Archivio del Tag ‘sovranità’
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Bifarini: agonia Ue, elettori traditi. Unica chance, l’Italexit
Dopo la bocciatura definitiva della manovra da parte della Commissione Europea con la prospettiva dell’apertura della procedura d’infrazione contro l’Italia per deficit eccessivo, da più parti ci si chiede quale strada percorrere. Scendere a patti con Bruxelles, come sembrerebbe chiedere il ministro degli affari europei Paolo Savona, o andare avanti con il muro contro muro come chiedono invece Salvini e Di Maio? Ha senso cercare ancora un accordo con l’Unione Europea sulla manovra? Credo a questo punto che non ci siano più le condizioni. C’è un accanimento da parte dell’Unione Europea nei confronti dell’Italia che è motivato più da ragioni ideologiche e politiche che da questioni economiche. La spesa a deficit prevista da questa manovra è assolutamente in linea con quanto attuato dai governi precedenti, anzi anche inferiore. Il debito pubblico, dovuto al pagamento degli interessi sul debito stesso, è cresciuto con lo stesso Monti, a riprova che le misure di austerity non funzionano, così come con Letta, Gentiloni e Renzi. Ma mai come con la coalizione giallo-verde c’era stato un attacco così duro e ostinato da parte sia di Bruxelles che dei media e di tutta la potente macchina della propaganda.Siamo di fronte a un bivio: è giunto il momento di scelte coraggiose. Continuare a sottostare a regole e parametri infondati, assurti a dogmi, significa rinunciare per sempre alla propria sovranità economica e politica. Una perdita di democrazia inaccettabile per i cittadini, che alle urne hanno espresso la loro volontà di cambiamento. C’è uno scollamento troppo forte ormai tra le istanze delle popolazioni e quelle dei tecnocrati di Bruxelles, che non le rappresentano. Attraverso l’imposizione di parametri contabili si è creata una dittatura dei mercati che sta generando solo povertà e disoccupazione. L’unica possibile via d’uscita è recuperare la propria sovranità monetaria. Continuare a ‘trattare’ con l’Ue che ci somministra la pillola mortifera dell’austerity significa condannarsi a una lenta e dolorosa agonia. Nonostante il terrorismo creato dal mainstream, tornare a una nostra moneta – che si chiami lira o qualsiasi altro nome – non rappresenterebbe nulla di trascendentale. Al mondo, a parte l’Eurozona e le ex colonie francesi che adottano il franco Cfa, ogni paese ha la propria moneta. Non si verificherebbe nessuna delle catastrofi prospettate da chi fa volutamente terrorismo.Lo spauracchio dell’inflazione, ad esempio, è infondato, perché attualmente ci troviamo in una situazione di deflazione con crisi della domanda e alta disoccupazione. Così come la corsa agli sportelli, essendo nell’epoca delle transazioni elettroniche. Insomma, niente cavallette. Il ministro Paolo Savona dice che bisogna cambiare anche il governo, non soltanto la manovra? Pare che le dichiarazioni siano state smentite, o comunque ridimensionate. Sicuramente c’è nervosismo, vista la situazione di forte scontro con l’Ue. D’altra parte c’è una stampa e un apparato di comunicazione che tifa contro il governo e fa di tutto per ridicolizzarlo e delegittimarlo. Neanche ai tempi di Berlusconi c’era tanto accanimento. Questo tende a esacerbare lo scontro e a radicalizzare le posizioni, creando un clima per nulla favorevole.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate ad Americo Mascarucci per l’Intervista “Vi spiego perchè è il momento dell’Italexit”, pubblicata su “Lo Speciale” il 23 novembre 2018 e ripresa sul blog della Bifarini).Dopo la bocciatura definitiva della manovra da parte della Commissione Europea con la prospettiva dell’apertura della procedura d’infrazione contro l’Italia per deficit eccessivo, da più parti ci si chiede quale strada percorrere. Scendere a patti con Bruxelles, come sembrerebbe chiedere il ministro degli affari europei Paolo Savona, o andare avanti con il muro contro muro come chiedono invece Salvini e Di Maio? Ha senso cercare ancora un accordo con l’Unione Europea sulla manovra? Credo a questo punto che non ci siano più le condizioni. C’è un accanimento da parte dell’Unione Europea nei confronti dell’Italia che è motivato più da ragioni ideologiche e politiche che da questioni economiche. La spesa a deficit prevista da questa manovra è assolutamente in linea con quanto attuato dai governi precedenti, anzi anche inferiore. Il debito pubblico, dovuto al pagamento degli interessi sul debito stesso, è cresciuto con lo stesso Monti, a riprova che le misure di austerity non funzionano, così come con Letta, Gentiloni e Renzi. Ma mai come con la coalizione giallo-verde c’era stato un attacco così duro e ostinato da parte sia di Bruxelles che dei media e di tutta la potente macchina della propaganda.
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Barnard: torniamo Italia, via da questa chemio-Eurozona
L’Italia deve uscire dall’Eurozona. L’Italia si deve ricordare come stavamo – sì, certo, con le nostre mafie, le mazzette, i politucoli puzzoni, le parrocchiette industriali – quello che volete, ma come stavamo prima di diventare un intero popolo di straccioni che spendono una moneta tedesca. Ma vi ricordate? Si lavorava, si compravano case e si risparmiava per i figli più di chiunque altro al mondo. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di un gruppo di ragazzetti stellati che vogliono farci tutti più onesti e corretti, ma che concordano in pieno col mantenere 60 milioni d’italiani annichiliti sotto la Chemioeconomia della moneta tedesca. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di non vedere più Rom e neri per strada, ma che invece ce ne faremmo tantissimo di avere un ‘duro con l’Europa’ che lo fosse davvero, e non un falsario cagasotto bulletto che ci ha ingannati perché tira proprio lui a diventare un Vip proprio in quell’Europa.L’Italia deve, prima di tutto, raccontare ai suoi cittadini cosa devono e dovranno pagare per tornare italiani, proprio i prezzi uno dopo l’altro, con precisione di somme e di tempi, e chiedersi: siamo disposti a pagarli per pochi anni, o forse solo mesi, per poi però tornare italiani? Rispondete sì o no. L’Italia deve allo stesso tempo raccontare ai suoi cittadini, anzi, ricordargli, quali sono i premi che dopo la burrasca gli pioveranno addosso se molliamo la moneta tedesca della Chemioeconomia. E che premi. Questo è un paese che solo-solo accettasse i prezzi della sfida all’abominio della moneta tedesca, poi diventa il Paradiso, e allora sì che andranno fatti i muri alle frontiere, ma non contro i Rom e i neri, contro australiani, tedeschi, olandesi, americani, belgi, russi…Non ci vuole molto. Basta stare compatti e stretti gli uni agli altri per il poco tempo della tempesta. Poi, mentre ci piovono addosso quei premi, ricordarsi sempre di questa regola al ministero del Tesoro: con moneta sovrana italiana, la spesa pubblica sarà maggiore delle tasse, e si scrive deficit senza nessun riguardo per le %, per tutto il tempo necessario fino a che l’ultimo disoccupato sarà stato assunto, fino a che i pensionati poveri saranno solo un brutto ricordo, fino a che le parole malattia e liste d’attesa saranno introvabili su Google Italia. L’Italia deve tornare Italia, e questa è la via. L’Italia deve.(Paolo Barnard, “L’Italia deve”, dal blog di Barnard del 6 dicembre 2018).L’Italia deve uscire dall’Eurozona. L’Italia si deve ricordare come stavamo – sì, certo, con le nostre mafie, le mazzette, i politucoli puzzoni, le parrocchiette industriali – quello che volete, ma come stavamo prima di diventare un intero popolo di straccioni che spendono una moneta tedesca. Ma vi ricordate? Si lavorava, si compravano case e si risparmiava per i figli più di chiunque altro al mondo. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di un gruppo di ragazzetti stellati che vogliono farci tutti più onesti e corretti, ma che concordano in pieno col mantenere 60 milioni d’italiani annichiliti sotto la Chemioeconomia della moneta tedesca. L’Italia deve capire che non ce ne facciamo un cazzo di non vedere più Rom e neri per strada, ma che invece ce ne faremmo tantissimo di avere un ‘duro con l’Europa’ che lo fosse davvero, e non un falsario cagasotto bulletto che ci ha ingannati perché tira proprio lui a diventare un Vip proprio in quell’Europa.
