Archivio del Tag ‘sistema’
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Ecco il vero Grillo, che fa tremare il potere (ma dal ridere)
Dopo la colossale figura di palta, anziché una letterina di scuse per avere esposto tutto il Movimento 5 Stelle al pubblico ludibrio, a un fallimento politico colossale e avere rovinato irrimediabilmente i rapporti nel gruppo politico dove M5S Europa risiede, l’Efdd, arriva questo testo sul blog di Beppe Grillo: «L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Questa posizione ci avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del nostro programma. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi. Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima. Grazie a tutti coloro che ci hanno supportato e sono stati al nostro fianco. La delegazione del MoVimento 5 Stelle in Parlamento Europeo continuerà la sua attività per creare un gruppo politico autonomo per la prossima legislatura europea: il Ddm (Direct Democracy Movement)». Per una volta lasciatelo gridare a me: Gombloddoh! (e per scriverne io, ce ne vuole… eh?). I poteri forti non vi hanno permesso di vendervi ai poteri forti! Ma ve l’ha scritto Crozza?L’establishment ha deciso? Si chiama politica. Quella che evidentemente qualcuno lì dentro ha cercato di fare e che ha fallito miseramente. Ma davvero pensavate di poter fare una trattativa con gli squali più accaniti dell’euro-fanatico ultraliberismo che sono espressione di quel mondo che ha stritolato la Grecia e che ha posseduto ogni governo italiano, come “L’esorcista”, dal 2011 in poi? Siete ragazzi partiti dai banchetti, siete lì per difendere e rappresentare quelli che ai banchetti ci sono ancora, non per stringere la mano a Mario Monti sperando che gente che possiede più think-tank di quanti capelli abbia in testa non ve la sbrani. Questa posizione vi avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del vostro programma? Ma credete che continuare a recitare una farsa insostenibile fino alla fine servirà a limitare i danni? Il vostro programma contiene 7 punti, dovreste saperli a memoria! Tra questi sette punti, per dirne due, c’è l’abolizione del Fiscal Compact e c’è il referendum sull’euro. Davvero pensavate che entrare nell’Alde vi avrebbe consentito, seduti nel banchetto insieme a Mario Monti, di abolire “meglio” il Fiscal Compact?Davvero pensavate che fare comunella con quelli che “l’euro è irreversibile” vi avrebbe consentito di perseguire “meglio” la storiella del referendum sull’euro? Ma c’è un limite all’idea che gli attivisti M5S siano completamente deficienti? Avete fatto tremare il sistema come mai prima? Avete fatto ridere il sistema come mai prima! Avete fatto la figura dei cioccolatai, dei dilettanti allo sbaraglio. Siete andati da Monti in ginocchio sui ceci e vi siete fatti rispondere un “Vaffa”! E avete cercato di venderla come se 17 vergini stessero per trasferirsi al Castello di Dracula, perché così almeno avrebbero tutelato meglio il loro sangue. Avete fatto scrivere al povero Grillo, che vi è stato a sentire, un papello per convincere sprovveduti attivisti che “entrare nell’Alde” era la cosa migliore, perché “l’Efdd sarebbe morto”, quando l’Efdd, il gruppo politico dove state e che è frutto del grande lavoro del 2014, è lì tranquillo tranquillo fino al 2019 e nessuno lo tocca, quindi avevate tutto il tempo. E adesso invece sì, che l’Efdd è morto.E voglio proprio vedere con che faccia ci ritornate, da Nigel Farage, dopo avere spernacchiato l’uomo che, al contrario di voi, ha vinto la sua battaglia politica e ha portato tutto il Regno Unito fuori dalla Ue, nonostante minacce di morte e attentati cui è scampato per miracolo. Con che faccia lo saluterete, lassù, tra i corridoi del piano del gruppo, dopo che Grillo gli ha dato il ben servito questa mattina sul bog? Gli direte “Hi Nigel… of course, you know… it was a joke“? E se non starete più nell’Efdd perché ormai sareste ridicoli a sedere negli stessi banchi, cosa farete? Andrete nei “non attached“, il gruppo dei non iscritti? Allora sì che non avrete più niente, soldi.. uffici.. tempi di parola.. diritto di esprimere relatori nelle commissioni… Bravi! Complimenti! Grande successo politico. Vi siete condannati al nulla per i prossimi due anni almeno! E dovrete magari anche licenziare della gente, che fuori da un gruppo i soldi per gli stipendi sono meno… Dovevate chiedere scusa. E per una volta, chi si è reso responsabile di questa tragicommedia che ha tutto il sapore di aspirazioni personali fatte passare per una interesse collettivo, si dimetta!(Claudio Messora, “Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima…”, dal blog “ByoBlu” del 9 gennaio 2017).Dopo la colossale figura di palta, anziché una letterina di scuse per avere esposto tutto il Movimento 5 Stelle al pubblico ludibrio, a un fallimento politico colossale e avere rovinato irrimediabilmente i rapporti nel gruppo politico dove M5S Europa risiede, l’Efdd, arriva questo testo sul blog di Beppe Grillo: «L’establishment ha deciso di fermare l’ingresso del MoVimento 5 Stelle nel terzo gruppo più grande del Parlamento Europeo. Questa posizione ci avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del nostro programma. Tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi. Abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima. Grazie a tutti coloro che ci hanno supportato e sono stati al nostro fianco. La delegazione del MoVimento 5 Stelle in Parlamento Europeo continuerà la sua attività per creare un gruppo politico autonomo per la prossima legislatura europea: il Ddm (Direct Democracy Movement)». Per una volta lasciatelo gridare a me: Gombloddoh! (e per scriverne io, ce ne vuole… eh?). I poteri forti non vi hanno permesso di vendervi ai poteri forti! Ma ve l’ha scritto Crozza?
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Grillo sta suicidando i 5 Stelle. Chiedetevi: a chi conviene?
Eh già, c’è chi decide di suicidarsi buttandosi giù da un ponte. E chi prendendo le decisioni sbagliate nel momento più sbagliato, dimostrando una miopia politica così clamorosa da chiedersi se sia davvero solo il frutto di un errore di valutazione o se invece non sia voluta, con estrema e raffinata perfidia, per distruggere il Movimento 5 Stelle. Mettiamo in fila gli elementi. Il M5S ha combattutto una battaglia durissima contro il sistema; il suo fondatore e vera mente politica, Gian Roberto Casaleggio, è stato oggetto di attacchi durissimi e personali, che lo hanno sfiancato nella salute, con un epilogo drammatico. Dopo la scomparsa di Casaleggio, il mondo ha iniziato a cambiare. Da tempo il Movimento 5 Stelle si era schierato all’Europarlamento con lo “scandaloso” Farage, considerato per anni poco più che un velleitario buffone. Ma Farage ha guidato la Gran Bretagna alla Brexit. Nel frattempo i pentastellati conquistano due grandi città italiane, Roma e Torino. Negli Stati Uniti vince contro ogni pronostico Trump, spostando il baricentro degli interessi degli Usa su posizioni molto più vicine a quelli di movimenti alternativi di protesta (sì, i cosiddetti “populisti”) come il M5S e la Lega di Salvini. Il 4 dicembre questi stessi partiti guidano la campagna referendaria che si risolve con un Ko clamoroso di Renzi.Il mondo sembra volgere dalla loro parte. E infatti da Washington arrivano segnali incoraggianti. Notate bene: Nigel Farage, pur essendo britannico, è uno dei pochi politici di cui Trump si fida; è l’uomo che, sulle vicende europee, può sussurrare all’orecchio del presidente eletto. Un’occasione propizia per chi è sempre stato amico di Farage. Lo capiscono tutti. Proprio sabato 7 gennaio sul quotidiano “La Stampa” esce un retroscena molto interessante, intitolato “Dai migranti al terrorismo, Trump cerca un alleato in Italia per rilanciare l’alleanza con gli Usa”, in cui vengono riportate le indiscrezioni di due collaboratori presidenziali. I quali spiegano che «è chiaro che Trump sia contento del risultato referendario alla luce dei discorsi e delle dichiarazioni fatte in passato non solo sull’Italia ma anche in merito alla Brexit. Tutti i suoi consiglieri, a partire da Steve Bannon che è molto vicino alla politica europea, consideravano il “no” come un primo passo verso un processo di ricollocazione dell’Italia, una sorta di distacco, non nel senso di uscita dall’Unione Europea, ma di presa di distanza dagli schemi conformisti di un certa politica e di una certa Europa».