Archivio del Tag ‘sociale’
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Greta, Guaidò, Imane: già scomparsi. Media senza memoria
Nel giornalismo esiste una regola, che si chiama follow-up. Il termine inglese significa letteralmente “proseguire, dare seguito”, e si riferisce al fatto che per ogni evento importante sia buona regola, dopo un certo tempo, dare al pubblico un aggiornamento della situazione. Se in un certo luogo del mondo c’è stato un disastro naturale, si dà subito la notizia del disastro, e poi dopo un po’ di tempo si torna sull’argomento, e si riassume la situazione per come si è evoluta nel tempo: quanti sono gli sfollati e i senzatetto, quale è la conta definitiva delle vittime, quali sono le conseguenze che quel disastro ha portato sul tessuto sociale della zona, ecc. In questo modo il lettore non solo rimane aggiornato, ma riesce anche a dare un senso temporale alla vicenda. Nell’arco di tempo trascorso fra l’evento iniziale e la disamina delle sue conseguenze, infatti, il lettore riesce a trarre la sua lezione personale: le autorità locali si sono comportate bene, si sono comportate male, il disastro si poteva evitare oppure è stato una fatalità, la comunità internazionale ha agito prontamente oppure non lo ha fatto, chi è intervenuto quali interessi aveva nel farlo, ecc ecc.Il lettore cioè ragiona sui fatti avvenuti, li vede nel loro arco temporale, e trae e sue conclusioni personali. Il lettore impara dalla storia. Ma oggi questa sana abitudine sta scomparendo. Ormai ci stiamo abituando sempre di più alle notizie usa-e-getta. Che fine ha fatto ad esempio Greta Thunberg? Solo venti giorni fa ci facevano una testa così sul nuovo fenomeno della lotta ambientalista, e oggi non sappiamo più niente di lei. E’ tornata a scuola, il venerdì, o continua imperterrita a fare lo sciopero davanti al Parlamento? Ha organizzato un movimento stabile e ben strutturato, oppure è rimasta una voce isolata? Niente, di Greta Thunberg non sappiamo più niente. E’ come se non fosse mai esistita. Un altri esempio è Juan Guaidò. Fino all’altro ieri era su tutti i telegiornali. Sapevamo dove andava a mangiare, dove teneva i suoi comizi, venivamo aggiornati ogni 5 minuti su cosa dicesse e dove si spostasse. Poi di colpo più niente. E’ ancora in Venezuela? Lo hanno arrestato? E’ ancora in Parlamento? Può circolare liberamente? Gli americani hanno rinunciato a sostenerlo? Nulla, Juan Guaidò non esiste più.Idem per il caso Imane, la ragazza del caso Berlusconi morta di colpo in un ospedale di Milano. Doveva esserci un’autopsia. C’è stata? Non c’è stata? L’hanno rimandata? Perchè non la fanno? Cosa dicono i legali? Cosa dicono i genitori? Nulla. Nessuno si ricorda più di lei, la sua storia è finita nel nulla. Il follow-up non esiste più. E non è certamente un caso che sia così. Quando di un fatto esiste un follow-up, ovvero un collegamento fra un prima e un dopo, il lettore può fare i suoi ragionamenti su quello che successo nel frattempo. Se oggi il normale lettore si rende conto che Greta è tornata regolarmente a scuola e mangia bistecche tutti i giorni, potrebbe dedurre che il suo caso non fosse genuino, ma fosse solo una grande montatura mediatica di cui lei era solo il burattino. Se oggi il normale lettore si rende conto che Juan Guaidò vive in libertà vigilata, e non può più nemmeno andare a pisciare senza il permesso di Maduro, potrebbe dedurre che Guaidò non fosse affatto un fenomeno genuino e popolare, ma fosse semplicemente un “expendable” che è stato usato dalla Cia e poi gettato alle ortiche nel momento in cui l’operazione è fallita.Se oggi il normale lettore si rende conto che sul caso Imane è improvvisamente calato il buio più assoluto, potrebbe dedurre che esistono dei poteri in grado di zittire la nostra magistratura, e di mettere sotto silenzio anche un caso scandaloso e potenzialmente devastante come questo. La memoria fra il prima e il dopo è ciò che ci permette di ragionare, ci permette di trarre le nostre conclusioni, ci permette di imparare dalla storia. Mentre un popolo senza memoria è un popolo che smette di ragionare. Ecco perchè la caduta in disuso del follow-up non è affatto casuale. Fa parte di un disegno ben preciso, nel quale si vuole togliere alla popolazione ogni qualunque capacità di analisi critica. L’appiattimento dei media sul pensiero unico da un lato, e la palese volontà di non dare un senso compiuto agli eventi dall’altro, evitando di porli nella loro giusta prospettiva storica, annienteranno in pochissimo tempo ciò che ancora rimane al mondo della sua capacità di ragionare.(Massimo Mazzucco, “Anni senza memoria”, dal blog “Luogo Comune” del 15 aprile 2019).Nel giornalismo esiste una regola, che si chiama follow-up. Il termine inglese significa letteralmente “proseguire, dare seguito”, e si riferisce al fatto che per ogni evento importante sia buona regola, dopo un certo tempo, dare al pubblico un aggiornamento della situazione. Se in un certo luogo del mondo c’è stato un disastro naturale, si dà subito la notizia del disastro, e poi dopo un po’ di tempo si torna sull’argomento, e si riassume la situazione per come si è evoluta nel tempo: quanti sono gli sfollati e i senzatetto, quale è la conta definitiva delle vittime, quali sono le conseguenze che quel disastro ha portato sul tessuto sociale della zona, ecc. In questo modo il lettore non solo rimane aggiornato, ma riesce anche a dare un senso temporale alla vicenda. Nell’arco di tempo trascorso fra l’evento iniziale e la disamina delle sue conseguenze, infatti, il lettore riesce a trarre la sua lezione personale: le autorità locali si sono comportate bene, si sono comportate male, il disastro si poteva evitare oppure è stato una fatalità, la comunità internazionale ha agito prontamente oppure non lo ha fatto, chi è intervenuto quali interessi aveva nel farlo, ecc ecc.
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Bifarini: da 30 anni lo Stato spende meno di quanto incassa
Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto «prezzo marginale d’asta», che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%!Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano “Tina”, there is no alternative. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla «virtuosa» Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati.Gli effetti sono tanto disastrosi quanto immediati: l’ammontare di debito, che nel 1981 era intorno al 58,5%, dopo soli tre anni raddoppia e nel 1994 arriva al 121% del Pil. Come riportato dallo stesso Andreatta alcuni anni dopo, questo stravolgimento strutturale era necessario per salvaguardare i rapporti tra Unione europea e Italia, e per consentire al nostro paese di aderire allo Sme, ossia l’accordo precursore del sistema euro. Quando l’Italia fa il suo ingresso nell’euro non risponde ai parametri del debito pubblico richiesti da Maastricht, ma l’interesse politico e l’artefatto entusiasmo generale per la sua partecipazione hanno la meglio. Sarà la crisi del 2008 a far emergere tutti i limiti e la fallimentarietà di un’area valutaria non ottimale e insostenibile come l’Eurozona: l’Italia, come altri paesi, senza la possibilità di ricorrere alla svalutazione del cambio, non riesce a recuperare terreno. Il debito pubblico, che finora era rientrato in una fase discendente, passa dal 102,4% al 131,8% del 2017. Una crescita notevole, ma di gran lunga ridimensionata se paragonata all’incremento del debito pubblico di altri paesi dell’area euro, come Spagna, Portogallo e la stessa Francia.Nello stesso arco temporale, infatti, Madrid ha visto il suo debito pubblico schizzare dal 38,5% al 98,3%, il che significa un tasso incrementale di circa il 150%! La crisi non ha risparmiato neanche il vicino Portogallo, che è arrivato lo scorso anno a un livello del debito molto vicino al nostro (125,7%), partendo da un “contenuto” 71,7% del 2008. Eppure i due paesi iberici hanno sforato ripetute volte il famigerato vincolo del 3% – parametro tanto assiomatico quanto infondato – permettendo così all’economia di tornare a crescere, a differenza di quella italiana che si è incamminata nel percorso distruttivo dell’austerity. Situazione analoga per la Francia, con un valore del debito pubblico allo scoppiare della crisi inferiore del 70% e che oggi si aggira intorno al 100%, ma senza che ciò le abbia impedito di aumentare la spesa pubblica e il deficit di bilancio, assicurando in questo modo la crescita del Pil. Dunque, sintetizzando, il nostro famigerato debito pubblico è sì più elevato, ma è partito da una situazione di evidente svantaggio, ed è cresciuto in termini percentuali del tutto in linea con l’andamento degli altri paesi dell’euro a seguito della crisi; anzi, anche meno di altri, come abbiamo visto, e aggravato dalle politiche di austerity, i cui effetti deprimenti sull’economia sono conclamati.Rimane il problema dei tassi d’interesse (da cui il famigerato spread), da noi più elevati che altrove, proprio a causa delle modalità dei meccanismi di collocamento dei titoli di Stato introdotto a seguito dell’epocale divorzio tra i due istituti finanziari italiani. È stato stimato che in trent’anni abbiamo pagato la colossale cifra di 3mila miliardi di interessi sul debito pubblico! In queste circostanze a nulla valgono gli sforzi fiscali dell’Italia, che registra da quasi trent’anni avanzo primario, ossia quella situazione, del tutto antisociale, per cui lo Stato incassa più di quanto spende, esclusi gli interessi sul debito pubblico. Per onerare il costo del debito, ossia quell’assurda creazione del denaro dal denaro, vengono sottratte risorse finanziarie per servizi pubblici e sostegno alla popolazione in difficoltà. Dunque, una redistribuzione al contrario, dai cittadini ai mercati finanziari. Il tempo delle riforme è ormai improcrastinabile.(Ilaria Bifarini, “La verità sul debito pubblico italiano”, dal blog della Bifarini del 29 marzo 2019).Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto «prezzo marginale d’asta», che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%!
