriva a caso e, quando usa le parole, le sceglie una per una e le combina affilandole al meglio. Domenica, la sua abituale articolessa di un ettaro si intitolava: “Quanto è bravo il premier, ma chi ripara gli errori che sta facendo?”. Che è un bel “buongiorno!”. Il pezzo si apre con una interminabile disquisizione sulla modernità che parte da Montaigne ed arriva a Nietzsche, per poi planare su Walter Veltroni. Come dire, dall’Imperatore Tiberio e Leonardo da Vinci al pizzicagnolo sotto casa. Ma fin qui, nulla di importante. Il meglio viene dopo, quando Scalfari, intinto il pennino nel cianuro, viene «al nostro vissuto di questi ultimi giorni». Anche qui una lunga introduzione sulle sorti del sogno europeo, per poi iniziare a parlare dell’occasione che hanno gli italiani di avere un leader «di notevole capacità, che è riuscito nel giro di pochi mesi a trasformare in forza le sue qualità e i suoi difetti». Quel che sembra mettere il vento in poppa all’Italia, cosa che però è vera solo in parte.
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I ladri spolpano il paese e gli italiani credono a un bugiardo
Il Mose di Venezia, la ricostruzione dell’Aquila, l’Expo di Milano, il villaggio della Maddalena, il sistema Sesto (San Giovanni), gli scandali della protezione civile, le mangerie sulla sanità e sui rifiuti nel meridione e nel Lazio, le ruberie sulla Tav e le porcate nei consigli regionali di mezza Italia (tutti quelli su cui si indaga), gli sprechi nei palazzi siciliani: «Tutto questo mostra che gli apparati dei partiti politici e della burocrazia sono strutturalmente dediti a queste cose, che la politica e l’amministrazione vivono di questo». Accusa Marco Della Luna: «La partitocrazia equivale alla mafia: controllo del territorio, lavoro, istituzioni, spesa pubblica». Grazie all’apparato dei partiti, è inevitabile che da noi le opere pubbliche costino il doppio o il triplo. Ed è infantile sperare in qualche politico salvatore della patria: «Qualsiasi premier, qualsiasi statista politico poggia per il potere e per la fiducia in Parlamento su quegli apparati di partito e di burocrazia, che non lo appoggerebbero se egli impedisse i loro traffici».Affarismo generalizzato, sistemico. «Irrazionale è anche pensare che la magistratura di un cosiffatto paese possa risanare il sistema», scrive Della Luna nel suo blog. Il potere giudiziario può colpire singoli imbrogli, non il sistema. Prima di Tangentopoli, la giustizia non interveniva. «Si è mossa solo nel ’92 a seguito del Britannia Party, quando si trattò di arrivare ad altri scopi, soprattutto coprire operazioni di svendita del paese», la super-privatizzazione per la quale fu cooptato Mario Draghi. Dal “sistema”, inoltre, non sono esenti spezzoni della magistratura: dopo lo scandalo Mose, lo stesso Cacciari ha rivelato di aver a suo tempo «presentato un dossier su questo scandalo in una pubblica seduta della Corte dei Conti, senza raccogliere interesse». E un giudice di questa stesa Corte «ha denunciato di aver redatto un rapporto sulle mangerie del Mose già nel 2009, ma di essere stato semi-silenziato da un superiore». Piove sul bagnato: «Gli uomini della casta si riciclano sempre tra di loro, e smettono solo se muoiono». I “Compagni G” sono inarrestabili, «non li fermi con l’interdizione dalle attività pubbliche, ma solo rinchiudendoli a vita», perché «agiscono sott’acqua e non hanno bisogno di assumere cariche pubbliche».Finché vivranno questi uomini, circa 400.000 secondo il libro “La Casta” di Aldo Rizzo e Gian Antonio Stella e almeno un milione secondo altri, «l’Italia continuerà a declinare e non inizierà alcun risanamento». Mose, in fondo, fa rima con Vajont e con Tav: opere inutili, pericolose, inquinate. Idem per lo stillicidio dell’aumento indiscriminato della cementificazione, motivato con la riduzione delle piogge: le precipitazioni sono sì calate su base annua, ma si sono concentrate in periodi rischiosi, moltiplicando le alluvioni. Ma il cemento, si sa, fa comodo al “sistema”. Per non parlare del problema numero uno, la finanza pubblica “privatizzata” dai signori dell’euro. Perché non indagare penalmente anche lì, continua Della Luna, dal momento che l’Italia continua a non avvalersi dell’articolo 123 del Trattato di Maastricht che consente agli Stati di finanziarsi presso la Bce attraverso una banca pubblica? In quel modo, il nostro paese «pagherebbe interessi dello 0,25 o 0,15 % anziché del 5% sul debito pubblico, risparmiando 80 miliardi l’anno». Meglio invece «prelevare 57 miliardi con le tasse dagli italiani già colpiti dalla recessione solo per darle ai banchieri predoni francesi e tedeschi onde assicurare i loro profitti nei prestiti fraudolentemente da loro concessi a Grecia, Spagna e Portogallo».E ancora: «Perché non indagare i cancellieri europei che hanno premuto in tal senso, forse ricattando e limitando nella loro libertà le nostre istituzioni, appoggiati dai banchieri e dalle società di rating? Perché non aprire un fascicolo sull’imposizione all’Italia dell’euro, che si sapeva, tecnicamente, che avrebbe causato ciò che ha poi causato? Lo si era già visto con lo Sme, molti economisti di vaglia l’avevano predetto e gli effetti del blocco dei cambi erano descritti nei libri di testo». Già, perché non indagare? Il solo divorzio tra Stato e Banca d’Italia, nel 1981, ha raddoppiato in pochi mesi il rapporto tra debito pubblico e Pil, cessando la funzione di Bankitalia come “bancomat” del governo a costo zero, per favorire l’interesse speculativo della finanza privata. «La politica italiana degli ultimi decenni è piena di simili scelte distruttive per il paese e lucrative per determinati soggetti finanziari, in termini sia di denaro che di potere». Dunque, «perché non indagare se costituiscano crimini contro gli interessi nazionali? Alto tradimento? Attentato alla sovranità e indipendenza nazionali mediante violenza economico-finanziaria sulla popolazione e sull’economia del paese?». E cosa si scoprirebbe, «rovistando nei circuiti di compensazione bancaria semi-segreti» come Clearstream, Euroclear e Swift? Magari che «i nostri politici, ministri, altri statisti, oltre a prendere soldi dalle grandi imprese per i grandi appalti, hanno preso soldi o altre utilità da finanzieri o statisti stranieri per fare quelle operazioni disastrose per l’Italia».Forse, continua Della Luna, «agli italiani non interessa nulla di ciò che riguarda la sfera della legalità e della moralità, e accettano che i loro governanti siano sleali e traditori». Un nome a caso, Matteo Renzi: «Oggi riscuote successo e consenso un personaggio che ha pugnalato alle spalle il suo compagno di partito, allora premier, dicendoli di stare tranquillo, che non gli avrebbe tolto Palazzo Chigi. Un personaggio che ha violato la promessa fatta pochi giorni prima alla nazione, dicendo che non avrebbe accettato il premierato se non passando per le urne». Davvero ottime credenziali, per un moralizzatore: in qualsiasi altro paese, la sua carriera politica sarebbe finita. In Italia, invece, quei vizi capitali diventano virtù. Lo sanno bene «i poteri che lo hanno scelto», spianandogli la strada con tutta la potenza dei media mainstream. Sapevano che gli italiani ci sarebbero cascati, magari con l’aiutino degli 80 euro – carota per gonzi, immediatamente compensata con più tasse e meno servizi.Chi se ne importa se Renzi «non ha una strategia macroeconomica per rimediare», pazienza se «la disoccupazione, la domanda interna, gli investimenti, il debito pubblico continuano a peggiorare». Tutto ciò che il governo fa è «autofinanziarsi prendendo i soldi del risparmio degli italiani per ridistribuirli senza creare nuove fonti di reddito al paese». L’apparato del partito pigliatutto ha una storia analoga a quella degli altri partiti di potere: il Pd «non ha chiarito come i suoi uomini hanno gestito o lasciato gestire il Monte dei Paschi di Siena, saccheggiando di oltre 10 miliardi». Tutto ciò «non impedisce al novello statista di dichiarare, con la massima e più virginale serietà di espressione, che se fosse per lui condannerebbe per alto tradimento tutti i pubblici funzionari e amministratori che si lascino corrompere. Davvero il personaggio giusto, per ridare la moralità alla Repubblica!». In Italia, chi fa davvero sul serio resta isolato. Come il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, titolare dell’indagine sul Mose: quando nel 1997 scrisse il saggio “Giustizia” che metteva alla berlina il sistema Tangentopoli, permettendosi anche «alcune benevole e mitigatissime critiche alle lobbies dei suoi colleghi e ai parteggiamenti filocomunisti di certuni», secondo Della Luna l’Anm «attaccò il dottor Nordio con toni e contenuti molto preoccupanti, esagerati e sorprendentemente minacciosi per un paese in cui vige libertà di espressione». Avanti Renzi, dunque. Show must go on.Il Mose di Venezia, la ricostruzione dell’Aquila, l’Expo di Milano, il villaggio della Maddalena, il sistema Sesto (San Giovanni), gli scandali della protezione civile, le mangerie sulla sanità e sui rifiuti nel meridione e nel Lazio, le ruberie sulla Tav e le porcate nei consigli regionali di mezza Italia (tutti quelli su cui si indaga), gli sprechi nei palazzi siciliani: «Tutto questo mostra che gli apparati dei partiti politici e della burocrazia sono strutturalmente dediti a queste cose, che la politica e l’amministrazione vivono di questo». Accusa Marco Della Luna: «La partitocrazia equivale alla mafia: controllo del territorio, lavoro, istituzioni, spesa pubblica». Grazie all’apparato dei partiti, è inevitabile che da noi le opere pubbliche costino il doppio o il triplo. Ed è infantile sperare in qualche politico salvatore della patria: «Qualsiasi premier, qualsiasi statista politico poggia per il potere e per la fiducia in Parlamento su quegli apparati di partito e di burocrazia, che non lo appoggerebbero se egli impedisse i loro traffici».
