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Pallante: come salvarci dalla catastrofe globale della crescita
Così tenero, che si taglia con un grissino. Peccato che non si sia mai visto, in natura, un pesce che abbia la consistenza del budino. Eppure ha funzionato, la celebre pubblicità del tonno, perché viviamo in un mondo virtuale, inventato di sana pianta, plasmato da un pensiero “magico”: non valgono più le regole dell’universo, ma quelle fabbricate dalla neolingua della manipolazione. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Summa Symbolica”. La tesi: il 90% delle nostre azioni è sapientemente pilotato, a nostra insaputa. In altri termini, lo dimostra anche Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita: il linguaggio comune trasforma i difetti in virtù, presenta i problemi come soluzioni. E’ un inganno, un trucco al quale abbocchiamo regolarmente, quando pensiamo che sia desiderabile (magari perché “si taglia con un grissino”) il cosiddetto “sviluppo sostenibile”. Un ossimoro: se lo sviluppo non è fisiologico – cioè a termine, come quello di un bambino o di una pianta – è qualcosa che fa male, che sega il ramo sul quale stiamo appollaiati. La parola “sviluppo” è diventata surreale, come il celebre tonno. E’ ormai sinonimo di crescita illimitata, innaturale, cancerogena. Abbellirla con l’ipocrita aggettivo “sostenibile” significa solo prolungare il decorso del male: morte lenta.L’unica terapia? Fermare la crescita tumorale delle merci. Serve qualcosa di enorme, paragonabile alla Rivoluzione Industriale, ma di segno opposto. Valori da capovolgere: il “tanto-avere” è il grande nemico del “ben-essere”. Nel suo ultimo saggio, che definisce “un manifesto politico e culturale”, Pallante denuncia il capitalismo industriale degli ultimi 250 anni. Una forza tellurica eversiva, segnalata da Marx come pericolo: se prima il denaro era solo un mezzo per scambiare merci, è diventato l’unico fine dell’intero ciclo economico. E’ Keynes, nel 1931, il primo a parlare di “disoccupazione tecnologica”: scopriamo sempre nuovi sistemi per «risparmiare forza lavoro», senza riuscire a ricollocarla. Succede perché siamo avidi, dice Pallante: riducendo l’orario di lavoro, l’innovazione di processo non comprometterebbe l’occupazione. Al contrario: sarebbero le macchine a lavorare per noi. Il guaio? Il nostro obiettivo non è vivere bene, in armonia con gli altri e con il pianeta. Vogliamo solo avere tanti soldi, costi quel che costi. Alle conseguenze, semplicemente, non pensiamo: la guerra sociale, la predazione globale delle risorse, il collasso della biosfera. Il paziente è grave: consuma più di quanto la Terra possa dargli. Ogni anno la “deadline” si accorcia: prima del Duemila la linea rossa veniva superata a ottobre, poi a settembre. Ora siamo “in riserva”, ogni anno, già dal mese di luglio.Non ci vuole un indovino per intuire che di questo passo andremo a sbattere. L’emissione di anidride carbonica non smaltibile dalla fotosintesi vegetale è quasi raddoppiata, sugli oceani galleggiano “continenti” di plastica, il pesce s’è dimezzato, il clima terrestre sta per raggiungere i 2 gradi sopra la soglia di sicurezza. E non abbiamo ancora visto niente: si calcola che interi paesi, come il Bangladesh, saranno sommersi. Noi che facciamo? Niente. Anzi, peggio: acceleriamo la corsa verso lo schianto. La globalizzazione violenta del mercato, dice Pallante, riproduce su scala mondiale quanto avvenne con la Rivoluzione Industriale: masse ingenti di contadini e artigiani sradicate dai loro territori e trasformate in folle di profughi economici. Obiettivo: accrescere la platea dei consumatori di merci superflue. Esaurite le capacità dell’Occidente, si punta al resto del mondo. Interi continenti da depredare di materie prime a basso costo, attraverso guerre coloniali permanenti. Decine di paesi devastati, dai quali non resta che scappare. Il sistema li accoglie a braccia aperte, i migranti che ha messo in fuga: diventeranno nuovi consumatori e contribuenti, in termini di tasse e versamenti pensionistici, senza contare il loro sfruttamento schiavistico e il business criminale che specula sull’accoglienza, mortificando la solidarietà di migliaia di volontari.Proprio la mano tesa, offerta ai rifugiati, rivela che la vittoria del mostro (da noi stessi alimentato ogni giorno) non è ancora definitiva. Sopravvivono religioni, cresce a vista d’occhio la fame di spiritualità. In modo spesso confuso, si va in cerca di valori. «Nelle società che hanno finalizzato l’economia alla crescita della produzione di merci e appiattito gli esseri umani sulla dimensione materialistica – scrive Pallante – la valorizzazione della dimensione spirituale è un atto di disobbedienza civile». Consente di recuperare la solidarierà «non solo tra gli esseri umani, ma tra tutti i viventi», e arricchisce la pulsione all’uguaglianza di un profilo anche esistenziale. Cosa manca? Una politica, capace di aggregare milioni di individui per invertire il corso degli eventi, scongiurando la catastrofe. Destra e sinistra? Un lungo equivoco. E’ lo stesso Hayek, nume tutelare dei criminali architetti dell’austerity europea, a chiarire che il liberalismo non è stato conservatore, ma rivoluzionario. La sinistra ha arrancato dietro al capitale, cercando solo di distribuirne i profitti in modo più largo. Ma, secondo Pallante, persino l’ossigeno del deficit teorizzato da Keynes è controproducente: siamo al punto in cui – come predetto dal Club di Roma, cioè dal Mit di Boston – ogni espansione dei consumi ci accorcerebbe ulteriormente la vita.Come se ne esce? In un solo modo: tagliando il Pil. Decrescita infelice? No: selettiva. Nel mirino, gli sprechi. Non la barzelletta delle auto blu, ma cifre spaventose, che valgono intere finanziarie: la sola riconversione ecologica degli edifici farebbe crollare di 2/3 la spesa energetica nazionale, creando un oceano di posti di lavoro (utili) e abbattendo in modo vertiginoso l’impatto ambientale. Nel gelido Nord Europa c’è chi vive in “case passive” tecnologicamente avanzate, senza riscaldamento convenzionale, a emissioni zero. Noi invece siamo ancora impelagati nelle guerre geopolitiche per i gasdotti, come se vivessimo all’inizio del ‘900. Le ultime elezioni italiane hanno rottamato la vecchia politica e in particolare la sinistra? Ovvio: proprio la sinistra ha abbandonato i territori che storicamente si era candidata a tutelare. In ordine sparso, si va organizzando localmente un arcipelago di comunità fondate sulle filiere corte, ancora senza rappresentanza istituzionale. Riuscirà a nascere un partito che punti alla sostenibilità dell’economia, anziché all’impossibile “sviluppo sostenibile”? Matematica: benché “sostenibile”, cioè con minor impatto immediato sull’ecosistema, qualsisasi “sviluppo” (crescita illimitata) diventa comunque insostenibile alla distanza, perché farà crescere consumi superflui e veleni.«E’ l’equivoco delle rinnovabili: sono meno impattanti oggi, ma quell’energia “verde” aggraverà il bilancio ecologico domani, se ci sarà ancora “sviluppo”». L’alternativa? Vivere benissimo e diventare tutti ricchissimi: non per forza di denaro, ma di beni (prodotti con “valore d’uso”, anziché merci “usa e getta”). Nel suo libro – densamente argomentato e documentato, numeri alla mano – Pallante ammette che il suo pensiero è necessariamente eretico, di fronte al non-pensiero del “mercato”. «La decrescita selettiva degli sprechi – insiste – è l’unica via d’uscita a una crisi che da troppo tempo genera problemi al sistema economico e sofferenze umane gravissime». Mentre la disoccupazione ci devasta, nessuno mette in cantiere le attività utili, quelle adatte ad affrontare la crisi sociale e l’emergenza ambientale. «Una società che non fa lavorare chi vorrebbe farlo e non commissiona i lavori più necessari, che ripagherebbero i loro costi con i risparmi che consentono di ottenere, è profondamente malata. E la sua malattia è causata dalla diffusione dell’idea assurda che lo scopo dell’economia sia la crescita del Pil. Prima ce ne liberiamo e meglio sarà».Inutile spiegarlo agli oligopolisti del denaro, i ras della finanza che stanno schiantando il pianeta alla velocità della luce. Dovranno essere i molti, non i pochi, a disertare dall’esercito del Pil, additando questo “sviluppo” come il vero nemico di un’umanità ancora intenzionata ad abitare la Terra. E’ in arrivo un cataclisma definitivo o sarà ancora possibile metter mano al nostro destino, fermando la corsa verso il baratro? Dipende da noi, secondo Pallante, che intanto propone di uscire dal grande imbroglio della fiction mainstream. Svegliarsi: rottamare il culto di vocaboli-totem come progresso, modernità e innovazione. Continuare a scambiarli per sinonimi di miglioramento, sostiene, significa restare prigionieri di un inganno saguinoso, ormai esiziale per le sorti della società e del pianeta. Tornare all’antico? Al contrario: «Occorre utilizzare l’enorme patrimonio scientifico e tecnologico delle società industriali», non più per incrementare la produttività e la produzione di merci, ma «per sviluppare le tecnologie che aumentano l’efficienza con cui le risorse della Terra vengono trasformate in beni». Raffinate tecnologie, che riducono gli sprechi, tagliano le emissioni e recuperano i rifiuti.Oggi, insiste Pallante, difendere la democrazia significa affrontare i problemi creati dalla gobalizzazione: «Occorre porre al centro della politica economica l’autosufficienza alimentare ed energetica». Filiere corte, dall’energia al cibo. Parola d’ordine: «Rilocalizzare tutte le attivitù produttive che rispondono ai bisogni fondamentali della vita e possono essere svolte più vantaggiosamente a livello nazionale che a livello globale». Settori d’impiego teoricamente infiniti: basterebbe «ristrutturare ecologicamente il patrimonio edilizio, rinaturalizzare il paesaggio, ripulire i fiumi, rifare le reti idriche che perdono mediamente il 65% dell’acqua». Solo così, conclude Pallante, si può rianimare l’economia creando lavoro “utile”, che risana l’ecosistema. Serve un nuovo umanesimo, un patto tra comunità consapevoli: «Occorre ridare slancio alla convinzione che il lavoro di ognuno può contribuire in maniera determinante al benessere di tutti», restituendo un futuro ai giovani e alle generazioni a venire. Utopia? Sì, necessaria e urgente. Non c’è più tempo per i sogni, serve una politica operativa basata su un paradigma opposto a quello della crescita, cieca e suicida. Anche perché l’alternativa è già scritta: siamo noi, il famoso tonno da tagliare con un grissino.(Il libro: Maurizio Pallante, “Sostenibilità equità solidarietà”, sottotitolo “Un manifesto politico e culturale”, Lindau, 185 pagine, 16 euro).Così tenero, che si taglia con un grissino. Peccato che non si sia mai visto, in natura, un pesce che abbia la consistenza del budino. Eppure ha funzionato, la celebre pubblicità del tonno, perché viviamo in un mondo virtuale, inventato di sana pianta, plasmato da un pensiero “magico”: non valgono più le regole dell’universo, ma quelle fabbricate dalla neolingua della manipolazione. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Summa Symbolica”. La tesi: il 90% delle nostre azioni è sapientemente pilotato, a nostra insaputa. In altri termini, lo dimostra anche Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita: il linguaggio comune trasforma i difetti in virtù, presenta i problemi come soluzioni. E’ un inganno, un trucco al quale abbocchiamo regolarmente, quando pensiamo che sia desiderabile (magari perché “si taglia con un grissino”) il cosiddetto “sviluppo sostenibile”. Un ossimoro: se lo sviluppo non è fisiologico – cioè a termine, come quello di un bambino o di una pianta – è qualcosa che fa male, che sega il ramo sul quale stiamo appollaiati. La parola “sviluppo” è diventata surreale, come il celebre tonno. E’ ormai sinonimo di crescita illimitata, innaturale, cancerogena. Abbellirla con l’ipocrita aggettivo “sostenibile” significa solo prolungare il decorso del male: morte lenta.