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Sapelli: l’Italia si salva con Roosevelt, fuori dal rigore Ue
La Flat Tax voluta dalla Lega è una misura sensata perché espansiva, ma da sola non basta. Andrebbe fatta insieme alle sburocratizzazione, e su questo punto l’avvocato e premier Conte dovrebbe essere d’accordo. Dopo quello destinato alle partite Iva, adesso Salvini chiede l’introduzione di un secondo modulo: tassa del 15% per i redditi di lavoratori dipendenti e famiglie fino a 50.000 euro. La Flat Tax per le partite Iva è stata un passo avanti importante. Anche questa seconda detassazione mi pare equa, progressiva. Per capirci: i ricchi continuano a pagare le tasse. È quello che preme a Di Maio? Ho letto. In ogni caso, il vecchio vocabolario politico l’avrebbe definita una misura socialdemocratica. È molto significativo dei tempi che corrono. Questo depone a favore della Lega. Con l’economia ferma, può aiutare i consumi e quindi la produzione e il lavoro? Quando c’è una crisi si devono fare misure espansive. Non come fece Hoover, che subito dopo il ’29 aumentò le tasse, ma come fece Roosevelt, che le diminuì e aumentò invece la spesa pubblica. Perché la Flat Tax funzioni, però, ci vuole tempo. Tempo per introdurre altre misure di politica economica che funzionino.Penso per esempio a ciò che occorre perché le famiglie investano di più nell’educazione dei figli. Una famiglia italiana non dovrebbe vedersi precluse delle scuole di qualità perché costano troppo. Serve un disegno più ampio di politica economica, ma non lo vedo. Da un lato perché il pensiero economico non esiste più; a Bruxelles governa quello algoritmico. Dall’altro perché occorrerebbe anche essere favorevoli alle infrastrutture, alle opere pubbliche. E contrari a una commissione parlamentare permanente di inchiesta sulle banche, altrimenti nessuno investirà più in questo paese. Si dice che Mattarella sarebbe pronto a nominare Draghi senatore a vita, come per un Monti-bis? Non voglio nemmeno pensarci. Ho troppa stima del presidente della Repubblica, della sua persona oltre che del suo ruolo istituzionale, per immaginare che possa avere in mente una cosa simile. E mi sembra anche incredibile che qualcuno dotato di buon senso possa pensare che lui lo pensi. Perché vorrebbe dire non avere proprio imparato nulla. Abbandonare il regime parlamentare per instaurare di fatto un sistema neo-presidenziale e tecnocratico ha ridotto l’Italia a un cumulo di macerie. Sarebbe l’epilogo di una deriva sbagliata, iniziata con Carli e proseguita con Ciampi. Un volta, quando i governatori avevano finito il loro mandato, stavano a casa. Magari a scrivere libri, come Paolo Baffi.Di Maio ha scritto una lettera al “Corriere” in cui, da alleato di governo di Salvini, fa professione di europeismo. È solo campagna elettorale? Anche se lo fosse, sarebbe comunque nell’ordine delle cose. Il M5S sta svolgendo lo stesso compito assolto in Grecia da Tsipras e si va sempre più caratterizzando come movimento alla Boulanger. Non mi stupisce: la base è formata dal “popolo degli abissi”, ma la cuspide, il gruppo dirigente, è neoliberista, e come tale incorpora l’ordoliberismo, come Orbán e compagnia. Dicono di fare una battaglia per l’Europa sociale, poi appena possono si adeguano alle regole europee. E pian piano si dimenticano di essere stati eletti per rinegoziare i trattati, se mai ne sono stati consapevoli. Dunque il M5S non è l’alleato giusto per la Lega? Io ho sempre pensato che il rapporto fosse innaturale. La Lega potrebbe e dovrebbe diventare il partito della borghesia nazionale, fatta di piccole-medie imprese e di lavoratori. Per questo Salvini farebbe bene a non andare con Marine Le Pen.Salvini ha riunito a Milano esponenti di partiti “sovranisti” europei come Afd, Finns Party e Dansk Folkeparti. Molti sottolineano le contraddizioni tra la Lega e il rigore sui parametri che alcuni di questi alleati pretenderebbero dall’Italia dopo il voto? Non uso la parola “sovranismo” perché non vuol dire nulla. Dico però che la Lega è stata l’unico partito a non votare il Fiscal Compact nel 2012. In Europa ci sono contrari al Patto di stabilità a sinistra, al centro e a destra. La Lega deve essere coerente con quello che ha fatto e privilegiare le alleanze con chi è d’accordo su questo punto. Purtroppo non sappiamo cos’avrebbero fatto i 5 Stelle. Cosa dovrebbe fare Salvini? Guardare al Ppe. Se si cambieranno le regole europee, si farà perché lo vuole la Germania. Occorre parlare con i tedeschi. Manfred Weber è bavarese, non prussiano. Mi sembra una persona ragionevole. Ha detto che alleanze con Salvini non ne vuol fare? Non importa. In Parlamento si va per fare politica, non per seguire la “tradizione” di chi rema all’indietro.E il Pse? Il Partito socialista è perduto, è fuori dalla storia. Il socialismo francese è morto, anche se io sono convinto che in qualche modo risorgerà. In giro, però, ci sono uomini più vicini alla Lega di quanto non si creda: Chevènement, Mélenchon… Leghisti in pectore? Difendere la nazione oggi ha senso non per rinchiudersi in un mandato nazionalistico, che non a caso è l’accezione deformante confezionata su misura dagli avversari del “sovranismo”, ma per tornare ad impossessarsi della politica economica. Questo bisogna fare, non affidarsi ad alleati che non si sa dove portano. Un suggerimento a Giovanni Tria? Si ricordi che suoi colleghi come Baldassarri e Paganetto hanno avuto molti dubbi sul Fiscal Compact. Manifesti anche i suoi, di dubbi. Continui a mediare tra le istanze politiche e le esigenze che abbiamo di non spaventare i mercati. E faccia di tutto per impedire una stoltezza come la Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche. Il paese uscirebbe dal consesso civile.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Europee 2019: non basta un Def, l’Italia si salva se cambia i trattati Ue”, pubblicata su “Il Sussidiario” il 9 aprile 2019).La Flat Tax voluta dalla Lega è una misura sensata perché espansiva, ma da sola non basta. Andrebbe fatta insieme alle sburocratizzazione, e su questo punto l’avvocato e premier Conte dovrebbe essere d’accordo. Dopo quello destinato alle partite Iva, adesso Salvini chiede l’introduzione di un secondo modulo: tassa del 15% per i redditi di lavoratori dipendenti e famiglie fino a 50.000 euro. La Flat Tax per le partite Iva è stata un passo avanti importante. Anche questa seconda detassazione mi pare equa, progressiva. Per capirci: i ricchi continuano a pagare le tasse. È quello che preme a Di Maio? Ho letto. In ogni caso, il vecchio vocabolario politico l’avrebbe definita una misura socialdemocratica. È molto significativo dei tempi che corrono. Questo depone a favore della Lega. Con l’economia ferma, può aiutare i consumi e quindi la produzione e il lavoro? Quando c’è una crisi si devono fare misure espansive. Non come fece Hoover, che subito dopo il ’29 aumentò le tasse, ma come fece Roosevelt, che le diminuì e aumentò invece la spesa pubblica. Perché la Flat Tax funzioni, però, ci vuole tempo. Tempo per introdurre altre misure di politica economica che funzionino.
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Magaldi: Di Maio omaggia la Merkel e “suicida” i gialloverdi
Magari ce l’avessimo noi, un politico come Angela Merkel. Giù il cappello: inchino firmato da Luigi Di Maio, intervistato da “Die Welt”. Ma come, il terribile leader “populista” italiano ora cinguetta parole d’amore per la cancelliera tedesca, donna-simbolo dell’eurocrazia teutonica che ha disastrato il nostro paese? Così, gli elettori 5 Stelle sono serviti: ecco fin dove s’è abbassato, il campione del “cambiamento” all’italiana, solo per tentare di differenziarsi dall’alleato-concorrente Salvini, che ha scelto di prendere il treno per Strasburgo in compagnia dei “sovranisti” Orban e Le Pen. «Viltà inaudita e imperdonabile, consegnare il Movimento 5 Stelle a questo esito: l’incredibile “genuflessione” alla Merkel fa di Luigi Di Maio un cialtroncello», sentenzia Gioele Magaldi: «Da ex “monello”, ora Di Maio è diventato “allievo modello”: spero venga defenestrato dal movimento, che non merita di avere questa classe dirigente». Durissimo, il presidente del Movimento Roosevelt, sul vicepremier grillino: dove sarebbe il coraggio che il valente Pino Cabras attribuisce a Di Maio, nel fronteggiare l’insidioso Deep State ramificato da Bruxelles al Quirinale? Eccolo, il vero Di Maio: «Un personaggio opportunista, preoccupato di salvarsi la poltrona avendo compreso che il cambiamento promesso è fallito». Per chi non l’avesse ancora capito, «il governo gialloverde non fa paura a nessuno». E se persino Di Maio tifa per la Merkel, tanto vale rinunciare alle urne delle europee: voto inutile.Salvini? Più bravo, se non altro, a salvare la faccia: «Almeno a parole, la Lega mantiene ancora un atteggiamento meno arrendevole verso Bruxelles», ammette Magaldi, in web-streaming su YouTube. «Però – aggiunge – ha anch’essa ceduto rovinosamente sul deficit, rinunciando alla linea di Paolo Savona». In più, la Lega «insiste nel baloccarsi con i sovranismi farlocchi come quello di Orban, che strizza l’occhio ai Popolari Europei». Quanto alla Le Pen, è «condannata a consegnare la Francia a qualsiasi avversario, da Hollande a Macron». Certo, Matteo Salvini «parla bene», ma nel momento della verità «se la fa sotto, anche lui, di fronte alle letterine di Juncker». Rispetto a Di Maio, almeno, «nel leader della Lega c’è un barlume di dignità, ma purtroppo senza consistenza: non ci sono parole per commentare la resa italiana di fronte al veto di Bruxelles sull’espansione del deficit». Attenzione: per Magaldi, le «frasi infelici» di Di Maio dimostrano la grande preoccupazione che agita il governo gialloverde: «Il Pil peggiora, l’Italia è malata e non c’è stata nessuna cura. Cosa si inventeranno, adesso? Quanto a lungo può reggere ancora, il bluff? Avanti così saranno spazzati via dalla storia: non è più tempo di piccoli uomini».E se frana l’esperienza gialloverde, aggiunge Magaldi, certo non rinasce il centrodestra berlusconiano: «Il popolo è stanco di chi propone le stesse solfe da 25 anni». Non sta meglio il Pd che attacca l’esecutivo Conte: «In passato, al governo, ha fatto anche di peggio». Nessuno infatti può rimpiangere Letta, Renzi e Gentiloni. La franosità della situazione italiana, per Magaldi, rivela una triste verità: «Il sistema non ha nessuna paura del “governo del cambiamento”, che infatti non ha cambiato niente. E oggi in Italia non c’è nessuna novità politica, né al governo né all’opposizione». Secondo il presidente del Movimento Roosevelt, promotore del “Partito che serve all’Italia” (prossima assemblea il 25 aprile a Roma), queste elezioni europee non cambieranno niente: un voto perfettamente sterile. «Non usciranno nuovi assetti di potere. Del resto, perché mai votare Di Maio se loda la Merkel? Tanto vale votare esponenti del Ppe». Per Magaldi occorre creare «un fronte democratico reale, che in Europa sconfigga gli equilibri attuali, basati sulla globalizzazione post-democratica». Persino il terrorismo targato Isis, aggiunge, «è alimentato dai gestori del sistema, per aumentare il potere di controllo sui cittadini».Di fronte a questo, aggiunge Magaldi, «non bastano più le sole analisi, offerte sporadicamente da voci alternative invitate in televisione solo come “sparring partner” degli esponenti dell’establihment». Insiste, il presidente del Movimento Roosevelt: «Non c’è più tempo per le riforme: serve una rivoluzione, che abbatta il paradigma dell’ideologia neoliberista». Come agire? «In modo nonviolento, ma risoluto: a muso duro, come Gandhi». Gli italiani, insiste Magaldi, capiranno ben presto che la missione del governo Conte è fallita, e che il sistema ordoliberista di Bruxelles «non può essere riformato dall’interno, ma solo rovesciato con una rivoluzione democratica su scala europea». Una rivoluzione, annuncia, «a cui il Movimento Roosevelt e il “Partito che serve all’Italia” daranno un decisivo contributo», partendo da una mobilitazione generale, porta a porta. Funzionerà? E’ inevitabile, sostiene sempre Magaldi, perché la situazione sociale è insostenibile, è l’inconsistenza dell’offerta politica è ormai palese. In campagna elettorale, Lega e 5 Stelle avevano denunciato chiaramente il problema. Poi però si sono fatti ingabbiare dal potere eurocratico: e ora – con il Pil in frenata – non potranno più gestire in modo indolore nemmeno il modestissimo deficit ottenuto per gentile concessione di Bruxelles. Un finale che sembra già scritto: “game over”, per i gialloverdi.Dettaglio ulteriormente increscioso, la smaccata giravolta di Di Maio in favore della Merkel, emblema vivente dell’austerity che i gialloverdi avevano promesso di contrastare: il Movimento 5 Stelle, con questa dirigenza, dimostra di non avere alcuna utilità per l’Italia, sostiene Magaldi. «A che serve fare la piattaforma Rousseu se poi è opaca, con i profili taroccati?», attacca ancora il presidente del Movimento Roosevelt, citando il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau, l’inventore del “contratto sociale”, a cui deve il nome la piattaforma di Casaleggio. «Quale contratto sociale è possibile – aggiunge Magaldi – se Di Maio ora bacia la pantofola della Merkel, esattamente come tutti i suoi predecessori?». Era stato tra i pochi osservatori esterni, Magaldi, a difendere l’esordio gialloverde, meno di un anno fa, al punto da chiedere le dimissioni del Mattarella che aveva sbarrato a Savona le porte del dicastero dell’economia. Persino Di Maio aveva evocato l’impeachment, per attentato alla Costituzione. Ora – ammainate tutte le bandiere – eccolo prostrarsi ai piedi della Cancelliera. Non è nuovo, il Movimento 5 Stelle, a clamorosi voltafaccia (con relative figuracce, come il “no” rimediato dagli ultra-euristi dell’Alde quando Grillo chiese a Guy Verhofstadt di “traslocare” sotto le sue bandiere, in compagnia di Mario Monti, il gruppo europarlamentare pentastellato). Ora ci risiamo: gli ex “rivoluzionari” italiani tornano a bussare umilmente alle porte dei padroni d’Europa.Da posizioni oltranziste, un giornalista come Paolo Barnard l’aveva detto fin dall’inizio: è una follia, fidarsi della Lega e dei 5 Stelle come ipotetici paladini dell’Italia. Altri, invece – come Magaldi – all’esperimento gialloverde avevano concesso un’apertura di credito, sia pure condizionata, se non altro perché non c’erano alternative, in Parlamento, a leghisti e grillini: da una parte gli zombie del Pd renziano, dall’altra le salme (politiche) di Berlusconi e Tajani. Contro il governo gialloverde anche tutti i grandi media, a reti unificate. Di Maio pasticcione, Toninelli gaffeur. E soprattutto, Salvini “fascista”. Non ha avuto vita facile, il governo Conte: è stato continuamente sabotato dallo “Stato profondo”, avverte lo stesso Cabras, neo-parlamentare pentastellato. A maggior ragione: quale tipo di demenza autolesionistica ha spinto Di Maio a omaggiare la Merkel? Così si accelera soltanto la rottamazione dei gialloverdi, e in particolare dei 5 Stelle. Senza che l’Italia – stando così le cose – abbia una sola speranza di veder cambiare la situazione. Tanto vale stare a casa, il 26 maggio: ora – chiosa Magaldi – sappiamo definitivamente che votare per Di Maio e Salvini non servirà proprio a niente.Magari ce l’avessimo noi, un politico come Angela Merkel. Giù il cappello: inchino firmato da Luigi Di Maio, intervistato da “Die Welt”. Ma come, il terribile leader “populista” italiano ora cinguetta parole d’amore per la cancelliera tedesca, donna-simbolo dell’eurocrazia teutonica che ha disastrato il nostro paese? Così, gli elettori 5 Stelle sono serviti: ecco fin dove s’è abbassato, il campione del “cambiamento” all’italiana, solo per tentare di differenziarsi dall’alleato-concorrente Salvini, che ha scelto di prendere il treno per Strasburgo in compagnia dei “sovranisti” Orban e Le Pen. «Viltà inaudita e imperdonabile, consegnare il Movimento 5 Stelle a questo esito: l’incredibile “genuflessione” alla Merkel fa di Luigi Di Maio un cialtroncello», sentenzia Gioele Magaldi: «Da ex “monello”, ora Di Maio è diventato “allievo modello”: spero venga defenestrato dal movimento, che non merita di avere questa classe dirigente». Durissimo, il presidente del Movimento Roosevelt, sul vicepremier grillino: dove sarebbe il coraggio che il valente Pino Cabras attribuisce a Di Maio, nel fronteggiare l’insidioso Deep State ramificato da Bruxelles al Quirinale? Eccolo, il vero Di Maio: «Un personaggio opportunista, preoccupato di salvarsi la poltrona avendo compreso che il cambiamento promesso è fallito». Per chi non l’avesse ancora capito, «il governo gialloverde non fa paura a nessuno». E se persino Di Maio tifa per la Merkel, tanto vale rinunciare alle urne delle europee: voto inutile.
