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Grazzini: euro e Ue sono nostri nemici, ditelo alla sinistra
Il destino della Grecia, dell’Europa e dell’euro si sta svelando in questi giorni. L’Unione Europea usuraia ha imposto la sua brutale autorità umiliando il governo di Alexis Tsipras contro la volontà del popolo greco. Occorre denunciare l’aggressione della Ue e di Berlino alla democrazia in Europa e difendere anche in Italia la sovranità nazionale contro la dittatura economica di un governo europeo che nessuno ha mai eletto. Diventa sempre più indispensabile sganciarsi dai vincoli dell’euro recuperando forme di autonomia monetaria – come suggerisce la proposta di “moneta fiscale” – per superare i limiti della moneta unica che deprimono la nostra economia. Il governo di sinistra di Alexis Tsipras, nonostante il No al referendum, é stato costretto ad accettare un compromesso sul debito secondo molti economisti assai peggiore di quello rifiutato coraggiosamente dal popolo greco con il referendum. Il governo di Berlino, guidato da Angela Merkel e dal duro ministro ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, ha confermato la linea dura dell’austerità folle e suicida, a tutti i costi.Difficilmente la Grecia si risolleverà dalla crisi. Il debito non è stato rimesso alla Grecia, nonostante le illusioni e le sciocche speranze della sinistra nostrana. La Ue ha imposto la sua dittatura usuraia in Europa, e la prossima vittima sacrificale a questa politica di crisi potremmo essere noi. La sinistra ha quindi nuove ed enormi responsabilità nel contrastare la politica Ue e dell’euro. Ma finora è rimasta praticamente impotente e silenziosa di fronte all’attacco europeo alle economie e alle democrazie nazionali. Solo il Movimento 5 Stelle ha denunciato ad alta voce la Unione Europea anti-democratica e la feroce gabbia dell’euro. La sinistra ha finora permesso e tollerato la meschina politica usuraia europea e l’attacco economico alla nostra sovranità nazionale in nome della prospettiva degli Stati Uniti d’Europa, e dei nobili ma sciocchi e illusori ideali sulla Pace Universale. Mentre la destra ha raccolto con crescente successo l’insofferenza, la protesta e la rabbia popolare verso questa Ue che immiserisce i popoli.La sinistra, in nome dell’Europa unita, non ha difeso la sovranità nazionale, ovvero l’unico ambito in cui è ancora possibile la democrazia (in greco: il potere del popolo). La sinistra ha accettato e difeso acriticamente la moneta unica europea, che è di gran lunga la principale espressione della dittatura monetarista e liberista sull’Europa. La sinistra proclama che gli Stati nazionali hanno esaurito il loro compito storico; e che occorre andare a tutti i costi verso l’Europa unita. Invece la democrazia alberga solo negli stati nazionali e certamente non in questa Europa. Solo grazie alla riscossa e all’autonomia nazionale, anche sul piano monetario, potremo uscire dalla crisi economica e rivitalizzare la democrazia. Perché l’Europa rischia di cadere in mano alla destra peggiore e di frantumarsi in mille nazionalismi xenofobi? Perché la destra cresce in Italia con Matteo Salvini, e in Francia con Marine Le Pen, e, in nome della difesa degli interessi nazionali, guadagna il consenso di ampi strati popolari e di lavoratori? Perché invece in Italia la sinistra sul piano politico quasi non esiste più, nonostante le antiche radici e il glorioso passato?La risposta più appropriata è: perché, in nome dell’Europa unita, la sinistra ha di fatto tollerato che si sacrificassero fondamentali interessi popolari. La dura lezione greca dovrebbe aprire finalmente gli occhi alla sinistra italiana ed europea. Per cambiare l’Europa occorre soprattutto rivendicare la sovranità nazionale, cioè il rispetto della democrazia. Le rivendicazioni democratiche e i conflitti sociali nascono innanzitutto dentro i confini nazionali per modificare le leggi e le istituzioni. Le nazioni contano ancora, e sono, e devono continuare ad essere, il luogo dei conflitti sociali, che sono il sale della democrazia. Senza il rispetto delle volontà nazionali e degli Stati nazionali non si costruirà mai l’Europa dei popoli. Nessuno ha voluto sottolineare che Tsipras ha indetto un referendum in Grecia e non un referendum europeo. Tsipras ha tentato legittimamente una via innanzitutto nazionale di uscita dalla crisi europea. Il referendum greco, e speriamo anche quello italiano, se si farà, non sono altro che tentativi di recuperare sovranità nazionale. Invece la nostra sinistra è Europeista, con la E maiuscola. Alimenta l’illusione della democrazia in tutta Europa quando le democrazie nazionali sono calpestate.Chi denuncia solo ed unicamente il pericolo di un ritorno al nazionalismo – come i grandi guru della sinistra europea, come Jurgen Habermas, Christian Marazzi e Etienne Balibar – e suggerisce di proseguire nell’integrazione europea, sperando in un inesistente e impossibile processo di democratizzazione delle istituzioni europee, e affidandosi a inesistenti grandi lotte sociali e politiche di livello continentale (?), si vota all’impotenza e si arrende di fatto all’internazionalismo senza regole del capitale. Infatti non c’è alcuna speranza di modificare istituzioni non elette e non democratiche, intergovernative, come quelle della Ue, dominate dai paesi più forti (Germania in primis) senza passare innanzitutto per le battaglie in favore dell’autonomia nazionale. Senza denunciare apertamente i vincoli della moneta unica si sacrificano la sovranità popolare e la democrazia. La Grecia dimostra che dentro questa Ue e questo euro le sovranità nazionali, la democrazia e la volontà popolare vengono sistematicamente schiacciate. Il nazionalismo tedesco prevale sulla inesistente democrazia europea.La socialdemocrazia è diventata sciovinista. Oggi i maggiori esponenti della potentissima (una volta) socialdemocrazia tedesca, Sigmar Gabriel, vicepremier del governo tedesco, e Martin Schulz, capo del Parlamento Europeo, sparano veleno contro il governo socialista greco assediato dallo strozzinaggio europeo. Il ricco socialismo tedesco attacca con maramaldesca protervia i poveri cugini socialisti greci, e si mostra apertamente sciovinista. Altro che Europa unita! Il socialismo europeo al governo è rappresentato da François Hollande e da Matteo Renzi. Il secondo lo conosciamo, ha seguito tutti i diktat europei sulle riforme strutturali; ma dovrà cercare di svincolarsi dalla mortale stretta tedesca. Renzi è troppo astuto per non sapere che, proseguendo la crisi europea e dell’euro, perderà le elezioni anche lui come tutti gli altri socialisti in Europa. Hollande invece sembra con qualche flebile distinguo il ventriloquo della Merkel.Ma anche la sinistra critica, quella (che fu) radicale e alternativa, quella che si proclama addirittura anti-capitalista, si è condannata all’impotenza perché non ha voluto denunciare e contrastare apertamente questa Unione Europea e la moneta unica. Per vetuste e astratte illusioni europeiste – e forse in parte anche per (insinuano volgarmente i maliziosi) inseguire qualche secondario posticino istituzionale – la sinistra ex radicale persegue con aristocratica nobiltà un’altra Europa, ma si dimentica di denunciare e contrastare questa Europa, l’Europa reale. Ha lasciato alla destra di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi il compito di attaccare l’Unione Europea in difesa degli interessi nazionali. Non a caso Salvini si spaccia come il vero difensore di Tsipras e della Grecia. Ma è un errore mortale cedere la denuncia di questa Ue e di questo euro al populismo sciovinista e xenofobo!Perché in Italia in pochi anni il Movimento 5 Stelle si è legittimamente guadagnato il 25% dell’elettorato, è diventato il secondo partito italiano, mentre la sinistra italiana teme di non superare neppure le soglie di sbarramento? La risposta è: perché questa sinistra corre verso una chimera: gli Stati Uniti d’Europa. Gran parte della nostra morbida intellighenzia di sinistra si limita a chiedere in maniera petulante un’Europa più democratica e cooperativa per riformare l’euro. Senza ottenere ovviamente alcun risultato. La nostra sinistra europeista e aristocratica propone politiche industriali comuni (?), gli eurobond (?), fondi di solidarietà (?), maggiore integrazione verso gli Stati Uniti d’Europa (?). Propone di riformare l’euro e di completare la moneta incompiuta con politiche fiscali comuni. Mentre migliaia di profughi, donne, bambini, uomini innocenti, vengono lasciati affogare nel Mediterraneo e mentre l’Europa a guida tedesca sceglie la politica del confronto/scontro con la Russia dettata dai falchi bellicisti d’oltreoceano, la sinistra chiede di “riformare” la Ue e la Bce.Perfino la Fiom-Cgil di Maurizio Landini, che viene considerata “estremista”, per quanto riguarda l’Europa si limita a chiedere la … riforma della Bce. E’ come chiedere a Berlusconi di approvare una legge severa sulla corruzione e l’evasione fiscale! Lo statuto della Bce è stato fissato a Maastricht. Per statuto la Bce deve preoccuparsi solo dell’inflazione, e non della disoccupazione e dello sviluppo economico; il suo principale azionista è la Germania della Merkel. E noi chiediamo di riformarla? Ma con quale forza? Con quale credibilità? Bisognerebbe rivoluzionare tutti i trattati, Maastricht per primo! Il governo tedesco dominato di Angela Merkel e Sigmar Gabriel non accetterà mai. Perché? Perché non gli conviene!!! Alla Germania, che persegue una politica chiaramente nazionalistica, è utile l’Europa in crisi. Luigi Zingales ha chiarito perfettamente che se scoppia la crisi dell’euro, la Germania pagherà costi assai meno elevati degli altri paesi e nell’immediato ci guadagnerà, perché tutti i capitali correranno verso la nazione più sicura e affidabile, cioè la Germania.Purtroppo la maggior parte della sinistra italiana – a parte le belle e sacrosante parole di solidarietà con il popolo greco, con Siryza e Alexis Tsipras – non ha capito quasi nulla dell’Unione Europea e dell’euro. Non ha compreso che l’Unione Europea intergovernativa, il suo braccio, la Banca Centrale Europea, e la moneta unica, sono diventate il principale strumento di lotta delle nazioni forti contro quelle più deboli, e di lotta di classe della grande finanza speculativa contro i lavoratori e lo stato sociale, grazie all’arma micidiale del debito. Altro che unione dei popoli europei! L’economia tedesca è forte ma la Grecia è stata gettata in miseria. In soli cinque anni l’Italia ha perso il 12% del Pil, il 30% degli investimenti, i redditi sono precipitati ai primi anni ‘90, c’è il 13% di disoccupazione e metà dei giovani non trova lavoro. Un disastro totale. Con la lira è certo che l’economia nazionale non sarebbe mai precipitata così in basso. I lavoratori soffrono e i ricchi diventano sempre più ricchi. Ma la destra avanza e la