Archivio del Tag ‘socialismo’
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Ma Di Maio, aspirante paramassone, finirà peggio di Renzi
E’ davvero interessante interrogarsi su qual è il candidato del Movimento 5 Stelle a Palazzo Chigi, posto che – se le cose non cambiano – verrà fuori un Parlamento in cui il M5S sarà in beata solitudine col 25-30% ma il governo lo faranno gli altri? Ed è bella, democratica e avvincente una competizione interna ai 5 Stelle dove Di Maio non ha nessun avversario? E’ questa la democrazia che si garantisce a coloro che avevano qualche chance di competere per batterlo? E’ questa la democrazia interna che vogliamo, nei partiti e nei movimenti? E’ la democrazia che vogliamo per il nostro paese? Direi di no. Di Maio non avrà l’occasione che ha avuto Renzi: non diventerà mai presidente del Consiglio: il Movimento 5 Stelle rappresenta oggi una porzione significativa di elettorato, inferiore al 30%. E fintanto che la sua proposta politica sarà confusa e le sue capacità di governo pari a quelle dimostrate a Roma, senza nessuna disponibilità ad alleanze con altri soggetti, è destinato a non governare. Di Maio non è un massone, aspira a diventare un supermassone, come aspirava Renzi: ma, se non hanno aperto le porte a Renzi quand’era primo ministro, figuriamoci se le apriranno a Di Maio, che è soltanto un ragazzo di modesta cultura e di una qualche buona sorte, visto che si è trovato nel posto giusto al momento giusto, insieme ad altri, sul palcoscenico.Non vedo giovani molto promettenti, purtroppo, nelle prime file del M5S. Ho conosciuto persone più interessanti tra i parlamentari e i dirigenti. Ma i vari Di Maio, Di Battista e Fico non mi sembrano dei fulmini di guerra: modesti, sul piano culturale e sulla visione del progetto. Di Maio si agita molto, va spesso a Londra bussando a club massonici e paramassonici, ma è destinato a essere bruciato forse in modo ancora più squallido di quanto non sia accaduto a Matteo Renzi. Questo, naturalmente, se Di Maio rimane quello che è, cioè il narcisistico e inconsistente portavoce di un movimento che non ci ha ancora dato modo di comprendere qual è il suo progetto per il governo dell’Italia. Noi non vogliamo che i nostri rappresentati siano i vari Di Maio, Renzi, Alfano. Questi hanno già dato, e male: noi abbiamo una classe politica che non appassiona più nessuno, la gente che va a votare è sempre meno. C’è bisogno di una nuova formazione politica. Queste persone, al di là dei loro limiti personali, sono anche persone formate male, cresciute male in 25 anni dove s’è persa tutta la sapienza politica accumulata negli anni dal dopoguerra in avanti.C’è bisogno di recuperare l’idea di partiti veri, “pesanti”. C’è bisogno di recuperare il senso in cui il socialismo possa integrarsi col liberalismo. C’è bisogno di capire che ad una ideologia pervicace e occulta come quella neoliberista, che perverte i giochi istituzionali in Europa e nell’intera rete globale, va contrapposta un’altra ideologia, radicalmente democratica, che pretenda che tutti i meccanismi di democrazia siano sostanziali. Il Movimento Roosevelt combatte su questi fronti. Lasciamo agli altri di gingillarsi con le false primarie, con le false investiture di leader che non saranno mai eletti, con questo teatrino che rende gli uni condannati ad un eterno consociativismo (vedi Berlusconi, Renzi, Gentiloni, Alfano: questi teatranti ormai maleodoranti della politica italiana) e gli altri, cioè il Movimento 5 Stelle, condannato all’opposizione per l’eternità. Peccato che i tempi del XXI Secolo sono rapidi: se uno resta sempre all’opposizione, rischia – più rapidamente che nel passato – di logorare il rapporto con la popolazione, che alla fine non lo vota più.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli nella diretta “Massoneria On Air” su “Colors Radio” il 25 settembre 2017, annunciando la nascita ufficiale del Pdp, Partito Democratico Progressista. «Auspichiamo – dice – che tutti i cittadini che sono stanchi tanto del centrodestra che del centrosinistra (ma anche del M5S in questa sua versione inconcludente) confluiscano copiosi nella nuova formazione» alla quale sta lavorando Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, impegnato a Roma il 4 novembre per un convengno sulla Costituzione «con proposte rivoluzionarie per migliorarla, non certo nel senso tentato da Renzi») e con l’assemblea costituente del Pdp. Il nuovo soggetto politico aprirà inoltre un cantiere di formazione politica, il Master Roosevelt in Scienze della Polis, e si prepara a celebrare a Milano, nel gennaio 2018, un convegno sull’eminente figura del socialdemocratico svedese Olof Palme, assassinato nel 1986 a Stoccolma mentre era premier, in procinto di essere eletto segretario generale all’Onu).E’ davvero interessante interrogarsi su qual è il candidato del Movimento 5 Stelle a Palazzo Chigi, posto che – se le cose non cambiano – verrà fuori un Parlamento in cui il M5S sarà in beata solitudine col 25-30% ma il governo lo faranno gli altri? Ed è bella, democratica e avvincente una competizione interna ai 5 Stelle dove Di Maio non ha nessun avversario? E’ questa la democrazia che si garantisce a coloro che avevano qualche chance di competere per batterlo? E’ questa la democrazia interna che vogliamo, nei partiti e nei movimenti? E’ la democrazia che vogliamo per il nostro paese? Direi di no. Di Maio non avrà l’occasione che ha avuto Renzi: non diventerà mai presidente del Consiglio: il Movimento 5 Stelle rappresenta oggi una porzione significativa di elettorato, inferiore al 30%. E fintanto che la sua proposta politica sarà confusa e le sue capacità di governo pari a quelle dimostrate a Roma, senza nessuna disponibilità ad alleanze con altri soggetti, è destinato a non governare. Di Maio non è un massone, aspira a diventare un supermassone, come aspirava Renzi: ma, se non hanno aperto le porte a Renzi quand’era primo ministro, figuriamoci se le apriranno a Di Maio, che è soltanto un ragazzo di modesta cultura e di una qualche buona sorte, visto che si è trovato nel posto giusto al momento giusto, insieme ad altri, sul palcoscenico.
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Magaldi: Germania fuorilegge, il rimedio verrà dall’Italia
Le elezioni in Germania? Tutto molto prevedibile. Continua la discesa rovinosa dei sedicenti socialdemocratici, capeggiati dal sedicente progressista Schulz, mentre la Merkel – appannata – tiene, ma perde punti. La verità è che tutta la politica è in crisi, perché la Germania non è altro che una locomotiva eterodiretta da poteri che trascendono la Germania stessa e persino le istituzioni europee. Sono poteri di cui ho parlato lungamente nel libro “Massoni” (Ur-Lodges reazionarie, superlogge internazionali e loro emanazioni finanziarie paramassoniche). Sono poteri privati, sovranazionali, che hanno fatto della Germania – e in parte anche della Francia, ultimamente subalterna a Berlino – le locomotive di una gestione neo-feudale, tecnocratica e oligarchica dell’Europa. Questo in Germania ha portato a un eccessivo surplus nelle esportazioni, scandaloso ed eversivo, rispetto alle stesse (brutte) norme europee. Quindi una politica mercantilista della Germania: fuorilegge, rispetto alle leggi Ue che vengono così spesso invocate. Ciò ha causato una compressione persino della domanda interna: in Germania proliferano i cosiddetti “mini-job”, la gran parte della popolazione ha redditi modesti, non ci sono grandi consumi. Tutto ciò per far crescere il sistema-Germania in termini di esportazioni, togliendo quote di mercato ad altre industrie, specie quella italiana.La si voleva distruggere, la nostra industria: il grande economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, denuncia da anni il progetto di deindustrializzazione dell’Italia (parzialmente fallito: l’Italia è in crisi, ma regge). Però in Germania si pensa che tutto vada bene, che sia un paese dove tutti godono a scapito degli altri – perché si vuole alimentare un clima di scontro tra nazioni. E questo perché, dietro, c’è tutto un progetto, per il quale questa falsa Unione Europea ha fomentato nuove rivalità e nuovi nazionalismi. E quello che si vuole realmente è il caos: perché nel caos politico, cioè nell’incapacità di formare maggioranze nette contro opposizioni nette che alimentino una sana dialettica democratica, a guadagnarci sono proprio quei poteri extra-politici che gestiscono bene il caos, favorendo grandi ammucchiate. Non si sa bene chi sta al governo e chi all’opposizione, e quindi si va avanti col “pilota automatico” di cui parlava a suo tempo Mario Draghi. E cioè: per l’Europa c’è un’unica e sola ricetta, quella della mortificazione della classe media in tutti i paesi, della mortificazione del diritto al lavoro, dell’abbassamento dei salari.In più, a questo si aggiunge un’assenza nella politica dell’immigazione, quindi con una concorrenza al ribasso tra i lavoratori europei e questi poveracci che arrivano in grandi masse, grazie anche ad altre operazioni estremamente dubbie, opache, come le false primavere arabe e tutti quegli sconvolgimenti che hanno trasformato il Nordafrica, il Maghreb e il Medio Oriente in punti di partenza di un esodo che poi non viene gestito. Proprio la Germania è il luogo in cui vanno ripristinate alcune regole, se si vuole un’Europa diversa, poco importa se unita sotto un unico governo o formata da nazioni sovrane. La Germania non sta svolgendo il ruolo di leader di un’Europa coesa e convergente sul benessere dei popoli europei. E secondo me, visti i risultati elettorali, non è dalla Germania che partirà la cura. La cura della Germania può partire dall’Italia, perché la Francia è imbalsamata da quell’altro burattino di Macron. Bisogna evitare che in Italia ci sia una fotocopia di quanto accaduto in Germania.Diciamo che la Francia ha proposto, con Macron, un Renzi un po’ più strutturato e più solido – durerà anni, sarà come Hollande o peggio di Hollande, ma con le caratteristiche giovanilistiche di Renzi, quindi da lì non verrà nulla. L’Italia invece è il vero luogo dove si combatte la battaglia per la democrazia. Questo scenario europeo è collegato agli scenari mondiali e a quello mediterraneo: davvero, l’Italia è l’epicentro delle vere battaglie del nostro tempo. La democrazia è questo: piena legittimazione e alternanza tra partiti e coalizioni che hanno idee nettamente diverse, nel rispetto di regole condivise. La presunta ultra-destra tedesca? Lo scenario sembra nuovo, ma è tutto vecchio. Come ogni altra destra “estrema”, anche Afd finirà per puntellare governi di larghe intese. In ogni caso il suo exploit non fa parte della vera agenda politica europea dei prossimi mesi, che invece riguarda quello che sta accadendo nel Regno Unito – non a caso, obiettivo di diversi attentati terroristici a ripetizione – e, ripeto, quello che accade in Italia. Rischio di neo-nazismo in Germania? Non scherziamo. L’egemonia tedesca che si perseguiva allora tramite il nazismo oggi si persegue per altre vie. Esemplare la figura di Hjalmar Schacht, stratega economico-finanziario che passò indenne dalla Repubblica di Weimar al nazismo e poi alla Repubblica Federale Tedesca. Se c’è un ruolo pernicioso della Germania non sarà interpretato da ultra-destre che mai arriveranno al potere, ma da questo consociativismo imperniato sulla Merkel, che si fa grimaldello di “poteri altri”, privati e sovranazionali.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli di “Colors Radio” nella trasmissione “Massoneria On Air” del 25 settembre 2017).Le elezioni in Germania? Tutto molto prevedibile. Continua la discesa rovinosa dei sedicenti socialdemocratici, capeggiati dal sedicente progressista Schulz, mentre la Merkel – appannata – tiene, ma perde punti. La verità è che tutta la politica è in crisi, perché la Germania non è altro che una locomotiva eterodiretta da poteri che trascendono la Germania stessa e persino le istituzioni europee. Sono poteri di cui ho parlato lungamente nel libro “Massoni” (Ur-Lodges reazionarie, superlogge internazionali e loro emanazioni finanziarie paramassoniche). Sono poteri privati, sovranazionali, che hanno fatto della Germania – e in parte anche della Francia, ultimamente subalterna a Berlino – le locomotive di una gestione neo-feudale, tecnocratica e oligarchica dell’Europa. Questo in Germania ha portato a un eccessivo surplus nelle esportazioni, scandaloso ed eversivo, rispetto alle stesse (brutte) norme europee. Quindi una politica mercantilista della Germania: fuorilegge, rispetto alle leggi Ue che vengono così spesso invocate. Ciò ha causato una compressione persino della domanda interna: in Germania proliferano i cosiddetti “mini-job”, la gran parte della popolazione ha redditi modesti, non ci sono grandi consumi. Tutto ciò per far crescere il sistema-Germania in termini di esportazioni, togliendo quote di mercato ad altre industrie, specie quella italiana.