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Bush senior, il massone terrorista che ha sfigurato il mondo
E’ passato alla storia per aver condotto la prima Guerra del Golfo contro quel Saddam Hussein che l’ambasciata Usa di Baghdad aveva appena “autorizzato” a invadere in Quwait. Fino a quel momento, però, aveva collaborato con l’Urss di Gorbaciov nel rispetto degli storici trattati sul disarmo avviati da Reagan per mettere fine alla guerra fredda. Ma dietro la maschera del conservatore tradizionalista, c’era ben altro: come ricorda Massimo Mazzucco, George Herbert Bush aveva curiosamente dormito a Dallas il fatidico 22 novembre 1963, giorno dell’attentato a John Kennedy. E poi aveva soggiornato per una notte alla Casa Bianca il 10 settembre 2001, alla vigilia della strage destinata a battezzare col sangue il neonato terzo millennio. A Washington formalmente regnava suo figlio, George junior, ma le leve di comando erano saldamente nelle mani di George senior, tramite il suo “fraterno” amico Dick Cheney, vicepresidente Usa e grande ispiratore del Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano vergato due anni prima dai neocon ultra-imperialisti. Obiettivo: imprimere una svolta anche violenta alla globalizzazione, utilizzando la guerra e il terrorismo “false flag”, gestito da servizi segreti deviati. Una filiera dell’orrore che ha partortito anche l’Isis. Proprio Bush senior era stato il fondatore della cupola, una cellula massonica “impazzita” dal nome sinistro: “Hathor Pentalpha”.Lo spiega dettagliatamente Gioele Magaldi nel suo bestseller “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere: una clamorosa rilettura della storia del ‘900 illuminata da 6.000 pagine di documenti riservati. La tesi esposta: da decenni, il pianeta è condizionato dall’attività occulta di 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali che dettano le loro condizioni alle strutture “paramassoniche” sottostanti – Ue e Fmi, Banca Mondiale e Wto, Commissione Trilaterale, Bilderberg, Chatam House, Coucil on Foreign Relations – le quali poi, a loro volta, con i più noti strumenti di pressione finanziaria, supportano governi “amici” e silurano politici scomodi. Lo stesso Magaldi, massone, è stato iniziato nella “Thomas Paine”, capostipite delle superlogge progressiste: un mondo che ha prodotto personaggi come Roosevelt e Allende, Martin Luther King e Nelson Mandela, Gandhi e Giovanni XXIII, Olof Palme e Yitzhak Rabin. Fino agli anni Settanta, sostiene Magaldi, l’ambiente supermassonico progressista ha gestito in Occidente lo sviluppo industriale sul modello keynesiano, basato sulla spesa pubblica strategica per diffondere benessere in modo orizzontale. Erano i decenni del boom basato sul welfare, sui diritti sindacali e sulla mobilità sociale. Poi è arrivato il grande freddo, annunciato dal manifesto “La crisi della democrazia” promosso dalla Trilaterale. Quindi gli anni ‘80: Reagan e la Thatcher, l’ordoliberismo di Kohl e la svolta reazionaria di Mitterrand, grande padrino dell’attuale Ue.Tutto l’Occidente aveva sterzato “a destra”. Ma quella retromarcia epocale, spiega Magaldi, era stata abilmente incubata da “menti raffinatissime” come quelle della “Three Eyes” di Kissinger e Rockefeller, abili a nascondere la propria identità supermassonica oligarchica e neo-feudale. Ad aggravare il quadro, è comparsa come un tumore maligno la “Hathor Pentalpha”, fondata proprio da Bush padre dopo la bruciante sconfitta subita da Reagan alle primarie repubblicane del 1980. Era in corso una guerra inframassonica tra due superlogge neo-conservatrici, la “White Eagle” e la “Three Eyes”, divise su Reagan e Bush. Seguirono attentati: a quello contro Reagan, gli sponsor del neopresidente “risposero” con l’attentato a Wojtyla, che era stato eletto Papa con l’appoggio determinante di Zbigniew Brzezinski, lo stratega geopolitico della “Three Eyes” noto per aver reclutato Osama Bin Laden come combattente antisovietico in Afghanistan. Da quel momento, Bush padre fondò la propria Ur-Lodge, la “Hathor”, poi passata alla storia come “superloggia del sangue e del terrore”. Tra i suoi affiliati il francese Nicolas Sarkozy (la guerra in Libia), il violento autocrate turco Ergogan e l’inglese Tony Blair, che inventò le “armi di distruzione di massa” di Saddam.Se il mondo oggi è ridotto così, col Medio Oriente in fiamme e la nuova guerra fredda contro la Russia, il “merito” è di supermassoni come l’appena scomparso George Herbert Bush. «Così come altri personaggi, che aborro dal punto di vista dello stile umano e massonico, Bush senior è stato un grande contro-iniziato: non gli si può non riconoscere questa grandezza», dichiara Magaldi, in web-streaming su YouTube con Marco Moiso, vicepresidente di quel Movimento Roosevelt che lo stesso Magaldi ha fondato, con l’obiettivo di rigenerare in senso democratico la politica italiana, sottraendola all’influsso dei circuiti finanziari supermassonici oligarchici. Magaldi si dichiara «impegnato a ricostruire un tessuto planetario egemone della massoneria progressista». Ma di fronte alla morte, sottolinea, «si deve rispetto anche al peggiore degli antagonisti». Con questo spirito, aggiunge, «il mondo potrebbe evolvere in termini più rapidi verso quei valori che proprio personaggi come Bush senior hanno cercato di conculcare: occorre sempre essere migliori dei propri nemici, senza perdonarli in modo banale, ma avendo quantomeno rispetto per il dolore dei loro cari». Detto questo, George Herbert Bush resta «un grande protagonista del Novecento e anche dell’apertura del nuovo secolo», inaugurata – “grazie” a lui – con la spaventosa strage dell’11 Settembre.Sul tema, Magaldi è esplicito: Bush padre è stato «coinvolto, con altri, nella creazione della “Hathor”, che è stata la protagonista della costruzione di quella grande narrativa inaugurata dall’abbattimento delle Torri Gemelle – o “colonne gemelle”, come le colonne del tempio massonico». Era di lunga data, l’ascendenza massonica della famiglia Bush: lo stesso George senior aveva militato «nei circuiti neo-aristocratici classici», quelli delle superlogge “Three Eyes” e “Edmund Burke”. Poi, a un certo punto, s’è trovato in mezzo alla lotta che opponeva la “White Eagle” alla “Three Eyes”, attorno all’elezione di Reagan. Da qui la scelta di mettersi in proprio, con la “Hathor Pentalpha”, degradando ulteriormente il panorama supermassonico neo-conservatore: fino al mostruoso attentato dell’11 Settembre. «Con quell’evento del 2001 – afferma Magaldi – George Herbert Bush inaugurò di fatto il XXI secolo. Aveva alla Casa Bianca il figlio, ma Bush junior era sotto la tutela di Dick Cheney, amico “fraterno” del padre, che l’aveva messo lì a guidare di fatto quella presidenza». Magaldi riflette sulla “mutazione” di George H. Bush, un personaggio che fino ad allora «era stato davvero il più classico e bonario dei massoni neo-aristocratici moderati».Certo, il vecchio Bush era pur sempre «un uomo che dietro l’apparenza bonaria aveva di fatto gestito le questioni americane in Cina per alcuni anni cruciali, era stato il capo della Cia e aveva percorso tutte le tappe dell’establishment». Poi, il cambiamento: dietro un’apparenza da classico massone del New England, George senior «ha traghettato la stessa famiglia Bush (e anche gli interessi massonici della “famiglia allargata”) verso altri lidi, spianando la strada alla mutazione genetica di un certo contesto massonico, che diventa assolutamente spregiudicato e quasi incontrollabile». Un gruppo di potere particolarmente violento, «inviso agli stessi cenacoli neo-aristocratici classici, che si trovarono spiazzati da ciò che veniva fatto dal 2001 in avanti». Secondo Magaldi, la grande tradizione della massoneria è progressista e democratica, «quindi l’iniziazione massonica è veicolo di costruzione e diffusione di libertà, democrazia e diritti, e non certo di terrore sanguinario (per di più subdolo)». Per questo, aggiunge, «George Herbert Bush è stato un contro-iniziato, avendo pervertito la specifica cifra massonica». Beninteso, «l’hanno fatto anche altri», ma lui «forse l’ha fatto in modo ancora più forte».Ecco perché sono inaccettabili le parole burgiarde di Barack Obama, che ora ha salutato Bush padre come “un grande patriota”. Magaldi definisce «il “fratello” Barack Obama» in modo poco lusinghiero: «Sedicente massone progressista ma in realtà personaggio mediocre, insipido e ipocrita, eletto presidente Usa grazie a una tregua massonica fra gruppi progressisti e gruppi neo-aristocratici classici, moderati, avversi a quel filone inaugurato da Bush senior con la “Hathor Pentalpha”». Tant’è vero che la superloggia “Maat”, nella quale fu iniziato Obama, «fu costruita da un altro grande protagonista della massoneria neo-aristocratica come Zbigniew Brzezinski, e da Ted Kennedy della massoneria progressista». Obama? «Era visto come un presidente che doveva realizzare una soluzione di continuità rispetto agli anni, molto bui, in cui Bush senior e Bush junior imperversavano dalla Casa Bianca sul resto del mondo, costruendo una narrativa del terrore di cui l’Isis era il portavoce visibile. Quindi – aggiunge Magaldi – che proprio Obama parli di Bush senior come di un “grande patriota” e di un “civil servant” è un atto di ipocrisia: un conto è rendere l’onore delle armi a chi se ne va, e un conto è avere questo atteggiamento inconsistente, che cancella tutte le verità storiche e sparge una melassa inodore e insapore che non fa più capire nulla», stendendo una coltre di nebbia sull’accaduto.Essendo malato, il “fratello” Bush senior era ormai ininfluente, in quell’ambito: «Veniva al massimo consultato». Ora, prosegue Magaldi, c’è grande confusione, in quell’ambiente, dopo l’elezione del “Maverick” Donald Trump, il “cavallo pazzo” della Casa Bianca: «Parecchi digrignarono i denti, per il suo insediamento, e Bush senior è stato tra i più fieri avversari dell’elezione di Trump, che andava a rompere le uova nel paniere di chi voleva – con Jeb Bush, l’altro suo figlio, o con altri candidati – reimpostare, dopo la doppia presidenza Obama, una nuova stagione di terrorismo globale». E così, “Hathor Pentalpha”, “Geburah” e altre superlogge oligarchiche del filone «malignamente eretico, cioè votate ad atti clamorosi e spregiudicati, davvero di sangue e di terrore, sono in grande