sinistra arretra. E forse non se ne accorge neppure.La sinistra vive su un altro pianeta. Fa come Totò che, picchiato a sangue da uno sconosciuto, ride contento perché questi si è sbagliato, non voleva colpire lui ma un’altra persona. La sinistra è contenta perché la Ue vuole la democrazia, anche se nei fatti la calpesta. Così difende le istituzioni (mai elette) della Ue invece di combatterle. La moneta unica é il problema dell’Europa malata. La sinistra (anche e soprattutto quella marxista) non ha capito una questione fondamentale. La moneta non è neutra, è centrale sia nel campo finanziario che in quello politico. La sinistra italiana non ha capito quanto per Keynes la moneta fosse l’elemento centrale dell’economia, soprattutto in tempi di crisi. Per la sinistra italiana invece il problema dell’euro è secondario. La sinistra più boriosa indica con sussiego che i problemi dell’Italia sono “ben più profondi”, sono strutturali, la moneta è un epifenomeno, in fondo l’euro può essere lasciato così, la lotta di classe riguarda l’economia reale, il resto è sovrastruttura.Invece la moneta unica è il problema centrale dell’Europa. La moneta unica non solo non permette svalutazioni – ovvero i normali riallineamenti competitivi – ed esalta gli squilibri commerciali, e quindi alimenta i debiti delle nazioni meno competitive. Soprattutto l’euro non consente di attuare manovre espansive, cioè di “riparare le crisi” come proponeva Keynes. L’euro è il bazooka usato dal governo tedesco Merkel-Gabriel e dalla Ue per abbattere le resistenze delle nazioni che, come la Grecia, cercano di opporsi all’austerità senza fine. Avere ceduto la propria moneta nazionale a istituzioni tecnocratiche non elette e non democratiche è stato un errore madornale. Senza autonomia monetaria non esiste possibilità di fare politiche autonome di bilancio e quindi i parlamenti eletti dal popolo contano poco o nulla. La democrazia è in pericolo.La moneta unica provoca l’immiserimento forzato dei paesi periferici strangolati dai debiti. Purtroppo l’euro è una trappola nella quale è facile entrare ma dalla quale è difficile uscire. Nonostante quello che predicano Salvini, Grillo e Borghi, uscire dall’euro è quasi impossibile per molti motivi tecnici, economici, politici e geopolitici, e perché metà della popolazione non vuole l’uscita. L’euro è la seconda valuta mondiale di riserva e l’uscita unilaterale scatenerebbe tutti contro di noi, Usa, Russia, Cina e paesi emergenti. Uscire dall’euro non è facile e immediato come è stato uscire dal Sistema Monetario Europeo e ritornare alla lira. Occorre trovare altre forme di “moneta democratica” per sfuggire alla depressione dell’euro.La tecnocrazia Ue può funzionare solo in quanto strumento (con poca autonomia) degli Stati egemoni e delle élite politiche e finanziarie dominanti. L’euro è una moneta concepita a Maastricht secondo i criteri del marco tedesco ed è diventato il principale strumento dell’egemonia tedesca sull’Europa e della sua politica nazionalistica. Gli stati nazionali sono ancora l’unico luogo in cui si può ancora esprimere la democrazia. Gli stati nazionali non sono ferrivecchi da buttare in nome dell’internazionalismo (del capitale!). Anzi: è necessario difendere e sviluppare l’autonomia e la democrazia nazionale. Le istituzioni europee non sono elette e non sono sottoposte a nessun controllo dei cittadini. Quelle nazionali, bene o male, sì. Occorre promuovere un nazionalismo democratico di sinistra, ovvero la difesa degli interessi nazionali sia a livello economico, industriale, che monetario e politicoDi fronte al precipitare della crisi occorre una svolta di politica economica, decisa e concreta. Occorre sganciarsi per quanto possibile dalla dittatura dell’euro, senza tuttavia uscire dall’euro. Questo è il senso della proposta di Moneta Fiscale proposta da Luciano Gallino e da altri economisti. Vogliamo che lo Stato italiano decida di emettere e distribuire gratuitamente ai lavoratori e alle aziende un titolo fiscale utilizzabile come credito sulle tasse dopo due anni dall’emissione, ma subito convertibile in euro, come qualsiasi altro titolo di Stato. Grazie alla diffusione gratuita di titoli/moneta per decine di miliardi aumenterebbe il potere d’acquisto delle famiglie, crescerebbero i consumi e gli investimenti delle aziende. Usciremmo dalla trappola della liquidità che blocca l’economia. Si tratta della possibilità di rilanciare l’economia italiana con una manovra monetaria e fiscale espansiva e democratica, decisa autonomamente dal Parlamento e dal governo italiano, senza tuttavia contravvenire e contrastare direttamente i trattati e i regolamenti vigenti nell’Eurozona. Senza uscire dall’euro, perché un’uscita unilaterale sarebbe, almeno attualmente, disastrosa e dividerebbe il popolo italiano.(Enrico Grazzini, estratti da “Le illusioni europeiste della sinistra e la dittatura della Ue”, da “Micromega” del 13 luglio 2015).Il destino della Grecia, dell’Europa e dell’euro si sta svelando in questi giorni. L’Unione Europea usuraia ha imposto la sua brutale autorità umiliando il governo di Alexis Tsipras contro la volontà del popolo greco. Occorre denunciare l’aggressione della Ue e di Berlino alla democrazia in Europa e difendere anche in Italia la sovranità nazionale contro la dittatura economica di un governo europeo che nessuno ha mai eletto. Diventa sempre più indispensabile sganciarsi dai vincoli dell’euro recuperando forme di autonomia monetaria – come suggerisce la proposta di “moneta fiscale” – per superare i limiti della moneta unica che deprimono la nostra economia. Il governo di sinistra di Alexis Tsipras, nonostante il No al referendum, é stato costretto ad accettare un compromesso sul debito secondo molti economisti assai peggiore di quello rifiutato coraggiosamente dal popolo greco con il referendum. Il governo di Berlino, guidato da Angela Merkel e dal duro ministro ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, ha confermato la linea dura dell’austerità folle e suicida, a tutti i costi.
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Ostellino: l’Ue è una truffa, ma l’Italia non osa denunciarla
Quando i capi di Stato di Germania e di Francia avevano reagito alle argomentazioni europee di Berlusconi, allora capo del governo, con sorrisetti ironici, qualcuno aveva attribuito l’episodio all’inadeguatezza personale del Cavaliere. «Ma Berlusconi era stato solo il pretesto che Germania e Francia avevano colto per dimostrare che l’Italia contava come il due di picche e che senza di loro non c’era trippa per i gatti», sostiene Piero Ostellino. «Ora, con Renzi, in occasione delle consultazioni con i greci, la situazione si è ripetuta. Niente sorrisini, ma il nostro capo del governo è stato semplicemente escluso dalle consultazioni di Germania, Francia e Commissione europea con la Grecia». Come era stato con Berlusconi, liquidato alla svelta, Renzi non ha partecipato alle consultazioni con i greci «perché l’Italia, per dirla con un’antica e cruda definizione, continua a essere solo una trascurabile entità geografica». Berlino e Parigi? «Mal sopportavano la pretesa di Berlusconi di recitare un ruolo pari al loro e la stessa cosa si ripete oggi con Renzi». La verità: «L’Italia è un concorrente scomodo, soprattutto può esserlo se le si dà corda sul piano industriale e commerciale».Germania e Francia si guardano bene dal “dare corda” all’Italia, scrive Ostellino sul “Giornale”. E quando Berlusconi tentò di alzare la testa, «fu fatto fuori con una congiura a metà finanziaria e a metà interna con la complicità dell’opposizione di sinistra – lo spread fatto salire a livelli vertiginosi, la minaccia di fallimento dell’Italia e la crisi di governo manovrata dal presidente della Repubblica Napolitano». Renzi, «più furbo del Cavaliere», evita di sfidare i “partner” dominanti, Germania e dalla Francia, «mettendosi al loro seguito». Servirebbero riforme per migliorare davvero il sistema, non certo quelle “suggerite” da Bruxelles: «Per avere crescita economica e forza politica, l’Italia non avrebbe dovuto, non dovrebbe, seguire le direttive europee, che sono fatte apposta per favorire la Germania e la Francia, ma provvedere alle riforme autonomamente, come cercano di fare ora i greci. Ciò che il linguaggio giornalistico chiama austerità, in realtà, è una politica europea che, deprimendo gli eventuali concorrenti, faccia gli interessi della Germania (soprattutto) e della Francia (in misura minore, ma ugualmente rilevante)».L’Unione Europea, ammette Ostellino, non è certo un organismo paritario: «Gli Stati membri non contano tutti allo stesso modo; c’è qualcuno, per dirla con Orwell, più uguale degli altri», vale a dire Germania e Francia. «L’Ue è una forma di associazione che serve gli interessi tedeschi e francesi, le sole due grandi potenze europee in grado di imporli grazie alle proprie condizioni economiche interne e, di conseguenza, a tutti gli altri paesi, Italia compresa». Finora, la politica di austerità ha fatto gli interessi soprattutto della Germania, e della Francia in misura minore. «Il merito del governo greco è stato di avere reagito a tale imposizione indicendo il referendum proprio sulle richieste dell’Ue e che si è risolto con un voto che rifiuta di adottare tali misure». Ma se l’Unione Europea «è una truffa», l’altro problema è che «gli italiani, si tratti di Berlusconi o di Renzi, non sono stati in grado di denunciarla», preferendo accodarsi, «un po’ per incultura e conformismo, molto per convenienza». La grande crisi? Poteva e doveva essere «l’occasione per chiedere una revisione dei trattati». Ma nulla di tutto ciò, ovviamente, è mai stato in agenda.Quando i capi di Stato di Germania e di Francia avevano reagito alle argomentazioni europee di Berlusconi, allora capo del governo, con sorrisetti ironici, qualcuno aveva attribuito l’episodio all’inadeguatezza personale del Cavaliere. «Ma Berlusconi era stato solo il pretesto che Germania e Francia avevano colto per dimostrare che l’Italia contava come il due di picche e che senza di loro non c’era trippa per i gatti», sostiene Piero Ostellino. «Ora, con Renzi, in occasione delle consultazioni con i greci, la situazione si è ripetuta. Niente sorrisini, ma il nostro capo del governo è stato semplicemente escluso dalle consultazioni di Germania, Francia e Commissione europea con la Grecia». Come era stato con Berlusconi, liquidato alla svelta, Renzi non ha partecipato alle consultazioni con i greci «perché l’Italia, per dirla con un’antica e cruda definizione, continua a essere solo una trascurabile entità geografica». Berlino e Parigi? «Mal sopportavano la pretesa di Berlusconi di recitare un ruolo pari al loro e la stessa cosa si ripete oggi con Renzi». La verità: «L’Italia è un concorrente scomodo, soprattutto può esserlo se le si dà corda sul piano industriale e commerciale».