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Della Luna: noi e il cantiere (zootecnico) del pensiero unico
Gigantesco, industrioso, immane. E’ uno dei più cospicui fenomeni del nostro tempo. Marco Della Luna lo chiama: il cantiere del pensiero unico globalizzato. Ci sono committenti, architetti, sacerdoti e guardiani. Rendono prevedibili e pilotabili i comportamenti sociali nel mondo super-accelerato e conflittuale in cui viviamo. Manovrando l’industria culturale (entertainment compreso), il capitalismo finanziario «ha creato un’ortodossia, un pensiero obbligato, mainstream, scientifically correct». Uno strumento che, di qualsiasi cosa parli, «delegittima, isola o criminalizza – cioè praticamente scomunica, espelle dalla società conformata – non solo il pensiero divergente dall’ortodossia, ma la stessa libera indagine scientifica, economica e storiografica». Missione titanica: plasmare la società, cioè noi. Usa la storia e l’economia, l’integrazione europea e l’euro, l’immigrazione e l’Islam, le diversità etniche e l’identità sessuale, e da ultimo «le asserite efficacia e innocuità dei vaccini obbligatori». Su queste cose, sottolinea Della Luna, sono state costruiti “protected beliefs”, credenze protette dal dogma. E guai a chi sgarra: per i trasgressori c’è l’isolamento, la punzione economica, persino il carcere.Il dissenso rispetto all’ortodossia, e la stessa libera indagine scientifica e storica di quelle credenze, scrive Della Luna nel suo blog, sono atteggiamenti inammissibili, «sanzionati con la delegittimazione morale, il boicottaggio della carriera, la discriminazione amministrativa, l’esclusione dei media, dall’insegnamento, dall’editoria, quando non anche da conseguenze penali». I dati di fatto smentiscono l’ortodossia? Non importa: «Vengono taciuti all’opinione pubblica, soprattutto nei campi chiave per l’orientamento del pensiero e della sensibilità collettivi, della concezione generale della realtà, del consenso politico, della legislazione e della giurisdizione». Anche la ricerca scientifica è «condizionata, limitata e incanalata attraverso il controllo finanziario della stampa specialistica, delle università, della ricerca, dell’editoria». Per Della Luna, avvocato e saggista, si è così ottenuta una sostanziale limitazione della libertà di ricerca, di insegnamento, di informazione pubblica – limitazione che, di fatto, «previene grande parte del possibile dissenso». Attenzione: «L’imposizione di un’ortodossia è incompatibile con la scienza, perché la scienza procede proprio per continua revisione, verificazione, falsificazione, ed è incompatibile con l’indiscutibilità». Dunque, l’ortodossia «serve a proteggere dal controllo scientifico le credenze che sostengono posizioni di privilegio e sfruttamento».E’ un sistema basato sul dominio, con i suoi guardiani: «Le posizioni politiche che mettono in luce e contestano il trend di progressivo trasferimento dei redditi e della ricchezza dai lavoratori alla finanza improduttiva – scrive Della Luna – sono tutte etichettate, dalla grande comunicazione, come populiste-estremiste, se non peggio», mentre sono definiti “di sinistra” partiti come il Pd in Italia, che «difendono la concentrazione dei redditi e del potere politico nelle mani dei grandi banchieri, quando non sono addirittura diretti da figli di banchieri molto discutibili o addirittura incriminati». Secondo Della Luna, «l’uomo non è una grande risorsa per i suoi ideali di giustizia, verità, libertà: pur di non guardare in faccia la realtà e non doversi addossare responsabilità, la maggior parte della gente adotta credenze assurde e rinuncia alla libertà, arrivando a pagare, a stordirsi, a compiere cose degradanti». C’è chi vorrebbe suscitare un movimento rivoluzionario e moralizzatore? Vorrebbe puntare sulla diffusione della conoscenza, illuminando decisivi aspetti della realtà? Tutte illusioni, sostiene il pessimista Della Luna.Siamo tornati all’antico potere sacerdotale, avverte il saggista: «I cleri di molte civiltà si arricchivano e acquisivano potere politico facendo credere al popolo che, per far sì che gli dèi mandassero la pioggia e proteggessero dalle pestilenze e dalle carestie, bisognasse fare grandi donazioni in sacrificio ai templi e obbedire ai grandi sacerdoti». Oggi, afferma Della Luna, svolge una funzione analoga «la credenza istituzionalizzata (cioè la religione) della scarsità della moneta e della indispensabilità per gli Stati di indebitarsi per finanziarsi». Nel saggio “Pensare altrimenti”, il filosofo Diego Fusaro scrive che il capitalismo finanziario, per realizzare il proprio sistema di profitto, ha necessità di farsi pensiero totalitario, unico, quindi di eliminare ogni identità umana differenziale e ogni valore diverso da quelli di scambio, così come ogni vincolo morale, comunitario, etnico, culturale e spirituale, insieme a ogni concezione alternativa dell’uomo e dell’ordinamento esistente, perché ostacolerebbero la “onnimercificazione” e la immediatezza del business.Il nuovo business, aggiunge Fusaro, vuole che ogni qualità sia riducibile a quantità, e che tutto e tutti siano costantemente disponibili on line per le operazioni di mercato (e di sorveglianza), in un processo di omogeneizzazione e riduzione del qualitativo al quantitativo che ammette solo i flussi di scambio, non i soggetti che se li scambiano. Questo produce un effetto ultimamente entropizzante e mortifero, cioè nullificante: «Illumina l’accostamento che Fusaro fa di questo processo all’avanzare del Nulla che divora il fantastico mondo del famoso film “La storia infinita”», annota Della Luna. Per compiere questa eliminazione, soprattutto nei cosiddetti “gloriosi 30” (i decenni della grande crescita e redistribuzione economica «apparentemente democratica»), il sistema ha sviluppato in modo pianificato «la demolizione della consapevolezza di classe attraverso il consumismo: col quale le classi subalterne hanno assimilato i valori di quelle dominanti e si sono moralmente neutralizzate nonché politicamente castrate».Al contempo, ha prodotto la relativizzazione e l’inversione dei valori e delle istituzioni tradizionali, «assieme a un complesso processo di censura e “tabuizzazione del dissenso”, del pensiero diverso (circa le cose che contano, soprattutto degli scopi dell’esistenza) e delle stesse parole che servono per esprimere la critica al capitalismo finanziario». Imperialismo, colonialismo, plutocrazia, conflitto servi-padroni: «Sono vocaboli fondamentali per rappresentarsi le operazioni e le realtà del nostro mondo», in cui le guerre di conquista per il petrolio e le altre risorse, e per l’imposizione del dollaro come moneta obbligata degli scambi di materie prime, «vengono legittimate come esportazione della democrazia, lotta al terrorismo e tutela dei diritti dell’uomo». Parole necessarie, continua Della Luna, e quindi «tolte dalla comunicazione per l’opinione pubblica, e sostituite con altre parole opportunamente scelte». E’ la “neolingua” orwelliana: invertire il significato delle parole, restringere il lessico per ridurre i concetti e produrre così il consenso al sistema. Lo si ottiene, oggi, con il lancio mirato di milioni di email e tweet, nonché «campagne di criminalizzazione, di allarmismo, di ottimismo» dirette a manipolare la mente e il comportamento collettivo, in ambito politico e finanziario.«Con quest’arma ci si può liberare di intellettuali dissenzienti e delle loro idee o rivelazioni, come pure di concorrenti commerciali e politici, creando l’apparenza che la società stessa, democraticamente, li condanni o ne diffidi, mentre si tratta dell’attacco di un singolo soggetto, moltiplicato per milioni mediante strumenti tecnologici». Così per tutto. La ricerca scientifica? Vincolata ai finanziamenti del capitalismo privato e del settore militare. Conseguenze: «note e terribili, nei campi sanitario e alimentare». E l’ideologia gender, introdotta sin dal ‘96 anche attraverso l’Ue? «Persino dati di fatto biologici, come la dualità dei sessi, vengono negati e “tabuizzati” in quanto dati di natura, immodificabili, e convertiti in convenzioni-costruzioni volontarie, ossia in prodotti, così da creare il mercato dei trattamenti per sviluppare un gender», ovvero: «Trattamenti ormonali per sospendere la sessuazione nei fanciulli rinviandola a quando potranno scegliere se diventare maschi o femmine», e anche «condizionamenti psicologici per indurre identificazioni e prassi di “gender” divergenti dall’appartenenza sessuale biologica».La “destra del capitale” (come la chiama Fusaro), si serve di una censoria “sinistra del costume” (ottusa o mercenaria) che è stata allocata negli spazi e gli organi “culturali” (sovrastruttura) per oscurare, delegittimare, criminalizzare e attaccare, talvolta persino con la violenza fisica, i critici strutturali del modello capitalista, vantandosi “antifascista” «ma di fatto esercitando, in modo tipicamente fascista, la proscrizione e repressione dei critici del sistema, senza confronto nel merito ma semplicemente mediante accuse di immoralità, estremismo, populismo o irrazionalismo, nonché di fake news». Non sempre funziona: le elezioni del 4 marzo 2018 – aggiunge Della Luna – hanno dimostrato che larga parte dell’elettorato ha rigettato la propaganda istituzionale pro-immigrazione e pro-eurocrazia. Nei suoi saggi, l’autore demistifica soprattutto i dogmi fondanti del sistema capitalistico, della sua legittimazione giuridica e del consenso che lo sostiene: scarsità-costosità della moneta, efficienza-esistenza del libero mercato, “virtuosità” della spesa pubblica e della riduzione dei debiti nazionali (mediamente cresciuti, non calati, proprio per effetto del rigore fiscale Ue). «Ma siccome queste sono una credenza protetta, non possono essere messe a confronto col loro fallimento di fatto».In grande maggioranza, sostiene Fusaro citando Etienne de la Boétie, la popolazione tende ad adattarsi cognitivamente, moralmente ed emotivamente allo stato di fatto della realtà, ai rapporti di potere effettivi, «perché pensare l’ingiustizia del potere che si subisce rende il subirla più afflittivo e tormentoso, senza apportare vantaggi». In altre parole: meglio non guardarla in faccia, una realtà così orrenda. L’industria culturale del capitalismo finanziario aiuta, eccome, a non aprire gli occhi: agisce «analogamente ma assai più efficacemente di ogni altro totalitarismo precedente, teocratico, comunista o fascista che fosse». Ha costruito e imposto una sua ortodossia, ha fabbricato un consenso, una legittimazione democratico-giuridica. E ha ottenuto che il “logos” dissenziente, cioè la consapevolezza dell’ingiustizia (dell’illogicità e dell’infelicità provocata dal sistema in atto, e della progettabilità di sistemi diversi) possa circolare solo tra pochi intellettuali indipendenti, marginali al potere, senza poter alimentare un movimento politico consistente ed efficace. Quand’anche, aggiunge Della Luna, non si andrebbe oltre qualche piccolo attrito, «perché la capacità repressiva del sistema, col suo apparato mediatico-militare-istituzionale, è immensa».Del resto, «la quota di potere reale messa in gioco nelle votazioni popolari è minima». Chi vota, può decidere pochissime cose. Della Luna l’ha spiegato in saggi come “Oligarchia per popoli superflui” e “Oltre l’agonia”: il pensiero unico è pervasivo, fortissimo. «E’ di gran lunga più capace che ogni altro sistema di legare a sé le persone, le aziende, i governi», proprio perché «più di ogni altro sistema produce e distribuisce mezzi monetari», che sono «il motivatore universale», e lo fa «con operazioni contabili che indebitano verso di esso, con interesse composto, le persone, le aziende, i governi (denaro-debito)». E quindi, nel finanziare il corpo sociale – cioè nel dargli volta per volta il denaro di cui questo necessita per funzionare – al contempo lo indebita verso di sé, creandogli la necessità di prendere ulteriore denaro a prestito (il cosiddetto “debito infinito”, i cui leader sono i produttori della moneta, cioè i vertici del sistema finanziario). «E’ un fattore matematico ineliminabile. E questa dipendenza è divenuta non solo economica, nel tempo, ma anche politica». Il vertice finanziario emana le direttive e detta le leggi: è il fondamento del potere politico. L’attività strategica dei “produttori di denaro”, insiste Della Luna, rappresenta «il core business del settore bancario», che opprime le nazioni indebitate.