Archivio del Tag ‘servizi segreti’
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Fame, paura e morte: dove è nato l’uomo d’acciaio Putin
Oggi, Vladimir Vladimirovic Putin, detto Volodja, compie 65 anni. Molti sanno della sua vita politica e il recente film di Oliver Stone ne sta mettendo in luce gli aspetti più interessanti. Pochissimi sanno però della sua incredibile infanzia. A fronte di leader politici vissuti da bambini in ville con piscina, tra lussi e scuole di prestigio come Obama, Trump e Macron, Putin ha vissuto la povertà, quella vera. Per questo, oggi lo omaggiamo con alcuni significativi riferimenti alla sua infanzia travagliata. Quando nel 1952 Putin viene al mondo, la sua città natale, Leningrado, è un cumulo di macerie. L’odierna San Pietroburgo, infatti, ha subito il più terribile assedio della seconda guerra mondiale: tre anni di fame, paura e morte durante i quali persero la vita un milione di cittadini russi. Putin perse un fratello, Viktor, morto durante l’assedio a 9 anni, e che il presidente non ha mai conosciuto. Un altro, Oleg, era morto alla nascita. La mamma soffre di denutrizione e il padre, ex combattente, è un ferito di guerra. Da bambino era piccolo e di statura e gracile, ma fin dall’età infantile si rivelò un avido lettore, uno degli elementi che fin da subito mi sorpresero di più e che mi portarono ad affrontare i libri letti da Putin e l’ambito filosofico che più lo formò.A 12 anni lesse “Lo scudo e la spada”, bestseller ove si narrano le gesta di una spia sovietica. Suggestioni che lo porteranno da adulto ad intraprendere una carriera nel servizio segreto dell’Urss, il famigerato Kgb. Il primo serio tentativo della Russia di resistere all’americanizzazione e alla globalizzazione viene da queste esperienze, perchè la scuola del Kgb non era una scuola come le altre. Ma se il Kgb ha forgiato Volodja, anche la Kommunalka lo ha forgiato. Eccome. Di cosa si tratta? La kommunalka è una sorta di condominio, ma gestito in modo comunitario tra diverse famiglie: stanze scarsamente illumintate, androni desolati, rampe di scale fatiscenti, pavimenti bucati, immondizia abbondante dentro i palazzi. In quei cortili, tra risse con i coetanei e vendette, Volodja ha passato la sua giovinezza. Il padre si era arruolato come fuciliere dell’85esimo battaglione d’assalto dell’Armata Rossa e fu costretto a combattere casa per casa nella celeberrima “sacca della Neva”. Come in un film, Spiridonovic Putin fu un vero sabotatore, per miracolo sopravvissuto ad una missione suicida con un manipolo di coetanei.Ferito nella periferia della città qualche mese dopo l’impresa, il papà di Putin rischiò seriamente la morte. La mamma Maria per molto tempo non seppe che fine avesse fatto il marito. Quando, per puro caso, lo ritrovò la loro vita era in gran parte segnata perché entrambi deformati da denutrizione e ferite. Grazie a vecchie competenze acquisite sul campo, il padre di Putin troverà lavoro come operaio specilizzato nelle officine Yegorov, che trattavano materiale ferroviario, la madre Maria farà la facchina ai mercati e poi verrà impiegata in una sorta di ospizio. La maggior parte del tempo, comunque, la donna lo passava a cercare cibo da mettere in tavola. E la Kommunalka? Più famiglie in coabitazione, ove ogni nucleo disponeva di una sola stanza con bagno in comune e cucina in comune. Dunque, per mangiare a pranzo e a cena, occorreva fare i turni e le fila, con tutte le litigate, a volte anche furibonde, che possiamo immaginarci. Inutile dire che una vita come questa fu caratterizzata da degrado e amici teppisti di strada, tra scazzottate e bevute.I topi erano onnipresenti nella Leningrado anni Cinquanta e Sessanta, e non era affatto raro, per Putin, affrontarli nelle staze del palazzo in cui viveva per ucciderli con mezzi di fortuna. Anche la vita scolastica non fu delle più facili e Putin tra i banchi si dimostrò intelligente, ma sovente ribelle, spesso punito ed escluso dai circoli studenteschi che contavano. Senza pena di smentita posso affermare che una vita come questa, segnata dalla povertà e dalle ristrettezze, ha forgiato il carattere dell’uomo più degli studi di giurisprudenza e dei corsi specializzati del Kgb. Certamente, ha reso il presidente russo maggiormente temprato alle difficoltà, alla strategia e alla freddezza decisionale dei numerosi figli di papà che caratterizzano la nostra classe dirigente, pubblica o privata che sia.