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Magaldi: una rivoluzione, contro i falsari degli 11 Settembre
Samuel Huntington, chi era costui? Politologo americano, lo presenta Wikipedia. Analista geopolitico dell’amministrazione Usa dai tempi di Jimmy Carter, direttore degli studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di “Foreign Policy” e autore di una ventina di saggi che hanno fatto storia. Uno su tutti, quello sullo “scontro di civiltà”, di risonanza pari alla tesi sulla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama, insieme al quale nel 1975 firmò il saggio sulla “crisi della democrazia”, promosso dalla neonata Commissione Trilaterale, suprema istituzione del potere paramassonico. La tesi del volume, firmato da Huntington e Fukuyama insieme a Michel Crozier: troppa democrazia fa male, bisogna tagliarla e ridurre i cittadini all’apatia, alla passività. A sedici anni dall’attacco alle Torri Gemelle c’è ancora chi si interroga sui possibili, veri mandanti del più spettacolare attentato della storia? Non Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges internazionali nella cabina di regia dei destini del pianeta. Attenti alle date, avverte: il disastro delle Twin Towers il è “sequel” di un altro 11 Settembre, quello del 1973, quando in Cile fu abbattuto Allende dal golpe di Pinochet. Obiettivo strategico: piegare quel che restava del socialismo e avvelenare il mondo con l’ideologia neoliberista. Fine dello Stato sovrano e “dittatura” del capitale finanziario.Un personaggio sinistro, Samuel Huntington: così lo definisce Magaldi parlando ai microfoni di “Colors Radio”, nel ricostruire i retroscena dell’ecatombe newyorkese del 2001 destinata a innescare la “guerra infinita”, comiciata da Afghanistan e Iraq con l’improvvisa comparsa del fantomatico terrorismo globale “islamico”, incarnato da Al-Qaeda e dalla sua ultima filiazione, l’Isis. Uno “scontro di civiltà” solo presunto, quello evocato da Huntington, ma utilissimo a far marcire, a colpi di leggi securitarie, la “crisi della democrazia”, dal Patriot Act di Bush «fino a una legge italiana come quella sui vaccini, imposta in modo autoritario: lo afferma anche un magistrato del calibro di Ferdinando Imposimato». Magaldi articola la sua analisi partendo dal punto di vista esclusivo e privilegiato del retroterra massonico da cui proviene: già figura di spicco del Goi, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle superlogge internazionali alla radice del potere attuale, apolide e globalizzato. Da qui l’impegno civile nel Movimento Roosevelt, entità metapartitica che – anche attraverso figure come l’economista Nino Galloni – propone il risveglio democratico della politica italiana, sconfessando il dogma neoliberista: abbiamo bisogno di più Stato e più sovranità. Meglio archiviare Huntington: non è vero che la crisi della democrazia si “cura” riducendo la democrazia stessa, come oggi avviene grazie all’attuale mostro giuridico chiamato Unione Europea.Se siamo in questa situazione, sintetizza Magaldi, è anche perché la storia del secondo ‘900 ci è stata raccontata in modo spesso impreciso e incompleto: il grande progetto di riduzione della democrazia non è cominciato nel 2001 a New York, ma nel 1973 a Santiago del Cile, dove il massone Pinochet tradì il massone Allende, «un uomo forse troppo buono, un sincero socialista nutrito degli ideali filantropici della massoneria progressista». Dietro al complotto, c’era il gruppo allora rappresentato da Henry Kissinger, segretario di Stato sotto Gerald Ford ma soprattutto «esponente di punta della Ur-Lodge “Three Eyes”, massima espressione della destra reazionaria in ambito supermassonico». Forse Allende aveva nazionalizzato l’economia cilena in modo troppo esteso e precipitoso. Tuttavia, per i golpisti, la posta in palio non era il piccolo Cile, ma il resto del mondo. Da quel momento, continua Magaldi, l’élite supermassonica neo-feudale ha messo in atto, meticolosamente, il suo piano: progressivo smantellamento dell’economia mista (Italia compresa), erosione del protagonismo economico statale, dottrina neoliberista dello “Stato minimo”, fine della sinistra sindacale, crisi del welfare, privatizzazioni selvagge e deregulation della finanza: Reagan (e poi Clinton) negli Usa, la Thatcher in Europa.Henry Kissinger, David Rockefeller, Jacob Rothschild, Zbigniew Brzezinski: se gli strateghi della “Three Eyes” avevano scelto la modalità del “guanto di velluto”, lo stile in doppiopetto nell’imporre i vari “regime change” funzionali allo sviluppo neoliberista dell’economia, privatizzata e finanziarizzata, poi questa dinamica – inesorabile, ma relativamente lenta – ha subito un’accelerazione imprevedibile nel 2001, con la catastrofe delle Twin Towers, in realtà «preparata da lungo tempo» in un altro “santuario” supermassonico, la superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush all’inizio degli anni ‘80. Una struttura internazionale che secondo Magaldi ha poi reclutato personaggi come Tony Blair, l’inventore delle “armi di distuzione di massa” di Saddam, e come Nicolas Sarkozy, il liquidatore di Gheddafi (senza dimenticare il turco Erdogan, massimo padrino dell’Isis nella sanguinosa conquista della Siria). Le macerie della tragica geopolitica di oggi, fino ai recenti attentati in Europa, secondo Magaldi sono il risultato ultimo dello sciagurato progetto “Hathor Pentalpha”. Il terrorismo come mezzo principe per ottenere tutto e subito, in modo sbrigativo e spaventoso: alle peggiori stragi seguono colossali affari, carriere-lampo, razzie sistematiche di risorse strategiche, drastica centralizzazione del potere, leggi speciali e soppressione progressiva di libertà civili.E’ lo spettacolo dell’orrore, a cui i media ormai ci hanno abituato. Ma guai a pensare che sarà così per sempre, insiste Magaldi: «Questi poteri non sono affatto invincibili, il loro tragico successo dipende in larga parte dalla nostra inerzia». La passività civile, l’apatia raccomandata dal “sinistro” profeta Huntington. La rissa polemica sull’ultimo 11 Settembre? Errore ottico, dice Magaldi, frutto dello scontro tra negazionisti (scettici o bugiardi) e complottisti poco lucidi. «In realtà non servono chissà quante persone per propiziare una catastrofe come quella di Ground Zero: bastano pochi uomini nei posti giusti, che li limitino ad allargare le maglie della sicurezza e, sostanzialmente, a lasciar fare». Nessun dubbio, per Magaldi, sulla partenità massonica del super-attentato: le Twin Towers, «due torri gemelle, appunto», richiamano immediatamente «le due colonne che campeggiano in ogni tempo massonico», e per giunta a New York, cioè «in una delle città più massoniche al mondo». Oggi, poi, sarebbe in corso una guerra nella guerra: segmenti dell’impenetrabile mondo delle Ur-Lodges, quelli “progressisti”, sarebbero in rivolta contro gli abusi della filiera “reazionaria”, avviati in Cile dalla “Three Eyes” e completati con il terrificante cambio di passo imposto dalla “Hathor Pentalpha” a Manhattan, sedici anni fa. Da allora, stesso copione ovunque: guerra in Medio Oriente e terrorismo in Occidente. «Non durerà per sempre», insiste Magaldi. «Ma tocca a noi uscire dal letargo: serve una vera e propria rivoluzione, civile e politica, per rivendicare i diritti che ci sono stati confiscati e tornare a condizioni di sovranità democratica».Samuel Huntington, chi era costui? Politologo americano, lo presenta Wikipedia. Analista geopolitico dell’amministrazione Usa dai tempi di Jimmy Carter, direttore degli studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di “Foreign Policy” e autore di una ventina di saggi che hanno fatto storia. Uno su tutti, quello sullo “scontro di civiltà”, di risonanza pari alla tesi sulla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama. Nel 1975, Huntington produsse un altro saggio epocale, quello sulla “crisi della democrazia”, promosso dalla neonata Commissione Trilaterale, suprema istituzione del potere paramassonico. La tesi del volume, firmato da Huntington con Joji Watanuki e Michel Crozier: troppa democrazia fa male, bisogna tagliarla e ridurre i cittadini all’apatia, alla passività. A sedici anni dall’attacco alle Torri Gemelle c’è ancora chi si interroga sui possibili, veri mandanti del più spettacolare attentato della storia? Non Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges internazionali nella cabina di regia dei destini del pianeta. Attenti alle date, avverte: il disastro delle Twin Towers il è “sequel” di un altro 11 Settembre, quello del 1973, quando in Cile fu abbattuto Allende dal golpe di Pinochet. Obiettivo strategico: piegare quel che restava del socialismo e avvelenare il mondo con l’ideologia neoliberista. Fine dello Stato sovrano e “dittatura” del capitale finanziario.
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Sankara: basta rapinare l’Africa, col debito. E lo uccisero
Noi pensiamo che il debito si analizzi prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali, che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici – anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei “finanziatori”. Un termine che si usa ogni giorno, come se ci fossero degli uomini che solo “sbadigliando” possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia, intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E si parla di crisi. No, signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua.Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individi. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali, che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassifondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. No! Non possiamo essere complici. Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine. Signor presidente, sentiamo parlare di club – Club di Roma, Club di Parigi, Club di dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei Cinque, dei Sette, del Gruppo dei Dieci, forse del Gruppo dei Cento o che so io. E’ normale allora che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. E’ solo così che potremo dire, oggi, che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma, al contrario, intenzioni fraterne.Del resto, le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano, e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire, al contrario, che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi.Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe, qui, che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da “giovani”, senza maturità ed esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto. E posso citare, tra quelli che dicono di non pagare il debito, dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare. Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand, che ha detto che i paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora primo ministro di Norvegia. Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo, è solo un esempio.Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che, quanto al suo paese, la Costa d’Avorio, non può pagare. Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. E per questo, d’altronde, è normale che paghi un contributo maggiore, qui. Signor presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, io non sarò qui alla prossima conferenza! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma, è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiatico. E’ contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma, signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che, a partire da Addis Abeba, decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i machete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo. Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonella, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione e io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda, ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E’ il solo modo di vivere liberi e degni.(Thomas Sankara, estratto dal “discorso sul debito” pronunciato al vertice panafricano di Addis Abeba, Etiopia, il 29 luglio 1987. Un anno dopo, il 28 ottobre, Sankara verrà assassinato a Ouagadougu, capitale del Burkina Faso, che quattro anni prima aveva liberato, con la sua rivoluzione, dal colonialismo francese. Il presidente dell’Organizzazione per l’Unità Africana, cui Sankara si rivolge nel discorso, è il congolese Denis Sassou-Nguesso, mentre la citata premier norvegese è Gro Harlem Brundtland, progressista e ambientalista. Riletto oggi, il celebre discorso di Sankara – martire socialista della sovranità democratica dell’Africa – è particolarmente illuminante, di fronte alla tragedia quotidiana dell’esodo dei migranti africani).Noi pensiamo che il debito si analizzi prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri Stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali, che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici – anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei “finanziatori”. Un termine che si usa ogni giorno, come se ci fossero degli uomini che solo “sbadigliando” possono creare lo sviluppo degli altri. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.
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Carpeoro: un massone tradì Mussolini, che voleva arrendersi
Mussolini organizzò personalmente l’auto-golpe del 25 luglio, per evitare all’Italia di essere invasa dai nazisti? Archivi massonici finora rimasti top secret potrebbero gettare luce su un clamoroso retroscena della storia italiana. Figura chiave, un esponente di vertice della “libera muratoria” dell’epoca, vicino al Duce, che all’ultimo minuto avrebbe svelato al Vaticano le vere intenzioni del dittatore: simulare la sua deposizione e assegnare a Galeazzo Ciano la guida della futura Rsi, Repubblica Sociale Italiana, con l’incarico di sfilarsi dalla guerra ormai perduta e cercare di far dimenticare il fascismo, abbracciando elementi di socialismo. Una prospettiva allarmante per la Santa Sede, che avrebbe fatto fallire il piano, provocando il precipitare degli eventi – fino alla fucilazione di Ciano – dopo aver tempestivamente riferito ai tedeschi le reali intenzioni dell’entourage mussoliniano. E’ l’ipotesi alla quale sta lavorando Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzioni), già a capo della massoneria italiana di rito scozzese, quella di Piazza del Gesù, custode di archivi riservati come quello del duca-conte Carlo Alberto Di Tullio, dirigente fascista lombardo.Capo dell’Ovra di Pavia sotto la Rsi, Di Tullio fu poi “graziato” dal tribunale partigiano presiediuto da Oscar Luigi Scalfaro: con l’aiuto della Croce Rossa – utilizzando la sua carica – il futuro “gran maestro” Di Tullio aveva messo in salvo decine di ebrei, dopo l’8 settembre 1943. Lo studio di Carpeoro, probabilmente destinato a essere condensato in un volume di prossima pubblicazione, potrebbe comprovare – documenti alla mano (nomi, date, eventi circostanziati) – quella che suona come la possibile “vera storia” del 25 luglio, con il Gran Consiglio del Fascismo al quale, a quel punto, non restò che deporre – davvero – Mussolini, il quale poi sarà confinato sul Gran Sasso e, di lì e poco, “liberato” (suo malgrado?) dai paracadutisti del Führer guidati da Otto Skorzeny. Ammesso che l’ipotetico piano di Mussolini per tentare di passare al post-fascismo fosse autentico e realistico, quanto sarebbe cambiata la storia italiana se fosse andato in porto? Il futuro governo Ciano sarebbe stato protetto dalla longa manus degli inglesi, dai quali il giovane Mussolini era stato a lungo stipendiato come loro agente?Domande che restano nel mondo delle ipotesi, di fronte alla drammatica realtà dell’8 settembre 1943, con l’Italia in balia degli eventi dopo il proclama Badoglio, che lasciava l’esercito allo sbando, senza ordini precisi, e quindi nelle mani degli ex alleati tedeschi, prontamente trasformatisi in invasori. Sullo choc dell’8 Settembre l’Italia ha prodotto un vastissimo patrimonio di testimonianze. Tra le meno note quella di Nuto Revelli, lo scrittore del “Mondo dei vinti”. Militare di carriera (tenente degli alpini) era un fascista convinto, fino alla tragedia della ritirata di Russia, che concluderà a modo suo: spedendo a casa, a Cuneo, tre fucili mitragliatori, in vista della resa dei conti con fascisti e nazisti. Nel memorabile “La guerra dei poveri” (Einaudi), il giovane Nuto – a cui la guerra fascista ha aperto gli occhi, mostrandogli la brutalità e la corruzione del regime – descrive con sgomento, in pagine memorabili, il disfascimento della Quarta Armata, tornata precipiosamente in Italia, attraverso le Alpi, dopo aver abbandonato il Sud della Francia.Anche la “Guerra dei poveri” rivela come, in fondo, la realtà storica è fatta anche di chiaroscuri: lo stato maggiore della Quarta Armata, pur fascista, aveva al seguito centinaia di ebrei, sottratti alla Gestapo. La loro storia, sempre Nuto Revelli la racconterà in una delle sue ultime opere, “Il prete giusto”, che dà la parola a un umile e coraggioso sacerdote, don Raimondo Viale (poi “sospeso a divinis” dalle autorità vaticane), che riuscì a mettere in salvo le famiglie ebree giunte in Italia insieme ai soldati in fuga dalla Provenza. Regione francese che poi lo stesso Revelli contribuì a liberare – altra pagina di storia poco nota – esportando oltralpe la guerra partigiana dopo aver contrastato duramente le colonne corazzate tedesche in valle Stura, sulle montagne cuneesi. La liberazione mise fine a 20 mesi di spaventosa violenza, inaugurati dall’eroico sacrificio della Divisione Aqui che, sull’isola greca di Cefalonia, rifiutò di arrendersi ai tedeschi. Un bilancio di sangue, quello della Resistenza, che secondo gli storici ammonta a decine di migliaia di vittime. Davvero le si sarebbe potute risparmiare, se non fosse stato sabotato (come ipotizza Carpoero) il piano mussoliniano per uscire in sordina dal conflitto mondiale, abbandonando la Germania ed evitando gli orrori della guerra civile?Mussolini organizzò personalmente l’auto-golpe del 25 luglio, per evitare all’Italia di essere invasa dai nazisti? Archivi massonici finora rimasti top secret potrebbero gettare luce su un clamoroso retroscena della storia italiana. Figura chiave, un esponente di vertice della “libera muratoria” dell’epoca, vicino al Duce, che all’ultimo minuto avrebbe svelato al Vaticano le vere intenzioni del dittatore: simulare la sua deposizione e assegnare a Galeazzo Ciano la guida della futura Rsi, Repubblica Sociale Italiana, con l’incarico di sfilarsi dalla guerra ormai perduta e cercare di far dimenticare il fascismo, abbracciando elementi di socialismo. Una prospettiva allarmante per la Santa Sede, che avrebbe fatto fallire il piano, provocando il precipitare degli eventi – fino alla fucilazione di Ciano – dopo aver tempestivamente riferito ai tedeschi le reali intenzioni dell’entourage mussoliniano. E’ l’ipotesi alla quale sta lavorando Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzioni), già a capo della massoneria italiana di rito scozzese, quella di Piazza del Gesù, custode di archivi riservati come quello del duca-conte Carlo Alberto Di Tullio, dirigente fascista lombardo.