difficoltà». Motivo: «Non controllando la Casa Bianca, in questo momento, le loro armi sono alquanto spuntate». Nonostante tutto, sottolinea Magaldi, Donald Trump è un “tappo”, rispetto a questi ambienti: lo odiano, perché non risponde alle loro indicazioni. Certo, Trump «è parimenti odiato dai progressisti all’acqua di rose, quelli che vanno a guardare la pagliuzza nell’occhio altrui e non vedono la trave che sta nella loro testa».Il neopresidente poi è detestato dagli stessi gruppi neo-aristocratici, «sia quelli classici che quelli eversivi», perché Trump resta «un massone inclassificabile, svolge un suo copione narcisistico e rappresenta un problema anche per gli assetti dell’attuale globalizzazione». Tutto sommato, conclude Magaldi, Trump si è rivelato «una buona carta, da giocarsi in una visione di eterogenesi dei fini, da parte della massoneria progressista», che l’ha appoggiato sottobanco per stoppare prima Jeb Bush e poi Hillary Clinton. «Naturalmente bisogna andare oltre Trump: anzi, la presidenza Trump dev’essere uno stimolo per costruire un tessuto narrativo e operativo progressista che sia sostanziale, non formalistico o oleografico». Detto questo, dice ancora Magaldi, dalle parti della “Htahor Pentalpha” c’è grande confusione e parecchio nervosismo, oltre che un po’ di scoramento. «Noi speriamo che quell’anomalia rientri del tutto: vorremmo che quella specifica superloggia fosse proprio sciolta», chiarisce Magaldi. Lui e i suoi preferirebbero che la “guerra” per le sorti della globalizzazione si giocasse a viso aperto, tra circuiti progressisti e ambienti classicamente neo-aristocratici, magari reazionali ma «capaci di fermarsi davanti ad azioni turpi come quelle messe in opera dal 2001 in avanti fino ad anni recenti».La posta in gioco è sotto gli occhi di tutti: una battaglia sotterranea si sta combattendo tra sostenitori della sovranità democratica e propugnatori della post-democrazia, tecnocratica e finanziaria, di cui l’Unione Europea è probabilmente il peggior esempio mondiale. «C’è modo e modo di scontrarsi su presupposti ideologici diversi», dice ancora Magaldi. «La buona novella è che quei segmenti», protagonisti del terriorismo globale, ora «sono in grande difficoltà». Naturalmente nulla è mai definitivo, quindi «bisogna tenere gli occhi ben aperti», visto che «colpi di coda non sono da escludere». Ma Magaldi vede soprattutto segnali di stanchezza. «E oggi – dice – la morte di un campione di quel mondo, di quella mutazione genetica imprevedibile ed efferata, dovrebbe insegnare qualcosa: quando un ciclo finisce, bisogna anche accettarlo». Quel che c’è sapere, comunque, è che la stagione nera inauguarata dal crollo delle Torri Gemelle – cui seguirono a cascata le guerre in Iraq e in Afghanistan, le rivoluzioni colorate e le primavere arabe fino alla guerra civile in Libia e all’orrore scatenato dall’Isis, prima in Siria e poi in Europa – non è stata una sorta di fisiologia maligna del pianeta, ma un cancro sapientemente coltivato da uomini spietati come George Herbert Bush. Lui e i suoi complici sono stati protagonisti della recente strategia della tensione internazionale che ha colpito milioni di persone con una sistematica sequenza di menzogne e di morte: prima le “fake news”, poi le stragi “false flag”.E’ passato alla storia per aver condotto la prima Guerra del Golfo contro quel Saddam Hussein che l’ambasciata Usa di Baghdad aveva appena “autorizzato” a invadere in Quwait. Fino a quel momento, però, aveva collaborato con l’Urss di Gorbaciov nel rispetto degli storici trattati sul disarmo avviati da Reagan per mettere fine alla guerra fredda. Ma dietro la maschera del conservatore tradizionalista, c’era ben altro: come ricorda Massimo Mazzucco, George Herbert Bush aveva curiosamente dormito a Dallas il fatidico 22 novembre 1963, giorno dell’attentato a John Kennedy. E poi aveva soggiornato per una notte alla Casa Bianca il 10 settembre 2001, alla vigilia della strage destinata a battezzare col sangue il neonato terzo millennio. A Washington formalmente regnava suo figlio, George junior, ma le leve di comando erano saldamente nelle mani di George senior, tramite il suo “fraterno” amico Dick Cheney, vicepresidente Usa e grande ispiratore del Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano vergato due anni prima dai neocon ultra-imperialisti. Obiettivo: imprimere una svolta anche violenta alla globalizzazione, utilizzando la guerra e il terrorismo “false flag”, gestito da servizi segreti deviati. Una filiera dell’orrore che ha partorito anche l’Isis. Proprio Bush senior era stato il fondatore della cupola, una cellula massonica “impazzita” dal nome sinistro: “Hathor Pentalpha”.
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Galloni: folle tagliare il deficit, se è in arrivo la recessione
Fino a qualche settimana fa il governo italiano aveva annunciato il grande cambiamento: obiettivo strategico la crescita del Pil. Ma la trappola è scattata subito: obiettivo, sì, il Pil, ma vincolo – e come non potrebbe essere così? – i conti di bilancio. La Commissione sembra accanirsi sui decimali del deficit dopo il 2… quindi si passa dalle tragedie antiche dello 0 virgola e dell’1 virgola a quelle del 2 virgola. Salvini e Di Maio annunciano che il 2,4 di rapporto deficit/Pil è la linea del Piave. Tutti alzano la voce per consumare la tempesta perfetta nel bicchiere d’acqua. Intanto, fuori dal bicchiere d’acqua avvengono altre cose evidenti: i cosiddetti mercati si rallegrano se l’Italia crescerà un pochino; ma nessuno osserva che l’Italia sta registrando avanzi primari (lo Stato incamera sistematicamente imposte superiori alla spesa senza interessi, e poi si va in deficit con questi ultimi) e, che quindi l’effetto della manovra sul Pil non potrà essere significativo. Dopo qualche settimana di braccio di ferro Ue-Italia, la doccia fredda per tutti: Germania ed altri paesi, tra cui la stessa Italia, cominciano ad intravvedere il chiaro inizio di una recessione.A quel punto la Commissione cambia toni (ma è costretta a farlo pure l’Italia) e chiede più Pil. Se si fosse in presenza di gente seria, l’affacciarsi della recessione avrebbe dovuto imporre un maggiore deficit per stimolare investimenti e spese capaci di contrastare la caduta del Pil: certo, con un maggior deficit, l’Italia dovrà spendere di più anche di interessi sui nuovi titoli. In realtà, obiettivo Pil e vincolo di bilancio significherà che, per mantenere un deficit del 2% di Pil, se il Pil non cresce come programmato, bisognerà tagliare la spesa della differenza tra le previsioni della manovra e l’andamento effettivo. E saremmo punto e daccapo: lacrime e sangue, vale a dire la bella ricetta che ci porta in recessione. Ci sarebbero, almeno, tre considerazioni da fare. Primo, il Pil non può aumentare se, nei comparti ad alta redditività, la domanda di lavoro decresce più rapidamente dei risultati economico-finanziari; e se, nei comparti dove l’occupazione potrebbe crescere (cura delle persone, dell’ambiente e del patrimonio esistente), il costo – in gran parte il lavoro necessario – supera, salvo una minoranza di eccezioni, il fatturato. Quindi, o si interviene sul paradigma economico sociale o il Pil non crescerà o non crescerà abbastanza.Secondo, non si dovrebbe insistere sul parametro debito pubblico/Pil che era già sfavorevole all’Italia dalla fine degli anni ’80 ed è poco peggiorato in seguito; infatti, per valutare solidità e sostenibilità del debito di un paese, bisognerebbe aggiungere – al numeratore – il debito delle famiglie e quello delle imprese non finanziarie. Così si scoprirebbe che i paesi hanno debiti complessivi che vanno da poco più del 300% a meno del 500%, considerata dalle banche e dall’esperienza il limite da non valicare: non è forse vero che si ottiene un mutuo pari fino a 5 volte il reddito annuale del mutuatario? Non guasterebbe nemmeno la istituzione di un’agenzia di rating che impedisse la trasformazione in titoli spazzatura di effetti che, invece, il mercato chiede e sa apprezzare. Terzo, in funzione delle difficoltà di una crescita responsabile ed in rapporto alla esistenza di risorse inoccupate o sotto-utilizzate, perché non esercitare un po’ di sovranità monetaria degli Stati?L’euro resterebbe come unità di conto e come moneta avente corso legale in tutta l’Eurolandia (articolo 128 del Trattato di Lisbona), mentre una moneta parallela avente corso legale solo nazionale servirebbe per affrontare le maggiori spese per l’ambiente, la cura delle persone, il fabbisogno di giovani laureati nelle pubbliche amministrazioni. Non piace la parola moneta? Draghi dice che una moneta parallela sarebbe illegale? Ma quale legge la rende illegale? Essa, tuttalpiù, non è disciplinata perché il Trattato di Lisbona si occupa di altro. Ma niente paura! Lo Stato può emettere buoni spesa che poi accetterà in pagamento delle tasse: 200 euro per ogni occupato, disoccupato e pensionato per otto mesi genererà alla fine dell’anno un aumento di Pil di 48 miliardi e non si determinerà maggior deficit.(Nino Galloni, “Involuzione nel rapporto Ue-Italia, come uscirne?”, da “Scenari Economici” del 5 dicembre 2018).Fino a qualche settimana fa il governo italiano aveva annunciato il grande cambiamento: obiettivo strategico la crescita del Pil. Ma la trappola è scattata subito: obiettivo, sì, il Pil, ma vincolo – e come non potrebbe essere così? – i conti di bilancio. La Commissione sembra accanirsi sui decimali del deficit dopo il 2… quindi si passa dalle tragedie antiche dello 0 virgola e dell’1 virgola a quelle del 2 virgola. Salvini e Di Maio annunciano che il 2,4 di rapporto deficit/Pil è la linea del Piave. Tutti alzano la voce per consumare la tempesta perfetta nel bicchiere d’acqua. Intanto, fuori dal bicchiere d’acqua avvengono altre cose evidenti: i cosiddetti mercati si rallegrano se l’Italia crescerà un pochino; ma nessuno osserva che l’Italia sta registrando avanzi primari (lo Stato incamera sistematicamente imposte superiori alla spesa senza interessi, e poi si va in deficit con questi ultimi) e, che quindi l’effetto della manovra sul Pil non potrà essere significativo. Dopo qualche settimana di braccio di ferro Ue-Italia, la doccia fredda per tutti: Germania ed altri paesi, tra cui la stessa Italia, cominciano ad intravvedere il chiaro inizio di una recessione.