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Della Luna: con politici servi, non basterà uscire dall’euro
E’ fallita nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa pubblica dei paesi inefficienti imponendo a questa spesa vincoli quantitativi nonché il falso dogma della scarsità monetaria. Coloro che prendono le decisioni finanziarie generali sanno che, in un mondo che usa simboli come moneta, la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione (cioè sanno che non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile: non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito). Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta. Il difficile non è produrne quanta ne serve, ma usarla bene, decidere bene come spenderla: un problema politico, ossia di fare scelte tecnicamente valide nell’interesse generale di medio-lungo termine, e che tali siano percepite, anziché scelte di spesa di interesse personale, clientelare, mafioso, tecnicamente inefficienti, miopi, clientelari, demagogiche.Probabilmente la parte in buona fede, cioè la meno intelligente, di quelle persone, pur consapevole che la scarsità monetaria è un’illusione, ha collaborato ad affermarla come principio, ad introdurre i vincoli dell’austerità, la frusta dei mercati, il pungolo del rating e la minaccia dello spread, credendo che attraverso questi vincoli quantitativi sia possibile indurre i sistemi politici scadenti a usare bene la moneta, cioè a spendere in modo efficiente, produttivo, a fare riforme, ad ammodernarsi, a sopprimere gli sprechi e la corruzione. La prova dei fatti ha dimostrato che questa credenza era erronea, e che anzi i limiti quantitativi dell’austerità in diversi casi hanno prodotto un peggioramento qualitativo della spesa pubblica, oltre che a un peggioramento quantitativo del deficit, del debito, del Pil, del rating, dell’occupazione (i governi italiani del rigore, per esempio, hanno mantenuto e ampliato la spesa improduttiva destinata ai privilegi della casta, tagliando quella utile alla collettività, perché la casta, per conservare i suoi consensi e i suoi redditi mentre fa tagli della spesa sociale e aumenti di tasse, deve fare più clientelismo e più ruberie).Dire, con Tsipras e altri sedicenti di sinistra, che di fronte a questo fallimento dell’austerità, la soluzione sarebbe semplicemente più solidarietà, fare più spesa a deficit e comunitarizzare i debiti, significa voler restare entro il paradigma della scarsità monetaria. Specularmente, l’altro fronte del pensiero monetario sostiene che la soluzione del problema del rilancio economico sia l’approccio opposto, ossia smetterla coi mendaci dogmi della scarsità monetaria e con le relative, fallimentari ricette, e fare invece investimenti statali diretti mediante spesa pubblica a debito (che tanto lo Stato riesce sempre a sostenere, come dice la Modern Money Theory di Warren Mosler, stante che la moneta è un mero simbolo) oppure, meglio ancora, mediante una spesa sganciata dall’indebitamento (come raccomanda Antonino Galloni) attraverso l’emissione diretta di moneta da parte dello Stato. Ciò darebbe più benessere alla gente e slancio allo sviluppo, ma non migliorerebbe, anzi probabilmente peggiorerebbe, la qualità e l’efficienza della spesa, della produttività e della stessa società, incentivando atteggiamenti improduttivi, assistenzialisti e ristagnanti. Soprattutto nei paesi come l’Italia in cui la classe dominante è parassitaria e retriva, e la mentalità popolare è molto ideologica, e ampia parte della popolazione vive di redditi presi ad altra parte della popolazione. La storia insegna.La lezione da imparare e che la qualità e l’efficienza della spesa, cioè delle decisioni di spesa pubblica e privata, dipendono da fattori sociologici e politici inerenti ai differenti popoli, o ai differenti insiemi di popoli, e derivano dalle loro diverse storie. Lo dimostra il fatto che alcune nazioni vanno bene e altre male pur applicando o subendo tutte i medesimi erronei principi di economia monetaria. Cioè l’efficienza dipende dai fattori storici, sociologici, culturali; dai mores, dai meccanismi di produzione del consenso e della coesione di questo o quel popolo. I vincoli quantitativi esogeni non “correggono” questi fattori – semmai li accentuano. La Germania, il Veneto, la Lombardia hanno una spesa pubblica abbastanza efficiente; la Grecia, l’Italia, Roma, la Sicilia e la Campania no, perché hanno prassi, mores, mentalità diversi, che non correggi imponendo vincoli esterni di bilancio. I popoli efficienti non dovrebbero avere una moneta comune con i popoli inefficienti, né pagare per sostenerli. L’esperienza dell’euro mostra che imporre una moneta comune (anzi, un cambio fisso) a popoli con diverse efficienze non alza quella dei meno efficienti, ma li impoverisce; e l’esperienza dell’Italia unitaria, della Jugoslavia e di altri paesi simili mostra che non la alza nemmeno l’imporre l’unione di bilancio e la solidarietà.Tutti questi fattori, però, vengono oggi superati, sconvolti e travolti dal fatto che il grosso della spesa, dei movimenti monetari, cioè del business, avviene in mercati finanziari, apolidi, e secondo logiche aliene dalla produzione di beni e servizi e dal soddisfacimento dei bisogni reali. Se il 90% delle transazioni monetarie avviene in mercati speculativi liberalizzati, perlopiù opachi e non controllabili, il ruolo delle società, della politica e delle istituzioni nelle scelte di spesa, quindi lo stesso grado di efficienza specifica dei vari organismi nazionali, viene drasticamente ridotto. Le dinamiche e le richieste dei mercati speculativi cambiano continuamente le carte sui tavoli politici e schiacciano le decisioni degli attori del residuo 10% delle transazioni economiche, cioè dei popoli e dell’economia reale, pubblica e privata. Tendono a imporre loro i propri bisogni e le proprie decisioni, a fare di essi una loro colonia, una sorte di appendice, che serve essenzialmente ad assicurare al business speculativo riferimenti contabili stabili e un quadro legislativo-giudiziario di supporto. I bisogni della gente non devono interferire. Perciò lo Stato è divenuto rappresentante di interessi esterni e in conflitto con quelli del popolo, quindi ha perso la legittimazione rispetto a questo.(Marco Della Luna, “Dopo la scarsità monetaria”, dal blog di Della Luna del 5 luglio 2015).E’ fallita nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa pubblica dei paesi inefficienti imponendo a questa spesa vincoli quantitativi nonché il falso dogma della scarsità monetaria. Coloro che prendono le decisioni finanziarie generali sanno che, in un mondo che usa simboli come moneta, la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione (cioè sanno che non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile: non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito). Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta. Il difficile non è produrne quanta ne serve, ma usarla bene, decidere bene come spenderla: un problema politico, ossia di fare scelte tecnicamente valide nell’interesse generale di medio-lungo termine, e che tali siano percepite, anziché scelte di spesa di interesse personale, clientelare, mafioso, tecnicamente inefficienti, miopi, clientelari, demagogiche.
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Rosacroce, la fratellanza del sapere emarginata dal potere
Innanzitutto, loro cominciano a chiamarsi Rosacroce da un certo punto in poi, ma esistevano anche prima. In quegli anni era normale che una confraternita di questo tipo fosse segreta; è oggi che questa segretezza lascia il tempo che trova – e anzi, tutto quello che è segreto, giustamente, desta sospetti. La confraternita dei Rosacroce – a mio avviso, secondo i miei studi – nasce da una precedente e più universale confraternita, che si chiamava Stirpe di David. Gioacchino da Fiore la chiama Radix Davidis. Questo nome, Radix Davidis, lo trovi un po’ dappertutto. Lo trovi, ad esempio, sul simbolo adottato dal diciassettesimo grado della massoneria, che – guarda che combinazione – è il grado precedente a quello di Rosacroce. Io mi sono chiesto a lungo questa Radix Davidis cosa fosse, finché ho scoperto che i presidenti degli Stati Uniti d’America giurano sulla Bibbia aperta in una certa pagina. Giurano lì, perché lì c’è la manifestazione di quello che avrebbe dovuto essere la Stirpe di David. Perché giurano sul Genesi, 49. Giacobbe prende i 12 figli, che poi sono i capi delle 12 tribù di Israele, e ne commenta quello che sarà il ruolo, gli attribuisce una funzione, o un giudizio.E, in particolare, a Giuda dedica questi versi: “Giuda, te loderanno i tuoi fratelli, la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici, davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone, o come una leonessa; chi oserà farlo alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, vinché verrà colui al quale esso appartiene, e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello, e a scelta vite il figlio della sua asina; lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti più del latte”. In questi versi ci sono i presupposti di quello che poi sarà il simbolismo dei Rosacroce. Da Giuda discenderà David; David prenderà il trono rispetto a Saul perché ristabilisce la regalità della tribù di Giuda su tutti gli ebrei. E quindi la Stirpe di David è anche la tribù di Giuda, tant’è vero che Matteo l’evangelista, per radicare Gesù Cristo in questa stirpe, e non in altre, fa tutto il genetliaco, fino ad arrivare ai genitori di Cristo, comprovando così che loro sono della tribù di Giuda. Uno dei tanti significati del famoso acrostico “Inri” è “Iesus Nazarenus Rex Judaeorum”.Seconda cosa da sottolineare, i colori dei Rosacroce sono il nostro tricolore: rosso, bianco e verde. Il nostro tricolore viene scelto come futura bandiera italiana e come simbolo dell’Ausonia, cioè dell’Italia, in una loggia rosicruciana milanese. Perché bianco, rosso e verde? Perché sono i colori che vengono enunciati in quel passo della Bibbia: la pianta della vite è verde, il vino è rosso, “bianchi i denti come il latte”. Sono i colori dei Rosacroce. Tant’è vero che Beatrice, nella “Divina Commedia” (Dante faceva parte di una setta pre-rosicruciana che si chiamava Fidelis in Amore) è vestitata di bianco, rosso e verde. Molto probabilmente, a livello simbolico, la regalità della Stirpe di Giuda, cioè della Radix Davidis, nasce per ricuperare una condizione perduta. A un certo punto della Bibbia, Abramo va a trovare Melchisedek, e nel momento in cui a va a trovare Melchisedek c’è il sacrificio del pane e del vino: la comunione, così come istituita da Gesù Cristo nel Vangelo, noi la troviamo molto prima. Melchisedek era un re-sacerdote, quindi un’emanazione della divinità, era tutt’uno con la divinità; con Abramo siamo alla venerazione della divinità. C’è stata la separazione dell’uomo da Dio; da quel momento, però, una serie di uomini si devono occupare di ripristinare questo stato: Davide, poi suo figlio Salomone. Il Tempio di Salomone è il simbolo del ricupero della condizione umana come emanazione del divino, non come venerazione del divino.Emergono tracce di questa tradizione in tutta una serie di personaggi, negli imperatori romani, nel popolo dei Visigoti, per esempio; nel personaggio di Galla Placidia, quindi nella dinastina dei Flavii. Questa dottrina e questa tradizione riemergono potentemente in Gioacchino da Fiore, che possiamo considerare quasi un loro rifondatore. In Inghilterra c’era stato Ruggero Bacone, un frate francescano che è poi quello che ha ispirato il personaggio del frate ne “Il nome della rosa” di Umberto Eco, che è un esempio tipico di dottrina e di cultura rosicruciana. Quindi, anche depositario di conoscenze incredibili: Ruggero Bacone è colui che nel “De optica”, praticamente, spiega come – 400 anni dopo – costruire un cannocchiale. Si mantiene il nome Radix Davidis fino a Giordano Bruno. In Italia si è chiamata anche Fidelis in Amore. Ne è stato esponente Dante, ma anche – un po’ inquieto e un po’ in opposizione con essa – Federico II. E ci sono stati i Templari. I Templari, quando nascono, nascono con lo stesso obiettivo di Abramo quando va a trovare Melchisedek. Perché il templare che cos’è? E’ un monaco-guerriero, quindi “re” e sacrerdote – è la riunificazione, no? I