«Siamo evidentemente in presenza di un piano politico di lungo termine, ovviamente non dichiarato e non proposto al pubblico dibattito né menzionato o menzionabile nei programmi elettorali dei partiti politici». Per Della Luna, è in corso da decenni «un piano di indebitamento progressivo a fine di potere politico e di esautorazione delle istituzioni pubbliche». Si basa sul fatto che gli utenti del credito (cittadini, aziende, amministratori, politici) si accontentano di risolvere il problema finanziario immediato ottenendo un nuovo finanziamento, senza considerare «l’effetto cumulativo macroeconomico del finanziarsi ripetutamente a credito nel lungo e lunghissimo periodo». Ed è proprio questo l’obiettivo dell’operazione. Il piano «viene nascosto, dai suoi stessi esecutori, dietro i precetti della lotta al debito pubblico, dell’avanzo primario e della “virtuosità” di bilancio – precetti la cui applicazione ha infatti aumentato l’indebitamento pubblico verso la comunità bancaria internazionale, come volevano i loro fautori». Indebitamento che, su scala mondiale, supera i 260.000 miliardi di dollari. In Europa, un muro insormontabile grazie alla moneta unica (Della Luna ne parla in “Cimiteuro”, “Euroschiavi”, “La moneta copernicana”).E’ il “social control”, sintetizza Della Luna, il vero obiettivo di fondo dell’oligarchia finanziaria globale. Il profitto monetario? «E’ solo uno strumento», benché formidabile e con volumi mostruosi. Invece, «gestire un mondo in preda a squilibri e conflitti crescenti è molto più impegnativo». Secondo l’analista, questo richiede il passaggio già in corso: «Dalla società finanziarizzata alla società amministrata zootecnicamente». E’ drastico, Della Luna: «All’atto pratico – scrive – lo spazio di libertà degli uomini è sempre stato proporzionale alla loro capacità fisica e mentale di conquistarselo e difenderlo, ossia di resistere alla tendenza a controllarli e sfruttarli da parte del potere costituito». La libertà individuale? Non è altro che «un rapporto tra la forza di controllo dall’alto e quella di resistenza ad essa dal basso». Oggi, conclude, la tecnologia sta moltiplicando la prima rispetto alla seconda. In ogni campo: dalla comunicazione all’elettronica, della biochimica alla manipolazione genetica per via farmacologica. Contiamo sempre meno, saremo sempre più in gabbia. Zootecnia, appunto: «Gli spazi di libertà vanno ad azzerarsi».Gigantesco, industrioso, immane. E’ uno dei più cospicui fenomeni del nostro tempo. Marco Della Luna lo chiama: il cantiere del pensiero unico globalizzato. Ci sono committenti, architetti, sacerdoti e guardiani. Rendono prevedibili e pilotabili i comportamenti sociali nel mondo super-accelerato e conflittuale in cui viviamo. Manovrando l’industria culturale (entertainment compreso), il capitalismo finanziario «ha creato un’ortodossia, un pensiero obbligato, mainstream, scientifically correct». Uno strumento che, di qualsiasi cosa parli, «delegittima, isola o criminalizza – cioè praticamente scomunica, espelle dalla società conformata – non solo il pensiero divergente dall’ortodossia, ma la stessa libera indagine scientifica, economica e storiografica». Missione titanica: plasmare la società, cioè noi. Usa la storia e l’economia, l’integrazione europea e l’euro, l’immigrazione e l’Islam, le diversità etniche e l’identità sessuale, e da ultimo «le asserite efficacia e innocuità dei vaccini obbligatori». Su queste cose, sottolinea Della Luna, sono state costruiti “protected beliefs”, credenze protette dal dogma. E guai a chi sgarra: per i trasgressori c’è l’isolamento, la punzione economica, persino il carcere.
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Eresia verde: l’ultima ideologia vincente prima del liberismo
Un mondo più pulito, e quindi più giusto. In una parola: più verde. Erano gli anni ‘80, e il nuovissimo radicalismo ecologista del “Sole che ride”, di matrice scandinava, poteva sembrare un lusso. Era una suggestione “da tempo di pace”, inoculata come un virus benefico in un sistema disordinato e molto inquinato eppure in costante crescita, fondato su un consumismo di massa sempre più condiviso, grazie al famoso ascensore sociale funzionante nella vituperata Prima Repubblica, la società consociativa governata da industriali e vescovi, partiti e sindacati. Superata la lunghissima stagione dell’estremismo, delle bombe e del brigatismo, restava la mafia in Sicilia a far strage di magistrati, mentre montava l’insofferenza per lo strapotere di una partitocrazia logora, corrotta e clientelare. Ma in quell’Italia, così provata dagli anni di ferro e di piombo che aveva appena attraversato, non c’era spazio per il dominio della paura. Non c’era neppure l’ombra dei fantasmi pre-moderni ora riapparsi: povertà e disoccupazione di massa, l’angoscia della vecchiaia senza pensione e di un futuro senza figli.La Grecia era ancora il paradiso in cui andare in vacanza, non l’inferno di oggi senza medicine per i bambini. Nessun esodo di esseri umani disperati: apostoli come Thomas Sankara lavoravano per un’Africa libera e dignitosa. Finiva in soffitta anche il gelido bullismo delle superpotenze: in accordo con Reagan, l’intrepido Gorbaciov stava per rottamare i suoi famosi missili. Quella italiana era una società relativamente rilassata e tollerante, ottimista e in parte progressista, già divorzista e abortista, non ostile alle provocazioni culturali. Gli intellettuali scrivevano libri, il “Nome della rosa” metteva alla berlina il potere medievale del Vaticano. E un certo Primo Levi prendeva posizione contro i massacri ordinati da Israele in Libano, il martoriatro paese mediorientale dove i soldati del generale Angioni sfilavano tra gli applausi, sui loro carri armati bianchi. Rivista oggi, quell’Italia imperfetta e minata da mali endemici era infinitamente più coesa e meno cinica, più serena e fiduciosa dell’attuale euro-periferia cronicamente depressa.C’è di mezzo un’era glaciale, è vero: senza Internet, le notizie facevano ancora notizia. Il terremoto in Irpinia e il business della camorra, la bomba di Bologna e la strage di Ustica, il bambino finito nel pozzo a Vermicino. Non esisteva Facebook, per gli italiani parlava Renzo Arbore. Minoli intervistava Agnelli, Gianni Minà ospitava De André. Guardava avanti, quell’Italia, verso successi inimmaginabili: una stagione di trionfi per l’economia, gli anni rampanti di Bettino Craxi, il boom del made in Italy. Stupiva il mondo, la penisola dell’Iri, proprio quando l’Inghilterra sprofondava nell’austerity varata dalla Thatcher. C’era già allora chi pensava di sabotarlo, il Belpaese – i medesimi poteri che l’avevano riempito di bombe, seminando il terrore nelle piazze. E c’era chi, al contrario, sperava di correggerne lo sviluppo tumultuoso, bonificandone le scorie. C’era stato un evento epocale, che aveva costretto tutti a fermarsi e pensare. Era saltata in aria un’enorme centrale nucleare sovietica, in Ucraina. Messaggio esplicito: nessuno può sentirsi al riparo; non c’è frontiera che tenga, di fronte a un simile disastro. Retromessaggio: il mondo ormai è strettamente interconnesso. La nube tossica di Chernobyl aveva investito l’intera Europa, ma l’Italia fu l’unico paese ad avere il coraggio di mettere al bando l’energia atomica.Riletto oggi, l’ideologo ecologista Alex Langer potrebbe sembrare un visionario epigono di Gandhi. Nel loro positivismo scientifico fondato sulla fiducia nella ragione, i fisici Gianni Mattioli e Massimo Scalia, primissimi parlamentari verdi, erano altrettanto consapevoli di predicare nel deserto: sapevano che sarebbero stati ignorati e poi derisi, prima di essere ascoltati. Dalla loro avevano una convinzione speciale, oggi estinta: la forza dell’ideologia. Cioè la visione profonda, prospettica, di un mondo diverso. Un pensiero lungo: come sarebbe bello, se la nostra consapevolezza di oggi potesse produrre, domani, una vita migliore – più sicura, più felice, con più diritti. Volevano un paese trasformato, in un pianeta progressivamente ripulito. Erano certi che la missione avrebbe richiesto decenni di duro lavoro, anche oscuro, fatto di studio e di consultazione progressiva con cittadini e territori, italiani e non. Sognavano un mondo “glocal”, i primi Verdi, rifondato secondo il preciso schema operativo riassunto dal loro slogan: pensare globalmente e agire localmente. Non seminavano odio, ma futuro. Non chiedevano di votare “contro”, ma “per”: in palio, secondo loro, poteva esserci un domani diverso e inclusivo, migliore per tutti. Non ha nemici, l’ideologia – solo avversari temporanei, popolo da persuadere, alleati potenziali da conquistare alla causa.Non hanno mai sbancato la lotteria delle elezioni, i Verdi italiani – anzi, col tempo si sono degradati fino a scomparire nell’irrilevanza, tra infime diatribe di potere. Non altrettanto si può dire delle loro idee: grazie a quell’eresia, è stata messa in cassaforte una legislazione scrupolosamente attenta alla tutela dell’ambiente. Una rivoluzione copernicana, tradotta in politica, ha imposto (per legge) un cambio di paradigma, nei confronti dell’ecosistema, dai piani regolatori ai depuratori delle fabbriche e delle città. Poi la cultura “green” è diventata moda, veganesimo chic, persino malaffare (l’opaco business delle rinnovabili). In mano al marketing politico-affaristico, l’ecologismo maninstream s’è fatto dogma, conformismo da pensiero unico, politically correct. Ma intanto la natura è salita in cattedra nelle scuole, e lo splendore dei parchi ha piena cittadinanza, tuttora, in televisione. Potevano sembrare una setta di pazzoidi stravaganti, i discepoli di Langer, quando parlavano di prevenzione sanitaria e sovranità dei territori, qualità della vita e sicurezza alimentare: oggi l’Italia ha norme severissime, in materia, a tutela della genuinità delle filiere corte.E’ la filosofia del biologico, settore sempre più trainante, che ha spinto con successo milioni di giovani verso il ritorno all’agricoltura intelligente, pulita e selettiva. E persino nelle regioni terremotate dell’Italia centrale, ancora ingombre di macerie, è il consumatore della porta accanto a tenere in piedi l’economia del contadino, del piccolo artigiano. Cambiano le stagioni e tramontano i partiti, ma le idee camminano. Se hanno prodotto futuro, lo si vede alla distanza. Chi ne ha subito il fascino, in questi anni, ha condiviso un immaginario fondato su un’estetica, prima ancora che su un’etica: un mondo più verde è innanzitutto più bello. Oggi, i vincitori delle elezioni sono costretti a parlare soltanto di soldi: reddito garantito, meno tasse. Sono misure d’emergenza, richieste dalle circostanze. Siamo infatti tornati al “tempo di guerra”: non c’è più