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Pelanda: il Quirinale guida il governo verso la resa all’Ue
Il rischio di recessione dipende da una contrazione della domanda globale che ha colpito l’export e da una crisi di fiducia sull’Italia che ha ridotto gli investimenti esterni e interni quando il governo ha esplicitato una linea de-sviluppista e assistenzialista finanziata in extradeficit, nonché una violazione aggressiva delle regole europee. Ora il governo sta cercando di evitare la procedura di infrazione da parte dell’Ue che peggiorerebbe la situazione compromettendo il sistema del credito a imprese e famiglie, causa certa di ostacolo alla crescita-ripresa. Forse è meglio dire che il Quirinale ha preso in mano, dietro le quinte, la materia, cercando un compromesso tra requisiti di ordine economico euroconvergenti e progetto politico eurodivergente della maggioranza. Tecnicamente, si tratta di ridurre dai 7 ai 10 miliardi il finanziamento in deficit del progetto di bilancio per portare il deficit proiettivo stesso sotto il 2%, dal 2,4% annunciato, e di allocare le risorse più sul lato degli investimenti e degli stimoli fiscali e meno sulla spesa assistenziale per rendere credibile almeno un minimo potenziale di crescita che non faccia peggiorare il rapporto debito/Pil nel 2019 e quindi permetta di evitare la procedura di infrazione Ue.Non sarà facile, perché ciò implica un’inversione imbarazzante dei leader della maggioranza dai loro linguaggi che disprezzano i “numerini” e antagonizzano l’Ue. Ma il Quirinale sembra aiutarli, guidando Conte e Tria nel negoziato con la Commissione, ad arrendersi senza perdere la faccia. Bene che vada, comunque, la politica economica risultante comporterà stagnazione. Pertanto l’inversione della tendenza recessiva nel 2019 dipende dalla ripresa della domanda globale, cioè dell’export. La tregua nella guerra dei dazi concordata tra America e Cina sabato sera fa tornare un certo ottimismo che, se produttiva di un accordo pur nel confronto geopolitico duraturo tra le due potenze, stimolerà nuovamente gli investimenti. Altrettanto importante per l’industria italiana è l’accordo tra America e Germania, di cui è fornitrice, per evitare dazi sull’export europeo. Trump vuole un trattato di libero scambio simmetrico e bilaterale con l’Ue che, però, mette in grave difficoltà il modello protezionista europeo. Questo è un motivo in più di riconvergenza rapida dell’Italia con l’Ue allo scopo di contribuire a un compromesso con l’America, interesse vitale per Roma e Berlino, ma che Parigi non vuole.(Carlo Pelanda, “Così il Quirinale guida il governo verso la resa all’Ue”, da “Il Sussidiario” del 2 dicembre 2018. Politico ed economista, Pelanda è specializzato in studi strategici e scenari internazionali ed economici. Insegna scienze politiche e relazioni internazionali alla University of Georgia di Athens, ed è co-direttore di Globis (Centro per gli studi globali) presso la medesima università. In Italia è editorialista de “Il Foglio”, “Libero”, “La Verità”, “L’Arena” e “Il Sussidiario”. Fa parte della Fondazione Italia-Usa. In campo politico, si legge nel suo profilo su Wikipedia, Pelanda è portatore dell’ideologia liberista, «ma con la consapevolezza che la libertà è conseguenza di un investimento di qualificazione della società e va organizzata entro istituzioni che la difendano». In generale, propugna l’idea di “nuovo progresso” basato sulla fiducia che tecnologia e conoscenza siano i risolutori più potenti dei problemi della condizione umana. Fin dal 2007, con il saggio “La grande alleanza”, ha avvertito che è ormai in via di esaurimento il sistema di governo mondiale centrato sul predominio degli Stati Uniti, sul dollaro e sui criteri occidentali nelle istituzioni internazionali. Pelanda propone «un nuovo soggetto di governance globale che non sia il G-20, o analogo tavolo di potenze troppo diluito, ma un’alleanza tra le democrazie fondata sulla convergenza euroamericana»).Il rischio di recessione dipende da una contrazione della domanda globale che ha colpito l’export e da una crisi di fiducia sull’Italia che ha ridotto gli investimenti esterni e interni quando il governo ha esplicitato una linea de-sviluppista e assistenzialista finanziata in extradeficit, nonché una violazione aggressiva delle regole europee. Ora il governo sta cercando di evitare la procedura di infrazione da parte dell’Ue che peggiorerebbe la situazione compromettendo il sistema del credito a imprese e famiglie, causa certa di ostacolo alla crescita-ripresa. Forse è meglio dire che il Quirinale ha preso in mano, dietro le quinte, la materia, cercando un compromesso tra requisiti di ordine economico euroconvergenti e progetto politico eurodivergente della maggioranza. Tecnicamente, si tratta di ridurre dai 7 ai 10 miliardi il finanziamento in deficit del progetto di bilancio per portare il deficit proiettivo stesso sotto il 2%, dal 2,4% annunciato, e di allocare le risorse più sul lato degli investimenti e degli stimoli fiscali e meno sulla spesa assistenziale per rendere credibile almeno un minimo potenziale di crescita che non faccia peggiorare il rapporto debito/Pil nel 2019 e quindi permetta di evitare la procedura di infrazione Ue.
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Magaldi: che delusione, l’esperienza gialloverde sta fallendo
«Diciamocelo: l’esperienza gialloverde sta fallendo. Lega e 5 Stelle rischiano grosso, di fronte alla cocente delusione degli elettori che avevano creduto nella loro scommessa». Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che svela la natura supermassonica del vero potere, che in Europa si nasconde dietro la tecnocrazia di Bruxelles e le cancellerie che contano, Berlino e Parigi in primis. Spettacolo penoso, la retromarcia tattica del governo Conte di fronte alle minacce dell’euro-establishment, «come se il problema fosse davvero il deficit al 2,4%», che ora peraltro il governo si sta preparando a “sacrificare”. Linea perdente, dice Magaldi: guai, a cedere al ricatto. Perché siamo di fronte a una colossale farsa: tutti sanno benissimo che Bruxelles non ha affatto a cuore il benessere del sistema-Italia. L’unico vero obiettivo dei nostri censori – Moscovici e Juncker, Macron e Merkel – è stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di rovesciare il paradigma neoliberista dell’austerity, propagandato e difeso “militarmente” a colpi di spread. Sul piano contabile non può far paura a nessuno, l’esiguo incremento del deficit inizialmente previsto dal Def per il 2019. Lo sanno Di Maio e Salvini, ma lo sanno anche i signori di Bruxelles. A inquietare gli oligarchi, semmai, è la bandiera della ribellione, sventolata dall’Italia per qualche settimana.L’orgogliosa rivendicazione post-keynesiana del governo Conte, sottolineata dal richiamo al New Deal rooseveltiano da parte di Paolo Savona, poteva innescare un benefico contagio europeo, basato sulla richiesta di sovranità democratica. Se invece ora l’Italia fa retromarcia e dice “abbiamo scherzato”, per Lega e 5 Stelle può essere l’inizio della fine, sostiene Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Una riflessione a tutto campo, quella del presidente del metapartitico Movimento Roosevelt, nato per rigenerare la politica italiana scuotendola dal torpore conformistico dell’equivoca Seconda Repubblica, durante la quale la finta alternanza dei partiti al potere – centrodestra e centrosinistra – ha costretto l’Italia a imboccare la via del declino, tra delocalizzazioni e privatizzazioni improntate alla “teologia” neoliberale che demonizza la spesa pubblica al solo scopo di trasferire potere e ricchezza ai grandi oligopoli privati. Magaldi è stato uno sponsor del governo Conte, che ha lungamente supportato e incoraggiato – a patto però che rompesse l’incantesimo che vieta all’Italia di riappropriarsi della sua sovranità, a cominciare