Templari nascono dopo la Prima Crociata, non prima – perché, avendo già riconquistato Gerusalemme, si poteva riportare questo “tesoro” nel tempio.Quindi, i Templari non nascono – come dicono tutti quanti – per cercare qualcosa, o per sottrarlo e custodirlo; nascono per riportarlo, per ricongiungere, per reintegrare il tempio. Per questo, “cavalieri del tempio”. Non nascono con la regola di San Bernardo, non nascono con una vocazione di potere che poi li perderà; nascono con la regola di Sant’Agostino. Dopo, cosa succede? Si omologano, anche loro, al potere dell’epoca, e adottano la regola di San Bernardo. Erano diventati uomini d’affari, e gli uomini d’affari creano le banche. A tal punto perdono il loro scopo primario, che finiscono per perdere Gerusalemme, per un motivo bieco: avevano instaurato a Gerusalemme la regola in base alla quale chiunque visitava Gerusalemme doveva pagare un obolo. Gerusalemme era sacra per tutti, non solo per i cristiani: era sacra per gli ebrei, per gli arabi. A un certo punto, tramite un loro bieco personaggio, che si chiamava Rinaldo di Chatilly, mettono in piedi un piano per conquistare la Mecca, in maniera da far pagare agli arabi l’obolo anche per visitare la Mecca. A quel punto gli arabi, che erano divisi, di fronte a un pericolo così forte si unificano e riconquistano Gerusalemme. Quindi, i Templari “muoiono” cent’anni prima di quando viene distrutto il loro ordine, perché perdono lo scopo: sono Templari senza tempio.Viene nominato l’ultimo gran maestro, De Molay, che invece apparteneva alla parte dei Templari non contaminata, che cerca di salvarli, ma purtroppo è tardi: il potere si è già coalizzato contro di loro, e Giacomo De Molay si chiamava Jacobus Burgundus De Molay, il che significava che era un burgundo, cioè un goto. Quindi, come vedete, la Radix Davidis cammina, viene preservata. Poi si estingue l’Ordine del Tempio, ma non si estingue il templarismo. Quindi, i Templari, con le loro conoscenze, vanno in Scozia, vanno a Kilwinning: la parte buona viene ricuperata e gestita dalla confraternita, e sceglie di dirottare tutte le proprie energie nel campo dell’arte. Allora trovare un Trecento, un Quattrocento e un Cinquecento dove i massimi rappresentanti della Radix Davidis sono nel mondo dell’arte. Trovate Leonardo, Botticelli, Raffaello, Tiziano. Pensavano che l’arte fosse il miglior modo per conservare quello che loro volevano conservare – messaggi, ad esempio. In particolare, invece, Leonardo viene utilizzato per depistaggio. Leonardo viene fabbricato, proprio: tenete presente che il nonno di Leonardo fa sparire i veri dati familiari.La famiglia di Leonardo piomba nella città di Vinci, ma non c’è nessun dato che dica da dove venga, come si chiami, dove stava prima. Dopodiché il nonno di Leonardo fa un’altra bella operazione: impone al figlio Piero di fare un figlio con una donna che a lui non piace, e che poi ripudierà per sempre, che oggi tutti gli studiosi dicono che era di provenienza mediorientale. Bastava guardare come la chiamava Leonardo per capire da dove venisse: Leonardo, la madre la chiama Catarina – non Caterina – e Catarina viene da Cataro, quindi probabilmente di provenienza mediorientale, quindi sempre di quella cosiddetta Radix Davidis. Leonardo è l’unico artista dei suoi tempi che ha sempre soldi in tasca, che non ha mai problemi economici, ma soprattutto che viene sempre gradito a qualunque potere – finché c’è il Moro è gradito al Moro, e quando arrivano i francesi è gradito ai francesi, che se lo portano in Francia. E in tutte le sue opere “pianta” tutta una serie di messaggi depistanti, che – se uno va a guardare – da Raffaello invece vengono corretti. Cioè, il messaggio depistante del Cenacolo, con l’identità della Maddalena con San Giovanni, viene rettificato da Raffaello in un quadro che si chiama “L’estasi di Santa Cecilia”, dove ci sono sia San Giovanni che la Maddalena. E San Giovanni sempre effeminato viene dipinto, ma perché aveva 17 anni.E’ questo, quindi, il ruolo di depistatore di Leonardo, che è servito poi per fabbricare tutta la letteratura su Rennes-Le-Chateau, che spinge tutti quanti a cercare il figlio di Gesù Cristo, sostanzialmente (perché poi questa è la verità, quindi il “Codice da Vinci”, eccetera: cioè, il mondo si divide tra quelli che mettono in dubbio il fatto che Gesù Cristo sia esistito e quelli che cercano il figlio; quelli che si occupano, invece, di quello che c’è stato in mezzo, a tutto questo, non esistono). Nel percorso parallelo, alchemico e artistico – di alchimisti che però erano proto-scienziati, come Michael Sendivogius, Rosacroce e alchimista, che è lo scopritore dell’ossigeno – arriviamo a Giordano Bruno. E’ lui il perno della rinascita rosicruciana; ricuperava tradizioni iniziatiche egizie, mitraiche, con una collocazione nell’ambito di una visione scientifica del mondo: il principale difensore di Galilei fu Giordano Bruno, che riorganizza la confraternita ribattezzandola Giordaniti. Fa questa riunione, in cui arrivano tutti i futuri Rosacroce – quindi: Simon Studion, Michele Mayer, Jacob Andreae (che è il nonno di quel Johan Valentin Andreae che è l’autore de “Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”, il testo base dei Rosacroce).Nel momento in cui in qualche modo circola la notizia che Giordano Bruno ha deciso di portare i Giordaniti alla luce del sole, capisce che tutti i suoi sono in pericolo. E quindi, praticamente si consegna: perché quando lui è a Venezia, già in odore di scomunica, un nobile veneziano gli fa una specie di raccomandazione per andare a Roma; lui, con questa raccomandazione (che non conta nulla) va volontariamente a Roma e si fa imprigionare. E’ chiaro che è andato lì perché, facendosi imprigionare lui, salvava la vita a tutti gli altri – gli risparmiava un’ondata di persecuzioni. Nel 1600 Giordano Bruno viene giustiziano, e nel 1622 ricompaiono i manifesti rosicruciani a Parigi e viene adottato il nome Rosacroce. La rosa e la croce sono state accostate per la prima volta nel Paradiso della “Divina Commedia” di Alighieri. Da un punto di vista politico, la rosa (uno dei simboli di Lutero) simboleggiava una riunificazione del mondo cristiano. Un altro significato è che la rosa era il simbolo della sapienza orientale – attenzione: non la rosa rossa, la rosa gialla (la cosiddetta rosa Tea) – e la croce era il simbolo di quella che sarebbe stata la sapienza occidentale. Tutti questi accostamenti, possibili e immaginabili, sono tipicamente rosicruciani – l’attribuzione di un molteplice significato allo stesso simbolo, cioè la multifunzione.Nel momento in cui invece i Rosacroce si manifestarono, si avviarono grandi persecuzioni. L’imperatore, che aveva rappresentato la speranza dei Rosacroce, gli scatena contro una serie di guerre. A questo punto, succede che Valentin Andreae nega che esistano i Rosacroce. Dall’Inghilterra, Robert Fludd (un altro allievo di Giordano Bruno) scrive un’opera, “Silentium post clamores”, che è un messaggio preciso a tutti i confratelli: in realtà, siccome c’era stato molto chiasso, bisognava a essere invisibili, come dovevano essere i Rosacroce. Nel ‘700 avviene un’altra cosa molto importante. Le indicazioni rosicruciane, anche scientifiche, provocano tre conseguenze: la prima è la nascita dell’Illuminismo; il secondo punto è la morte della massoneria antica e la nascita della massoneria moderna. La massoneria antica aveva viaggiano in modo completamente collegato con i Rosacroce, la massoneria moderna no. L’ultimo gran maestro della massoneria antica si chiamava Christopher Wren, era un architetto inglese. Londra brucia; tra le altre cose, brucia anche il tempio della massoneria, con tutti i suoi archivi europei. Christopher Wren viene incaricato di fare il progetto per ricostruire Londra, e ricostruisce tutto meno che il tempio della massoneria (cioè: non rifà la massoneria).Nel 1717 si costituisce la cosiddetta massoneria moderna, quella speculativa, a Londra, con quattro logge che si riuniscono e fanno le cosiddette Costituzioni di Anderson. Ma si costituisce un qualcosa di diverso, tant’è vero che al suo interno ci sono ancora dei soggetti rosicruciani, ma sono soggetti che perderanno la loro battaglia. Il problema è che la massoneria moderna nasce come organizzazione diretta alla gestione del potere, punto. La massoneria antica non era così. E soprattutto, nasce una cultura scientifica che si mette a fare la guerra alla radice da cui è nat: i chimici fanno la guerra agli alchimisti, Newton viene buttato fuori dalla Royal Society perché accusato di alchimia, e il suo posto lo prende Robert Boyle, che è massone anche lui ma è questo nuovo massone. In Francia nasce un sentimento anti-cristiano nella massoneria, per cui non si giura più sulla Bibbia e non si parla più di Grande Architetto dell’Universo. Da questa cosa qui nasce poi la deviazione di cricche, che vorrebbero essere Rosacroce ma sono solo rosicruciane, in cricche addirittura sataniche, luciferine, prometeiche. Nascono la Societas Rosicruciana in Anglia, la Golden Dawn; nasce Crowley; nasce quella che Paolo Franceschetti chiama “La Rosa Rossa”: non so e poi si chiami veramente così, ma sicuramente all’80% Franceschetti ha ragione.Nel momento in cui viene emarginato completamente tutto un tipo di ricerca spirituale, esoterica e alchimistica, in nome dei “lumi della ragione”, l’unica parte che conviene al potere che sopravviva, di quella ricerca, è quella che rappresenta un buon motivo per diffamarla: al potere convengono i satanisti, convengono le logge deviate, conviene lo sputtanamento – conviene tutto questo, al potere, perché comporta la regressione della parte realmente pericolosa della ricerca spirituale (pericolosa per il potere, perché ne mette in discussione i fondamenti). E’ uno dei motivi per cui i Rosacroce a Yalta decidono di andare ad esaurimento, diciamo – infatti, da Yalta ad oggi non sono mai più emersi dei nuovi Rosacroce. Quando vedevano un artista, una persona particolare, di un certo livello, i Rosacroce tendevano ad accoglierlo, anche se non faceva parte geneticamente della Stirpe di David. Dalla riunione di Yalta, secondo i miei studi, i Rosacroce non hanno più accolto nessuno. Nel momento in cui ci fu Yalta, e poi la costituzione dell’Onu, all’interno del quale avevano degli esponenti, rivendicarono una serie di scelte, che non furono accolte: l’Onu doveva essere diverso, lo Stato di Palestina doveva essere fatto. Certo, c’erano le convenienze degli Stati nazionali, c’erano le lobby economiche che erano nate, c’era tutto un meccanismo di questo tipo: stava già nascendo quello che poi sarebbe diventato il Bilderberg, stavano già nascendo le organizzazioni. L’ultimo gran maestro è stato Salvador Dalì, e quando è morto non hanno fatto dei nuovi gran maestri. Sono andati ad estinguersi.(Gianfranco Carpeoro, “I RosaCroce”, intervista editata su YouTube il 23 settembre 2012. Avvocato, pubblicista e scrittore, massone e già “sovrano gran maestro” della Loggia di Piazza del Gesù, di rito scozzese, Carpeoro è uno studioso di Giordano Bruno nonché uno dei massimi esperti di simbologia).Innanzitutto, loro cominciano a chiamarsi Rosacroce da un certo punto in poi, ma esistevano anche prima. In quegli anni era normale che una confraternita di questo tipo fosse segreta; è oggi che questa segretezza lascia il tempo che trova – e anzi, tutto quello che è segreto, giustamente, desta sospetti. La confraternita dei Rosacroce – a mio avviso, secondo i miei studi – nasce da una precedente e più universale confraternita, che si chiamava Stirpe di David. Gioacchino da Fiore la chiama Radix Davidis. Questo nome, Radix Davidis, lo trovi un po’ dappertutto. Lo trovi, ad esempio, sul simbolo adottato dal diciassettesimo grado della massoneria, che – guarda che combinazione – è il grado precedente a quello di Rosacroce. Io mi sono chiesto a lungo questa Radix Davidis cosa fosse, finché ho scoperto che i presidenti degli Stati Uniti d’America giurano sulla Bibbia aperta in una certa pagina. Giurano lì, perché lì c’è la manifestazione di quello che avrebbe dovuto essere la Stirpe di David. Perché giurano sul Genesi, 49. Giacobbe prende i 12 figli, che poi sono i capi delle 12 tribù di Israele, e ne commenta quello che sarà il ruolo, gli attribuisce una funzione, o un giudizio.