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Dopo la Grecia l’Italia, cavia europea rassegnata a Renzi
Il voto alle europee premia con un consenso da anni 50 un partito e un leader che fruiscono di un sistema di potere e sostegno senza precedenti nella storia repubblicana. Con il Pd di Renzi stanno sia Obama che Merkel e soprattutto Goldman Sachs e Bilderberg. Le agenzie di rating lo premiano e la finanza internazionale lo elogia. Da noi poi il sostegno dell’establishment è totale. In nessun momento della storia repubblicana, neppure nel breve periodo della unità nazionale alla fine degli anni 70, c’è stato un tal sostegno comune al governo da parte di banche, Confindustria, Cgil Cisl e Uil, Conferenza Episcopale, terzo settore, enti locali, mondo dello sport e dello spettacolo, giornali, televisioni, tutto. Renzi a sua volta è riuscito a mescolare la vecchia capacità comunicativa di Berlusconi, l’affidabilità finanziaria di Monti, la rivolta contro le caste di Grillo, e a fare di tutto questo un messaggio di speranza privo di agganci concreti, che ha fatto presa su un paese democraticamente stremato.Qui non c’è davvero nulla che sembri una vittoria della sinistra, fondata sulla partecipazione e sulla crescita di lotte e movimenti. Il consenso a Renzi si fonda sulla fine delle illusioni e sulla rassegnazione. La forza di Renzi sta nell’inerzia e nella passività diffusa tra le persone massacrate dalla crisi, che si aggravano con l’assenza di azione sociale e sindacale, mentre tutte le élites investono su di lui. Per fare che? Per costruire con il consenso una gestione neoliberale della crisi in Europa. Potremmo davvero esportare il Gattopardo in tutto il continente. Quando Van Rompuy afferma che finora la Ue ha difeso gli affaristi e ora si deve occupare delle persone parla come Renzi. E naturalmente agisce come lui, visto che continua a portare avanti i negoziati con Usa e Canada per quello sconvolgente via libera alle multinazionali che è il Ttip, e vuole rafforzare il fiscal compact con l’Erf.La Grecia è stata una cavia in tutti i sensi, non solo per la sperimentazione delle più brutali politiche di austerità, ma anche per la comprensione dei limiti del puro esercizio brutale del potere di banche e finanza. Per questo la signora Merkel è una fan ricambiata di Matteo Renzi. Perché bisogna cambiare dosi e modalità di somministrazione di una medicina che però deve restare sempre la stessa. Gli 80 euro nella busta paga sono questo. Come ha detto Tsipras, sono una misura concordata con Merkel per rendere più accettabile la continuazione della politica di austerità. Che non a caso viene contemporaneamente ribadita nei suoi tre cardini: la flessibilità del lavoro, cioè la riduzione dei salari e dei diritti, le privatizzazioni, la riduzione della spesa pubblica sociale nel nome del pareggio di bilancio, che siamo il solo paese euro ad aver inserito nella Costituzione.La Commissione Europea ci chiede nuovo rigore mentre i disoccupati veri sono 6 milioni e quelli ufficiali più della metà. Ma non c’è alcun reale cambiamento nella politica economica, anzi. Renzi non ha mai posto in discussione il vincolo europeo, anzi ha sempre più spesso affermato che i problemi sono da noi e che si cambia l’Europa cambiando l’Italia con le riforme, liberiste. Il vecchio slogan di Monti che dobbiamo fare i compiti a casa diventa l’obiettivo di essere i primi della classe. Siamo la seconda cavia d’Europa dopo la Grecia. Lì si è usato solo il bastone, qui si prova con Renzi. Il futuro della nostra democrazia dipenderà da se e come si costruirà una opposizione a tutto questo dal lato della sinistra. Occorre operare perché il disegno di Renzi e di chi lo sostiene fallisca, altrimenti perderemo altri venti anni scoprendo ora Blair e Clinton, quando ovunque la loro politica è oggi sotto accusa per essere stata una delle cause di fondo della crisi mondiale.(Giorgio Cremaschi, estratti dell’intervento “28 giugno, in piazza contro Renzi e l’Europa del Fiscal Compact”, pubblicato da “Micromega” il 4 giugno 2014).Il voto alle europee premia con un consenso da anni 50 un partito e un leader che fruiscono di un sistema di potere e sostegno senza precedenti nella storia repubblicana. Con il Pd di Renzi stanno sia Obama che Merkel e soprattutto Goldman Sachs e Bilderberg. Le agenzie di rating lo premiano e la finanza internazionale lo elogia. Da noi poi il sostegno dell’establishment è totale. In nessun momento della storia repubblicana, neppure nel breve periodo della unità nazionale alla fine degli anni 70, c’è stato un tal sostegno comune al governo da parte di banche, Confindustria, Cgil Cisl e Uil, Conferenza Episcopale, terzo settore, enti locali, mondo dello sport e dello spettacolo, giornali, televisioni, tutto. Renzi a sua volta è riuscito a mescolare la vecchia capacità comunicativa di Berlusconi, l’affidabilità finanziaria di Monti, la rivolta contro le caste di Grillo, e a fare di tutto questo un messaggio di speranza privo di agganci concreti, che ha fatto presa su un paese democraticamente stremato.