«Un passaggio verso la strada del popolarismo che privilegia l’economia reale, il lavoro, la realpolitik e l’allontanamento dall’ideologia conformista che sta decretando il fallimento del progetto europeo così com’è». Quei consulenti assicurano che Trump vuole «individuare il giusto interlocutore con cui l’amministrazione americana dovrà interloquire per rilanciare i rapporti con lo storico alleato». In un’Unione europea di cui non hanno fiducia, perlomeno non di quella che ha governato finora: «Alcune settimane fa ho incontrato Farage e abbiamo discusso della situazione in atto: quello che sta avvenendo in Europa è un processo storico, il baricentro si sta spostando dalla parte della gente, in Italia, in Francia e in Germania», afferma il generale Paul Vallely, secondo cui «il popolo sta prendendo coscienza della propria sovranità, di essere la spina dorsale di nazioni indipendenti che non devono per forza essere parte di un movimento globalista e globalizzante. E questa è un ottima cosa, per l’Italia ad esempio si è compiuto un passo nella direzione che favorisce la gente. Siamo contenti».Secondo il veterano, allo stato attuale le nazioni europe non hanno l’obbligo di essere parte di una entità sovranazionale come la Ue che ha dimostrato – specie in alcuni specifici casi come l’Italia – di «esigere più di quanto offra». «Non mi sembra che Bruxelles abbia fatto molto per i popoli europei fuorché creare una burocrazia pesante comandata dai soliti noti. Sta emergendo una nuova visione dell’Europa e con questo passo ci saranno interessanti scenari di cooperazione con l’America di Trump». Musica per le orecchie innanzitutto di Salvini e della Meloni, che sono sempre stati su queste posizioni. Ma anche di Grillo, che in passato non ha esitato a sparare sulla Ue e sulla globalizzazione e ad allearsi con Farage. La strada sembra spalancata per un atteso e fino alla scora primavera insperato sdoganamento internazionale. E il Movimento 5 Stelle cosa fa? Anziché mettersi in scia e godersi il momento, cambia improvvisamente rotta proprio a Bruxelles. Abbandona lo Ukip per allearsi con l’Alleanza liberale del belga Verhofstadt, le cui idee sono antitetiche a quelle di Grillo e di Farage: pro Ue, pro globalizzazione; insomma un gruppo che affianca l’establishment che ha governato finora. Grillo, incredibilmente, scende dal carro del vincitore. E contraddice se stesso, la propria storia, la propria identità.Lo fa anche nei modi peggiori: lanciando senza preavviso e senza dibattito una consultazione interna nel week-end dell’epifania. E ottenendo il risultato più ovvio: quello di spaccare il Movimento, di disamorare la base e molti sostenitori, di incrinare i rapporti con Farage e con Trump per abbracciare quell’establishment e quei poteri forti che ha sempre dichiarato di voler combattere. Harakiri. Un’ottima notizia per Salvini e la Meloni, che immagino, non mancheranno di ringraziare Grillo. Ma anche e forse soprattutto, per quell’establishment che da un decennio cerca il modo di spaccare il Movimento, senza mai riuscirci, almeno finchè era in vita Casaleggio. Sono passati pochi mesi ed è bastata una trattativa segreta a Bruxelles per raggiungere quell’obiettivo. Chissà se chi l’ha voluta e l’ha ideata ne è consapevole.(Marcello Foa, “Grillo ha deciso di suicidarsi. Chiedetevi: a chi conviene?”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 9 gennaio 2017).Eh già, c’è chi decide di suicidarsi buttandosi giù da un ponte. E chi prendendo le decisioni sbagliate nel momento più sbagliato, dimostrando una miopia politica così clamorosa da chiedersi se sia davvero solo il frutto di un errore di valutazione o se invece non sia voluta, con estrema e raffinata perfidia, per distruggere il Movimento 5 Stelle. Mettiamo in fila gli elementi. Il M5S ha combattutto una battaglia durissima contro il sistema; il suo fondatore e vera mente politica, Gian Roberto Casaleggio, è stato oggetto di attacchi durissimi e personali, che lo hanno sfiancato nella salute, con un epilogo drammatico. Dopo la scomparsa di Casaleggio, il mondo ha iniziato a cambiare. Da tempo il Movimento 5 Stelle si era schierato all’Europarlamento con lo “scandaloso” Farage, considerato per anni poco più che un velleitario buffone. Ma Farage ha guidato la Gran Bretagna alla Brexit. Nel frattempo i pentastellati conquistano due grandi città italiane, Roma e Torino. Negli Stati Uniti vince contro ogni pronostico Trump, spostando il baricentro degli interessi degli Usa su posizioni molto più vicine a quelli di movimenti alternativi di protesta (sì, i cosiddetti “populisti”) come il M5S e la Lega di Salvini. Il 4 dicembre questi stessi partiti guidano la campagna referendaria che si risolve con un Ko clamoroso di Renzi.
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Grillo, Togliatti, l’Europa. E la marea degli elettori (grillini)
C’è qualcosa di sinistro, in quello che sembra il suicidio programmato del Movimento 5 Stelle, dopo il boom elettorale del 2013 che aveva punito l’esanime Bersani e lo stra-rottamato Berlusconi, entrambi reduci dal catastrofico sostegno al governo Monti-Troika, con l’ultra-rigore dei tagli sanguinosi alla spesa, il massacro sociale, la legge Fornero, il pareggio di bilancio in Costituzione. «Noi non siamo contro l’euro», chiarì Gianroberto Casaleggio intervistato da Travaglio alla vigilia delle europee 2014, come se si potesse stare all’opposizione del sistema in Italia ma non in Europa. Non fidatevi dei 5 Stelle, ammonì ripetutamente Paolo Barnard, che ai neo-parlamentari pentastellati aveva invano offerto un Piano-B per l’Italia (recupero di sovranità finanziaria) attraverso il team internazionale di economisti democratici guidato da Warren Mosler. Nemmeno tre anni dopo, si scopre che Grillo – dopo aver verbalmente “divorziato” dall’euro – ha manovrato segretamente al Parlamento Europeo per imbucare i 5 Stelle tra i massimi sostenitori dell’euro-establishment, per il giubilo dello stesso Monti.State attenti a Luigi Di Maio, avvertì nei mesi scorsi l’avvocato e saggista Gianfranco Carpeoro, quando la stella di Renzi si stava chiaramente appannando: «Se cade il premier, il potere ha già scelto Di Maio come suo successore, con la benedizione degli Usa, delle cui sedi diplomatiche il leader grillino è assiduo frequentatore». Da 5 Stelle a “stelle e strisce”, «attraverso i rapporti che legano Grillo a un personaggio come Michael Ledeen, che proviene da settori della massoneria reazionaria collegata all’intelligence». A Roma, prima di sprofondare negli imbarazzi dell’immobile giunta Raggi, i 5 Stelle avevano rifiutato – dopo averla pubblicamente apprezzata – la proposta “rivoluzionaria” avanzata dall’economista Nino Galloni: fare della capitale un avamposto dimostrativo e strategico per la rinascita della sovranità italiana, devastata dall’élite globalista pro-euro con la complicità della vera super-casta, quella non colpita da Tangentopoli.La candidatura di Galloni, propugnata dal massone progressista Gioele Magaldi, avrebbe rappresentato una sfida aperta ai registi della storica de-industrializzazione del paese, ormai sottomesso alla Germania, a sua volta ridotta a spietato guardiano di un’Europa programmaticamente in declino, da “smontare” dall’interno, scoraggiandone l’indipendenza e la proiezione economica verso la Russia. Se Alexis Tsipras è stato demolito da Bruxelles e “Podemos” non fa più paura a nessuno, a inquietare i dominus Ue del dopo-Brexit è soprattutto Marine Le Pen. In ogni modo – anche con le recenti missioni diplomatiche dello stesso Di Maio – i 5 Stelle hanno rimarcato la loro distanza sostanziale da qualsiasi prospettiva “eversiva”, rispetto all’ordoliberismo euro-teutonico fondato sulla mortificazione della spesa strategica, quindi sui tagli che producono solo crisi e disoccupazione. Dai 5 Stelle, nessuna vera ricetta alternativa: solo la proposta di irrobustire gli ammortizzatori sociali con il “reddito di cittadinanza”, da finanziare solo con tagli “intelligenti” alla spesa, senza cioè intaccare sistema, basato sul principio – aberrante – del rigore “istituzionale” imposto dall’Ue.Nel movimento-fenomeno creato in modo spettacolare da Grillo e gestito per via telematica, con consultazioni on-line ma senza congressi né contronti tra linee apertamente divergenti, le illusioni dell’“uno vale uno” hanno rivelato, in controluce, tutt’altra realtà: a suon di esplusioni e “scomuniche”, è emersa una versione 2.0 del “centralismo democratico” togliattiano, un nuovo unanimismo con in più una vocazione – leninista – a non rivelare mai, apertamente, il vero obiettivo strategico: la logica sembra quella dei continui sacrifici democratici, la perenne autocensura richiesta alla base, in nome del bene supremo e quasi fideistico, il Sol dell’Avvenire. Finora, come riconosce anche il mainstream, il “format” 5 Stelle ha funzionato benissimo, se non altro come formidabile “gatekeeper” per drenare e canalizzare il dissenso, contenendolo nei binari della prassi democratica. Ma a che prezzo? E a vantaggio di chi?Se la lucidità del “popolo grillino” deve anche fatalmente fare i conti con la passione fisiologica che travolge ogni genuina tifoseria, laddove si pretende che le proprie pecche siano sempre deformate, ingigantite