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Anche Tsipras al soldo dell’euro-terrorismo che ci devasta
Tsipras bifronte, eroe della liberazione greca o subdolo agente dei banchieri europei? Il debito pubblico greco è piccolo, circa 323 miliardi; perciò, vi dicono, non è grave se la Grecia lascia l’euro e se esso viene svalutato o ridenominato in dracme. Questa rassicurazione è menzognera perché i titoli di questo debito, in sé piccolo, sono usati come base per una moltiplicazione finanziaria di molte volte; inoltre, vi è una grossa massa di contratti derivati, indicizzati al titolo greco; il totale potrebbe superare i 2.000 miliardi. Perciò una svalutazione di quei titoli o una loro ridenominazione in dracme avrebbe un impatto molto forte, forse catastrofico, o destabilizzante per il business finanziario globale. E tutto questo vale per il Btp italiano molto più che per il debito greco, dato il rapporto quantitativo. Ho spiegato più approfonditamente queste cose nel mio recente, breve saggio “Sottomissione Finanziaria”, in questo blog. Ecco spiegata una buona ragione per trattenere nell’euro paesi che avrebbero bisogno ad uscirne. Una ragione che non viene resa nota all’opinione pubblica, ma che determina le scelte politiche dei suoi governanti, burattini del potere bancario.Negli anni ’70, i nostri governanti ci imposero le targhe alterne, cioè ci fecero provare il disagio della privazione dell’automobile, la paura di perdere un sistema di vita basato su di essa, per indurci ad accettare forti rincari dei prezzi dei carburanti a beneficio dei petrolieri – il tutto dietro il pretesto del risparmio energetico, che non ci fu. E anche quella veniva chiamata “austerity”! Analogamente, Tsipras forse sta usando la stessa tecnica psicopolitica per far accettare ai greci le condizioni dei padroni-beneficiari dell’euro: indice il plebiscito per lasciare al popolo la responsabilità della scelta se accettarle o no, ma condiziona per il sì questa scelta facendo provare alla gente la paura e il disagio della chiusura bancaria e della privazione dei soldi: se voteranno sì, la buona Europa concederà gli aiuti e tutto tornerà normale. Normale per un po’, perché gli effetti macroeconomici e strutturali dell’euro, cioè la divaricazione progressiva delle economie, in un anno circa riproporrebbero il problema.Sussiste un preciso elemento indiziario che suggerisce che Tsipras in realtà stia facendo il doppio gioco al servizio dei padroni dell’euro e della grande finanza nel senso suddetto, anziché per i greci – un elemento che ha in comune con Grillo e con Iglesias, l’economista spagnolo leader del partito “Podemos”: tutti e tre, in fondo, agiscono da neutralizzatori del dissenso, cercano di tenere nell’euro i loro rispettivi paesi ed evitando di parlare sia della realtà indicata nel primo paragrafo di questo articolo, sia e soprattutto della radice ultima dei problemi monetari e finanziari, ossia del fatto che usiamo una moneta creata interamente (quasi) dalle banche con operazione di prestito-indebitamento, quindi che siamo tutti (escluse le banche) impegnati nell’assurdo compito di estinguere i debiti con denaro preso a debito, e soprattutto del fatto che questo sistema è creato e imposto da una classe globale di soggetti che hanno il potere di creare e far accettare, a costo zero e senza produrre beni reali, moneta contabile, con cui comprano o finanziano (cioè indebitano) praticamente tutto e tutti, incluse le istituzioni e la politica, come ho spiegato nel mio recente articolo “La macchina del destino”. E che è questa classe sociale a governare l’Occidente. Incontrastata e irresponsabile.L’euro stesso è un sistema con cui i paesi forti (soprattutto la Germania) si fanno banchieri dei paesi “eurodeboli” (soprattutto l’Italia), accumulando crediti verso di loro, sottraendogli liquidità con gli interessi e l’imposizione di avanzi primari, e imponendo loro misure recessive che li indeboliscono ulteriormente nell’economia reale e nella competitività internazionale. Alla fine conseguono il pieno controllo di questi paesi, così come le banche conseguono il controllo delle aziende che dipendono da esse per tirare avanti. E’ un sostituto della conquista militare dei secoli scorsi. La Bce, con le sue misure di sostegno (acquisti massicci di debito pubblico dei paesi eurodeboli sui mercati secondari), in realtà svolge il còmpito di mascherare tale processo di demolizione pilotata, per rendere possibile il suo completamento. Una Bce che, mediante tali acquisti, assicura il rifinanziamento del debito pubblico a tassi minimi a paesi con un rating da spazzatura, e che quindi sarebbe logico e sano che divenissero insolventi, è come un medico che mantiene in vita una persona mediante una macchina di supporto vitale, mentre un altro le espianta gli organi, e l’imbonitore di turno chiama questo espianto “riforme” e “risanamento”, e dice che grazie ad esse il paziente è oramai fuori pericolo e si è riguadagnato rispetto, autorevolezza e fiducia sui mercati. Cerca persino (invano), attraverso il quantitative easing, di dare l’impressione di una ripresa reale.Non è fuori pericolo: se togliessimo all’Italia il sostegno artificiale e anti-mercato della Bce, i tassi (rectius: i rendimenti) schizzerebbero alle stelle e l’Italia tornerebbe alla lira. Ma tornerebbe ad essa indebolita dall’azione di governi che, col pretesto del risanamento, hanno tagliato le gambe sua economia in modo strutturale (chiusure aziendali, disoccupazione, indebitamento, emigrazione dei migliori), difficilmente reversibile, portando la pressione fiscale sulle aziende al 70%, ossia a livelli tali da renderle non competitive rispetto alla concorrenza straniera. Per non parlare del differenziale dei costi energetici.(Marco Della Luna, “Tsipras bifronte” dal blog di Della Luna del 30 giugno 2015).Tsipras bifronte, eroe della liberazione greca o subdolo agente dei banchieri europei? Il debito pubblico greco è piccolo, circa 323 miliardi; perciò, vi dicono, non è grave se la Grecia lascia l’euro e se esso viene svalutato o ridenominato in dracme. Questa rassicurazione è menzognera perché i titoli di questo debito, in sé piccolo, sono usati come base per una moltiplicazione finanziaria di molte volte; inoltre, vi è una grossa massa di contratti derivati, indicizzati al titolo greco; il totale potrebbe superare i 2.000 miliardi. Perciò una svalutazione di quei titoli o una loro ridenominazione in dracme avrebbe un impatto molto forte, forse catastrofico, o destabilizzante per il business finanziario globale. E tutto questo vale per il Btp italiano molto più che per il debito greco, dato il rapporto quantitativo. Ho spiegato più approfonditamente queste cose nel mio recente, breve saggio “Sottomissione Finanziaria”, in questo blog. Ecco spiegata una buona ragione per trattenere nell’euro paesi che avrebbero bisogno ad uscirne. Una ragione che non viene resa nota all’opinione pubblica, ma che determina le scelte politiche dei suoi governanti, burattini del potere bancario.
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Craig Roberts: i greci vogliono restare nell’inferno euro-Ue
Alcuni anni fa Thomas Frank ha scritto un libro, “What’s the Matter with Kansas”, qual è il problema con il Kansas. Il libro parla di come gli statunitensi ai quali è stato fatto il lavaggio del cervello votino contro i loro propri interessi economici e politici. La totale stupidità dei popoli li rende indifesi dagli artigli dei rapaci. Oggi Thomas Frank potrebbe porre la stessa domanda a riguardo dei greci che hanno subito quel trattamento. Il 22 giugno, “Rt” ha parlato di un’enorme manifestazione di greci ad Atene: sventolavano la bandiera dell’Ue e chiedevano al loro governo di venderli alla Troika. I greci sono così determinati a far parte dell’ “Europa” che desiderano di pagarne il prezzo venendo gettati economicamente a terra e smettendo di esistere come Stato sovrano.Gli idioti che hanno partecipato a questa “manifestazione per l’Europa” hanno reso difficile, se non impossibile, al governo greco ammorbidire l’austerità che viene imposta dall’1% alla popolazione greca. Tra i cittadini delle nazioni occidentali, i greci hanno sperimentato sulla propria pelle la mancanza di cuore e l’avidità dell’1% molto più duramente di ogni altro popolo. Eppure accettano questi maltrattamenti come prezzo da pagare per essere europei. È un miracolo che Alexis Tsipras non abbia rassegnato le sue dimissioni mandando all’inferno il popolo idiota.(Paul Craig Roberts, “Il popolo greco chiede la sua stessa distruzione”, da “Information Clearing House” del 23 giugno 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Craig Roberts è stato assistente segretario del Tesoro Usa nel governo Reagan ed editore associato del “Wall Street Journal”. Era opinionista di “Business Week”, “Cripps Howard News Service” e “Creators Syndicate”. Ha tenuto molte conferenze universitarie. I suoi post su Internet hanno lettori in tutto il mondo. Il suo libro “How the Economy Was Lost” è disponibile su “Counterpunch” in formato digitale. Il suo ultimo libro è “How America Was Lost”.Alcuni anni fa Thomas Frank ha scritto un libro, “What’s the Matter with Kansas”, qual è il problema con il Kansas. Il libro parla di come gli statunitensi ai quali è stato fatto il lavaggio del cervello votino contro i loro propri interessi economici e politici. La totale stupidità dei popoli li rende indifesi dagli artigli dei rapaci. Oggi Thomas Frank potrebbe porre la stessa domanda a riguardo dei greci che hanno subito quel trattamento. Il 22 giugno, “Rt” ha parlato di un’enorme manifestazione di greci ad Atene: sventolavano la bandiera dell’Ue e chiedevano al loro governo di venderli alla Troika. I greci sono così determinati a far parte dell’ “Europa” che desiderano di pagarne il prezzo venendo gettati economicamente a terra e smettendo di esistere come Stato sovrano.
