Archivio del Tag ‘sinistra’
-
Buoni, purché innocui e un po’ tonti (come l’elettore del Pd)
Negli ultimi giorni mi sono chiesto come avesse fatto il movimento delle Sardine a raggiungere un così grande successo. Negli ultimi anni abbiamo infatti avuto manifestazioni di operai, cassintegrati, disoccupati che al massimo riuscivano ad ottenere qualche trafiletto nei quotidiani locali. Solo il grande sciopero degli insegnanti contro la Buona scuola di Renzi era riuscito ad avere un buon successo di partecipazione nonostante le molte censure mediatiche, come i vergognosi pestaggi della polizia contro gli insegnanti in piazza 8 agosto a Bologna, davanti agli stand della festa del Partito democratico. Ora il successo delle Sardine è certamente dovuto al forte sostegno di giornali e Tv. L’establishment neoliberale è chiaramente con loro e lo si vede dal grande spazio mediatico concesso. Uno dei suoi massimi rappresentanti, Mario Monti, ha persino avanzato l’ipotesi di sfilare insieme a loro. Conta inoltre l’assenza di contenuti. Le manifestazioni delle Sardine sono un po’ come le canzoni di Ligabue. Esprimono significanti vuoti vagamente riferibili a un certo contesto sociale. Chi non ha mai vissuto “certe notti”? Chi non ha mai avuto il proprio “bar da Mario” in cui incontrare gli amici? Chi non ha giocato il ruolo di “mediano” in qualche circostanza della vita?Allo stesso modo, chi non è “antifascista” a sinistra? Chi se la sente di opporsi a questo movimento di “giovani”? E in definitiva, chi vuole giocare la parte del cattivone sovranista, qualsiasi cosa voglia dire questa parola? La sardina è insomma un significante vuoto, che applicato al campo della sinistra può essere all’occorrenza riempito di senso in modi diversi, disimpegnati e soggettivi. Essere sardina dunque è facile, non è faticoso. Illude il singolo di poter vedere riflesso nello spazio pubblico la propria idea della politica. C’è però dell’altro, nel segreto del successo delle Sardine. E riguarda la faccia del loro leader dal viso pulito, scanzonato, belloccio, “giovane”, serio, ma soprattutto intellettualmente limitato. Qualche giorno fa rileggevo per lavoro le stranote “Postille al Nome della Rosa” in cui Umberto Eco si interroga sul successo del suo primo romanzo. Secondo Eco, Il nome della rosa ha raggiunto un così largo numero di lettori grazie alla voce narrante, cioè da Adso. Come spiega lo stesso autore, Adso non è intelligente, non capisce tutto quello che gli accade intorno, non gli sono chiare le discussioni teologiche né i ragionamenti del suo maestro Guglielmo da Baskerville.Allo stesso modo Mattia Santori non capisce la politica, per sua stessa ammissione ne sa poco. Simpatizzava per Renzi, ma poi dopo averlo visto in pubblico si è accorto che non era empatico e ha cambiato opinione su di lui. Proprio così: non il Jobs Act, non la Buona Scuola, non l’aberrante riforma costituzionale; Santori ha cambiato idea perché Renzi non è empatico. Santori riscatta l’uomo di sinistra medio, gli fa pesare meno la sua decadenza, il suo profondo conformismo, la sua pigrizia e in fondo la paura di perdere alcune certezze. E del resto il livello di comprensione della politica, come per molti elettori del Pd e dei suoi partiti limitrofi è puramente emotivo e si manifesta per semplici schematismi vagamente identitari. I contenuti veri e propri non contano: il Mes? Santori non ne sa nulla, “se ne occupino i competenti”. Quello che conta è stare dalla parte dei buoni, senza però tante costrizioni, senza conflitti, senza obblighi troppo stringenti. E soprattutto senza accanto un Guglielmo da Baskerville rompiballe che magari mette in discussione le false certezze dell’elettore medio del Pd.(Paolo Desogus, “Il successo dei buoni”, dalla pagina Facebook di Desogus del 9 dicembre 2019; riflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”).Negli ultimi giorni mi sono chiesto come avesse fatto il movimento delle Sardine a raggiungere un così grande successo. Negli ultimi anni abbiamo infatti avuto manifestazioni di operai, cassintegrati, disoccupati che al massimo riuscivano ad ottenere qualche trafiletto nei quotidiani locali. Solo il grande sciopero degli insegnanti contro la Buona scuola di Renzi era riuscito ad avere un buon successo di partecipazione nonostante le molte censure mediatiche, come i vergognosi pestaggi della polizia contro gli insegnanti in piazza 8 agosto a Bologna, davanti agli stand della festa del Partito democratico. Ora il successo delle Sardine è certamente dovuto al forte sostegno di giornali e Tv. L’establishment neoliberale è chiaramente con loro e lo si vede dal grande spazio mediatico concesso. Uno dei suoi massimi rappresentanti, Mario Monti, ha persino avanzato l’ipotesi di sfilare insieme a loro. Conta inoltre l’assenza di contenuti. Le manifestazioni delle Sardine sono un po’ come le canzoni di Ligabue. Esprimono significanti vuoti vagamente riferibili a un certo contesto sociale. Chi non ha mai vissuto “certe notti”? Chi non ha mai avuto il proprio “bar da Mario” in cui incontrare gli amici? Chi non ha giocato il ruolo di “mediano” in qualche circostanza della vita?
-
Le finte rivoluzioni del 2019: la previsione di Carotenuto
«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.«Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri», scriveva Carotenuto su “Coscienze in Rete”, esattamente un anno fa. «Come già per Matteo Salvini in uniforme da poliziotto lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, scriveva Carotenuto, «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra «anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Secondo l’analista, «una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica».I gruppi di manipolazione mondialisti, scriveva sempre Carotenuto, «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali». Temi che, manco a dirlo, non sono neppure sfiorati né dai “gretini” né dalle Sardine: i baby-ecologisti non menzionano nessuna delle minacce reali, a partire dal 5G, mentre gli odiatori di Salvini ignorano del tutto il primo problema italiano, l’Unione Europea. Tutto questo accade, anche, dopo il crollo del governo gialloverde: la Lega all’opposizione, e i 5 Stelle (dimentichi di ogni promessa) aggrappati alle poltrone del Conte-bis. «Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi».Bravi idealisti, «illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio». Sono e saranno i primi, scriveva Carotenuto, «a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti nel 2019». L’analista intravedeva «un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista». Dietro le quinte, «i soliti poteri occulti» continuano «a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale». Oggi, a un anno di distanza, Carotenuto è estremamente preoccupato dal Conte-bis: lo vede come un terminale pericoloso del potere centralista. Grazie alla sua debolezza politica (lo zombie Zingaretti, il defunto M5S) l’esecutivo giallorosso guidato da Conte, «espresso dal medesimo network di potere vaticano che gestiva Andreotti», è perfetto per infliggere all’Italia un’overdose di rigore: guerra al contante e inasprimento fiscale, fino all’incubo del Mes. E nelle piazze, “gretini” e Sardine, a cantare Bella Ciao. «Anche nel 2019 – scriveva Carotenuto – ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze».«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.
-
Ma il prossimo sindaco di Roma lo vogliamo giapponese
Per il prossimo sindaco di Roma avrei una proposta da fare che spiazza tutti, sto già partendo con le firme per costituire un comitato elettorale a sostegno. Avendo già sperimentato tutte le possibilità – sindaci di sinistra e di destra, democristiani e comunisti, tecnici e nordici, pop e snob, alieni e grillini – e avendo ottenuto sempre risultati deludenti, fallimentari e da ultimo catastrofici, nell’impossibilità di rieleggere Giulio Cesare e Ottaviano Augusto per raggiunti limiti d’età né potendo auspicare la riconversione del Vescovo di Roma in sindaco della Medesima (sarebbe un sollievo, se non per il Comune, almeno per la Chiesa), ho maturato una ferma convinzione: eleggiamo governatore di Roma con poteri speciali Yuriko Koike, attuale sindaca di Tokyo che scadrà quando si voterà a Roma. È una donna esperta, riesce a governare una città che non ha nemmeno numeri civici per raccapezzarcisi, sta preparando con successo le olimpiadi di Tokyo per il 2020, è conservatrice di destra, extra-strong, conosce molte lingue, compreso l’arabo, ed è così cazzuta che è stata ministro della difesa. E soprattutto è estranea al generone romano, alla partitocrazia nostrana, al carnevale permanente di candidati, gagà e figuri sfornati dalle ditte politiche e dai clan di palazzinari, curia e potentati locali.Le abbiamo provate tutte per governare una città impossibile come Roma, ora non ci resta che un kamikaze, insomma qualcuno pronto a tutto, che non si tira mai indietro. Uno che se viene sfiduciato non resta attaccato alla poltrona, non indice una conferenza stampa per rovesciare la frittata e non ventila senza mai darle le dimissioni; ma taglia la testa al toro e compie il seppuku, il suicidio rituale da noi chiamato harakiri, a volte confuso col karaoke, ma è una cosa molto più seria e irripetibile. Ci vuole una come lei, gaiarda e tosta, come direbbe l’unico estremo-orientale de noantri, il vignettista sublime Osho. Una che sia in grado di trasformare l’Atac, l’Ama e l’Acea in formazioni paramilitari per rendere efficienti i trasporti, la raccolta differenziata e l’energia elettrica, idrica e spirituale. Con lei alla guida di Roma doteremmo i vigili urbani non dello stupido sfollagente o del ridicolo spray, ma di katana, che è la scimitarra giapponese, e poi vediamo se parcheggiano in doppia fila, passano col rosso e sorpassano a destra, salvo poi coionare er vigile e menarlo pure.Indossi lo hachimaki, Signora Yuriko, la benda tradizionale sulla fronte e si metta al lavoro per salvare Roma dai suoi rappresentanti, residenti, turisti e pellegrini. Non venga da sola dal Giappone ma si porti dieci assessori shogun, più un esercito imperiale di trecento samurai come dio comanda. I Casamonica, gli Spada, la banda della Magliana fuggirebbero in Trentino o in Vaticano, pur di non doversela vedere coi giapponesi. Una città come Roma, invasa da b&b abusivi e da monnezza permanente, invasa da zoccole di ogni tipo, anche umane, più cinghiali, gabbiani e autoblù, cosparsa di buche, sanpietrini semoventi e alberi cadenti, coi bus che vanno a fuoco e i dipendenti che si danno malati, non può essere affidata a gente che proviene dallo stesso humus. Ci vuole gente estranea, seria, magari piccola ma cocciuta, poco creativa ma molto operativa, col casco e la mascherina sulla bocca, che raddrizzi la schiena ai pizzardoni, agli impiegati, agli abitanti e pure ai gatti che si sono così impigriti e invigliacchiti da stare pappa e ciccia coi topi.Ci vuole gente che non si nasconda dietro l’estate romana, il cinema e le maratone, che non si faccia bella con l’antifascismo e la tragedia degli ebrei, scoprendo ottant’anni dopo qualche nonno deportato o salvaebrei; ma gente che, pancia a terra, si metta a lavorare sodo, risolvendo i problemi e non vendendo fumo e aria fritta. E ci vuole gente che ammiri e tuteli i monumenti antichi come solo i giapponesi sanno fare; gli unici che non si sono mai portati via souvenir dalle rovine, né abbiano pisciato sulle vestigia antiche o lasciato lattine di birra, coca-cola e altre porcherie, ma si incolonnano devoti e da Roma portano via solo foto ricordo. Solo una giapponese che viene dall’Impero del Sol Levante può capire la Città Eterna e l’Inno a Roma, che canta il Sole che sorge sui colli fatali, come il Sol Invictus dell’Imperatore. I giapponesi hanno la fierezza degli antichi romani, non si lasciano corrompere dalla pajata e dalla trippa, non chiedono il pizzo agli esercenti, mangiano sano e non pesante, non fanno la pennica il pomeriggio né se fanno du spaghi dopocena. E se uno spaccia droga e delinque, lo fanno fuori sul posto e lo servono a sushi ai loro complici terrorizzati, perché si nutrano con l’esempio.Solo i giapponesi potranno salvare Roma; lo sa Calenda che per spacciarsi da giapponese gira in suzuki col kimono, grida banzai ai semafori (traduzione del suo partito Azione) e si fa chiamare Kalenda con la Kappa. Ma lo dico anche a Salvini e Meloni che stanno incartandosi sul sindaco prossimo venturo. Evitate lo scontro tra voi e non andate al massacro di governare Roma; trovate una soluzione extra partes, extraterritoriale, né romanista né laziale. Kyoto schiaccia Kyoto. I giapponesi non hanno difficoltà a costruire termovalorizzatori e metropolitane in un batter d’occhio a mandorla. E ai finti disabili che esibiscono pass farlocchi per parcheggiare, loro non sequestrano il permesso falso ma spezzano le gambe, in modo che possano aver davvero diritto al posto riservato. Forza Koike, per un comune derattizzato e deraggizzato.