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Carpeoro: ma il fascismo nacque da massoneria e Vaticano
Attenti al lupo? Non lasciatevi ingannare: perché se il “lupo” è il fantasma storico del fascismo, a lanciare periodicamente l’allarme sul suo ipotetico, improbabile ritorno sono «faine e donnole», le stesse che quel “lupo” lo fabbricarono, cent’anni fa. Agitarne lo spettro, oggi? E’ comodo: in quel modo, “faine e donnole” «possono continuare indisturbate ad aggirarsi per i pollai». Fuor di merafora: i voraci mustelidi (le faine e le donnole, appunto) altro non sarebbero che la massoneria e il Vaticano, cioè i due veri genitori (occulti) del movimento politico reazionario fondato negli anni ‘20 dall’ex dirigente socialista Benito Mussolini. E’ la ricostruzione che Gianfranco Carpeoro affida al suo prossimo saggio, “Il compasso, il fascio e la mitra”, in uscita tra qualche mese. Retroscena in arrivo, documenti alla mano: furono le dirigenze massoniche e cattoliche a pianificare l’ascesa del fascismo, fino alla sua rimozione dopo il ventennio, per poi continuare – attraverso la sovragestione finanziaria del paese – a reggere i destini economici dell’Italia anche nel dopoguerra, sempre attraverso una tacita spartizione “bipartisan” del potere.«Il fascismo nasce da uno scontro folle, violentissimo e senza esclusione di colpi, tra la massoneria e il Vaticano», dichiara Carpeoro in diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Il fascismo nasce favorito dalla massoneria», ma poi si trasforma: «Da masso-fascismo diventa catto-fascismo», quindi «scarica la massoneria (la mette finanche fuorilegge) e si allea col Vaticano». E alla fine, il movimento fascista «viene tradito, e annullato, da queste due forze: massoneria e Vaticano». Il regista della reintroduzione del Vaticano nel sistema politico italiano? «E’ un signore che ha un nome evocativo: si chiama Gentiloni, è il nonno dell’attuale premier». Dopo la presa di Roma del 1870, ricorda il “Giornale”, Pio IX aveva decretato, con il “non expedit”, che i credenti italiani non partecipassero più alla politica. Decisione confermata dal successore, Leone XIII. Ma Pio X, pontefice dal 1903, aveva capito che il blocco non era ulteriormente sostenibile: «C’era da affrontare il “pericolo rosso”, ovvero i socialisti, e quindi occorreva accordarsi con i liberali, rappresentati dal capo del governo Giovanni Giolitti».Lo stesso Giolitti, continua il “Giornale”, aveva fatto una mossa da grande giocatore introducendo il suffragio universale maschile, per cui alle elezioni del 1913 gli aventi diritto al voto sarebbero passati da 3 a 8 milioni. «Lo Stato liberale rischiava grosso, ma anche la Chiesa: se il Papa avesse confermato il “non expedit”, il Parlamento poteva cadere in mano ai socialisti; per evitarlo, i cattolici avrebbero dovuto appoggiare i liberali. Quella di Giolitti fu una strategia vincente, però lo Stato laico finiva per ammettere implicitamente, dopo quasi mezzo secolo, che non era possibile governare l’Italia senza la Chiesa». Il tramite dell’accordo, raggiunto nel 1912, fu il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, dirigente dell’Azione Cattolica. Obiettivo del Vaticano: mobilitare gli elettori cattolici per «opporsi a ogni proposta di legge contro le istituzioni religiose», ma anche tutelare le scuole cattoliche, battersi per l’istruzione religiosa nelle scuole pubbliche, respingere qualsiasi legge divorzista. «Il “non expedit” venne tolto, e il patto venne applicato in 330 collegi su 508, tutti quelli dove c’era il pericolo che vincessero i socialisti».Quel patto, aggiunge il “Giornale”, doveva rimanere segreto. «Ma Gentiloni – che ci teneva a entrare nella storia, e infatti ci è entrato – rivelò sia le clausole sia il nome dei candidati che vi avevano aderito. Si scoprì così che molti erano massoni, ovvero nemici mortali della Chiesa, almeno in teoria». Nemici giurati, ma pronti a mettersi d’accordo per spartirsi il potere, sostiene Carpeoro, in un mondo dove – dietro le apparenze – si bada al sodo, e l’alleato di oggi può diventare l’avversario di domani. «I massoni, che favoriscono il fascismo – dichiara Carpeoro – sono gli stessi che poi lo vanno ad appendere a testa in giù, Mussolini». Pochi sanno che quando il Duce fu appeso a testa in giù, a piazzale Loreto, «c’era un’intera loggia del Grande Oriente d’Italia». Una loggia presente al gran completo, che pronunciò anche delle parole rituali, in quella macabra circostanza: «Non vi scordate che l’Appeso, nei tarocchi, è la carta derivante dal capovolgimento dell’Imperatore», sottolina Carpeoro, di cui pochi mesi fa è uscito in libreria il primo volume del saggio “Summa Symbolica”. Un libro edito da L’Età dell’Aquario, che rivela l’alfabeto – spesso arcano – dei simboli che ci circondano.“Faine e donnole, massoneria e Vaticano, fascismo e poi antifascismo: «Sotto questo profilo – continua Carpeoro – ci sono dei termini di continuità, perché poi anche la Repubblica nasce all’insegna di un patto, sia pure abbastanza belligerante, tra massoneria e Vaticano». Risvolti di una storia che vive di chiaroscuri: «La massoneria imparerà a infiltrarsi nel Vaticano e il Vaticano imparerà a infiltrarsi nella massoneria, però poi in realtà il sistema economico verrà garantito da Mediobanca, che è l’istituzione finanziaria massonica, e dalle istituzioni finanziarie vaticane, principalmente dalle cosiddette banche cattoliche, che poi confluiranno, in termini di collegamento, nel sistema Ior». Quindi, conclude lo studioso, c’è poco da fidarsi del ricorrente monito sul possibile ritorno del fascismo: «Fa parte del sistema di equilibrio-squilibrio tra i due veri sistemi organizzati», cioè la massoneria e il Vaticano. Sono loro il potere, quello autentico: e se ogni tanto riesumano lo spettro del fascismo, gridando “attenti al lupo”, è per poter continuare, «in quanto faine e donnole», ad «aggirarsi indisturbate per i pollai».Attenti al lupo? Non lasciatevi ingannare: perché se il “lupo” è il fantasma storico del fascismo, a lanciare periodicamente l’allarme sul suo ipotetico, improbabile ritorno sono «faine e donnole», le stesse che quel “lupo” lo fabbricarono, cent’anni fa. Agitarne lo spettro, oggi? E’ comodo: in quel modo, “faine e donnole” «possono continuare indisturbate ad aggirarsi per i pollai». Fuor di merafora: i voraci mustelidi (le faine e le donnole, appunto) altro non sarebbero che la massoneria e il Vaticano, cioè i due veri genitori (occulti) del movimento politico reazionario fondato negli anni ‘20 dall’ex dirigente socialista Benito Mussolini. E’ la ricostruzione che Gianfranco Carpeoro affida al suo prossimo saggio, “Il compasso, il fascio e la mitra”, in uscita tra qualche mese. Retroscena in arrivo, documenti alla mano: furono le dirigenze massoniche e cattoliche a pianificare l’ascesa del fascismo, fino alla sua rimozione dopo il ventennio, per poi continuare – attraverso la sovragestione finanziaria del paese – a reggere i destini economici dell’Italia anche nel dopoguerra, sempre attraverso una tacita spartizione “bipartisan” del potere.
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Gli strateghi del Brexit hanno ingannato chi ha votato Brexit
Credo che una delle più grandi doti di un politico sia l’onestà intellettuale – incluso l’ammettere i propri errori, soprattutto quando si agiva o si pensava in buona fede. Coloro che hanno sostenuto Brexit, credendo nella favola della liberazione dai potenti, dovrebbero oggi cominciare a vedere cosa Brexit è davvero: un feroce attacco allo Stato sociale della nazione che ha “inventato” e meglio realizzato un modello unico di società, in cui le libertà individuali e le responsabilità dell’individuo verso la comunità sono state efficacemente coniugate, a partire dal grande lavoro di William Beveridge. Brexit non è altro che l’attacco al modello economico e sociale piú avanzato al mondo, perpetuato e favorito da governi conservatori che, mentre predicavano alle masse di agire nel loro interesse, e mentre continuavano a tagliare i servizi e le tutele ai cittadini, sono riusciti a triplicare il debito pubblico – creando proprio le condizioni per poter rivendicare oggi, e dopo Brexit, “l’unaffordability” del welfare system. Gli ultimi governi conservatori hanno fatto proprio questo: creare le condizioni economiche per poter giustificare ed imporre l’austerity, così come è avvenuto nella maggior parte degli altri Stati europei da dieci anni a questa parte.«Ma ora che c’è Brexit, ora che usciremo dall’Unione Europea, potremo investire i nostri soldi nel nostro welfare system e migliorare il nostro sistema sanitario pubblico, invece di darli ai greci», senti le cornacchie del Brexit gracchiare. Ma il modello politico, economico e sociale sotto attacco non è, cari amici inglesi, quello greco, ma il modello di Stato sociale che, sviluppatosi nel Regno Unito, è poi diventato patrimonio del popolo europeo. Attaccare l’economia greca vuol dire attaccare il welfare system britannico; vuol dire indirettamente screditare ogni modello di stato sociale. Peccato. Brexit avrebbe potuto rappresentare il rilancio del modello sociale ed economico social-liberale, in barba al neoliberismo e agli interessi economici privati che si sono impossessati della Ue. Ma così non è stato e, soprattutto, non doveva mai essere. Coloro che il Brexit lo hanno voluto avevano interessi e piani diametralmente opposti a quelli di coloro che il Brexit lo hanno votato.Brexit rappresenta l’attacco al social-liberalismo per imporre il modello sociale neoliberista ad un Regno Unito che, pur abbracciando il neoliberismo, aveva ancora una società ed una politica “resistenti”. Brexit rappresenta l’opportunitá per cannibalizzare e spolpare Londra (vedremo gli effetti della riforma di Osborne sulle tasse sulla seconda casa, e a chi gioverà). Brexit consente al governo britannico di proporre la totale deregulation. Consente al governo di proporre che Londra diventi un “tax heaven”. Consente a Theresa May di presentare un European Union Withdrawal Bill che sostanzialmente le darà il potere di fare tutte le leggi che vorrà (tranne alzare le tasse, of course) senza passare per il Parlamento. Brexit consente a Theresa May di annunciare che l’amico Donald Trump sarà disponibile a firmare un “trade deal” unico col Regno Unito, per garantigli prosperitá dopo Brexit. Peccato che la May voglia ricambiare il favore, mettendo il sistema sanitario pubblico sul piatto e regalando la sanità pubblica al capitale privato americano.E i 350 milioni a settimana, pubblicizzati durante la campagna del Brexit, che dovevano andare nelle casse dell’Nhs per dargli nuova prosperitá? Smentiti il giorno dopo il voto e, actually… in Kent sono stati privatizzati i primi studi di medici generici, oggi di proprietà di Virgin Health. A livello nazionale si è discusso della famosa “dementia tax” e di ridurre le tutele sanitarie a obesi e fumatori. Cosa prova tutto questo? Che non ci possiamo innamorare della propaganda senza contenuti. Non possiamo innamorarci del “come”. Perche Brexit era un “come”, era un mezzo. Peccato che, come già detto ma è bene ripetere, il fine di coloro che hanno ideato Brexit era diametralmente opposto a quello di coloro che Brexit lo hanno votato. Prima di discutere del “come”, discutiamo del “cosa” – cosa vogliamo fare per il futuro del Regno Unito, dell’Italia e dell’Europa. Una proposta social-liberale sullo scenario politico non c’è.In Italia i cosiddetti democratici e progressisti che hanno votato il Fiscal Compact, come coloro che propongono ancora di alzare le tasse, non sono una proposta credibile. E una proposta social-liberale (raccogliamo tutti l’invito di Carpeoro a riscoprire Olof Palme) non c’è da nessuna parte. Abbiamo urgente bisogno di una proposta politica adatta alle sfide del futuro. Se qualcosa manca, lavoriamo alla sua costruzione. Sviluppiamo noi, cittadini con idee, questa proposta politica il prima possibile. Ricordiamoci anche che oggi ci lamentiamo di Brexit, ma una vittoria del Remain avrebbe ulteriormente legittimato un modello di Unione Europea, senza sostanziale legittimazione politica e popolare, asservito agli interessi del sistema neoliberista. Ricordiamoci che coloro che volevano combattere il modello politico, sociale ed economico, antidemocratico, illiberale, antisociale e antiambientale neoliberista, a cui l’Unione Europea sembra asservita, avevano ragione a farlo – hanno solo sbagliato il “come”.(Marco Moiso, “Brexit e gli interessi diametralmente opposti di chi lo ha ideato e chi lo ha votato”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 luglio 2017).Credo che una delle più grandi doti di un politico sia l’onestà intellettuale – incluso l’ammettere i propri errori, soprattutto quando si agiva o si pensava in buona fede. Coloro che hanno sostenuto Brexit, credendo nella favola della liberazione dai potenti, dovrebbero oggi cominciare a vedere cosa Brexit è davvero: un feroce attacco allo Stato sociale della nazione che ha “inventato” e meglio realizzato un modello unico di società, in cui le libertà individuali e le responsabilità dell’individuo verso la comunità sono state efficacemente coniugate, a partire dal grande lavoro di William Beveridge. Brexit non è altro che l’attacco al modello economico e sociale piú avanzato al mondo, perpetuato e favorito da governi conservatori che, mentre predicavano alle masse di agire nel loro interesse, e mentre continuavano a tagliare i servizi e le tutele ai cittadini, sono riusciti a triplicare il debito pubblico – creando proprio le condizioni per poter rivendicare oggi, e dopo Brexit, “l’unaffordability” del welfare system. Gli ultimi governi conservatori hanno fatto proprio questo: creare le condizioni economiche per poter giustificare ed imporre l’austerity, così come è avvenuto nella maggior parte degli altri Stati europei da dieci anni a questa parte.