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Banche, tasse, euro? Siete morti (Thomas Jefferson, 1800)
Sulla distruzione del potere degli Stati di spendere per l’Interesse Pubblico, da parte del sistema euro che consegna questo potere alle banche, dalla Bce in giù: «Penso che le banche siano, per la nostra libertà, più pericolose di un esercito… se la gente permette alle banche private di controllare l’emissione di moneta, prima con inflazione e poi con deflazione, le banche e le corporations che cresceranno attorno alle grandi banche priveranno la gente delle proprie cose, finché i loro figli si troveranno a dormire sotto i ponti». Sulla sproporzionata tassazione impostaci dal Pareggio di Bilancio in Costituzione e che finanzia la nostra distruzione sociale, ordine della Troika europea e che nessun italiano ha mai votato. E sulla giusta reazione contro la tirannia della Troika: «Obbligare la gente a finanziare con le proprie tasse la propaganda di idee che non sono nel loro interesse, è criminale e tirannico… L’albero della libertà va rinfrescato di tanto in tanto col sangue dei patrioti e dei tiranni».Sulla devastazione di redditi e pensioni, sotto false pretese di salvezza nazionale, per arricchire un nugolo di speculatori e ‘rentiers’: «La felicità di un popolo esiste se esso riesce ad impedire al governo di distruggere il lavoro della gente con la falsa scusa di tutelarli… Infatti la democrazia muore quando si ruba a chi lavora per dare a chi non fa nulla». Autore di queste parole è Thomas Jefferson, 1743-1826. Ok, abbiamo fatto passi avanti.(Paolo Barnard, “Commenti sulla dittatura finanzia e politica odierna”, dal blog di Barnard del 26 giugmo 2015).Sulla distruzione del potere degli Stati di spendere per l’Interesse Pubblico, da parte del sistema euro che consegna questo potere alle banche, dalla Bce in giù: «Penso che le banche siano, per la nostra libertà, più pericolose di un esercito… se la gente permette alle banche private di controllare l’emissione di moneta, prima con inflazione e poi con deflazione, le banche e le corporations che cresceranno attorno alle grandi banche priveranno la gente delle proprie cose, finché i loro figli si troveranno a dormire sotto i ponti». Sulla sproporzionata tassazione impostaci dal Pareggio di Bilancio in Costituzione e che finanzia la nostra distruzione sociale, ordine della Troika europea e che nessun italiano ha mai votato. E sulla giusta reazione contro la tirannia della Troika: «Obbligare la gente a finanziare con le proprie tasse la propaganda di idee che non sono nel loro interesse, è criminale e tirannico… L’albero della libertà va rinfrescato di tanto in tanto col sangue dei patrioti e dei tiranni».
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Orso: rabbia e odio esploderanno, al rogo servi e traditori
Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.Il darwinismo sociale più feroce fa da contraltare ai risibili e vuoti diritti liberaldemocratici, mantenuti in vita propagandisticamente. La competizione pleistocenica fra dominati, per la pagnotta, che il dominio del mercato ha scatenato non porta alla civiltà, ma al suo esatto contrario. Darwinismo sociale senza welfare e competizione esasperata per una “pagnotta” sempre più misera sono il destino delle classi dominate, come in tanti, pur confusamente, dovrebbero aver intuito. Le “aspettative decrescenti” si sostituiscono prepotentemente, se permane in chi giudica un po’ di senso della realtà, a quelle crescenti di fine novecento, mentre procede il grande travaso di risorse dal lavoro (e dal piccolo capitale produttivo) al grande capitale finanziario. Nel nostro lembo d’Occidente, l’euro ha proprio questa specifica funzione di esproprio e impoverimento massivo. Grecia, Portogallo e persino Italia non dovrebbero più esistere, secondo la classe globale dominante che manovra la Troika, perché inutili alla creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica.Lo smottamento sociale continua, “ma il Re del Mondo ci tiene prigioniero il cuore” [“Il Re del Mondo”, Franco Battiato]. I mendicanti di Baudelaire, nel ventre della Parigi ottocentesca, avevano migliori prospettive dei nostri precari alla canna del gas. Distrutto il futuro e ottenebrate le menti, il neocapitalismo finanziario gestisce attraverso il mercato la politica, l’alimentazione, la biologia, la chimica, le nanotecnologie, la balistica, la teologia. Una superfetazione finanziaria, che esplode periodicamente in bolle e travolge i confini e le resistenze, rischia di annichilire il pianeta. La trasformazione dell’uomo è in pieno corso, ed è una diminuzione senza scampo. Magari fosse soltanto il passaggio da consumatore/produttore a precario/escluso, o la discesa in una nuova classe inferiore, nella parte più bassa della piramide sociale. “Sotto il mare sta cambiando la mia struttura e il mio corpo è sempre più uguale ai pesci. I miei capelli diventano alghe” [“Plancton”, Franco Battiato].E’ L’Italia che sconta la peggior manipolazione culturale-antropologica delle neoplebi precarie, sorta di futuri “schiavi autosussistenti” (che dovranno badare da soli alla propria sopravvivenza, pur essendo schiavi, senza alcun intervento del padrone) costretti a lavorare o semplicemente a campare con 400 euro il mese, o anche di meno. I segnali sono evidenti, perché è qui che si afferma senza contrasti la sinistra neoliberista più forte d’Europa (piddì), al soldo di Goldman Sachs e di Soros, non ci sono sommosse sociali, disordini di piazza, movimenti extraparlamentari apertamente contro, attivi e inquieti. C’è soltanto il nulla della dominazione neocapitalistica, condito con uno dei più alti tassi di corruzione del mondo (e le due cose sono collegate). Sarà l’Italia il banco di prova importante, in Occidente, del trionfo neocapitalista, perché non basterà la trasformazione in semi-Stato, espropriato di qualsivoglia sovranità e retto da infami collaborazionisti subpolitici (piddì). Si arriverà allo stadio finale, attraverso il commissariamento definitivo a cura della Troika e un esecutivo “ponte”, nominato ed esplicitamente straniero. Preludio alla dissoluzione finale delle istituzioni e al dominio dei “mercati & investitori”, esercitato in loro nome e per loro conto dagli organi sopranazionali della mondializzazione.I collaborazionisti subpolitici serviranno ancora all’inizio dello stadio finale, per ratificare in Parlamento le decisioni prese dalle élite. Questo sarà il misero ruolo, prima della sua scomparsa, della “sinistra più forte d’Europa” (piddì). Non “Romperemo l’asfalto con dei giardini colorati” [“Paranoia”, Franco Battiato], perché il riscatto sarà duro e difficile, soprattutto se il “risveglio” avverrà fuori tempo massimo. Dopo lustri d’inerzia della popolazione, torturata dai servi del grande capitale finanziario (sinistra neoliberista, piddì) e ingannata da gruppi parlamentari d’opposizione politicamente corretta (cinque stelle), dopo la latitanza di nuove élite rivoluzionarie disposte a rischiare per scardinare il sistema, la Rivoluzione in extremis (in punto di morte, letteralmente) se ci sarà non potrà che essere violentissima, costellata di roghi e di stragi di collaborazionisti, catartica come non mai, ma sommamente incerta negli esiti. Le masse straccione mosse dalla rabbia non saranno i mugik di Lenin, ma ci assomiglieranno un po’, complice la fame (quella vera) che farà capolino fra un po’, nell’Italia che si avvicinerà alla Grecia.Saranno, costoro, più feroci dei contadini poveri dell’Ottobre Rosso, nel remoto 1917, perché in una sola generazione avranno perso troppo – lavoro, reddito, futuro, dignità e diritti, cose che i contadini russi del ’17 non avevano e non si sognavano neppure. Non mi azzardo a prevedere quanti anni ci vorranno ancora (forse un lustro?) perché la corda sia ben tesa, tanto da rompersi. Non so quali gruppi e quali forze politico-sociali guideranno le masse inferocite, e con quali programmi alternativi (keynesiano dirigista-assistenziale, neocomunista?). Di certo non saranno quelli che vediamo oggi, alla guida di opposizioni finte e vigliacche – Landini, Civati, Vendola, Fassina, Cuperlo, in una la “sinistra radicale” – semplicemente inutili – il cinque stelle, Di Maio, Di Battista – o deboli perché prigioniere della liberaldemocrazia – nel nostro caso Salvini. Forse stanno aspettando, nell’ombra, ancora inconsapevoli del ruolo che affiderà loro la storia, o forse lasceranno l’opposizione debole, ingabbiata dal sistema, per seguire altre strade, più radicali e cruente. Dalle opposizioni finte e vigliacche e da quelle inutili, invece, non dovremo aspettarci niente di buono. Andranno rapidamente verso l’estinzione.(Eugenio Orso, “Una rivoluzione sanguinosa”, da “Pauper Class” del 7 giugno 2015).Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.