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I leader Ue sono marci: tangenti da 120 miliardi l’anno
L’Europa è malata. Quanto gravemente è questione non sempre facile da giudicare. Ma tra i sintomi ce ne sono tre di cospicui, e interrelati. Il primo, e più familiare, è la svolta degenerativa della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della Ue è a un tempo la causa e la conseguenza. Lo stampo oligarchico delle sue scelte costituzionali, a suo tempo concepite come impalcatura di una sovranità popolare a venire di scala sovranazionale, nel tempo si è costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente sovvertiti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le cui idee sono disdegnate dalle élite rigettano i governi che nominalmente li rappresentano, l’affluenza alle urne cala di elezione in elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti controllano i bilanci dei parlamenti nazionali espropriati del potere di spesa. All’involuzione generalizzata si è accompagnata una corruzione pervasiva della classe politica, argomento su cui le scienze politiche, parecchio loquaci a proposito di quello che nel linguaggio dei contabili è definito il deficit democratico dell’Unione, solitamente tacciono.Le forme di tale corruzione devono ancora trovare una tassonomia sistematica. C’è la corruzione pre-elettorale: il finanziamento di persone e partiti da fonti illegali – o legali – contro la promessa, esplicita o tacita, di futuri favori. C’è la corruzione post-elettorale: l’uso delle cariche per ottenere fondi mediante malversazioni sulle entrate o mazzette sui contratti. C’è l’acquisto di voci o voti nei parlamenti. C’è il furto puro e semplice dalle casse pubbliche. C’è la falsificazione di credenziali per vantaggi politici. C’è l’arricchimento dalla carica pubblica dopo l’evento, così come durante o prima di esso. Il panorama di questa malavita è impressionante. Un affresco di esso potrebbe cominciare con Helmut Kohl, governante della Germania per sedici anni, che accumulò due milioni di marchi di fondi neri da donatori illegali i cui nomi, quando fu denunciato, rifiutò di rivelare per timore che venissero alla luce i favori che aveva fatto loro. Oltre il Reno, Jacques Chirac, presidente della Repubblica Francese per dodici anni, fu condannato per appropriazione di fondi pubblici, abuso di ufficio e conflitti d’interesse, una volta caduta l’immunità. Nessuno dei due ha subito pene. Questi erano due dei più potenti politici dell’epoca in Europa.In Germania il governo di Gerhard Schroeder garantì un prestito da un miliardo di euro alla Gazprom per la costruzione di un gasdotto sul baltico poche settimane prima che egli si dimettesse da cancelliere e andasse a libro paga della Gazprom con uno stipendio maggiore di quello che aveva ricevuto governando il paese. Dopo la sua partenza, Angela Merkel ha visto due presidenti della repubblica, uno dietro l’altro, costretti a dimettersi da screditati: Horst Koehler, ex capo del Fmi, per aver spiegato che il contingente della Bundeswehr in Afghanistan stava proteggendo interessi commerciali tedeschi; e Christian Wulff, ex capo cristiano-democratico della Bassa Sassonia, per un prestito discutibile ricevuto da un affarista amico per la sua casa. Due ministri eminenti, uno della difesa e l’altro dell’istruzione, hanno dovuto andarsene quando sono stati privati dei loro dottorati – una credenziale importante per una carriera politica nella Repubblica Federale – per violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Quando il secondo, Annette Schavan, un’intima amica della Merkel (che aveva manifestato piena fiducia in lei) era ancora in carica, il “Bild Zeitung” ha osservato che avere un ministro dell’istruzione che aveva falsificato le sue ricerche era come avere un ministro delle finanze con un conto segreto in Svizzera.In Francia il ministro socialista del bilancio, il chirurgo plastico Jérôme Cahuzac, la cui direttiva era di difendere la probità e l’equità fiscale, è stato scoperto detenere qualcosa tra i 600.000 e i 15 milioni di euro in depositi segreti in Svizzera e a Singapore. Nicolas Sarkozy, nel frattempo, è accusato da testimoni concordi di aver ricevuto circa 20 milioni di dollari da Gheddafi per la campagna elettorale che lo portò alla presidenza. Christine Lagarde, il suo ministro delle finanze, che oggi dirige il Fmi, è sotto inchiesta per il suo ruolo nella concessione di 420 milioni di dollari di ‘risarcimento’ a Bernard Tapie, un ben noto truffatore con un passato in carcere, negli ultimi tempi amico di Sarkozy. Contiguità disinvolta con la criminalità è bipartisan. François Hollande, attuale presidente della repubblica, usava come pied-à-terre per gli incontri con la sua amante un appartamento della donna di un gangster corso, ucciso l’anno scorso in una sparatoria sull’isola.In Gran Bretagna, circa nello stesso periodo, l’ex premier Blair consigliava a Rebekah Brooks, che rischiava il carcere per cinque accuse di cospirazione criminale («Sii forte e prendi pastiglie per dormire. Passerà») e la sollecitava a «pubblicare un rapporto in stile Hutton», come aveva fatto lui per sterilizzare qualsiasi parte il suo governo potesse aver avuto nella morte di una fonte interna che aveva fatto rivelazioni sulla sua guerra in Iraq: un’invasione dalla quale ha poi proseguito a raccogliere – naturalmente per la sua Fondazione Faith – mance e contratti assortiti in giro per il mondo, considerevoli fondi in contanti da una compagnia petrolifera della Corea del Sud gestita da un delinquente condannato con interessi in Iraq e presso la dinastia feudale del Kuwait. Quali ricompense possa essersi guadagnato più a est resta da vedere («I progressi del Kazakistan sono splendidi. Comunque, signor Presidente, lei ha toccato nuovi vertici nel suo messaggio alla nazione». Alla lettera.).In patria, in uno scambio di favori a proposito dei quali ha mentito compuntamente al Parlamento, le sue mani sono state unte da un milione di sterline versate alle casse del partito dal magnate delle corse automobilistiche Bernie Ecclestone, attualmente sotto giudizio in Baviera per tangenti al ritmo di 33 milioni di euro. Nella cultura del New Labour, figure di spicco della cerchia di Blair, ministri di gabinetto un tempo – Byers, Hoon, Hewitt – non sono stati in grado di offrirsi in vendita al successore. Negli stessi anni, indipendentemente dal partito, la Camera dei Comuni è stata denunciata come un pozzo nero di meschine malversazioni di denaro dei contribuenti. In Irlanda, contemporaneamente, il leader del Fianna Fàil, Bertie Ahern, avendo canalizzato più di 400.000 euro di pagamenti non spiegati prima di diventare “taioseach”, si è votato lo stipendio più elevato di qualsiasi premier in Europa – 310.000 euro, più persino del presidente degli Stati Uniti – un anno prima di doversene andare con disonore per assoluta disonestà.In Spagna l’attuale primo ministro, Mariano Rajoy, alla guida di un governo di destra, è stato colto con le mani nel sacco mentre riceveva mazzette per contratti di costruzione e di altro genere per un totale di un quarto di milione di euro nel giro di un decennio, passategli da Luis Bàrcenas. Tesoriere del suo partito per vent’anni, Bàrcenas è oggi sotto arresto per aver accumulato un tesoro di 48 milioni di euro in conti svizzeri non dichiarati. I libri mastri, compilati a mano, contenenti i dettagli dei suoi versamenti a Rajoy e ad altri notabili del Partito del Popolo – tra cui Rodrigo Rato, altro ex capo del Fmi – sono apparsi in facsimile in abbondanza sulla stampa spagnola. Una volta scoppiato lo scandalo Rajoy ha inviato a Bàrcenas un messaggio con parole virtualmente identiche a quelle di Blair alla Brooks: «Luis, io capisco. Resta forte. Ti chiamerò domani. Un abbraccio». Pur con uno scandalo in cui l’85% del pubblico spagnolo ritiene che egli menta, resta incollato alla poltrona nel Palazzo della Moncloa.In Grecia, Akis Thochatzopoulos, del Pasok – ministro, in successione, dell’interno, della difesa e dello sviluppo – in un’occasione arrivato a un soffio dalla guida della socialdemocrazia greca, è stato meno fortunato: condannato l’autunno scorso a vent’anni di carcere per una formidabile carriera di estorsioni e di riciclaggi di denaro sporco. Oltre il mare Tayyip Erdogan, a lungo celebrato dai media e dall’establishment intellettuale dell’Europa come il più grande statista democratico della Turchia, la cui condotta ha virtualmente dato al paese il titolo di membro onorario della Ue ante diem, ha dimostrato di essere