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La Truffa dei Sei Giorni: così Israele eliminò l’Ataturk arabo
La Truffa dei Sei Giorni: «In realtà la guerra-lampo del 1967 durò appena 6 minuti, il tempo che impiegò l’aviazione israeliana per annientare quella egiziana, ancora a terra», senza che un solo aereo del Cairo avesse potuto decollare. E i famosi Sei Giorni? «Servirono solo a occupare e annettere territori non-israeliani, che da allora – con la sola eccezione del Sinai – fanno parte di Israele». Parola dello storico statunitense Norman Filkenstein, intervistato da Aaron Mate per l’emittente “The Real News” nel cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, giugno 1967, evento fondante del mito vittimistico dell’autodifesa di Israele, paese “attaccato dagli arabi”. Un falso storico, accusa l’autore del bestseller “Palestine: Peace Not, Apartheid”, tradotto in 50 paesi. Fu Israele a provocare il conflitto, afferma Filkenstein: abbattè deliberatamente alcuni aerei siriani, ben sapendo che l’Egitto sarebbe stato costretto a schierarsi con la Siria, cui era legato da un patto di mutua assistenza. Obiettivo segreto di Tel Aviv: conquistare falcilmente territori, sapendo (da Cia e Mossad) che gli arabi non avrebbero potuto resistere. E soprattutto: demolire il leader politico egiziano Nasser, temutissimo come possibile “Ataturk arabo”, capace di guidare lo sviluppo laico del Medio Oriente, superando la storica arretratezza della regione.A partire dal 5 giugno del 1967, ricorda Filkenstein, Israele «ha catturato il Sinai egiziano, le alture del Golan siriano, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Con l’eccezione del Sinai, Israele controlla ancora tutti questi territori. Di fatto l’occupazione militare israeliana della Cisgiordania e di Gaza è la più lunga dei tempi moderni». La versione ufficiale del mainstream è quella ancora oggi rilanciata dal “New York Times”, che scrive: «Quest’anno segna mezzo secolo dalla guerra arabo-israeliana del 1967, nella quale Israele ha resistito vittoriosamente a una minaccia di annientamento da parte dei suoi vicini arabi». Tutto falso, replica lo storico: «E’ un grosso problema, è ciò che noi chiamiamo “falsificare la storia”». E spiega: sia la Cia che il Mossad – è documentato – sapevano perfettamente che gli eserciti arabi non avrebbero potuto resistere all’attacco di Israele, la cui unica preoccupazione era: come avrebbe reagito il presidente americano Lyndon Jonhson? «Nel 1957, dieci anni prima, gli Usa avevano agito con molta severità. Dwight Eisenhower aveva dato a Israele un ultimatum: uscite dal Sinai, o dovrete affrontare una forte reazione del governo degli Stati Uniti. Nel 1967 gli israeliani avevano paura che si ripetesse la situazione del 1957».Sicché, Tel Aviv mandò emissari a tastare il polso di Washington. Come il generale Meir Amit, capo del Mossad. La risposta degli Usa: nessun indizio che il presidente egiziano Abdel Gamal Nasser stesse per attaccare Israele. Nasser, disse Johnson, sa benissimo che, «se vi attacca, voi israeliani gli darete una batosta». Una valutazione Cia, identica a quella del Mossad. Tel Aviv sapeva perfettamente che non aveva nulla da temere, dall’Egitto. Il segretario alla difesa, Robert McNamara, fu ancora più preciso: disse a Israele che, in caso di guerra, avrebbe vinto in 7 giorni, 10 al massimo. Era vero: la guerra sarebbe terminata «non solo in 6 giorni, ma letteralmente in 6 minuti circa», afferma Filkenstein. «Nel momento in cui Israele ha lanciato il suo attacco-lampo e distrutto la flotta aerea egiziana, che era ancora al suolo, ha tolto tutti gli appoggi aerei alle truppe al suolo. Era finita. L’unica ragione per la quale questa guerra è durata sei giorni, è perché volevano impadronirsi dei territori. Era un’occupazione violenta delle terre». Come sono riusciti a coinvolegere l’Egitto, sapendo che mai Nasser – di sua iniziativa – avrebbe aperto le ostilità? Semplice: attaccando la Siria, alleata dell’Egitto. Fu lo stesso Moshe Dayan ad ammettere che, nell’aprile del 1967, Israele abbattè 6 aerei siriani, uno dei quali nel cielo sopra Damasco.Ammise Dayan, poi uomo-chiave del governo Begin a partire dal 1977: «Vi dirò perché noi avevamo tutti questi conflitti con la Siria. C’era una zona smilitarizzata tracciata dopo la guerra del 1948 tra la Siria e Israele. Almeno l’80% del tempo noi mandavamo dei bulldozer in questa zona smilitarizzata perché Israele era impegnata a occupare territori con la forza». Israele, quindi, cercava di impadronirsi di terre nella zona smilitarizzata. Racconta Filkenstein: «Mandava dei bulldozer, i siriani reagivano, e questo aumentava la tensione. Nel aprile 1967 questo è sfociato in un combattimento aereo tra siriani e israeliani. Dopodiché Israele ha cominciato a minacciare, verbalmente, di lanciare un attacco contro la Siria. La dichiarazione più celebre in quel momento la fece Yitzhak Rabin, ma numerosi responsabili israeliani minacciavano la Siria». Lo storico israeliano Ami Gluska, nel suo libro “L’esercito israeliano e le origini della guerra del 1967”, scrive: «La valutazione sovietica della metà di maggio 1967, che Israele stava per colpire la Siria, era giusta e ben fondata». C’erano voci attendibili, dunque, secondo le quali Israele avrebbe aggredito gli arabi. Gluska «conferma che gli israeliani avevano preso la decisione di attaccare».L’Egitto aveva un patto di difesa con la Siria: sapendo che era imminente un attacco israeliano aveva l’obbligo di andare in aiuto di Damasco. Per questo, Nasser ha schierato – a scopo dissuasivo – delle truppe egiziane nel Sinai, zona allora presidiata da una forza di pace dell’Onu, l’Unef. La United National Emergency Force divideva l’Egitto da Israele. Nasser ha chiesto a U Thant, segretario generale dell’Onu, di ritirarla. In forza della legge, U Thant era obbligato a ritirare quelle truppe. «Ma c’era una risposta molto semplice alla richiesta di Nasser: spostate le truppe dell’Onu sul versante israeliano», ricorda Filkenstein. «Nel 1957, quando era stata schierata l’Unef, si erano accordati per disporla sia sul lato egiziano della frontiera, sia sul lato israeliano. Così, nel 1967, quando Nasser ha detto: “Ritirate l’Unef dalla nostra parte”, tutto quello che Israele doveva dire era: “Bene, noi la riposizioniamo dalla nostra parte della frontiera”, sul versante israeliano. Ma non lo hanno fatto». Ragiona lo storico: «Se l’Unef avrebbe veramente potuto evitare un attacco egiziano, come suggerisce Israele quando dice che U Thant ha commesso un errore monumentale ritirando la forza dell’Onu, perché gli israeliani non l’hanno semplicemente schierata dall’altra parte della frontiera?». Ovvio: perché erano loro a volere la guerra.Altro piccolo casus belli: c’erano degli attacchi di guerriglia contro la frontiera israeliana lanciati dalla Giordania e dalla Siria, descritti nella storia ufficiale come una grande minaccia per la sicurezza di Israele. Si trattava di incursioni di commandos palestinesi, sostenuti principalmente dal regime siriano. «Ma come hanno riconosciuto anche gli ufficiali superiori israeliani – obietta Filkenstein – la ragione per la quale la Siria incoraggiava questi raid di commandos era l’occupazione delle terre nelle zone smilitarizzate da parte di Israele». Inoltre si trattava di «azioni coraggiose ma estremamente inefficaci», peraltro «compiute da persone che erano state private della loro patria nel 1948». In alre parole, quei palestinesi «erano dei rifugiati». Avverte lo storico: «Ricordatevi che era passato poco tempo tra il 1948 e il 1967, meno di una generazione». Ma, appunto, quegli attacchi erano poco più che simbolici. A confermarlo è uno dei capi dello spionaggio israeliano, Yehosafat Harkabi, che dopo il 1967 li ha descritto come «ben poco significativi, secondo tutti i metri di giudizio».L’altro incidente storico importante che viene citato er giustificare la guerra-lampo di Israele è la chiusura, da parte dell’Egitto, dello Stretto di Tiran, all’imbocco del Mar Rosso, strategico per accedere al porto israeliano di Eilat. Passaggio marittimo chiuso effettivamente da Nasser a metà maggio. «Israele adesso respira con un solo polmone», protestò il diplomatico Abba Eban, allora rappresentante israeliano all’Onu, poi ministro degli esteri. Era vero? Non proprio, osserva Filkenstein: intanto, Israele disponeva di riserve di petrolio che garantivano allo Stato ebraico un’autonomia di mesi. «Ma la cosa più importante è che non c’è stato un blocco. Nasser era un fanfarone: ha annunciato il blocco, lo ha applicato per ciò che si stima abitualmente essere due o tre giorni, poi ha cominciato a lasciar passare tranquillamente le navi israeliane. Non c’era blocco, il problema non era un blocco fisico effettivo, il problema era politico. E cioè che Nasser aveva sfidato pubblicamente Israele. La chiusura di un canale navigabile non è un attacco armato. Comunque la si guardi, Israele non aveva alcuna valida ragione».L’Egitto aveva reagito in modo prevedibile – con il blocco (solo simbolico) del Mar Rosso – per “difendere a distanza” la Siria attaccata un mese prima dall’aviazione israeliana, agevolando così la “regia occulta” della guerra, progettata unilateralmente da Tel Aviv, travestitasi da vittima. Domanda Aaron Mate: perché Israele ha preso delle misure così straordinarie per iniziare quella guerra e impadronirsi di così tanti territori? Risponde Norman Finkelstein: perché il vero incubo di Israele era il presidente egiziano Nasser. Un politico arabo laico, indipendente, autorevole. Fin dalla sua fondazione nel 1948, il leader fondatore di Israele, David Ben Gurion, «si è sempre preoccupato che potesse arrivare al potere nel mondo arabo quello che lui chiamava un Ataturk arabo. Cioè qualcuno come il personaggio turco Kemal Ataturk, che ha modernizzato la Turchia, ha introdotto la Turchia nel mondo moderno; Ben Gurion ha sempre avuto paura che una figura come Ataturk potesse emergere nel mondo arabo, e quindi il mondo arabo si sottraesse allo Stato di arretratezza e di dipendenza dall’Occidente e potesse diventare una potenza con la quale bisognava fare i conti nel mondo e nella regione». La paura del regime sionista si impersonificò nel 1952, quando emerse Nasser come leader della rivoluzione attraverso cui l’Egitto si liberò del dominio europeo post-coloniale.Nasser, continua Filkenstein, era una figura emblematica di quell’epoca «molto inebriante», chiamata “decolonizzazione”: «L’epoca del dopoguerra, dei non-allineati, del terzomondismo». Anti-imperialismo e decolonizzazione: leader come Nehru in India, Tito in Jugoslavia. E Nasser. «Non erano ufficialmente compresi nel blocco sovietico. Erano una terza forza. Non allineata». Più incline a rivolgersi al blocco sovietico perché «ufficialmente antimperialista», ma solo a scopo difensivo: nel 1956, quando Nasser aveva sbarrato il Canale di Suez per protestare contro la mancata concessione del maxi-prestito della Banca Mondiale (Usa) per costruire sul Nilo la Diga di Assuan che averebbe dato respiro all’agricoltura egiziana, francesi e inglesi sbarcarono in armi a Port Said minacciando di deporre Nasser. Intervenne direttamente l’Urss, rivolgendo un ultimatum agli eserciti europei, tacitamente avallato dagli Stati Uniti: se le truppe anglo-francesi non avessero lasciato il litorale egiziano, Mosca le avrebbe colpite con la bomba atomica. Questo consacrò Nasser come grande leader arabo, senza farne – per forza – un satellite dei russi. Inutile aggiungere che il crescente prestigio internazionale del carismatico leader egiziano faceva paura soprattutto a Israele: sembrava davvero arrivato “l’Atarurk arabo”, il modernizzatore paventato da Ben Gurion.«Israele era considerato non senza ragione, come una postazione occidentale nel mondo arabo, e veniva ugualmente interpretato come il tentativo di mantenere nell’arretratezza il mondo arabo», osserva Filkenstein. C’era dunque una sorta di conflitto e di contrapposizione tra Nasser e Israele. E questo ha dato il via, come viene documentato anche stavolta assai scrupolosamente non da Finkelstein ma da uno storico importante molto considerato, cioè Benny Morris. Nel libro “Le guerre di frontiera di Israele”, che parla del periodo tra il 1949 ed il 1956, Morris dimostra che «intorno al 1952-53 Ben Gurion e Moshe Dayan erano veramente determinati a provocare Nasser, a continuare a stuzzicarlo fino a che avessero un pretesto per distruggerlo: volevano sbarazzarsi di lui». Insistettero, in modo che a un certo punto il leader egiziano non potesse fare a meno di rispondere: «Sostanzialmente Nasser è stato preso in trappola». Per Morris, la stessa crisi di Suez del 1956 era nata da «un complotto ordito dagli israeliani per rovesciarlo, con il concorso degli inglesi e dei francesi», con i quali Israele collaborò invadendo il Sinai.Gli americani non si opposero alla ferma difesa di Nasser da parte dell’Urss. «Eisenhower pensava che non fosse ancora il momento adatto», per abbattere il “raiss” egiziano. «Ma anche gli americani sicuramente volevano sbarazzarsi di Nasser», aggiunge Filkenstein: «Lo vedevano tutti come una spina nel fianco». Sicché, la guerra-lampo del 1967 non sarebbe altro che «una ripetizione del 1956, con una differenza fondamentale: il sostegno americano». Alla Guerra dei Sei Giorni, infatti, «gli Stati Uniti non si sono opposti», restando «molto prudenti e cauti nelle loro dichiarazioni». Non hanno sostenuto apertamente la guerra di Israele, «perché era illegale». E gli Usa erano già impantanati nella tragedia del Vietnam, estremamente impopolare: «Non volevano impegnarsi anche nel sostegno a Israele, che sarebbe stato visto allo stesso modo come il colonialismo occidentale che tenta di prevalere sul Terzo Mondo, sul mondo non-allineato». Ma c’era un comune interesse strategico: eliminare Nasser. «Era un obiettivo a lungo termine, mantenere il mondo arabo nell’arretratezza. Mantenerlo in uno stato subordinato, primitivo».Perfettamente funzionali, in questo, il “falchi” israeliani come Ariel Sharon: «Dobbiamo attaccare adesso, perché altrimenti perdiamo la nostra capacità di dissuasione». Frase storica, rimasta – da allora – a fondamento della “dottrina” politico-militare di Israele, la propaganda vittimistica che ha giustificato massacri come quello della popolazione della Striscia di Gaza. «La “capacità di dissuasione” – traduce Filkenstein – significa: “la paura che di noi ha il mondo arabo”». La “colpa” di Nasser? «Risollevava il morale degli arabi, i quali non avevano più paura». E per gli israeliani la paura «è una carta molto forte, per tenere gli arabi al loro posto». A questo, ovviamente, si aggiunge la “necessità”, per Israele, di incrementare i propri territori a spese degli arabi. E in tutto questo, chiarisce lo storico, la religione non c’entra: «Bisogna ricordare che il movimento sionista era per la maggior parte secolare, per la grandissima parte ateo. Una larga parte si considerava socialista e comunista e non aveva nessun aggancio con la religione. Ma consideravano lo stesso di avere un titolo legale di proprietà sulla terra perché nel loro pensiero la Bibbia non era solo un documento religioso, era un documento storico». Una mentalità “secolare”, «profondamente radicata e fanatica». Al punto da falsificare la storia, inventare un’aggressione araba mai avvenuta e organizzare la Truffa dei Sei Giorni per metter fine alla carriera di Nasser, il temutissimo Ataturk arabo.La Truffa dei Sei Giorni: «In realtà la guerra-lampo del 1967 durò appena 6 minuti, il tempo che impiegò l’aviazione israeliana per annientare quella egiziana, ancora a terra», senza che un solo aereo del Cairo avesse potuto decollare. E i famosi Sei Giorni? «Servirono solo a occupare e annettere territori non-israeliani, che da allora – con la sola eccezione del Sinai – fanno parte di Israele». Parola dello storico statunitense Norman Finkestein, intervistato da Aaron Mate per l’emittente “The Real News” nel cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, giugno 1967, evento fondante del mito vittimistico dell’autodifesa di Israele, paese “attaccato dagli arabi”. Un falso storico, accusa l’autore del bestseller “Palestine: Peace Not, Apartheid”, tradotto in 50 paesi. Fu Israele a provocare il conflitto, afferma Finkestein: abbattè deliberatamente alcuni aerei siriani, ben sapendo che l’Egitto sarebbe stato costretto a schierarsi con la Siria, cui era legato da un patto di mutua assistenza. Obiettivo segreto di Tel Aviv: conquistare falcilmente territori, sapendo (da Cia e Mossad) che gli arabi non avrebbero potuto resistere. E soprattutto: demolire il leader politico egiziano Nasser, temutissimo come possibile “Ataturk arabo”, capace di guidare lo sviluppo laico del Medio Oriente, superando la storica arretratezza della regione.