spazio per pensieri lunghi. Eppure, chi poi le guerre le vince per davvero – compresa l’ultima, mondiale – dalla sua parte non ha solo gli arsenali, ha anche e soprattutto un’idea chiara in testa, per il “dopo”. E’ quella, in fondo, che assicura la vittoria. Quella che oggi manca ancora, non a caso, rendendo proibitiva la percezione del futuro.E’ tutto più difficile, nel mondo digitale ultra-globalizzato? Eppure, in teoria, dovrebbe essere più facile far circolare idee, farle attecchire. A latitare è forse l’humus, il fertile terreno su cui coltivarle, dandosi tutto il tempo necessario. Sul piano culturale, l’ultima incarnazione dell’ecologismo nato negli anni ‘80 è stata la teoria economica della “decrescita felice”, sviluppata dall’italiano Maurizio Pallante con il francese Serge Latouche. La loro intuizione, mutuata da Bob Kennedy: alla crescita del Pil non corrisponde affatto quella del benessere. Non c’è stato bisogno di metterla alla prova: a stroncarla ha provveduto la “decrescita infelice” imposta dall’oligarchia europea. Una studiosa come Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, conferma che oggi, grazie alla deformazione strutturale del profitto finanziarizzato, la crescita del Pil non solo non migliora le condizioni del cittadino medio, ma addirittura le peggiora, accrescendo le diseguaglianze. Forse la soluzione non sta nel prodotto interno lordo, crescente o decrescente, ma risiede da tutt’altra parte: nel futuro, nel mondo delle idee.Il brutto film di oggi sembra fatto apposta per oscurarlo in ogni modo, l’avvenire: è un copione dell’orrore a corto raggio, che propone una normalità di sacrifici e sofferenze, terrorismo e guerra. Viviamo in un kolossal, scritto e diretto dal peggiore degli autori: la paura. Un labirinto cieco, che sembra senza uscita. Ma da ogni dedalo c’è sempre una qualche scappatoia – magari verticale, da indovinare alzando gli occhi al cielo. La forza dell’ideologia sta anche nell’universalismo delle idee: se qualcosa è buono qui, dev’esserlo anche altrove. Vale per tutti, ovunque: le idee non hanno nazionalità, ma possono salvare le nazioni. Globalizzare la democrazia, fermando il mostro onnivoro: roba da avanguardisti carbonari. Dicevano, i seguaci di Alex Langer: ma perché mai avvelenarci l’anima, in un paese favoloso (un Eden, per il turismo verde) che detiene la maggior parte dei beni culturali della Terra? Parole spese quarant’anni fa. Qualcuno oggi sa come saremo fra tre anni?(Giorgio Cattaneo, “Eresia verde, l’ultima ideologia vincente prima del neoliberismo”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 marzo 2018).Un mondo più pulito, e quindi più giusto. In una parola: più verde. Erano gli anni ‘80, e il nuovissimo radicalismo ecologista del “Sole che ride”, di matrice scandinava, poteva sembrare un lusso. Era una suggestione “da tempo di pace”, inoculata come un virus benefico in un sistema disordinato e molto inquinato eppure in costante crescita, fondato su un consumismo di massa sempre più condiviso, grazie al famoso ascensore sociale funzionante nella vituperata Prima Repubblica, la società consociativa governata da industriali e vescovi, partiti e sindacati. Superata la lunghissima stagione dell’estremismo, delle bombe e del brigatismo, restava la mafia in Sicilia a far strage di magistrati, mentre montava l’insofferenza per lo strapotere di una partitocrazia logora, corrotta e clientelare. Ma in quell’Italia, così provata dagli anni di ferro e di piombo che aveva appena attraversato, non c’era spazio per il dominio della paura. Non c’era neppure l’ombra dei fantasmi pre-moderni ora riapparsi: povertà e disoccupazione di massa, l’angoscia della vecchiaia senza pensione e di un futuro senza figli.
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Il telefono è in ascolto: sa dove sei, chi incontri e cosa dici
Sono negli Usa. Compro un pacchetto di sigari e pago con carta di credito. Arrivo a casa, apro il pc per iniziare il lavoro quotidiano e mi compare una pubblicità di sigari. Pochi giorni fa vado nel bar di un mio amico che aveva messo in vendita su Internet una cucina da ristorante; mi racconta la sua avventura per vendere queste apparecchiature. Torno a casa, apro il cellulare, e mi compaiono annunci di vendita di cucine da ristorante. Quello che mi ha sorpreso è la rapidità con cui il dato che io avevo fornito col mio acquisto (sigari) è stato elaborato per mandarmi una pubblicità mirata. Il tempo trascorso dall’acquisto all’apertura del pc, infatti, era di circa trenta minuti. Un tempo poco superiore è trascorso nell’intervallo in cui ero a casa del mio amico e il momento in cui mi è comparsa la pubblicità delle cucine. Ora, premetto che pur essendo un complottista convinto, non sono affatto preoccupato che venga tracciato tutto ciò che faccio, vendo, compro, ecc. Quando certi strumenti saranno ancora più invasivi, sarà forse la volta buona che inizieremo a lasciare sempre più spesso a casa i cellulari e solleveremo sempre più lo sguardo dagli schermi dei nostri apparecchi elettronici, per volgerlo all’ambiente attorno a noi o al cielo. Le domande che mi faccio sono due, e di altro tipo.Innanzitutto a me pare che l’analisi dei dati che vengono immagazzinati per dare pubblicità sia sempre più sofisticata e vada molto al di là di quello che ci raccontano. Ci viene detto, infatti, che Google usa decine di indicatori per mandare pubblicità mirate, comprese il luogo in cui siamo. E fin qui ok, lo si può intuire anche dal fatto che ormai quasi tutti i siti ti chiedono “la tua posizione”, quando addirittura non la individuano in automatico. Mi accorgo infatti che se apro il pc in Francia, immediatamente mi compaiono pubblicità in francese; in Usa mi compaiono pubblicità in inglese, e così via. Se faccio una ricerca su Amazon compare in automatico “luogo di spedizione”, seguito dalla nazione in cui mi trovo. A me pare invece che emerga un controllo molto più permeante e globale, che comprende l’analisi immediata e incrociata di tutti i dati possibili, compresi gli acquisti fatti con carta di credito e il luogo specifico in cui ci troviamo (casa, supermercato, indirizzo di un amico, ecc.). Non si tratta, cioè, di un banale (si fa per dire) incrocio di dati, per rilevare la propensione al consumo degli utenti, ma di qualcosa di molto più specifico e permeante.Leggendo gli esempi che pubblichiamo alla fine dell’articolo, si può intuire che questo tipo di controllo comprende anche le cose che vengono dette a voce, e le attività effettuate nel quotidiano che vengono registrate in molti modi. Allora la domanda che mi pongo è: dal momento che esistono da tempo sistemi per monitorare tramite cellulare o pc gli stati d’animo e le emozioni di chi accede alla rete, tali sistemi sono già attivi sui nostri apparecchi elettronici? E in che misura? Il caso Cambridge Analytica ha fatto emergere un fenomeno molto più importante e grave della semplice raccolta di dati per fini politici (cosa di cui nessuno dubitava): è emerso che con i dati in possesso delle società di analisi si può accedere non solo alle caratteristiche, ai gusti, e alle tendenze dei fruitori della Rete, ma anche ai dati che si vorrebbero tenere nascosti (ad esempio si può capire se una persona è sessualmente impotente, se ha la tendenza al tradimento o meno, e ad altri dati che, in teoria, non sono così evidenti). Detto in altre parole, da Internet si può capire non solo ciò che scriviamo di noi, ma anche ciò che non scriviamo.Uno dei motivi per cui sulla maggior parte dei cellulari oggi in circolazione non si può togliere la batteria (una cosa assurda, dal punto di vista commerciale, logico, e pratico) è che rimaniamo connessi (quindi rintracciabili e individuabili) anche quando abbiamo il cellulare spento. Se tutto questo è vero, sorge spontanea un’altra domanda: perché non si utilizzano queste informazioni per la prevenzione alle varie forme di criminalità? Perché non le si utilizzano per fare indagini sempre più sofisticate sui crimini commessi? Il sospetto è che, dato il funzionamento della società, essi vengano utilizzati per commetterli, non per prevenirli o difendersi da esso. Mentre la creazione del diritto alla privacy, come abbiamo sottolineato in un altro articolo, è solo l’ennesima presa in giro di un sistema che fa finta di tutelare i cittadini, e poi usa tali strumenti per diminuirne i diritti anziché aumentarli. Di seguito posto quanto raccontato da persone che conosco. Da notare che cose simili erano capitate anche a me, ma le attribuivo alle cosiddette “coincidenze significative” di Jung. Invece era semplice tecnologia.SG. “Sto cercando una casa in affitto in Appennino e sabato appunto sono andata a fare un giro in una frazione di un paesino che non conoscevo ma che mi avevano detto essere bella. Mi sono fermata nell’unica trattoria della zona e ho chiesto se conoscevano un signore di cui mi avevano dato solo il soprannome dicendomi che affittava una casa molto carina. Quindi mi fermo a parlare con due o tre persone locali e ottengo il num di tel di questo signore. Bene, il giorno dopo, cioè ieri, sulla mia bacheca Fb mi si aprono come al solito le finestrine: persone che potresti conoscere” e tra di loro chi era il primo? Uno di quei tipi con cui ho parlato neanche 5 min in quella trattoria con cui non ci siamo nemmeno presentati e non ci siamo scambiati nessun numero o dato!!! Come mai succede questo?? Hanno rilevato la posizione?? Scusate l’ignoranza ma a me ha fatto un po’ impressione!!!”.MG: “Mi è capitato solo di scrivere il nome di una marca su Messenger, parlando con un’amica e mi sono ritrovata pubblicità di quella marca su Fb e Google…”.VN: “Una ragazza leggeva la storia del “piccolo principe” a suo nipote. Non aveva cercato nulla a riguardo online, e nemmeno su Google. Solo con la voce, e leggendo, raccontava il “piccolo principe”. Ebbene, dopo qualche giorno, le appare su Fb un’inserzione pubblicitaria che sponsorizzava gadget e agendine del suddetto racconto. Non si tratta solo di ricerche che noi stessi facciamo online, ma anche dei microfoni e delle fotocamere dei nostri cellulari super tecnologici”.(Paolo Franceschetti, “La pubblicità e il controllo nell’era di Internet”, dal blog “Petali di Loto” del 26 marzo 2018).Sono negli Usa. Compro un pacchetto di sigari e pago con carta di credito. Arrivo a casa, apro il pc per iniziare il lavoro quotidiano e mi compare una pubblicità di sigari. Pochi giorni fa vado nel bar di un mio amico che aveva messo in vendita su Internet una cucina da ristorante; mi racconta la sua avventura per vendere queste apparecchiature. Torno a casa, apro il cellulare, e mi compaiono annunci di vendita di cucine da ristorante. Quello che mi ha sorpreso è la rapidità con cui il dato che io avevo fornito col mio acquisto (sigari) è stato elaborato per mandarmi una pubblicità mirata. Il tempo trascorso dall’acquisto all’apertura del pc, infatti, era di circa trenta minuti. Un tempo poco superiore è trascorso nell’intervallo in cui ero a casa del mio amico e il momento in cui mi è comparsa la pubblicità delle cucine. Ora, premetto che pur essendo un complottista convinto, non sono affatto preoccupato che venga tracciato tutto ciò che faccio, vendo, compro, ecc. Quando certi strumenti saranno ancora più invasivi, sarà forse la volta buona che inizieremo a lasciare sempre più spesso a casa i cellulari e solleveremo sempre più lo sguardo dagli schermi dei nostri apparecchi elettronici, per volgerlo all’ambiente attorno a noi o al cielo. Le domande che mi faccio sono due, e di altro tipo.