(Marcello Veneziani, “Il prossimo sindaco a Roma lo vogliamo giapponese”, da “La Verità” del 3 dicembre 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Per il prossimo sindaco di Roma avrei una proposta da fare che spiazza tutti, sto già partendo con le firme per costituire un comitato elettorale a sostegno. Avendo già sperimentato tutte le possibilità – sindaci di sinistra e di destra, democristiani e comunisti, tecnici e nordici, pop e snob, alieni e grillini – e avendo ottenuto sempre risultati deludenti, fallimentari e da ultimo catastrofici, nell’impossibilità di rieleggere Giulio Cesare e Ottaviano Augusto per raggiunti limiti d’età né potendo auspicare la riconversione del Vescovo di Roma in sindaco della Medesima (sarebbe un sollievo, se non per il Comune, almeno per la Chiesa), ho maturato una ferma convinzione: eleggiamo governatore di Roma con poteri speciali Yuriko Koike, attuale sindaca di Tokyo che scadrà quando si voterà a Roma. È una donna esperta, riesce a governare una città che non ha nemmeno numeri civici per raccapezzarcisi, sta preparando con successo le olimpiadi di Tokyo per il 2020, è conservatrice di destra, extra-strong, conosce molte lingue, compreso l’arabo, ed è così cazzuta che è stata ministro della difesa. E soprattutto è estranea al generone romano, alla partitocrazia nostrana, al carnevale permanente di candidati, gagà e figuri sfornati dalle ditte politiche e dai clan di palazzinari, curia e potentati locali.
-
Minuscole Sardine, a quando la politica con la P maiuscola?
La politica con la P maiuscola è quella che rivendica il suo primato sull’economia. E non vedo niente di concreto, in questo senso, nel “manifesto” delle Sardine e in quello che dicono. Attaccano il sovranismo, il quale a sua volta interpreta a modo suo il concetto di sovranità. Non è affatto sbagliato, il principio di sovranità: e se la sovranità non appartiene al popolo, chi sarà sovrano al posto del popolo? L’economia, ovvio. E perché le Sardine non lo rimarcano? Loro si intestano la lotta antifascista dei partigiani: grazie ai nostri padri e nonni, dicono ai populisti, avete il diritto di parola (ma non quello di essere ascoltati, aggiungono). Oggi, quando Tremonti parla di fascismo bianco del mondo finanziario a guida tedesca, alle Sardine non viene in mente che ci possa essere un altro punto di vista, diverso dal loro e altrettanto legittimo? E il filone partigiano sarebbe una tradizione unilaterale, esclusivamente appannaggio di una sola parte? Non è così, ragazzi. C’è chi, proprio in quanto ex partigiano, nel vedere una dominazione sovranazionale espressa dal governo tedesco magari si spaventa, ricollegandosi a una memoria dolorosa.«Siamo già centinaia di migliaia, e siamo pronti a dirvi basta», scrivono le Sardine, sfidando sovranisti e populisti. Benissimo, l’attivismo è sempre positivo. Ma alle Sardine dico: se parlate di “politica con la P maiuscola”, dovete necessariamente criticare le teorie economiche che rivendicano il primato della finanza sulla politica. Va rovesciata, quella relazione: bisogna rivendicare il ruolo di una politica che sovrasti i processi economici. E per rivendicare una politica con la P maiuscola, care Sardine, dovete anche fare delle proposte con la P maiuscola. Va bene soccorrere i migranti, ma perché dire che “aiutare a casa loro” il miliardo e mezzo di africani sarebbe un’idea razzista? Parliamo di soluzioni vere, con la P maiuscola, se davvero vi preme l’empatia tra esseri umani. Dite di essere anti-sovranisti: ma non vi viene in mente che la sovranità del popolo è il principio cardine della democrazia? Il “manifesto” delle Sardine sembra una letterina di Natale, senza consapevolezza politica, incastonato in quella narrativa moralista della sedicente sinistra (che non dà risposte ai bisogni delle persone).Come si può volere una politica con la P maiuscola essendo però anti-sovranisti? La sovranità popolare, ripeto, è il fondamento della democrazia. Poi, certo, c’è chi equipara la sovranità popolare alla sovranità nazionale: problemi suoi, ormai oggi le nazioni non sono più in grado di combattere l’involuzione antidemocratica derivata da processi finanziari ed economici che hanno luogo su scala globale. La sovranità è proprio quello che vivifica la politica con la P maiuscola di cui parlate, care Sardine. Nel vostro “manifesto” non c’è una sola proposta, chiara e netta. Ve ne suggerisco alcune io, se vogliamo parlare di politica con la P maiuscola. La vogliamo democratizzare, questa Unione Europea? La eliminiamo, la Commissione di “nominati”, che subisce l’influenza della finanza trasformando l’Ue in una Disunione Europea? Diamo il potere legislativo al Parlamento Europeo, e decidiamo che il presidente del Parlamento sia eletto dal popolo, eliminando i giochi di partiti e interessi. E decidiamo per esempio di legare la Bce a un potere politico. Chiediamo di cambiare il mandato della Bce, aggiungendo l’obiettivo di raggiungere la piena occupazione (la Fed, ad esempio, lo fa).E poi: decidiamo di creare un Glass-Steagall Act per l’Europa, separiamo le banche speculative dal credito ordinario all’economia. E decidiamo di creare gli eurobond, in modo da condividere con tutti i nostri concittadini europei le sorti del continente. Chi critica questa Europa non lo fa perché razzista o ignorante. Lo fa perché questa Disunione Europea ha tradito il ruolo che doveva avere nella storia. Avrebbe dovuto rappresentare il luogo in cui riuscire a coniugare le libertà individuali, compresa la libertà d’impresa e di profitto, con la responsabilità sociale. E invece l’Europa è diventata il luogo nel quale la finanza ha il primato sull’economia, nel quale la politica si piega alla finanza, e in cui il popolo deve lavorare per inseguire indicatori economici che nulla hanno a che vedere con il benessere della collettività. A essere anti-europeista, oggi, è proprio chi ha il potere in Europa. L’idea di Europa doveva vivificare principi totalmente diversi da quelli che oggi vediamo dettare legge, all’interno di queste istituzioni antidemocratiche, tecnocratiche, economicistiche. Non sono istituzioni che rappresentino la volontà popolare e gli interessi dei popoli.Vogliamo una politica con la P maiuscola? E allora cominciamo a consisderare come l’Europa possa essere il volano per imporre un nuovo paradigma economico. Perché di questo si tratta. Io sento molti sovranisti che rivendicano la sovranità (invece che del popolo) della nazione. Ma ai neoliberisti come Hayek non interessa che i mercati sovrastino la sovranità nazionale, a loro preme che i mercati siano al di sopra della sovranità popolare. Quello che preme ai neoliberisti è proprio questo: non si deve raggiungere una sovranità popolare sopra-statuale, per esempio a livello di comunità europea. Per loro, politicizzare la comunità europea sarebbe un ostacolo alla libertà dei mercati: si creerebbe un nuovo contenitore politico democratico, all’interno del quale le persone diverrebbero una vera comunità, consapevole di avere interessi comuni. Lo dico ai sovranisti, che si illudono: se si torna alla dimensione nazionale, si fa proprio il gioco dei teorici del neoliberismo.Quanto alle Sardine, le critico con affetto: felice di vedere all’opera un movimento studentesco. Non importa che sia schierato col Pd, il partito che (insieme a Italia Viva e +Europa) incarna in Italia l’ultra-conservatorismo economico. Mi aspetto però che le Sardine comincino a rivendicarla per davvero, la politica con la P maiuscola. Ci pensate voi, Sardine, a spiegare a quei partiti perché è sbagliato che la politica sia subordinata alla finanza? Vi metterete finalmente a studiare Hayek e Friedman? Andrete a leggere Van Parijs? Sarete voi a spiegare al Pd perché quel modello di sinistra, che si ammanta di superiorità morale, in realtà non è capace di incidere sulla società? Invece di limitarvi a criticare il discutibilissimo Salvini, care Sardine, se volete vivificare i principi che dite di avere cari, vi consiglio di uscire dalla semplice narrativa dei buoni e dei cattivi. Non bastano, le buone intenzioni. Bisogna capire qual è la relazione diretta tra democrazia sostanziale ed economia.(Marco Moiso, dichiarazioni rilasciate nel video “Una valutazione equanime del fenomeno Sardine, tra pregi e difetti”, registrato su YouTube il 2 dicembre 2019. Moiso è vicepresidente del Movimento Roosevelt, espressione del progressismo socio-economico e culturale di matrice keynesiana, fondato sull’equilibrio democratico avanzato tra diritti civili e diritti sociali).La politica con la P maiuscola è quella che rivendica il suo primato sull’economia. E non vedo niente di concreto, in questo senso, nel “manifesto” delle Sardine e in quello che dicono. Attaccano il sovranismo, il quale a sua volta interpreta a modo suo il concetto di sovranità. Non è affatto sbagliato, il principio di sovranità: e se la sovranità non appartiene al popolo, chi sarà sovrano al posto del popolo? L’economia, ovvio. E perché le Sardine non lo rimarcano? Loro si intestano la lotta antifascista dei partigiani: grazie ai nostri padri e nonni, dicono ai populisti, avete il diritto di parola (ma non quello di essere ascoltati, aggiungono). Oggi, quando Tremonti parla di fascismo bianco del mondo finanziario a guida tedesca, alle Sardine non viene in mente che ci possa essere un altro punto di vista, diverso dal loro e altrettanto legittimo? E il filone partigiano sarebbe una tradizione unilaterale, esclusivamente appannaggio di una sola parte? Non è così, ragazzi. C’è chi, proprio in quanto ex partigiano, nel vedere una dominazione sovranazionale espressa dal governo tedesco magari si spaventa, ricollegandosi a una memoria dolorosa.