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Salvini è perfetto per far sembrare Renzi il meno peggio
Tra i migliori trucchi per vincere, in qualsiasi campo, c’è quello di scegliersi il nemico. Non è un trucco difficile: basta che siano tutti distratti o ipnotizzati ed è un giochetto da ragazzi. Come se il Barcellona potesse decidere da solo che una finalissima la giocherà, che so, contro la Battipagliese. E’ un’operazione semplice: basta dire chi è l’avversario e assicurarsi una platea plaudente che si dica d’accordo, che magari si finga preoccupata dicendo cose come: “Ah, però, non sottovalutiamo la Battipagliese”. Così Matteo Renzi and his friends indicano in Matteo Salvini il nemico, l’unica opposizione esistente, l’unico avversario. Gli altri, o nominati con sufficienza o nemmeno citati: concentrarsi su Salvini sembra essere l’ordine di scuderia, forse nella speranza che al momento della scelta suprema e definitiva l’italiano di imprinting anche vagamente democratico preferisca il neocraxismo del Pd renzista alle ruspe dell’altro ragazzotto, quello con la felpa.E’ una buona mossa, soltanto un po’ rischiosa. Intanto perché vista la rapidità con cui Renzi perde pezzi di elettorato le cose possono cambiare velocemente (si veda l’ingresso al Nazzareno dalla porta posteriore, essendo quella principale presidiata da ex elettori infuriati, insegnanti nella fattispecie). E poi perché per indicare un avversario bisogna in qualche modo mettersi sul suo piano, accettarne almeno il gioco, sfidarlo sullo stesso campo. Si ricorda per esempio en passant che mentre il Salvini gigioneggia in giro parlando di ruspe e pogrom, le ruspe sono state usate a Roma, alla favela di Ponte Mammolo, per cacciare senza preavviso gente che ci abitava da anni, senza soluzioni alternative accettabili. Risultato: in una città dove si discute fittamente se gli affari sulla pelle dei migranti si possano o no chiamare “mafia” (una mafia decisamente bipartisan, tra fascisti conclamati, coop rosse e esponenti Pd), c’è ancora gente che dorme per strada davanti alla sua baracca spianata dalle ruspe.Eroiche associazioni di volontari e persone civili chiedono aiuto sui social: servono medicine, cibo, acqua, carta igienica. Qualche tenda l’ha fornita una nota (e a questo punto: meritoria) catena di articoli sportivi, mentre le istituzioni si accapigliano sui giornali a proposito di inchieste e mandati di cattura. Il salvinismo teorico di Salvini, insomma, si contrappone a un salvinismo reale, che le ruspe le usa davvero, ma si circonda di una narrazione umanitaria, confortevole pietosa. C’è chi dice che l’onnipresenza di Salvini in tivù (è quello, non il brillante eloquio da seconda media, che gli procura consensi) sia incoraggiata e agevolata proprio a questo scopo: trasformare una dialettica politica complessa in un derby tra buoni e cattivi, o almeno tra peggio e meno peggio.E’ una dietrologia complottista e quindi non le daremo peso. Ma è certo che anche i media tifano per quella soluzione da pensiero binario: o il Matteo buono (?) o il Matteo cattivo (!), e non ci sarà altra scelta. Sanno tutti che non è così, ma per il momento la cosa sembra funzionare: è una semplificazione, una caricatura, uno schema facile, e dunque – in tempi di distrazione di massa – conveniente. Il giochetto non durerà a lungo: tra uno che straparla di ruspe e uno che dice “Ok, discutiamo” puntando la pistola, sarà inevitabile una qualche terza via. Perché il trucchetto di scegliersi il nemico ha questa controindicazione: qualcuno potrebbe pensare che sono nemici entrambi, e finiscono per somigliarsi.(Alessandro Robecchi, “Ti piace vincere facile? Basta scegliere l’avversario”, da “Micromega” del 13 giugno 2015).Tra i migliori trucchi per vincere, in qualsiasi campo, c’è quello di scegliersi il nemico. Non è un trucco difficile: basta che siano tutti distratti o ipnotizzati ed è un giochetto da ragazzi. Come se il Barcellona potesse decidere da solo che una finalissima la giocherà, che so, contro la Battipagliese. E’ un’operazione semplice: basta dire chi è l’avversario e assicurarsi una platea plaudente che si dica d’accordo, che magari si finga preoccupata dicendo cose come: “Ah, però, non sottovalutiamo la Battipagliese”. Così Matteo Renzi and his friends indicano in Matteo Salvini il nemico, l’unica opposizione esistente, l’unico avversario. Gli altri, o nominati con sufficienza o nemmeno citati: concentrarsi su Salvini sembra essere l’ordine di scuderia, forse nella speranza che al momento della scelta suprema e definitiva l’italiano di imprinting anche vagamente democratico preferisca il neocraxismo del Pd renzista alle ruspe dell’altro ragazzotto, quello con la felpa.
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Craxi: via noi, il regime violento della finanza vi farà a pezzi
Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione. La privatizzazione è presentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca. Una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale. La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza.I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico, sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla.D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico. Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le Commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”. Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra, e adottato da tutti anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio.La montagna ha partorito il topolino. Anzi il topaccio. Se la Prima Repubblica era una fogna, è in questa fogna che, come amministratore pubblico, il signor Prodi si è fatto le ossa. I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti. I criteri con i quali si è oggi alle prese furono adottati in una situazione data, con calcoli e previsioni date. L’andamento di questi anni non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori. La situazione odierna è diversa da quella sperata. Più complessa, più spinosa, più difficile da inquadrare se si vogliono evitare fratture e inaccettabili scompensi sociali. Poiché si tratta di un Trattato, la cui applicazione e portata è di grande importanza per il futuro dell’Europa Comunitaria, come tutti i Trattati può essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali ed alle nuove esigenze di un gran numero ormai di paesi aderenti.Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà. Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione. Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro. La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata. Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali. Cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire. Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare.(Bettino Craxi, estratti dal libro “Io parlo, e continuerò a parlare”, ripresi da “Il Blog di Lameduck” il 19 maggio 2015. Il libro, edito da Mondadori nel 2014, cioè 14 anni dopo la morte di Craxi, raccoglie scritti del leader socialista risalenti alla seconda metà degli anni ‘90. Scritti che oggi appaiono assolutamente profetici).Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.
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L’Imperatore Gross, 1.700 miliardi: sta arrivando la fine
Forse meglio ascoltarlo, l’Imperatore dell’Impero del Male. In fondo, ed è poca consolazione per te ragazzo, ragazza, anche lui ha un Padrone, il Padrone ultimo di tutto, anche di quella leggenda buffona di Dio con la barbetta bianca. Sì, l’Imperatore del Male ha anche lui un Padrone. La Morte. E lo sa. Ecco allora che Bill Gross, l’Imperatore che valeva 1.700 miliardi di dollari (il Pil di tutta l’Italia), fa una pausa. Vale la pena ascoltarlo, fidatevi. Lui ha sentito a 70 anni appena compiuti, e per la prima volta, la voce del Padrone. Mi chiedo, anche se non ho la risposta, quale sia la differenza fra il sentire il richiamo del Padrone, che è una folata sulla nuca con questo suono… “Io distruggerò te e tutto di te…”. Sentirlo, dicevo, in una cucina di un condominio di Gorizia o in un ufficio al 120esimo piano di un grattacielo di Manhattan mentre siedi su 1.700 miliardi di dollari. Curiosa ’sta cosa, eh? Credo che sia peggio la seconda. Cioè la realizzazione dell’Imperatore da 1.700 miliardi di dollari che sbatterli in faccia alla Morte, o che protestare alla Morte i confini immani del suo Impero, vale esattamente quanto sbattergli in faccia la pensione minima della 70enne di Gorizia. Non deve essergli facile.Ma Bill Gross ha ora “un senso della fine” e anche piuttosto forte. Questo lo ha profondamente scosso, lo si capisce dalle righe che ha scritto, e lo ha portato a estendere la nuova saggezza acquisita anche al suo Impero, l’Economia. Non v’è dubbio che quando il richiamo alla finitezza di tutto arriva dal Padrone dell’Universo con la falce, il suo potere sia tale da gelare le ossa e con esse l’euforia d’immortalità di questi Imperatori. Allora il Supremo fra i supremi della speculazione finanziaria ha guardato, dopo quel richiamo, con occhi molto diversi il formicolio impazzito del suo Impero di schermi in Borsa, di High Frequency Trading, di tempeste termonucleari di denari infiniti che passano sulla testa delle masse insignificanti di noi semplici senza che noi ne siamo toccati, ma solo pisciati in testa. Li ha guardati Bill Gross, e il suo “senso della fine” gli è apparso anche lì.Più che incredibile è però il fatto che ora, dopo l’immortale “il mio regno per un cavallo” di Riccardo III (Shakespeare), Bill Gross veda la fine del Potere, del Vero Potere in Terra. «La morte mi spaventa, e mi causa quello che lo scrittore inglese Julian Barnes chiama ‘una grande agitazione’… Finirò là da dove sono venuto, dimenticato, sconosciuto e incosciente, dopo miliardi di future eternità… Mi terrorizza il morire, quelle ore intollerabili stirate all’infinito dalla medicina moderna, che accompagneranno la maggioranza di noi su quei sentieri pieni di tumori, ictus, disabilità, vecchiaia…». «Ho un senso della fine. Lo stesso senso della fine che sta assillando da qualche tempo la Grande Carica dei tori finanziari iniziata nel 1981… In quegli anni con i Titoli di Stato che ci davano interessi del 14,5%, le Borse impazzirono, e la ricchezza finanziaria venne moltiplicata come mai prima nella Storia… Ma come descrive Barnes per le vite umane, lo stesso è accaduto alle economie finanziarie degli ultimi 30 anni: accumulo, responsabilità, agitazione, e infine una catastrofica agonia. Credo che la nostra super-orbita d’investimenti sia giunta alla fine».«Ma per l’economia globale che continua a gonfiare bolle finanziarie, invece che concentrarsi sui problemi strutturali (Keynes? nda), il percorso di salvezza sembra bloccato… Se sono stati inutili i trilioni di dollari di benzina monetaria pompata dalla nostra Banca Centrale Usa (come in Giappone), come possiamo aspettarci che le stesse mosse funzionino oggi nell’Europa di Draghi? Con crescite a zero, tassi d’interessi per i risparmiatori portati da Draghi a zero o addirittura a meno 0, e con crisi di indebitamenti montanti oltre immaginazione, il ‘senso della fine’ è ormai un cappio che stringe tutti i Mercati. Vi sarà un momento in cui qualsiasi risparmiatore si rifiuterà di scambiare i suoi euro contanti con Titoli di Stato, e tutto si seccherà al sole… Ho questo senso della fine del gioco della finanza, e come con la morte, solo la data è incerta. Sento un grande senso di agitazione, angoscia. E dovreste sentirlo anche voi».Bill Gross, l’uomo da 1.700 miliardi di dollari, parla anche a voi italiani, e vi predice – guarda che incredibile coincidenza – quello che intuì Marx, seppur con termini necessariamente diversi. Ma dove siete, voi italiani? Vi rispondo: a pascolare nell’erbetta del campo, pecore a capi chini d’imprenditori, operai, impiegate e studenti che vedono solo l’orizzonte dei 50 metri davanti, Renzi, Grillo, l’Expo, la Tv e l’elemosina delle bugie di Padoan. E il Padrone con la falce se la ride, di Gross, ma soprattutto di voi, che manco vi eravate accorti di essere vivi, né di cosa vi stava finendo prima di finire. Almeno lui, Mr. 1.700 miliardi di dollari, lo sguardo l’ha sempre avuto avanti. L’Imperatore del Male è meglio di voi, italiani. Sapete?(Paolo Barnard, “Ho il semso della fine, dice l’uomo che valeva 1.700 miliardi di dollari. E tu che hai 21 anni ce l’hai, quel senso?”, dal blog di Barnard del 21 maggio 2015).Forse meglio ascoltarlo, l’Imperatore dell’Impero del Male. In fondo, ed è poca consolazione per te ragazzo, ragazza, anche lui ha un Padrone, il Padrone ultimo di tutto, anche di quella leggenda buffona di Dio con la barbetta bianca. Sì, l’Imperatore del Male ha anche lui un Padrone. La Morte. E lo sa. Ecco allora che Bill Gross, l’Imperatore che valeva 1.700 miliardi di dollari (il Pil di tutta l’Italia), fa una pausa. Vale la pena ascoltarlo, fidatevi. Lui ha sentito a 70 anni appena compiuti, e per la prima volta, la voce del Padrone. Mi chiedo, anche se non ho la risposta, quale sia la differenza fra il sentire il richiamo del Padrone, che è una folata sulla nuca con questo suono… “Io distruggerò te e tutto di te…”. Sentirlo, dicevo, in una cucina di un condominio di Gorizia o in un ufficio al 120esimo piano di un grattacielo di Manhattan mentre siedi su 1.700 miliardi di dollari. Curiosa ’sta cosa, eh? Credo che sia peggio la seconda. Cioè la realizzazione dell’Imperatore da 1.700 miliardi di dollari che sbatterli in faccia alla Morte, o che protestare alla Morte i confini immani del suo Impero, vale esattamente quanto sbattergli in faccia la pensione minima della 70enne di Gorizia. Non deve essergli facile.