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Barnard: è in arrivo l’inferno. Saremo Tech-Gleba, schiavi
Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.«La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che combatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora di recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».In Europa, ricorda Barnard, fu questa agghiacciante realtà schiavistica ad animare la lotta di Rosa Luxemburg o Anton Pannekoek. Lincoln, per primo, «aveva spiato il sorgere del nuovo mostro mondiale che avrebbe sputato olocausti dopo olocausti: ma fu ignorato, e la schiavitù del lavoro salariato s’impadronì del mondo mentre solo un microscopico nugolo di pensatori se ne stava accorgendo». Inutile sperare nei sindacati: non hanno mai combattuto il lavoro salariato come neo-schiavitù, hanno solo lottato per migliorare salari e condizioni di lavoro. «Il solito immenso George Orwell, che visse volontariamente fra i diseredati salariati d’Europa negli anni ’30, predisse ciò che ancora oggi abbiamo: masse moderne immani, di fatto schiave del lavoro per quasi tutta la vita». La fuga da questa schiavitù, scrisse Orwell, «è in pratica solo possibile per malattia, licenziamento, incarcerazione, e infine la morte». Oggi, in Ue, sono crollati tutti gli standard di ieri: siamo al ricatto della disoccupazione, ai pensionati costretti a cercasi un lavoro. In altre parole: Lincoln aveva visto giusto. Ed eccoci alla “Tech Gleba Senza Alternative”, «la ‘visione’ che nessuno di noi ha, ma che ci divorerà».Insiste Barnard: «Dovete capire che il capitalismo non esiste più come progetto, è già stato cestinato». Aveva bisogno di tre elementi: gli sfruttati, la classe consumatrice, l’élite che accumula il profitto, al vertice. «Era così nei primi decenni del XX secolo con qualsiasi prodotto, è così oggi con un qualsiasi gadget digitale, fatto da poveracci in Thailandia, comprato dagli occidentali e dagli ‘emergenti’, e i trilioni vanno alla Apple o Samsung». Ma, secondo Barnard, anche questo schema sta tramontando. Perché? «Per due motivi sostanziali. Il primo è che il Vero Potere ha da molto tempo compreso che non sarà assolutamente più possibile contenere miliardi di diseredati affamati sfruttati (la condizione A- del capitalismo); essi o migreranno in masse colossali, oppure – come in India e Cina – inizieranno a pretendere condizioni economiche migliori e nessuno potrà fermarli. Da ciò l’invitabile destino della crescita esponenziale dei costi di produzione di qualsiasi bene, a livelli di prezzi finali impossibili anche per un occidentale. Poi il Vero Potere ha compreso anche che neppure l’alternativa della robotizzazione degli impianti (per licenziare, abbattere quindi i costi e competere) funziona, è un’illusione immensa, perché le masse licenziate sia qui che in paesi emergenti non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare prodotti sofisticati».Sicché: crollo profitti (Marx docet). E quindi: chi venderà a chi? «Secondo: Il Vero Potere ha da molto tempo capito che la classica struttura della competizione del mercato, in un mondo appunto con popolazione in crescita ma anche costi di produzione impossibili, non può più funzionare. Alla fine, detta in parole semplici, centinaia di milioni di corporations che producono in una gara disperata oceani di cose e servizi, a chi poi le venderanno nelle economie prospettate sopra? E’ un imbuto che si auto-strangola senza rimedi. Quindi il capitalismo è morto e consegnato alla storia, e “loro” lo sanno da anni». Ma ovviamente «il Vero Potere non sta a dormire», ha già strutturato la risposta «in una forma totalmente nuova di economia, mostruosamente nuova», la “Tech-Gleba Senza Alternative”. Ecco come l’hanno pensata: 10 miliardi di umani elevati a classe medio-bassa ma schiavi delle tecnologie, costretti a togliersi la pelle per consumare beni e servizi essenziali hi-tech. A monte, l’oligarchia «accumula quello che mai fu accumulato da élite nei 40 secoli prima». Scomparirà la sperequazione sociale di oggi, dove il pianeta Terra è frammentato da centinaia di stratificazioni, attraverso centinaia di fasce di reddito. «Si vogliono livellare 10 miliardi di umani a più o meno lo stesso livello economico».Un futuro orwelliano: «Ci sarà il condominio con acqua, bagni, elettricità, connessioni digitali, poi strade, scuole, negozi e servizi anche nei buchi neri del mondo di oggi, come Fadwa nel sud del Sudan, o a Udkuda in India». Morto il capitalismo, sparisce anche «la necessità/possibilità di avere miliardi di poveri di qua, benestanti di là, ricconi al top». Secondo Barnard, al nuovo progetto della “Tech-Gleba Senza Alternative” serve che l’intera massa vivente sia omogeneizzata nello standard di vita, e che consumi ma in modo totalmente diverso, mai visto prima nella storia. Un esempio? L’automobile. Come altri giganti come Google, Apple e Tesla, la Volkswagen «sta investendo miliardi di dollari nelle cosiddette ‘driverless cars’, cioè automobili che si autoguidano, che rispondono a comandi orali del passeggero, talmente zeppe di Artificial Intelligence da far impallidire la parola fantascienza». E la casa tedesca non lo sta facendo da poco: ha iniziato 12 anni fa in collaborazione con la Stanford University e il dipartimento della difesa Usa nel suo laboratorio futuristico chiamato Darpa. «Oggi tutto gira attorno a Silicon Valley, Google-Alphabet e alla Cina. Stanno investendo come pazzi». Una startup cinese di nome Mobvoi che fa “intelligenza artificiale” per l’auto del futuro è passata dal valere nulla al valore di 1 miliardo di dollari in un anno. Una corsa frenetica: anche Fca, l’ex Fiat di Marchionne, «sta rovesciando miliardi in ’ste auto-robot assieme a Wymo di Alphabet-Google».In particolare, continua Barnard, la gara si gioca a chi per primo elaborerà i super-computer, oggi impensabili, che sapranno elaborare trilioni di impulsi e dati ad ogni micro-secondo, per far girare miliardi di auto senza autista ma tutte coordinate, “a colloquio” fra di loro per non creare disastri. «La mole di dati che dovranno essere elaborati dal computer di bordo di ogni singolo veicolo in questo scenario è pari a quella di una spedizione spaziale dello Space Shuttle ogni secondo, tutto però gestito da un computerino sul cruscotto grande come una scatola di caramelle». E allora «giù valanghe di miliardi d’investimenti per arrivare primi». La Volkswagen oggi lavora con D-Wave Systems, «un’azienda di computer che sta ribaltando l’universo, perché applica la fisica quantistica ai software: una roba da far esplodere il cervello, perché la fisica quantistica – se applicata con successo alle tecnologie digitali di oggi – le sparerebbe nell’iperspazio, moltiplicando per miliardi di volte il potere di elaborazione dati del più potente computer del mondo». Insomma, «siamo a una viaggio lisergico digitale allo stato puro, ma dietro ci sono i miliardi veri e concreti. Perché?».Ecco la risposta: «Perché questa è gente che pensa 200 anni avanti, e sa benissimo che, col capitalismo morto – quindi con la sparizione di chi ti fa componenti auto pagato 1 dollaro al giorno, e con l’inevitabile innalzamento delle pretese di vita di miliardi di poveracci di oggi verso classi medio-basse – costruire un’auto con quei costi di manodopera costerà una pazzia e i prezzi si centuplicheranno». In altre parole: «Sanno che le auto non si venderanno più nei prossimi duecento anni perché costerebbero oro, e il 98% della gente del pianeta non se le potrebbe più permettere». Sanno anche che l’alternativa della robotizzazione per tagliare i costi (salari) non funziona, è un’immensa illusione, «perché le masse licenziate non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare l’auto». Ed ecco allora l’avvento della “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè «10 miliardi di umani economicamente omogeneizzati, ma a un livello appena possibile di classe mondiale medio-bassa». E si badi bene: «Là dove questa “Tech-Gleba Senza Alternative” non potrà arrivare coi propri mediocrissimi redditi, dovrà sopperire lo Stato con un Reddito di Cittadinanza, come già detto dal mega-sindacalista Usa Andy Stern e riportato dal “Wall Street Journal”».Queste masse, aggiunge Barnard, saranno saranno obbligate a spostarsi. «E allora l’auto deve diventare un robot che nessuna casa vende, se non in numeri microscopici». Un robot «che quasi nessuno possiede, ma che tutti possono noleggiare per pochi soldi in qualsiasi istante digitando un codice: un’auto-robot arriva e ti porta, un’altra ti riporta, oppure la mandi a prendere la spesa senza muoverti da casa, o rincasi dal lavoro con 6 colleghi chiacchierando comodamente seduto in un van-robot che riporta tutti a domicilio, e se un’ora dopo vuoi andare a cena fuori digiti un altro codice et voilà». Basta moltiplicare questi “noleggi” anche a pochi spiccioli per 10 miliardi di esseri umani, per 10-20 volte al giorno, per 365 giorni all’anno, «e non è difficile capire che il profitto dalla casa produttrice dalla Driverless Car diventa cosmico, rispetto al preistorico sistema della vendita dell’auto al singolo». E già sanno, pare, che l’intera impresa delle Driverless Cars sarà «destinata poi a essere soffocata e rimpiazzata dalle Auto-Drones, letteralmente i Drones iper-tech di oggi trasformati un mezzi di trasporto che ti atterrano davanti a casa», sicché «l’intero traffico mondiale non sarà più su strada ma a circa 500 metri d’altezza sulle città», come in “Blade Runner”. «Ribadisco: queste masse però saranno obbligate (“senza alternative”) a noleggiare questa tecnologia: saranno prigioniere di quelle spese, anche a costo di altri sacrifici».Ma attenti, aggiunge Barnard, perché in questo progetto c’è altro: in questo modo, l’élite si prepara ad accumulare denaro e potere come mai prima, nella storia dell’umanità. Soprattutto perché il progetto «prevede, alla lettera, la distruzione d’interi comparti industriali (i tradizionali Re dell’industria) a favore dell’esistenza sul pianeta degli Imperatori del Business». Parola di Jeff Bezos, di Amazon: «Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori». E Bezos è uno che «ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon». State capendo? Non muore solo il capitalismo, secondo il progetto Tech-Gleba, ma anche la moltitudine delle industrie a favore di colossali monopoli (gli “Imperatori”) come mai visti nella storia, già chiamati col nome di “piattaforme”. Ne immaginate i profitti? Ancora: «Con lo Strumento per Pianificare l’Offerta, i Pensatori Critici e i nuovi software, l’Imperatore possiederà una o più Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme… Useremo i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede». Di nuovo, immaginate i profitti dei pochi Imperatori-élite nelle loro Piattaforme?Chi parla così? Dei lunatici deliranti? Tutt’altro: sono Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Robert Smith (Vista Equity Partners), e Jeff Immelt (General Electric), a un meeting riservato. Ma, «prima che il progetto arrivi a distruggere i milioni di Re a favore degli Imperatori, gente come Amazon di Jeff Bezos con la sua iper-Tech digitale si sta divorando la piccola-media distribuzione, come uno squalo bianco divorerebbe un milione di pesci rossi in una vasca». Se cambia l’universo-automotive, «10 miliardi di viventi saranno “prigionieri” della necessità (Captive Demand) di “noleggiare” tecnologia oggi considerata cosmica per solo spostarsi». Costretti, prigionieri. «Basta solo capire che quasi tutto il resto sarà esattamente così, per quasi ogni prodotto e per quasi ogni servizio esistente. Cioè: 10 miliardi di “Tech-Gleba Senza Alternative”», obbligati a «usare per sopravvivere tecnologie di cui loro non hanno nessun controllo, ma assoluta necessità, e che stanno tutte nelle mani di pochi Imperatori che già oggi le posseggono perché ci stanno investendo cifre incalcolabili e cervelli inimmaginabili».Amazon e Google-Alphabet, Intel, Samsung, Microsoft, Apple, D-Wave Systems e tutti i labs di ricerca in “A.I.” dei colossi come General Electric, Bosch, Mit di Boston, più le migliaia di startup come la cinese Mobvoi. Monopolio totale della conoscenza applicata, in ogni campo: «Potrebbero sparire tutti i tecnici Enel, idrici, progettisti d’auto o medici operativi oggi, che in poco tempo sarebbero sostituiti da altri già esistenti o in formazione. Ma quando invece solo il fatto che tu abbia una connessione senza cui letteralmente non sopravvivi in Terra, o che tu abbia un trasporto da A a B, o un Cobot che ti curi il taglio post-operatorio, quando queste cose essenziali sono in mano a una élite ristrettissima di fisici quantistici, software code-makers da viaggio su Marte, e maghi visionari della A.I., i cui brevetti saranno più segreti dei codici nucleari di Stato… tu sei fottuto, perché nessuno fra i tecnici delle normali formazioni universitarie anche ad altissimo livello ci capirà mai nulla di quella incredibile fanta-vera-scienza. I primi saranno i padroni unici della vita stessa sul pianeta, punto. State capendo?».Trasporti, sanità, acqua, energia, informazione, servizi essenziali, pagamenti, cibo: tutto in mano a pochissimi, il cui sapere non è alla portata dei normali scienziati non-quantistici. Ci sono materiali “magici” come il Graphene, «che è un singolo strato di materiale con proprietà mai esistite in nessun altro materiale al mondo: è più forte dell’acciaio, conduce meglio del rame, è sottile come un singolo atomo, da semiconduttore è praticamente trasparente e ha applicazioni ovunque, dalla chirurgia all’ingegneristica alla purificazione delle acque ai sistemi elettrici di intere nazioni». E ci sono gli Oleds, «che sono tecnologie visive, che trasformeranno le tv e gli smartphone in applicazioni molto più flessibili, intercambiabili, permetteranno a una televisione di casa di essere ripiegata in un tablet e poi anche in uno smartphone». E ci sono i possibili super-computer «di capacità inimmaginabili, oggi nascenti dalla fisica quantistica di D-Wave Systems».La massima incarnazione di tutto ciò si chiama Sergey Brin, il guru di Google-Alphabet. Tutto il potere inimmaginabile che Google ha e avrà nasce da questo concetto partorito da Brin: «Non c’interessa fare prodotti, c’interessa sfondare i limiti dell’inimmaginabile». Brin, continua Barnard, ha dato ordine di sviluppare decine di innovazioni chiamate Ecosystem, da lì il progetto di eliminare tutti i trasporti su ruote o ferrovie del pianeta, e sostituirli con immensi Dirigibili Drones con neppure un umano impiegato a bordo, spostando tutto ciò che si sposta al mondo – dalla Cina all’Argentina e dal Canada a Singapore – da una stanza con una ventina di addetti». Il lettore, aggiunge Barnard, deve comprendere come lavorano i cervelli di questi “alieni umani”. «Per essere semplici: se il 99% degli scienziati stanno lavorando come pazzi per mandare l’uomo su Marte, Sergey Brin riunisce i suoi per trovare le tecnologie per mandare l’uomo su Giove… comprendete? Col Deep Learning di Google, Brin considera oggi come già superata l’Intelligenza Artificiale (A.I.) che ancora deve venire». Con i colleghi Greg Corrado e Jeff Dean, Brin «ha chiuso gli occhi e immaginato livelli di astrazione». Che significa? «Loro sanno che nella sfera dell’Intelligenza Artificiale il problema dei problemi è che i computer lavorano a metodo lineare, e non riescono ad elaborare molti livelli di astrazione. E oggi loro hanno portato l’Intelligenza Artificiale con il loro Deep Learning a saper elaborare almeno 30 livelli di astrazione, dando quindi la capacità ai computer d’imparare ormai allo stesso livello degli umani».Poi c’è David Ferrucci, che fu il guru della A.I. all’Ibm col progetto Watson. Ferrucci lasciò Ibm per passare alla corte di Ray Dalio, il boss dell’hedge fund Bridgewater. «Un altro essenziale transfugo dall’Ibm che è andato a lavorare sulla A.I. in Inghilterra alla Benevolenti A.I. che si occupa di sanità, è Jerome Pesenti: e qui avremo moltissima “Tech-Gleba Senza Alternative”, perché gli ammalati esisteranno sempre e già oggi in Giappone, dove nel 2025 gli anziani sopra i 70 anni saranno quasi il doppio di quelli in Ue o negli Usa, si stanno costruendo gli infermieri robotizzati chiamati Cobots». Continua Barnard: «Adam Coates viene da Stanford e oggi porta il suo genio “demoniaco” alla Cina, dove dirige i progetti di A.I. per la mega-corporation Baidu focalizzandosi su apprendimento, percezione e visione nella A.I». Al colosso Ibm non mancano i rimpiazzamenti: David Kenny che sviluppa proprio la tecnologia per le piattaforme e per i carichi cognitivi. Poi, l’arcinota Uber ha Gary Marcus che lavora sulla A.I. per le Driverless Cars e sul Dynamic Ride Scheduling. «L’uomo che forse più sa di Networking Neuronale al mondo è Jonathan Ross: lavorava a Google con Brin». In Amazon, invece, «Raju Gulabani ha pionierizzato la