-
Franceschetti: ecco perché tollerano la controinformazione
Nel libro-confessione “Mara, Renato e io”, Alberto Franceschini (fondatore delle Brigate Rosse insieme a Curcio) rivela un episodio illuminante: pedinò per giorni nientemeno che Giulio Andreotti, studiandone le abitudini, per valutare se e come eventualmente rapire l’uomo-simbolo del potere italiano. Quando poi le Br sequestrarono davvero un big della Dc, Aldo Moro (assai più conciliante, verso i lavoratori oppressi e tutelati dalla sinistra, anche estrema), Franceschini e Curcio erano già fuori causa, rinchiusi al supercarcere dell’Asinara. E per giunta, terrorizzati dalle possibili conseguenze di quell’atto, di cui erano all’oscuro, attribuito alla nuova gestione brigatista di Mario Moretti. Pedine di un gioco più grande? Fu questo il pensiero di Franceschini, mentre seguiva a pochi passi il potentissimo Andreotti, senza che nessuno si premurasse di intercettarlo, e controllare che non avesse in tasca una pistola. Fuor di metafora, quarant’anni dopo e da tutt’altro punto di vista, l’avvocato Paolo Franceschetti si sofferma, anche lui, nel punto esatto in cui si bloccò il brigatista Franceschini: possibile che a chi racconta verità scomode non succeda niente di sgradevole? Chiudere un blog fastidioso richiederebbe pochi minuti: perché invece si lascia che il blog continui a rivelare molte verità che giornali e televisioni trascurano?
-
La truffa 5 Stelle: il cancro che ha impedito il cambiamento
Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.Ministro del lavoro, ministro dello sviluppo economico, ministro degli esteri, vicepremier, capo politico del M5S, anche la carriera di Luigi Di Maio è da record: in 18 mesi ha ricoperto ben cinque alte cariche, senza mai esercitarne davvero nessuna, perché totalmente privo delle capacità e delle competenze necessarie. Era più qualificato il cavallo senatore di Caligola. Al momento, Gigi il Fenomeno è commissariato da Grillo, che lo trattiene per un orecchio dallo scappare a iscriversi alla Lega insieme ai suoi “fedelissimi”. Incapaci, strafottenti, voltagabbana, quelli della banda di Maiana condividono tutte le principali caratteristiche del loro capo corrente, e sono fra i peggiori parassiti che la politica italiana abbia mai prodotto, il che è tutto dire. Con loro, il Movimento 5 Stelle è diventato l’infestazione che prometteva di debellare. La malattia di cui si fingeva la cura.Grillo cerca adesso pateticamente di salvarne i resti riciclandoli come minions del Pd, come d’alemiana “costola della sinistra”. Il Movimento 5 Stelle non è di sinistra. E non è neanche equidistante, trasversale, ortogonale, post-ideologico, o qualche altra stronzata del genere. Il Movimento 5 Stelle è di destra. Il qualunquismo è di destra. Ed è una truffa. Un buco nero che ha inghiottito e neutralizzato più d’un decennio di proteste e speranze che altrimenti avrebbero potuto fare la differenza. Dieci anni nei quali l’Italia sarebbe potuta cambiare davvero. Un’arma di distrazione di massa, che invece di realizzare il cambiamento promesso l’ha di fatto impedito. Il Movimento 5 Stelle è di destra, ed è una truffa. Quindi è l’alleato ideale del Pd.(Alessandra Daniele, “Decàde”, da “Carmilla” del 1° dicembre 2019).Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.
-
Dopo 40 anni, ora “Repubblica” è finita agli Agnelli-Elkann
Lunedì sera è diventata ufficiale l’acquisizione della maggioranza relativa del gruppo editoriale Gedi da parte di Exor, la più grande società italiana per fatturato, di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Se ne parlava da settimane – e pure da qualche anno, come vedremo – ma è la più grossa storia capitata ai giornali italiani in questo millennio, per molte ragioni. La prima ragione, la più “fine-di-un’era”, è che il quotidiano “Repubblica” non è più della famiglia De Benedetti. “Repubblica” fu creata nel 1976 da un gruppo di giornalisti e investitori, e inserita dentro un gruppo editoriale in cui stava il settimanale “L’Espresso”, allora molto venduto e importante, e ne prendeva il nome. Nel 1979 l’imprenditore Carlo De Benedetti entrò nella società e negli anni successivi estese la sua partecipazione, e il suo ruolo crebbe fino a farlo diventare l’editore del gruppo, che nel tempo acquisì molti quotidiani locali storici ne creò altri, e comprò anche le due importanti radio, “Deejay” e “Capital”. Carlo De Benedetti, che i giornali hanno sempre chiamato “l’ingegnere”, divenne per molti anni un protagonista della scena editoriale e politica italiana, con una grande passione per il ruolo esercitato e per il potere acquisito da “Repubblica” e dal gruppo nella vita pubblica.Solo per dire della sua esposizione più famosa e citata nella politica, al tempo della ideazione del Partito Democratico circolò molto una sua frase per cui ne avrebbe preso “la tessera numero uno”. Sotto la proprietà di Carlo De Benedetti, “Repubblica” ebbe due importantissimi direttori, rimasti in carica per ben vent’anni ciascuno, fino al 2016: Eugenio Scalfari prima ed Ezio Mauro dopo. Ma dall’inizio del 2016 la storia del quotidiano ha preso una velocità completamente diversa: dopo questi lunghi periodi di continuità, nel 2016 fu appunto nominato un nuovo direttore, Mario Calabresi (allora direttore della “Stampa”, e prima già a lungo a “Repubblica”), e due mesi dopo fu annunciata una storica fusione con il gruppo editoriale della famiglia Agnelli che pubblicava la “Stampa”, il terzo quotidiano italiano. Già nel 2019 Calabresi era stato di fatto licenziato, e Carlo Verdelli (già vicedirettore al “Corriere della Sera”, poi direttore di “Vanity Fair” e della “Gazzetta dello Sport”) nominato al suo posto. E dopo solo nove mesi, lunedì, la cessione della maggioranza del gruppo alla famiglia Agnelli. Cosa è successo in questi tre anni, anzi sei?Nel 2013 Carlo De Benedetti – che stava compiendo 79 anni – aveva ceduto la proprietà del gruppo Espresso ai tre figli, annunciando di volersi ritirare dal ruolo di editore. L’operazione era stata seguita con curiosità dal mondo dell’editoria giornalistica, perché nessuno dei tre figli Rodolfo, Marco ed Edoardo si era mai mostrato interessato a quel ramo delle attività di famiglia, né aveva la passione per la scena giornalistico-politica che aveva avuto del padre. Edoardo fa il cardiologo, Rodolfo e Marco si occupano di altre aziende di famiglia: Rodolfo soprattutto con ruoli importanti negli affari finanziari e un più volte manifestato disinteresse per il tormentato business dei giornali. Anche per questo, quando nel 2016 c’era stata la clamorosa fusione con il gruppo editoriale della “Stampa” (che comprendeva anche il quotidiano “Secolo XIX” di Genova), in molti si erano domandati se fosse stata «”Repubblica” ad avere comprato la “Stampa”, o la “Stampa” ad avere comprato “Repubblica”», ovvero chi avrebbe preso il comando della nuova società tra Rodolfo De Benedetti e John Elkann: malgrado il gruppo Espresso fosse il più grande, e ufficialmente le quote maggiori fossero della famiglia De Benedetti, le curiosità per l’editoria giornalistica di John Elkann – capo delle aziende della famiglia Agnelli – sembravano più convinte e motivate (Elkann aveva contestualmente lasciato una vecchia presenza nell’azionariato della società editrice del “Corriere della Sera”).La nuova società, però – ribattezzata Gedi – veniva in effetti gestita da Rodolfo e Marco De Benedetti, e anche le scelte successive sembravano privilegiare la testata maggiore – “Repubblica” – rispetto alla “Stampa”, che dopo un iniziale ruolo di “secondo quotidiano nazionale del gruppo” pareva essere stato destinato a quello di “primo quotidiano locale del gruppo”. Nel frattempo era cambiata l’Italia: la scelta di un nuovo direttore di 46 anni (“giovane”, per le abitudini dei grandi quotidiani italiani) come Mario Calabresi era il risultato di una lettura del cambiamento italiano in cui il tempo della grande contrapposizione manichea tra berlusconismo e antiberlusconismo era finito, e in cui i recenti successi di Matteo Renzi sembravano confermare che il paese si stesse muovendo verso divisioni più sfumate e articolate, verso complessità maggiori, e verso una maggiore modernità e un rinnovamento generazionale. Mario Calabresi, capace di rapporti più trasversali e analisi meno schematiche, oltre che nato negli anni Settanta, era parso l’uomo giusto per confermare “Repubblica” dentro i tempi, ribaltandone l’approccio tenuto nell’era precedente.Un giornale più contemporaneo, anche nel disegno e nei temi, con una nuova inventiva sui progetti digitali, e che addirittura arrivò a un’occasione importantissima e divisiva come il referendum costituzionale scegliendo di non dare una linea esatta ai suoi lettori, e offrendo spazio a entrambe le posizioni. Ma l’analisi del cambiamento si rivelò rapidamente sbagliata (un po’ da tutti): quel periodo di innovazione e costruzione di una nuova sinistra di successo si è esaurito – come si sa – molto rapidamente, e quello che lo ha sostituito sono di nuovo tempi di “resistenza” a sinistra, di indicazione del nemico, di contrapposizioni violente. Da questa constatazione di errata direzione è venuto l’allontanamento drastico di Calabresi all’inizio del 2019, con modi e atteggiamenti oggettivamente sgradevoli da parte dell’editore, e confermati anche da Carlo De Benedetti, che intanto aveva cominciato a rifarsi vivo pubblicamente per criticare la piega presa dal giornale. Al suo posto è stato nominato Carlo Verdelli, 62 anni, molto stimato per la sua capacità di guidare i progetti giornalistici più diversi e di conoscere i sentimenti e desideri dei lettori.Il quale Verdelli – più in sintonia coi tempi – ha immediatamente restaurato e reinventato gli approcci tradizionali di “Repubblica”, con posizioni molto più aggressive e urlate, una campagna promozionale dal titolo “Alza la voce” e titoli più forti e grandi anche come dimensioni (anche qui, però, dopo pochi mesi il cambio di governo ha messo in difficoltà la linea di opposizione bellicosa del giornale alla maggioranza Lega-M5S). Sullo sfondo di tutto questo, non si può ignorare la crisi economica complessiva e mondiale dei giornali e dei quotidiani, e le difficoltà dei gruppi editoriali a limitare le perdite e ricostruire modelli di business nuovi: e quindi il declino economico anche del gruppo Gedi, e l’enorme difficoltà di qualunque nuovo orientamento o progetto a ottenere risultati migliori sotto questi aspetti. In questo quadro già complicato e spaesato, lo scorso settembre Carlo De Benedetti – che nel frattempo aveva esibito pubblicamente la sua delusione per le difficoltà del suo ex giornale – ha improvvisamente presentato un’offerta per riacquistare dai figli le loro quote del gruppo, sostenendo con sprezzo che non fossero capaci di gestirlo, che non ne avessero alcun interesse, e che lo stessero portando al fallimento.L’offerta, bassa e giudicata irricevibile da qualunque esperto, veniva motivata da De Benedetti appunto col basso valore a cui il gruppo sarebbe stato portato dalla gestione dei figli. I quali avevano reagito con maggiore sobrietà ma altrettanta irritazione, dicendosi addolorati di un simile atto di disistima e avversità e rifiutando la proposta. Ma era chiaro che la situazione non poteva andare avanti senza altri sconvolgimenti. E lo sconvolgimento ha cominciato a circolare come probabile nelle redazioni da qualche settimana, ed è diventato ufficiale lunedì sera. “Repubblica”, dopo quarant’anni, non è più della famiglia De Benedetti; la famiglia Agnelli si è ripresa il suo quotidiano storico, la “Stampa”; e malgrado il percorso tortuoso, è finita che è «la “Stampa” ad avere comprato “Repubblica”». Ancora ne succederanno, perché le difficoltà di un grande gruppo mediatico rimarranno e dovranno essere affrontate con idee e denaro, e non è detto che bastino le une o l’altro. Ma il 2 dicembre è stato un giorno che si ricorderà nella storia dei giornali italiani. La fine di un’era, davvero, come dicono i quotidiani.(”La storia più grossa in mezzo secolo di giornali italiani”, da “Il Post” del 3 dicembre 2019).Lunedì sera è diventata ufficiale l’acquisizione della maggioranza relativa del gruppo editoriale Gedi da parte di Exor, la più grande società italiana per fatturato, di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Se ne parlava da settimane – e pure da qualche anno, come vedremo – ma è la più grossa storia capitata ai giornali italiani in questo millennio, per molte ragioni. La prima ragione, la più “fine-di-un’era”, è che il quotidiano “Repubblica” non è più della famiglia De Benedetti. “Repubblica” fu creata nel 1976 da un gruppo di giornalisti e investitori, e inserita dentro un gruppo editoriale in cui stava il settimanale “L’Espresso”, allora molto venduto e importante, e ne prendeva il nome. Nel 1979 l’imprenditore Carlo De Benedetti entrò nella società e negli anni successivi estese la sua partecipazione, e il suo ruolo crebbe fino a farlo diventare l’editore del gruppo, che nel tempo acquisì molti quotidiani locali storici ne creò altri, e comprò anche le due importanti radio, “Deejay” e “Capital”. Carlo De Benedetti, che i giornali hanno sempre chiamato “l’ingegnere”, divenne per molti anni un protagonista della scena editoriale e politica italiana, con una grande passione per il ruolo esercitato e per il potere acquisito da “Repubblica” e dal gruppo nella vita pubblica.