(Massimo Bordin, “L’infanzia di Volodja, alias Vladimir Putin”, dal blog “Micidial” del 7 ottobre 2017).Oggi, Vladimir Vladimirovic Putin, detto Volodja, compie 65 anni. Molti sanno della sua vita politica e il recente film di Oliver Stone ne sta mettendo in luce gli aspetti più interessanti. Pochissimi sanno però della sua incredibile infanzia. A fronte di leader politici vissuti da bambini in ville con piscina, tra lussi e scuole di prestigio come Obama, Trump e Macron, Putin ha vissuto la povertà, quella vera. Per questo, oggi lo omaggiamo con alcuni significativi riferimenti alla sua infanzia travagliata. Quando nel 1952 Putin viene al mondo, la sua città natale, Leningrado, è un cumulo di macerie. L’odierna San Pietroburgo, infatti, ha subito il più terribile assedio della seconda guerra mondiale: tre anni di fame, paura e morte durante i quali persero la vita un milione di cittadini russi. Putin perse un fratello, Viktor, morto durante l’assedio a 9 anni, e che il presidente non ha mai conosciuto. Un altro, Oleg, era morto alla nascita. La mamma soffre di denutrizione e il padre, ex combattente, è un ferito di guerra. Da bambino era piccolo e di statura e gracile, ma fin dall’età infantile si rivelò un avido lettore, uno degli elementi che fin da subito mi sorpresero di più e che mi portarono ad affrontare i libri letti da Putin e l’ambito filosofico che più lo formò.
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Nel segno di Olof Palme: le sue idee salverebbero l’Italia
Olof Palme, chi era costui? Il pubblico televisivo conosce Renzi e Grillo, Berlusconi e D’Alema, la Merkel e Draghi. Al massimo Ettore Rosato e Angelino Alfano, il senatore Razzi e il governatore De Luca, o almeno le loro caricature firmate Crozza. Chi ha meno di quarant’anni fatica a mettere a fuoco il museo delle cere: Andreotti e Craxi, Moro, Pertini, Cossiga, Berlinguer. E Olof Palme? Un signore elegante e lontano: svedese, e quindi “strano”, figlio di un’antropologia ormai remota, aliena. Visse prima di Internet, del G8 di Genova e dell’11 Settembre; prima di Facebook, dell’Isis e dell’iPhone. Che c’azzecca, con noi, quel gentleman ante-web che governò il paese dell’Ikea? Bisognerebbe chiederlo a Vincenzo Bellisario, che sta per dare alle stampe “Nel segno di Olof Palme?”, libro che rievoca il testamento democratico di un socialista d’altri tempi, assassinato a Stoccolma – mentre era premier – proprio per evitare che i suoi tempi potessero diventare anche i nostri, cioè diversissimi da quelli di oggi, in cui non si capisce più niente, né si conosce il nome di chi comanda il mondo: si vede solo il sangue che lascia a terra tra un attentato e l’altro, in una guerra permanente fatta anche di profughi e migranti, disoccupazione, crisi finanziarie e disinformazione planetaria.Dunque chi era Olof Palme? Bisognerebbe chiederlo a Gianfranco Carpeoro (Pecoraro, in una vita precedente), avvocato e autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che accusa un’élite occulta, super-massonica, di pilotare settori dell’intelligence Nato per costruire il terrore dell’Isis, dietro il paravento dell’alibi islamista. Obiettivo: manipolare l’opinione pubblica, spaventarla, imporle leggi speciali e distrarla, impedendole di individuare i veri responsabili del disastro economico e sociale in corso, accuratamente progettato da un’oligarchia paramassonica internazionale. Gioele Magaldi, amico di Carpeoro e suo sodale nel Movimento Roosevelt, nel quale milita lo stesso Bellisario, ricorda che il catastrofico 11 settembre del 2001 fu soltanto la seconda fase di un piano di svuotamento della democrazia avviato all’alba di un altro 11 settembre, quello del 1973, quando fu abbattuto il governo cileno di Salvador Allende per instaurare la dittatura di Pinochet. Troppa democrazia rischiava di frenare il grande business? Nel suo libro, Carpeoro ricorda il telegramma con cui Licio Gelli, proprio dal Sudamerica, informava un parlamentare statunitense, Philip Guarino, che anche “la palma svedese” stava per essere abbattuta.La “palma svedese” sarebbe caduta il 28 febbraio 1986, in un agguato a colpi di pistola all’uscita di un cinema nel centro di Stoccolma. «Probabilmente l’assassino di Olof Palme è ancora in vita, e nel delitto potrebbero essere coinvolti la polizia o qualche esponente dell’esercito», afferma il criminologo svedese Leif Gustav Willy Persson, che ha sempre dubitato della colpevolezza di Christer Pettersson, il criminale di strada inizialmente fermato, e poi a sua volta deceduto all’improvviso dopo aver contattato per telefono il figlio di Palme, annunciandogli di avere notizie sulla fine del padre. Si sospetta anche di un altro anomalo decesso, quello del romanziere Stieg Larsson, morto esattamente come il protagonista della sua triologia, “Millennium”, dopo aver condotto indagini riservate sul caso Palme e aver consegnato alla polizia, inutilmente, svariati scatoloni pieni di documenti. Ma chi era, quindi, Olof Palme? Un socialista, un democratico. Il massimo interprete del welfare europeo: pari opportunità per tutti, nessuno deve essere lasciato idietro. Chi paga? Lo Stato: per il bene