da quella monetaria.L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, invoca il ricorso a una moneta parallela. Proprio la gestione dell’euro – monopolizzata dal cartello finanziario che detiene il controllo della Bce – è uno dei punti strategici su cui farà leva il “partito che serve all’Italia”, cantiere politico roosveltiano che il prossimo 22 dicembre a Roma comincerà a costruire un’agenda concreta. Le delusione di fronte al cedimento all’Ue non impedisce a Magaldi di continuare a considerare Lega e 5 Stelle gli unici interlocutori potenzialmente credibili: certo, se si alza bandiera bianca sul deficit 2019, la partita è destinata a slittare al 2020, dopo le europee, traguardo al quale il governo intende presentarsi senza avere sulle spalle il peso dell’eventuale procedura d’infrazione per eccesso di debito. Ma così, obietta Magaldi, non si può sperare di andare lontano. Per un motivo essenziale: è perdente, sempre e comunque, piegarsi a un ricatto. E quello degli oligarchi Ue è un ricatto ipocrita, travestito da economicismo: il rigore viene spacciato per strada maestra, quando gli stessi ideologi dell’austerity sanno perfettamente che il taglio della spesa produce solo recessione e disoccupazione.La stessa manovra gialloverde non è certo impeccabile, annota Magaldi: non c’è ancora la più pallida idea di come applicare l’eventuale reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio, mentre – sul fronte leghista – siamo lontani anni luce dal decisivo sgravio fiscale promesso alle elezioni. «E’ di quello che hanno bisogno come il pane gli ambienti imprenditoriali che avevano sostenuto Salvini: cosa importa, alle aziende, del “decreto sicurezza” appena approvato? Oltretutto, quel decreto – davvero pessimo – potrebbe anche configurare pesanti e inaccettabili limitazioni alle libertà personali». Neppure nella versione con il deficit al 2,4%, insiste Magaldi, la manovra mostrava sufficienti investimenti nei settori in grado di rilanciare l’economia: un impegno troppo esiguo, non certo adeguato a garantire quel “moltiplicatore economico” di cui il paese ha bisogno. Premessa: «Aumentare il deficit è doveroso, per rimettere in moto l’economia, purché però si investa nei settori che garantiscano la crescita dell’occupazione». Si corre il rischio di fare «la stessa figura di Tsipras, che ha tradito i greci per piegarsi all’Ue». Altro paragone increscioso, quello con Matteo Renzi: «Era andato a Bruxelles facendo il fanfarone, annunciando svolte epocali per uscire dall’austerity di Monti e Letta, ma poi ha ceduto su tutta la linea».Tsipras e Renzi sappiamo che fine hanno fatto. A Salvini e Di Maio, un analogo scivolone costerebbe l’osso del collo. Anche perché ormai l’opinione pubblica italiana ha preso le misure, ai padreterni di Bruxelles: oggi, a Mario Monti ed Elsa Fornero l’italiano medio non stenderebbe più il tappeto rosso. S’è messo in moto qualcosa di profondo, nel paese, anche grazie alla politica pre-elettorale della Lega e dei 5 Stelle, carica di aspettative. Ora, come dire, sarebbe folle rimangiarsi la parola data. Guai ad arretrare, di fronte alle minacce dei burattini di quella che resta una cupola finanziaria supermassonica, la stessa che ha insediato all’Eliseo il micro-oligarca Macron, contro il quale oggi la Francia stessa si sta sonoramente ribellando. E l’Italia che fa, resta a guardare? Si lascia intimidire da uno spaventapasseri come Juncker dopo aver promesso cataclismi epocali? Grave errore, sottolinea Magaldi, aver usato toni irridenti con l’Ue, se poi ci si prepara a genuflettersi a Bruexelles come Renzi e Gentiloni. Meglio un dialogo franco e leale, giusto per dire: cari amici, che ne direste di farla davvero, l’Europa?Sottinteso: questo obbrobrio di Ue va cestinato, perché ha disastrato l’economia del continente seminando crisi su crisi. Da dove ripartire? Ovvio, dall’inizio: la parola chiave è antica, si chiama “democrazia”. E in questa pseudo-Europa, purtroppo, oggi è sinonimo di “rivoluzione”. Magaldi preferisce il termine “radicalismo”, ma il senso è quello: radere al suolo l’impalcatura (marcia dalle fondamenta) dell’attuale Disunione Europea, dove la Germania – come segnala l’imprenditore Fabio Zoffi – bacchetta l’Italia per il suo 130% di debito, mentre quello di Berlino (occulto) veleggia verso il 300% del Pil. Negli ultimi anni, a scuotere l’opinione pubblica hanno provveduto celebri “whistleblower” come Julian Assange (Wikileaks) e Edward Snowden (la disinvoltura della Nsa nella gestione dei Big Data, in termini di spionaggio di massa). Dal canto suo Magaldi – altro “insider”, se vogliamo, ma proveniente dal mondo delle Ur-Lodges – ha scoperchiato il vaso di Pandora delle quasi onnipotenti superlogge sovranazionali. Obiettivo: consentire al pubblico di aprire gli occhi, imparando a riconoscere la vera identità dei tanti oligarchi che si spacciano per guide illuminate.L’Ue? Un loro prodotto. Movente: confiscare diritti, sovranità e democrazia, per organizzare il più grande trasferimento di ricchezza della storia, dal basso verso l’alto. Narrazione mainstream: è giusto tagliare lo Stato. Risultato scontato: sofferenze sociali. Parla da solo il caso italiano: 25 anni di decandenza ininterrotta, presentata come fisiologica. Una farsa colossale, abilmente inscenata da partiti “comprati” e disinformatori di corte. Poi è arrivato l’inciampo elettorale dei gialloverdi. E ora che fanno, tornano a casa con la coda tra le gambe? Sappiano, ribadisce Magadi, che non possono farlo: l’Italia non li perdonerebbe. Perché la vera sfida è solo all’inizio. E tutti i falsi dogmi del dominio – rigore, austerity, pareggio di bilancio – saranno spazzati via, il giorno che l’Europa nascerà davvero, con la sua Costituzione democratica e il suo governo federale, finalmente eletto dagli europarlamentari votati dai cittadini europei. Utopia? Non per Gioele Magaldi, intenzionato a incalzare «gli amici gialloverdi» senza fare sconti a nessuno, avendo chiaro «quello che serve davvero all’Italia». Non la diplomazia, con Bruxelles, ma il confronto (durissimo) che in tanti avevano sperato potesse essere inaugrato proprio da Salvini e Di Maio.«Diciamocelo: l’esperienza gialloverde sta fallendo. Lega e 5 Stelle rischiano grosso, di fronte alla cocente delusione degli elettori che avevano creduto nella loro scommessa». Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che svela la natura supermassonica del vero potere, che in Europa si nasconde dietro la tecnocrazia di Bruxelles e le cancellerie che contano, Berlino e Parigi in primis. Spettacolo penoso, la retromarcia tattica del governo Conte di fronte alle minacce dell’euro-establishment, «come se il problema fosse davvero il deficit al 2,4%», che ora peraltro il governo si sta preparando a “sacrificare”. Linea perdente, dice Magaldi: guai, a cedere al ricatto. Perché siamo di fronte a una colossale farsa: tutti sanno benissimo che Bruxelles non ha affatto a cuore il benessere del sistema-Italia. L’unico vero obiettivo dei nostri censori – Moscovici e Juncker, Macron e Merkel – è stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di rovesciare il paradigma neoliberista dell’austerity, propagandato e difeso “militarmente” a colpi di spread. Sul piano contabile non può far paura a nessuno, l’esiguo incremento del deficit inizialmente previsto dal Def per il 2019. Lo sanno Di Maio e Salvini, ma lo sanno anche i signori di Bruxelles. A inquietare gli oligarchi, semmai, è la bandiera della ribellione, sventolata dall’Italia per qualche settimana.
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La lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta
La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvolti turpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne veniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà”. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.