-
Il Mes e i Miserabili: come siamo caduti in basso, e perché
Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari leghisti e un emissario del grillino Fraccaro.«Non firmiamo niente», conclusero, dopo aver solo potuto guardare da lontano quelle 40 pagine, scritte in inglese, senza la possibilità di fotocopiarle. Alla faccia della sovranità parlamentare. L’ha ripetuto, Borghi, nella diretta web-streaming su ByoBlu con Claudio Messora e Francesco Toscano, poche ore dopo l’infuocata assise delle Camere: la bozza di revisione del micidiale Mes, i cui funzionari si pongono al di sopra di qualsiasi legge, non punibili in nessun caso, ha seguito la stessa procedura clandestina del Ttip, il trattato-fantasma concepito per scavalcare i governi e lasciare alle multinazionali l’ultima parola sui contenziosi con gli Stati. Qui è ancora peggio, rincara Borghi: almeno, l’accesso formale al testo del Ttip (sempre in inglese, non fotografabile neppure con lo smartphone) era previsto dall’agenda. Invece, quei 40 fogli del Mes-2 sarebbero stati esibiti la scorsa estate solo per gentile concessione di Conte, in imbarazzo con i suoi azionisti di riferimento, Lega e 5 Stelle. Uno strappo alla regola: in base al rigido protocollo, le informazioni riservatissime sul rinnovato Meccanismo Europeo di Stabilità, in teoria, si sarebbero dovute limitare unicamente al premier, assistito d’ufficio dal solo ministro dell’economia (all’epoca, Giovanni Tria).Citato da Salvini nella sua requisitoria in aula contro Conte, l’esperto Guido Salerno Aletta, di “Milano Finanza”, conferma l’allarme già lanciato da Antonio Patuelli dell’Abi e, ancor più autorevolmente, dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E cioè: se l’Italia fosse costretta a ricorrere al Mes, il nuovo Fondo potrebbe chiedere in cambio pesantissime “condizionalità”, inclusa la “ristrutturazione” del debito. Tradotto: le banche, detentrici dei titoli di Stato, potrebbero attingere direttamente ai conti correnti degli italiani. In alternativa, il governo dovrebbe imporre una patrimoniale. Lo conferma, sempre a “ByoBlu”, un tecnocrate come Carlo Cottarelli: per l’Italia il rischio è serio, visto l’attuale sistema di finanziamento (titoli di Stato, con moneta non sovrana) e un debito che galleggia oltre il 130% del prodotto interno lordo. Il documento, infatti, prevede che tutto vada liscio solo per i paesi con un debito non superiore al 60% del Pil, in linea con la “teologia” di Maastricht. Problema: le regole del rigore, pensate trent’anni fa per un’Europa in crescita, si sono scontrate con la realtà della stagnazione, riuscendo solo ad aggravare la crisi e condannare intere economie. E oggi, nel 2019, ancora si insiste con una ricetta perversa e socialmente devastante, votata alla rovina generale?“Non venitemi a dire che non lo sapevate”, è la fragile autodifesa di Conte, che tenta di coinvolgere Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier all’epoca dell’incubazione del Mes-2. Vero a metà, a quanto pare: da un lato, il capo della Lega e il portavoce dei 5 Stelle non hanno mai rigettato, a prescindere, la prospettiva dell’ex Fondo salva-Stati. Dall’altro, però, si erano riservati di analizzarlo in modo approfondito. Salvo scoprire, oggi, che il Mes avrebbe viaggiato in clandestinità: un piatto avvelenato, da servire ai Parlamenti solo a cose fatte. E qui, Conte traballa. Accusato frontalmente da Salvini e Giorgia Meloni, è isolato dalla freddezza di Di Maio: i 5 Stelle potrebbero ribellarsi e staccare la spina al governo, pur di bloccare il fondo “ammazza-Stati”? Se il Pd e i renziani fanno quadrato attorno all’attuale titolare dell’economia, cioè il tecnocrate Roberto Gualtieri (creatura di Buxelles), dalla sinistra si sfila “Liberi e Uguali”: per Stefano Fassina, già viceministro di Enrico Letta, l’Italia deve rispedire al mittente, rifiutandosi di approvarlo, questo pericoloso congegno a orologeria.Conte avrebbe già dato il suo ok, all’insaputa di tutti? Malissimo: proprio su questo sembra giocarsi la sopravvivenza del professor-avvocato a Palazzo Chigi, incalzato dalla Lega che si prepara alla mobilitazione popolare, a suon di firme, prima ancora di valutare una mozione di sfiducia, nel caso in cui una frangia dei 300 parlamentari grillini prendesse le distanze da quello che, sulla carta, si presenta come il più insidioso attentato alle tasche degli italiani. Mesi fa, un ex analista dell’intelligence come Fausto Carotenuto aveva confessato: «Temo il Conte-bis, la sua debolezza politica ne farà lo strumento perfetto per l’élite europea intenzionata a farci del male». Oggi, di fronte alla rissa parlamentare sull’ipotetico Fondo Monetario Europeo, un osservatore privilegiato come Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, allarga decisamente l’orizzonte: ma ci rendiamo conto, dice, di cosa stiamo parlando? Lo capiamo, per quale motivo siamo finiti così in basso? Vogliamo deciderci a vederlo, il problema? Alzi la mano chi sa spiegarsi, precisamente, per quale motivo la moneta (europea) è diventata qualcosa da mendicare, da prendere in prestito a caro prezzo, lasciando in pegno interi paesi (e ora, magari, anche il patrimonio di milioni di cittadini).Chiarisce l’economista Nino Galloni, che del Movimento Roosevelt è vicepresidente: ci rendiamo conto che l’Italia ha sì un enorme debito pubblico, ma in compenso vanta un debito privato irrisorio e un ingentissimo patrimonio fatto di risparmi, di capitali e immobili, a garanzia del sistema economico nazionale? E perché allora il rating delle agenzie, adottato da Bruxelles come unico parametro, considera solo il debito contabile dello Stato? Chiedetelo a Prodi, taglia corto un altro “rooseveltiano” come Gianfranco Carpeoro: fu il professore di Bologna, osannato come salvatore della patria dopo aver sfasciato l’Iri che sorreggeva l’industria italiana, a genuflettersi ai signori dell’euro, rinunciando a far pesare il valore reale dell’Italia. Quanto agli eurocrati, un grande imprenditore come Fabio Zoffi, che opera in Germania, ha avuto il coraggio di sbugiardare i guardiani dell’austerity altrui: al “Giornale” ha ricordato che Berlino, mediante svariati artifici contabili, omette enormi cifre nel computo del deficit. Il debito tedesco (quello reale) sarebbe il doppio di quello italiano. Attenzione, avverte Zoffi: proprio grazie al super-debito, sia pure occulto, la Germania funziona meglio dell’Italia. Ergo: anziché tagliare la spesa, perché non allargarla? Il famoso tetto del 3% non è certo una legge economica: è solo un diktat politico-ideologico, che ha finora depresso l’economia.Né si creda che sia intelligente prendersela col signor Franz, dice da parte sua il comunista Marco Rizzo, consultato sempre da Messora: il popolo tedesco non ha idea di quello che combina, alle sue spalle, l’élite che lo governa. Vale per tutti gli altri, inclusi i francesi. La soluzione? Sincronizzare i popoli, coalizzarli contro questa oligarchia che ha privatizzato la moneta. Da tutt’altro versante, quello social-liberale, Gioele Magaldi (in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”), punta il dito contro lo scandaloso dumping fiscale, su cui nessuno fiata: «Che Europa è mai questa, dove si consente che in paesi come l’Olanda e il Lussemburgo sia più conveniente pagare le tasse?». Risultato: l’emorragia di entrate fiscali (Fiat docet), grazie alla fuga delle grandi aziende. Su questo, niente da ridire? Meglio la piccola crociata, vagamente infame, contro l’idraulico che lavora in nero? E i media che fanno, continuano a dormire? Marco Travaglio, addirittura, s’è messo ad incensare Conte: «Saprebbe indicare, Travaglio, un solo illuminante atto di governo che abbia contraddistinto il premier, da quando è a Palazzo Chigi, con l’unica evidente intenzione di restarvi il più a lungo possibile, non importa come, obbedendo ai politici che contano in Europa, anche a scapito degli italiani?».Mai stato tenero, Magaldi, nemmeno con Lega e 5 Stelle. L’accusa: dovevano almeno avviare il cambiamento promesso. «Invece si sono limitati alle chiacchiere: esattamente come Renzi, proprio per questo scaricato a suo tempo dagli elettori». Renzi s’era rimesso in pista, ma ora è stato speronato dalle inchieste sul finanziamento della fondazione Open. «Giusto che la magistratura indaghi, ma senza far politica su questo: ipocrita pensare che i partiti vivano d’aria. Ma sopprattutto: Renzi va bocciato politicamente, perché per l’Italia non ha fatto nulla». Oggi, il mostro ha le sembianze del Mes. E prima ancora: Trattato di Maastricht e Trattato di Lisbona, Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione. «Io sono ultra-europeista», dice Magaldi, «ma intendiamoci: un’Unione Europea non è mai esistita». Chi l’ha detto, ad esempio, che a decidere tutto sia la Bce, non controllata da politici, a loro volta tenuti a rispondere agli elettori? Ora siamo all’apice dell’aberrazione: anziché un ente prestatore di ultima istanza, deputato a finanziare gli Stati in modo virtualmente illimitato, si darebbe vita allo strozzinaggio istituzionale di un organismo ancora meno democratico, super-bancario, abilitato a ricattare popoli scavalcando definitivamente i governi.Al di là di come andrà a finire la miserabile vicenda Mes, incluso lo scaricabarile tra politici, Magaldi sintetizza: tutta quella robaccia va stracciata e riscritta da zero. E’ che ora di svegliarsi, tutti, ma per davvero. Le piccole Sardine? Si decidano: chiedano conto della situazione a chi comanda davvero, in Italia. I sovranisti? Vicolo cieco: a che serve trincerarsi entro i confini, quando è Bruxelles che detiene le leve strategiche, le regole che condizionano l’economia? Vale anche per i rossobruni di Vox Italia: l’oligarchia non ha nulla da temere, da chi rifiuta la battaglia continentale. La risposta? Democrazia, da imporre ai gerarchi dell’Ue. In pillole: «L’Italia sta crollando: viadotti che cadono, scuole a pezzi. Disoccupazione, tasse altissime, aziende che non vengono pagate. Servono 200 miliardi, per rimettere in corsa il paese». E si pensa di elemosinarli al Mes, mettendosi al collo il cappio degli usurai? Non è questione di virgole o di percentuali, insiste Magaldi: c’è da far saltare tutto. Cambiare le regole, da cima a fondo. Primo: «Un’Europa democratica, con la sua Costituzione, e un governo federale finalmente eletto dal Parlamento Europeo». Secondo: «Una banca centrale che emetta eurobond, e sostenga in modo illimitato i debiti pubblici, mettendo fine al ricatto dello spread». O così, o moriremo: malati di Mes, o si qualsiasi altro morbo letale fabbricato in provetta, nei laboratori segreti che hanno sabotato la democrazia per dare vita a questo morto vivente, questo zombie travestito da Sacro Romano Impero, senza più cittadini ma soltanto sudditi.Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari (di cui due leghisti) e un emissario del grillino Fraccaro.