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Maastricht? Non ci risulta: la rovina dell’Italia siamo noi
L’Italia sprofonda in una crisi senza uscita? Tutta colpa nostra. Siamo pigri, ignoranti, poco innovativi e anche disonesti, vista l’elevata evasione fiscale. Per non parlare del debito pubblico, troppo elevato rispetto al Pil. Nonostante le analisi di prestigiosi economisti, ormai diventate un coro di fronte allo sfacelo planetario dell’Ue e dell’Eurozona, resta ben viva sui media la voce del mainstream, secondo cui il debito sovrano è un problema, anziché un insostituibile motore di sviluppo. Visione alla quale non si sottraggono osservatori come Guglielmo Forges Davanzati, per i quali, semplicemente, l’Italia ha perso il passo già negli anni ‘90. Il male oscuro? Non il Trattato di Maastricht, non lo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la “privatizzazione” del debito, consegnato alla speculazione finanziaria internazionale, ma la mancanza di adeguate politiche industriali per consentire al made in Italy di continuare a competere col resto del mondo.I governi che si sono succeduti a partire dagli anni ottanta, scrive Davanzati su “Micromega”, hanno rinunciato ad attuare politiche industriali, confidando nella presunta “vitalità” della nostra imprenditoria, fidando nella filosofia del “piccolo è bello”. La costante riduzione della domanda interna, aggiunge l’analista, è derivata non solo dalla riduzione di consumi e investimenti privati, «ma soprattutto da riduzioni della spesa pubblica e continui aumenti della pressione fiscale». Chi e perché ha indotto quelle politiche? Davanzati non lo spiega, preferendo concentrarsi sul loro esito disastroso: i tagli alla spesa hanno indebolito il sistema e il declino della domanda interna ha ridotto i mercati di sbocco, mettendo in crisi la maggioranza delle aziende (medio-piccole), fortemente dipendenti dal credito bancario. Poi, la crisi dei mutui subprime negli Usa è rimbalzata nella cosiddetta crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona, con caduta della domanda globale, riduzioni dell’export, austerity, esplosione paurosa della disoccupazione.Unica mossa tentata: detassare e precarizzare il lavoro. Misura ingiusta e comunque insufficiente: «Se le aspettative sono pessimistiche gli investimenti non vengono effettuati e il solo effetto che può verificarsi è un aumento dei profitti netti». Giocare al ribasso, inoltre, disincentiva l’innovazione delle imprese. Servirebbe il contrario del Jobs Act, e cioè regole rigide e tutele per i dipendenti. Davanzati cita Keynes: «Se si paga meglio una persona si rende il suo datore di lavoro più efficiente, forzandolo a scartare metodi e impianti obsoleti, affrettando la fuoriuscita dall’industria degli imprenditori meno efficienti, elevando così lo standard generale». In altri termini, sostiene Davanzati, politiche di alti salari combinate con maggiore rigidità del rapporto di lavoro possono generare una condizione che aiuta le imprese a migliorare e crescere, puntando proprio sull’innovazione, senza contare che salari più alti «contribuiscono a tenere elevata la domanda aggregata, generando un potenziale circolo virtuoso di alta domanda ed elevata produttività».E’ esattamente il contrario di quanto è accaduto in Italia nell’ultimo ventennio, chiosa Davanzati. Già, ma perché è accaduto? Italiani pasticcioni o traviati da manovratori occulti? Nino Galloni, economista della Sapienza e già super-tecnico al ministero del bilancio, chiarisce: prima ancora del terremoto della globalizzazione, i guai veri per l’Italia sono cominciati nel 1981, quando la Banca d’Italia ha cessato di fare da “bancomat del governo”, costringendo l’esecutivo ad avvalersi dei titoli di Stato, acquistati dalla finanza internazionale, come fonte primaria di finanziamento pubblico. Immediata l’esplosione del debito, divenuta catastrofica con l’adozione dell’euro, moneta non più emessa dall’Italia. Galloni sintetizza: l’Italia non stava sulla luna, ma nell’Europa in cui la Francia di Mitterrand impose l’euro alla Germania che voleva la riunificazione tedesca del 1989. Kohl accettò a una condizione: che venisse sabotato il sistema industriale italiano, cioè il maggior concorrente dell’export di Berlino. A valle, quindi, gli inevitabili “errori” nella politica industriale, gli “incomprensibili” ritardi, i fallimenti a catena.Craxi fu il primo a profetizzare che, con Maastricht, l’Italia ci avrebbe rimesso le penne. Andreotti provò a resistere. E Galloni racconta che lo stesso Kohl fece pressioni, personalmente, per allontanare dal governo i funzionari come Galloni, che i “titoli di coda” per l’economia nazionale li avevano già visti alla fine degli anni ‘80. Fino a qualche anno fa, il fatidico meeting del Britannia per la svendita dell’Italia e la sua deindustrializzazione forzata era relegato tra le pieghe della letteratura “cospirazionista”, così come le pagine di libri usciti in questi anni, per esempio “Il golpe inglese”, di Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino (Chiarelettere). A bordo del Britannia nel ‘92 c’era Draghi, allora al Tesoro, poi promosso governatore di Bankitalia e oggi alla guida della Bce. Ciampi, al vertice della Banca d’Italia all’epoca del divorzio dal governo, venne eletto addirittura al Quirinale. Nessi impossibili da ignorare, a proposito di “strano” declino del made in Italy.Un altro luogo comune, citato dallo stesso Davanzati che parla di “ipertrofia” dell’apparato pubblico (in linea con la retorica padronale di Renzi), riguarda il presunto peso della pubblica amministrazione: secondo l’Eurispes, in Italia si contano 58 impiegati pubblici ogni 1.000 abitanti contro i 135 della Svezia, i 94 della Francia, i 92 del Regno Unito, i 65 della Spagna e i 54 della Germania. Inoltre, negli ultimi 10 anni l’Italia ha visto diminuire i propri dipendenti pubblici del 4,7%, mentre tutti gli altri hanno assunto: +36,1% in Irlanda, +29,6% in Spagna, +12,8% in Belgio e +9,5% nel Regno Unito. Il pubblico impiego da noi pesa per l’equivalente dell’11,1% del Pil. Anche in questo caso, la vituperata burocrazia pubblica italiana si attesta in realtà su numeri tra i più bassi in Europa: in Danimarca il costo del pubblico impiego è pari al 19,2% del Pil, in Svezia e Finlandia al 14,4% mentre Francia, Belgio e Spagna spendono, rispettivamente, il 13,4%, il 12,6% e l’11,9% del Pil. Tutti, ma proprio tutti, più dell’Italia.Paolo Barnard ha spesso citato analoghe statistiche sul tasso di produttività: quello dei lavoratori italiani surclassa, storicamente, la capacità produttiva dei mitici lavoratori tedeschi. Com’è noto, Barnard si distingue per l’acutezza spietata dall’analisi: il sabotaggio dell’economia italiana a vantaggio dell’élite finanziaria straniera, con la necessaria complicità di “collaborazionisti” nostrani ricompensati con carriere d’oro, si sviluppa negli ultimi decenni in perfetta ottemperanza del famigerato “Memorandum” di Lewis Powell, l’avvocato di Wall Street incaricato già all’inizio degli anni ‘70 di stilare un vademecum per consentire agli oligarchi di liquidare la sinistra negli Usa e in Europa. Istruzioni eseguite alla lettera: “comprare” i leader di partiti e sindacati per indurli a varare norme contro i lavoratori, infiltrare università, giornali, televisioni e sistema editoriale per forgiare il dogma del pensiero unico neoliberista, cioè la fine dello Stato sovrano, la Costituzione democratica nata dalla Resistenza per tutelare i cittadini con pari diritti e pari opportunità.Con Renzi siamo all’atto finale, la privatizzazione universale definitiva. Non manca chi invoca una politica diversa e magari salari più alti. Già, ma con che soldi? Senza più moneta sovrana, lo Stato ora è in bolletta ed è costretto a super-tassare: lo Stato “risparmia”, quindi condanna aziende e famiglie. Siamo arrivati al puro delirio del pareggio di bilancio: lo Stato ridotto a colonia, impossibilitato a spendere, costretto a restituire ogni centesimo e con gli interessi, come se non fosse più un ente pubblico ma una semplice azienda privata, una normale famiglia alle prese con un debito contratto con la banca. Eppure, il mainstream continua a trascurare la portata termonucleare dell’euro-cataclisma, la fine dell’interesse pubblico, la morte clinica degli investimenti capaci di produrre occupazione. E in pieno 2015 preferisce continuare a parlare di errori, ataviche pigrizie e imperdonabili miopie nella piccola e provinciale Italietta, incapace – per tara genetica – di sviluppare una seria politica industriale.L’Italia sprofonda in una crisi senza uscita? Tutta colpa nostra. Siamo pigri, ignoranti, poco innovativi e anche disonesti, vista l’elevata evasione fiscale. Per non parlare del debito pubblico, troppo elevato rispetto al Pil. Nonostante le analisi di prestigiosi economisti, ormai diventate un coro di fronte allo sfacelo planetario dell’Ue e dell’Eurozona, resta ben viva sui media la voce del mainstream, secondo cui il debito sovrano è un problema, anziché un insostituibile motore di sviluppo. Visione alla quale non si sottraggono osservatori come Guglielmo Forges Davanzati, per i quali, semplicemente, l’Italia ha perso il passo già negli anni ‘90. Il male oscuro? Non il Trattato di Maastricht, non lo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la “privatizzazione” del debito, consegnato alla speculazione finanziaria internazionale, ma la mancanza di adeguate politiche industriali per consentire al made in Italy di continuare a competere col resto del mondo.