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Ormai siamo superflui, la plutocrazia cospira contro di noi
Sono in corso precise e profonde trasformazioni strutturali dell’ordinamento sociale, su scala mondiale, che la comunicazione politica per le masse non menziona o menziona solo velatamente, senza mai parlare di come esse hanno ridotto il ruolo della politica. Ne cito qui alcune particolarmente chiare e rilevanti, per poi descrivere i principali fattori che ostacolano il loro pubblico riconoscimento. In compenso, recenti vicende legate alla crisi economica e alla globalizzazione hanno fatto capire all’opinione pubblica che le nazioni sono governate da una oligarchia e non dalle istituzioni ufficiali, sì che non esiste la democrazia e vi è un essenziale conflitto di classe tra governanti e governati, indipendente dalla ideologia adottata dai primi. La prima e più nota, delle trasformazioni globali in corso, è sul piano ‘orizzontale’: è la globalizzazione-centralizzazione dei mercati e del potere anche politico e giudiziario, con il conseguente svuotamento-soppiantamento degli Stati nazionali e delle rappresentanze e realtà nazionali. La seconda è sul piano ‘verticale’: è il trasferimento del potere effettivo da soggetti pubblici, visibili e in qualche modo responsabili (politicamente, giudiziariamente), a soggetti privati, non esposti, non responsabili (non eletti, non sindacabili giudiziariamente), che studiano e prendono dietro porte chiuse le grandi decisioni e dirigono i governi da sopra di essi – l’Unione Europea è un ottimo esempio di ciò.La terza è che i popoli diventano superflui e ininfluenti perché l’economia finanziarizzata non ha più bisogno, per produrre ricchezza e mantenere il potere costituito, di produrre e vendere grandi quantità di beni reali, né di eserciti di massa; quindi i cittadini, come lavoratori-consumatori-combattenti hanno perso utilità per il sistema, e con essa rilevanza politica; da qui il diffondersi della povertà e la perdita di diritti dei lavoratori. La quarta è la capacità tecnologica, che i manovratori del potere stanno sempre più acquisendo, di monitorare e influenzare anche biologicamente i singoli e la società, e persino le condizioni metereologiche, con mezzi praticamente irresistibili. Veniamo ora ai paraocchi, cioè ai principali fattori che impediscono all’opinione pubblica di capire come funzionano e come si stanno evolvendo la società e l’ordinamento giuridico, e che così li rendono psicologicamente accettabili alla massa. Infatti la gente non sopporta di sentirsi impotente entro un sistema ingiusto, illegittimo e sopraffattore, quindi accetta ogni aiuto per costruirsi l’illusione di vivere in un sistema complessivamente legittimo, visibile e ben intenzionato. In primo luogo si tende tuttora a pensare che i processi decisionali e le intenzioni dei soggetti istituzionali, politici ed economici, siano quelli dichiarati anziché altri, nascosti e dissimulati – anche se da Machiavelli in poi la politologia insegna che le cose stanno proprio così.In secondo luogo, si tende a pensare che l’uomo e la collettività e il loro bene siano il fine dell’azione dello Stato, mentre al contrario i detentori del potere ‘tengono’ la collettività come un loro strumento, similmente a come l’allevatore tiene il bestiame; e gli Stati, al loro interno e nei rapporti internazionali, agiscono non secondo i principi legali ed etici con cui si legittimano, bensì cercando sopraffazione e sfruttamento. In terzo luogo si tende a pensare che il potere reale coincida col potere ufficialmente visibile e pubblico, istituzionale, controllabile politicamente e giudiziariamente, anziché essere detenuto da soggetti autoreferenziali, non responsabili e scarsamente visibili. In quarto luogo si tende a pensare che la legalità sia complessivamente osservata soprattutto dai poteri pubblici e delle istituzioni, e difesa dalla giustizia – mentre non è affatto così, anzi prevalgono le pratiche e le decisioni illegali, e il potere giudiziario strutturalmente si occupa non di difendere la legalità ma di mascherare, legittimare, preservare i rapporti di forza, privilegio e interesse reali, indipendentemente dalla loro illegalità, mantenendo una apparenza di legittimità agli occhi della massa. Bisognerebbe sempre tenere a mente che rispettare le regole, per chi detiene il potere, è un costo.In quinto luogo, si tende a credere, in conformità al catechismo neoliberale dei mass media e delle istituzioni, che il mercato libero esista, che sia efficiente, e che tenda alla crescita economica, mentre al contrario il mercato non è libero ma controllato da cartelli; non è efficiente, perché non tende ad aumentare la produzione di beni della vita né a prevenire o curare le crisi, ma a produrne in continuazione, per speculare e condizionare i governi grazie ad esse; ed essendo un mercato dominato dalla finanza, non tende a produrre più ricchezza reale. In sesto luogo, nella recessione-stagnazione economica si tende a non vedere che esse sono tali solo per la popolazione generale, mentre per l’élite dominante, per i manovratori, esse comportano un grande incremento di ricchezza e potere rispetto alla società complessiva. I detentori apicali del potere, i pianificatori-manovratori di lungo termine, da qualche decennio si stanno servendo delle dinamiche del capitalismo finanziario (che distrugge insieme le sicurezze private e le strutture pubbliche rappresentative dei popoli), nonché della sua capacità di condizionare i comportamenti collettivi e individuali, allo scopo di preparare e attivare gli strumenti per la riduzione della popolazione, dei consumi e delle emissioni: riduzione che pare indispensabile per salvare il pianeta.In queste ottiche, lo sviluppo economico è stato fermato e avviato alla sua inversione dal cartello mondiale privato della moneta e del credito attraverso la creazione orchestrata di una carestia monetaria, giustificata con false teorie economiche, e che moltiplica le ricchezze della classe globale dominante diffondendo la povertà nella popolazione generale. Analogamente, la dinamica (“animal spirits”) del profitto capitalistico e monopolistico viene sfruttata per creare, attraverso la privatizzazione della produzione e del commercio delle risorse alimentari (terreni, sementi, chimica) nelle mani di un cartello globale, i presupposti per una carenza alimentare generale nel terzo mondo. Questa condizione orchestrata di carestia alimentare globale, combinata con la carestia monetaria, in una prima fase opera una progressiva estrazione di ricchezza e reddito dalle nazioni (cittadini, imprese, settore pubblico), e in una seconda fase prepara la soluzione del problema eco-demografico, appoggiata da farmaci contaminati e contaminanti alimentari nonché ambientali che abbassano le difese immunitarie e la fertilità, minano il sistema nervoso, e innalzano la morbilità soprattutto degenerativa nella popolazione generale. Il nemico della biosfera, dell’ambiente, ultimamente sono i sette miliardi di sovrappopolazione, coi loro consumi e le loro emissioni – e quella sopra sembra essere la cura che è stata pianificata. Vorrei ricordare quanto sopra a coloro che credono ancora che si possa rilanciare la natalità e lo sviluppo economico.(Marco Della Luna, “Evoluzione e paraocchi”, dal blog di Della Luna del 29 marzo 2019).Sono in corso precise e profonde trasformazioni strutturali dell’ordinamento sociale, su scala mondiale, che la comunicazione politica per le masse non menziona o menziona solo velatamente, senza mai parlare di come esse hanno ridotto il ruolo della politica. Ne cito qui alcune particolarmente chiare e rilevanti, per poi descrivere i principali fattori che ostacolano il loro pubblico riconoscimento. In compenso, recenti vicende legate alla crisi economica e alla globalizzazione hanno fatto capire all’opinione pubblica che le nazioni sono governate da una oligarchia e non dalle istituzioni ufficiali, sì che non esiste la democrazia e vi è un essenziale conflitto di classe tra governanti e governati, indipendente dalla ideologia adottata dai primi. La prima e più nota, delle trasformazioni globali in corso, è sul piano ‘orizzontale’: è la globalizzazione-centralizzazione dei mercati e del potere anche politico e giudiziario, con il conseguente svuotamento-soppiantamento degli Stati nazionali e delle rappresentanze e realtà nazionali. La seconda è sul piano ‘verticale’: è il trasferimento del potere effettivo da soggetti pubblici, visibili e in qualche modo responsabili (politicamente, giudiziariamente), a soggetti privati, non esposti, non responsabili (non eletti, non sindacabili giudiziariamente), che studiano e prendono dietro porte chiuse le grandi decisioni e dirigono i governi da sopra di essi – l’Unione Europea è un ottimo esempio di ciò.
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Magaldi: gialloverdi al 70% se osano sfidare il Deep State
Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).Non se ne esce mai, dal trappolone europeo? Certo, e non se ne uscirà fino a quando il cosiddetto Deep State sarà saldamente radicato in tutti i gangli vitali dello Stato. Burocrati e tecnocrati, servizi segreti pubblici e privati, banca centrale, uffici ministeriali, Quirinale. Ne ha parlato apertamente un parlamentare pentastellato, Pino Cabras, il 30 marzo a Londra. Eletto alla Camera in Sardegna lo scorso anno, Cabras – storico collaboratore di Giulietto Chiesa – ha partecipato al convegno “Un New Deal per l’Italia e per l’Europa”, promosso dal Movimento Roosevelt, soggetto meta-partitico fondato da Magaldi per rigenerare in senso democratico la politica italiana, stimolando i partiti a fare di più per recuperare la perduta sovranità popolare. Decisamente fuori programma l’esplicita ammissione di Cabras: a unire Lega e 5 Stelle, alleati ma sostanzialmente divisi su tutto, è l’impegno a resistere insieme alle “mostruose” pressioni del Deep State, che si è attivato per frenare il cambiamento promesso: dare più soldi agli italiani, ampliando il welfare e tagliando le tasse. Ed è intervenuto sin dal primo giorno, lo “Stato profondo”, inserendo le sue pedine nell’esecutivo Conte. Postilla: senza i “controllori di volo” (esempio, Tria al posto di Savona), il governo non sarebbe mai nato.Di Maio e Salvini hanno accettato la sfida: meglio di niente, si sono detti, perché solo il governo gialloverde (benché azzoppato in partenza) avrebbe potuto almeno tentare di cambiare qualcosa, liberando l’Italia dall’incubo dell’austerity. Ce l’ha fatta? No, purtroppo. Si è visto bocciare persino la timida richiesta di portare il deficit al 2,4%, cioè ben al di sotto del famigerato tetto del 3% imposto da Maastricht (e che la Francia di Macron violerà, con l’alibi della protesta dei Gilet Gialli). Proprio i Gilet Jaunes, sostiene Magaldi, erano un regalo della massoneria progressista internazionale. Il piano: destabilizzare la Francia, sentinella dell’euro-rigore, proprio mentre l’Italia friggeva, per quel misero 2,4%, sulla graticola della Commissione Europea. Ma il governo Conte non ne ha saputo approfittare: raro caso di insipienza politica e di mancanza di coraggio, di assenza di visione. Ora i pericoli sono dietro l’angolo: senza la necessaria benzina finanziaria per mantenere le promesse, i 5 Stelle sono già in picchiata nei sondaggi. Regge la Lega, ma solo per ora, grazie alla muscolarità (verbale) di Salvini. Però il tempo vola: in soli due anni, Matteo Renzi è passato dal 40% all’estinzione politica.Si spera nelle europee, per erodere il potere dello “Stato profondo” neoliberista che utilizza come clava l’asse franco-tedesco? Pie illusioni: secondo Magaldi non cambierà proprio niente, fino a quando la bandiera della protesta sarà agitata dai sedicenti sovranisti, velleitari demagoghi delle