-
Distruggere l’Italia: i grillini eguagliano il “record” di Monti
Da quando governano l’Italia, i grillini hanno stabilito un record assoluto: il danno che hanno prodotto al paese in così breve arco di tempo non ha precedenti. Forse gli unici contendenti sono i tecnici montiani, che avvilirono e danneggiarono scientificamente l’Italia, con cognizione di causa, a differenza dei grillini che lo bombardano a capocchia con gaia incompetenza e una miscela letale di ignoranza e arroganza. No, la questione non è Di Maio, l’Emilia o la Calabria. È l’M5S in sé. Ogni capitolo fallimentare dei grillini ha la faccia di un testimonial. Si comincia con gli enti locali, col fulgido esempio di Virginia Raggi che è riuscita a far rimpiangere tutti i sindaci che l’hanno preceduta (e ce ne voleva) e a dare il colpo di grazia e disgrazia a una città già in ginocchio e autolesionista di suo. Si finisce col premier Contebis che rappresenta la più vistosa negazione del movimento 5stelle: è un maggiordomo di Palazzo, domestico dell’establishment mondiale, annunciatore di rimedi per un domani che si sposta ogni giorno; democristiano con attaccamento vinavil alla poltrona, paraculista e trasformista, ora filo-dem, borioso e fumoso, figurante istituzionale. Incarnazione perfetta e gaia del vuoto al governo e del nulla in politica.Nel mezzo scorrono le relative faccine che testimoniano i vari capitoli del fallimento grillino: la fatuità egizio-partenopea del tardoprogressista Roberto Fico, col suo gne-gne napoletano sinistrese, pessima imitazione della già pessima Boldrini che l’ha preceduto; le improvvisate sciampiste cinquestelle che occuparono i ministeri con risultati penosi; il proverbiale Danilo Tonninelli (una enne l’ha guadagnata sul campo), prototipo del grillino doc, simbolo ottuso di tutti i no grillini a ogni opera; la ministra dell’autoDifesa Elisabetta Trenta che si è moltiplicata per sei ed è passata da Trenta a Centottanta (metri quadri), con le forze armate che portavano a spasso il cane, e lei che riceve gli eserciti di tutto il mondo a casa, perciò ha bisogno di una casa grande; il ministro alla pubblica ricreazione Lorenzo Fioramonti, che ha ridotto la scuola a un osservatorio climatico e si occupa di plastica e merendine da un punto di vista eco-progressista; per non dire delle pulcinellate di Gigino Di Maio, i suoi voltafaccia e i suoi vistosi errori presentati in modo trionfale: povertà abolita, disoccupazione battuta, acciaieria risanata, Alitalia in via di decollo, manette annunciate ai grandi evasori e occhiolino strizzato ai molti evasori, l’infatuazione suicida filo-cinese e altre enormi cappellate. Oggi lui è diventato il capro espiatorio ma il difetto è nel manico e in tutti gli ombrelli della ditta.Il reddito di cittadinanza resta la porcata più vistosa dei grillini, dal punto di vista del danno erariale, del danno sociale, del danno morale. Si ha ogni giorno di più la certezza che non produrrà un solo posto di lavoro in più né un solo lavoro nero in meno. Non è un reddito d’inclusione o d’inserimento, è solo un gravoso costo, parassitario e diseducativo, che peggiora il tessuto sociale del paese e il bilancio dello Stato, santifica l’inerzia, la demeritocrazia e pure il malaffare. È la versione stracciona, plebea e lazzarona del comunismo. All’inizio si disse che era un’indennità-divano, i grillini reagivano indignati, ma quella previsione era già ottimistica: molti titolari del reddito non stanno nemmeno a casa loro ma continuano di soppiatto i loro lavori neri e qualcuno addirittura continua le attività criminose, come si è visto. C’è poi TeleCasalino, un tempo Tg1, un imbarazzante volantino grillino e contino. Per non dire degli altri, dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede al ministro Vincenzo Spadafora e a tutta la gaia compagnia dei grillini. E per non risalire ai mandanti, Beppe Grillo e la Casaleggio & Associati, più qualche predicatore manettaro.Il fallimento dei grillini ha la faccia sconsolata dell’esule, il Comandante Ale Diba, al secolo Alessandro Di Battista, la cui eclissi dimostra la fine del fervore originario, quando i grillini erano ancora una minacciosa promessa in pubertà. Non si è mai visto un movimento perdere nel giro di pochi mesi di governo tante milionate di voti e sparire dai territori con una velocità impressionante. Hanno esaurito il credito, ormai. Resta il problema di trovare quale discarica possa contenere così tanti rifiuti ammassati in così poco tempo. La parabola dei grillini è un monito per gli elettori e i cittadini che votandoli s’illusero di punire tutti gli altri: i movimenti eruttati dal nulla, nati soltanto dal cabaret, dal vaffa e dal rifiuto di tutto, dove uno vale l’altro, dove i deputati sono burattini nelle mani della Piattaforma, dove la democrazia diretta è una caricatura che nasconde un’autocrazia eterodiretta da non-eletti, dove si può nominare a sorteggio e si può diventare ministri non sapendo nulla, non avendo mai fatto nulla nella vita, non avendo la più pallida idea, poi producono solo danni e nulla.Per arginare la deriva corrotta della politica, il malaffare, devi trovare gente motivata e seria, non pescata così, random, spesso nullafacente. Appena a uno di questi dai in mano un po’ di potere, diventa un arraffone e vuole sistemarsi per la vita. E quando gli ricapita? Infine i grillini hanno fatto saltare l’unica eredità buona della seconda repubblica, l’alternanza bipolare, reimmettendo al centro un partito bifronte. La sinistra merita giudizi negativi molto severi, sa essere più contro che con i cittadini, almeno quelli in regola. Ma è un avversario da sconfiggere sul terreno dei fatti, della politica e delle idee; invece i grillini sono una mucillagine urticante, una grottesca complicazione del quadro, e da alleati della sinistra al governo sono solo un’aggravante del malgoverno. Che tornino presto al Nulla da cui provengono. È l’augurio per un paese stremato, che ha già troppi guai per doversi caricare pure dei grillini.(Marcello Veneziani, “Il gaio fallimento dei grillini al governo”, da “La Verità” del 24 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Da quando governano l’Italia, i grillini hanno stabilito un record assoluto: il danno che hanno prodotto al paese in così breve arco di tempo non ha precedenti. Forse gli unici contendenti sono i tecnici montiani, che avvilirono e danneggiarono scientificamente l’Italia, con cognizione di causa, a differenza dei grillini che lo bombardano a capocchia con gaia incompetenza e una miscela letale di ignoranza e arroganza. No, la questione non è Di Maio, l’Emilia o la Calabria. È l’M5S in sé. Ogni capitolo fallimentare dei grillini ha la faccia di un testimonial. Si comincia con gli enti locali, col fulgido esempio di Virginia Raggi che è riuscita a far rimpiangere tutti i sindaci che l’hanno preceduta (e ce ne voleva) e a dare il colpo di grazia e disgrazia a una città già in ginocchio e autolesionista di suo. Si finisce col premier Contebis che rappresenta la più vistosa negazione del movimento 5stelle: è un maggiordomo di Palazzo, domestico dell’establishment mondiale, annunciatore di rimedi per un domani che si sposta ogni giorno; democristiano con attaccamento vinavil alla poltrona, paraculista e trasformista, ora filo-dem, borioso e fumoso, figurante istituzionale. Incarnazione perfetta e gaia del vuoto al governo e del nulla in politica.