meritevole di essere incluso nei ranghi della dirigenza europea in un altro modo: in una conversazione registrata in cui dava al figlio istruzioni su dove nascondere decine di milioni in contanti, in un’altra in cui alzava il prezzo di una robusta tangente su un contratto di costruzioni. Tre ministri del governo sono caduti dopo scoperte analoghe, prima che Erdogan purgasse le forze della polizia e della magistratura per assicurarsi che non si spingessero oltre.Mentre egli faceva questo la Commissione Europea ha pubblicato il suo primo rapporto ufficiale sulla corruzione nell’Unione, la cui dimensione il commissario autore del rapporto l’ha descritta come “mozzafiato”: secondo una stima prudente, costa alla Ue quanto l’intero bilancio dell’Unione, circa 120 miliardi l’anno, ma la cifra reale è «probabilmente molto più alta». Prudentemente il rapporto si è occupato solo degli stati membri. La stessa Ue, la cui intera Commissione fu costretta in tempi non lontani a dimettersi screditata, è stata esclusa (la Commissione Santer fu costretta a dimettersi nel 1999 per accuse di corruzione contro alcuni suoi membri). Diffuso in un’Unione che si presenta come tutore morale del mondo, l’inquinamento del potere ad opera del denaro e della frode deriva dallo svuotamento di sostanza o dalla caduta del coinvolgimento nella democrazia. Le élite, liberate sia da una reale divisione in alto sia da un significativo dovere di rispondere in basso, possono permettersi di arricchirsi alla follia e impunite. La denuncia cessa di contare molto, poiché l’impunità diviene la regola. Come i banchieri, i politici di spicco non finiscono in carcere.Ma la corruzione non è solo una funzione del declino dell’ordine politico. E’ anche, ovviamente, un sintomo del regime economico che si è impossessato dell’Europa a partire dagli anni ’80. In un universo neoliberista dove i mercati sono il metro del valore, il denaro diventa, più platealmente che mai, la misura di tutte le cose. Se ospedali, scuole e carceri possono essere privatizzati a fini di profitto delle imprese, perché non anche le cariche politiche? Oltre alla ricaduta culturale del neoliberismo, tuttavia, vi è l’impatto del sistema socio-economico, la terza e, nell’esperienza del popolo, di gran lunga più acuta delle malarie che affliggono l’Europa. Che la crisi economica scatenate in occidente nel 2008 sia stata il risultato di decenni di liberalizzazioni nel settore finanziario e di espansione del credito lo ammettono, più o meno, i loro stessi architetti; si veda Alan Greenspan. Collegate oltre Atlantico, le banche e le attività immobiliari europee erano già coinvolte nel disastro tanto quanto le loro omologhe statunitensi. Nella Ue, tuttavia, questa crisi generale è stata aggravata da un altro fattore peculiare dell’Unione, le distorsioni create dalla moneta unica imposta a economie nazionali molto diverse tra loro, spingendo le più vulnerabili di esse sull’orlo della bancarotta quando sono state colpite dalla crisi generale.(Perry Anderson, estratto dall’intervento “Il disastro italiano”, pubblicato da “Sinistra in rete” il 29 maggio 2014).L’Europa è malata. Quanto gravemente è questione non sempre facile da giudicare. Ma tra i sintomi ce ne sono tre di cospicui, e interrelati. Il primo, e più familiare, è la svolta degenerativa della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della Ue è a un tempo la causa e la conseguenza. Lo stampo oligarchico delle sue scelte costituzionali, a suo tempo concepite come impalcatura di una sovranità popolare a venire di scala sovranazionale, nel tempo si è costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente sovvertiti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le cui idee sono disdegnate dalle élite rigettano i governi che nominalmente li rappresentano, l’affluenza alle urne cala di elezione in elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti controllano i bilanci dei parlamenti nazionali espropriati del potere di spesa. All’involuzione generalizzata si è accompagnata una corruzione pervasiva della classe politica, argomento su cui le scienze politiche, parecchio loquaci a proposito di quello che nel linguaggio dei contabili è definito il deficit democratico dell’Unione, solitamente tacciono.
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Macché golpe, da anni i padroni dell’Italia sono stranieri
Per favore, non chiamatelo golpe: ormai tra le macerie dell’Italia una vera Costituzione non c’è più, e da molti anni. Napolitano? Sta solo cercando di «mettere insieme una Costituzione transitoria per gestire questa fase di declino e disgregazione del paese». Tutto più facile, oggi, con un Renzi finalmente legittimato dalle urne: il fiorentino potrà «formalizzare costituzionalmente l’autocrazia, con la collaborazione di un Berlusconi teleguidato mediante le sue disavventure giudiziarie». Renzi il mandato lo ha avuto «da italiani tipici, senza dignità e senza matematica, a cui non importa della svolta autocratica né del fatto che il governo toglie in maggiori tasse e in minori servizi un multiplo della mancia di 80 euro al mese». Sintetizzando, dice Marco Della Luna, da dieci anni è al potere «l’alleanza tra la casta nazionale e la grande finanza apolide (tedesca, francese, statunitense)». Un sodalizio creato «per spartirsi il risparmio, i redditi, i mercati e le aziende di questo paese, e metterlo sotto il governo del capitale bancario».In virtù di questa alleanza, la grande finanza, via Bruxelles e Bce, ha dato alla casta «legittimazione politica e morale nonché sostegno economico», in due momenti: prima – nella fase 1 dell’euro – con credito agevolato e bassi tassi d’interesse, «con cui la casta ha ampliato strutturalmente la spesa pubblica clientelare», e poi – fase 2 dell’euro – usando la Bce per fare incetta di bond italiani allo scopo di «tenere artificiosamente bassi i loro rendimenti, a dispetto dei pessimi indicatori economici», sostenendo così le politiche dei governi Monti, Letta e Renzi, perfette per facilitare l’élite a spese di tutti gli altri. Un collasso finanziario dello Stato (spread) o delle banche (sofferenze) era da evitare, perché avrebbe spinto l’Italia fuori dall’Eurozona e quindi «avrebbe arrestato il processo di spartizione delle risorse dello sfortunato paese». Quello attuato a nostro danno è dunque un piano complesso, che richiede «profonde deroghe, violazioni e alterazioni della prassi e della stessa Carta costituzionale, cioè di una serie di colpi di Stato e di rivoluzioni, giustificati dalle emergenze e dal “ce lo chiede l’Europa”».Le emergenze – fabbricate a tavolino – sono iniziate con la destituzione del governo nel 2011, dopo che Berlusconi (irritando la Germania) aveva chiesto di conteggiare nel rapporto deficit-Pil anche l’economia sommersa e il patrimonio netto dei privati. Come reazione, le grandi banche tedesche – d’intesa con la Bundesbank e col governo – vendettero in massa i bond italiani, facendone esplodere i rendimenti e aprendo la strada, con Napolitano, all’eurocrate Monti, il quale «lanciò un piano di demolizione dell’economia nazionale e di spremitura fiscale degli italiani per assicurare ai banchieri francesi e tedeschi i loro iniqui incassi sui prestiti che in malafede avevano erogato a Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda». Ne seguì un tracollo economico e occupazionale, una costante ascesa del debito pubblico nonché una campagna di svendite al capitale straniero. Tendenze puntualmente continuate con Letta e ora con Renzi, appoggiate dagli acquisti della Bce. «L’artificiosa calma finanziaria creata da questo sostegno consente al governo Renzi di procedere a riforme in senso autoritario e autocratico».Oggi, continua Della Luna, abbiamo un Parlamento di nominati (dai segretari dei partiti), retto da una maggioranza artificiosa e incostituzionale (sistema maggioritario bocciato dalla Consulta), non rappresentativa del popolo. Questo Parlamento dapprima ha rieletto lo stesso capo dello Stato, e ora sta riformando la Costituzione. Tutto arbitrario, dato che il Parlamento è “illegittimo” e le sentenze della Corte Costituzionale sono immediatamente efficaci e persino retroattive, ma ormai la manipolazione è in corso. «Dietro una rassicurante facciata di attivismo, giovanilismo e idealismo, Renzi sta procedendo a una radicale riforma costituzionale ed elettorale, per rendere il Parlamento ancora più maggioritario, ancora meno rappresentativo della volontà popolare». Quelle che Renzi demolisce, con l’aiuto di un Berlusconi sotto ricatto, sono «le