e strumentalizzate dal perfido nemico, diabolico per definizione, i soliti implacabili sondaggi (ovviamente gestiti dallo stesso mainstream) si divertono a rilevare un calo dei consensi, a partire dall’agonia romana per arrivare all’harakiri di Strasburgo. L’inizio della fine? Di fatto, quasi un elettore italiano su tre ha manifestato – votando 5 Stelle – la propria volontà di radere al suolo un sistema letteralmente marcio, chiedendo essenzialmente aria pulita. Il calo della “pazienza” di molti elettori può segnalare il tramonto di una leadership solo in apparenza democratica, ma in realtà piuttosto “sovietica”? E il disastro del Parlamento Europeo – con gli stessi liberali ultra-euro che, in extremis, sconfessano il patto segreto con Grillo – costringerà il “popolo” pentastellato a domandarsi, finalmente, che Europa vuole e come intende arrivarci, per mettere in sicurezza l’Italia, cestinando i comodi slogan tattici dei vari Di Battista contro le piccole caste e il piccolo malaffare delle banche?C’è qualcosa di sinistro, in quella che sembra l’anteprima del possibile suicidio programmato del Movimento 5 Stelle, dopo il boom elettorale del 2013 che aveva punito l’esanime Bersani e lo stra-rottamato Berlusconi, entrambi reduci dal catastrofico sostegno al governo Monti-Troika, con l’ultra-rigore dei tagli sanguinosi alla spesa, il massacro sociale, la legge Fornero, il pareggio di bilancio in Costituzione. «Noi non siamo contro l’euro», chiarì Gianroberto Casaleggio intervistato da Travaglio alla vigilia delle europee 2014, come se si potesse stare all’opposizione del sistema in Italia ma non in Europa. Non fidatevi dei 5 Stelle, ammonì ripetutamente Paolo Barnard, che ai neo-parlamentari pentastellati aveva invano offerto un Piano-B per l’Italia (recupero di sovranità finanziaria) attraverso il team internazionale di economisti democratici guidato da Warren Mosler. Nemmeno tre anni dopo, si scopre che Grillo – dopo aver verbalmente “divorziato” dall’euro – ha manovrato segretamente al Parlamento Europeo per imbucare i 5 Stelle tra i massimi sostenitori dell’euro-establishment, per il giubilo dello stesso Monti.
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Chi ha ucciso Olof Palme? Un atto di guerra, contro tutti noi
«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.
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Monbiot: malati di solitudine, questo sistema ci fa impazzire
Un’epidemia di malattie mentali sta distruggendo mente e corpo di milioni di persone. È arrivato il momento di chiederci dove stiamo andando e perché. Quale maggiore atto d’accusa potrebbe esserci, per un sistema, di una epidemia di malattie mentali? Eppure problemi come ansia, stress, depressione, fobia sociale, disturbi alimentari, autolesionismo e solitudine oggi si abbattono sulle persone in tutto il mondo. Le recenti, catastrofiche statistiche sulla salute mentale dei bambini in Inghilterra riflettono una crisi globale. Ci sono una moltitudine di ragioni secondarie per spiegare questo disagio, ma a me sembra che la causa di fondo sia ovunque la stessa: gli esseri umani, mammiferi estremamente sociali, i cui cervelli sono cablati per rispondere agli altri, sono stati scorticati. I cambiamenti economici e tecnologici in questo svolgono un ruolo importante, ma lo stesso vale per l’ideologia. Benché il nostro benessere sia indissolubilmente legato alla vita degli altri, ci viene spiegato da ogni parte che il segreto della prosperità è nell’egoismo competitivo e nell’individualismo estremo.In Gran Bretagna, uomini che hanno passato tutta la loro vita in circoli privilegiati – a scuola, all’università, al bar, in Parlamento – ci insegnano che dobbiamo sempre camminare con le nostre gambe. Il sistema dell’istruzione diventa ogni anno più brutalmente competitivo. Trovare lavoro è una lotta all’ultimo sangue con una massa di altri disperati che inseguono i sempre meno posti disponibili. I moderni sorveglianti dei poveri attribuiscono a colpe individuali la loro situazione economica. Gli incessanti concorsi televisivi alimentano aspirazioni impossibili come le opportunità reali. Il vuoto sociale è riempito dal consumismo. Ma, lungi dal curare la malattia dell’isolamento, questo intensifica il confronto sociale, al punto che, dopo aver consumato tutto quello che c’era da consumare, iniziamo ad avventarci su noi stessi. I social media ci uniscono ma anche ci dividono, consentendoci di quantificare con precisione la nostra posizione sociale, e di constatare che altre persone hanno più amici e seguaci di noi.Come Rhiannon Lucy Cosslett ha brillantemente documentato, le ragazze e le giovani donne modificano abitualmente le foto che pubblicano per sembrare più levigate e sottili. Alcuni telefoni lo fanno perfino automaticamente, basta attivare l’impostazione “bellezza”; così ci si può trasformare anche da soli in modelli di magrezza da inseguire. Benvenuti nella distopia post-hobbesiana: una guerra di tutti contro se stessi. C’è da stupirsi, in questa solitudine interiore, in cui il contatto è stato sostituito dal ritocco, se le giovani donne stanno annegando nel disturbo mentale? Una recente indagine condotta in Inghilterra suggerisce che tra i 16 e i 24 anni una donna su quattro si è autoinflitta una ferita, e uno su otto oggi soffre di disturbo da stress post-traumatico. Ansia, depressione, fobie o disturbo ossessivo-compulsivo colpiscono il 26% delle donne in questa fascia di età. Dati di questo tipo assomigliano da vicino a una crisi di salute pubblica. Se la frammentazione sociale non è presa in seria considerazione, come si prende sul serio una gamba rotta, è perché non possiamo vederla. Ma i neuroscienziati possono.Una serie di affascinanti articoli suggerisce che il dolore sociale e il dolore fisico sono elaborati dagli stessi circuiti di neuroni. Questo potrebbe spiegare perché in molte lingue è difficile descrivere l’impatto della rottura dei legami sociali senza ricorrere alle parole che usiamo per indicare dolore fisico e lesioni. Negli esseri umani come negli altri mammiferi sociali il contatto sociale riduce il dolore fisico. Questo è il motivo per cui abbracciamo i nostri figli quando si fanno male: l’affetto è un potente analgesico. Gli oppioidi alleviano sia l’agonia fisica sia l’angoscia della separazione. Forse questo spiega il legame tra isolamento sociale e tossicodipendenza. Alcuni esperimenti riassunti sulla rivista “Physiology & Behaviour” il mese scorso suggeriscono che, data la possibilità di scegliere tra dolore fisico o isolamento, i mammiferi sociali scelgono il primo. Alcune scimmie cappuccino prive di cibo e tenute in isolamento per 22 ore, prima di mangiare si sono riunite alle loro compagne. I bambini che sono trascurati dal punto di vista emotivo, secondo alcuni studi, subiscono peggiori conseguenze per la salute mentale rispetto ai bambini che soffrono sia trascuratezza emotiva sia violenza fisica: per quanto orribile, la violenza comporta essere notati e toccati.L’autolesionismo è spesso usato come tentativo di alleviare la sofferenza: un’altra indicazione che il dolore fisico è meno terribile del dolore emotivo. Come il sistema carcerario sa fin troppo bene, una delle forme più efficaci di tortura è proprio l’isolamento. Non è difficile capire quali potrebbero essere le ragioni evolutive per la presenza del dolore sociale. La sopravvivenza tra i mammiferi sociali è notevolmente più alta quando sono fortemente legati al resto del branco. Sono gli animali isolati ed emarginati che hanno più probabilità di essere attaccati dai predatori, o morire di fame. Così come il dolore fisico ci protegge dai danni fisici, il dolore emotivo ci protegge dai danni sociali. Ci spinge a ricostruire connessioni. Ma per molte persone è diventato quasi impossibile.Non è sorprendente che l’isolamento sociale sia fortemente associato alla depressione, al suicidio, all’ansia, all’insonnia, alla paura e alla sensazione di essere minacciati. È più sorprendente scoprire la gamma di malattie fisiche che provoca o aggrava. Demenza, ipertensione, malattie cardiache, ictus, abbassamento della resistenza ai virus, perfino gli incidenti sono più comuni tra le persone sole. La solitudine ha un impatto sulla salute fisica paragonabile al fumare 15 sigarette al giorno: sembra aumentare il rischio di morte prematura del 26%. Questo in parte è perché la solitudine aumenta la produzione dell’ormone dello stress, il cortisolo, che deprime il sistema immunitario. Studi condotti su animali e sull’uomo suggeriscono che mangiare sia motivo di conforto: l’isolamento riduce il controllo dell’impulso, portando all’obesità. Visto che le persone situate nella parte più bassa della scala socioeconomica sono anche quelle più a rischio di soffrire di solitudine, questa potrebbe essere una delle spiegazioni per il forte legame tra basso livello economico e obesità?Chiunque può rendersi conto che qualcosa di molto più importante della maggior parte dei problemi di cui ci si preoccupa è andato storto. Ma allora, perché siamo così impegnati in questa frenesia che distrugge il mondo e si autoannienta, devastando l’ambiente e riducendo in pezzi le società, se tutto ciò che produce è un dolore insopportabile? Questo problema non dovrebbe essere considerato il più scottante nella vita pubblica? Ci sono enti di beneficenza meravigliosi che fanno quello che possono per lottare contro questa marea, con alcuni dei quali ho intenzione di lavorare come parte del mio progetto contro la solitudine. Ma per ogni persona aiutata, molte altre vengono spazzate via. Non basta una risposta politica per tutto questo. Ci vuole qualcosa di molto più grande: ripensare un’intera visione del mondo. Di tutte le fantasie degli esseri umani, l’idea che ce la si possa fare da soli è la più assurda e forse la più pericolosa. O restiamo uniti o andiamo in pezzi.