-
Frittura di Sardine Ue, fascismi immaginari e ebeti veri
Oggi, i partigiani comunisti che contribuirono a liberare l’Emilia Romagna prenderebbero volentieri a calci nel sedere gli amici delle Sardine, o meglio: il governo di yesmen contro cui si agita Salvini, la bestia nera dei ragazzi-pesce. Lo afferma lo storico Alessandro Guardamagna, in un intervento su “Come Don Chisciotte”. Tema: la patetica propaganda contro “il fascismo”, che non vede il fascismo vero del 2019, quello di Erdogan che tiranneggia i turchi, vessa i profughi e inonda l’Europa di foreign fighters dell’Isis, dopo averli armati e protetti. Temi non pervenuti, però, nell’agenda elettorale delle Sardine, sordomute anche di fronte alla tagliola del Mes, cioè l’agguato – firmato Conte e Gualtieri, i due maggiordomi di turno – contro ogni possibile politica autonoma in Italia (che sia di stampo salviniano o antisalviniano, non importa: se è il Mes a dirti quanto spendere, e per cosa, tu questa Italia non la governi più). Il problema? «Fascismi, sardine e ebeti», riassume Guardamagna. Quanti ebeti? Tantissimi. E vedi che combinazione: l’onda ittica “venuta dal nulla” diventa quasi una marea, proprio mentre Grillo strattona Di Maio suicidando i 5 Stelle, e la mannaia giudiziaria si abbatte sul malcapitato Renzi. Dietro le quinte, giochi paralleli (e in ombra) tra Palazzo Chigi e Quirinale: in panchina si scaldano Draghi e Prodi, i due maggiori devastatori del nostro paese negli ultimi decenni.Non si allarma, la Sardina, se l’orizzonte è ingombro di macerie vecchie di trent’anni, sempre le stesse, provocate dalle dismissioni e dalle privatizzazioni che hanno disarticolato il sistema produttivo, scatenando l’emorragia proprio dei giovani, la cosiddetta fuga dei cervelli. Prodi all’Iri e Draghi al Tesoro: un tandem micidiale, che ha sprofondato l’Italia in zona retrocessione. Ma la Sardina non lo sa, e i suoi zietti più attempati fingono di non saperlo: per loro, già reduci da Girotondi e Popolo Viola, la cancrena si chiamava Berlusconi. Che avrà mai fatto, l’imbarazzante Cavaliere? Niente, letteralmente. E’ questa la sua colpa storica, in soldoni: non ha realizzato nessuna riforma, facendo perdere tempo prezioso al paese. I suoi detrattori, in compenso, avevano già provveduto a sabotare il futuro, mettendo al collo dell’Italia il cappio di Maastricht. Alla fine l’han disarcionato, il Cavaliere, ma per mettere al suo posto quanto di peggio si potesse immaginare: Mario Monti e la sua banda di becchini, inclusa Elsa Fornero. Ma vaglielo a spiegare, alle Sardine. Puntano a testa bassa l’Uomo Nero del momento, solo quello: l’orrido Salvini. Aveva 8 anni, il capo della Lega, quando tutto cominciò: frequentava la terza elementare, mentre Ciampi staccava la spina di Bankitalia, condannando la nazione a far esplodere il debito, da allora sostenuto da “investitori” privati.Si chiama capestro: non dice niente, questa storia, alle Sardine? Non dice niente, alle loro orecchie, il favore sospetto di cui gode la loro rivoluzione colorata presso i censori del regime che controllano stampa e televisione? La puzza di bruciato fa capire che a vincere è il banco, anche stavolta. Se sei una Sardina detesti Salvini, se sei leghista ce l’hai con le Sardine. E se invece sei un semplice italiano, spettatore desolato da questo menù? Storia di ieri: l’élite neoliberale “compra” il centrosinistra per smantellare il Belpaese, e riesce persino a convincere l’elettorato di sinistra (quantomeno, gli “ebeti” di cui parla Guardamagna) che la colpa fosse del puzzone Berlusconi. Con Monti, giù la maschera: pareggio di bilancio e Fiscal Compact, fine della ricreazione. Obiettivo: prosciugare il patrimonio (case, risparmi) dopo aver impedito allo Stato di continuare ad assistere l’economia. Esplode la disoccupazione. E piange anche D’Alema, il principe dei privatizzatori: che strano, i giovani rinunciano a sposarsi e a metter su famiglia. Serviva a quel punto un bravo attore, capace di farci parlar d’altro: ed ecco Renzi. Breve stagione, inevitabilmente (zero idee su come risolvere la crisi). E dunque avanti il prossimo: largo ai grillini, altro evidente bluff. Poi, alle loro spalle, sgusciando fuori dall’obsoleto centrodestra, compare Salvini. Brutto e cattivo, proprio come Berlusconi: ha tutti i requisiti per calamitare l’ostilità degli “ebeti”.Il non-governo provvisoriamente in carica, da sua eminenza Conte in giù, balbetta la solita frittura di Bruxelles (italiani, rassegnatevi all’austerity), con il puntello dei grillini abbarbicati alle poltrone, spaventati dall’idea delle elezioni che li annullerebbero. E mentre i dominus dietro le quinte fanno i loro calcoli, avendo già allertato Prodi e Draghi, la Sardina – nel suo piccolo – si entusiasma nelle piazze, con l’ennesima scenetta all’italiana: molto rumor per nulla, non uno slogan che interpelli chi comanda. A quanto pare, si avvicina l’ora di Salvini? Il leader della Lega, criminalizzato come un fuorilegge col solito sistema (non è degno, non è umano, non è presentabile, non è neppure una persona, è un mostro, è uno xenofobo nazista da impiccare per i piedi) dovrà giocarsi una partita scomodissima. Squalificato e messo fuori gioco da qualche colpo di palazzo, grazie alla furia propedeutica dell’isterismo ittico? O al contrario, costretto – ma per davvero, per la prima volta – a fare i conti con l’Europa, come promesso dai suoi economisti “di sinistra”, come Bagnai, gli unici reclutati da un partito presente in Parlamento? Di che stoffa è, Matteo Salvini? Tralasciando le Sardine, che una risposta già ce l’hanno in tasca, sarà curioso vedere cosa ne penseranno gli italiani, gli altri, a cominciare da quelli che in Emilia non hanno ancora scelto se votare, e chi.(Giorgio Cattaneo, “Sardine, fascismi immaginari e ebeti veri”, dal blog del Movimento Roosevelt del 28 novembre 2019).Oggi, i partigiani comunisti che contribuirono a liberare l’Emilia Romagna prenderebbero volentieri a calci nel sedere gli amici delle Sardine, o meglio: il governo di yesmen contro cui si agita Salvini, la bestia nera dei ragazzi-pesce. Lo afferma lo storico Alessandro Guardamagna, in un intervento su “Come Don Chisciotte“. Tema: la patetica propaganda contro “il fascismo”, che non vede il fascismo vero del 2019, quello di Erdogan che tiranneggia i turchi, vessa i profughi e inonda l’Europa di foreign fighters dell’Isis, dopo averli armati e protetti. Temi non pervenuti, però, nell’agenda elettorale delle Sardine, sordomute anche di fronte alla tagliola del Mes, cioè l’agguato – firmato Conte e Gualtieri, i due maggiordomi di turno – contro ogni possibile politica autonoma in Italia (che sia di stampo salviniano o antisalviniano, non importa: se è il Mes a dirti quanto spendere, e per cosa, tu questa Italia non la governi più). Il problema? «Fascismi, sardine e ebeti», riassume Guardamagna. Quanti ebeti? Tantissimi. E vedi che combinazione: l’onda ittica “venuta dal nulla” diventa quasi una marea, proprio mentre Grillo strattona Di Maio suicidando i 5 Stelle, e la mannaia giudiziaria si abbatte sul malcapitato Renzi. Dietro le quinte, giochi paralleli (e in ombra) tra Palazzo Chigi e Quirinale: in panchina si scaldano Draghi e Prodi, i due maggiori devastatori del nostro paese negli ultimi decenni.