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Il debito globale esplode. L’Italia? Meglio di quanto si creda
Nel secondo trimestre del 2018 le dimensioni globali del debito hanno raggiunto un nuovo massimo, arrivando a 260.000 miliardi di dollari. Al tempo stesso il rapporto globale debito/Pil ha superato per la prima volta la soglia del 320%. Su questo totale, il 61% (160.000 miliardi di dollari) è rappresentato dal debito privato del settore non-finanziario, mentre solo il 23% è rappresentato dal tanto vituperato debito pubblico. Gli Usa da soli hanno emesso più del 30% del nuovo debito pubblico, con una notevole accelerazione negli ultimi due anni sotto la gestione Trump. Il ministero del Tesoro statunitense è seguito, in questo, dalle agenzie di debito giapponesi e cinesi e, a grande distanza, dalle maggiori economie dell’Eurozona. I valori riportati dalle agenzie pubbliche cinesi vanno valutati con cautela alla luce dei ripetuti casi di falsificazione delle statistiche perfino da parte di funzionari pubblici. È quindi probabile che non solo il debito pubblico di Pechino, ma anche quello delle imprese cinesi, che già è il più elevato al mondo, sia in realtà più allarmante di quanto le stime ufficiali vogliano far credere.Storicamente il debito di un paese, sia pubblico che privato, tende a crescere nel tempo in rapporto costante con la dimensione dell’economia. Fanno eccezione, seppure notevole, i casi di default improvvisi, che cancellano grandi porzioni del debito. Pertanto l’enormità del debito totale non fornisce, di per sé, informazioni sulla sua sostenibilità. Non si può nemmeno dedurre, per contro, che un debito totale più basso sia segno di stabilità finanziaria. In realtà un livello molto basso, o addirittura l’assenza di debito, potrebbe rivelare solo una completa mancanza di fiducia, tale da escludere tutti gli agenti economici nazionali dai mercati internazionali del credito. Questo fu, per esempio, il caso dell’Argentina nei cinque anni successivi al drammatico default del 2002. In una prospettiva adeguata, un’equa valutazione dovrebbe tenere conto della dimensione del debito totale in rapporto al Pil. Da questo punto di vista, usando una misura opportuna, la classifica globale appare rovesciata: il Lussemburgo balza al primo posto con un debito totale pari al 434% del Pil, composto quasi esclusivamente da debiti societari.Ad una certa distanza troviamo il Giappone, con un debito totale che si aggira sul 373% del Pil, caratterizzato da una componente preponderante di debito pubblico, il 216%. L’elevata incidenza del debito sia pubblico che privato pone la Francia, la Spagna e il Regno Unito nei primi otto posti della classifica, mentre l’Italia fa la sua comparsa solo al nono posto, con un rapporto di debito totale ben bilanciato, al 265% del Pil, e con bassi livelli di debito delle famiglie e delle imprese, che compensano il più elevato livello del debito pubblico. Ma anche un basso rapporto tra debito totale e Pil non può essere considerato segno di virtù o salute economica. Al fondo della classifica stanno i casi paradossali dell’Argentina e della Turchia. Sebbene entrambi i paesi abbiano debiti totali sotto controllo (il debito privato è praticamente inesistente in Argentina, mentre il debito pubblico in Turchia è appena il 28% del Pil), entrambi i paesi corrono il rischio di perdere l’accesso ai mercati a causa delle loro crisi valutarie e della bilancia dei pagamenti.Per un apparente paradosso, i tassi di interesse a breve termine dell’Argentina, che ha ambiente finanziario a basso indebitamento, sono al 70%, mentre quelli del Giappone, che ha un debito mostruoso, sono stabilmente negativi. Preoccuparsi solo del debito pubblico quando si vuole valutare lo stato di un’economia, magari facendo riferimento a delle soglie arbitrarie, è sempre una cattiva pratica, che porta a conclusioni errate. I criteri usati dai mercati per valutare la solvibilità del debito sono molteplici: la percentuale del debito detenuto da investitori esteri rispetto a quelli interni, il fatto che il debito sia emesso sotto legge nazionale oppure legge estera, la crescita dell’economia, la ricchezza finanziaria dei cittadini, l’efficienza del gettito fiscale, la sovranità monetaria, eccetera. Nel caso del Giappone, per esempio, il 90% del debito è nelle mani della sua stessa banca centrale, dei suoi fondi pensione e delle banche giapponesi, ed è quasi perfettamente bilanciato dalla buona salute finanziaria delle istituzioni pubbliche. È quasi impossibile immaginare una crisi di fiducia che semini dubbi sulla solvibilità del governo giapponese. Allo stesso modo, il fatto che i paesi dell’Eurozona non possano gestire la propria politica monetaria in modo autonomo fa sì che tutti i debiti pubblici appaiano, di fatto, come soggetti a legge estera, e questa è una condizione che rende il problema enormemente più complesso da gestire.Inoltre, questo debito è in media detenuto per più del 70% da investitori stranieri, una categoria che per definizione è più reattiva sui mercati secondari, e alimenta facilmente il panico in caso di vendita generalizzata. E c’è di più. Le statistiche ufficiali non considerano il problema del “debito implicito”, ovvero il peso legato agli impegni finanziari che i governi si sono assunti rispetto alle pensioni e alla spesa sanitaria. In generale, questi debiti futuri non appaiono nelle cifre dei conti nazionali per fondate ragioni, legate alle difficoltà di stimare l’aumento dei costi su orizzonti temporali così lontani. Se questi debiti impliciti dovessero essere messi nel conto, il debito Usa sarebbe, per esempio, quintuplicato, raggiungendo i 100.000 miliardi di dollari. Ma la Spagna, il Lussemburgo e l’Irlanda sarebbero messi ancora peggio, dato che le loro passività aumenterebbero di oltre 10 volte, superando il 1.000% del Pil nel caso irlandese. L’Italia, invece, dal punto di vista del debito implicito, sotto la legislazione attuale, risulterebbe il paese europeo più virtuoso.A livello globale, il debito delle imprese è la variabile che i mercati temono maggiormente. Un settore privato pesantemente indebitato è vulnerabile all’aumento dei tassi di interesse, dopo anni in cui i tassi di interesse sono stati mantenuti artificialmente bassi favorendo l’espansione del credito e la riduzione del capitale societario attraverso il massiccio riacquisto di azioni proprie. L’instabilità intrinseca dell’indebitamento rispetto all’apporto di capitale proprio suggerisce che il prossimo rallentamento della crescita potrebbe portare a un congelamento insolitamente forte degli investimenti aziendali. Questo in Italia è già successo durante la Grande Recessione del 2008-2009: per ogni punto percentuale di riduzione della crescita del credito, c’è stata una contrazione di quattro punti negli investimenti nelle imprese più dipendenti dal credito bancario, e due punti di contrazione in quelle finanziariamente più indipendenti. Questo è un disastro economico che non si deve ripetere.(Marcello Minenna, “Il debito globale è al suo apice e l’Italia sta meglio di quanto si creda”, da “Social Europe” del 28 novembre 2011; analisi tradotta e ripresa da “Voci dall’Estero”).Nel secondo trimestre del 2018 le dimensioni globali del debito hanno raggiunto un nuovo massimo, arrivando a 260.000 miliardi di dollari. Al tempo stesso il rapporto globale debito/Pil ha superato per la prima volta la soglia del 320%. Su questo totale, il 61% (160.000 miliardi di dollari) è rappresentato dal debito privato del settore non-finanziario, mentre solo il 23% è rappresentato dal tanto vituperato debito pubblico. Gli Usa da soli hanno emesso più del 30% del nuovo debito pubblico, con una notevole accelerazione negli ultimi due anni sotto la gestione Trump. Il ministero del Tesoro statunitense è seguito, in questo, dalle agenzie di debito giapponesi e cinesi e, a grande distanza, dalle maggiori economie dell’Eurozona. I valori riportati dalle agenzie pubbliche cinesi vanno valutati con cautela alla luce dei ripetuti casi di falsificazione delle statistiche perfino da parte di funzionari pubblici. È quindi probabile che non solo il debito pubblico di Pechino, ma anche quello delle imprese cinesi, che già è il più elevato al mondo, sia in realtà più allarmante di quanto le stime ufficiali vogliano far credere.
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Amodeo, lettera a Saviano: non racconti la verità sul potere
Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato ed un altro e quindi tra un articolo ed un altro e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:18 ottobre 2004 omicidio Albino, 29 ottobre 2004 omicidio Secondigliano: scoppia la faida, 5 novembre 2004 carabinieri feriti a Secondigliano, 13 novembre 2004 omicidio Peluso in pizzeria, 21 novembre 2004 ragazza accoltellata a Santa Lucia, 22 novembre 2004 omicidio di piazza Ottocalli, 26 novembre 2004 omicidio a Secondigliano di Gelsomina Verde (in assoluto il più efferato di tutta la faida), 19 dicembre 2004 intervista esclusiva alla vittima dell’agguato. L’ultimo mio articolo apparso sulla prima pagina del “Roma” riguardava l’omicidio di Nunzio Giuliano dell’omonimo storico clan. Sono articoli pubblicati negli stessi anni e riguardanti le stesse faide di quelli che tu hai scopiazzato dai colleghi e ricopiato per intero nel tuo “Gomorra” e per i quali hai subito la sentenza di condanna per plagio. A me nel 2005 sono stati corrisposti per tutti gli articoli 2.117,70 euro, di cui netti 1.800 euro (allego prova documentale). Posso immaginare che più o meno siano queste le cifre che guadagnavano anche i giornalisti campani a cui hai copiato pezzi di articoli per pubblicarli nel tuo libro multimilionario.Ma andiamo avanti. Nel raccogliere materiale per gli articoli di cronaca puoi immaginare quante botte io abbia preso, quanti cellulari mi abbiano strappato da mano, quanti registratori distrutto e quante intimidazioni subite. Così decisi che era diventato troppo rischioso e passai alla cronaca politica. Un altro settore che ti interessa. Ho aperto un blog di inchiesta giornalistica e pubblicato video-inchieste sulle organizzazioni della finanza speculativa che nel 2011 aveva rovesciato il governo in diversi paesi europei tra cui l’Italia, analizzando i legami tra queste organizzazioni e i politici e tecnici arrivati al governo, dimostrando in maniera documentata che avevano fatto cartello contro i popoli e contro le democrazie con la complicità dei nostri media mainstream. Probabilmente sono proprio le organizzazioni a cui stai facendo appello tu in questi mesi esortandoli a rovesciare nuovamente un governo democraticamente eletto.Sono rimasto sorpreso della tua visita a Macron. La prima volta che io lo vidi ero nascosto fuori al Marriott Hotel di Copenaghen con un cecchino che seguiva dall’alto ogni mio passo (come dimostra il video postato in rete) e lui stava per fare il suo ingresso alla riunione del Bilderberg 2014. Ossia l’incontro a porte chiuse dei