garanzie fondamentali della Costituzione». Un uomo solo al comando: il premier potrà nominare un nuovo capo dello Stato ma anche 10 giudici costituzionali su 15, nonché i componenti laici del Csm e le autorità di controllo e garanzia, quelle che dovrebbero essere imparziali per poter controllare il governo. Di fatto, «una dittatura con pretese di costituzionalità, di legalità e di democrazia». Ma è anche «una dittatura da quattro soldi», perché è solo «la dittatura di una buro-partitocrazia ladra su un paese la cui sovranità monetaria, legislativa e fiscale è già stata trasferita ad organismi esterni, non italiani, non democraticamente responsabili, e in ampia parte esenti anche dalla sindacabilità dei tribunali». Il vero potere ormai è altrove: l’autocrate Renzi controllerà solo quel che resta del terminale periferico italiano.Secondo Della Luna, il trasferimento di sovranità è di natura eversiva: l’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro” è stato ampianente sostituito dal nuovo fondamento, la finanza. I trattati internazionali cui l’Italia ha aderito? Illegali, perché estorti forzando l’interpretazione dell’articolo 11 della Carta, che consente limitazioni (non cessioni) della sovranità, sul piano di parità (non di subordinazione), in quanto necessarie per la pace e la giustizia tra le nazioni (non, quindi, per scopi finanziari). «Usando lo strumento dei trattati, senza consultare il popolo e senza passare per le procedure di revisione della Costituzione (articolo 138)», la Carta «è stata stravolta nella sua stessa prima parte, nei principi fondamentali, iniziando con quello della sovranità popolare e dell’indipendenza». Un percorso avviato ben prima dell’avvento dell’euro, ovvero nel 1981 con la sostanziale privatizzazione della Banca d’Italia, «tra il plauso generale dei giornalisti, degli economisti e dei politici, equamente divisi tra imbecilli e imbonitori». Risultato: «Adesso l’Italia è uno Stato fondato sul mercato». I “padroni” del paese non siamo più noi, ma neppure i “banditi” della casta: la sovranità italiana appartiene a potenti investitori stranieri.E’ vero, Napolitano ha lanciato Monti e poi Letta prima ancora di far accomodare Renzi, ma perché parlare di golpe? «Sostanzialmente – scrive Della Luna – la Costituzione scritta non era mai stata attuata nelle sue parti determinanti», e inoltre l’Italia «non era mai stata indipendente, bensì occupata militarmente da oltre cento basi militari statunitensi». La nostra repubblica «è nata sottomessa», e ha sempre solo finto di essere indipendente. Inoltre, aggiunge provocatoriamente Della Luna, è sbagliato censurare moralmente la liquidazione dell’Italia e la sua sottomissione a potentati stranieri: «L’Italia era ed è spacciata», vittima di «un processo degenerativo» insanabile, aggravato da partiti «dediti strutturalmente al saccheggio della spesa pubblica». Le inchieste parlano: «Non si tratta di mele marce, ma del sistema, dell’ambiente». Una alternativa non esiste, «perché la maggior parte della popolazione si è adattata e accetta il rapporto clientelare, di complicità, coll’uomo politico. Non è possibile che l’Italia sia amministrata in modo non ladresco: i partiti si reggono sulla spartizione del bottino».Su questo sistema così fragile, una non-moneta come l’euro ha effetti devastanti: i debiti pubblici dei singoli Stati restano separati e attaccabili, anche perché la Bce, a differenza delle banche centrali di Usa, Giappone e Regno Unito, non li garantisce contro il default, né garantisce le banche nazionali. Per questo, il debito pubblico dei paesi dell’Eurozona «paga mediamente tassi di interesse più elevati», anche se ha un miglior rapporto col Pil. «L’Eurosistema, come ogni sistema di blocco dei cambi, è inevitabilmente dannoso e non può essere corretto». Se un paese importa più di quanto esporti, la sua moneta sarà più offerta (per pagare le importazioni) che domandata (per comperare le sue esportazioni), quindi tenderà a svalutarsi; svalutandosi, renderà più convenienti le esportazioni e meno le importazioni. «Questo è il meccanismo naturale, di mercato, di correzione degli squilibri commerciali internazionali». Se invece si blocca il cambio tra le due monete, «la correzione non avviene», e così «il paese che ha costi di produzione superiori continua a importare e a indebitarsi, la sua industria si atrofizza e in parte emigra, i suoi capitali pure, la disoccupazione si impenna e il reddito cade». Al che, lo sfortunato paese non riesce più a sostenere gli oneri del debito e deve svendersi: «Il paese più efficiente, avendo accumulato crediti, compera i pezzi migliori, banche incluse, e assume il dominio anche politico del paese indebitato, detta le regole». Ecco il disegno europeo: «Lo strumento principale è l’euro: una pompa che trasferisce risorse dai paesi euro-deboli e debitori ai paesi euro-forti».Esclusi gli Usa, «che scaricano i costi sul resto del mondo attraverso il dollaro», le unioni monetarie tra aree diverse (dove diverso è il costo per unità di prodotto) non ha mai funzionato, aggiunge Della Luna, perché – per tenere insieme le parti tendenzialmente divergenti – il sistema deve trasferire costantemente reddito dalle aree più produttive a quelle meno produttive. Ma se lo Stato super-tassa le aree forti (taglio degli investimenti, fuga di capitali e aziende) le indebolisce, impedendo loro di continuare sussidiare le aree deboli, che nel frattempo dovrebbero essere corrette nelle loro disfunzionalità (sprechi e mafie, corruzione e parassitismo, clientelismo e immobilismo). In Italia, si è rimediato con l’emigrazione interna attraverso il pubblico impiego quando lo Stato disponeva di risorse finanziarie e monetarie proprie. Viceversa, col blocco dei cambi (prima lo Sme, ora l’euro) il disastro è garantito. Dal 1960 ad oggi, scrive Della Luna, l’Italia ha speso l’equivalente di 300 miliardi di euro per portare il Sud ai livelli del Nord, col risultato di peggiorare le condizioni del Sud e di soffocare (o mettere in fuga) le imprese del Nord, stritolate dalle tasse.«Chi ha voluto l’euro lo ha imposto in perfetta malafede, con dolo». Ci vuole “più Europa”? Magari gli Stati Uniti d’Europa, con un bilancio federale europeo che metta in comune i debiti pubblici, ripiani i deficit e finanzi le aree meno efficienti con investimenti per l’occupazione? Le aree forti questo tipo di soluzione non l’accetteranno mai, conclude Della Luna, né i lombardi per soccorrere i siciliani, né i tedeschi per “salvare” gli italiani. «La soluzione federale tra aree non omogenee produce un livellamento al basso, un degrado civile, un impoverimento globale che porta all’instabilità quando lo Stato centrale non è più in grado di “comprare” il consenso o perlomeno la quiete mediante l’assistenzialismo, e si mette a consumare con le tasse e con le privatizzazioni il risparmio e le risorse». Procede quindi all’esaurimento delle riserve, bruciando con le tasse il risparmio (ricchezza mobiliare e immobiliare), dopo aver prelevato fiscalmente tutto il reddito prelevabile della popolazione governata. «Queste sono le cause strutturali, essenziali, congenite nella sua composizione, che condannano l’Italia alla rovina e che legittimano quindi i suoi commissari liquidatori». La Germania? Si “difende” a modo suo dai paesi del Sud, «li sottomette, li svuota delle loro risorse industriali e finanziarie attraverso i suoi “reichskommissaren”, rinnovando ciò che faceva con i territori occupati durante la Seconda Guerra Mondiale».Per favore, non chiamatelo golpe: ormai tra le macerie dell’Italia una vera Costituzione non c’è più, e da molti anni. Napolitano? Sta solo cercando di «mettere insieme una Costituzione transitoria per gestire questa fase di declino e disgregazione del paese». Tutto più facile, oggi, con un Renzi finalmente legittimato dalle urne: il fiorentino potrà «formalizzare costituzionalmente l’autocrazia, con la collaborazione di un Berlusconi teleguidato mediante le sue disavventure giudiziarie». Renzi il mandato lo ha avuto «da italiani tipici, senza dignità e senza matematica, a cui non importa della svolta autocratica né del fatto che il governo toglie in maggiori tasse e in minori servizi un multiplo della mancia di 80 euro al mese». Sintetizzando, dice Marco Della Luna, da dieci anni è al potere «l’alleanza tra la casta nazionale e la grande finanza apolide (tedesca, francese, statunitense)». Un sodalizio creato «per spartirsi il risparmio, i redditi, i mercati e le aziende di questo paese, e metterlo sotto il governo del capitale bancario».