piccole patrie. Per chi non se ne fosse accorto, impera la globalizzazione: tutto è fatalmente interconnesso. Nessun paese, da solo, può sperare di uscire indenne da una fiera diserzione. Parla per tutti la Grecia, che disse “no” all’euro-tagliola. Risultato: Tsipras fu intimidito e costretto a piegarsi, tradendo la volontà del popolo. Alla Grecia arrivarono aiuti finanziari, ma solo per soccorrere le banche tedesche e francesi esposte con Atene. Il paese è stato sventrato, svenduto e distrutto, riducendo i greci in povertà. E nessuno Stato europeo è intervenuto in suo soccorso. In Francia, era stato François Hollande a candidarsi come anti-Merkel, promettendo di allentare il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. Esito inglorioso: blandizie e minacce, compresi gli attentati terroristici targati Isis. In pochi mesi, Hollande ha ceduto su tutta la linea, rassegnandosi al ruolo di docile esecutore dell’ordoliberismo Ue.Anni fa, proprio Magaldi sosteneva che solo l’Italia avrebbe potuto accendere la miccia del cambiamento. «L’Italia traccia le strade», diceva Rudolf Steiner, attribuendo al Belpaese un ruolo storico di battistrada. Una specie di destino: prima il “format” dell’Impero Romano, poi il Rinascimento e la democrazia comunale, le prime università, le prime banche. Italia caput mundi, nel bene e nel male: in fondo, Hitler si considerava allievo del maestro Mussolini. Proprio l’Italia primeggiò ancora una volta nel dopoguerra: fece il record mondiale di crescita, con il boom economico, anche se non tutti applaudivano. L’uomo-simbolo di quegli anni ruggenti, Enrico Mattei, fu disintegrato a bordo del suo aereo. Oggi, dopo mezzo secolo, l’Europa è ancora una volta alle prese con il “problema” Italia, grazie a un governo teoricamente non-allineato a Bruxelles. Esecutivo capace di firmare un memorandum d’intesa commerciale con la Cina, che irrita pericolosamente gli Usa e manda su tutte le furie Parigi e Berlino, ovvero i due maggiori nazionalismi anti-europeisti su cui si regge l’infame Disunione Europea, quella che ha lasciato morire impunemente i bambini greci, negli ospedali rimasti senza medicine.Non bastano più, dice Magaldi, le sole analisi degli economisti democratici che in questi anni hanno smascherato tutte le bugie del neoliberismo. La prima: tagliare il debito pubblico risana l’economia. Falso: lo dimostra la scienza economica, da Keynes in poi, e lo confermano Premi Nobel come Krugman e Stiglitz. Ovvero: il deficit strategico – a patto che sia massiccio, e investito con oculatezza – può valere anche il 400%, in termini di Pil. Tradotto: oggi spendo dieci, e domani incasserò quattro volte tanto (lavoro, salari, consumi, e infine anche tasse). Beninteso: lo sanno tutti, a cominciare da quelli che fingono di non saperlo. Come Mario Draghi, che fu allievo del maggior economista keynesiano europeo – italiano, tanto per cambiare: il professor Federico Caffè. Tesi di laurea del giovane Draghi: l’insostenibilità di una moneta unica europea. Farebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Specie se si calcola che Draghi fu accolto a bordo del Britannia, all’epoca della grande spartizione della Penisola, alla vigilia delle privatizzazioni degli anni ‘90 che hanno sabotato la nostra florida economia. Lo stesso Draghi ha lasciato il segno anche in Grecia: prima come manager della Goldman Sachs, la banca-killer che gonfiava i bilanci di Atene, e poi – a disastro compiuto – come inflessibile censore della Bce, in seno alla spietata Troika europea.Ancora lui, Mario Draghi, è l’uomo a cui risponde, di fatto, il governatore di Bankitalia. E proprio da Ignazio Visco, il presidente Mattarella – con una mossa senza precedenti – spedì l’allora premier incaricato, Conte, a prendere appunti su come non attuarlo affatto, il cambiamento appena promesso agli elettori. Pino Cabras lo chiama “Stato profondo”, e difende la strategia di Di Maio e Salvini: accettare la logica di una guerra di logoramento, dice Cabras, è l’unica soluzione praticabile. Non la pensa così Gioele Magaldi: a suo parere, è una tattica perdente. Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, ridisegna la mappa del Deep State, presentandolo come interamente massonico. Un potere a due facce: quella progressista (da Roosevelt ai Kennedy, fino allo svedese Olof Palme) spinse avanti la modernità dei diritti sociali in senso democratico, nei decenni del grande benessere diffuso. L’altra faccia, oligarchica – Merkel e Macron, Prodi e D’Alema, lo stesso Draghi – ha chiuso i rubinetti della finanza pubblica, inaugurando la globalizzazione del rigore e quindi l’impoverimento generale della popolazione occidentale, fino alla quasi-sparizione della classe media (che infatti oggi in Italia vota Salvini e Di Maio).Contro questo regime, insiste Magaldi, non valgono più né le pregevoli rivelazioni dei tanti economisti onesti, né i recenti tatticismi dei gialloverdi. Serve una rivoluzione, a viso aperto. Un paese che dica: “Adesso sforiamo il tetto di Maastricht. E se non vi va bene, sospendiamo la vigenza dei trattati europei”. Addirittura? Certo, altra via non esiste. Se ci si piega al racket, l’estorsione continua all’infinito. Anche in politica: la molla su cui fa leva il prevaricatore è sempre la stessa, la paura. Se si smette di avere paura, tutto il castello crolla. Perché quel ricatto è basato su un sortilegio psicologico, come quello che rende misteriosamente tenebroso l’invisibile Mago di Oz, in apparenza invincibile: in realtà è soltanto una bolla, che può dissolversi in un attimo. E’ già successo, nella storia. Sotto la sferza della Grande Depressione, la destra economica consigliò a Roosevelt di tagliare il debito – pena, l’apocalisse. Ma il presidente, ispirato da Keynes, fece l’esatto contrario: espansione smisurata del deficit. Risultato: l’America, che era alle prese con l’incubo quotidiano della fame, divenne una superpotenza. Non è che siano cambiate, le regole: il sistema è sempre quello capitalista. Non solo: è diventato universale, incorporando anche Russia e Cina (che infatti, così come gli Usa e il Giappone, non hanno nessuna paura di fare super-deficit, sapendo che è il solo modo per alimentare il mercato interno dei consumi, e quindi l’occupazione).Il Mago di Oz ora si chiama Unione Europea, si chiama Eurozona. Una vergogna mondiale, senza più democrazia: comanda la Bce, insieme alla Commissione formata da tecnocrati non-eletti. Non c’è una vera Costituzione, e il Parlamento Europeo non può eleggere il governo europeo. Siamo precipitati nella barbarie di un neo-feudalesimo, una specie di Sacro Romano Impero. D’accordo, ma per volere di chi? Magaldi non ha esitazioni nell’indicare i responsabili: massoni reazionari. Militano nelle Ur-Lodges neoaristocratiche. Sono strutture segrete e trasversali, spregiudicate e apolidi, senz’altra patria che il denaro. Hanno deformato la stessa geopolitica: quando parliamo di Russia, Europa, Cina e Stati Uniti, dovremmo invece saper distinguere tra élite oligarchiche ed élite a vocazione democratica. Esistono anche quelle, infatti: sono di segno progressista. Negli ultimi decenni sono state costrette a cedere il passo alla plutocrazia neoliberista, ma adesso stanno rialzando la testa. Lo stesso Magaldi ammette di agire d’intelligenza con alcune di queste strutture, come la superloggia Thomas Paine. Problema pratico, innanzitutto: se è stata la supermassoneria a creare il problema, non può che essere la stessa supermassoneria (lato B, progressista) a contribuire a risolverlo.Magaldi non demonizza le Ur-Lodges, non ne fa una speculazione complottistica. Se la massoneria sa di aver fondato la modernità – Stato di diritto, laicità delle leggi, suffragio universale democratico – è umano che pensi (sbagliando) di poter fare quello che vuole, della sua “creatura”. La distorsione è cominciata negli anni ‘70, con il saggio sulla “Crisi della democrazia” commissionato dalla Trilaterale, potente entità paramassonica. La tesi: troppa democrazia fa male. Dove siamo arrivati, oggi? Lo si è visto: un certo signor Pierre Moscovici, non votato da nessuno, ha il potere di bocciare il bilancio del governo italiano regolarmente eletto. Lo si può subire in silenzio, un affronto simile? Nossignore: la verità va gridata. Lo stesso Moscovici sa benissimo che un deficit robusto farebbe volare l’economia. Una volta, lo sapeva anche la sinistra (che oggi tace). Lega e 5 Stelle? Si limitano a brontolare, ma poi ingoiano il rospo. Peggio: sparano a vanvera contro la massoneria, fingendo di non sapere che sono proprio i supermassoni oligarchici a ostacolare il loro governo. Cosa aspettano a vuotare il sacco?Magaldi è esplicito: le Ur-Lodges progressiste sono pronte ad aiutarli, se smetteranno di essere ipocriti sulla massoneria, come se non sapessero che persino il governo gialloverde pullula di massoni occulti, non dichiarati. Sperano nelle europee, leghisti e grillini? Errore grave: nessuno verrà in aiuto dell’Italia, se non sarà il nostro paese – per primo – ad alzare la testa. Come? Nell’unico modo possibile: una rivoluzione gandhiana, basata sull’obiezione ideologica. Può svanire in attimo, la grande paura del Mago di Oz, se solo qualcuno avrà l’elementare coraggio democratico che oggi ancora manca, ai gialloverdi. Una rivoluzione potrebbe spazzarli via in un amen, i mammasantissima del peggior Deep State. Restano invece al loro posto, i boiardi dello “Stato profondo”, proprio perché a proteggerli – prima di ogni altra cosa – è proprio la nostra stessa paura. Per Magaldi, scontiamo anche un vuoto culturale: da riempire, per la precisione, ricorrendo al socialismo liberale teorizzato da Carlo Rosselli. Una corrente di pensiero illuminante ma rimasta in ombra, schiacciata dal fascismo e dallo stesso socialismo massimalista, prima ancora che dal comunismo. Poi venne l’atroce neoliberismo, nelle due versioni: quella sfrontata, della destra economica reaganiana, e quella – più ambigua nella forma ma identica della sostanza – del “terzismo” di Anthony Giddens adottato dall’ex-sinistra occidentale, da Blair fino a D’Alema, grandi protagonisti dell’attuale post-democrazia.Il succo non cambia: Stato minimo. Il privato ha sempre ragione. Nei fatti, il neoliberismo è un imbroglio: santifica l’impresa, ma a spese dello Stato. E quando scoppia Wall Street, è il bilancio pubblico a tenere in piedi le banche-canaglia. Turbo-globablizzazione mercantile, e addio diritti. Delocalizzazioni, privatizzazioni. Parola d’ordine, per i non privilegiati: arrangiarsi. Dogma assoluto: demolire l’impresa pubblica, che era il cemento armato del boom italiano. In Svezia, Olof Palme impegnò lo Stato a salvare le aziende traballanti, a due condizioni: management statale, e lavoratori coinvolti come azionisti (con tanto di dividendi, a fine anno). Fu ucciso a Stoccolma nel 1986, all’uscita di un cinema. Tuttora sconosciuto il killer, ma non il mandante: possiamo chiamarlo Deep State. Con Palme, questa Europa cialtrona non sarebbe mai potuta nascere. Al leader svedese, il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano il 3 maggio. Sul podio altri due giganti, lo stesso Rosselli e l’africano Thomas Sankara, anch’essi assassinati. Non difettavano di coraggio: sapevano di dover combattere, sfidando il potere ostile a viso aperto. E’ quello che dovrebbe fare anche l’Italia, ribadisce Magaldi. Sapendo che, da sole, le élite possono fare poco. Se però si sveglia il popolo, allora non c’è Deep State che tenga. E’ così che funzionano, le rivoluzioni che mandano avanti, da sempre, la storia dell’umanità.(Le riflessioni di Gioele Magaldi sono tratte dalla diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 1° aprile 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”).Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).