(George Monbiot, “Il nuovo ordine liberale crea solitudine, ecco cosa sta facendo a pezzi la nostra società”, dal “Guardian” del 12 ottobre 2016, articolo tradotto da “Voci dall’Estero”).Un’epidemia di malattie mentali sta distruggendo mente e corpo di milioni di persone. È arrivato il momento di chiederci dove stiamo andando e perché. Quale maggiore atto d’accusa potrebbe esserci, per un sistema, di una epidemia di malattie mentali? Eppure problemi come ansia, stress, depressione, fobia sociale, disturbi alimentari, autolesionismo e solitudine oggi si abbattono sulle persone in tutto il mondo. Le recenti, catastrofiche statistiche sulla salute mentale dei bambini in Inghilterra riflettono una crisi globale. Ci sono una moltitudine di ragioni secondarie per spiegare questo disagio, ma a me sembra che la causa di fondo sia ovunque la stessa: gli esseri umani, mammiferi estremamente sociali, i cui cervelli sono cablati per rispondere agli altri, sono stati scorticati. I cambiamenti economici e tecnologici in questo svolgono un ruolo importante, ma lo stesso vale per l’ideologia. Benché il nostro benessere sia indissolubilmente legato alla vita degli altri, ci viene spiegato da ogni parte che il segreto della prosperità è nell’egoismo competitivo e nell’individualismo estremo.
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Nuova Tangentopoli, ci risiamo? Ma stavolta senza Piano-B
Vincenzo De Luca indagato per voto di scambio, Beppe Sala per l’Expo, la romana Paola Muraro per reati ambientali, Raffaele Marra per corruzione, Luca Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio. Sotto tiro un po’ tutti, da Renzi alla Raggi. «In meno di una settimana piovono avvisi di garanzia, arresti, interrogatori fiume: sembrano tornati i tempi di Mani Pulite», scrive Aldo Giannuli, che osserva: si tratta di casi non esattamente “freschi”, lasciati dormire per mesi e fatti esplodere solo dopo il referendum: «E’ come se il 4 dicembre sia scattato il via libera», così adesso «piovono sberle», con alcuni giornali che lasciano capire che «dopo Lotti seguirebbe il padre di Renzi, poi Renzi stesso». In attesa che emergano elementi certi, aggiunge Giannuli, «non possiamo non notare questa nuova somiglianza con il 1992-93: allora fu una ondata di inchieste giudiziarie che precedette un referendum chiave», quello sulla legge elettorale maggioritaria. «Ora sembra il contrario: un referendum che apre la strada ad una valanga giudiziaria». E se all’inizio degli anni ‘90 lo tsunami di Tangentopoli aiutò ad affermarsi «un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziaria e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare», oggi è l’esatto contrario: «L’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare».Gli Usa, scrive Giannuli sul suo blog, conservano ancora consistenti residui dell’ordine monopolare: il controllo della moneta di riferimento internazionale, una supremazia militare scossa dalle sconfitte mediorientali ma che ne fa ancora la maggiore potenza mondiale, militare e finanziaria, con peso preponderante negli organismi internazionali. Ma gli Stati Uniti «non hanno più la forza di imporre unilateralmente le decisioni della comunità internazionale, non riescono ad avere un colpo d’ala che li trascini fuori dalla crisi, e questo determina un malessere interno che si è espresso nell’elezione di Trump». D’altra parte, i Brics sono fortemente cresciuti: paesi emergenti come Messico, Indonesia e Corea si stanno affermando sul piano economico, India e Cina stanno diventando anche potenze militari, mentre la Russia lo sta ridiventando. Tuttavia «iniziano a risentire della crisi euro-americana», quindi «hanno perso lo slancio economico di otto anni fa», e ancora «non riescono a sovvertire la preponderanza americana». In altre parole, «gli Usa non hanno più la forza imperiale di vent’anni fa, ma hanno la forza per impedire che si affermi un equilibrio multipolare basato su grandi potenze regionali». A loro volta, «i Brics hanno la forza per impedire l’ordine monopolare, ma non quella per ricacciare gli Usa entro la rispettiva area regionale».Per di più, continua Giannuli, «c’è una profonda asimmetria fra i paesi occidentali, a regime liberaldemocratico e ad economia liberista, nei quali la finanza ha un forte potere condizionante, ed i paesi emergenti, in particolare Russia e Cina, dove il potere politico ha assai meno condizionamenti ed in cui sussistono molti elementi di capitalismo di Stato». E così «non abbiamo due ipotesi di ordine mondiale» ma, di fatto, «nessun ordine mondiale vigente», mentre i vari “attori” si sfidano indirettamente in tante crisi locali sempre più numerose: Ucraina, Siria, Iran, Oceano Pacifico, Oceano Indiano. Crisi che, «per ora, scaricano la tensione che si va accumulando», in una situazione di “stallo instabile”. A monte, s’è inceppato il motore dell’Occidente, «investito da una crisi finanziaria che è man mano divenuta economica, con i tassi occupazionali più bassi dell’ultimo trentennio, una massiccia erosione dei salari e una conseguente caduta dei consumi». Il suo eccezionale prolungamento – di fatto, questa è l’unica crisi paragonabile alla Grande Depressione del 1929 – sta ora ripercuotendosi sui paesi fornitori di materie prime (Brasile in primo luogo, ma anche Russia ) e sui paesi in cui era stata delocalizzata la manifattura (in particolare la Cina, che resiste in parte grazie alla tenuta del mercato interno).Di fronte a questo andamento economico-finanziario, continua il politologo dell’ateneo milanese, le banche centrali e quelle di investimento «non hanno trovato altro rimedio che continue ondate di liquidità che hanno avuto soprattutto l’effetto di ingigantire il debito grazie al meccanismo degli interessi». La sostanza è che «le classi dirigenti rifiutano di prendere atto dell’origine della crisi», cioè «la strutturazione iper-finanziaria dei mercati, che ha trovato sfogo prima nel crollo dei mutui sub-prime e dopo nello scoppio delle successive bolle delle materie prime e nel gonfiamento dei debiti pubblici». Dell’enorme massa di liquidità emessa, ben poco è andato all’economia reale (forse neppure il 10%) mentre il resto ha trovato re-impieghi finanziari: «Si è affermato un modello di “produzione di denaro a mezzo denaro” saltando il passaggio della merce che nessuno ha messo o mette in discussione». Allo stesso modo, nessuno ha contestato «l’assurdo ordinamento tributario punitivo nei confronti dei ceti medi e delle classi subalterne», che premia «le grandi centrali finanziarie».Globalizzazione finanziaria: «La mobilità incontrollata dei capitali ha di fatto concesso al grande capitale privato di scegliersi lo Stato cui pagare le tasse». L’inevitabile risultato «è stata una fortissima pressione fiscale dei paesi più indebitati (come Grecia, Portogallo e Italia) che sta soffocando ogni possibilità di ripresa di quei paesi». Non è strano che non ci siano stati ravvedimenti: «Rivedere le regole dell’ordinamento neoliberista implicherebbe una secca perdita di potere delle classi capitalistiche». D’altra parte, «la persistenza del sistema di potere neoliberista è anche prodotta dalla assenza di una opposizione interna al sistema politico: la completa omologazione delle socialdemocrazie al neoliberismo, di cui, ormai, sono solo una piccola variante, ha privato il sistema di ogni possibilità ai autocorrezione». E questo, conclude Giannuli, è il principale motivo dell’ondata neoliberista che si è scatenata tanto in Europa, quanto negli Usa. «La crisi continua a mordere, e non c’è una ipotesi riformista». Risultato: «L’elettorato vota partiti neo-populisti, prevalentemente di destra», protestando contro l’immigrazione di massa e contro un ordinamento che, «minando il principio di sovranità nazionale, svuota di significato il principio