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Boyd: via dall’euro-finanza, solo investimenti sostenibili
Ogni paese che ha adottato l’euro ha perso immediatamente il controllo della propria politica monetaria: mentre in apparenza venivano rimossi i rischi sui tassi di cambio, scendevano in picchiata i tassi d’interesse in molti paesi prima ritenuti a più alto rischio: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, i cosiddetti Piigs. Questo provocava un significativo aumento del flusso di investimenti in questi paesi, che hanno così sperimentato una stagione di rapida crescita economica. Ma, senza la possibilità di svalutare la loro moneta di fronte a paesi più pronti a ridurre il costo del lavoro, come la Germania, il deficit commerciale dei Piigs si è considerevolmente espanso. «L’obiettivo dell’euro – sintetizza Roger Boyd – era rendere la Germania più competitiva, poiché l’euro era valutato meno di quanto lo sarebbe stato il marco tedesco, ma più delle precedenti valute Piigs». La soluzione? Uscire quanto prima dall’Eurozona, e dirottare gli investimenti finanziari sull’economia reale dei territori, accorciando le filiere oggi mondializzate e sottoposte alle oscillazioni speculative.Quando è esplosa la crisi finanziaria del 2007-2009, scrive Boyd in un post su “Come Don Chisciotte”, gli operatori sono diventati sempre più consapevoli dei rischi e hanno cominciato a ritirare i loro investimenti a quesi paesi. «La dimensione di scala di questi spostamenti di denaro ha spinto verso l’alto i tassi di interesse, drenando fondi significativi dall’economia reale», osserva Boyd. Inoltre, «l’impatto di questi cambiamenti è stato esacerbato dal numero delle bolle speculative sulla finanza e le proprietà», prodotte dai precedenti bassi tassi di interesse e larghi afflussi finanziari. E il mondo economico in collasso ha ridotto anche l’export verso gli altri paesi, andando ad intaccare la bilancia commerciale. «Il risultato finale è stato un collasso nelle economie dei Piigs e il bisogno di azioni di ristrutturazione monetaria e finanziaria da parte dell’Unione Europea e dell’Fmi per stabilizzare i default fuori controllo».Tuttavia, le azioni di stabilizzazione non hanno affatto rimediato alla situazione: al contrario, «hanno posticipato una crisi più ampia, a scapito di una larga riduzione della capacità di spesa dei governi e degli standard di vita». Così, «la popolazione di questi paesi viene usata per proteggere le sempre più esposte banche europee e i maggiori investitori». Secondo Boyd, «questi paesi avrebbero fatto molto meglio a lasciare l’Eurozona, riprendere il controllo delle loro politiche monetarie e di cambio e svalutare le loro monete per recuperare competitività». L’uscita dall’euro avrebbe creato «un breve periodo di grande dolore», oltre il quale però «sarebbe iniziato il miglioramento». Molto meglio, in ogni caso, dell’attuale «lento affondamento verso la miseria», ben rappresentato dal ministero della salute della Grecia, secondo cui il trattamento anti-cancro «non è urgente se non nelle fasi finali».Alla morte lenta dell’Eurozona – l’estinzione delle economie dei paesi europei, imposta dalla rigidità della moneta unica, sottratta alla gestione democratica dello Stato – si contrappongono le altre soluzioni, tutte positive. Vale l’esempio dell’Argentina, mille volte citato: per contrastare l’iper-inflazione degli anni ‘80, Buenos Aires decise di vincolare la sua moneta al cambio fisso col dollaro, nel 1990. Per qualche anno funzionò, «con il riversamento di investimenti esteri e l’abbassamento dei tassi di interesse», e l’Argentina «sperimentò la stessa rapida crescita che i cinque paesi europei avrebbero mostrato nel decennio seguente». Ma, a fine anni ‘90, una serie di crisi finanziarie portò gli investitori a togliere i loro soldi dal paese: questo mandò in crisi la capacità della banca centrale argentina di mantenere il tasso di cambio fisso e convertibile. «Un grande aumento del prezzo del dollaro Usa causò uno speculare aumento della valuta argentina, rendendo i prezzi dell’export meno competitivi. Ciò fu esacerbato da una svalutazione della valuta brasiliana, paese destinatario di quasi il 30% dell’export argentino».Il risultato finale fu una svalutazione ancor più grande della valuta, e un default causato dal debito sovranazionale dell’Argentina. «Svalutando la propria moneta e mandando in default il debito estero, il paese fu in grado di preparare il terreno per una vigorosa ripresa economica nel decennio successivo», ricorda Boyd. «Questo esempio fu seguito dall’Islanda durante la crisi finanziaria del 2007-2009, che si rifiutò di pagare i correntisti esteri delle sue banche e svalutò considerevolmente la sua moneta. Ancora, la crescita ripartì dopo un periodo di crisi molto intenso, ma breve». Decisivo il ruolo della politica: «Sia il governo argentino che quello islandese furono costretti ad agire nell’interesse del loro popolo, piuttosto che dei finanziatori, a causa di estese proteste pubbliche e pressioni. In Islanda fu necessario l’intervento del presidente per forzare un referendum abrogativo delle decisioni dei politici. Nei Piigs, invece, gli interessi dei finanziatori e dell’Unione Europea sono stati anteposti a quelli dei cittadini».Altro caso parallelo, quello dei paesi colpiti dalla crisi asiatica del 1998: «L’unico paese che implementò controlli sugli scambi e proibì lo scambio offshore della sua valuta, la Malesia, riuscì ad uscire dalla tempesta, mentre Thailandia, Taiwan e Sud Corea dovettero sottoscrivere significative liberalizzazioni economiche e finanziarie in cambio dei pacchetti di aiuto capitanati dall’Fmi». Lo stesso copione – sregolati afflussi di capitale in un paese, conseguente bolla finanziaria sugli asset e deficit della bilancia commerciale, alla radice di altri problemi finanziari ed economici – è stato ripetuto molte volte. «Quando il “sentiment” cambia ne deriva una crisi, perché il più alto numero possibile di investitori scappa». Secondo Boyd, Malesia, Argentina e Islanda «hanno mostrato che i credi neo-liberali non sono sacrosanti e in molti casi sono solo profezie auto-avveranti». In fatti «possono essere messi in campo controlli sui capitali, i debiti possono essere mandati in default, gli speculatori possono essere puniti per i loro comportamenti rischiosi, e il cielo non cadrà».Tutto questo ha a che fare col cambiamento climatico, l’esaurimento delle risorse naturali e la distruzione ecologica? Assolutamente sì: perché le ferite della grande crisi terrestre «stanno diventando sempre più un impedimento al funzionamento delle moderne economie e dei loro sistemi finanziari: il flusso di denaro investito da un sistema caotico a un altro deve essere arginato, per proteggere le economie e fornire una relativa stabilità, necessaria ad una transizione di successo verso un futuro sostenibile». E i debiti, che richiamano «schemi del futuro che non possono aver luogo», oggi hanno bisogno di essere rinegoziati «per permettere un’equa condivisione delle sofferenze tra i ricchi e il resto del mondo». Inoltre, conclude Boyd, i controlli sugli scambi e le ristrutturazioni del debito diventeranno un punto fermo del nostro futuro: «Gli schemi di movimento senza sforzo di soldi e benessere attorno al mondo saranno cosa del passato: così come si contrarrà il mondo fisico, così farà quello finanziario. Investimenti locali, e investimenti in asset realmente produttivi come aziende agricole, daranno prova di essere molto più resilienti, nelle future crisi, di investimenti in asset finanziari in posti lontani».Ogni paese che ha adottato l’euro ha perso immediatamente il controllo della propria politica monetaria: mentre in apparenza venivano rimossi i rischi sui tassi di cambio, scendevano in picchiata i tassi d’interesse in molti paesi prima ritenuti a più alto rischio: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, i cosiddetti Piigs. Questo provocava un significativo aumento del flusso di investimenti in questi paesi, che hanno così sperimentato una stagione di rapida crescita economica. Ma, senza la possibilità di svalutare la loro moneta di fronte a paesi più pronti a ridurre il costo del lavoro, come la Germania, il deficit commerciale dei Piigs si è considerevolmente espanso. «L’obiettivo dell’euro – sintetizza Roger Boyd – era rendere la Germania più competitiva, poiché l’euro era valutato meno di quanto lo sarebbe stato il marco tedesco, ma più delle precedenti valute Piigs». La soluzione? Uscire quanto prima dall’Eurozona, e dirottare gli investimenti finanziari sull’economia reale dei territori, accorciando le filiere oggi mondializzate e sottoposte alle oscillazioni speculative.