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Cabras: è la lotta contro il Deep State a unire Lega e M5S
«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».Il convitato di pietra ha un nome preciso: si chiama supermassoneria reazionaria. «Se i gialloverdi fossero meno ipocriti sulla massoneria, la parte progressista di quel Deep State (che non è un monolite) li potrebbe aiutare», sostiene Gioele Magaldi. «A dire il vero l’ha anche già fatto: la rivolta francese dei Gilet Gialli contro Macron, proprio mentre il governo Conte affrontava Bruxelles sulla questione del deficit, è stato un regalo della massoneria progressista. Regalo di cui, incredibilmente, i gialloverdi non hanno saputo approfittare, per portare a casa almeno il loro iniziale 2,4%», comunque modestamente inferiore al 3% di Maastricht e, a maggior ragione, al 3,5% ora concesso all’Eliseo. Il guaio? «Con un atteggiamento discriminatorio, i 5 Stelle proclamano di non volere massoni tra le loro fila, ignorando che era massone lo stesso Gianroberto Casaleggio». Peggio: «Il governo Conte pullula di massoni. Per questo, fingere di non saperlo è ipocrisia pura». Tradotto: sacrosanta la denuncia contro il Deep State. Ma perché non chiamare le cose con il loro nome? Inoltre: se nello “Stato profondo” ci sono anche massoni contrari al dominio oligarchico, sparare a casaccio sulla massoneria non li invoglia certo a impegnarsi per assistere Di Maio e Salvini, alle prese con i tecnocrati di Bruxelles e i loro terminali italiani, da Bankitalia al Quirinale.Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista internazionale, si candida a fare da “sindacalista”, in appoggio al governo. A una condizione: che i gialloverdi, e in particolare i 5 Stelle, smettano di dicriminare (a parole) i massoni. Dal canto suo, Cabras fornisce una lucida analisi sul vero potere che condiziona pesantemente il governo a partire dalla sua nascita. «Avremmo voluto altri ministri», ammette, alludendo anche al veto opposto da Mattarella alla nomina di Paolo Savona al dicastero strategico dell’economia. «Sappiate che quel potere di firma è decisivo, fa la differenza», sottolinea Cabras, che aggiunge: «Ci sono strutture molto “profonde”, che non possono essere ignorate, e che determinano ancora molto l’orientamento del potere. E non sono strutture facili da scardinare». Magaldi lo chiama “back-office”. Da noi, dice Cabras, «il back-office sta in un edificio molto in alto, a Roma, ed è il punto di equilibrio di tante realtà – che sono corpose, nella vicenda di uno Stato, e probabilmente sono diverse dal modo di pensare abituale della politica. Attenzione, questa cosa esiste in tutti gli Stati del mondo: non penserete che Trump sia il decisore unico, vero?».Pino Cabras prova a difendere l’operato del governo, fin dal primo giorno avversato dai media a reti unificate. Stando ai giornali sarebbe crollato l’export, che invece è cresciuto. Lo spread? La tempesta paventata non s’è vista. «Avevano detto che non sarebbe stato possibile fare una misura come “Quota 100”, che invece ha dato respiro a famiglie e lavoratori». Quanto al “decreto dignità”, «ha cercato di incentivare i contratti a lungo termine, e invece i media mainstream hanno ripetuto che avrebbe causato solo licenziamenti e disastri (e invece sta funzionando bene, lo dice l’Istat)». Il reddito di cittadinanza? Non è la cuccagna promessa in campagna elettorale, «ma almeno è una prima risposta al dilagare della nuova povertà». Troppo poco? Forse, ammette Cabras, ma non si può certo volare alto, con un deficit bloccato al 2%. «Ci hanno fatto davvero la guerra, un mare di pressioni. Hanno cercato di usare ogni possibile “waterboarding”, contro di noi». Lo si è visto: la macchina del fango si è avventata su Di Maio, mentre Salvini è stato accusato di sequestro di persona solo per non aver lasciato sbarcare i migranti della Diciotti, in realtà liberissimi di andarsene dove volevano.«Tra il dire e il fare c’è lo “Stato profondo”, che determina la libertà di decisione su tante cose», insiste Cabras, senza con questo voler accampare alibi. La sua, al contrario, è una denuncia esplicita. Il tema del convegno londinese era l’economia? Benissimo: ma il Piano-B a cui sta lavorando Cabras (moneta completamentare, sotto forma di crediti fiscali scambiabili come forma di pagamento alternativa) rischia di andare per le lunghe. «Eppure – rileva Fabio Zoffi – Lega e 5 Stelle avrebbero i numeri per attuarla in 24 ore, una misura del genere». Certo, ammette Cabras. Ma è impossibile fare i conti senza l’oste. Un esempio clamoroso? «I decreti attuativi per risarcire i risparmiatori truffati dalle banche, con la complicità dei governi precedenti. Stiamo parlando di un miliardo e mezzo di euro, già a bilancio», precisa Cabras. «Bene, quelle carte sono pronte da mesi: stanno su qualche scrivania al ministero delle finanze, ma nessuno le ha ancora firmate». Perché non denunciarli, i boiardi che remano contro, facendo nomi e cognomi? «Ci abbiamo provato, e ricordate cos’è successo? Tutti i media ci hanno dato addosso, facendoci passare per “sfasciacarrozze”». Memorabile la gogna mediatica cui fu sottoposto Rocco Casalino, per aver osato annunciare un “repulisti” nei ministeri.E quello della burocrazia ministeriale, sottolinea Magaldi, è solo lo strato più basso del Deep State: esecutori e passacarte. A monte c’è ben altro, ovviamente: Mattarella arrivò a “invitare” l’incaricato Conte a visitare Bankitalia, cioè il terminale italiano del supermassone Draghi. Pino Cabras, per ora, mostra una certa fiducia verso le elezioni europee in arrivo: spera che contribuiscano a indebolire l’euro-sistema. Ammette, francamente, che Lega e 5 Stelle sono divisi praticamente su tutto: famiglia, legittima difesa, concezione dello Stato, politica estera. «Però siamo uniti nell’impegno a “smontare”, poco alla volta, lo “Stato profondo”». Come? «Conquistando gradualmente alcune “casematte”». A chi rimprovera scarso coraggio ai gialloverdi, Cabras risponde: «Ho rispetto per Di Maio, ha solo 31 anni e ha già affrontato prove tali da far tremare i polsi. Lega e 5 Stelle hanno dimostrato un coraggio di cui non c’era traccia da anni, nella politica italiana». Il nocciolo è questo: «Vogliamo aumentare il potere d’acquisto dei cittadini, e rimettere l’Italia nelle condizioni di esprimere una politica economica». Il nemico è il Deep State, e siede nei posti-chiave. Di Maio e Salvini lo sanno, e hanno accettato di affrontare una guerra di logoramento. Per Magaldi non basta: serve una sfida frontale, perché la crisi italiana non aspetta. E senza veri risultati, gli elettori si ribelleranno: stanno già “scaricando” i 5 Stelle, e domani potrebbero dire addio allo stesso Salvini, anche se oggi sembra inaffondabile. Lo sembrava anche Renzi, che aveva il 40%.«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».
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Magaldi: Michael Jackson massone, ucciso per una canzone
«Se ci fossero ancora Roosevelt e Martin Luther King, queste cose non succederebbero». Chi l’ha detto? Michael Jackson, nientemeno. Anzi: lo ha cantato, nel brano “They don’t care about us” (non gliene frega niente, di noi). «Era il 1995, e probabilmente quei versi gli sono costati la vita», avverte Gioele Magaldi, esponente italiano del network massonico progressista internazionale nonché presidente del Movimento Roosevelt. “Testa scuoiata, testa morta: cibo per cani, tutti”. Noi e loro, l’élite. Osò ribellarsi, l’ex divo di plastica, intonando un martellante inno alla rivolta – memorabile il videoclip girato in una favela brasiliana, tra gli ultimi della terra, sotto l’occhiuta sorveglianza della polizia, presentata come il braccio armato degli oligarchi. Tema, l’ingiustizia sociale planetaria. Ovvia la citazione del reverendo King. Assai meno scontata – in bocca a “Jacko” – la seconda citazione: quella di Franklin Delano Roosevelt, il presidente del New Deal. Svelare l’arcano è meno difficile del previsto, se si tiene conto che l’autore di “Thriller” e “Billie Jean” faceva parte – addirittura dal 1975, pare – della massoneria di Prince Hall, la comunione iniziatica dei grandi artisti afroamericani, da James Brown a Ray Charles, incluso l’immenso Louis Armstrong.Sul tema è intervenuto anche Gianfranco Carperoro, “rooseveltiano” quanto Magaldi, per spiegare un paio di cose. La prima: Prince Hall fu la risposta massonica dei neri, esclusi dalla massoneria bianca americana. «E cosa potevano fare per esprimersi, i neri, nell’America segregazionista? Cantare, naturalmente: far parlare la loro musica». Seconda notizia: Jackson fu assassinato perché il potere aveva capito che l’ex Peter Pan del pop mondiale poteva diventare pericoloso, se avesse convertito i suoi milioni di fan alla causa sociale contro questa globalizzazione a senso unico, dei ricchi contro i poveri. Michael Jackson massone? Ebbene sì, rivelano Magaldi e Carpeoro: fu avvicinato dal grande produttore Quincy Jones. Motore culturale della black music, la leggendaria Motown Records di Detroit: la vera fonte della Prince Hall Freemansonry. «Difenderemo la sua memoria», avverte Magaldi, «di fronte a una denigrazione spregevole come quella del documentario “Leaving Neverland”, che Robert Redford ha purtroppo presentato al Sundance Festival». Il regista, Dan Reed, si concentra solo sui presunti abusi sessuali che Michael Jackson avrebbe perpetrato nei confronti di due bambini di 7 e 10 anni, oggi trentenni: Wade Robson e James Safechuck. Conferma Gabriele Antonucci, su “Panorama”: «Lascia davvero perplessi la scelta di intervistare solo i due protagonisti e i loro stretti familiari, con primi piani, lacrime di prammatica e musichette d’atmosfera».Il film, scrive Antonucci, «non offre quella pluralità di voci e quell’approfondimento che sono elementi indispensabili a ogni documentario degno di questo nome». Inoltre, aggiunge “Panorama”, «a fronte di accuse gravissime, appare davvero incredibile che il regista non si sia premurato di ascoltare o di riportare la versione dei fatti di uno dei rappresentanti legali o della fondazione che cura gli interessi di Jackson: il diritto alla difesa, in caso di accuse penalmente rilevanti, è costituzionalmente garantito in ogni Stato occidentale, in Usa come in Italia». Dal lungometraggio, di una durata parossistica (4 ore), «non sono emerse prove concrete che diano credibilità alle testimonianze», aggiunge Antonucci. C’è solo «uno sfilacciato taglia e cuci di immagini e dichiarazioni, il cui unico obiettivo è screditare Michael Jackson». Il regista Marcos Cabotà, presente alla “prima”, stronca il lavoro di Reed con queste parole: «Non riesco a credere a una sola parola delle due “vittime”. Cattiva recitazione. A volte, vergognosa. La regia e i testi sono addirittura peggio». Jackson uscì indenne dai processi per pedofilia: innocente, per la giustizia Usa. Ma i giornali ridussero l’happy end a poche righe: niente a che vedere con l’inferno di titoli a tutta pagina, “sparati” per dare risalto alle infamanti accuse.La prima piovve addosso all’eccentrico artista nel 1993, quando Evan Chandler, un ex dentista di Los Angeles (radiato dall’albo), raccontò che Jackson avrebbe abusato di suo figlio Jordan. Lo scandalo costò carissimo al cantante, impegnato in un tour planetario: anziché denunciarlo per tentata estorsione, “Jacko” sborsò a Chandler una cifra imprecisata, ma il suo sponsor – la Pepsi – rescisse il contratto. Poi l’accusa crollò: Evans, al telefono con l’avvocato, spiegò che voleva semplicemete vendicarsi: la sua ex moglie e Michael Jackson, che erano molto amici, si erano rifiutati di prestargli dei soldi. Non era finita: il piccolo Jordan denunciò suo padre per tentato omicidio. E nel 2009, cinque mesi dopo la morte di Jackson, Evan Chandler si uccise sparandosi alla testa, in una camera d’albergo. Ma i guai per il re del pop riesplosero nel 2003, quando Jackson fu addirittura arrestato per molestie ai danni del giovanissimo Gavin Anzo, malato di cancro e assistito dalla popstar. Nel 2005, però, Jackson fu assolto con formula piena (mai commesso reati), mentre la madre di Gavin fu condannata per frode fiscale. Ma intanto la demolizione pubblica era stata devastante: Michael Jackson era ridotto a un fantasma. E proprio mentre si stava finalmente riprendendo, con in programma il grande rientro sulle scene, a Londra, fu improvvisamente tolto di mezzo.Lo stesso Carpeoro mette in relazione il caso Jackson con l’ex produttore dei Beatles, il geniale Phil Spector. Fu lui, dice, a presentare a Michael Jackson il dottor Conrad Murray, cioè il medico poi condannato per avergli somministrato la dose letale di Propofol, il 25 giugno 2009, a tre settimane dai concerti di Londra. Murray era in contatto con Spector, assicura Carpeoro, e lo stesso Spector aveva inutilmente chiesto a “Jacko” che gli cedesse i diritti dei Beatles, che Michael aveva acquisito. Dopo una lunga lite proprio su quei diritti era stato ucciso John Lennon: l’assassino, Mark David Chapman, dichiarò di aver agito obbedendo “al demonio”. Satanismo? Sempre Carpeoro collega Spector anche alla morte di Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, uccisa alla vigilia della presentazione del film “Rosemary’s baby”. E’ la storia – terribile – di un bambino “consacrato a Satana”. «Il film – rivela Carpeoro – era la trasposizione dell’infanzia dello stesso Spector, figlio di genitori satanisti. Spector l’aveva confidata a Polanski, che però non avrebbe mai dovuto farne un film». Per l’omicidio di Sharon Tate finì all’ergastolo Charles Manson, anche lui in contatto con Spector: il produttore gli aveva promesso di farne una rockstar. Prima di morire, Manson chiese di incontrare Spector. Ma il produttore (a sua volta in carcere, per l’omicidio della sua compagna) si rifiutò di riceverlo.Michael Jackson era davvero diventato così ingombrante? Qualcuno decise di causarne addirittura la morte, dopo aver tentato di distruggerlo sul piano dell’immagine con accuse devastanti, poi rivelatesi infondate? Ne è convinto Gioele Magaldi, che avvisa: alla fine la verità verrà a galla, sul complotto di cui è rimasto vittima il “fratello” Michael Jackson. Movente: la paura che “Jacko” mettesse in piazza gli abusi dell’élite globalista. Una macchinazione di cui il documentario “Leaving Neverland” sembra l’ennesimo capitolo, postumo, per provare – ancora una volta – a spegnere la memoria dell’artista che 24 anni fa gettò il suo guanto di sfida al potere neoliberista, con quelle parole indimenticabili. “They don’t care about us”: viviamo in un mondo dominato da oligarchi; gente a cui non importa niente, di tutti noi. “E questo non succederebbe, se fossero vivi Roosevelt e Martin Luther King”. Magaldi l’ha precisato nel suo saggio “Massoni”: l’apostolo nero della lotta antisegregazionista, assassinato due mesi prima di Bob Kennedy, era un massone progressista esattamente come Roosevelt, di estrazione rosacrociana come il “Papa buono”, Giovanni XXIII. Ed è proprio allo spirito dei Rosa+Croce che Magaldi si ispira, anche in nome del “fratello” Michael, nel ribadire che il nostro mondo ha bisogno di una rivoluzione dell’uguaglianza fondata sui diritti, come quella invocata nel ‘600 negli storici appelli rosacrociani, da cui poi nacque il socialismo europeo. Prima o poi, verrano fuori anche i nomi di chi ha deciso che Michael Jackson dovesse morire, dopo aver citato Roosevelt e King?«Se ci fossero ancora Roosevelt e Martin Luther King, queste cose non succederebbero». Chi l’ha detto? Michael Jackson, nientemeno. Anzi: lo ha cantato, nel brano “They don’t care about us” (non gliene frega niente, di noi). «Era il 1995, e probabilmente quei versi gli sono costati la vita», avverte Gioele Magaldi, esponente italiano del network massonico progressista internazionale nonché presidente del Movimento Roosevelt. “Testa scuoiata, testa morta: cibo per cani, tutti”. Noi e loro, l’élite. Osò ribellarsi, l’ex divo di plastica, intonando un martellante inno alla rivolta – memorabile il videoclip girato in una favela brasiliana, tra gli ultimi della terra, sotto l’occhiuta sorveglianza della polizia, presentata come il braccio armato degli oligarchi. Tema, l’ingiustizia sociale planetaria. Ovvia la citazione del reverendo King. Assai meno scontata – in bocca a “Jacko” – la seconda citazione: quella di Franklin Delano Roosevelt, il presidente del New Deal. Svelare l’arcano è meno difficile del previsto, se si tiene conto che l’autore di “Thriller” e “Billie Jean” faceva parte – addirittura dal 1975, pare – della massoneria di Prince Hall, la comunione iniziatica dei grandi artisti afroamericani, da James Brown a Ray Charles, incluso l’immenso Louis Armstrong.