di tutti, ricchi e poveri. Pur di evitare licenziamenti, Palme arrivò a far rilevare quote di aziende traballanti. Messaggio: il salario dei cittadini-lavoratori viene prima del profitto d’impresa, perché ne va della coesione sociale del sistema-paese.Era pericoloso, Palme? Eccome. Mai e poi mai avrebbe dato il via libera alla nascita di un mostro giuridico come l’Unione Europea, di fatto governata da poche famiglie di oligarchi, proprietari dalle grandi banche cui appartiene la stessa Bce. Olof Palme era convinto di dover «tagliare le unghie al capitalismo», frenandone gli eccessi e gli abusi partendo dal ruolo democratico dello Stato come fattore di equilibrio: proprio quello Stato che l’Ue ha letteralmente demolito e svuotato. Era famoso, Palme: denunciava l’apartheid del Sudafrica e quello di Israele, le malefatte degli Usa nell’America Latina e la dittatura “rossa” dell’Unione Sovietica. Una figura prestigiosa, scomoda. Stava addirittura per essere eletto segretario generale delle Nazioni Unite: una volta all’Onu, sarebbe stato più difficile abbatterla, la “palma svedese”. Andava tolta di mezzo prima. E non è un caso, probabilmente, che tuttora non si sappia nulla di preciso né del killer né dei mandanti, anche se Carpeoro – nel rievocare il famoso telegramma di Gelli rivolto a Guarino – fa il nome di un eminente politologo Usa, Michael Ledeen, all’epoca legato a Guarino. Secondo Carpeoro, l’onnipresente Ledeen («consigliere occulto di Craxi e Di Pietro, Renzi e Grillo») è un tipico esponente dell’élite supermassonica “reazionaria”, protagonista della storica svolta antidemocratica che ha ridotto l’Occidente al deserto attuale, quello della privatizzazione globalizzata e universale, imposta a mano armata, anche con guerre e attentati.«L’Italia è ormai arrivata ad uno stato di coma profondo ed ovviamente irreversibile per almeno una persona su due», scrive Vincenzo Bellisario nell’introduzione al suo volume su Olof Palme, di prossima uscita per le Edizioni Sì (140 pagine, 11 euro). «E se continua su questa strada non c’è alcuna speranza: non c’è un modo per venirne fuori, al momento, considerando gli attuali trattati Ue e l’euro». Ragiona Bellisario: «Le persone ancora “salve” in questo paese sono coloro che hanno avuto la fortuna di essere nati e cresciuti all’interno di famiglie benestanti che gli hanno permesso di studiare con “calma”», magari per poi ottenere “la spinta giusta”. Gli altri che si sono “salvati”? Sono quelli «che hanno avuto la “fortuna” di essere stati assunti anni fa con i cosiddetti “contratti vecchi”», e quelli che sono andati in pensione «ad un’età giusta e con una pensione dignitosa». Per tutti gli altri, oggi, non c’è più storia: «Sono spacciati». Parole che ricordano quelle rievocate dallo stesso Carpeoro, autore di una prefazione al volume: «Oggi è morta la speranza», disse l’avvocato, all’indomani dell’assassinio di Palme in un’assise culturale di area liberal-socialista. Lo corressero: non è vero, possono morire i grandi uomini ma non le loro idee. E’ per questo che all’inizio del 2018, a Milano, Carpeoro sarà tra i promotori di un singolare convegno internazionale del Movimento Roosevelt sulla figura del compianto statista svedese. Se da qualche parte bisogna pur ripartire, per rimettere in piedi la nostra disastrata democrazia, sarebbe un onore ricominciare proprio da Olof Palme: una bandiera da tenere alta, nell’Europa degli oligarchi e degli orchi che ammazzano i paladini della giustizia sociale.Olof Palme, chi era costui? Il pubblico televisivo conosce Renzi e Grillo, Berlusconi e D’Alema, la Merkel e Draghi. Al massimo Ettore Rosato e Angelino Alfano, il senatore Razzi e il governatore De Luca (o almeno le loro caricature firmate Crozza). Chi ha meno di quarant’anni fatica a mettere a fuoco il museo delle cere: Andreotti e Craxi, Moro, Pertini, Cossiga, Berlinguer. E Olof Palme? Un signore elegante e lontano: svedese, e quindi “strano”, figlio di un’antropologia ormai remota, aliena. Visse prima di Internet, del G8 di Genova e dell’11 Settembre; prima di Facebook, dell’Isis e dell’iPhone. Che c’azzecca, con noi, quel gentleman ante-web che governò il paese dell’Ikea? Bisognerebbe chiederlo a Vincenzo Bellisario, che sta per dare alle stampe “Nel segno di Olof Palme?”, libro che rievoca il testamento democratico di un socialista d’altri tempi, assassinato a Stoccolma – mentre era premier – proprio per evitare che i suoi tempi potessero diventare anche i nostri, cioè diversissimi da quelli di oggi, in cui non si capisce più niente, né si conosce il nome di chi comanda il mondo: si vede solo il sangue che lascia a terra tra un attentato e l’altro, in una guerra permanente fatta anche di profughi e migranti, disoccupazione, crisi finanziarie e disinformazione planetaria.