-
Carotenuto: inquietante Conte-bis, è in guerra contro di noi
Dobbiamo tornare a parlare di Conte come il successore di Andreotti: pur essendo un tipo molto diverso, è il portatore dello stesso enorme potere curiale di cui beneficiava Andreotti. Un personaggio così importante è diventato anche presidente del Consiglio di un secondo governo, con un equilibrio politico completamente differente dal precedente. Com’è che un personaggio portatore di un potere così importante si occupa anche di questo governo? Di dirigerlo e di controllarlo, per conto del suo potere. E cos’è, questo nuovo governo? E’ un governo pericolosissimo: per la libertà, per la sovranità, per le nostre coscienze e anche per le nostre tasche. I governi precedenti erano meglio? No, erano sempre governi fatti principalmente da burattini dei poteri che contano, nel mondo. Tutti i partiti italiani, in questo momento, sono burattini di quei poteri, anche se fingono di non esserlo. Quello precedente era un governo “bau-bau”, serviva a protestare contro il sistema in modo da raccogliere la protesta antisistema (che è crescente), ma poi doveva anche “andare a male” per dimostrare che questo sovranismo non ce la fa, che è becero, in modo da creare – per reazione – un raggruppamento che fosse maggioritario, in questo Parlamento. E questo ha funzionato.Quindi si è riusciti a mettere insieme 5 Stelle e Pd, che prima – con tutti i loro elettorati – non sarebbero mai stati insieme. Quindi, la mossa di far fare a Salvini il “bau-bau” è servita. Ma lo stesso vale in tutto il mondo. Berlusconi ha fatto il “bau-bau” precedentemente, Trump lo sta facendo in questo momento. Ogni tanto, quando comincia a deteriorarsi un certo potere fortemente collegato ai grandi poteri di manipolazione, quando cioè gli uomini bravi a fare gli interessi del potere cominciano a non essere più accettabili per i cittadini (che hanno capito chi sono) allora bisogna sostituirli, perché il potere ha bisogno del consenso della gente. E allora si inventano nuovi partiti di destra e di sinistra, nuovi partiti fintamente libertari come il Movimento 5 Stelle, o fintamente al servizio del popolo come la Lega. Ma questi, prima o poi, servono solamente per fare una manovra che riporti le cose nelle mani dei più efficienti uomini del potere, che poi sono quelli dei vecchi schemi (in questo caso, gli uomini del Pd). Le posizioni più importanti di questo governo sono state tutte date a esponenti del vecchio potere, che ormai era indigesto. E gli uomini nuovi (come Di Maio) servono a fare da copertura, ma non contano niente – anche perché in effetti non sono capaci di fare niente, non hanno mai fatto niente.Quelli efficientisi invece li hanno messi nelle posizione di rilievo. Al ministero dell’economia hanno messo un funzionario europeo molto efficace, uno di quelli che hanno lavorato al Mes, al Trattato di Lisbona, al Patto di Stabilità: uno di quelli che sanno come si incastra e come si schiavizza la gente. E poi Gentiloni: un uomo della curia romana, molto vicino a Mattarella e agli stessi ambienti da cui, guarda un po’, viene Conte. E quest’uomo è diventato ministro europeo dell’economia. E un altro uomo di ambienti curiali, giornalista, David Sassoli, è diventato presidente del Parlamento Europeo. Una formazione molto forte: in questo momento, questo governo è molto forte in Europa. I suoi uomini (tipo Prodi, Ciampi, Monti: lo stesso tipo di persone, derivanti dallo stesso potere) adesso sono diventati tra i più potenti, tra Italia ed Europa. Ma questo governo, che è stato possibile creare solo dopo aver fatto fare a Salvini il “bau-bau”, è un governo molto pericoloso, più forte del normale. Ha dentro persone più abili (come il ministro dell’economia Gualtieri), più connesse al potere vero, finanziario, ai poteri oscuri, e quindi più capaci di portare avanti l’agenda mondialisa verticalizzatrice (l’agenda anti-coscienza, come la chiamiamo noi da tempo).Questo è quindi un governo “da guerra”: è come aver messo su una forza armata, capace non solo di portare avanti con molta più forza l’agenda europea, ma forse di fare qualcosa in più. Con questo governo, l’agenda che già c’era prenderà fiato: questo governo applicherà molte cose che prima non si applicavano. Anche perché questo governo rafforza enormemente il fronte verticalizzante dei paesi europei che sono connessi ai poteri finanziari. E adesso, anche in Europa, c’è una maggioranza di governi fortemente capaci di portare avanti l’agenda peggiore, accentratrice. E l’Italia dà un contributo incredibile, con questo improvviso cambiamento di posizione. Quindi, tutti di dossier europei che sono in campo verranno applicati con molta più forza, senza esitazioni. Quali? Uno dei più importanti è questo: si sta discutendo il bilancio europeo dal 2021 al 2027. Come dovranno contribuirvi, gli Stati? E cosa si farà, di questo bilancio europeo? Le previsioni non sono simpatiche. Ci sarà un trasferimento di fondi dagli Stati all’Europa, e l’Europa si occuperà di molte più cose, senza più passare dagli Stati.E questo velocizzerà il processo di verticalizzazione e accentramento: più speditamente di farà l’Unione Bancaria, si procederà verso una politica estera comune più forte, verso un esercito comune, verso una polizia comune, verso servizi segreti comuni. Tutti passi finora fatti in maniera non molto forte. Questo tipo di governo Ue lo può fare in modo assai più deciso. Può dare più fondi ai Meccanismo Europeo di Stabilità, rafforzare il Fiscal Compact, realizzare più facilmente il Ceta, far entrare più facilmente gli Ogm e toglierci i contanti. Tantissime sono le cose che questa formazione “da guerra”, pericolosissima, può fare; cose che prima erano più difficili da realizzare. Però non c’è solo questo. Non per dare una cattiva notizia, ma questa formazione è talmente forte, sia un Europa che in Italia, che potrebbe anche essere sfruttata per fare qualche deciso passo in più verso la verticalizzazione e la schiavizzazione. Come si fanno, in genere, questi passi? Scatenando delle crisi. Però bisogna avere governi capaci di sfruttarle: e adesso ci sono.Crisi come l’11 Settembre, che ha portato un cambiamento – voluto – delle strategie, a livello mondiale, grazie alla strategia della tensione del falso attentato alle Torri Gemelle. Oppure il conflitto con l’Islam, creato apposta da forze occidentali: potremmo vedere una ripresa del terrorismo. Potremmo vedere un’azione strana, qualche paese che esplode nel Mediterraneo o nel Medio Oriente. Potremmo vedere qualche paese che va fortemente in crisi economica, perché no? Potrebbe essere qualcosa che ci riguarda da vicino – spero non direttamente anche l’Italia, visto che a Bruxelles avremo un ministro dell’economia italiano e a Roma un governo molto forte in senso europeista. Mi aspetto quindi la possibilità che questo governo “da guerra”, da battaglia, che lavora per conto dei poteri oscuri, possa essere adoperato per gestire un ulteriore passo di schiavizzazione, a seguito della creazione di qualche momento di tensione (e alla strategia della tensione ci hanno abituati). Mentre faranno questo, chiaramente, ci terranno ancora nella famosa tenaglia: emergenze, stress, mancanza di lavoro, tasse, penuria di soldi, e dall’altra parte divertimenti, il frivolo, l’effimero. Obiettivo: fare in modo che le nostre coscienze non si risveglino, e siano di fronte o al dramma o al calcio e alla televisione.Coscienze da una parte impaurite e dall’altra addormentate: questo continuerà, naturalmente, mentre loro attueranno un’agenda sempre più pericolosa. Del resto, l’umanità si sveglia solo attraverso il dolore. Vuol dire che tassi di dolore crescenti aiuteranno l’umanità a un ulteriore risveglio, come è successo finora. A seguito di guerre, stragi e olocausti, l’umanità si è svegliata sempre un po’ di più. Adesso non può più essere comandata a bacchetta, va manopolata: democrazia e libertà devono essere mantenute, in qualche modo, perché la gente reagisce. La gente è cresciuta, nei secoli, attraverso il dolore, lasciando il campo parzialmente libero alle forze oscure. Speriamo che non duri, questo governo. Se invece dovesse durare, apprestiamoci a ricevere cattive notizie. Che però genereranno risvegli: se questo accade è perché siamo in grado di farvi fronte, e di uscirne spiritualmente vincitori.(Fausto Carotenuto, “Un governo pericolosissimo”, video-intervento su YouTube ripreso da “Coscienze in Rete” il 21 novembre 2019, dove si sottolinea la nefasta azione del Conte-bis che emerge dai retroscena sul Mes).Dobbiamo tornare a parlare di Conte come il successore di Andreotti: pur essendo un tipo molto diverso, è il portatore dello stesso enorme potere curiale di cui beneficiava Andreotti. Un personaggio così importante è diventato anche presidente del Consiglio di un secondo governo, con un equilibrio politico completamente differente dal precedente. Com’è che un personaggio portatore di un potere così importante si occupa anche di questo governo? Di dirigerlo e di controllarlo, per conto del suo potere. E cos’è, questo nuovo governo? E’ un governo pericolosissimo: per la libertà, per la sovranità, per le nostre coscienze e anche per le nostre tasche. I governi precedenti erano meglio? No, erano sempre governi fatti principalmente da burattini dei poteri che contano, nel mondo. Tutti i partiti italiani, in questo momento, sono burattini di quei poteri, anche se fingono di non esserlo. Quello precedente era un governo “bau-bau”, serviva a protestare contro il sistema in modo da raccogliere la protesta antisistema (che è crescente), ma poi doveva anche “andare a male” per dimostrare che questo sovranismo non ce la fa, che è becero, in modo da creare – per reazione – un raggruppamento che fosse maggioritario, in questo Parlamento. E questo ha funzionato.