rete da decine di miliardi di dollari che sostiene la corporation di Jeff Bezos, cioè la Aws Database and Analytics, assieme ai primi mattoni di A.I». E ci sono personaggi Russ Salakhutdinov, di Apple, «anche se l’ex impresa di Steve Jobs è davvero arrivata tardi in questa fanta-vera-scienza».Qualche esempio di cosa inizieremo a vedere? La classica scampagnata: oggi prendi la bici e scorrazzi tra i campi, tra l’odore di fieno, il rombo della trebbiatrice «e quella sensazione di essere nella natura lontano da semafori, antenne o il wi-fi: il casolare del contadino, i contadini magari seduti fuori dal bar di Mezzolara al sabato pomeriggio a giocare a carte». Nella scampagnata in “Tech-Gleba Senza Alternative”, invece, «i contadini scompaiono, letteralmente non ne esiste più uno». Si chiamerà: Agricoltura di Precisione. «Il casolare, se rimane, è ristrutturato in una centrale operativa di Agriscienza. Antenne ovunque. Nessun rombo di trattore, ronzii di decine di Drones di dimensioni che vanno dai 12 centimetri a 10 metri che sorvolano i campi e trasmettono miliardi di dati (100 o 500 per ogni singolo stelo di grano, per ogni singola cipolla) alle centrali. Poi i software dalle centrali diranno ai Drones Seminatori dove piazzare il singolo seme a seconda di una dettagliata analisi chimica del singolo centimetro quadrato di terreno, il tutto in tempi di microsecondi. Welcome la Semina di Precisione. Stessa operazione ai Drones Fertilizzanti. Vi lascio immaginare il resto: meglio che ne approfittiate finché il contadino sta ancora là, oggi».Nel campo industriale, continua Barnard, si aggiungono gli Ecosistemi Virtuali, là dove il prodotto viene razionalizzato da sistemi di A.I. per ridurre i passaggi produttivi di venti volte o più. Una produzione annuale di 40 milioni di di pezzi sarà gestita dai Cobots, cioè sistemi robotizzati che letteralmente “parlano” con un singolo operatore umano, che «non schiaccia più tasti, ma parla e basta», mentre «mostruosi impianti rispondono, obiettano, suggeriscono soluzioni, segnalano problemi». Così per tutto: intrattenimento, qualsiasi attività esterna a casa, istruzione, social media, attivismo, politica. «Qui i primi ad arrivare per cambiare, come mai, il tuo mondo saranno la Virtual Reality (Vr) e la Augmented Reality (Ar) del conglomerato Facebook-Oculus». Il concetto è questo: «Per entrare in contatto con chiunque, e per fare praticamente qualsiasi cosa, non sarà più necessaria la tua presenza fisica, basta quella virtuale. Un bel Rift Head-set di Oculus, o anche solo quegli strani occhiali con cui si fece fotografare Sergey Brin di Google, e il gioco è fatto. Il networking globale in 3d ti permetterà, stando immobile sul divano, di cercar casa visitando decine di appartamenti, dialogare con gli agenti e l’amministratore, stare in classe ma “vedersi” seduti alla Lectio Magistralis del Prof. X all’università di Yale in Usa, o visitare, sempre immobile dalla classe, le distese di Agribusiness in Sudan, partecipare a workshop di A.I. a Cupertino, a Mosca, a New Delhi». E magari «testimoniare la guerra ad Aleppo, ma senza il “disturbo” degli odori dei poveri, dei fetori di sangue rappreso, e con una visione totalmente pilotata dalle autorità occidentali».Poi, i social media «ti permetteranno, dal divano di casa, di essere fra amici a una cena virtuale, o di corteggiare una persona per capire chi è, prima ancora di muovere un passo da casa. O di non muovere neppure più un passo da casa, e avere un orgasmo, toccare un petto o un seno virtuali, e uscirne totalmente soddisfatti». Peggio: «Il progetto provinciale di Casaleggio diverrà devastante nelle dimensioni. L’attivismo politico sarà tutto immobilismo dai divani di casa, nessun corpo umano visibile da nessuna parte, tutti in cortei virtuali, Consigli comunali virtuali, comizi virtuali, dialoghi coi parlamentari virtuali, videogames di scontri di piazza, cioè aria fritta, e apatia di masse immense nel trionfo globale dell’Attivismo di Tastiera». Il denaro? Blockchain e Ledgers sono già realtà oggi: «Sparirà ogni forma di denaro, le Cryptovalute diverranno padrone (oggi abbiamo solo Bitcoins ed Ethereum, ne verranno centinaia). Ogni singola transazione, dai 70 centesimi dell’anziana pensionata alle centinaia di miliardi delle corporations, sarà registrata attraverso la tecnologia Blockchain in registri mondiali chiamati Ledgers che saranno visibili da chiunque al mondo abbia i software per accedere».I pagamenti saranno quindi istantanei e istantaneamente verificati dagli algoritmi matematici di tutta la catena di Blockchain. «Spariranno dunque milioni di posti di lavoro legati alla contabilità, all’avvocatura, nelle banche, con lo strascico di impiegati/e. Ma molto peggio: i maghi dell’informatica dei servizi americani, perché saranno loro ad avere le chiavi di questa allucinazione, passeranno miliardi di dati privati – sui pagamenti degli umani visibili sui Ledgers, quindi sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tendenze di consumo, sullo stato di salute delle persone, su come lavorano, sul business mega-medio-micro». Dati ce finiranno alla Nga, la National Geospatial Intelligence Agency degli Stati Uniti. «La Nga è la più grande intelligence al mondo per raccolta e analisi di immagini e dati; e lo sarà in futuro per capire chi sei tu, o tu azienda, cosa fai ogni 30 secondi della tua vita, cioè se compri gratta&vinci o se hai fatto un’ecografia all’utero, o se hai donato a Greenpeace, ai sovranisti… o per spiare i pacchetti ordini per sapere su quali aziende speculare, o per sapere se davvero come dice “Bloomberg” il rame del Cile ancora tira, o se è meglio dire agli investitori di andare altrove». La Nga «lo farà grazie alla Blockchain e ai Ledgers: sarà la più immane perdita di privacy della storia umana, con la “Tech-Gleba Senza Alternative” del tutto impotente, ma le piattaforme globali in posizione di ovvio favore».E sempre in materia di privacy disintegrata, continua Barnard, saremo il benvenuto al mondo dei Psychoimaging Sofware, a braccetto coi Drones. «E’ noto che i gadget digitali più venduti già oggi sono pronti ad ospitare software che ti leggono impronte digitali, o la mimica dei muscoli facciali, o a registrarti mentre sei a letto col cellulare spento. Ma è anche vero che i dati sulla tua persona che verrebbero trasmessi in questo modo rischiano di essere molto frammentari perché non viviamo sempre incollati ai cellulari, pc o tablets». I droni, invece, come già oggi sperimentato dal Darpa del dipartimento alla difesa Usa, «possono essere ridotti alle dimensioni di un insetto, ed essere su di te in qualsiasi momento, ovunque, e trasmettere i dati a software di Psychoimaging, cioè software che compileranno schede su chi sei, che carattere tendi ad avere, come ti si può convincere meglio e a che ore del giorno, o se sei una minaccia per il sistema, cosa ti potrebbe sospingere a una ribellione, come i media impattano la tua personalità, come formi i tuoi figli». Peggio ancora: «I Drones possono leggere il labiale, quindi avere un accesso ancora più diretto a qualsiasi cosa tu esprimi o intenda fare in ambito sia privato che di business».Per il pessimista Barnard non avremo scampo: «Saremo “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè prigionieri, precisamente perché quando tutto il pianeta funzionerà così, chi si può permettersi di dire “No, non ci sto”?». E il «mostruoso mondo Tech» non è una fantasia, «è già alle porte». Ma a cambiare, sottolinea Barnard, è solo il “come”, lo spaventoso potenziale tecnologico, non il paradigma. Quello è immutato: «Il gran gioco della razza umana dal primo minuto della civiltà è sempre stato identico: fu, e rimane oggi, una guerra spietata fra il desiderio delle élite di dominare, e i tentativi dell’umanità di prendersi invece ciò che gli spetta. I tentativi hanno avuto sempre e solo un nome: le rivoluzioni», considerate dall’élite «fastidiosi incidenti di percorso». Potevano essere represse nel sangue, o tollerate per qualche tempo e poi «dirottate dall’interno verso nuove forme di sanguinario dispotismo di altre élite». E’ il caso della Rivoluzione Francese finita nel Terrore, o della Rivoluzione Russa «che Lenin devastò appena poté». Ma con l’incalzare della modernità, aggiunge Barnard, per le élite divenne sempre più difficile controllare le masse. La prima sperimentazione in grande stile? Negli Usa, tra fine ‘800 e inizio ‘900.«Pochissimi sanno che la parte d’Occidente più “marxista” in assoluto, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu il nord-est degli Stati Uniti d’America, e in parte l’Irlanda». Negli Usa, il fermento dei lavoratori «impropriamente chiamato socialista», in realtà «anarco-sindacalista, libertario nel vero, storico senso del termine» era tale che, di routine, «venivano stampati quasi 900 quotidiani rivoluzionari, che venivano davvero letti nelle comuni di lavoratori e lavoratrici». Ora, aggiunge Barnard, si può immaginare come l’élite del capitale americano si organizzò per soffocare tutto questo. E di certo, a pochi decenni da una guerra civile costata quasi 800.000 morti, «le élite non potevano reprimere tutto nel sangue. Ci voleva altro per soffocare quella rivoluzione». Ma cosa? Da quell’epoca in poi, «il Vero Potere comprese qualcosa di letteralmente mostruoso – ripeto, mostruoso – per silenziare, sedare, le masse ribelli: l’Apatia del Benessere Minimo». Che significa? «Mantenere miliardi in povertà e disperazione è non solo intenibile, perché si ribelleranno, ma controproducente (fine capitalismo, “Tech-Gleba”)». Furono due intellettuali americani a immaginare la soluzione: Edward Bernays e Walter Lippmann. «Le élite avrebbero dovuto sedare le masse – in quel caso americane – con l’avvento dell’industria mediatica, cinematografica, pubblicitaria e consumistica che ne manipolasse il consenso verso il desiderio di possedere un benessere minimo a qualsiasi costo».E vinsero, perché «chi inizia ad assaggiare l’individualismo del proprio piccolo, modesto progresso edonistico nei consumi e nel piccolo agio», poi ovviamente «abbandona i sacrifici, il coraggio e il pensiero per la lotta sociale». Chiaro: «Vuole avere di più. Per non parlare poi di quando diviene vera classe media». La prima grande ondata di “apatizzazione” delle masse potenzialmente pericolose per le élite «sfondò i popoli negli Stati Uniti fra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo», continua Barnard. Celebre l’opinione che Bernays e Lippmann avevano del popolo: «Sono solo degli outsider rompicoglioni», da “domare” verso la docilità. Poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, il dilagare del socialismo, il comunismo e la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita del Welfare State in Gran Bretagna, «la magica (seppure breve) influenza dell’economista John Maynard Keynes sull’economia per la piena occupazione», fino al ’68 e alle lotte operaie europee. «All’alba degli anni ’70 le élite si resero conto che il piano Bernays-Lippmann di apatizzazione era decaduto, ne occorreva un altro ben più potente»: il Memorandum Powell.Barnard ne ha parlato nel saggio “Il più grande crimine”, citando le gesta dei protagonisti della «seconda grande ondata di apatizzazione delle masse». Lì i compiti furono divisi fra Stati Uniti, Europa e Giappone. «S’inizia con una mattina dell’estate del 1971, quando Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio degli Stati Uniti chiamò l’avvocato Lewis Powell e gli chiese un progetto di apatizzazione delle masse occidentali in sollevazione». Powell scrisse un Memorandum di sole 11 pagine. Vi si legge: «La forza sta nell’organizzazione, in una pianificazione attenta e di lungo respiro, nella coerenza dell’azione per un periodo indefinito di anni, in finanziamenti disponibili solo attraverso uno sforzo unificato, e nel potere politico ottenibile solo con un fronte unito e organizzazioni (di élite) nazionali». Poi arriva la Commissione Trilaterale, composta appunto dai vertici di Stati Uniti, Europa e Giappone. Chiamano tre influenti intellettuali, Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nelle 227 pagine del loro “The Crisis of Democracy” daranno la ricetta letale per l’apatizzazione. Basta leggere questi passaggi: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che hanno permesso alla democrazia di funzionare bene».«La storia del successo della democrazia – continuano i tre – sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media». Cosa vuol dire? «Significa che, se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle élites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori, tutti orde di classe medio-bassa appunto. Apatici». Il risultato, conclude Barnard, è storia contemporanea: «Trionfo dei consumi assurdi, dell’edonismo idiota di Tv e mode, crollo dalla partecipazione alle lotte in strada, apatia di praticamente tutti anche a fronte di fatti gravissimi che distruggono democrazia, lavoro, diritti, Costituzioni. Con l’avvento poi di Internet il tripudio del progetto della Trilaterale raggiunse l’orgasmo». Barnard fui il primo in Italia a coniare il dispregiativo “attivisti di tastiera”, ignaro che negli Usa si parlava di “clicktivism”. «Altra forma di apatia che infettò persino quel 2% dei cittadini che ancora non erano stati divorati da Playstation, Formula 1, Belen, Il Grande Fratello, la Champions, il red carpet di Cannes, il gratta e vinci, il Carrefour, la ‘notte rosa’ al mare». La grande apatia di massa del Duemila.«Le élite protagoniste di tutta questa storia – insiste Barnard – vedono sempre chiaro almeno 50 anni avanti, più spesso 200 anni». I segnali di un nuovo sommovimento delle masse? Divennero chiari, per loro, quasi vent’anni fa. Allora, «i salari reali del paese più potente del mondo, gli Usa, erano stagnanti dal 1973: malcontento diffuso». Inoltre, le bolle speculative (immobiliari e finanziarie, specialmente incoraggiate da Clinton) davano un segnale chiarissimo: le élite sapevano già che sarebbero tutte esplose (net-economy, subprime, crack di Wall Street). Risultato: di nuovo, milioni di occidentali “indignati”. Niente di buono neppure a Est: «La mano del Libero Mercato di quel criminale di Jeffrey Sachs nell’est europeo post-comunista e in Russia stava decimando quei popoli, col tasso di mortalità media in Russia crollato a 56 anni per gli uomini, migrazioni di massa a ovest delle donne, corruzione epica ovunque, di nuovo pericolo di sollevazioni». Poi il disegno dell’Eurozona: «Appena nato, era già stato sancito come una catastrofe sociale dalle Federal Reserve Banks degli Stati Uniti, e quindi dai maggiori “investment bankers” del pianeta, per cui già allora si aspettavano un’Europa di ribellioni populiste, caos politico, e Brexit». Chiarissimo, poi, era il pericolo di conflitto nucleare futuro, con rischi anche per le stesse élites: conflitto «non Usa-Russia, ma Usa-Cina, cioè due progetti imperiali inconciliabili a morte». Infine il “climate change” che già stava divorando il pianeta, con «masse immani di disperati» che si sarebbero mosse «letteralmente per bere, e avrebbero invaso l’Occidente: 500.000 indiani rischiano di non bere più fra meno di un decennio».Attorno al 2.000, «l’elite comprese che una terza, immensa ondata di apatizzazione sarebbe stata vitale, per tenere questo mondo di nuovo in ribellione sotto controllo per i prossimi mille anni». Ed ecco Rift Head-set, Virtual Reality, Blockchain, Drones, Artificial Intelligence e 10 miliardi di umani in “Tech-Gleba Senza Alternative”, «decerebrati del tutto da Facebook-Oculus e altri come loro». Visione deprimente: «Saremo un’umanità omogeneizzata, senza più immensi scarti di redditi ma totalmente nelle mani, per letteralmente sopravvivere, di élite private che possiedono tutte le Tech-chiavi per la vita stessa della specie umana». E naturalmente «non potremo mai più ribellarci, né dare l’assalto alla Bastiglia, perché anche se ci impossessassimo di quelle chiavi non sapremmo né usarle né sostenerle. Saremo prigionieri di consumi High-Tech irrinunciabili, senza nessuna via di fuga, e in più totalmente apatizzati dall’immobilismo del mondo Virtual-Drones, con gli Oleds, la Vr con Ad, e le infinite forme di A.I.». Detto alla buona: «Se oggi è un dramma convincere un cittadino a uscire di casa per contestare il proprio Comune, immaginate in questo futuro, che è già pronto, quando il tizio con la maschera-occhiali contesterà il Comune in Virtual 3D fra un amplesso Virtual 3D e l’altro». Con 10 miliardi di umani conciati così, ed élites «padrone di un potere sull’economia e sulla vita stessa impensato fino a oggi», per Barnard si può davvero decretare la fine della storia. «L’Eurozona è un sogno, in confronto; la mafia è un sogno, in confronto, il lavoro di oggi anche. Ricordate Lincoln e come seppe vedere ‘oltre’. Non fate figli, vi prego».Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.