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La Cina sa che persino la corruzione fa volare l’economia
La straordinaria crescita della Cina negli ultimi decenni ha generato due tipi di analisi. Una scuola di pensiero ritiene che la Cina sia una potenza economica in ascesa pronta a conquistare il mondo. L’altra, sostiene che l’economia cinese è diventata così distorta da essere destinata a crollare o, almeno, come ha suggerito un ex segretario del Tesoro degli Stati Uniti, “regredire fino a dimezzare”. Entrambe le opinioni sono sbagliate. Per prima cosa, la Cina non è mai stata un’economia normale. Ha registrato una media di tassi di crescita di quasi il 10% per quasi quattro decenni, un record; è la prima nazione in via di sviluppo a diventare una grande potenza. Quindi, perché non potrebbe continuare? Ciò che alcuni ritengono essere le debolezze dell’economia cinese sono state, in effetti, dei punti di forza. La crescita sbilanciata non prova affatto un rischio incombente, tanto quanto un segno di industrializzazione di successo. I livelli di indebitamento in frenata sono un indicatore di sviluppo finanziario piuttosto che una spesa dissoluta. Soprattutto, e curiosamente: la corruzione ha stimolato, non bloccato, la crescita. Almeno finora.La questione centrale non è se la Cina possa continuare a trasgredire o confondere le norme, semmai quanto gli è richiesto di farlo. E ciò, come sempre, dipende dal fatto che il governo cinese possa trovare un equilibrio tra l’intervento statale e le forze di mercato. Il potere autoritario centralizzato ha i suoi pregi, inclusa la capacità – per gli imprenditori che lo “subiscono” – di costringerli a correggere rapidamente la rotta. Ciò ha permesso ai leader cinesi di mettere l’economia su un binario di crescita più sostenibile negli ultimi anni. Il tasso di crescita del prodotto interno lordo è rimbalzato lo scorso anno. I salari sono aumentati. La recente abolizione dei limiti di mandato per i termini della carica di presidente e vicepresidente fornisce al presidente Xi Jinping più tempo e margine per promuovere la sua visione di una Cina prospera, moderna e potente, e con l’aiuto di consulenti fidati: il suo ex zar della corruzione, Wang Qishan, dovrebbe essere nominato vice-presidente e Liu He, vice-capo responsabile dell’economia.Gli scettici sul futuro della Cina di solito indicano il debito in crescita nel paese. In verità si tratta di un aumento abbastanza nella media: superiore a quello della maggior parte delle economie dei mercati emergenti, ma inferiore a quello della maggior parte dei paesi ad alto reddito. Onere al debito della Cina: nella media ma in decisa impennata… Il Fondo Monetario Internazionale ha messo in guardia sul fatto che altre economie che hanno registrato rapporti di indebitamento così rapidamente in aumento – il Brasile e la Corea del Sud qualche decennio fa, e diversi paesi europei più recentemente – alla fine hanno ceduto a una crisi finanziaria. Perché la Cina dovrebbe essere diversa? Una ragione è che non tutto il debito è stato creato uguale. Come alcuni ottimisti osservano, il debito della Cina è pubblico, non privato, il che significa che i rischi sono in gran parte sostenuti dallo Stato. Il prestito viene in gran parte dall’interno, piuttosto che dall’esterno. E nonostante l’aumento dei mutui, le famiglie cinesi hanno un peso del debito complessivo basso rispetto alle loro controparti in giro per il mondo. Nonostante tutta la sua crescita inebriante, il sistema finanziario cinese rimane relativamente semplice, senza l’incubo della cartolarizzazione esotica che ha fatto crollare l’economia americana un decennio fa.Anche il rapporto debito/Pil della Cina – che sembra così preoccupante – è spesso frainteso. Le banche cinesi non servono più solo gli attori statali; ora servono anche il settore privato, in particolare dopo la privatizzazione delle abitazioni di proprietà pubblica alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000 ed hanno creato un ampio mercato immobiliare commerciale. La rapida crescita del credito riflette in gran parte una crescita della finanza, piuttosto che una bolla immobiliare. Secondo i miei calcoli, i prezzi delle proprietà in Cina sono aumentati di sei volte dal 2004. Tuttavia, le transazioni immobiliari non sono incluse nelle valutazioni del prodotto interno lordo. Si dice che la corruzione impedisca la crescita inibendo gli investimenti. Non così in Cina, dove lo Stato controlla le maggiori risorse, come i terreni e l’energia, eppure genera rendimenti più bassi su tali attività di quanto non faccia il settore privato. Privatizzare quelle risorse è stato un inizio di vita sotto il comunismo, e così la corruzione è servita come opportunità di fare successo, consentendo a più attori privati di utilizzare risorse statali dopo aver stretto accordi con i funzionari. Poiché le pratiche di questi attori sono state redditizie, l’economia ne ha tratto beneficio in generale.Alcuni osservatori cinesi temono anche che la rapida crescita della Cina non possa essere sostenuta a meno che il consumo non sostituisca gli investimenti come principale motore dell’economia (il governo cinese sembra d’accordo, o almeno lo afferma.) Sottolineano che mentre gli investimenti rappresentano una quota insolitamente elevata del prodotto interno lordo, il consumo rappresenta una quota insolitamente bassa. Ma dire questo è fraintendere la natura della crescita squilibrata della Cina. La causa principale di questo squilibrio è l’urbanizzazione. Negli ultimi quattro decenni il rapporto di urbanizzazione della Cina è aumentato da meno del 20% a quasi il 60%. Nel processo, i lavoratori delle attività rurali ad alta intensità di lavoro sono passati a lavori industriali ad alta intensità di capitale nelle città. E così, una quota sempre maggiore del reddito nazionale è andata in investimenti. Ma anche i profitti delle imprese sono aumentati, portando a salari più alti, che hanno stimolato i consumi. Il consumo è cresciuto molto più velocemente in Cina che in qualsiasi altra grande economia.(Massimo Bordin, “La corruzione non ha fatto per niente male all’economia cinese”, dal blog “Micidial” del 14 marzo 2018).La straordinaria crescita della Cina negli ultimi decenni ha generato due tipi di analisi. Una scuola di pensiero ritiene che la Cina sia una potenza economica in ascesa pronta a conquistare il mondo. L’altra, sostiene che l’economia cinese è diventata così distorta da essere destinata a crollare o, almeno, come ha suggerito un ex segretario del Tesoro degli Stati Uniti, “regredire fino a dimezzare”. Entrambe le opinioni sono sbagliate. Per prima cosa, la Cina non è mai stata un’economia normale. Ha registrato una media di tassi di crescita di quasi il 10% per quasi quattro decenni, un record; è la prima nazione in via di sviluppo a diventare una grande potenza. Quindi, perché non potrebbe continuare? Ciò che alcuni ritengono essere le debolezze dell’economia cinese sono state, in effetti, dei punti di forza. La crescita sbilanciata non prova affatto un rischio incombente, tanto quanto un segno di industrializzazione di successo. I livelli di indebitamento in frenata sono un indicatore di sviluppo finanziario piuttosto che una spesa dissoluta. Soprattutto, e curiosamente: la corruzione ha stimolato, non bloccato, la crescita. Almeno finora.
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Non basta uscire da Facebook, va chiusa anche WhatsApp
Non è così facile “mollare” Facebook e la sua rete di collegamenti: per uscire dal “radar” del più vasto social network al mondo, infatti, non basta cancellare il proprio profilo. Lo spiega Paolo Magliocco sulla “Stampa”, pensando soprattutto all’esodo di massa che sarebbe in corso: molti utenti sono infatti intenzionati ad abbandonare la piattaforma digitale più diffusa sul pianeta, dopo lo scandalo Cambridge Analytica: i dati di 50 milioni di statunitensi registrati da Facebook sono stati poi utilizzati da una società privata per la campagna elettorale presidenziale del 2016 ch ha incoronato Donald Trump. L’accusa: trasferendo i Big Data, Facebook ha consentito agli uomini reclutati da Steve Bannon di conoscere in anticipo l’orientamento elettorale di milioni di americani, “leggendo” alla perfezione anche il loro profilo psicologico, le loro abitudini, le loro intenzioni e forse anche i loro pensieri più reconditi, neppure ancora espressi. Alcuni utenti di Facebook adesso «hanno scoperto che i dati conservati dal social network sono molto più ampi di quanto immaginato». Dati che infatti «comprendono il registro di telefonate e messaggi di ogni genere, da Messenger a Whatsapp e agli Sms». Il movimento “#deletefacebook” ha raccolto adesioni di persone note, come la cantante Cher, l’industriale Elon Musk (proprietario di Tesla e SpaceX) e il cofondatore di Whatsapp, Brian Acton.Il patron di Facebook, Mark Zuckerberg, ha detto al “New York Times” di non ritenere che ci sia stato un numero significativo di abbandoni di Facebook. Molti siti, aggiunge “La Stampa” hanno intanto spiegato che, in realtà, cancellare il proprio account non è sufficiente per smettere di fornire dati al social network. La canadese “Ctv News” ricorda (pubblicando il contenuto anche su Facebook) che la società di Zuckerberg ha acquisito Instagram nel 2012 e poi i sistemi di messaggistica Cros e Whatsapp, nonché la società per lo sviluppo di realtà virtuale OculusVr e lo stesso Tbh, il social network usato soprattutto dai più giovani. L’amara soerpresa? «I termini per l’uso dei dati e la privacy di queste società permettono lo scambio di dati con Fb», scrive Magliocco. «La società di Zuckerberg, quindi, continuerebbe a raccogliere informazioni sulle persone attraverso queste altre app, se non vengono anch’esse abbandonate». E non è tutto: pure utilizzare il proprio account di Facebook per risparmiare tempo quando ci si iscrive ad altre applicazioni, come Airbnb, «probabilmente mette in collegamento i dati registrati da queste app con il social network». Se si vuole sapere quali siano queste applicazioni “contagiose” si può accedere al loro elenco attraverso il menù “impostazioni”.Inoltre, come ha dimostrato proprio il caso di Cambridge Analytica, i dati possono essere raccolti anche attraverso il collegamento con gli altri, aggiunge la “Stampa”: «Per essere certi che le proprie informazioni siano al sicuro non bisognerebbe essere in contatto con altre persone attraverso applicazioni che, nelle impostazioni usate da queste persone, siano potenzialmente collegate con Facebook». Ma ci vuol altro, per scoraggiare gli utenti di Facebook – ormai 2 miliardi, in tutto il mondo. Il quotidiano torinese cita lo psicanalista Aaron Balick, autore del libro “The Psychodynamics of Social Networking”, intervistato dall’edizione britannica di “Wired”. Per Balick, il problema nel lasciare Facebook sarebbe soprattutto di ordine psicologico: la preoccupazione per la propria privacy non supererebbe ancora la comodità di mantenere rapporti attraverso il social network, perché «a questo punto Facebook è integrato nelle nostre vite di relazione». Come dire: sappiamo di essere in trappola, ma ci restiamo tranquillamente. E pazienza se ogni nostro sospiro viene schedato e tradotto in numeri, a beneficio del marketing o del controllo politico.Non è così facile “mollare” Facebook e la sua rete di collegamenti: per uscire dal “radar” del più vasto social network al mondo, infatti, non basta cancellare il proprio profilo. Lo spiega Paolo Magliocco sulla “Stampa”, pensando soprattutto all’esodo di massa che sarebbe in corso: molti utenti sono infatti intenzionati ad abbandonare la piattaforma digitale più diffusa sul pianeta, dopo lo scandalo Cambridge Analytica: i dati di 50 milioni di statunitensi registrati da Facebook sono stati poi utilizzati da una società privata per la campagna elettorale presidenziale del 2016 ch ha incoronato Donald Trump. L’accusa: trasferendo i Big Data, Facebook ha consentito agli uomini reclutati da Steve Bannon di conoscere in anticipo l’orientamento elettorale di milioni di americani, “leggendo” alla perfezione anche il loro profilo psicologico, le loro abitudini, le loro intenzioni e forse anche i loro pensieri più reconditi, neppure ancora espressi. Alcuni utenti di Facebook adesso «hanno scoperto che i dati conservati dal social network sono molto più ampi di quanto immaginato». Dati che infatti «comprendono il registro di telefonate e messaggi di ogni genere, da Messenger a Whatsapp e agli Sms». Il movimento “#deletefacebook” ha raccolto adesioni di persone note, come la cantante Cher, l’industriale Elon Musk (proprietario di Tesla e SpaceX) e il cofondatore di Whatsapp, Brian Acton.