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Non trovi lavoro? Ti ha fregato Joseph Lee, 358 anni fa
Prendi il paradigma sociale, quello che oggi suona come una canzone di Gigliola Cinguetti, cioè una roba vecchia, da nonne. Prendilo e pensa a cosa vuole dire. Vuol dire che noi umani viviamo in gruppi, e siccome siamo tutti collegati, ci conviene avere un sistema dove ogni individuo mette un poco del suo per creare una rete di sicurezza comune. Così, se a chiunque capita una sventura, casca nella rete di sicurezza, non si sfracella al suolo, e tutto il sistema continua senza troppi danni. Logico, fila come l’olio. Eppure l’hanno distrutta, la rete. Si chiamava Stato (Sociale). Oggi va di moda un paradigma diverso, che è questo: noi viviamo in gruppi, ma l’individuo è sacro e sovrano, deve poter fare quello che vuole, e soprattutto è personalmente responsabile della sua fortuna/sventura. Faccia il suo interesse individuale con meno regole possibili, lo Stato non deve metterci bocca, e alla fine tutta la società ne trarrà profitto. Questo paradigma si chiama con un nome francese, il Laissez Faire, lasciate fare.Ora mi prudono le dita, comincerei un trattato di 80 pagine su come il Laissez Faire sia diventato modernità, dogma economico unico, Eurozona, Austerità, morte del sociale, morte dei diritti, disoccupazione di massa, Economicidio, etc. Ma no. Ancora solo pochissime righe. Vi faccio notare come funziona il Vero Potere. Prima lezione: quanto vecchie sono le sue idee. Questo mi affascina del Vero Potere. Esso non cambia mai idea, mai. Stabilì i suoi principi secoli fa, e li ripropone oggi identici sotto le vetrate da terzo millennio dell’Eurotower di Francoforte. Il Laissez Faire nasce in particolare nel 1656 da un tizio di nome Josph Lee, che lasciò scritto questo: «E’ una massima innegabile che ciascuno, per la luce della natura e della ragione, farà ciò che torna a suo maggior vantaggio… Il progredire della singola persona tornerà a vantaggio della comunità».Da allora il principio non è mai cambiato. I Neofeudali del Vero Potere lo hanno oggi portato all’apice, con la distruzione della sovranità di spesa degli Stati in Eurozona, dove viene proibito alla collettività di sborsare anche un singolo centesimo per creare il VERO lavoro. Non è la collettività che deve fare rete di sicurezza, mai! L’individuo si arrangi, sgomiti, o si riduca la vita a scaricare bancali all’Ikea dopo 6 anni di università, spacci, lecchi scarpe, faccia la puttana, si arricchisca sulla miseria di milioni di altri, o crepi. E se crepa è colpa sua, “voleva dire che era un inetto” (Margaret Thatcher, Monti, Barroso, Rehn, Amato, Draghi, Lagarde, tutti Mr & Ms Laissez Faire).Un Programma di Piena Occupazione finanziato dallo Stato, a reddito degno per il 100% dei disoccupati italiani, secondo la Mosler Economics Mmt, e che ti salverebbe vita, la dignità e i figli, caro disoccupato, è impossibile in un sistema odierno di Laissez Faire. Mi spiace, anzi, sorry, visto che lo devi a Mr. Joseph Lee che era inglese, e ti ha fottuto 358 anni fa. Il Vero Potere è antico, non cambia mai le sue idee. Impara a conoscerlo, che magari poi sei tu che lo fotti. Se lo conosci lo fotti (qualcuno lo dica ai 5 stelle).(Paolo Barnard, “Non trovi lavoro, ti ha fottuto Joseph Lee 358 anni fa”, dal blog di Barnard dell’11 maggio 2014).Prendi il paradigma sociale, quello che oggi suona come una canzone di Gigliola Cinguetti, cioè una roba vecchia, da nonne. Prendilo e pensa a cosa vuole dire. Vuol dire che noi umani viviamo in gruppi, e siccome siamo tutti collegati, ci conviene avere un sistema dove ogni individuo mette un poco del suo per creare una rete di sicurezza comune. Così, se a chiunque capita una sventura, casca nella rete di sicurezza, non si sfracella al suolo, e tutto il sistema continua senza troppi danni. Logico, fila come l’olio. Eppure l’hanno distrutta, la rete. Si chiamava Stato (Sociale). Oggi va di moda un paradigma diverso, che è questo: noi viviamo in gruppi, ma l’individuo è sacro e sovrano, deve poter fare quello che vuole, e soprattutto è personalmente responsabile della sua fortuna/sventura. Faccia il suo interesse individuale con meno regole possibili, lo Stato non deve metterci bocca, e alla fine tutta la società ne trarrà profitto. Questo paradigma si chiama con un nome francese, il Laissez Faire, lasciate fare.
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I mercati: grazie Renzi, hai salvato l’euro-rigore tedesco
Marine Le Pen? Qualcuno le ha già “parlato”, chiedendole di ritirare la richiesta di scioglimento del Parlamento francese dopo il voto delle europee. Troppo pericoloso, per l’élite finanziaria, il credo politico democratico del Front National: via dall’euro, altrimenti usciamo dall’Unione Europea. Chi è stato a “consigliare” alla Le Pen di non radicalizzare lo scontro, in questo momento così delicato per la tenuta delle istituzioni europee? Loro, i “mercati”. Quelli che confidano che tutto si sistemerà alla svelta: dopo lo scossone euroscettico, proveniente da forze non omogenee (euro-perplessi, no-euro, anti-Ue), i popolari della Merkel e di Juncker riprenderanno il pieno controllo della situazione, grazie all’aiuto decisivo del Pd di Renzi, il cui exploit mette in salvo la socialdemocrazia europea stabilizzando il sistema. Insomma: grazie Renzi, dicono i mercati finanziari che sono i massimi responsabili della crisi che sta devastando i nostri paesi.Lo rivela Paolo Barnard, che dichiara di avere accesso a documenti riservati, quelli di «analisti top di due dei maggiori istituti d’investimento del mondo, quelli che consigliano i “mercati” su come muoversi». I famosi mercati, che avrebbero immediatamente “avvertito” (cioè minacciato) Marine Le Pen. «Non ho le prove di questo», ammette Barnard nel suo blog, «ma è risibile pensare di averle», aggiunge. «La certezza che questo è accaduto viene dalla consolidata prassi del Vero Potere da decenni, e oggi noi italiani sappiamo come questi “colloqui” non siano affatto complottismo», come insegna la spettacolare detronizzazione di Berlusconi nel 2011. E ora, dopo il voto europeo, i “mercati” «hanno tenuto il sangue freddo e hanno analizzato la situazione con le seguenti parole, che cito da documenti riservati di cui mi è stato chiesto di non divulgare la fonte». Illuminante il loro “giudizio”, che «assieme alla calata di capo della Le Pen, ha assicurato oggi la vita all’Eurozona», e quindi «la nostra condanna»: «Rimaniamo tranquilli – scrivono – perché è certo che il centrodestra dei Popolari rimarrà il partito di maggioranza», e collaborerà in modo ancora più stretto col centrosinistra grazie all’affermazione di Renzi in Italia.«Considerando i partiti anti-austerità, quelli anti-Eurozona e i nazionalisti anti-immigrazione», si legge nel documento, «il quadro che emerge è questo: in Grecia l’opposizione ha avuto un buon risultato, ma non sufficiente per impensierire il governo a breve. Syriza è anti-austerità ma non anti-Eurozona. Il Pasok non è collassato e il suo successo relativo ci dice che il governo ha superato il punto di maggior rischio. In Francia e Gran Bretagna abbiamo visto un significativo spostamento verso gli euroscettici, ma all’interno di un range che ci aspettavamo. Siamo certi che l’establishment politico saprà rispondere nel breve termine». Non fanno una piega, gli analisti, di fronte al voto europeo. E per loro le migliori notizie (le peggiori, per noi) vengono proprio dal nostro paese devastato dall’euro-rigore: «Il successo del Pd in Italia è la nota di maggior importanza. Ha portato stabilità in opposizione a tutto il fronte euroscettico europeo. La performance di Renzi apre la possibilità di una sua più stretta collaborazione con la Merkel sulla politica generale in Eurozona. L’Italia assume la presidenza Ue in luglio».