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Carpeoro: Br, cioè Gladio. Chiedetelo a Curcio e Pazienza
Andate a vedere quanta galera ha fatto Morucci, presunto capo delle Brigate Rosse. A Curcio, che ha colpito solo il carabiniere che aveva sparato nella schiena alla sua donna, sotto stati attribuiti – come concorso morale – tutti gli omicidi commessi da Morucci. Il problema è che Morucci ha fatto sì e no sei mesi di carcere, e Curcio ha fatto tutta la pena – ma non la metà, con la semi-libertà: tutta. Sapete che in Italia l’ergastolo non esiste: dopo trent’anni di buona condotta ti devono mettere fuori, anche se di ergastoli ne hai dodici. Curcio dopo trent’anni l’hanno messo fuori; Morucci dopo quanto? Un anno, un anno e mezzo? Poi è entrato nel programma protezione, ora non si sa più neanche dove sia. Perché? Perché le Brigate Rosse, dopo Curcio, erano finite sotto la gestione diretta dei servizi segreti, non più sotto la gestione indiretta. Ma peggio dei servizi segreti: di Gladio. Cioè, non erano i servizi segreti: erano i servizi segreti che gestivano le Brigate Rosse per conto di Stay Behind, cioè di Michael Ledeen e del generale Santovito. E Curcio, che si è fatto tutti i trent’anni, ne è la prova vivente. E quando esce, e dice “mah, forse ora lo scrivo, un libro”, gli tolgono il posto all’università: lui attualmente è disoccupato, anzi ha fatto un appello per dire: rimettetemi in carcere, che almeno mangio.Noi in Italia abbiamo una concezione strana della giustizia: per certi soggetti l’ergastolo c’è davvero. Certi soggetti non si chiamano pregiudicati, si chiamano “eternamente giudicati”. Il rapporto con la giustizia dovrebbe essere laico: ho violato la legge? La pena prevista è questa? Dopo che l’ho scontata è finita, però. Può non essere finita moralmente, per le vittime. Ma, laicamente – con lo Stato – la vertenza è chiusa; non mi puoi rifiutare il lavoro, togliermi la cattedra di insegnante, perché per te è ancora aperta, perché altrimenti mi fai fare l’ergastolo davvero. Perché poi, uno che esce dal carcere dopo trent’anni che fa, specie ora con l’età pensionabile a settanta? Se la tua logica è che ho ancora qualcosa da pagare anche dopo che esco di galera, questo non è nelle regole. Invece non vale per altri, che non pagano nemmeno quello che dovrebbero pagare. Ripeto: il confronto tra Curcio e Morucci è impietoso – per non parlare di Mario Moretti. E’ un confronto impietoso, perché quello ha ammazzato davvero, e l’altro si è preso le condanne. I brigatisti erano diventati i gestori, per conto dei servizi segreti in capo a Gladio. Attenzione: tu hai un’organizzazione, creata dagli americani per evitare che venga il comunismo, la quale però gestisce il terrorismo comunista.Andate a vedere l’atto con cui è stata costituita Gladio: se costituisci una cosa, dovrebbe andare avanti per come l’hai costituita, no? Se la costituisci in un modo e poi invece ne fai altre, di cose… Perché, cos’era diventata, Gladio? E’ esistita quando gli americani sapevano benissimo che i comunisti erano spacciati. Nel ‘53, un economista americano che lavorava, credo, per McGovern, aveva previsto che il modello economico russo sarebbe morto nell’arco di trent’anni, massimo quaranta – e infatti l’Urss è finita nell’89, sostanzialmente. Non era un giudizio politico, etico, di disvalore di quel sistema, ma una previsione economica: “Tra quarant’anni non avranno più i soldi”. Quindi lo sapevano perfettamente, gli americani. E lo sapevano anche i comunisti italiani, che si sono ben guardati dall’andare al governo: quando nel ‘75 Berlinguer ha vinto a mani basse le elezioni amministrative, subito ha offerto il compromesso storico (alla Dc), non ha mica detto “domani comando io”. Sapevano tutti che quella roba lì – economicamente – non aveva futuro. Lo sapevano, tutti. Era un business, su cui hanno marciato tutti quanti. Ci hanno marciato i partiti italiani, perché beccavano il grano per essere “anticomunisti”. Ci hanno marciato i servizi segreti e i personaggi come Ledeen, perché (sulla minaccia sovietica) hanno costruito fortune e potere. Tutti, ci hanno marciato. E quando è morta l’Unione Sovietica hanno pianto: hanno versato calde lacrime, perché era finito il bengodi.Quindi, queste gestioni (dell’intelligence) sono fatte innanzitutto di interessi economici particolari. Non sono fatte di complotti surreali, esoterici: sono fatte di soldi, di interessi, di gente che ci campa. Davvero pensate che ci sia dietro una gestione “mistica” del male? Ma il male non è mistico, è pratico. Il male, che è l’assenza di bene, non ha una dimensione mistica, esoterica, spirituale: ha una dimensione meramente pragmatica. Non dovete pensare che ci siano dietro delle cose complicate, le cose sono semplici. Avete degli esempi. C’è un mio “fratello” massone, a cui voglio bene – e lo dico pubblicamente – che si chiama Francesco Pazienza. Questo signore è in galera da vent’anni. E sta là perché vuole campare, perché se esce di galera lo ammazzano. Pazienza è colui che gestiva, per conto di interessi massonici italiani (cercando di limitare i danni), la moderazione del meccanismo Stay Behind. Era il signore che avrebbe dovuto evitare che Stay Behind finisse per farci fare, al 100%, i servi degli americani: era il nemico, lo “speculum” di Michael Ledeen.Nel momento in cui è scoppiato il bubbone, Pazienza venne protetto da Cossiga: e quello è stato uno dei pochi atti della vita di Cossiga per cui posso dire che si sia comportato bene. Fu Cossiga a pattuire che Pazienza stesse zitto, in carcere, e che gli venisse garantita la sopravvivenza – una sopravvivenza anche dignitosa, senza carcere duro. Fu stipulato questo accordo, nel quale venno coinvolti i magistrati, per cui Pazienza si prese una pena bestiale, è tuttora in galera e sta zitto. L’unica dichiarazione che ha fatto, da vero massone, è stata quella che poi ha confermato il quadro per cui esistesse una P1. Però i giornali l’hanno pubblicata in settantunesima pagina. Fu una dichiarazione che lui rese nell’anniversario dell’uccisione di Olof Palme. Pazienza è una persona sottile, non fa le cose grossolanamente. Nell’anniversario dell’uccisione di Palme fece la famosa dichiarazione della cosiddetta “cupola Santovito”. Cos’era la “cupola Santovito”? Era la cupola che stava sopra il generale Santovito e Gelli, ed era gestita da Michael Ledeen: cioè la P1, di cui non ha mai parlato nessuno. Questo per farvi capire come, in realtà, il potere fa un’operazione semplicissima: ci offre soluzioni estremamente complicate per nascondere quelle semplici.Se cerchiamo la soluzione semplice rischiamo di trovare la verità, ma siccome il potere ci offre sempre delle soluzioni “mistiche”, esoteriche e sataniche complicate (contorte, fantasiose, suggestive, depistanti), noi la verità semplice non l’andiamo a cercare. Non ci chiediamo mai perché la massoneria fa una loggia che si chiama “Propaganda” e poi decide che sia segreta: se è segreta, dov’è la propaganda? Avete mai visto una propaganda segreta?Invece: fanno la loggia “Propaganda”, dove vanno quelli famosi, perché così la massoneria ha una bellissima reputazione, ma la fanno segreta. E perché? A che serve? Se uno si fa le domande giuste e va appresso alle cose semplici, si dà delle risposte: nel senso che la “Propaganda”, la P2, era il modo più efficace – una volta scoperta – per coprire la P1. Ovvero: ti faccio trovare quello che tu puoi trovare, per non farti trovare quello che non si deve trovare. Così funziona.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-radio da Civitanova Marche il 23 luglio 2017, ripresa su YouTube. Già a capo della comunione massonica italiana di Piazza del Gesù, da lui stesso poi disciolta, l’avvocato Carpeoro – al secolo, Gianfranco Pecoraro – è un acuto studioso di simbologia esoterica, ha appena dato alle stampe il prezioso volume “Summa Symbolica” e, nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, offre una particolarissima chiave di lettura per inquadrare lo schema di potere denominato “sovragestione” che tiene insieme settori dell’élite, servizi segreti atlantici e manovalanza terroristica, dagli “anni di piombo” alla P2 di Gelli, fino alla segretissima Loggia P1 e all’Isis).Andate a vedere quanta galera ha fatto Morucci, presunto capo delle Brigate Rosse. A Curcio, che ha colpito solo il carabiniere che aveva sparato nella schiena alla sua donna, sotto stati attribuiti – come concorso morale – tutti gli omicidi commessi da Morucci. Il problema è che Morucci ha fatto sì e no sei mesi di carcere, e Curcio ha fatto tutta la pena – ma non la metà, con la semi-libertà: tutta. Sapete che in Italia l’ergastolo non esiste: dopo trent’anni di buona condotta ti devono mettere fuori, anche se di ergastoli ne hai dodici. Curcio dopo trent’anni l’hanno messo fuori; Morucci dopo quanto? Un anno, un anno e mezzo? Poi è entrato nel programma protezione, ora non si sa più neanche dove sia. Perché? Perché le Brigate Rosse, dopo Curcio, erano finite sotto la gestione diretta dei servizi segreti, non più sotto la gestione indiretta. Ma peggio dei servizi segreti: di Gladio. Cioè, non erano i servizi segreti: erano i servizi segreti che gestivano le Brigate Rosse per conto di Stay Behind, cioè di Michael Ledeen e del generale Santovito. E Curcio, che si è fatto tutti i trent’anni, ne è la prova vivente. E quando esce, e dice “mah, forse ora lo scrivo, un libro”, gli tolgono il posto all’università: lui attualmente è disoccupato, anzi ha fatto un appello per dire: rimettetemi in carcere, che almeno mangio.