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Ilaria Bifarini: di rigore si muore. Lo sanno, e così insistono
Pura idozia? No, peggio: è sadismo. Sanno benissimo che i tagli sono una catastrofe, ma insistono col rigore di bilancio: è il loro unico programma, il loro dogma. Lo ricorda la “bocconiana redenta” Ilaria Bifarini, autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa”. «I danni dell’austerity sono noti allo stesso Fmi», scrive, su Twitter. «Il consolidamento del debito aumenta il livello di disoccupazione di lungo termine e il tasso di disuguaglianza. Eppure continuano a prescrivere la stessa letale ricetta». E’ come somministrare un farmaco letale a un paziente moribondo, dichiara l’economista, intervistata da “Lospeciale”. «Le stesse organizzazioni economiche internazionali fautrici della dottrina neoliberista hanno più volte ammesso la fallimentarietà delle loro teorie», premette. «Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale ad esempio, con uno studio del 2016, hanno calcolato gli effetti deleteri delle politiche di austerity in termini di aumento della disoccupazione di lungo periodo e del tasso di disuguaglianza. Eppure, proprio oggi è stato diffuso un working paper dello stesso Fondo Monetario in cui vengono raccomandati ulteriori tagli alla spesa pubblica, in particolare nel settore sanitario, che in Italia ha subito tagli draconiani, raggiungendo livelli considerati allarmanti per la salute pubblica, e nel sistema previdenziale, nonostante la famigerata riforma Fornero».In pratica, si continua con la stessa ricetta – mortale – che ha ridotto il malato in fin di vita. Secondo uno studio della stessa Oxfam, aggiunge Bifarini, «se le misure di austerità continueranno, entro il 2025 l’Europa potrebbe avere da 15 a 25 milioni di poveri in più». Ma il mainstream politico e giornalistico «preferisce ignorare queste verità che trapelano ogni tanto dai documenti ufficiali delle organizzazioni internazionali e propagandare quelli conformi al pensiero unico economico». Nel silenzio generale dei media è uscita questa notizia: è ormai a rischio povertà anche chi lavora, quasi 1 su 8. «La colpa è proprio di questo sistema, che premia la disuguaglianza», spiega Bigarini. «Il futuro ci prospetta una società sempre più polarizzata, con una ristretta cerchia di privilegiati sempre più ricchi e il resto della popolazione, lavoratrice e non, che continuerà a impoverirsi». D’altronde, aggiunge, il fenomeno dei “working poors” è già diffuso in Germania, dove il problema della disoccupazione non è “mostruoso” come in Italia. Eppure, anche in Germania «la deflazione salariale è una colonna portante del modello neoliberista».Inversioni di rotta? Siamo alla vigilia di un cambiamento? Fa pensare, sostiene “Lospeciale”, che il Movimento 5 Stelle oggi parli di natalità e soldi alle coppie con figli: dirlo solo cinque anni fa avrebbe creato polemiche su un presunto “ritorno al fascismo”, in relazione al primitivo welfare nazionalista mussoliniano. «Sicuramente è iniziata una svolta nel sentimento della popolazione», sostiene Ilaria Bifarini, secondo cui il voto del 4 marzo «ha dimostrato la forte volontà e speranza di cambiamento da parte dei cittadini». Politicamente parlando, per l’economista «andrà avanti chi manterrà le promesse e non deluderà gli elettori». E questo, aggiunge, «perché c’è più consapevolezza, anche grazie all’informazione indipendente», che si è progressivamente sviluppata sul web. «Lavoro e famiglia sono senz’altro prioritari: il problema della denatalità non può essere risolto né aggirato con l’accoglienza indiscriminata, ma va affrontato seriamente». Proponendo reddito minimo e Flat Tax, Di Maio e Salvini dimostrano di sapere che occorre dare (o lasciare) più soldi a famiglie e aziende: il contrario dei tagli, che l’Ue – al servizio dei grandi oligopoli globalizzati – continua a raccomandare, fingendo di non conoscene le conseguenze.Pura idozia? No, peggio: è sadismo. Sanno benissimo che i tagli sono una catastrofe, ma insistono col rigore di bilancio: è il loro unico programma, il loro dogma. Lo ricorda la “bocconiana redenta” Ilaria Bifarini, autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa”. «I danni dell’austerity sono noti allo stesso Fmi», scrive, su Twitter. «Il consolidamento del debito aumenta il livello di disoccupazione di lungo termine e il tasso di disuguaglianza. Eppure continuano a prescrivere la stessa letale ricetta». E’ come somministrare un farmaco letale a un paziente moribondo, dichiara l’economista, intervistata da “Lospeciale”. «Le stesse organizzazioni economiche internazionali fautrici della dottrina neoliberista hanno più volte ammesso la fallimentarietà delle loro teorie», premette. «Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale ad esempio, con uno studio del 2016, hanno calcolato gli effetti deleteri delle politiche di austerity in termini di aumento della disoccupazione di lungo periodo e del tasso di disuguaglianza. Eppure, proprio oggi è stato diffuso un working paper dello stesso Fondo Monetario in cui vengono raccomandati ulteriori tagli alla spesa pubblica, in particolare nel settore sanitario, che in Italia ha subito tagli draconiani, raggiungendo livelli considerati allarmanti per la salute pubblica, e nel sistema previdenziale, nonostante la famigerata riforma Fornero».
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Pensioni e maternità, la finanza già ricatta il futuro governo
Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.Solo un cretino può permettersi di non capire il messaggio che viene dai potentati: «No ad un governo euroscettico! No a battere i pugni sul tavolo europeo!». L’attacco alla tutela della maternità – almeno quello! – dovrebbe sollevare lo sdegno dei cattolici italiani, ma è più facile che scompaia la pedofilia nella Chiesa che il kompagno che sbaglia, al secolo Jorge Bergoglio, si ponga in modo fermo e deciso contro la globalizzazione. I cattolici che siedono ai vertici, si sa, vanno pazzi per il Medioevo, e non si faranno scrupolo alcuno a farlo tornare. Dunque, si illude fortemente chi pensa che il cattolicesimo possa offrire una sponda ai naufraghi della globalizzazione, anche se parliamo di milioni di europei. Ci sono infatti miliardi di asiatici e di africani da illudere, là fuori. Tornando all’attacco di BlackRock (capitanato dal Fmi), è superfluo aggiungere che sono tattiche già viste in Russia negli anni Novanta, in Grecia nel 2011 e nel 2015, oppure in Italia, fin dai tempi di Mario Monti. La differenza, non di poco conto, è però che questa volta sappiamo come attaccano. Sappiamo tutti dove vogliono andare a parare, e lo diciamo ancora chiaramente qui, finchè non entra anche nelle zucche più vuote.L’Europa vuole smantellare il welfare state di stampo keynesiano e garantito dalla Costituzione italiana perchè mira a competere con i paesi del terzo mondo in una gara alla produttività completamente priva di senso nel mondo dell’intelligenza artificiale. Si punta ad indebolire ulteriormente i deboli, per renderli ancora più addomesticabili e ricattabili, e sostituibili con altra gleba. L’Europa della Lagarde ricorda la Francia ai tempi di Napoleone, o ancor prima, di Luigi XIV, che si era fissata di incamerare grano da polenta e accumulare oro, mentre nel resto del pianeta i mercanti olandesi e inglesi facevano il bello ed il cattivo tempo con il commercio marittimo. La verità è che l’Europa è vecchia dentro. Malata dei suoi dogmi liberisti – dogmi che persino gli americani stanno rivedendo con sospetto. Nel Vecchio Continente si sta molto meglio che nel resto del mondo solo ed esclusivamente perché ha saputo mettere in piedi un sistema di welfare state. Senza di quello, vivere a Parigi o nel buco del culo di qualche quartiere malfamato di Città del Messico sarà la stessa identica cosa. Ed è a quello a cui puntano, shortando Italia.(Massimo Bordin, “La vendetta dei poteri forti”, dal blog “Micidial” del 26 marzo 2018).Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.
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Dominano l’Ue (e temono l’Italia) i poteri che uccisero Moro
Aldo Moro viene rapito per toglierci sovranità e libertà. Cosa possiamo fare noi ora per riprendercela? Ormai sono passati 40 anni da quel rapimento, e il quadro è chiaro: è molto più facile giudicare le cose del mondo dopo che il tempo ne ha mostrato il senso. Com’era l’Italia fino a quell’anno? In grande fermento, in grande crescita da tutti i punti di vista. Lati positivi e lati negativi, come il clientelismo, la presenza diffusa della malavita nelle regioni meridionali, un certo malaffare. Una classe imprenditoriale di successo, e una politica effervescente, anche se ammalata di clientelismo e di corruzione. Un insieme di partiti e partitini, logge e loggette e ordini religiosi guidava un paese in modo caotico, ma tale da mantenerlo sostanzialmente libero e sovrano. Proprio il fatto che dalla Seconda Guerra Mondiale era emerso un quadro frazionato, e non un potere unico, o una sola influenza straniera, consentiva sufficienti margini di libertà e di sovranità al paese. Influenze americane e inglesi bilanciate da genuine spinte libertarie, da più di una corrente vaticana e dalla forte presenza comunista. In un gioco faticoso ma sostanzialmente positivo per la nostra indipendenza. L’industria, l’economia, la finanza, la cultura e la scienza italiane avevano trovato possibilità di crescita in un lungo periodo di sostanziale indipendenza. C’erano difetti, anche gravi, ma diciamo che il bilancio era positivo.Alcune personalità si erano occupate, pur nella incredibile complicazione del sistema, di mantenere la barra dritta e di non inginocchiarsi ai poteri esterni transnazionali. Alla fine degli anni Settanta, Aldo Moro rappresentava il fulcro di questi delicati equilibri, e ne costituiva una delle principali garanzie. Ma il sistema nazionale indipendente era di ostacolo alle mire di quei poteri che volevano fermare per tempo l’onda di risveglio delle coscienze, e intendevano distruggere i contesti locali e nazionali, per verticalizzare e centralizzare il potere. Prima a livello europeo e poi mondiale. Moro – ma anche altri politici e imprenditori dell’epoca – avevano come faro, come priorità, la sovranità e la libertà del nostro paese, proprio come lezione appresa durante la guerra mondiale. Moro già si opponeva ad un certo modo di avviare l’integrazione europea a sfavore della nostra sovranità, ed era contrario alle pressioni in quel senso. Non fu rapito perché voleva i comunisti al governo, ma perché era il detentore delle chiavi della nostra sovranità, di un certo modo di intendere la politica come senso del dovere. Di un forte limite interno alla corruzione morale della politica e dell’economia. Per questo venne rapito con la messinscena delle Brigate Rosse, da ben altre forze. Forze anti-coscienza e forze lanciate alla distruzione del sistema degli Stati nazionali, per avere a disposizione dei mega-Stati meglio controllabili.Dal giorno del rapimento e poi della morte di Moro abbiamo progressivamente perso sovranità e libertà. Prima è stata favorita una enorme corruzione della politica, per poi denunciarla per portare via insieme alla corruzione anche quella politica che assicura libertà e sovranità. E i lupi che hanno rapito Moro sono ora quelli che a forza, brandendo crisi finanziarie e politiche, ci stanno comunque spingendo nell’ovile di un super-Stato europeo orwelliano. E se alla gente non piace questa deriva, si creano proprio per chi si sta risvegliando nuove formazioni-gabbia politiche che prima si presentano come “liberatori” per poi mostrare rapidamente il loro vero volto di strumento gattopardesco dei soliti, vecchi poteri. Cosa è rimasto dopo 40 anni di una classe politica e di una economia indipendenti e sovrane? Molto poco… Ma sovrana è rimasta la nostra coscienza, che proprio guardando a queste vicende può rafforzarsi e non ripetere gli errori. E può lavorare per una società più giusta e amorosa, partendo dai contesti e dalle azioni intorno a noi.Il potere si rigonfia e si arrocca? Oppure si maschera da movimenti apparentemente nuovi per spingerci comunque a perdere libertà? E allora noi conquistiamo alla nostra coscienza gli spazi del nostro agire quotidiano. Da questo la vera rivoluzione del futuro. Ed ecco una frase illuminante di Moro: «Questo paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non nascerà un nuovo senso del dovere». Ecco, la classe che lo ha sostituito e che ora ha preso il controllo dello Stato e dell’economia sente come dovere solo quello dell’obbedienza a certi poteri. Lo stesso vale anche per chi si appresta ora a sostituirla, che conferma le solite obbedienze a Nato, finanza, poteri mondialisti, multinazionali. Ma il senso del dovere (connesso con la coscienza) esiste, in Italia, ed è in pieno fermento. In tante persone. Speriamo che esca fuori dalla riserva indiana, dai contenitori politici-gabbia in cui lo stanno mettendo per renderlo inefficace. Aiutiamo un sano ed amoroso senso del dovere a evadere da queste gabbie per diventare influente nella società. E’ una operazione difficile, faticosa, spesso controcorrente, ma si può fare!(Fausto Carotenuto, “Aldo Moro viene rapito per toglierci sovranità e libertà”, dal blog “Coscienze in Rete” del 16 marzo 2018).Aldo Moro viene rapito per toglierci sovranità e libertà. Cosa possiamo fare noi ora per riprendercela? Ormai sono passati 40 anni da quel rapimento, e il quadro è chiaro: è molto più facile giudicare le cose del mondo dopo che il tempo ne ha mostrato il senso. Com’era l’Italia fino a quell’anno? In grande fermento, in grande crescita da tutti i punti di vista. Lati positivi e lati negativi, come il clientelismo, la presenza diffusa della malavita nelle regioni meridionali, un certo malaffare. Una classe imprenditoriale di successo, e una politica effervescente, anche se ammalata di clientelismo e di corruzione. Un insieme di partiti e partitini, logge e loggette e ordini religiosi guidava un paese in modo caotico, ma tale da mantenerlo sostanzialmente libero e sovrano. Proprio il fatto che dalla Seconda Guerra Mondiale era emerso un quadro frazionato, e non un potere unico, o una sola influenza straniera, consentiva sufficienti margini di libertà e di sovranità al paese. Influenze americane e inglesi bilanciate da genuine spinte libertarie, da più di una corrente vaticana e dalla forte presenza comunista. In un gioco faticoso ma sostanzialmente positivo per la nostra indipendenza. L’industria, l’economia, la finanza, la cultura e la scienza italiane avevano trovato possibilità di crescita in un lungo periodo di sostanziale indipendenza. C’erano difetti, anche gravi, ma diciamo che il bilancio era positivo.