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Ricatto: vogliono vaccinarci tutti. E’ una guerra, fermiamoli
Ho due cose da dirvi: la prima riguarda lo scenario. Ed è che la lotta contro l’obbligo vaccinale non è solo la lotta contro l’obbligo vaccinale. Ormai lo abbiamo messo tutti a fuoco: qui si parla della sovranità sul proprio corpo. Qualcuno vuole cancellarla di fatto, prima ancora che di legge. Io non ci sto. Il 28 dicembre il Consiglio Europeo ha approvato tra le raccomandazioni vaccinali quella di istituire un “passaporto vaccinale”. E questo aggredisce il diritto alla libertà di spostamento. Il piano nazionale vaccini presentato dalla ministra Grillo prevede l’esonero dai concorsi pubblici per chi non sia in regola con le vaccinazioni. E questo aggredisce il diritto al lavoro. Il Ddl 770 prevede l’allargamento delle esclusioni scolastiche ad ogni ordine e grado. E questo aggredisce il diritto all’istruzione. E ovviamente, l’obbligo vaccinale di per sé aggredisce l’inviolabilità del corpo. Se non assumiamo i farmaci che decidono loro, ci vogliono impedire di lasciare uno Stato, limitare le possibilità di lavorare, impedire di studiare e conseguire titoli di studio e fondamentalmente vogliono poter fare del nostro corpo quello che gli pare e piace anche contro la nostra stessa volontà.Questo rende chiaro che i vaccini, la salute pubblica, la scienza, in questa vicenda alla fine non c’entrano un cazzo. Sono un alibi, uno strumento con cui produrre un cambiamento percettivo di massa. Produrre a tavolino una popolazione che accetta, anzi festeggia, la demolizione controllata dei propri diritti, la cancellazione della propria sovranità. Sul proprio corpo, sulla propria famiglia, sul proprio Stato. Non so voi, io non ci sto. Io nel mio corpo ci vivo e nessuno, per nessun motivo, potrà mai decidere di farci cose senza il mio consapevole, libero e indipendente consenso. Quindi non mi basta che questo obbligo venga cancellato. Ogni trattamento sanitario obbligatorio deve essere dichiarato illegale. Le leggi devono venire cambiate. Il principio della sovranità deve venire ristabilito e garantito in modo chiaro e inequivocabile: sovranità dell’individuo sul proprio corpo e sulla propria mente, di cui è unico proprietario e responsabile; sovranità della famiglia, comunque essa venga intesa, sovranità prioritaria rispetto allo Stato nelle decisioni sui propri figli minorenni; sovranità dello Stato nelle proprie decisioni economiche, sociali, culturali, che devono rispecchiare la volontà del popolo, non quelle di arroganti élite sovranazionali che si credono una razza superiore.Questo deve essere l’obiettivo, chiaro e inequivocabile. Ogni altro obiettivo di minore ampiezza sarebbe comunque una finta vittoria: una concessione temporanea da parte di chi detiene il vero potere dentro cui viviamo oggi prigionieri, che un domani verrà ritirata. Non so voi, ma io non mi sono svegliato a metà: ho gli occhi bene aperti e non li chiuderò di nuovo. La seconda cosa che ho da dirvi riguarda il metodo. In questi due anni abbiamo protestato in ogni modo ragionevole, cercato ogni tipo di dialogo possibile, e non ha funzionato: perché, molto semplicemente, quando non ci hanno insultato, accusato di colpe odiose e immaginarie o preso in giro, ci hanno totalmente ignorato. Quindi è tempo che noi si prenda una decisione fondamentale: se vogliamo soltanto continuare a ribadire le nostre ragioni restando inascoltati, o se invece vogliamo tradurle in realtà. Credo che l’esperienza del governo in vigore lo abbia chiarito a tutti: non cambieranno nulla. Non importa cosa hanno promesso, non importa nemmeno cosa stanno ancora promettendo: non cambieranno nulla perché non vogliono cambiare nulla. Che costi troppo politicamente, che temano ritorsioni delle controparti o che si siano fatti conquistare da qualche lusinga non cambia un emerito cazzo: non cambieranno nulla.Se vogliamo che questo obbligo scompaia, non basta più chiederlo, e non basta nemmeno più pretenderlo: dobbiamo costringerli. Dobbiamo costringere lo Stato a cancellare questo abuso. E come li possiamo costringere? Con azioni: pratiche e concrete azioni di pressione. Facciamo parte del paese Italia. Bene, ci sono migliaia di modi in cui possiamo ostacolare il paese Italia. Possiamo boicottarne settori, piccoli e grandi, con azioni di gruppo mirate e specifiche. Possiamo infilare tanti di quei bastoni negli ingranaggi di questo paese da arrivare persino a bloccarlo del tutto. Ma se lo facciamo, smettiamo di essere un fenomeno da baraccone, dei rompiscatole folkloristici i cui voti cercare di fottersi con qualche promessina, o da prendere per il culo sui giornali di regime, e comunque di cui ignorare costantemente le richieste: diventiamo un pericolo concreto. E se diventiamo un pericolo concreto, ci combatteranno seriamente. Non come succede oggi.Oggi violano i nostri diritti, i diritti dei nostri figli, ma non ci stanno affatto combattendo; perché gli serviamo, dopotutto. Siamo gli untori contro cui motivare fanatismo. Ma se diventiamo una minaccia concreta al sistema, il sistema ci colpirà con tutta la sua forza. Saremo denunciati, anche con reati inventati su misura. Perseguiti, arrestati, condannati. Come lo sono stati tutti coloro che hanno combattuto per i loro diritti, per i diritti del loro popolo. Che fosse il diritto di voto delle donne o la fine dell’apartheid, la abolizione della schiavitù o la fine della discriminazione dell’orientamento sessuale, persone hanno combattuto, sono state perseguitate, imprigionate, persino torturate o uccise. Questa battaglia non ha nulla di differente: vuole cancellare delle imposizioni, sostenute da una struttura che è insieme economica, culturale e militare e che non ha la minima intenzione di riconoscere questi diritti – anzi, lavora attivamente per cancellarli definitivamente dalla storia. Quindi, se combattiamo davvero, queste cose succederanno anche ad alcuni tra noi.La cosa importante è capire, mettere bene a fuoco che non stiamo parlando di una passeggiata. Tutti vogliamo sentirci gli eroi dei film che abbiamo visto, impavidi e pronti a tutto contro i potenti cattivi. Ma qui, nel mondo reale, si pagano costi alti anche solo a provarci. Questo dobbiamo per prima cosa capire a fondo, per poi decidere se vogliamo farlo o meno. La domanda è: siete pronti a questo? Perché se preferite onestamente continuare a fare battaglia solo a parole, a livello di principi, per me va anche bene: basta esser chiari sul fatto che non cambieremo un cazzo, perlomeno non per i prossimi trecento anni. Se è così, diciamocelo chiaro e smettiamo di illuderci con speranze inutili. Io scriverò altri libri, pubblicherò post e articoli, voi farete un po’ quel che vi pare. I bambini continueranno a venire esclusi dagli asili, poi dalle scuole, poi dalle mense, e così gli adulti. Le nostre Sovranità continueranno a venire violate, compresse, cancellate. Oppure, raccogliamo il coraggio e combattiamo. Sapendo che pagheremo prezzi alti, che verremo colpiti duramente, personalmente. Che le nostre vite potrebbero venire stravolte, spezzate.Fatemelo dire chiaro: la battaglia sarà lunga, non durerà meno di un decennio. E lo sappiamo benissimo: i mezzi a disposizione del nemico sono enormi rispetto ai nostri. Eppure, possiamo vincere. Vi sembra impossibile? Beh, Gandhi ha combattuto contro un impero. Equipaggiato soltanto un paio di sandali ha fronteggiato un esercito. Ha chiesto, gentilmente, a quell’esercito di andarsene dalla sua terra, dal suo Stato. Ha insistito, ha promosso scioperi e sabotaggi, ci sono voluti oltre trent’anni costellati da centinaia di morti, migliaia di feriti e decine di migliaia di imprigionati. Ma alla fine ha vinto. Io di fare passerella a ribadire soltanto concetti teorici ne ho francamente avuto abbastanza. Se vogliamo iniziare a combattere davvero, ci sono. Voi, sul serio, ci siete? Pensateci e decidete, liberamente e responsabilmente.Io la mia decisione la ho presa: si chiama Rete Nazionale di Sostegno per la Libertà, in breve ReNaSoLi. Ne ho già parlato anche a Bologna il 23 settembre del 2018. Molto in breve, ha la finalità ideologica di ristabilire la piena sovranità, in ordine di importanza, dell’individuo, della famiglia e dello Stato. E si pone come obiettivi due finalità concrete: 1. avviare una rete di agevolazioni reciproche volontarie; 2. creare una struttura operativa di difesa e reazione. Dedicherò altri post a descriverne meglio sia l’impianto teorico che la struttura organizzativa; per ora posso dire che sta già sommando le forze di molte realtà e di molti individui. Il sito di riferimento, ancora assolutamente temporaneo, è http://www.renasoli.it. Io la mia decisione la ho presa. Adesso la scelta sta a voi.(Stefano Re, intervento pronunciato alla manifestazione contro l’obbligo vaccinale svoltasi a Torino il 23 marzo 2019, ripreso in video su YouTube e trascritto da “Luogo Comune”).Ho due cose da dirvi: la prima riguarda lo scenario. Ed è che la lotta contro l’obbligo vaccinale non è solo la lotta contro l’obbligo vaccinale. Ormai lo abbiamo messo tutti a fuoco: qui si parla della sovranità sul proprio corpo. Qualcuno vuole cancellarla di fatto, prima ancora che di legge. Io non ci sto. Il 28 dicembre il Consiglio Europeo ha approvato tra le raccomandazioni vaccinali quella di istituire un “passaporto vaccinale”. E questo aggredisce il diritto alla libertà di spostamento. Il piano nazionale vaccini presentato dalla ministra Grillo prevede l’esonero dai concorsi pubblici per chi non sia in regola con le vaccinazioni. E questo aggredisce il diritto al lavoro. Il Ddl 770 prevede l’allargamento delle esclusioni scolastiche ad ogni ordine e grado. E questo aggredisce il diritto all’istruzione. E ovviamente, l’obbligo vaccinale di per sé aggredisce l’inviolabilità del corpo. Se non assumiamo i farmaci che decidono loro, ci vogliono impedire di lasciare uno Stato, limitare le possibilità di lavorare, impedire di studiare e conseguire titoli di studio e fondamentalmente vogliono poter fare del nostro corpo quello che gli pare e piace anche contro la nostra stessa volontà.