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Richard Sorge, la geniale spia di Stalin tra i nazisti a Tokyo
Giappone, luglio 1935. Un certo tenente colonnello Aizawa arriva a Tokyo, in treno, dalla sua città di guarnigione. Va al ministero della Guerra, entra nell’ufficio del viceministro, generale Nagata, sguaina la sciabola e lo ammazza. Al processo dirà che si vergogna di una cosa sola: di non essere riuscito a ucciderlo con un solo colpo di spada. L’omicidio non è una questione privata: è dovuto a un conflitto politico. L’esercito giapponese è spaccato tra i vecchi generali moderati, legati ai grandi trust industriali, e i giovani ufficiali estremisti, spesso di umili origini, e con forti simpatie fasciste. In Giappone c’è una tradizione di conflitti simili: c’è anche un termine che risale addirittura al XV secolo, gekokujo, che vuol dire rovesciamento degli anziani da parte dei giovani. Il 26 febbraio 1936, durante il processo del tenente colonnello Aizawa, un gruppo di giovani ufficiali fa uscire i soldati dalle caserme, occupa il ministero della Guerra, il Parlamento e la Centrale di polizia e attacca le case del primo ministro e di parecchi ministri. Due ministri vengono uccisi, il premier si salva solo perché gli insorti uccidono suo cognato, scambiandolo per lui. I ribelli dichiarano che hanno agito per dovere nei confronti dell’imperatore, e non fanno nient’altro, come se si aspettassero che l’imperatore Hirohito interverrà dalla loro parte.Il governo tratta con gli insorti per due giorni, ma intanto fa circondare tutti gli edifici occupati, usando unità della Marina, che è in pessimi rapporti con l’Esercito. Dopo tre giorni i ribelli si arrendono; la maggior parte saranno condannati a morte e giustiziati. I governi occidentali fanno una gran fatica a capire cosa sta succedendo in Giappone: quella è una società lontana, complicata e impenetrabile. Anche i pochi giornalisti europei a Tokyo brancolano nel buio. C’è un solo giornalista che è capace di spiegare cosa succede. È un tedesco, membro del Partito nazista, molto ben introdotto alla sua ambasciata, e che ha una conoscenza stranamente approfondita della politica giapponese. Dopo l’insurrezione dei giovani militari il giornalista scrive un lungo articolo, che viene pubblicato in Germania ed è commentato in tutto il mondo, al punto che la “Pravda”, a Mosca, lo ripubblica in russo. All’ambasciata tedesca si complimentano col giornalista: ormai è diventato una stella internazionale.Il giornalista ride, ma in cuor suo è fuori di sé; quella sera va a trovare un altro tedesco, un industriale, che abita in un lontano sobborgo di Tokyo. In casa, l’industriale tiene nascosta una radiotrasmittente capace di trasmettere fino in Russia. Il giornalista chiama Mosca e chiede se sono matti a pubblicare sulla “Pravda” i suoi articoli: per favore, che non capiti più in futuro, perché nessuno deve intravvedere anche il minimo collegamento tra lui e l’Unione Sovietica. Il giornalista si chiamava Richard Sorge, era iscritto al Partito comunista dal 1918, ed era a capo di una rete di spie piazzata a Tokyo dall’Armata Rossa, una rete di spie che ha influenzato il corso della Seconda guerra mondiale. L’iscrizione al Partito nazista faceva parte della sua copertura; aveva chiesto la tessera a Berlino nel 1933, mentre aspettava il rilascio del passaporto per il Giappone. A quell’epoca l’organizzazione nazista era tutt’altro che impeccabile: negli archivi di Berlino è stata ritrovata la scheda del dottor Richard Sorge, iscritto al partito nella sezione dei residenti all’estero, e come indirizzo c’è scritto soltanto: “Tokyo, Cina”. Poi qualcuno ha cancellato “Cina” a matita e ha corretto: “Giappone”.L’ambasciata tedesca a Tokyo era stata felicissima dell’arrivo di questo compatriota, giornalista esperto di Estremo Oriente, allegro compagnone e grande bevitore. La capitale nipponica negli Anni Trenta era una strana città, governata da una polizia segreta paranoica che teneva sotto sorveglianza tutti gli stranieri, ma piena di ristoranti cinesi ed europei, birrerie tedesche con nomi come «L’Oro del Reno», dove