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Magaldi: cari Di Maio e Salvini, tocca a voi sfidare Bruxelles
Mettete Keynes nei vostri cannoni (politici), e avrete «posti di lavoro, pace sociale e una vastissima platea di consumatori». Si chiama “piena occupazione”: vale più del reddito di cittadinanza o della Flat Tax. Primo passo: inserire il diritto al lavoro nella Costituzione. Obiettivo: non lasciare più a casa nessuno. Un appunto, che Gioele Magaldi segnala ai vincitori del 4 marzo. A proposito: ma perché Salvini e Di Maio non ci dovrebbero provare, a formare un governo? «Se la giochino fino in fondo, la partita: hanno vinto loro. Lo stesso Berlusconi è del tutto propenso a far parte del gioco: non ha mai detto di volersene stare sull’Aventino, come invece il suo amico (e falso nemico) Renzi». Semmai è il Movimento 5 Stelle che ha un po’ paura di lasciarsi contaminare da quello che Beppe Grillo chiamava “lo psiconano”, ma lo stesso Grillo ora ha iniziato a elogiare Salvini. «E’ un incontro politico legittimo e auspicabile, quello tra Lega e 5 Stelle, insieme a chiunque altro ci stia – purché serva a prendere decisioni concrete e urgenti». Per Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”, siamo davanti a un bivio: «Più che i nomi del premier e dei ministri, bisognerà osservare molto bene il programma operativo, gli atti concreti del futuro governo. Bisogna dimostrare subito, al popolo sovrano, che si ha intenzione di cambiare qualcosa».Di Maio e Salvini potrebbero imboccare «una strada coraggiosa, coerente con quello che gli elettori hanno loro chiesto». Ovvero: «Tener ferme certe posizioni rispetto ai gestori di questa Unione Europea e di questa Eurozona». Attenzione: sarebbe davvero un’impresa «titanica, eroica», contro la quale infatti «si stanno già muovendo molte forze per sterilizzare qualunque istanza innovativa». Se Lega e 5 Stelle terranno duro, dice Magaldi, il Movimento Roosevelt (da lui presieduto, con accanto un economista come Nino Galloni) è pronto a fornire supporto, in termini di risorse, idee e know-how. Il punto centrale, ovviamente, è proprio «la volontà politica di inaugurare un nuovo corso». Si può sperare che accada davvero qualcosa di buono? Magaldi “promuove” a pieni voti l’economista Alberto Bagnai, candidato dalla Lega: «Credo sia una delle persone migliori elette in questo Parlamento. E’ vero, aveva profetizzato il crollo dell’Eurozona (che non è crollata), forse mancandogli una completa visione delle forze politiche e metapolitiche, palesi e occulte, che fanno in modo che l’Eurozona perduri, al di là del fallimento economico ben evidenziato da Bagnai». In ogni caso, il professore «è un eccellente post-keynesiano: ha una visione lucida, sa bene in cosa va criticata l’Eurozona e sa demistificare i dogmatismi che hanno puntellato il paradigma neoliberista nella versione europeista, quindi sarebbe senz’altro un eccellente ministro».Magaldi propone un approccio laico e pragmatico, per non sprecare l’esito delle urne e le grandi aspettative espresse dagli elettori. Uno sguardo disincantato, a cominciare dalle nuove presidenze di Camera e Senato. «Un affronto a Berlusconi, la nuova presidenza del Senato? Errore: la Casellati era stata individuata da tempo, ben prima che scoppiasse la pantomima dello scontro con Salvini», rivela Magaldi. «Come al solito, nel “back office” si decidono cose che poi vengono rappresentate in termini teatrali, a beneficio dell’opinione pubblica. L’elezione della Casellati non crea la minima difficoltà a Berlusconi, che ha invece iniziato a mettere “a riposo” alcuni personaggi ormai inadeguati». Elisabetta Casellati è una berlusconiana di ferro, «probabimente anche più gestibile di Paolo Romani». Tutt’altro che sconfitto, il Cavaliere: «Da tempo Forza Italia vuole ringiovanire i testimonial e puntare sulle donne». Le dichiarazioni a caldo contro Salvini? «Solo teatro». La neoeletta, in realtà, era la vera candidata fin dall’inizio. «Credo che gestirà il Senato senza infamia né lode. Del resto il suo predecessore è stato Grasso: non è che queste cariche trasformino i ronzini in purosangue. Semmai – insiste Magaldi – in questo asse tra 5 Stelle e Lega che ha portato all’elezione di Casellati e Fico c’è una chance: declinare un paradigma diverso, nel rapporto con l’Europa e l’economia, riguardo al benessere di milioni di italiani. Vedremo».Certo, «Berlusconi gioca su più tavoli, come al solito». E nel teatrino inscenato dopo la bocciatura di Romani, ampiamente prevista, è riuscito a dire tutto e il contrario di tutto, nel giro di 24 ore. Il Cavaliere «non vuole il “partito unico” del centrodestra, che ormai sarebbe egemonizzato dalla Lega, e adesso giura di fidarsi di Salvini, a cui lascia semmai l’onere del tradimento dell’alleanza». Ma non è neppure quello, il problema: il vero scoglio, per Magaldi, è la disponibilità del Movimento 5 Stelle a convivere con un Berlusconi ancora abbastanza “visibile”, nell’eventuale intesa governativa con il centrodestra. Quanto ai grandi vecchi, l’ultimo passaggio parlamentare ha regalato l’ennesimo minuto di gloria mediatica all’ineffabile Napolitano. «Ha avuto la responsabilità degli ultimi (pessimi) governi italiani, e l’ha scaricata sugli altri – come se lui fosse stato nell’Empireo – ergendosi come al solito ad accusatore che punta il dito, con atteggiamento ierocratico. Ineffabilità e, come al solito, indisponibilità all’autocritica, pur con l’amarezza di aver sbagliato anche lui le previsioni sull’esito delle sue manovre degli anni scorsi».Napolitano? «Un avversario, di cui non condivido nulla», dice Magaldi. «Gli riconosco una grande capacità di durata: è un uomo che ha vissuto sempre per il potere, che ha cambiato mille volte ideologia apparendo sempre granitico nel sostenere le idee che, di volta in volta, cambiava». Gli si può augurare lunga vita, «se non altro per meditare sui suoi tanti errori, sulla sua incorenza e sulle conseguenze così negative, per l’Italia, che il suo operato ha prodotto». Desta comunque ammirazione, aggiunge Magaldi, la sua capacità di stare in scena: «E’ un altro grande teatrante, al pari di Berlusconi. Dietro il teatro, però, c’è una sostanza spregiudicata e indifferente al copione – purché, appunto, ci sia la scena». L’ultima partita persa da Napolitano probabimente si chiama Matteo Renzi: è il vero, grande perdente del 4 marzo. «Si è sconfitto da solo, in modo stolto, con una vocazione al “cupio dissolvi” sin dai tempi del referendum costituzionale: la sua strampalata coerenza non aveva contenuti tali da passare alla storia. E anche dopo – aggiunge Magaldi – ha continuato a insistere su una narrazione astratta, non realistica, del tipo “va tutto bene, madama la marchesa”. E’ stato vittima di se stesso: convinto di aver ben governato, pensava che il popolo italiano avrebbe dovuto riconoscerlo».Certo, i 5 Stelle e la Lega hanno saputo senz’altro convincere un elettorato mobile, che prima aveva creduto nella narrativa renziana. Uno tsunami da cui lo stesso Berlusconi esce fortemente ridimensionato, come “capostipite” dell’infelice Seconda Repubblica, il cui ultimo epigono è stato proprio Renzi. «Con la differenza che Berlusconi ha sette vite (come i gatti) e quindi potrà ancora recitare un ruolo, mentre Renzi subirà un’inevitabile resa dei conti nel Pd». E anche adesso, invece di fare autocritica ammettendo i propri errori, «si propone dinnanzi a tutti come una sorta di bambino malmostoso che si porta via il pallone perché gli hanno segnato troppi goal». Oggi il Pd è fuori gioco «per colpa di Renzi, accecato dalla sventura che lui stesso ha prodotto per insipienza e arroganza». Per dire: poteva giocare di sponda, fin dall’inizio, coi 5 Stelle. E invece manca un leader, nel Pd sequestrato da Renzi, che si è circondato di mezze calzette: «Renzi ha eliminato dei catafalchi, ed è stato il suo unico merito: i “rottamati” erano anche peggio di lui, pur avendo almeno una fisionomia politica». Non resta che il deserto, per ora: «Nessuno in vista, a quanto pare, che sia capace di ergersi sugli altri e tentare una rotta diversa».Un naufragio, quello del centrosinistra, che coinvolge anche i sindacati: «Anacronistica la battaglia sull’articolo 18, che tutela solo chi già lavora». La sfida, oggi, sta nel creare lavoro per chi non ce l’ha: e lo si può fare, insiste Magaldi, costituzionalizzando il diritto al lavoro. «In un mondo che non ha mai prodotto tanta ricchezza come oggi, e che però la gestisce malissimo (mai come oggi è grande il divario tra i pochi ricchi e i moltissimi cittadini in difficoltà economiche) si può tranquillamente rendere costituzionale il diritto al lavoro». Il reddito di cittadinanza? «Una misura che in Italia che si può adottare». Ma il cittadino italiano, aggiunge Magaldi, «deve nascere con il diritto a poter lavorare in base alle proprie capacità». Come? «Bisogna istituire un’alta autorità per la piena occupazione, che in base alla formazione e al talento dirotti i futuri lavoratori in ambito pubblico o privato: nessuno può essere lasciato senza un lavoro». Magaldi ci crede: «Sarebbe una misura rivoluzionaria e al tempo stesso social-liberale, coerente con l’economia di mercato, capace di assicurare prosperità al sistema nel suo complesso». Ottimismo: «Prima o poi vinceremo», scommette Magaldi, che pensa al nuovo partito democratico-progressista, il Pdp, da mettere in campo per fare forza al “cambio di paradigma” a cui già il prossimo governo potrebbe inziare a dare corso, se Di Maio e Salvini avranno il coraggio di non piegarsi agli oligarchi dell’Unione Europea.Mettete Keynes nei vostri cannoni (politici), e avrete «posti di lavoro, pace sociale e una vastissima platea di consumatori». Si chiama “piena occupazione”: vale più del reddito di cittadinanza o della Flat Tax. Primo passo: inserire il diritto al lavoro nella Costituzione. Obiettivo: non lasciare più a casa nessuno. Un appunto, che Gioele Magaldi segnala ai vincitori del 4 marzo. A proposito: ma perché Salvini e Di Maio non ci dovrebbero provare, a formare un governo? «Se la giochino fino in fondo, la partita: hanno vinto loro. Lo stesso Berlusconi è del tutto propenso a far parte del gioco: non ha mai detto di volersene stare sull’Aventino, come invece il suo amico (e falso nemico) Renzi». Semmai è il Movimento 5 Stelle che ha un po’ paura di lasciarsi contaminare da quello che Beppe Grillo chiamava “lo psiconano”, ma lo stesso Grillo ora ha iniziato a elogiare Salvini. «E’ un incontro politico legittimo e auspicabile, quello tra Lega e 5 Stelle, insieme a chiunque altro ci stia – purché serva a prendere decisioni concrete e urgenti». Per Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”, siamo davanti a un bivio: «Più che i nomi del premier e dei ministri, bisognerà osservare molto bene il programma operativo, gli atti concreti del futuro governo. Bisogna dimostrare subito, al popolo sovrano, che si ha intenzione di cambiare qualcosa».