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Costituzione, la più bella del mondo? Quella di D’Annunzio
Liberi tutti: senza distinzioni di classe, sesso, lingua, razza, religione. Democrazia diretta, suffragio universale, referendum, leggi di iniziativa popolare. Cariche pubbliche provvisorie, risarcimenti tempestivi da parte dello Stato. Sarebbe bello se esistesse, oggi, una Costituzione così. Esisteva: cent’anni fa. La promosse il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio, dopo la “riconquista” di Fiume, in Istria, alla testa dei suoi “legionari”, esponenti della corrente socialista del primo fascismo. La Carta del Carnaro, varata nel 1920 nella città croata (oggi Rijeka), è un manuale che traduce in pratica, in modo spettacolare, l’utopia libertaria: garantisce «la sovranità collettiva di tutti i cittadini», a partire dai lavoratori. Scritta dal sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris e modificata in parte da D’Annunzio stesso, ricorda “Wikipedia”, la Carta del Carnaro prevedeva «numerosi diritti per i lavoratori, le pensioni di invalidità, l’habeas corpus, il suffragio universale maschile e femminile, la libertà di opinione, di religione e di orientamento sessuale», e persino «la depenalizzazione dell’omosessualità, del nudismo e dell’uso di droga». E poi «la funzione sociale della proprietà privata, il corporativismo, le autonomie locali e il risarcimento degli errori giudiziari, il tutto molto tempo prima di altre carte costituzionali dell’epoca».La Costituzione, è scritto nella Carta, «garantisce a tutti i cittadini l’esercizio delle fondamentali libertà di pensiero, di parola, di stampa, di riunione e di associazione. Tutti i culti religiosi sono ammessi». Per legge, inoltre, il lavoro deve essere «compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita». Lo Stato offre «l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l’uso dei beni legittimamente acquistati, l’inviolabilità del domicilio, l’habeas corpus, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere». E attenzione: «La Repubblica considera la proprietà come una funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale». Nazionalizzazioni: «Il porto e le ferrovie comprese nel territorio della Repubblica sono proprietà perpetua ed inalienabile dello Stato». Banca centrale pubblica: «Una Banca della Repubblica controllata dallo Stato avrà l’incarico dell’emissione della carta-moneta e di tutte le altre operazioni bancarie».Oggi più che mai, scrive il blog “L’Intellettuale Dissidente”, vale la pena di rileggere – in controluce – quella carta costituzionale voluta da D’Annunzio, dopo l’impresa di Fiume progettata per scuotere le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale, che non intendevano assegnare all’Italia la città istriana. Promulgato l’8 settembre del 1920, quel modello costituzionale «rappresentò un’avanguardia storica, legislativa, culturale e sociale all’interno del XX secolo». Fondata su basi sociali e nazionali, la Carta del Carnaro esprime «la prima forma compiuta di sintesi tra capitale e lavoro all’interno di un ordinamento giuridico». Modella una forma repubblicana di Stato, per tutelare libertà e indipendenza, sovranità, prosperità, giustizia e dignità morale. «Garantiva l’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di razza, religione, lingua o classe; differenza fondamentale rispetto ai principi del socialismo pubblicati nel 1848 da Marx e alle derive della seconda parte del ventennio fascista». Era ispirata dai leader del sansepolcrismo, il proto-fascismo “di sinistra”: oltre allo stesso D’Annunzio e a de Ambris, personalità come quelle di Filippo Corridoni e Vittorio Picelli, esponenti del sindacalismo rivoluzionario dell’epoca.«Di fondamentale importanza la concezione dello Stato e dell’istruzione pubblica», aggiunge “L’Intellettuale Dissidente”, «per non parlare di quella della proprietà privata espressa nell’articolo 6, nel quale trova risalto la funzione sociale della stessa in opposizione al privilegio individuale o al diritto assoluto di liberale memoria». L’ispirazione viene dal filosofo inglese John Locke, da cui il «ruolo concessorio del lavoro, considerato l’unico mezzo atto a garantire titolo legittimo di proprietà su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio». In altre parole, la Carta configura «una sintesi superba delle due vie, innovativa e rivoluzionaria al tempo stesso». Rivoluzionaria anche sul piano della teoria economica quando istituisce una banca centrale nazionale controllata dallo Stato, alla quale è demandato in via esclusiva l’incarico dell’emissione della carta-moneta: «Stiamo parlando dunque di ciò che oggi manca in Italia e in Europa dopo la sciagurata scelta dei nostri governi di aderire al progetto della moneta unica europea e di utilizzare fino al limite estremo l’articolo 11 con le limitazioni alla sovranità nazionale».Scelte che oggi appaiono immutabili per il popolo, ma che allora – a Fiume – erano ciclicamente rinnovabili, per diritto e per legge. «La Costituzione veniva infatti riformata ogni dieci anni o su iniziativa degli organi competenti in qualsiasi momento». Di fatto, «una scelta saggia, effettuata secondo la eraclitea concezione del divenire: un divenire storico, al quale la legge deve inevitabilmente adeguarsi per perseguire il bene comune ma mantenendo intatta la stella polare dell’identità di un popolo come guida nei cambiamenti». Aggiunge il blog: «Ritroviamo questo concetto nel convinto e fiero risalto del ruolo dei Comuni. Dalla lega dei Comuni contro il Barbarossa, alla nascita del capitalismo come modo di produzione nelle città autocefale dell’Italia medievale, l’identità più viva di un popolo veniva riconosciuta e sublimata con un’apposita parte della Costituzione dedicata a questa forma di governo locale. Il tessuto capillare dei Comuni e il loro virtuosismo comunitario in contrapposizione agli attuali mostri burocratici partoriti negli anni 70: le Regioni».Che dire poi della concezione democratica e legislativa nata a Fiume. «La riproposizione dell’antico strumento corporativo, come superamento della dicotomia liberalismo-socialismo», aggiunge “L’Intellettuale Dissidente”, «sarà l’incubatore delle svolte mussoliniane, ma l’intero capitolo dedicato alle corporazioni assieme a quello dedicato al potere legislativo rappresentano un alveo futurista all’interno del quale proiettare un’idea rivoluzionaria di Stato». In altre parole, «si tratta della fusione dei concetti di democrazia, capitale e lavoro». La creazione di una doppia camera con potere legislativo, quella dei Rappresentanti e il Consiglio Economico, costituiscono un moderno superamento della stasi democratica dell’epoca e un fiero nemico del bolscevismo sovietico, anche se molti “legionari fiumani” non nascondevano, allora, la loro simpatia per la neonata Urss. La Carta di D’Annunzio dichiarava guerra all’immobilismo e alla corruzione. Gli amministratori “voraci”, nel 1920 «sarebbero stati perseguiti dall’articolo 12 con la revoca dei diritti politici», misura destinata a punire i colpevoli di reati «infamanti» e quelli «che vivono parassitariamente a carico della collettività».Liberi tutti: senza distinzioni di classe, sesso, lingua, razza, religione. Democrazia diretta, suffragio universale, referendum, leggi di iniziativa popolare. Cariche pubbliche provvisorie, risarcimenti tempestivi da parte dello Stato. Sarebbe bello se esistesse, oggi, una Costituzione così. Esisteva: cent’anni fa. La promosse il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio, dopo la “riconquista” di Fiume, in Istria, alla testa dei suoi “legionari”, esponenti della corrente socialista del primo fascismo. La Carta del Carnaro, varata nel 1920 nella città croata (oggi Rijeka), è un manuale che traduce in pratica, in modo spettacolare, l’utopia libertaria: garantisce «la sovranità collettiva di tutti i cittadini», a partire dai lavoratori. Scritta dal sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris e modificata in parte da D’Annunzio stesso, ricorda “Wikipedia”, la Carta del Carnaro prevedeva «numerosi diritti per i lavoratori, le pensioni di invalidità, l’habeas corpus, il suffragio universale maschile e femminile, la libertà di opinione, di religione e di orientamento sessuale», e persino «la depenalizzazione dell’omosessualità, del nudismo e dell’uso di droga». E poi «la funzione sociale della proprietà privata, il corporativismo, le autonomie locali e il risarcimento degli errori giudiziari, il tutto molto tempo prima di altre carte costituzionali dell’epoca».
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Carpeoro: l’Isis finirà presto, grazie ai massoni progressisti
Gli attentati dell’Isis nascono dall’esigenza, da parte di logge massoniche reazionarie e di alcuni interessi e gruppi economici di potere, di fronteggiare il fatto che parte della massoneria, parte della finanza e parte, per certi aspetti, anche del potere, che non è necessariamente un’entità negativa, si sta dissociando. C’è stata un’evoluzione, iniziata con l’epoca Bush, con “fronti di gestione” del potere in cui c’era una componente che era un po’ il “gruppo alfa” e l’altra, che stava zitta. Questa seconda componente – che si esprime nella finanza, nella massoneria, nei gruppi di potere – non è più allineata. Non è poù disposta a tacere, a subire, e ha preso piede. Aveva già preso piede con la figura del leader svedese Olof Palme (assassinato nel 1986), che stava diventando segretario generale dell’Onu – non una “carichetta” di poco conto, e la sua nomina era certa. E’ stato ammazzato perché la massoneria reazionaria non voleva che un massone progressista, con linee politiche-economiche moltro precise, arrivasse a una posizione di stra-potere. E con lui è stata “ammazzata” tutta la classe socialista e progressista europea, è stata disarcionata. E questa realtà traumatica ha richiesto un po’ di tempo perché le cose si riorganizzassero.Ma la massoneria progressista e i socialisti adesso si sono riorganizzati. E si sono riorganizzati in termini così pericolosi, per gli avversari, che c’è stato un fenomeno Sanders in America, esattamente come c’è una ripresa di un certo tipo in Inghilterra. E, grazie ai deliri di Macron, tra poco avverrà anche in Francia, dove c’era un prestanome, Hollande – che non è un socialista vero, come non lo era Tony Blair. Erano controfigure. Invece quello inglese, Corbyn, è uno che viene da là. E adesso i socialisti francesi, che stanno per fare un congresso, tireranno fuori un altro personaggio – l’ennesimo massone progressista “con le palle” – che a Macron farà un’opposizione di un certo spessore; ve ne accorgerete tra qualche mese. Quindi, a questo punto, succede che la parte più determinata e sanguinaria, quella che non aveva esitato a fare la guerra a Saddam, che non aveva esitato – per arrivare in America a determinate leggi repressive – a organizzare il primo fantoccio, Al-Qaeda, e poi il secondo fantoccio, Isis, oggi ha bisogno di tenere alta la tensione. E’ una specie di strategia della tensione a livello mondiale.Ha bisogno di questo terrorismo: perché ti fa vincere le elezioni localmente, ti fa gestire. Ma non lo possono portare avanti più di tanto, non è possibile: perché tu puoi, per tre anni, traccheggiare con quei quattro staccioni che ci sono in Siria, facendo finta che possano mettere in difficoltà le sette potenze mondiali, ma non la puoi tirare in lungo più di tanto, anche perché ci sono ripercussioni economiche, per esempio sulla gestione del petrolio. Nel momento in cui si deve abbassare il livello di tensione, per la componente che ha progettato l’Isis cominceranno a fioccare le sconflitte, grazie all’azione dell’area progressista. E ad agire non saranno più dei prestanome: il presentare la Clinton, Hollande o Tony Blair come area progressista faceva parte dell’operazione truffaldina che è stata fatta fino a ieri. Ma questa operazione ormai sta crollando: tutti, ormai, si rendono conto che quei soggetti non sono di area progressista – come non è di area progressista Renzi: non si può presentare come progressismo una cosa che non è progressismo, non è socialismo, non è socialdemocrazia.Nel momento in cui questa tensione terroristica si abbasserà, si riapriranno man mano gli orizzonti politici per delle forze progressiste che si sono riorganizzate, che hanno ritrovarto dei dirigenti – quello inglese mi sembra “tosto”; Sanders è un “personaggino” di cui tra poco comincerete a vedere gli effetti, perché anche lì stanno allevando il “delfino”. Secondo me, questo orizzonte cambierà. Alle primarie democratiche, Sanders sapeva benissimo che la situazione non era ancora pronta, per il suo fronte. Le cose maturano – politicamente, socialmente – con dei loro tempi. Sanders aveva il compito di lanciare un segnale, e l’ha lanciato bello forte. Poi, siccome è un politico raffinato, ha capito che doveva ammorbidire le sue posizioni. Anche perché, quand’è che ha ammorbidito la sua linea? Quando la Clinton ha avuto il primo malore. Cioè: quando ha avuto la certezza che la Clinton non sarebbe stata eletta. Tutti quelli che capiscono di America sapevano perfettamente che già dopo il primo malore, dopo le prime voci sulla sua salute, la Clinton non sarebbe stata eletta. Perché gli americani non lo votano, un candidato presidente che ha problemi di salute; sono troppo efficientisti, culturalmente.Pensate che gli esami medici dei presidenti Usa sono sempre stati un problema pubblico, non privato; provate a chiederli a Renzi, i suoi esami medici, e vedete come vi manda a quel paese. Là non funziona non così: l’America è un paese che un presidente con problemi di salute non lo vota, non lo elegge, col rischio di ritrovarsi poi un vicepresidente, alla Casa Bianca. Figurarsi la Clinton dopo che ha avuto il secondo malore, quello grosso. Ma i sentori che sarebbe stato eletto Trump c’erano già tutti. D’altro canto, Trump è perfettamente funzionale per lo sviluppo di una seria area progressista, in America. Perché i danni che fa Trump all’area conservatrice sono irreparabili. Quindi, questo quadro era già chiaro, limpido, netto. Ci sono politici che lo sanno. Quando Renzi perse le prime primarie, sapeva perfettamente che avrebbe vinto le seconde. Sapeva perfettamente che Bersani non avrebbe preso la maggioranza assoluta, che sarebbe stato sbeffeggiato dai grillini, che non sarebbe neppure stato capace di far eleggere il presidente della Repubblica, avrebbero dovuto rinnovare Napolitano – era tutto già scritto, non c’era possibilità di varianti.Il problema, in Italia – molto serio – è che noi abbiamo difficoltà a ristrutturare l’area progressista. Non ci riusciamo, per un insieme di motivi. Perché anche qui c’è un prestanome, che si prende l’area progressista senza essere progressista, avendo questa strana ripulsa per le ideologie: è il movimento grillino. Il Movimento 5 Stelle dovrebbe diventare più ideologico e porsi dei problemi di progressismo, ma siccome nasce solo sul marcare la sua differenza, non fondata su cose che afferma, ma solo su cose che smentisce e contesta, è più difficile. Perché l’area progressista è un’area di proposta. E poi, scusate, questo fatto che le ideologie sarebbero un crimine mi ha stufato. Io sono profondamente ideologico, me ne vanto: mi vanto di avere un’ideologia, perché l’ideologia è il progetto – qualunque sia: è il progetto che tu proponi agli altri. Se non hai un’ideologia non hai un progetto, stai proponendo solo una speculazione. Tu mi devi dire come vuoi organizzare la società, la politica, l’economia, poi io ti dico se ti voto o no. In realtà quelle della politica sono diventate proposte non-ideologiche, quindi sostanzialmente non-progettuali – da qualunque punto di vista: liberale, socialista. Io sono stufo di questa truffa: la politica senza ideologia è solo speculazione. Questo bisogna dirlo, agli italiani: tutti quelli che ti dicono “non vogliono avere un’ideologia” è perché ti vogliono fottere.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate nell’ambito della diretta web-radio “Border Nights” del 23 luglio 2017, condotta da Fabio Frabetti e ripresa su YouTube. Carpeoro, massone e simbologo, nel 2016 ha pubblicato il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina i retroscena che collegano massoneria internazionale reazionaria, servizi segreti Usa e manovalanza islamista, nell’ambito della “sovragestione” del terrorismo internazionale, ieri targato Al-Qaeda e oggi Isis. Carpeoro è anche impegnato nel Movimento Roosevelt, fondato da Gioele Magaldi per tentare di rigenerare in senso progressista la politica italiana).Gli attentati dell’Isis nascono dall’esigenza, da parte di logge massoniche reazionarie e di alcuni interessi e gruppi economici di potere, di fronteggiare il fatto che parte della massoneria, parte della finanza e parte, per certi aspetti, anche del potere, che non è necessariamente un’entità negativa, si sta dissociando. C’è stata un’evoluzione, iniziata con l’epoca Bush, con “fronti di gestione” del potere in cui c’era una componente che era un po’ il “gruppo alfa” e l’altra, che stava zitta. Questa seconda componente – che si esprime nella finanza, nella massoneria, nei gruppi di potere – non è più allineata. Non è poù disposta a tacere, a subire, e ha preso piede. Aveva già preso piede con la figura del leader svedese Olof Palme (assassinato nel 1986), che stava diventando segretario generale dell’Onu – non una “carichetta” di poco conto, e la sua nomina era certa. E’ stato ammazzato perché la massoneria reazionaria non voleva che un massone progressista, con linee politiche-economiche moltro precise, arrivasse a una posizione di stra-potere. E con lui è stata “ammazzata” tutta la classe socialista e progressista europea, è stata disarcionata. E questa realtà traumatica ha richiesto un po’ di tempo perché le cose si riorganizzassero.