della sovranità popolare e, di conseguenza, la democrazia».Il fenomeno dell’immigrazione? «Un comodo nemico su cui scaricare la colpa di tutto, un po’ come con gli ebrei nella crisi degli anni Trenta», con l’aggravante che, oggi, «la coincidenza con il terrorismo jihadista fornisce alimento all’industria della paura». La sinistra non-liberista? Non pervenuta: sulla questione migranti, la sinistra europea – dalla Linke a “Podemos” – non va oltre «un genericissimo internazionalismo venato di buonismo», senza riuscire a prospettare «una concreta politica di accoglienza e integrazione». Silenzio anche su globalizzazione, Ue e euro: la sinistra «teme ogni presa di distanza», leggendola come «un ritorno al nazionalismo, di cui diffida». Il risultato è «una sostanziale paralisi, che rende irrilevante la sinistra che non vuole i tecnocrati di Bruxelles e le politiche di austerità, ma difende l’euro (come se le due cose fossero estranee l’una all’altra), e si accontenta di favoleggiare su “un nuovo euro” che nei fatti non può esistere». Così la piccola trincea della sinista diventa «irrilevante, nello scontro fra l’ondata populista e l’establishment». Per troppo tempo questa sinistra «ha smesso di studiare», di capire la crisi. E ora subisce anch’essa «una ondata di protesta che delegittima le classi dirigenti dall’interno», creando «una condizione favorevole al crollo del sistema politico italiano ancora più spiccata che nel 1992-93».Vincenzo De Luca indagato per voto di scambio, Beppe Sala per l’Expo, la romana Paola Muraro per reati ambientali, Raffaele Marra per corruzione, Luca Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio. Sotto tiro un po’ tutti, da Renzi alla Raggi. «In meno di una settimana piovono avvisi di garanzia, arresti, interrogatori fiume: sembrano tornati i tempi di Mani Pulite», scrive Aldo Giannuli, che osserva: si tratta di casi non esattamente “freschi”, lasciati dormire per mesi e fatti esplodere solo dopo il referendum: «E’ come se il 4 dicembre sia scattato il via libera», così adesso «piovono sberle», con alcuni giornali che lasciano capire che «dopo Lotti seguirebbe il padre di Renzi, poi Renzi stesso». In attesa che emergano elementi certi, aggiunge Giannuli, «non possiamo non notare questa nuova somiglianza con il 1992-93: allora fu una ondata di inchieste giudiziarie che precedette un referendum chiave», quello sulla legge elettorale maggioritaria. «Ora sembra il contrario: un referendum che apre la strada ad una valanga giudiziaria». E se all’inizio degli anni ‘90 lo tsunami di Tangentopoli aiutò ad affermarsi «un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziaria e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare», oggi è l’esatto contrario: «L’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare».
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Gave: fuga dall’Italia, verso la bancarotta per colpa dell’euro
L’euro ha semplicemente “assassinato” l’Italia, trasformandola in un paese non più competitivo e ora anche insolvente, pericolosamente vicino alla bancarotta. Lo scrive un importante investitore finanziario francese, Charles Gave, secondo cui Matteo Renzi è solo l’ennesimo politico incapace di recuperare il gap con la Germania: «La triste realtà è che nessun leader italiano ha mai avuto la benché minima possibilità di cambiare il suo paese, dal momento stesso in cui è stata presa la nefasta decisione di agganciare il tasso di cambio alla Germania». Nel momento in cui l’euro fu lanciato, nel 1999, Gave sostenne che il profilo di rischio dell’Italia sarebbe cambiato, «da quello di un’economia dove c’era un’elevata probabilità di frequenti svalutazioni della moneta, a un’economia con la probabilità certa di una bancarotta finale». E ora, «purtroppo quel momento sta arrivando», scrive Gave, in un’analisi ripresa da John Mauldin su “Zero Hedge”. Impressionante il crollo del sistema-Italia, che prima dell’adozione dell’euro era stabilmente superiore ai livelli tedeschi, grazie alla flessibilità della finanza pubblica a sostegno dell’economia.L’Italia, ricorda Gave nel post tradotto da “Voci dall’Estero”, si è unita al Sistema Monetario Europeo nel 1979 con un tasso di cambio di 443 lire per marco tedesco. Ma nel 1990, a causa delle frequenti svalutazioni, il cambio con la Germania era a 750 lire per marco tedesco. All’inizio degli anni ’90, la Bundesbank stava supervisionando il sistema monetario tedesco recentemente unificato, e aveva alzato il tasso d’interesse reale al 7% con l’obiettivo di limitare l’inflazione. Nel settembre 1992 le tensioni nel sistema portarono Gran Bretagna, Svezia e Italia a uscire dallo Sme, e di conseguenza a una nuova massiccia svalutazione, che ha portato la lira a 1.250 sul marco tedesco. «Questo ha portato però anche a un grande boom del turismo», sottolinea Gave. «Inoltre, dal 1979 al 1998 la produzione industriale italiana superava quella tedesca di oltre il 10%, mentre le azioni italiane crescevano più di quelle tedesche per oltre il 16% (questo indica che le imprese italiane avevano profitti maggiori, a parità di capitale investito, rispetto a quelle tedesche)». Poi è venuto l’euro, scrive Gave, e la situazione ha cominciato a precipitare.«Nel 2003 – afferma l’analista – è diventato chiaro che l’Italia aveva perso competitività e, di conseguenza, le azioni italiane sono calate, a confronto di quelle tedesche, del 65%, rovesciando così il rapporto che si era mantenuto per il precedente mezzo secolo, quando le azioni italiane superavano quelle tedesche in termini di dividendi». Allo stesso modo, sempre a partire dal 2003, «la produzione industriale italiana è rimasta indietro rispetto a quella tedesca per oltre il 40%». La diagnosi è semplice: «L’Italia ha perso competitività in modo drammatico e di conseguenza è ormai insolvente. Tutto ciò è chiaro dalle condizioni pericolanti del sistema bancario, ed è sempre così che va a finire quando le banche prestano credito a imprese che sono state rese non competitive a causa di qualche incosciente banchiere centrale». A meno di imporre «la schiavitù, sul modello della Grecia» anche in Italia, «non ci sono molte speranze di risolvere il problema», sostiene Gave. Non potendo più agire sui tassi di cambio, «l’unica eventualità possibile, data la traiettoria attuale, è che l’economia italiana e quella tedesca continuino a divergere, ed è il motivo per il quale non si potrà avere una soluzione “normale”. A questo punto, un default di qualche genere sul debito pubblico italiano è praticamente una certezza».Se una banca centrale può affrontare il problema di liquidità, continua Gave, non può risolvere il problema di solvibilità, «specialmente se è un problema grande come l’Italia». L’unica azione possibile ora, come rimedio, è di «rimpiazzare un po’ di moneta cattiva con moneta buona, ed è esattamente ciò che ci si aspetta da Mario Draghi, specialmente da quando gioca un ruolo così importante come facilitatore della permanenza dell’Italia nel sistema euro». Manovre, quelle della Bce, che «possono certamente posticipare un po’ il giorno del giudizio, ma non risolveranno nulla», secondo Gave. «L’approccio razionale per gli investitori è di evitare qualsiasi asset finanziario italiano, tipo titoli bancari o titoli pubblici, fino a che il tasso di cambio non sarà nuovamente stabilito a prezzi di mercato». E così, conclude l’esperto francese, «questa si profila come la bancarotta nazionale meglio prevista, e ormai inevitabile, che io abbia visto nei miei 45 anni di carriera». Fuga dall’Italia: «Non c’è alcun motivo di farsi trascinare sotto il rullo compressore, dato che ci sono tanti altri mercati e asset finanziari su cui puntare».L’euro ha semplicemente “assassinato” l’Italia, trasformandola in un paese non più competitivo e ora anche insolvente, pericolosamente vicino alla bancarotta. Lo scrive un importante investitore finanziario francese, Charles Gave, secondo cui Matteo Renzi è solo l’ennesimo politico incapace di recuperare il gap con la Germania: «La triste realtà è che nessun leader italiano ha mai avuto la benché minima possibilità di cambiare il suo paese, dal momento stesso in cui è stata presa la nefasta decisione di agganciare il tasso di cambio alla Germania». Nel momento in cui l’euro fu lanciato, nel 1999, Gave sostenne che il profilo di rischio dell’Italia sarebbe cambiato, «da quello di un’economia dove c’era un’elevata probabilità di frequenti svalutazioni della moneta, a un’economia con la probabilità certa di una bancarotta finale». E ora, «purtroppo quel momento sta arrivando», scrive Gave, in un’analisi ripresa da John Mauldin su “Zero Hedge”. Impressionante il crollo del sistema-Italia, che prima dell’adozione dell’euro era stabilmente superiore ai livelli tedeschi, grazie alla flessibilità della finanza pubblica a sostegno dell’economia.