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Attacco alla medicina naturale, criminalizzata come devianza
In questi ultimi tempi stiamo assistendo ad una vera e propria guerra tra la medicina naturale, o naturopatia, e la medicina tradizionale. Una guerra senza esclusione di colpi, che vede da una parte indagati o radiati medici non in linea con le linee del sistema (pensiamo al recente caso di Stefano Montanari, o a quello di Paolo Rege Gianas), dall’altra comportamenti e dichiarazione assurde (come quella di Nadia Toffa, che ha dichiarato di essere guarita in pochi mesi da un tumore grazie alla chemioterapia, e che – improvvisatasi esperta di medicina – ha fatto un invito pubblico a curarsi solo con radio e chemio affermando siano le sole cure possibili). E’ di queste ore la notizia dell’arresto di Mario Pianesi, considerato il guru della macrobiotica in Italia (fondatore di un vero e proprio impero macrobiotico, con circa 100 ristoranti che dipendono dalla sua associazione), accusato di associazione a delinquere finalizzato alla riduzione in schiavitù e evasione fiscale. Non scenderò nei contenuti dell’inchiesta, perché non conosco i particolari della vicenda (anche se, per la notorietà internazionale dell’indagato, che era ricevuto in privato dal Papa, era invitato a eventi del Rotary locale, e aveva riconoscimenti internazionali un po’ ovunque – aveva anche ricevuto una laurea honoris causa dall’università della Mongolia – propenderei per uno scontro tra poteri a livelli piuttosto alti).Mi limiterò a vagliare le dichiarazioni dei quotidiani, per far vedere come, dietro a questa vicenda, si cela comunque anche – perlomeno da parte della stampa – un attacco alla medicina naturale. Iniziando all’Ansa, che ha dato la notizia stamattina: “Smantellata la setta macrobiotica”. Come foto compariva una riunione di persone col cappuccio, dandosi ad intendere che macrobiotica e sette esoteriche o sataniche siano un fenomeno assimilabile. Nell’articolo si citavano le diete ristrettissime denominate Mapi 1, 2, 3, 4 e 5 che venivano imposte forzatamente agli affiliati. Altri quotidiani hanno citato queste terribili diete come una tortura inflitta alle “vittime”. In realtà tali diete restrittive partono da una normalissima dieta depurativa monoalimento, per finire con una dieta (la Mapi 5) composta da cereali, legumi, frutta, verdura, carne, pesce e dolci, con eliminazione di zuccheri semplici e alcuni alimenti. In sostanza, poco di diverso da quanto proposto da qualsiasi linea guida nutrizionale corretta. Tanto è vero che la bontà di queste linee guida alimentari è stata certificata da riviste internazionali del settore medico e da nutrizionisti esperti.Poche ore dopo la foto della setta sull’Ansa è scomparsa, ed è stata rimpiazzata dalla foto di una ragazza anoressica, e i contenuti dell’articolo sono diventati più razionali (l’articolo infatti si incentra sui contenuti dell’inchiesta e sono sparite le assurdità dietetiche). Questa dieta, affermano praticamente tutti i quotidiani, prometteva miracoli per curare malattie. Scrive ad esempio “Il Messaggero”: «Le indagini della polizia hanno accertato che il rigido stile di vita imposto dal maestro, attraverso le diete Ma.Pi, (dal nome del maestro) in numero di 5 (gradualmente sempre più ristrette e severe) e le lunghe “conferenze” da lui tenute, durante le quali si parlava per ore della forza salvifica della sua dottrina alimentare, erano volte a plasmare un asservimento totale delle vittime». Questa frase, delle diete sempre più ristrette e severe, è stata ripresa un po’ da tutti i quotidiani. A parte il fatto che le diete, come abbiamo detto, non sono “sempre più restrittive e severe”, ma sono via via sempre più permissive, avremmo insomma una setta che asservisce le vittime a base di dolci, carne, pesce, legumi cereali e frutta. Cioè a base di una dieta completa. Questo è quello che si evince leggendo i giornali.In altre parole: abbiamo una persona indagata per una serie di fatti che non sappiamo se abbia commesso o no; ma i giornali puntano i titoli, e anche i contenuti dei vari articoli, sui pericoli della macrobiotica. Un po’ come se, indagati Berlusoni e Dell’Utri di associazione mafiosa, all’epoca proprietario del Milan, della Standa, i giornali avessero deciso di incentrare la notizia sui pericoli dei supermercati e sulla inutilità del gioco del calcio, scrivendo “indagati Dell’Utri e Berlusconi, guru dei supermercati e del gioco del calcio, fenomeno demenziale in cui 22 giovanotti in mutande si disputano una palla, e vengono pagati miliardi per questa assurdità. I due guru cercavano di abbindolare la gente facendoli entrare nei loro supermercati, praticando sconti sui prodotti, e facevano un pacco di soldi con questo gioco inutile, che non serve a nulla e anzi, provoca pure danni (basti vedere le vittime fatte dagli ultrà delle varie squadre italiane)”.Per un contrappasso curioso, nello stesso giorno, sempre l’Ansa declamava le meravigliose proprietà di una nuovissima dieta (ovviamente proveniente dall’America), tra i cui principi fondanti troviamo: 1) mangiare solo gli alimenti che ci piacciono; 2) mangiare al massimo tre volte al giorno; 3) saltare un pasto se si va a cena fuori. Insomma, una marea di banalità che se applicate alla lettera, potrebbero fare innumerevoli danni perché potrebbero portare una persona a mangiare solo carne qualora fosse l’unico alimento che gli piace, e non fornisce alcune indicazione sui vari componenti della dieta. In conclusione: il problema non è se le accuse siano vere o false, perchè di quello si occuperà la magistratura. Il problema è che una persona viene indagata per un reato preciso, ma il problema diventano non i reati in sé, ma la dieta macrobiotica. E l’impressione generale è che – dal punto di vista giornalistico – la vicenda sia strumentalizzata per attaccare tutto il sistema della medicina naturale, e che la vicenda debba essere inquadrata nel più generale contesto della guerra tra medicina naturale preventiva e medicina classica allopatica.(Paolo Franceschetti, “Attacco alla medicina naturale”, dal blog “Petali di Loto” del 14 marzo 2018).In questi ultimi tempi stiamo assistendo ad una vera e propria guerra tra la medicina naturale, o naturopatia, e la medicina tradizionale. Una guerra senza esclusione di colpi, che vede da una parte indagati o radiati medici non in linea con le linee del sistema (pensiamo al recente caso di Stefano Montanari, o a quello di Paolo Rege Gianas), dall’altra comportamenti e dichiarazione assurde (come quella di Nadia Toffa, che ha dichiarato di essere guarita in pochi mesi da un tumore grazie alla chemioterapia, e che – improvvisatasi esperta di medicina – ha fatto un invito pubblico a curarsi solo con radio e chemio affermando siano le sole cure possibili). E’ di queste ore la notizia dell’arresto di Mario Pianesi, considerato il guru della macrobiotica in Italia (fondatore di un vero e proprio impero macrobiotico, con circa 100 ristoranti che dipendono dalla sua associazione), accusato di associazione a delinquere finalizzato alla riduzione in schiavitù e evasione fiscale. Non scenderò nei contenuti dell’inchiesta, perché non conosco i particolari della vicenda (anche se, per la notorietà internazionale dell’indagato, che era ricevuto in privato dal Papa, era invitato a eventi del Rotary locale, e aveva riconoscimenti internazionali un po’ ovunque – aveva anche ricevuto una laurea honoris causa dall’università della Mongolia – propenderei per uno scontro tra poteri a livelli piuttosto alti).
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Facebook scheda la nostra mente, senza il nostro consenso
«La stampa italiana sta cercando di “troncare e sopire” quanto è stato fatto da Cambridge Analytica, in una maniera che personalmente trovo indegna: la stanno facendo passare per un furto di dati privati, ovvero per qualche cosa che ha funzionato carpendo dati scritti sul social network». Lo afferma “Böse Büro”, in un post su “Keinpfusch.net” ripreso da “Come Don Chisciotte”. Giornali e televisioni hanno ridotto cioè la cosa ad un fenomeno di privacy, che potrebbe apparentemente essere risolto decidendo cosa scrivere o meno, di sé, su Facebook. «Ma le cose non stanno così: su Facebook non si vedono solo le cose che scrivete, ma anche quelle che non scrivete. Siete trasparenti». Da recenti analisi emerge che i social media sono in grado di classificare con estrema precisione gli orientamenti degli utenti, anche in modo indiretto, grazie ai “like” espressi. Significa che Facebook può rilevare «anche quello che non ci avete scritto su di voi». Cambridge Analytics, sostiene “Büro”, è stato capace di applicare l’algoritmo alla politica. Esempio: quando Trump ha chiesto 200.000 elettori pronti a sostenerlo nel caso si fosse dichiarato “amico di Israele”, il sistema non ha fornito un semplice profilo (“il tuo elettore tipo è bianco, disoccupato, poco scolarizzato”) ma «ha risposto con una serie di nomi e cognomi», nonché «luoghi di residenza pescati su Facebook». Così, «a Trump non è rimasto altro che mandar loro una lettera a casa», lasciando perdere in partenza gli elettori critici con Israele.