più importanti membri della finanza speculativa. Quelli che scrivono che “la democrazia non è sempre applicabile”; che dovremmo “stracciare le nostre Costituzioni”; che bisogna favorire le tecnocrazie non elette per superare gli “eccessi di democrazia”. In pratica quelli che disprezzano i popoli.Tutte le mie ricerche sui legami tra politici, media e cartello finanziario speculativo sono state pubblicate in due libri, l’ultimo dei quali, “La Matrix Europea”, è stato definito dal compianto Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione (giudice istruttore caso Moro) il miglior libro sull’argomento – citando le sue parole: «Il tuo libro è importante come strumento di verità e libertà ma è assediato da silenzio e omertà. Mi congratulo con te per la tua ricerca che è preziosa per tutti noi cittadini di una società in cui le ingiustizie e diseguaglianze sono enormi. Il tuo libro mi ha fatto capire molte cose, chiaro, preciso, documentato coraggioso, incisivo. Ma non è facile far capire agli altri la verità». Il presidente mi chiese poi pubblicamente di collaborare con lui per una ricerca sul tema, ma dovetti rifiutare perché non mi sentivo tutelato.Stai tranquillo Saviano, non sto facendo uno spot al mio lavoro, immagino che per deformazione professionale penseresti questo. A differenza dei tuoi libri, che ce li ritroviamo davanti anche in autogrill mentre prendiamo un caffè, il mio dopo una breve apparizione è sparito dai radar. Nonostante abbia un proprio codice Isbn se lo richiedi nelle librerie sembra che non sia mai esistito. Spero sia stato solo un errore dell’editore. Eppure i temi trattati nel libro sono stati oggetto di alcuni video su YouTube. Uno dei quali ormai punta ai 6 milioni di visualizzazioni (sì, hai capito bene, 5 milioni di visualizzazioni già superate con un video di 18 minuti, ossia un tempo assolutamente proibitivo per YouTube). E non è stato un caso. Ho superato ben 4 volte un milione di visualizzazioni anche quando ho dimostrato come vengono manipolate le interviste da parte di alcune note trasmissioni televisive del mainstream per punire chi prova a toccare argomenti che non dovrebbe toccare. Numeri enormi, mai raggiunti da nessuno in Italia e forse neanche in Europa per video che trattavano questo tipo di argomenti.Pensa che il video più visualizzato sul tuo “Gomorra Channel” ha raggiunto 477.000 visualizzazioni contro i miei 5 milioni. Per intenderci, sommando tutti i video caricati sul canale “Gomorra Channel” si raggiungono meno della metà delle visualizzazioni di un mio solo video. Nonostante “Gomorra” sia una serie televisiva, un film al cinema e tu, Saviano, sei inseguito da tutti gli editori, gli autori televisivi e sei presente in numerosi programmi in Tv. E allora cos’è che spinge tanta gente a guardare i video di uno sconosciuto? Sei d’accordo con me che i conti non tornano? Te lo spiego subito: tu sei stato molto bravo ad attaccare i criminali comuni, molti dei quali già in carcere con l’ergastolo, ma facendo sempre la massima attenzione a non attaccare il sistema dominante in politica (quello che la manovra) né il ruolo dei media, spesso usati come braccio armato da questi poteri forti. Sei diventato il cavallo di Troia che fa comodo ad un certo tipo di sistema per entrare nelle case degli italiani con una voce che possa fingersi amica, credibile, spostando l’attenzione sui criminali comuni senza mai toccare gli interessi del potere dominante né dei media che lo coprono.Ecco di chi sei diventato voce. Ecco perché ti celebrano. Ecco perché sei in tutte le Tv. Una volta ci sono andato anche io in Tv alla trasmissione “In Onda” di Luca Telese su La7 ma è stata la prima e l’ultima volta, perché tirai in ballo giornalisti, media e politici che partecipavano alle riunioni di organizzazioni del cartello finanziario speculativo che hanno interessi diametralmente opposti a quelli dei popoli. Sai come intitolarono la trasmissione? “La web guerra dei blogger antisistema”. Quando dici certe verità non sei un eroe, sei un “anti”. Eppure ti assicuro che la crisi economica – che io dimostravo essere stata indotta dai membri del cartello finanziario speculativo di cui facevo nomi e cognomi – ha fatto, indirettamente, molti più morti tra imprenditori e lavoratori che si sono suicidati di quanti ne abbia fatti, tra i criminali, la più sanguinosa delle faide di camorra. Ha fatto chiudere molte più aziende lo Stato per eseguire i diktat del capitale che i camorristi con il racket. Ma questo il pensiero unico dominante tra i media non ce lo fa sapere. E tu sei diventato l’icona di questo pensiero unico. Tu che parli di solidarietà verso i migranti, di accoglienza tout court pur sapendo bene che la maggior parte di quelli che arrivano dall’Africa sono in realtà i nuovi schiavi deportati dal capitalismo per abbassare il costo del lavoro e annichilire i diritti sociali nei paesi dove vengono accolti.Gente disposta a tutto, come li definisce un noto filosofo: «Merce umana nell’economia globale per le nuove pratiche dello sfruttamento neofeudale», pronta ad essere sostituita ai lavoratori europei che invece richiederebbero diritti sociali e rivendicazioni salariali. Tu conosci questa pratica infame. Ma la copri, la appoggi. Per questo meriti programmi in Tv. Poi ti vedo attaccare Salvini indossando la maschera del paladino dei più poveri, e mentre con una mano reggi quella maschera, con l’altra tiri acqua al mulino di quella sinistra che ha svenduto i lavoratori e i loro diritti al cartello finanziario europeo e che è passata “dalla lotta per i lavoratori contro il capitale alla lotta per il capitale contro i lavoratori”, che ha sacrificato volontariamente sull’altare dei globalizzatori i lavoratori italiani per gli interessi di una Europa che si è dimostrata il baluardo del capitalismo speculativo contro le classi lavoratrici ed i popoli europei. Perché queste cose non le racconti? Anzi, perché le neghi?Taci, perché preferisci essere esaltato dai media per interessi commerciali e contribuire al loro asfissiante, martellante, fuorviante lavoro di propaganda a favore del pensiero unico di chi intende dirigere le sorti dei nostri governi.Oltre “Gomorra”, che ha soltanto fini commerciali, tu sei considerato un “intellettuale” amico dei popoli. E come può un intellettuale del genere, con il tuo seguito, preoccuparsi dei rimborsi trattenuti dalla Lega, senza mai menzionare i miliardi e miliardi di euro che ogni anno finiscono nelle mani di azionisti privati che si sono autonominati creatori e gestori della moneta del popolo? Tu questi argomenti non li toccherai mai. Io, invece, ho dovuto subire intimidazioni, ritorsioni, agguati mediatici, censure. Ed è per questo, che in seguito ad altri episodi che hanno coinvolto me ed i miei colleghi, ho deciso 3 anni fa di chiudere il blog, smettere di scrivere. Ma il mio è solo un esempio di quello che accade a centinaia di ragazzi che hanno provato a fare questo mestiere senza volersi allineare al pensiero unico dominante. Per concludere: io non sono un politico, non sono un ministro, non sono un capopartito; non puoi trovare altri interessi nella mie parole se non la voglia di ristabilire la verità. Te lo dico da ex giornalista. Da ex scrittore. Per farti capire che parliamo la stessa lingua. E te lo dico nel mio dialetto perché anche quello ci accomuna. “Robè, vir e fa l’ommmm”.(Francesco Amodeo, lettera aperta a Roberto Saviano pubblicata su “Scenari Economici” il 27 novembre 2018 – “Lettera di un ex giornalista di cronache di camorra a Saviano: perché non racconti la verità?”).Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato e un altro, e quindi tra un articolo e un altro, e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:
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Quelli che ‘ma se usciamo dall’euro chi ci compra il debito?’
Notiziona dalla Cina: finalmente anche i cittadini potranno investire in obbligazioni di Stato cinesi! Eheeee? Lo so, detta così sembra una supercazzola, ma è la pura e cruda verità. Fino ad oggi, i cinesi non compravano i bond emessi dal loro Stato. E allora come faceva il governo di Pechino? Non hanno il debito pubblico? Eccome se ne hanno: i dati riportati dal “Sole 24 Ore” confermano un debito pubblico nel Paese di Mezzo che sfiora i cinquemila miliardi di dollari, cifra che andrebbe moltiplicata per 2,5 se tenessimo in considerazione anche i debiti dei governi locali (le municipalità). Ma allora, se registrano queste astronomiche cifre, chi compra di norma il debito pubblico cinese? Risposta: le banche pubbliche cinesi! Chi sa leggere, ne tragga le conseguenze anche per il nostro debito, giudicato “intollerabile” dalla marmaglia degli economisti nostrani.La Cina da venerdi 16 novembre consente agli investitori al dettaglio di acquistare obbligazioni governative locali presso le banche. La People’s Bank of China (Pboc) ha annunciato che gli investitori al dettaglio potranno d’ora in poi acquistare obbligazioni governative locali presso le banche commerciali, estendendo l’elenco delle obbligazioni disponibili per loro sulle piattaforme bancarie. In precedenza, gli investitori individuali potevano acquistare buoni del tesoro attraverso un complicatissimo meccanismo che rendeva sterile l’investimento e solo dal 2016. Alcuni ritengono che la mossa volta a favorire il pubblico retail contribuirà ad alleggerire il peso del debito pubblico finora tutto sulle spalle delle banche, principali acquirenti di obbligazioni cinesi, e quindi che aumentà lo spazio per i prestiti delle banche alle attività imprenditoriali.Comunque sia, lo studio dei debiti pubblici stranieri conferma ancora una volta che la retorica sul nostro debito pubblico non ha una base economica solida, ma si fonda unicamente sulla propaganda politica esterofila. Pechino ha comunque sempre incentivato il ricorso al credito per stimolare la domanda interna, con il risultato che gli investimenti sono esplosi a circa il 40% del Pil, il doppio della media europea.(Massimo Bordin, “Quelli che ‘ma se usciamo dall’euro chi ci compra il debito pubblico?’”, dal blog “Micidial” del 19 novembre 2018).Notiziona dalla Cina: finalmente anche i cittadini potranno investire in obbligazioni di Stato cinesi! Eheeee? Lo so, detta così sembra una supercazzola, ma è la pura e cruda verità. Fino ad oggi, i cinesi non compravano i bond emessi dal loro Stato. E allora come faceva il governo di Pechino? Non hanno il debito pubblico? Eccome se ne hanno: i dati riportati dal “Sole 24 Ore” confermano un debito pubblico nel Paese di Mezzo che sfiora i cinquemila miliardi di dollari, cifra che andrebbe moltiplicata per 2,5 se tenessimo in considerazione anche i debiti dei governi locali (le municipalità). Ma allora, se registrano queste astronomiche cifre, chi compra di norma il debito pubblico cinese? Risposta: le banche pubbliche cinesi! Chi sa leggere, ne tragga le conseguenze anche per il nostro debito, giudicato “intollerabile” dalla marmaglia degli economisti nostrani.