le cameriere giapponesi si tingevano i capelli di biondo, finché la polizia non decise di vietare quest’usanza antipatriottica. Lì il dottor Sorge poteva essere visto fino a tarda notte a trincare con i suoi amici dell’ambasciata tedesca, che gli confidavano tutti i segreti e si facevano aiutare da lui a cifrare i dispacci in codice da mandare a Berlino. Si fidavano a tal punto che quando la Gestapo fece sapere all’ambasciatore Ott che nell’ambasciata forse c’era una talpa, l’ambasciatore non si confidò con nessuno, tranne una persona: il suo carissimo amico, il dottor Sorge.Ma la superspia non era sola. Con lui c’erano tecnici europei addestrati a Mosca, come l’industriale che abitava nei sobborghi, che si chiamava Max Klausen e in realtà era un mago della radio, capace di costruirsi dal nulla una radioricevente portatile con pezzi comprati nei negozi di Tokyo, e di montarla e smontarla in dieci minuti. E c’erano i tanti giapponesi che avevano accettato di lavorare per Sorge e per il comunismo, tutti, senza eccezione, per convinzione ideale, nessuno per soldi, che erano pochi e incerti. Uomini piazzati a tutti i livelli della società giapponese, come il giornalista Hotsumi Ozaki, esperto di cose cinesi, consulente del governo e della potentissima Armata del Kwantung che occupava la Manciuria, ai confini con l’Unione Sovietica. Per otto anni Sorge, Ozaki e gli altri, muovendosi alla luce del sole nei circoli governativi e diplomatici, accumularono informazioni segrete e le spedirono a Mosca, che seppe in anticipo tutto quello che bolliva in pentola a Tokyo e a Berlino: dal patto anti-Comintern tra Germania e Giappone, all’aggressione hitleriana contro l’Unione Sovietica, all’attacco di Pearl Harbor.Quando, alla fine, vennero arrestati, dopo che la Gestapo giapponese, la Tokko, aveva seguito le loro tracce per due anni, Sorge e Ozaki avevano influenzato concretamente l’esito della guerra. Eppure, incredibilmente, non avevano violato quasi nessuna legge: tutte le informazioni trasmesse a Mosca le avevano raccolte grazie ai loro contatti nel governo e nell’ambasciata nazista. Ne avevano violata una sola, una legge nuova che puniva con la morte chi avesse trasmesso informazioni di qualunque genere a un paese comunista, e su quella base vennero condannati e impiccati, dopo un processo durato tre anni. Il procuratore Yoshikawa, che interrogò Sorge, disse poi: «In tutta la mia vita non ho mai incontrato un uomo di tale levatura».(Alessandro Barbero, “Nella rete di Sorge, nazista a Tokyo per conto dell’Urss”, da “La Stampa” del 31 agosto 2017. Sorge fu giustiziato il 7 novembre 1944. Mosca lo riconobbe come propria spia solo nel 1964, dichiarandolo “eroe dell’Unione Sovietica”, massima onorificenza del paese).Giappone, luglio 1935. Un certo tenente colonnello Aizawa arriva a Tokyo, in treno, dalla sua città di guarnigione. Va al ministero della Guerra, entra nell’ufficio del viceministro, generale Nagata, sguaina la sciabola e lo ammazza. Al processo dirà che si vergogna di una cosa sola: di non essere riuscito a ucciderlo con un solo colpo di spada. L’omicidio non è una questione privata: è dovuto a un conflitto politico. L’esercito giapponese è spaccato tra i vecchi generali moderati, legati ai grandi trust industriali, e i giovani ufficiali estremisti, spesso di umili origini, e con forti simpatie fasciste. In Giappone c’è una tradizione di conflitti simili: c’è anche un termine che risale addirittura al XV secolo, gekokujo, che vuol dire rovesciamento degli anziani da parte dei giovani. Il 26 febbraio 1936, durante il processo del tenente colonnello Aizawa, un gruppo di giovani ufficiali fa uscire i soldati dalle caserme, occupa il ministero della Guerra, il Parlamento e la Centrale di polizia e attacca le case del primo ministro e di parecchi ministri. Due ministri vengono uccisi, il premier si salva solo perché gli insorti uccidono suo cognato, scambiandolo per lui. I ribelli dichiarano che hanno agito per dovere nei confronti dell’imperatore, e non fanno nient’altro, come se si aspettassero che l’imperatore Hirohito interverrà dalla loro parte.