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Maggiani: la rovina del mondo e il cuore dei nostri giovani
Cinquant’anni fa come oggi mio padre mi ha chiuso in casa a chiave, lo ha fatto in via precauzionale, volevo andare a Firenze, avevo quindici anni. Volevo andare all’alluvione, volevo salvare Firenze assieme a quelli più grandi di me, volevo andare alla grande avventura dei ragazzi che salvano il mondo. Questo vedevo mentre chiuso in casa piangevo come un bambino, che Firenze sarebbe stata rimessa a nuovo senza di me, che mi era negata una meravigliosa avventura, e siccome quell’avventura non avrebbe mai avuto fine, anche la soddisfazione di salvare subito dopo il mondo intero. Pareva a quel tempo che niente avesse peso per un ragazzo, di certo non il fango, e ogni cosa, anche la più tremenda, accadesse solo per poter mettere alla prova una generazione di energiche, forzute speranze. Oggi so che ero stato cresciuto per pensare a quel modo dall’uomo che per intanto mi aveva chiuso a chiave.Oggi ho tre nipoti, di venti, diciotto e sedici anni, tutti e tre ad agosto e poi in questi giorni volevano andare giù al terremoto, a dare una mano; nessuno li ha chiusi in casa, non ce ne sarebbe stata neppure l’evenienza, non ce li avrebbero voluti attorno, per come sono organizzati adesso i sistemi di soccorso, avrebbero dato solo intralcio e fastidio. Ma il pensiero conta pur sempre qualcosa, e il loro pensiero, ciascuno nella tonalità della sua età, non assomiglia nemmeno un po’ al mio di cinquant’anni or sono. Sarebbero partiti con tutto il cuore, ma il loro non è un cuore leggero, non è colmo di avventurose aspettative, non è un giovane cuore romantico. Il loro è un cuore gravido, pensoso, disincantato.A sedici anni, a diciotto, a venti, il loro cuore conosce il disincanto, la sofferenza del reale. Sarebbero partiti con il cuore carico del peso di una realtà rovinosa, volevano andare perché forse, almeno lì, almeno nelle rovine di sassi e cementi avrebbero potuto metterci una pezza. Almeno lì fare qualcosa che servisse a qualcosa. Mettere delle pezze alla rovina del mondo, almeno loro. Parlano e mi sembra di ascoltare degli adulti, già reduci, già invecchiati da molte sconfitte; li ascolto e non c’è giovinezza. No, la giovinezza gliel’hanno fregata, gliel’ha portata via chi li ha chiusi a chiave, ma con altre chiavi, con altre, perverse, ragioni.(Maurizio Maggiani, “Giovani chiusi a chiave”, dal “Secolo XIX” del 6 novembre 2016, articolo ripreso dal sito ufficiale di Maggiani).Cinquant’anni fa come oggi mio padre mi ha chiuso in casa a chiave, lo ha fatto in via precauzionale, volevo andare a Firenze, avevo quindici anni. Volevo andare all’alluvione, volevo salvare Firenze assieme a quelli più grandi di me, volevo andare alla grande avventura dei ragazzi che salvano il mondo. Questo vedevo mentre chiuso in casa piangevo come un bambino, che Firenze sarebbe stata rimessa a nuovo senza di me, che mi era negata una meravigliosa avventura, e siccome quell’avventura non avrebbe mai avuto fine, anche la soddisfazione di salvare subito dopo il mondo intero. Pareva a quel tempo che niente avesse peso per un ragazzo, di certo non il fango, e ogni cosa, anche la più tremenda, accadesse solo per poter mettere alla prova una generazione di energiche, forzute speranze. Oggi so che ero stato cresciuto per pensare a quel modo dall’uomo che per intanto mi aveva chiuso a chiave.
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Bartlett: Assad difende i siriani, falsi anche i video nei Tg
Ci sono sicuramente giornalisti onesti, nel mondo estremamente compromesso dei media. Organizzazioni internazionali sul posto? Quali organizzazioni internazionali sono sul campo ad Aleppo Est? Ok, rispondo io: nessuna. Nessuna. Queste organizzazioni si appoggiano all’Osservatorio Siriano per i Diritti umani (Sohr) che ha la sua sede a Coventry, nel Regno Unito, ed è formato da una sola persona. Si appoggiano a gruppi compromessi come i Caschi Bianchi, che sono stati fondati nel 2013 da un ex ufficiale inglese, sono stati fondati con un accordo da 100 milioni di dollari tra Stati Uniti, Regno Unito, Europa e altri Stati. Sostengono di soccorrere i civili ad Aleppo Est e a Idlib, ma nessuno ad Aleppo Est ha mai sentito parlare di loro e dico “nessuno” avendo ben presente che adesso il 95% delle aree di Aleppo Est sono state liberate. I Caschi Bianchi sostengono di essere neutrali, eppure sono stati visti girare armati e in piedi sui corpi di soldati siriani morti e i loro filmati video mostrano perfino bambini “riciclati” per differenti testimonianze. Puoi trovare una bambina di nome Aya che appare in una testimonianza, per esempio, ad agosto, e poi torna di nuovo fuori il mese successivo in due posti diversi.Non sono credibili. Neanche il Sohr è credibile. Gli “attivisti anonimi” non sono credibili. Una volta o due, forse. Ma ogni volta? Non è credibile. Quindi di fonti vostre sul posto, non ne avete. Per quel che riguarda il programma di alcuni grandi media, è il programma di rovesciare il regime. Come possono il “New York Times” e “Democracy Now” sostenere ancora oggi che questa è una guerra civile in Siria? Come possono continuare a sostenere che le proteste erano disarmate e non violente fino, diciamo, al 2012? Questo non è assolutamente vero. Come possono sostenere che il governo siriano sta attaccando i civili ad Aleppo quando tutti quelli che escono da queste zone occupate dai terroristi dicono il contrario?Come quantifico il sostegno del popolo siriano? Le elezioni. Nel 2014 in Siria si sono tenute le elezioni. Quello che è emerso è che la gente sostiene in maniera schiacciante il presidente Assad. Ci sono persone che vogliono un cambio di governo, non stiamo facendo finta che non vogliano il cambiamento. Tutti vogliono un cambiamento. Ma se valutiamo il sostegno al governo, il punto è che non vedono il presidente Assad come un problema. Vedono il problema del terrorismo, vedono elementi problematici nel sistema che hanno, ma il presidente Assad non è visto come un problema. Lo sostengno in maniera preponderante. Quindi, io mi baso sulla loro scelta del loro leader e sui miei rapporti con le persone in Siria.(Eva Bartlett, “La fabbrica delle notizie sulla guerra in Siria”, testimonianza della giornalista canadese durante una conferenza stampa organizzata dall’Onu sulla guerra in Siria, ripresa da YouTube e tradotta da “Voci dall’Estero” il 20 dicembre 2016).Ci sono sicuramente giornalisti onesti, nel mondo estremamente compromesso dei media. Organizzazioni internazionali sul posto? Quali organizzazioni internazionali sono sul campo ad Aleppo Est? Ok, rispondo io: nessuna. Nessuna. Queste organizzazioni si appoggiano all’Osservatorio Siriano per i Diritti umani (Sohr) che ha la sua sede a Coventry, nel Regno Unito, ed è formato da una sola persona. Si appoggiano a gruppi compromessi come i Caschi Bianchi, che sono stati fondati nel 2013 da un ex ufficiale inglese, sono stati fondati con un accordo da 100 milioni di dollari tra Stati Uniti, Regno Unito, Europa e altri Stati. Sostengono di soccorrere i civili ad Aleppo Est e a Idlib, ma nessuno ad Aleppo Est ha mai sentito parlare di loro e dico “nessuno” avendo ben presente che adesso il 95% delle aree di Aleppo Est sono state liberate. I Caschi Bianchi sostengono di essere neutrali, eppure sono stati visti girare armati e in piedi sui corpi di soldati siriani morti e i loro filmati video mostrano perfino bambini “riciclati” per differenti testimonianze. Puoi trovare una bambina di nome Aya che appare in una testimonianza, per esempio, ad agosto, e poi torna di nuovo fuori il mese successivo in due posti diversi.