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Magaldi: se cedono sul deficit i gialloverdi perdono la faccia
Riscrivere, insieme, le regole del mondo. Ingenuo? Forse, ma necessario. “Se non così, come? E se non ora, quando?”, si potrebbe dire, parafrasando Primo Levi. E’ la premessa – implicita – da cui sembra muovere, sempre, l’analisi che dell’attualità politica offre Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), libro-evento che svela la natura supermassonica del potere mondiale. Da presidente del Movimento Roosevelt, meta-partito che si propone di rigenerare la politica italiana partendo da una piattaforma realmente progressista, fondata sul ripristino della sovranità democratica, Magaldi guarda con attenzione al possibile cantiere rappresentato dal governo gialloverde. Ipotesi: ribaltare la narrazione mainstream, ai cui diktat ideologici «si sono appecoronati l’ex sedicente centrodestra e l’ex sedicente centrosinistra», entrambi proni alle direttive dell’élite finanziaria – in sintesi: smantellare l’industria italiana e privatizzare il paese consegnandolo a un oligopolio di grandi poteri economici finto-europeisti, che in realtà utilizzano l’Ue per i loro obiettivi privatistici. Contro questo establishment, almeno fino a ieri, si era levata la voce dei 5 Stelle, gradualmente sovrastata da quella di Salvini. E ora, dopo tanto abbaiare, il governo Conte si appresta a calare clamorosamente le brache rinunciando al pur misero 2,4% di deficit previsto per il 2019?
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Un Gilet Giallo per Macron, fragile yesman dei Rothschild
La Francia, intesa come popolo, non s’è lasciata spaventare dalle leggi speciali introdotte grazie all’opaca stagione del terrorismo domestico targato Isis. Complice la legge elettorale a doppio turno, una minoranza del paese è caduta nell’equivoco Macron, l’uomo-Rothschild sponsorizzato dal supermassone neo-conservatore Jacques Attali, ma il Palazzo – lo stesso che minaccia l’Italia, anche sbarcando migranti oltre frontiera – ora è costretto a fare i conti con la marea di una protesta di massa tipicamente transalpina, quella dei Gilet Gialli, con numeri da capogiro: 300.000 manifestanti sguinzagliati in duemila città fino a bloccare strade e autostrade, per protesta contro i ricari della benzina. La polizia, riassume il “Post” ammette che è molto difficile rispondere alle mobilitazioni: sono diffuse a macchia di leopardo, spesso sono improvvise e non autorizzate, e in più «sono composte da persone che non sono abituate a protestare». Popolo in piazza, inscenando qualcosa che ricorda le prove generali di una possibile insurrezione. Chi sono e cosa chiedono, i cittadini francesi che indossano come una bandiera i giubbottini retro-riflettenti della sicurezza stradale?Il movimento dei Gilet Gialli non ha un’organizzazione formale o un leader riconosciuto, scrive sempre il “Post”: i comunicati parlano genericamente di una protesta «del popolo francese». Le principali informazioni sono state diffuse attraverso Facebook. È un movimento che non fa riferimento ad alcun partito o sindacato. Sulla pagina Facebook si dice che i Gilet Gialli sono «persone come me e te», ovvero «un pensionato, un artigiano, uno studente, un disoccupato, un uomo d’affari», Soprattutto, «una persona che è preoccupata di non arrivare alla fine del mese». Il movimento protesta contro la diminuzione del potere d’acquisto. Nel mirino, le auto: oltre all’aumento della benzina e del gasolio, il governo si è infatti mosso per abbassare i limiti di velocità, aumentare gli autovelox e introdurre incentivi per le auto elettriche o ibride. Dopo un anno in cui il prezzo del gasolio è salito del 23% e quello della benzina del 15, il governo ha deciso di imporre dal gennaio 2019 ulteriori tasse che faranno aumentare il prezzo dei carburanti.Cambiare aiuto? I manifestanti protestano: i rincari andrebbero a pesare su chi già ha una situazione economica difficile. Comprare una vettura nuova, elettrica o ibrida, costa troppo. A fianco dei manifestanti il presidente del partito conservatore Les Répubblicains, Laurent Wauquiez, che ha invitato Macron a «correggere i suoi errori». Come annota “Scenari Economici”, il gilet giallo è comparso addirittura in Parlamento: a indossarlo, il 21 novembre, è stato un moderato, Jean Lassale, che proviene dal movimento MoDem di François Bayrou, ma all’ultima elezione è passato nella Udf, Union Pour la Democratie Française (altro partito centrista). «Quindi non un populista estremista, anzi un moderato che ha già ricoperto anche cariche esecutive nel proprio dipartimento dei Pirenei». Per “Scenari Economici” si tratta di «un’espressione della Francia rurale che si sente tradita dal governo dei ricchi di Macron». Inutile aggiungere che, dopo aver indossato il gilet, Lassale è stato espulso per aver violato il “dress code” dell’aula parlamentare.Dai moderati alla sinistra: Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise, ha partecipato alla manifestazione di Parigi e ha parlato di «un grande momento di autorganizzazione popolare», riferisce il “Post”. Dal canto suo, il segretario del Partito Socialista, Olivier Faure, ha avvertito il governo che «senza dialogo» c’è il rischio di non andare avanti. «Negli ultimi giorni il governo ha mantenuto una posizione ambivalente, dicendo di comprendere le ragioni della mobilitazione, ma restando fermo sulle misure da adottare», aggiunge sempre il “Post”. Emmanuel Macron, il cui indice di popolarità è oggi molto basso, non ha parlato delle proteste, mentre il primo ministro Edouard Philippe ha riconosciuto la nascita di un movimento «senza precedenti» perché organizzato in modo indipendente dai sindacati. Ha detto di «sentire» la rabbia dei francesi, «la sofferenza, la mancanza di prospettive, l’idea che le autorità per molto tempo non hanno risposto alle preoccupazioni», ma ha confermato gli impegni presi da Macron: «Siamo all’ascolto dei francesi, abbiamo sentito la loro esasperazione. Ma la rotta non cambia se si alza il vento».I Gilet Gialli hanno ricevuto anche il sostegno del sovranista Rassemblement National (l’ex Front National): «La mobilitazione è stata un grande successo», ha detto Marine Le Pen, spiegando che il governo deve prendere delle decisioni politiche velocemente per far tornare la pace: «Per ora, però, non ho sentito niente». Il segretario della Cfdt, Lawrence Berger, uno dei più importanti sindacati del paese, ha invitato Emmanuel Macron a «riunire molto rapidamente» le varie organizzazioni «per costruire un patto sociale», ma il primo ministro ha per ora respinto questa ipotesi. Quello che gli analisti avevano annunciato negli ultimi anni sta semplicemente accadendo: sia pure con dosi eccezionali di flessibilità rispetto al rigore Ue (e mantenendo l’inaudito parassitismo coloniale su 14 paesi africani, a cui Parigi sottrae ogni anno 500 miliardi di euro, accentuando in tal modo l’esodo dei migranti) la politica oligarchica di cui Macron è il rappresentante sta mettendo la Francia di fronte all’impossibilità di mantenere inalterato il proprio welfare, restando prigioniera della camicia di forza dell’Ue e dell’Eurozona. Diktat emanati da poteri non democratici, a cui la Francia dei Gilet Gialli si sta ribellando.La Francia, intesa come popolo, non s’è lasciata spaventare dalle leggi speciali introdotte grazie all’opaca stagione del terrorismo domestico targato Isis. Complice la legge elettorale a doppio turno, una minoranza del paese è caduta nell’equivoco Macron, l’uomo-Rothschild sponsorizzato dal supermassone neo-conservatore Jacques Attali, ma il Palazzo – lo stesso che minaccia l’Italia, anche sbarcando migranti oltre frontiera – ora è costretto a fare i conti con la marea di una protesta di massa tipicamente transalpina, quella dei Gilet Gialli, con numeri da capogiro: 300.000 manifestanti sguinzagliati in duemila città fino a bloccare strade e autostrade, per protesta contro i ricari della benzina. La polizia, riassume il “Post” ammette che è molto difficile rispondere alle mobilitazioni: sono diffuse a macchia di leopardo, spesso sono improvvise e non autorizzate, e in più «sono composte da persone che non sono abituate a protestare». Popolo in piazza, inscenando qualcosa che ricorda le prove generali di una possibile insurrezione. Chi sono e cosa chiedono, i cittadini francesi che indossano come una bandiera i giubbottini retro-riflettenti della sicurezza stradale?