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Un mondo di sole destre, finto-ribelli. La sinistra? E’ sparita
Alice Elisabeth Weidel è la vincitrice morale delle recenti elezioni tedesche e, con la sua terza posizione, diventa uno scomodo ma forte interlocutore politico. La Weidel è omosessuale e da anni convive con la produttrice di film Sarah Bossard, cittadina svizzera originaria dello Sri Lanka, con la quale ha due figli. Alice nel paese delle meraviglie, ex Goldman Sachs, lavorava negli stessi ambienti di Soros, tanto per capire come sia interna e complementare allo stesso sistema che a parole combatte. Il simbolo del partito è a metà strada tra il logo della Nike, un simbolo fallico e una saetta delle Ss rubata da una vecchia bandiera. Segno dei tempi, un po’ nazi, un po’ trendy e gayfriendly… Le destre radicali e i populismi rappresentano quell’aggiornamento di sistema che descrivo da tempo, ovvero il favorire le estreme come catalizzatore di voti, contenitori del dissenso che spostino il voto popolare a destra, e giustifichino la vittoria dei moderati, come l’Afd per la Cdu, la Le Pen per Macron, Grillo per il Pd. Stesso identico schema. A questo servono, sono il cane da guardia del capitale, le avanguardie del padronato.Nei prossimi decenni l’aggiornamento del sistema vedrà l’affermazione delle destre radicali, utilizzate come ultimo baluardo di un re nudo (leggi liberismo) per contenere una possibile e potenziale deriva antagonista progressista culturale e di piazza, soprattutto per tarparne il desiderio, spostando il dissenso a destra o in contenitori definiti reazionari. Questa è una strategia nuova ma al tempo stessa vecchia e già sperimentata, è quella che la grande borghesia mise in campo all’inizio del ventennio del secolo scorso contro le avanzate del bolscevismo e in vista di un potenziale risveglio dei popoli da sinistra. Fascismo e nazismo rispondevano a questo bisogno borghese di individuazione di un nemico e di tarpare le ali a qualsiasi rivoluzione popolare. Quando i cosiddetti moderati di ogni dove non potranno più essere votati, dopo l’ultimo ed ennesimo inganno, in un mondo dove le notizie circolano ed i tabù crollano, le sentinelle silenti di estrema destra, oggi ancora di nicchia, arriveranno e svolgeranno il ruolo per cui sono state create. La rete in questi anni è stata molto utile per ripulire certi mondi, l’estrema destra è stata spesso salutata come forza liberatrice, come novità, sfruttando la rabbia e l’astinenza da rogo dei popoli e l’ignoranza atavica che pervade l’uomo qualunque.Un certo revisionismo della storia è stato fatto circolare e accettare; questo tornerà comodo e sarà il medium preposto a stabilizzare il sistema, incarnando uno spauracchio anti-democratico, oppure, nel peggiore dei casi, a sostituirsi al sistema potenziandolo, ma pur sempre restando nell’alveo iper-liberista, con l’aggiunta di un certo sentimento nazionalista e xenofobo, magari con virate peroniste, ma sempre rispettando la matrice dello schema di base. L’unica vera assente a livello planetario da almeno 30 anni è lei, la tanto vituperata e obsoleta sinistra: ridicolizzata, schernita, derisa; eppure manca solo lei, nello scenario mondiale. Gli ultimi leader socialisti e progressisti di un tempo, declinati in diverse gradazioni e temperature politiche, sono stati fatti fuori, quelli attuali rispondo a logiche neo-liberiste e comunque non progressiste. Pensiamo ad Olof Palme ucciso in Svezia dall’estrema destra manovrata dai servizi, pensiamo ad Allende ucciso da Pinochet e dalla Cia, pensiamo a Sankara, a Gheddafi, a Chavez e tanti altri.Ragioniamo su quali schieramenti sono stati sconfitti nel tempo e conflitti dal sistema che ha usato servizi segreti, estrema destra, spezzoni di magistratura, per sbarazzarsi anche culturalmente di ogni progressismo. Pensiamo ai nazisti patrioti ucraini, appoggiati perfino dal Pd in versione anti-Putin, curiosa joint venture tra mondi diversi, ma uniti dal bisogno reciproco. Comunque ragioniamo sulle cause storiche degli ultimi 40 anni, che hanno materializzato l’attuale paradigma neo-aristocratico che ha pervaso entrambi gli schieramenti, come sul modello americano, dove destra e sinistra partitica sono chimere e fazioni quasi identiche e vengono percepiti