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Bastardi senza gloria, Tarantino e i valorosi cavalieri del Tav
“Bastardi senza gloria”, un film truculento. Niente a che vedere col cinema di Tarantino lo spettacolo del Parlamento italiano che – inclusi Lega Nord e Fratelli d’Italia – dà il via libera all’ennesimo, “storico” accordo sul Tav Torino-Lione, la grande opera più inutile della storia del pianeta Terra, eccetto che per un dettaglio: è l’unica che riesce a mettere d’accordo Mario Monti e Matteo Salvini, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, Giorgia Meloni e Maria Elena Boschi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. E’ vano chiedersi il perché, così come è perfettamente illusorio sperare che, un giorno, venga finalmente svelato il Mistero del Tav, il super-treno transalpino che tutti (loro) vogliono, senza però saperne mai dimostrare l’utilità. Qualsiasi argomentazione pro-Tav, crolla, da decenni, di fronte alla conta elementare costi-benefici. Servono opere, per rilanciare l’economia? Appunto: cantieri utili, però. Quello invece è notoriamente un binario morto, per merci estinte. Sul quale tuttavia insistono tenacemente la banca, la mafia, la politica.Non sarà mai un set di Tarantino, il Parlamento. Lo conferma il tenore dei commenti dei lettori del “Fatto Quotidiano” all’indomani del voto, a cui si sono inutilmente opposti i 5 Stelle, agitando in aula i fazzoletti NoTav. Il clima è quello che è logico attendersi dopo il referendum del 4 dicembre e il bluff di Pinocchio-Renzi sul suo addio alla politica. Scrive “Così è se vi pare”: «Scusate, ma dopo le dimissioni di Renzi, l’unica priorità della nazione non era la legge elettorale e poi tutti al voto?». E Mara: «Fra 20 anni saranno tutti lì a condannare la schifosa mangianza politica su un’opera già inutile in partenza. Tanto paghiamo noi. E il Pd, al solito, fa la parte del pescecane». La cosa più divertente, scrive Francesco, «è che la Francia non ritiene prioritaria l’opera, non ha nemmeno fissato una data di avvio lavori (ad oggi sono partiti solo i lavori esplorativi) e a quanto pare li avvieranno solo in vista della saturazione della linea attuale…. Cioè, probabilmente, mai». Scherza Mario Poillucci: «Non siate così drastici e intransigenti nei vs commenti!! Bisogna capirli! Le mafie hanno fame! Senza il banchetto luculliano delle olimpiadi cosa resta?».«Vergognosi», sentenzia “Viva Sankara”. «Poi fomentano casi come quello di Roma cercando di mettere in cattiva luce la Raggi e il M5S. Quelli di “sinistra” sono ormai il trastullo delle mafie più patetiche. Ma la colpa di tutto ciò è della base Pd che non si ribella». E, intanto, come andiamo dalle parti di Amatrice? «Ai terremotati quanti soldi?», domanda “Luca Z”. E Andrea Magnaghi, sul traforo in valle di Susa: «Solo 8 miliardi? Se ne spendiamo 15 siamo fortunati». Dunque, fa eco “Zio68”, «tipo il Mose che doveva costare 1 e siamo a 6?». Risponde “Bquadro”: «Costi stimati: 8,3 miliardi. A fine lavori saranno 25!». Ribadisce “Giftzwerg”: «La Tav non serve, l’Italia non lavora, non c´è piú niente da esportare. Hanno esportatto le aziende». E Luca: «Vediamo il lato positivo. I piddins potrebbero prendere questo treno per andarsene a fare danni in un altro paese una volta perse le prossime elezioni». Chiosa Riccardo Revilant: «Questa è l’Italia, un paese con le pezze al culo che non disdegna di spendere miliardi in opere “assolutamente irrinunciabili” ma casualmente con sistematiche infiltrazioni mafiose, costi esorbitanti mai pianificati a dovere e sempre lievitati, studi “contro” che dimostrano l’assurdità dell’opera che verrà comunque fatta».“Bastardi senza gloria”, un film truculento. Niente a che vedere col cinema di Tarantino lo spettacolo del Parlamento italiano che – inclusi Lega Nord e Fratelli d’Italia – dà il via libera all’ennesimo, “storico” accordo sul Tav Torino-Lione, la grande opera più inutile del pianeta Terra, eccetto che per un dettaglio: è l’unica che riesce a mettere d’accordo Mario Monti e Matteo Salvini, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, Giorgia Meloni e Maria Elena Boschi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. E’ vano chiedersi il perché, così come è perfettamente illusorio sperare che, un giorno, venga finalmente svelato il Mistero del Tav, il super-treno transalpino che tutti (loro) vogliono, senza però saperne mai dimostrare l’utilità. Qualsiasi argomentazione pro-Tav, crolla, da decenni, di fronte alla conta elementare costi-benefici. Servono opere, per rilanciare l’economia? Appunto: cantieri utili, però. Quello invece è notoriamente un binario morto, per merci estinte. Sul quale tuttavia insistono tenacemente la banca, la mafia, la politica.
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Chi ha detto che la nostra democrazia durerà per sempre?
«In gran parte degli Stati liberal-democratici occidentali la sfiducia nella politica non è mai stata così alta». Come restituire credibilità alla politica, rimettendola al centro della società? Bel problema. «Anche perché la democrazia, che oggi riteniamo una conquista sociale scontata, scontata non lo è affatto», scrive Marco Moiso sul blog del “Movimento Roosevelt”, fondato da Gioele Magaldi nel tentativo di produrre un “risveglio”, trasversale, nella politica italiana. Lo stesso Magaldi «definisce spesso la democrazia come un’anomalia storica», non certo una condizione stabile. «E il rischio di una involuzione verso forme di post-democrazia è estremamente reale e attuale», concorda Moiso: «La storia è infatti piena di esempi di modelli di organizzazione sociale che si credevano stabili e immutabili, e che poi sono crollati nel giro di una notte», come ad esempio l’impero sovietico. «La stessa cosa potrebbe succedere alle democrazie liberali». Effetto-valanga: i “populismi” di oggi svelano che «la società che ha inventato il capitalismo (e ne ha beneficiato più di tutte le altre) sta votando contro il modello politico-economico liberista nato in seno al capitalismo». Così, «molti populismi anti-sistema», anche involontariamente, «stanno proprio favorendo chi è interessato ad una involuzione antidemocratica (o post-democratica) della società».Stiamo vivendo una involuzione, scrive Moiso, in cui «le istituzioni pubbliche sono delegittimate e hanno secondaria importanza rispetto agli interessi finanziari». L’analista del “Movimento Roosevelt” cita il professor Yascha Monk, docente di “government” ad Harvard: «E’ una delle giovani e autorevoli voci che stanno denunciando l’involuzione del sistema democratico di cui abbiamo goduto dal dopoguerra ad oggi». Monk smentisce «una delle credenze più radicate nella politica occidentale», ovvero la convizione che «una volta che una nazione diventa una democrazia liberale, questa rimarrà tale». Si chiama: teoria della “democratic consolidation”. Ed è sbagliata, purtroppo. Le ricerche di Monk «mostrano che la democrazia sta perdendo importanza agli occhi della collettività», tant’è vero che «oggi sempre meno persone considerano essenziale il vivere in uno Stato democratico». A cosa si deve questa involuzione? In primis, al carattere nuovamente autoereferenziale del potere, lontano e iraggiungibile, tornato di esclusivo appannaggio di un’élite inavvicinabile e ricchissima.Marco Moiso rivolge uno sguardo al passato: fino al 1600, la politica (“arcana impèrii”), era prerogativa dell’aristocrazia. «Con una nascente borghesia e la diffusione del pensiero empirista, John Locke cominciò a descrivere la proprietà come un qualcosa che sarebbe dovuto derivare dal lavoro e non più tramandata tramite ereditarietà». In quest’ottica, in una società che avrebbe superato, almeno parzialmente, l’oligopolio dell’aristocrazia (l’Ancien Régime) e in cui il potere sarebbe andato ad un governo “laico”, c’era bisogno di un contratto sociale tra governanti e popolo: «Un contratto tramite il quale il governo avrebbe giustificato il proprio “avere” sulla base del proprio lavoro e dell’attività svolta». Secondo questo patto, continua Moiso, il popolo dava al governo il potere (che Montesquieu avrebbe poi separato in legislativo, esecutivo e giudiziario); a sua volta, il governo si impegnava a lavorare nell’interesse del popolo.Il pensiero di Locke fu poi in qualche modo sviluppato