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Magaldi: ipocriti e invidiosi, i nemici dell’accordo Italia-Cina
Bei sepolcri imbiancati, i nemici dell’accordo Italia-Cina: di loro, par di capire, “il più pulito ha la rogna”. Francia e Germania friggono d’invidia: ma come possono rinfacciare a Roma il fatto di aver scavalcato Bruxelles, se Parigi e Berlino sono reduci dal Trattato di Aquisgrana, stipulato come se l’Unione Europea non esistesse neppure? Una discreta faccia tosta anche da parte dell’alleato americano: furono proprio gli Usa ad aprire alla Cina le porte del mercato globale, ricorda Gioele Magaldi in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti. Sempre in video-chat con il conduttore di “Border Nights”, lo stesso Gianfranco Carpeoro (che del Movimento Roosevelt è un dirigente) rincara la dose: «Ha fatto benissimo, il governo Conte, a fare l’accordo con la Cina: tutela i legittimi interessi dell’Italia. Gli Usa strepitano? Pazienza, capiranno: anche loro mirano all’interesse nazionale. Ci rinfacciano che stringiamo un’alleanza con un paese non democratico? Prima ci spieghino la loro alleanza con monarchie autoritarie come l’Arabia Saudita». Aggiunge Carpeoro: «Dopo l’accordo con la Cina, ora l’Italia passi oltre: faccia fronte comune con paesi come la Spagna e la Grecia. E’ ora di metter fine al domino abusivo nord-europeo, finora esercitato da nazioni come la Germania, la Francia e l’Olanda».La verità è che siamo attaccati in modo pretestuoso da politici invidiosi e smemorati, sintetizza Gioele Magaldi. Sono ipocriti, i bellimbusti come Macron che vorrebbero imporre proprio all’Italia una cabina di regina europea per la gestione del commercio con Pechino. Quanto ai rimbrotti degli Usa, irritati dal fatto che l’Italia stringa accordi con un paese non esattamente democratico, Magaldi ricorda che fu proprio il massimo potere statunitense – ben incarnato da una struttura come la Trilaterale, guidata dai vari Kissinger, Rockefeller e Brzezinski – ad accogliere la Cina nel Wto, senza pretendere da Pechino né una svolta democratica né la tutela dei diritti sindacali del lavoro, pur sapendo che in quel modo la Cina avrebbe potuto immettere sul mercato globale prodotti a bassissimo costo. Del resto, sostiene Magaldi, questa è la natura dell’attuale globalizzazione progettata dalla massoneria sovranazione di segno reazionario: un club opaco, che ha anteposto il business ai diritti umani e alla sovranità democratica. Nessuno, oggi, ha le carte in regola per criticare l’Italia: chi dice di pretendere democrazia da Pechino non gestisce affatto in modo democratico la stessa governance europea, preferendo il neoliberismo mercantile al libero mercato, e la post-democrazia alla sovranità effettiva delle istituzioni, completamente piegate all’ordoliberismo dell’élite finanziaria.Pur ribadendo la propria fede atlantista, Magaldi critica la stessa Nato, che in passato supportò in Grecia il regime dittatoriale dei colonnelli. La Cina, ribadisce Magaldi, non è certo un modello di democrazia. E l’aspetto peggiore del suo turbo-capitalismo, che pure ha fatto progredire rapidamente il paese garantendo un crescente benessere, sono i protagonisti del boom cinese: grandi magnati che hanno acquisito posizioni dominanti, in patria e all’estero, in quanto provenienti dalla ristretta oligarchia del partito comunista. Da qui a contestare l’Italia, però, ne corre: tra i grandi gestori mondiali del vero potere – conclude Magaldi – nessuno è estraneo alla vorticosa ascesa della Cina, con la quale l’Italia ha giustamente stretto il suo recente accordo. Secondo Magaldi, il nostro paese dovrebbe insistere proprio nell’interpretare il suo ruolo naturale di “ponte”: non solo verso Pechino ma anche verso la Russia, l’Africa e il Medio Oriente, impegnandosi a sviluppare relazioni che, accanto ai commerci, producano un’evoluzione democratica dei partner. Tutto questo, per arrivare infine a pretendere – come il Movimento Roosevelt chiederà nel suo convegno il 30 marzo a Londra – un “New Deal Rooseveltiano” per l’Europa, basato sul recupero del capitalismo sociale keynesiano: un forte investimento pubblico per sostenere l’economia e, al tempo stesso, la conquista di istituzioni comunitarie finalmente democratiche.Bei sepolcri imbiancati, i nemici dell’accordo Italia-Cina: di loro, par di capire, “il più pulito ha la rogna”. Francia e Germania friggono d’invidia: ma come possono rinfacciare a Roma il fatto di aver scavalcato Bruxelles, se Parigi e Berlino sono reduci dal Trattato di Aquisgrana, stipulato come se l’Unione Europea non esistesse neppure? Una discreta faccia tosta anche da parte dell’alleato americano: furono proprio gli Usa ad aprire alla Cina le porte del mercato globale, ricorda Gioele Magaldi in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti. Sempre in video-chat con il conduttore di “Border Nights”, lo stesso Gianfranco Carpeoro (che del Movimento Roosevelt è un dirigente) rincara la dose: «Ha fatto benissimo, il governo Conte, a fare l’accordo con la Cina: tutela i legittimi interessi dell’Italia. Gli Usa strepitano? Pazienza, capiranno: anche loro mirano all’interesse nazionale. Ci rinfacciano che stringiamo un’alleanza con un paese non democratico? Prima ci spieghino la loro alleanza con monarchie autoritarie come l’Arabia Saudita». Aggiunge Carpeoro: «Dopo l’accordo con la Cina, ora l’Italia passi oltre: faccia fronte comune con paesi come la Spagna e la Grecia. E’ ora di metter fine al domino abusivo nord-europeo, finora esercitato da nazioni come la Germania, la Francia e l’Olanda».
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Stiamo diventando sempre più stupidi: crolla il Qi in Europa
Gli esseri umani starebbero diventando sempre più stupidi. Il nostro quoziente intellettivo (Qi), infatti, risulta letteralmente in caduta libera rispetto a quello misurato nei giovani degli anni ‘70. Basti pensare che dal 1975 ad oggi, in media, sono andati perduti 7 punti per ogni generazione. Una vera e propria ecatombe di materia grigia, scrive “Fanpage”: a portarla alla luce sono due ricercatori norvegesi del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica di Oslo, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg. I due hanno condotto un approfondito studio statistico sui dati di 730.000 giovani uomini, raccolti tra il 1970 e il 2009. «Tutti i partecipanti si preparavano a iniziare il servizio militare per il paese nordico, e sono stati così sottoposti ai test standard per valutare il loro quoziente intellettivo», spiega “Fanpage”. «Mettendo a confronto i risultati dei test, è emerso che i ragazzi di oggi sono sensibilmente più “stupidi” di quelli di 40-50 anni fa». In pratica, gli scienziati hanno dimostrato una inversione a U del cosiddetto “effetto Flynn”, dal nome del professor James Flynn: è lo scienziato (statunitense, emigrato in Nuova Zelanda) che per primo osservò l’aumento nel valore medio del quoziente intellettivo nella popolazione di alcuni paesi, che era salito di circa tre punti ogni decennio a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Secondo gli studiosi norvegesi, le ragioni dell’incremento nell’intelligenza fino agli anni ‘70 sarebbero legate a un miglioramento di diversi fattori e condizioni di vita, dall’istruzione alla sanità, passando per l’alimentazione e il benessere generale. Ma a cosa è dovuto il preoccupante crollo del Qi avviatosi negli anni ‘70? Secondo gli scienziati di Oslo, la colpa sarebbe principalmente dei media, che avrebbero allontanato i giovani dalla lettura “intrappolandoli” davanti alla televisione e ai videogiochi, fino a indurli – negli ultimi anni – a trascorrere moltissime ore sui social network. I risultati dello studio, pubblicati sull’autorevole rivista scientifica “Pnas”, seguono quelli di un’altra ricerca condotta dallo stesso Flynn, nella quale emerse che il Qi medio degli adolescenti britannici era sceso di 2 punti in 28 anni. Poi, la caduta è diventata ancora più vistosa: in soli dieci anni, fra il 1999 e il 2009, gli inglesi avrebbero perso 14 punti di quoziente intellettivo, mentre i francesi 4 punti. In base a uno studio della rivista “Intelligence”, i britannici avevano un Qi medio di 114 punti nel 1999, e oggi invece sono appena 100 (dal canto loro, i francesi sarebbero ancora più in basso: appena 98 punti).“Vox News” cita una recente segnalazione di Maurizio Blondet: tutti gli studi ormai confermano che il Qi medio delle popolazioni occidentali sta scemando vistosamente da una quindicina d’anni. «Il calo è tanto più allarmante – sottolinea lo stesso Blondet – perché tutto il ventesimo secolo, al contrario, ha visto un aumento del Qi in Occidente, forse a causa del miglioramento generale della salute e dell’accesso all’educazione». Sulle cause del fenomeno, però, non c’è ancora nessuna certezza scientifica. «C’è chi chiama in causa i perturbatori endocrini, molecole contenute nella plastica che hanno l’effetto (fra gli altri) di ostacolare l’azione dello iodio, così importante nello sviluppo cerebrale: ricordiamo il “cretinismo alpino” di un tempo, che colpiva popolazioni carenti di sale iodato». “Vox News” punta il dito contro l’immigrazione, sostenendo che staremmo “importando” individui dall’intelligenza meno pronta: «Il mulatto è mediamente più intelligente del subsahariano ma meno dell’europeo. Mischiate Europa e Africa e avrete le favelas brasiliane». Proprio sicuri, che la spiegazione possa essere etno-lombrosiana? «Quando ti stai instupidendo – scrive “Vox” – figurati se ti accorgi del tuo instupidimento».Paolo Barnard, impietoso analista della contemporaneità, nel saggio “Il più grande crimine” punta il dito contro quella che chiama “esistenza commerciale”, l’avvento della mercificazione universale che ha spazzato via di colpo molti valori fondanti del vivere civile. Risultato: il mondo distopico di oggi, fatto di mera apparenza e popolato di individui resi apatici, indifferenti a tutto e ormai incapaci di lottare, sul piano sociale e politico. La generazione ruggente della rivolta studentesca del Sessantotto? Liquidata con un sapiente dosaggio di droghe immesse sul mercato. Poi il resto l’hanno fatto la globalizzazione e i signori del Wto, ma anche il web di massa, lo smartphone, lo stupidario di Facebook. Si legge meno: per questo si diventa stupidi? «Ha vinto Walt Disney, quindi abbiamo perso tutti», ebbe a sentenziare il sempre laconico Bob Dylan. Come dire: il dominio dell’apparenza è ormai planetario, non abbiamo scampo. Davvero? Punti di vista, sostiene a “Border Nights” l’eccentrico Fausto Carotenuto, approdato allo spiritualismo dopo anni di ruvido lavoro nell’intelligence Nato. La sua tesi: se inorridiamo di fronte alle tante aberrazioni cui ci tocca assistere, è perché i grandi poteri ricorrono sempre più spesso ai colpi bassi, puntando alla manipolazione di massa. Ma la buona notizia è che lo farebbero perché preoccupati dal nostro “risveglio” collettivo.Da qualche anno, Carotenuto ripete – in solitaria – la medesima diagnosi: i padroni della Terra scatenano guerre anche per abbassare il tono vitale delle moltitudini che si starebbero letteralmente ribellando al mainstream. La riprova? Almeno un cittadino su tre non crede più a quello che gli viene raccontato, da chi comanda. Per questo, aggiuge Carotenuto, sta salendo l’intensità del “bombardamento” cui siamo sottoposti: terrorismo, stragi, cibo inquinato, vaccini imposti a tappeto, scie chimiche. Tutto fa brodo, per spegnere l’energia dei singoli (e magari abbassare anche la loro intelligenza, il famoso quoziente intellettivo). Una tesi originale ma mai convalidata, ad esempio, dal saggista Gianfranco Carpeoro, che si domanda: dove mai sarebbero tutti questi indizi di risveglio coscienziale? Prendiamo le elezioni: votiamo sempre con odio, contro qualcuno – mai per qualcosa. Dove pensiamo di andare, per questa strada? La caccia alle streghe è sempre in voga: il nemico è l’Uomo Nero, non il sistema che lo produce. Morto un mostro, se ne fa un altro. Ma difficilmente ci accorgiamo del trucco: ci basta poter sparare contro il cattivone del momento. E’ così che il sistema, la fabbrica dei mostri, finisce sempre per farla franca.Se Carotenuto evoca il ruolo di un antagonista esterno, annidato in quelli che chiama “mondi spirituali”, Carpeoro resta sul terreno del visibile: possibile, dice, che non ci rendiamo conto che facciamo tutto da soli? E dire che non ci mancherebbe niente. Le doti fondamentali sono già in noi: e si chiamano conoscenza, fiducia e coraggio. Siamo capaci di imparare e di amare. Il problema? Costa fatica. Bisogna impegnarsi, studiare, crescere. E per farlo ci serve la risorsa più preziosa: il tempo. Se corri dal mattino alla sera, non ti resta il tempo per niente. Hai bisogno di informazioni? C’è Google, sullo smartphone: tutto e subito, senza sforzo. Risulato immediato: la memoria si addormenta, e alla lunga si atrofizza. Un guaio: senza memoria non c’è conoscenza. Non puoi fare confronti tra ieri e oggi, finisci per ripetere gli stessi errori, non riesci a collegare fatti lontani nel tempo. Come uscirne? Lottando, per riconquistare il tempo. E’ l’unica chance, per diventare più consapevoli, quindi più liberi. E inevitabilmente, alla fine, anche più intelligenti.Gli esseri umani starebbero diventando sempre più stupidi. Il nostro quoziente intellettivo (Qi), infatti, risulta letteralmente in caduta libera rispetto a quello misurato nei giovani degli anni ‘70. Basti pensare che dal 1975 ad oggi, in media, sono andati perduti 7 punti per ogni generazione. Una vera e propria ecatombe di materia grigia, scrive “Fanpage”: a portarla alla luce sono due ricercatori norvegesi del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica di Oslo, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg. I due hanno condotto un approfondito studio statistico sui dati di 730.000 giovani uomini, raccolti tra il 1970 e il 2009. «Tutti i partecipanti si preparavano a iniziare il servizio militare per il paese nordico, e sono stati così sottoposti ai test standard per valutare il loro quoziente intellettivo», spiega “Fanpage”. «Mettendo a confronto i risultati dei test, è emerso che i ragazzi di oggi sono sensibilmente più “stupidi” di quelli di 40-50 anni fa». In pratica, gli scienziati hanno dimostrato una inversione a U del cosiddetto “effetto Flynn”, dal nome del professor James Flynn: è lo scienziato (statunitense, emigrato in Nuova Zelanda) che per primo osservò l’aumento nel valore medio del quoziente intellettivo nella popolazione di alcuni paesi, che era salito di circa tre punti ogni decennio a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