lontani dalla gente. Il modello di pensiero unico ha bandito le ideologie: chiediamoci il perché. Ha cambiato il linguaggio, svuotando di significato due polarità necessarie alla dialettica democratica. Non è passatista ed errato parlare ancora di destra e sinistra, perché incarnano valori e ideali, senza i quali rimane solo la mera speculazione finanziaria senza idee e progettualità, la giungla più buia dove vince il più forte.Quando Michael Ledeen parla di fascismo universale, lui – sionista imperialista, vero grande burattinaio, al cui cospetto Gelli era un passacarte – dice una cosa precisa, e non è mia la definizione. Il fascismo non è stato solo un ventennio; il fascismo, come ci ricordano i grandi manovratori, certi iniziati, veri studiosi e liberi pensatori anarchici come Reich (che non a caso, da uomo libero quale era, parla di fascismo rosso), è un’attitudine, è un modello di pensiero che trasla gli schieramenti, è una forma-pensiero; possiamo anche chiamarla diversamente, ma questo è… Così la plasmarono gli iniziati neri, quando crearono il nazismo esoterico decenni prima dell’avvento del nazismo politico; sono egregore che servono a manipolare le masse e la psicologia di massa.(“Un mondo di sole destre è possibile, anzi è reale”, dal blog “Maestro di Dietrologia” del 1° ottobre 2017).Alice Elisabeth Weidel è la vincitrice morale delle recenti elezioni tedesche e, con la sua terza posizione, diventa uno scomodo ma forte interlocutore politico. La Weidel è omosessuale e da anni convive con la produttrice di film Sarah Bossard, cittadina svizzera originaria dello Sri Lanka, con la quale ha due figli. Alice nel paese delle meraviglie, ex Goldman Sachs, lavorava negli stessi ambienti di Soros, tanto per capire come sia interna e complementare allo stesso sistema che a parole combatte. Il simbolo del partito è a metà strada tra il logo della Nike, un simbolo fallico e una saetta delle Ss rubata da una vecchia bandiera. Segno dei tempi, un po’ nazi, un po’ trendy e gayfriendly… Le destre radicali e i populismi rappresentano quell’aggiornamento di sistema che descrivo da tempo, ovvero il favorire le estreme come catalizzatore di voti, contenitori del dissenso che spostino il voto popolare a destra, e giustifichino la vittoria dei moderati, come l’Afd per la Cdu, la Le Pen per Macron, Grillo per il Pd. Stesso identico schema. A questo servono, sono il cane da guardia del capitale, le avanguardie del padronato.
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Violenza-spettacolo, le amnesie dei media e le regie occulte
Inorridisce giustamente, l’italiano medio, di fronte alla brutalità della polizia spagnola che a Barcellona prende a calci i giovani inermi finiti a terra, maltratta le donne tirandole per i capelli, rompe nasi e spezza braccia, spara nel mucchio proiettili di gomma ad altezza uomo, spintona e strattona persino le nonne, trascinadole via come pericolose terroriste. Inorridisce, ma senza chiedersi come mai tanta violenza di Stato venga esibita di colpo a reti unificate. E si domanda invece, giustamente, per quale motivo il governo democratico di Madrid non si vergogni nemmeno un po’ dello spettacolo barbarico dei suoi agenti antisommossa, i robocop neri a cui è stato semplicemente ordinato di picchiare senza riguardi, di pestare gente con le mani alzate, di spedire all’ospedale cittadini, popolo, anziani. Sono le domande naturali, ovvie, che assillano e disturbano lo spettatore neutrale, estraneo ai fatti, turbato dalla violenza andata in scena a Barcellona. Quegli interrogativi se li pongono anche gli addetti all’informazione ospiti dei talkshow. Ma, attenzione: sono gli stessi giornalisti mainstream che si guardarono bene dal fiatare quando a prendere a calci i cittadini – italiani – erano le forze antisommossa spedite dal governo di Roma in valle di Susa col medesimo ordine: mandare all’ospedale la gente che aveva osato protestare, presidiare spazi e invocare giustizia, molto prima che la battaglia NoTav venisse inquinata dalle derive rabbiose nate dall’esperazione.