dal filosofo statunitense John Rawls, secondo cui «le ricchezze delle persone possono essere diverse nella misura in cui le differenze di ricchezza possono essere giustificate agli occhi del popolo in virtù di talenti, capacità e attività». Oggi, dice Moiso, se guardiamo al vissuto di grande parte della popolazione occidentale, sembra che tutto questo sia venuto a mancare: «La percezione diffusa è che la politica sia nuovamente un “arcana impèrii” riservato a privilegiati, e che i politici non stiano più, come descritto dal contratto sociale, lavorando per la collettività, ma stiano facendo interessi terzi – quelli del mondo finanziario e di alcune potentissime lobbies (Locke)». E in un momento in cui la politica «chiede alla popolazione di stringere la cinghia», accampando leggi economiche che si pretendono “universalmente valide e immutabili”, ecco che «la popolazione non giustifica più gli averi ed i benefici della classe politica», come previsto da Rawls. Solo che fino a ieri la disaffezione portava al massimo «ad allontanarsi dalla politica», mentre oggi «il dissenso monta» in modo crescente, alimentato «dal confronto tra “ciò che doveva essere” e “ciò che è”».Così esplode «una reazione di rabbia sociale, tendenzialmente caratterizzata da poca lungimiranza, che non attacca solo i politici ma la politica e le idee stesse». Per questo, sostiene Moiso, «oggi vengono criticate le istituzioni, i governi, la politica, l’Unione Europea, lo Stato liberale e infine la democrazia stessa». E’ cosi che «nasce, cresce e si rafforza un populismo che poggia su problemi reali ma che, puntando quasi con cecità a risolvere problemi nel brevissimo termine, rischia di distruggere anche quello Stato politico, democratico, rappresentativo e liberale che è la principale tutela dei diritti e del benessere dei cittadini». Che fare? Serve uno sforzo immenso, per combattere le dirompenti emergenze sociali con credibilità ed efficacia: «C’è bisogno di riunire il dissenso cresciuto attorno alle nuove diseguaglianze e spiegare che la lotta per la democrazia sostanziale e per il benessere della popolazione ha bisogno di strategie di breve ma soprattutto di medio e lungo termine».Bisogna quindi cominciare a pensare che «il campo di battaglia non può essere quello nazionale, perché la battaglia è globale». Bisogna restituire dignità alla politica, certo, ripulendo le istituzioni. E chiarendo che «le regole economiche non sono leggi naturali universali, ma possono cambiare». Servono nuove regole e nuovi indicatori economici, che dovranno «far avvicinare la ricchezza assoluta con il benessere dei cittadini». Vi pare possibile, conclude Moiso, che oggi, «all’apice della nostra civiltà, e in assenza di scarsità, si debba vivere una involuzione economica così diffusa?». Ogni catastrofe può accadere, se si archivia la politica e si ripiega su «un modello economico politico che predilige performances economiche numeriche al benessere sostanziale della collettività».«In gran parte degli Stati liberal-democratici occidentali la sfiducia nella politica non è mai stata così alta». Come restituire credibilità alla politica, rimettendola al centro della società? Bel problema. «Anche perché la democrazia, che oggi riteniamo una conquista sociale scontata, scontata non lo è affatto», scrive Marco Moiso sul blog del “Movimento Roosevelt”, fondato da Gioele Magaldi nel tentativo di produrre un “risveglio”, trasversale, nella politica italiana. Lo stesso Magaldi «definisce spesso la democrazia come un’anomalia storica», non certo una condizione stabile. «E il rischio di una involuzione verso forme di post-democrazia è estremamente reale e attuale», concorda Moiso: «La storia è infatti piena di esempi di modelli di organizzazione sociale che si credevano stabili e immutabili, e che poi sono crollati nel giro di una notte», come ad esempio l’impero sovietico. «La stessa cosa potrebbe succedere alle democrazie liberali». Effetto-valanga: i “populismi” di oggi svelano che «la società che ha inventato il capitalismo (e ne ha beneficiato più di tutte le altre) sta votando contro il modello politico-economico liberista nato in seno al capitalismo». Così, «molti populismi anti-sistema», anche involontariamente, «stanno proprio favorendo chi è interessato ad una involuzione antidemocratica (o post-democratica) della società»
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Maggiani: paga sempre il popolo (ma il peggio era Hillary)
I giovani americani manifestano contro Donald Trump con una veemenza e una determinazione, e una massa, che almeno qui e noi non vedevamo dai tempi di Fragole e Sangue. Belle facce, bei cuori. Magari, si fossero alzati di buon mattino martedì scorso e si fossero messi in coda ai seggi elettorali con la ferma intenzione di dare il loro voto al nemico del loro nemico, oggi se ne starebbero più sereni loro e il mondo intero, ma sarebbe stato chiedere troppo. La Clinton non l’avrei votata neppure io, che sono vecchio e di certo meno intollerante al tanfo di quando avevo vent’anni. Naturalmente spero che il movimento dei giovani americani abbia in qualche modo fortuna, anche se non so in quale modo potrebbe, Donald Trump è una verità insopprimibile. Per sopprimere Trump bisognerebbe prima sopprimere il popolo americano e l’unico, imperfetto, macchinoso modo che ha a disposizione per porre allo sguardo del potere la verità della sua esistenza, la verità dei suoi problemi, la verità della dignità che gli spetta, il sistema elettorale.La signora Clinton invece è una menzogna, l’ultima menzogna di un sistema politico, universale, pervertito in una maschera di sardonico cinismo, e definitivamente, universalmente, fuori corso. La verità è che i giovani americani innalzando i loro cori contro un presidente sessista, volgare e autoritario stanno intraprendendo una battaglia di retroguardia; e Dio sa quanto ci scoccia ammetterlo, ma ora questo sono i diritti civili. La battaglia d’avanguardia la fa la commessa a 900 dollari al mese per un salario decente, e se la commessa è lesbica, il suo primo bisogno è di nutrirsi e vestirsi e curarsi decentemente e il secondo, se vorrà, di sposarsi. Infatti sposarsi può ormai farlo dove vuole, ma un salario decente non è disposto a concederglielo nessuno. E non risulta un movimento giovanile a sostegno della lotta alla povertà, né picchetti di studenti ai cancelli delle fabbriche in serrata o tra i filari di granturco o nei magazzini dell’e-commerce.La battaglia d’avanguardia ha promesso di farla Donald Trump, ed è paradossale che gliela sia stata regalata, visto che è il meno attendibile in proposito, ma è ancora una verità. La verità che la signora Clinton scrive alla sua assistente in una mail spiattellata da Wikileaks: “sono lontana dalla gente, aiuto le banche a crescere”. Prima di prendere a odiare Trump, la commessa da 900 dollari ha sotto mano chi odiare con tutte le forze, compresa quella unica che ancora le è riconosciuta, la forza del voto. Sappiamo che quando il popolo si prende la briga di decidere finisce quasi sempre per sbagliare, ma è certo che paga sempre e unicamente il popolo. Ovunque.(Maurizio Maggiani, “Trump e Clinton”, da “Il Secolo XIX” del 13 novembre 2016, articolo ripreso dal sito ufficiale di Maggiani).I giovani americani manifestano contro Donald Trump con una veemenza e una determinazione, e una massa, che almeno qui e noi non vedevamo dai tempi di Fragole e Sangue. Belle facce, bei cuori. Magari, si fossero alzati di buon mattino martedì scorso e si fossero messi in coda ai seggi elettorali con la ferma intenzione di dare il loro voto al nemico del loro nemico, oggi se ne starebbero più sereni loro e il mondo intero, ma sarebbe stato chiedere troppo. La Clinton non l’avrei votata neppure io, che sono vecchio e di certo meno intollerante al tanfo di quando avevo vent’anni. Naturalmente spero che il movimento dei giovani americani abbia in qualche modo fortuna, anche se non so in quale modo potrebbe, Donald Trump è una verità insopprimibile. Per sopprimere Trump bisognerebbe prima sopprimere il popolo americano e l’unico, imperfetto, macchinoso modo che ha a disposizione per porre allo sguardo del potere la verità della sua esistenza, la verità dei suoi problemi, la verità della dignità che gli spetta, il sistema elettorale.