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L’imbroglio delle europee: il Parlamento conta meno di zero
Votare per un Parlamento i cui legislatori non possono fare le leggi e in più devono lottare come matti se vogliono opporsi a potentissime leggi fatte da tecnocrati che nessuno ha mai eletto – cioè votare alle elezioni per il Parlamento Europeo – significa «rendersi complici intenzionali di una dittatura». Lo sostiene Paolo Barnard, nella sua “Guida alla vergogna delle elezioni europee”: un riassunto spietato dell’euro-farsa di maggio. «La gran massa di quelli che oggi vi stanno dicendo che una rimonta populista euroscettica alle prossime europee sarà esplosiva contro la bieca autocratica Ue di Bruxelles, è così ripartita: il 2% sono consapevoli falsari, il 98% sono inconsapevoli cretini», premette Barnard. «Se la mattina del 27 maggio 2019 il più potente burocrate d’Europa, Martin Selmayr, vedrà su “Sky News” il faccione raggiante di Salvini “che non lo tiene più nessuno”, scrollerà le spalle e penserà: “Vabbè, una rogna in più”. Mica altro, perché la sua Europa verrà solo di un poco infastidita». Il Parlamento Europeo, infatti, conta niente: è il più demenziale, tragicomico baraccone mai concepito nella storia politica umana. Credere che, dall’interno di un carrozzone impantanato come questo, un’eventuale fronte anti-Bruxelles possa iniziare a sparare cannonate micidiali fin dalla mattina del 27 maggio, «è da fessi», dice Barbard, «o da falsari come Salvini, Bannon, il 5 Stelle e i loro soci in Ue».Per Barnard, è come «votare per dei vigliacchi», disposti a farsi mandare a Strasburgo pur essendo pienamente consapevoli della loro impotenza. I parlamentari europei? «Delegano la stesura di leggi sovranazionali – cioè più potenti di quelle scritte dai singoli paesi e sovente anticostituzionali, per loro – ai burocrati non-eletti della Commissione Europea». Ipocriti e codardi: «Il “principio di comodità” è ciò che li guida: è comodo sedersi a Strasburgo, intascare un grasso salario e poi, al limite, dara la colpa a Bruxelles per i danni micidiali che certe sue leggi ci fa». Lo chiarisce uno studio della Cambridge University del 1999: «I legislatori hanno noti incentivi a delegare tutto il potere ai burocrati, fra cui il fatto di evitare di essere poi chiamati a rispondere ai cittadini per scelte dure e impopolari». Tradotto: le infami “riforme” di lavoro e pensioni, e i tagli di spesa alla Juncker. Poi si è passati dal non poter fare nulla al poter fare quasi nulla, aggiunge Barnard: l’impotenza degli europarlamentari «divenne talmente oscena e grottesca, che alla fine i super-burocrati di Bruxelles decisero, dal 2006 e poi l’anno dopo col Trattato di Lisbona, d’infilare dei ritocchini cosmetici che dessero l’impressione che il Parlamento potesse bloccargli le leggi».Con nomi attraenti (Regulatory Procedure With Scrutiny e articolo 290 Tfeu) fu dato al Parlamento Europeo il potere teorico di opporsi alle leggi della Commissione, così come poteva fare il Consiglio dei ministri. Ma era solo l’ennesima farsa: «I parlamentari contestano? Costa una fortuna, e i tempi gli sono nemici». Il Trattato di Lisbona, spiega Barnard, ha reso pressoché inaffrontabile il costo di una contestazione del Parlamento contro la Commissione. Le direttive della Commissione «sono di proposito scritte da oltre 300 tecnocrati con intrichi legali asfissianti». Per cui, l’europarlamentare che volesse capirci qualcosa «dovrebbe pagare uno staff di tecnici a costi altissimi», ma non solo: «Deve poi avere ulteriori mezzi per “istruire” un’intera commissione parlamentare sul tema che vuole criticare, e tutto questo solo per iniziare ad agire». Infine, deve trovare altri mezzi «per formare una coalizione che sia d’accordo con lui, e non basta: deve anche convincere la Conferenza dei presidenti delle commissioni».E tutto questo, senza contare i tempi: solo 4 mesi, per organizzare il tutto, creare una lobby trasversale fra i vari partiti reclutando colleghi a favore della contestazione e quindi rifare tutto, daccapo, in seno al Consiglio dei ministri, che per legge deve essere poi d’accordo. «Scaduti i 4 mesi, il parlamentare Ue s’attacca al tram». Conferma l’“Economist”: «Il peso, i costi e gli ostacoli di una contestazione contro una legge della Commissione sono quasi sempre maggiori dei benefici. Meglio, per il parlamentare, una forma di baratto in privato con Bruxelles». Lo scriveva nel 2017 il College of Europe, Bruges. In altre parole: meglio darla vinta alla Commissione, in partenza. Un meccanismo «demenziale e democraticamente osceno», sottolinea Barnard: «Un parlamentare eletto deve svenarsi, per contestare burocrati non-eletti». Dal 2009 al 2017, su 545 leggi proposte dalla Commissione, il Parlamento Europeo di fatto ne ha contestate l’1,1%. «Il resto, e sono tutte leggi più potenti di quelle italiane, è passato liscio come l’olio».Mettiamo pure che i populisti euroscettici prendano buoni numeri a maggio: nel qual caso, «è stra-ovvio che avranno una vita infernale, anche solo per mantenere una frazione di ciò che oggi sbraitano agli elettori». In sostanza, un europarlamentare che volesse bloccare una super-legge della Commissione dovrebbe disporre di una barca di soldi e di supr-tecnici, per provare a convincere un mare di altri parlamentari, tra partiti e commissioni, solo per iniziare ad agire. Ma per arrivare a una conclusione di successo, continua Barnard, l’ipotetico parlamentare-eroe dovrebbe poi anche superare diversi veti. Il primo, salla commissione parlamentare interessata. Poi potrebbero contestargli un conflitto di giurisdizione fra commissioni, cioè dirgli: il tema non è di tua competenza. Se poi il parlamentare non ottiene la maggioranza assoluta di tutto il Parlamento Europeo, insieme all’ok del 55% del Consiglio dei ministri (cioè di tutti gli Stati Ue) la partita non può nemmeno cominciare. «Non è teatro pirandelliano: è come funziona ’sto delirio chiamato Parlamento Ue».Terza farsa, continua Barnard: questi europarlamentari “evirati” sono costretti a fare i lobbysti, e spesso di nascosto. Michael Kaeding, economista neoliberista dell’università Duisburg-Essen, ricoprire una decina d’incarichi nelle maggiori think-tanks d’Europa. Un super-tecnocrate, l’opposto di un euroscettico. Con Barnard, ha intrattenuto uno scambio chiarificatore. Kaeding è esplicito: la Commissione Europea, che emana tutte le leggi, è consapevole di avere scarsa legittimità democratica. Per questo, cerca sempre di non arrivare allo scontro coi parlamentari, coi quali tenta specifici accordi. Nientemeno: «Esiste un potere di fatto, dove il singolo parlamentare baratta con la Commissione su certe leggi, piuttosto che tentare uno scontro. Il problema – aggiunge Kaeding – è che questi negoziati non sempre sono trasparenti, o addirittura sono difficili da scoprire». Capito? Ridotto all’impotenza, l’europarlamentare si trasforma in lobbysta-ombra. Persino Kaeding arriva a domandarsi che senso abbiano queste trattative “riservate”, e quanto siano lecite.Che altro? Questo: il Parlamento Europeo può teoricamente bocciare sia la Commissione che il suo presidente. Una prospettiva che Barnard classifica «surreale», e spiega: «Il Parlamento Ue può in effetti bocciare sia la nomina del presidente della Commissione, sia la lista dei commissari». Ma poi cosa succede? «Presidente e commissari vengono ripresentati quasi identici, o al meglio con cosmetiche correzioni per salvare la faccia ai parlamentari contestatari». Ora, se un ipotetico Europarlamento “salviniano” non accettasse il salva-faccia, si riboccerebbe il tutto. A quel punto, si entrerebbe «nel labirinto chiamato “crisi costituzionale” secondo il Trattato di Lisbona», cioè la Costituzione Ue «introdotta di nascosto nel 2007, dopo la bocciatura francese e olandese della prima Costituzione proposta, bocciata perché “socialmente frigida”». E chi la risolverebbe, una crisi costituzionale di quel tipo? Il Parlamento Europeo? «Ma non facciamo ridere», taglia corto Barnard.Certo, resterenne il Consiglio Europeo. Ma idem: il Consiglio «ha consegnato dispute di ’sto genere a oltre 2.800 pagine di codicilli indecifrabili, scritti da tecnocrati nel 2007 (Trattato di Lisbona), da cui si desume – secondo studiosi come Jens Peter Bonde – che la crisi verrebbe a quel punto messa nelle mani della Corte Europea di Giustizia, che è ancor meno eletta della Commissione Ue». Risultato: una bocciatura del Parlamento Europeo varrebbe zero. Lo conferma l’inconsistenza assoluta, fisiologica, dell’assemblea elettiva di Strasburgo. Le leggi Ue, prodotte dalla Commissione, «ficcano il naso dappertutto, dagli omogeneizzati alle regole d’accesso alle comunicazioni satellitari». Spiegano «come devono essere fatte le lampade al neon, definiscono «cos’è la cioccolata», delimitano la privacy e stabiliscono come irrigare un campo. «Ma ciò che questa Europa ha portato di più devastante sulla più bella e democratica Costituzione del mondo, la nostra, sono i trattati», scrive Barnard. Già, perché le leggi teoricamente impugnabili dai parlamentari sono soltanto quelle secondarie, mentre quelle primarie sono proprio i trattati: da Maastricht a Lisbona, fino al devastante Fiscal Compact che ha sfigurato la Costituzione italiana imponendovi il pareggio di bilancio, cioè la distruzione del potere sovrano di spesa (e quindi dell’equità sociale).Ecco perché, secondo Barnard, chiedere voti per alzare la voce all’Europarlamento «è una colossale presa per il culo». L’europarlamentare è neutralizzato persino sulle leggine, e quindi conta zero sui trattati che regolano «la spesa di Stato per le nostre vite, malattie, lavoro, pensioni o giovani». Ecco come stanno le cose: il Trattato di Lisbona, con l’articolo 48 Tfeu, sancisce che per modificare un trattato europeo ci sono quattro procedure. In tutte e quattro, sottolinea Barnard, il ruolo del Parlamento Europeo è limitatissimo. Tre sono le vie fondamentali: procedura ordinaria, procedura semplificata e “passerelle” (in francese). «Vi garantisco che non esiste un premier in tutt’Europa che sappia cosa siano», dice Barnard, «perché sono procedure più complesse della fisica teorica: vi basti sapere quanti attori, a livello Ue, devono essere tutti insieme coinvolti, pluri-consultati, coordinati, informati e infine convinti, per cambiare un Trattato». L’elenco è sconfortante: attraverso un iter ultra-bizantino, praticamente folle, vanno convinti tutti i 28 governi nazionali (e anche solo uno di loro può porre il veto, bloccando tutto). Poi occorre avere con sé la Commissione Ue, il Consiglio Europeo, il Consiglio dei ministri, la cosiddetta Convenzione Europea. Ancora: la Conferenza Intergovernativa, la Bce e, in ultimo, il Parlamento Ue.«E qualcuno crede ancora che i futuri “salvinici” o “orbanici” eroi, a Strasburgo, potranno dire be’ sui trattati?». Ma poi, è vero che a maggio i populisti euroscettici vinceranno? «Non diciamo cretinate», scrive Barnard: «Basta guardare i numeri dei 9 gruppi parlamentari europei per capire che i populisti euroscettici dovrebbero centuplicare i loro consensi per dominare il Parlamento, e gli altri perderne il 90% di botto. Una cosa sembra certa dai sondaggi: su 12 partiti cosiddetti populisti in Europa, oggi solo la Lega otterrà un certo successo, gli altri aumenteranno di 2 o 3 o forse 4 seggi». Tutto qui. Insiste Barnard: «Vi hanno mentito su tutto». Chi? Di Maio, cioè Casaleggio, e naturalmente Salvini, «coi suoi due economisti con 10 chiili di Vinavil fra culo e poltrona politica» (Borghi e Bagnai, ormai silenti di fronte alla retromarcia gialloverde dopo le minacce Ue sul deficit). «Hanno calato le braghe di fronte a Bruxelles in 5 minuti, con una spesa pubblica che è un insulto alla storia italiana», conclude Barnard. «I padani si sono rimangiati la Eurexit perché “eh, abbiamo beccato solo il 17% e quindi sticazzi le promesse elettorali, ma la poltrona ce la teniamo”, mentre Salvini mandava emissari anonimi da “Bloomberg” a dirgli “rassicurate i mercati! Staremo nei ranghi”». Barnard li chiama “cialtroni”: «Oggi vi dicono che a maggio sbaraccheranno tutta l’Europa? Una balla, da vomitare».Votare per un Parlamento i cui legislatori non possono fare le leggi e in più devono lottare come matti se vogliono opporsi a potentissime leggi fatte da tecnocrati che nessuno ha mai eletto – cioè votare alle elezioni per il Parlamento Europeo – significa «rendersi complici intenzionali di una dittatura». Lo sostiene Paolo Barnard, nella sua “Guida alla vergogna delle elezioni europee”: un riassunto spietato dell’euro-farsa di maggio. «La gran massa di quelli che oggi vi stanno dicendo che una rimonta populista euroscettica alle prossime europee sarà esplosiva contro la bieca autocratica Ue di Bruxelles, è così ripartita: il 2% sono consapevoli falsari, il 98% sono inconsapevoli cretini», premette Barnard. «Se la mattina del 27 maggio 2019 il più potente burocrate d’Europa, Martin Selmayr, vedrà su “Sky News” il faccione raggiante di Salvini “che non lo tiene più nessuno”, scrollerà le spalle e penserà: “Vabbè, una rogna in più”. Mica altro, perché la sua Europa verrà solo di un poco infastidita». Il Parlamento Europeo, infatti, conta niente: è il più demenziale, tragicomico baraccone mai concepito nella storia politica umana. Credere che, dall’interno di un carrozzone impantanato come questo, un’eventuale fronte anti-Bruxelles possa iniziare a sparare cannonate micidiali fin dalla mattina del 27 maggio, «è da fessi», dice Barnard, «o da falsari come Salvini, Bannon, il 5 Stelle e i loro soci in Ue».