«L’ottimismo del mercato – aggioungono gli analisti – viene dal fatto che, anche se l’aumento dei partiti anti-Ue può apportare maggiore imprevedibilità alla politica, paradossalmente ciò rafforzerà la determinazione dei tre maggiori gruppi pro-euro a votare per “più Europa” in Parlamento, e congelare così la compagine anti-euro». E non è finita: «Sappiamo che in ogni caso tutto il blocco anti-Ue rimane una cosa incoerente: molti non hanno esperienza di governo, sono gruppetti raffazzonati, con visioni spesso totalmente divergenti su Eurozona, immigrazione ed economia. Quindi i due gruppi mainstream continueranno a dominare». Per Barnard, la frase più inquietante è questa: «In Francia e Gran Bretagna abbiamo visto un significativo spostamento verso gli euroscettici, ma all’interno di un range che ci aspettavamo». Non è necessario commentare, aggiunge Barnard, «se non per ricordarvi che vi ho tante volte detto che il Vero Potere anticipa sempre tutto». La seconda frase-chiave è quella sull’exploit di Renzi, che stabilizza l’euro-sistema e accelera le larghe intese con la Merkel «sulla politica generale in Eurozona».Amarezza: «Che sia il mio paese, il suo popolo, oggi, a rappresentare la rete di sicurezza dell’economicidio e della chemiotassazione neofeudale da euro fa venire da piangere, perché siamo veramente il popolo più stupido del mondo», scrive Barnard, che accusa i grillini di essere «una sottospecie di stolti»: se invece di «sbavare da cefali dietro alla Casaleggio Associati» avessero adottato una linea decisa anti-eurozona, «oggi sarebbero una speranza, qui, invece di una vergogna internazionale». I mastini dei “mercati” infatti non li prendono nemmeno in considerazione: al di là del fatto che il Movimento 5 Stelle ha ottenuto la metà del punteggio elettorale di Renzi, la campagna elettorale di Grillo non hai impensierito neppure per un istante i “dominus” dell’Eurozona, quelli che ci infliggono l’austerity mediante iper-tassazione indotta dalla moneta unica. Il resto dell’euro-platea dei nuovi scettici? Brigate pasticcione, in ordine sparso. Solo Marine Le Pen si è mostrata all’altezza della sfida. «Nessuna delle forze anti-mercati, dalla Lega all’Ukip a Syriza», secondo Barnard possiede «un tipo di arma come la Mosler Economics Mmt», cioè un dispositivo tecnocratico sovranista da opporre agli oligarchi. Così, i “mercati” non si sono scomposti: sanno che potranno continuare a torturarci, come e più di prima.Marine Le Pen? Qualcuno le ha già “parlato”, chiedendole di ritirare la richiesta di scioglimento del Parlamento francese dopo il voto delle europee. Troppo pericoloso, per l’élite finanziaria, il credo politico democratico del Front National: via dall’euro, altrimenti usciamo dall’Unione Europea. Chi è stato a “consigliare” alla Le Pen di non radicalizzare lo scontro, in questo momento così delicato per la tenuta delle istituzioni europee? Loro, i “mercati”, i signori dello spread. Quelli che confidano che tutto si sistemerà alla svelta: dopo lo scossone euroscettico, proveniente da forze non omogenee (euro-perplessi, no-euro, anti-Ue), i popolari della Merkel e di Juncker riprenderanno il pieno controllo della situazione, grazie all’aiuto decisivo del Pd di Renzi, il cui exploit mette in salvo la socialdemocrazia europea stabilizzando il sistema. Insomma: grazie Renzi, dicono i mercati finanziari che sono i massimi responsabili della crisi che sta devastando i nostri paesi.
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Salvare la democrazia: la questione morale della Le Pen
L’inaudito plebiscito pro Renzi, largamente inatteso dallo stesso Pd, relega l’Italia in posizione ancora una volta subalterna e defilata rispetto alla grande partita europea che si è ufficialmente aperta con le storiche elezioni del 25 maggio 2014, con gli euroscettici al comando in due paesi leader come la Gran Bretagna e soprattutto la Francia, dove più è evidente la bancarotta storica (politica, etica e culturale) della socialdemocrazia, la forza che più di ogni altra ha tacitamente supportato l’euro-disastro neoliberista, tradendo il proprio elettorato di sinistra. Se oggi il Pd può raccontare che – insieme a Martin Schulz – tenterà di mitigare l’austerity di Bruxelles imposta dalla Deutsche Bank per tramite della Mekel, potrà farlo solo grazie alla radicale protesta elettorale dei paesi più avanzati, la Francia in primis, che ora costringerà la Troika a fare i conti con la pressante richiesta di sovranità democratica di molti popoli europei, dalla Grecia all’Austria.Nelle ultime settimane, la campagna elettorale italiana ha riesumato – facendone oggetto di contesa polemica – la “questione morale” impugnata da Enrico Berlinguer, indimenticato leader di un partito “eretico” e anomalo, popolare e democratico, impegnato a contrastare energicamente la corruzione della classe politica italiana dell’epoca, cioè la partitocrazia anticomunista cui si perdonavano le tangenti purché facesse argine contro il “pericolo rosso”, in piena guerra fredda contro l’Unione Sovietica. Subito dopo la caduta del Muro, quella storica tolleranza verso la malapolitica italiana cessò di colpo, sotto la scure di Mani Pulite che decapitò la vecchia classe dirigente partitocratica proprio mentre quella nuova, elitaria e tecnocratica, stava già brigando per consegnare il paese all’europeismo delle banche, della grande industria e della finanza. Esattamente il tipo di europeismo al quale, il 25 maggio 2014, milioni di europei (e pochissimi italiani) hanno detto di no.Della questione morale di oggi – quella vera – si è sentito parlare moltissimo nel Regno Unito e soprattutto in Francia, dove «il popolo ha parlato», come ha detto Marine Le Pen, e ha messo al teppeto il socialista Hollande, prono ai diktat del regime affaristico euro-atlantico che ha un solo grande obiettivo: radere al suolo la democrazia, lo Stato di diritto dei cittadini, mediante la privatizzazione definitiva della finanza pubblica, delle banche centrali e della moneta, riducendo a zero la capacità di spesa pubblica. In Italia il nome di Berlinguer è stato speso chiacchierando di auto blu e stipendi d’oro, mentre – come ha ricordato Giorgio Cremaschi alla vigilia delle elezioni – proprio Berlinguer si era opposto al monetarismo dello Sme, il bisnonno dell’euro, intuendo che il controllo delle élite sulla moneta avrebbe messo in ginocchio lo Stato e quindi la democrazia popolare. Questa battaglia, vittoriosa e centrale per il nostro futuro, è stata adottata da Marine Le Pen, contestando il sistema di potere della Francia, cioè dello Stato che fu più decisivo per la nascita di questa insostenibile, oligarchica Unione Europea. Gli italiani? Non pervenuti: il derby era tra Renzi e Grillo, gli 80 euro e le auto blu.L’inaudito plebiscito pro Renzi, largamente inatteso dallo stesso Pd, relega l’Italia in posizione ancora una volta subalterna e defilata rispetto alla grande partita europea che si è ufficialmente aperta con le storiche elezioni del 25 maggio 2014, con gli euroscettici al comando in due paesi leader come la Gran Bretagna e soprattutto la Francia, dove più è evidente la bancarotta storica (politica, etica e culturale) della socialdemocrazia, la forza che più di ogni altra ha tacitamente supportato l’euro-disastro neoliberista, tradendo il proprio elettorato di sinistra. Se oggi il Pd può raccontare che – insieme a Martin Schulz – tenterà di mitigare l’austerity di Bruxelles imposta dalla Deutsche Bank per tramite della Merkel, potrà farlo solo grazie alla radicale protesta elettorale dei paesi più avanzati, la Francia in primis, che ora costringerà la Troika a fare i conti con la pressante richiesta di sovranità democratica di molti popoli europei, dalla Grecia all’Austria.