-
Becchi: Prodi al Quirinale, ecco perché Grillo suicida il M5S
Fa pena per chi è stato per un certo periodo vicino al M5S e persino iscritto, e che sentiva quasi quotidianamente per telefono Gianroberto Casaleggio, assistere alla lenta agonia di un MoVimento che doveva (e poteva) cambiare l’Italia e in cui milioni di italiani hanno creduto. Non mi si dica che comunque con la presenza del M5S è cambiato in Italia il modo di fare politica. Non è il MoVimento che ha cambiato la politica, ma la politica che ha cambiato il MoVimento. Entrato prima nel palazzo e poi nella stanza dei bottoni, gli eletti si sono sistemati su comode poltrone e hanno dimenticato che erano semplici cittadini che dovevano fare non i fighetti alla televisione ma i portavoce dei cittadini. In dieci anni il M5S non ha cambiato niente di sostanziale. Anche dire che è stata la risposta alla crisi dei partiti è falso perché i grillini da MoVimento si sono trasformati in partito. Come pure dire che il MoVimento è in continuo MoVimento, in evoluzione, è solo un modo per nascondere l’involuzione e la perdita di identità. Il tentativo di dar luogo ora ad una riflessione generale sul futuro del MoVimento e tardiva. Ha poco senso parlare di futuro sul letto di morte.Può essere che qualche volta la storia si ripeta, ma il fatto è che il M5S ha perso una occasione storica. Il declino era già da tempo in atto, ma Beppe Grillo ha dato questa estate il colpo di grazia al MoVimento che aveva contribuito a creare. L’odio che ha sempre nutrito per Salvini lo ha portato a far abbracciare il M5S al Pd e l’abbraccio è stato mortale. Un suicidio collettivo messo in atto da Grillo. Ci ha provato con l’Umbria a dimostrare che non era vero, ma era vero. Ora votare o non votare in Emilia e in Calabria cambia poco. Continuerà la lenta agonia sino a quando gli italiani voteranno alle politiche e staccheranno la spina. Sul voto svoltosi recentemente sulla piattaforma Rousseau si sono dette un sacco di balle. E ormai tutte le colpe sono di Di Maio, il capro o meglio la capra espiatoria. Ma chi lo ha voluto il voto su Rousseau? Nessuno si è posto questa domanda. Vediamo di dare una risposta. C’è un capo politico, e c’è un garante; il non voto tornava ad entrambi comodo, anche per tener calmi i parlamentari.Ma c’è una persona che come figlio di un Grande si deve essere cominciato a rompere i coglioni e allora ha imposto il voto sulla piattaforma: Davide Casaleggio, che sta sempre più rendendosi conto che quel MoVimento sarà pure in continuo movimento ma in una direzione che Gianroberto non avrebbe mai accettato. Davide Casaleggio non è stato a questo gioco e ha voluto il voto, sparigliando le carte. Il voto ha così sfiduciato entrambi.Il primo a uscire con le ossa rotte dal voto di giovedì sera è Grillo. È stato lui a volere l’accordo con il Pd. Dopo la batosta in Umbria, la sua idea è stata quella di non presentare M5S in Calabria ed Emilia-Romagna per fare in modo che il voto del Movimento andasse al candidato Pd. La rete ha bocciato questa scelta. Il voto ha sconfessato anche Di Maio, che dice di non volere mai più un accordo con il Pd proprio mentre siede con il Pd nei banchi del governo. Ma Di Maio ha una forza contrattuale pari a zero e suggella il fatto che questo è un governo del Pd dove M5S fa solo il portatore d’acqua. Era il partito di maggioranza. Paradossale, no?Davide Casaleggio ha capito che il Movimento creato da suo padre è finito. Si tratta solo di gestirne la fase terminale, un’agonia che può essere più o meno lunga. Oppure di rilanciare M5S cambiando tutto, facendo un Movimento 2.0. Ma ci vorrebbe la genialità di Gianroberto, che non c’è più. Altro che «stati generali», che sono solo un bluff, una comparsata dei soliti noti con un po’ di veline intorno. Ci vorrebbe un “Sum” come quelli che faceva a Ivrea, mettendo insieme persone con la testa, raccogliendo le istanze del presente e guardando al futuro. Sum non è l’abbreviazione di summit, ma è il latino «sono», «io sono». Sapendo che buona parte del tuo elettorato è già andata nella Lega, bisognerebbe impostare il Movimento sui temi apparentemente nuovi che vanno forte a livello europeo: diseguaglianze e ambiente, questione sociale e questione ecologica. Dico apparentemente perché nella realtà sono stati da sempre parte integrante, ma trascurata, di M5S. Gianroberto era ambientalista, ma il suo era un ambientalismo compatibile con il lavoro, con l’industrializzazione. Sapeva che se le due cose non si incontrano, bisogna cercare strade nuove.Olivetti era così. E Gianroberto pure. Adesso la sua creatura è un’altra cosa. Solo tatticismi fine a se stessi e grisaglie da parvenu della politica. E soprattutto, poltrone. Davide ha capito che questo M5S non ha più a che fare con il Movimento di suo padre e vuole accelerarne la fine. Per rifondarlo? Per fare qualcosa di nuovo? Non lo sappiamo. A questo punto meglio finire al più presto questa storia ormai priva di senso. Meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine. Ma Grillo non ci sta, lui vuole Prodi al Quirinale, e allora ecco l’ultima mossa. Come garante prende nelle mani il MoVimento e di fatto commissaria Di Maio. Il progetto di costruire un partitino di sinistra va avanti ma Grillo non ha il coraggio di proporre espressamente un accordo col Pd in Emilia – questo lo avrebbe costretto a sfiduciare Di Maio – per cui si inventa la formula del «voto per beneficienza», un modo tattico per dire che presenteranno formalmente le liste con il non detto di votare Pd. L’idea di costruire un nuovo centrosinistra, destinato a «progetti bellissimi» nei deliri dell’Elevato, è ormai quella che ha vinto nel M5S. Nello scontro al vertice il capo indebito ha dovuto cedere al garante: e la via indicata a sinistra è ormai definitivamente tracciata. Tatticismi sull’orlo dell’abisso. Ci cadranno dentro insieme.(Paolo Becchi, “La manina di Davide Casaleggio sul voto su Rousseau”, da “Libero” del 24 novembre 2019).Fa pena per chi è stato per un certo periodo vicino al M5S e persino iscritto, e che sentiva quasi quotidianamente per telefono Gianroberto Casaleggio, assistere alla lenta agonia di un MoVimento che doveva (e poteva) cambiare l’Italia e in cui milioni di italiani hanno creduto. Non mi si dica che comunque con la presenza del M5S è cambiato in Italia il modo di fare politica. Non è il MoVimento che ha cambiato la politica, ma la politica che ha cambiato il MoVimento. Entrato prima nel palazzo e poi nella stanza dei bottoni, gli eletti si sono sistemati su comode poltrone e hanno dimenticato che erano semplici cittadini che dovevano fare non i fighetti alla televisione ma i portavoce dei cittadini. In dieci anni il M5S non ha cambiato niente di sostanziale. Anche dire che è stata la risposta alla crisi dei partiti è falso perché i grillini da MoVimento si sono trasformati in partito. Come pure dire che il MoVimento è in continuo MoVimento, in evoluzione, è solo un modo per nascondere l’involuzione e la perdita di identità. Il tentativo di dar luogo ora ad una riflessione generale sul futuro del MoVimento e tardiva. Ha poco senso parlare di futuro sul letto di morte. Può essere che qualche volta la storia si ripeta, ma il fatto è che il M5S ha perso una occasione storica. Il declino era già da tempo in atto, ma Beppe Grillo ha dato questa estate il colpo di grazia al MoVimento che aveva contribuito a creare. L’odio che ha sempre nutrito per Salvini lo ha portato a far abbracciare il M5S al Pd e l’abbraccio è stato mortale. Un suicidio collettivo messo in atto da Grillo.