«Giornalisti bugiardi e cialtroni: ne caccerei nove su dieci», ebbe a dire recentemente un reporter di razza come lo statunitense Seymour Hersh, Premio Pulitzer. La sua tesi: se la stampa non avesse abdicato al suo ruolo, rinunciando a fare il proprio dovere, in questi ultimi decenni avremmo avuto meno vittime. Meno abusi e meno stragi, meno guerre, meno terrorismi opachi. E forse, costringendo politici e governi a dire la verità, qualche oscuro mandante sarebbe stato costretto a venire allo scoperto. I grandi media sono ormai “Presstitutes”: così li chiama Paul Craig Roberts, liberale, già viceministro di Reagan. Non sono più veri mass media, ma strumenti orwelliani di propaganda, megafoni di un regime finanziario unificato, proprietario universale dell’editoria cartacea e radiotelevisiva che ha trasformato l’informazione in gossip, in politica-marketing e tifoseria da stadio contro nemici apparenti come la Russia di Putin, o fabbricati a tavolino come i tagliagole-kamikaze dell’Isis. E’ tutto spettacolo, soltanto spettacolo – senza mai analisi, spiegazioni, memoria storica, retroscena e denunce argomentate, al punto da spingere milioni di utenti a spegnere il televisore cercando rifugio nella galassia magmatica del web, alla ricerca affannosa di informazioni e ricostruzioni (attendibili, o almeno plausibili) su qualsiasi guaio contemporaneo, dall’euro alle scie chimiche, dalle guerre ai vaccini obbligatori.Lo spettacolo, oggi, è quello della violenza imposta dagli uomini neri che Madrid ha spedito a Barcellona? Ieri era quello della Troika euro-tedesca impegnata a gambizzare un altro popolo alle prese con un referendum, quello greco. Quando i primi NoTav si agitavano in corteo nella loro valle di Susa, appena dopo il duemila, non immaginavano neppure lontanamente la reale geografia della partita in corso: ancora non era arrivato Mario Monti a usare il manganello (finanziario) contro gli italiani. In Francia, il pallido François Hollande era riuscito a conquistare l’Eliseo promettendo la fine del rigore imposto da Berlino? E’ stato “sistemato” a colpi di attentati, insieme ai francesi: che adesso si godono Macron, l’omino-Rothschild confezionato in vitro direttamente dalle officine supermassoniche cui sovrintendono personaggi come Jacques Attali, il finto-socialista che spinse a destra la politica di Mitterrand, nel segno euro-imperiale dell’ordoliberismo da cui è appena scappata la Gran Bretagna votando la Brexit. E’ tutto spettacolo, quello che va in televisione: e se ci va, è sempre bene chiedersi perché. Secondo un analista indipendente come Federico Dezzani, a manipolare la Catalogna indipendentista sarebbero gli stessi super-poteri oligarchici che orchestrarono il crollo della Prima Repubblica in Italia, corrotta ma ancora relativamente sovrana, ostile al falso europeismo neo-feudale degli oligarchi interessati a smantellare l’economia della penisola, aprendo la stagione della crisi infinita.La polizia che malmena gli inermi non è mai un bello spettacolo, e a Madrid non potevano non saperlo. Non poteva non sapere, il debolissimo governo Rajoy, che l’intera Europa avrebbe simpatizzato, in diretta televisiva, con gli abitanti di Barcellona. Ha ragione Dezzani: non può essere a Madrid, la vera regia di questa pagina imbarazzante, con troppo sangue e troppe ossa rotte. Forse non è nemmeno a Marsiglia, dove – in contemporanea – le forze di sicurezza francesi hanno abbattuto a pallettoni, tanto per cambiare, l’ennesimo presunto jihadista accoltellatore, destinato come tutti gli altri a non parlare più. La regia dell’orrore non è nemeno a Nizza, dove la polizia locale (un po’ come i Mossos catalani) si rifiutò di obbedire agli ordini di Parigi, quando il ministro dell’interno le impose di distruggere i filmati delle telecamere che avevano ripreso la strage del 14 luglio sulla Promenade des Anglais. Una parte di questa ipotetica regia probabilmente risiede proprio a Parigi, dove – dopo il non-suicidio di un valente commissario – il governo silenziò e chiuse le indagini su Charlie Hebdo con l’imposizione del segreto di Stato (segreto militare), togliendo il dossier al coraggioso magistrato che aveva scoperto una strana triangolazione per la fornitura delle armi al commando stragista, Kalashnikov slovacchi giunti in Francia via Belgio attraverso un uomo della Dgse, il servizio segreto parigino.Se tutto è spettacolo, in televisione, manca sempre il vero mandante, perché sfugge regolarmente il movente. Era di quello che si occupava il giudice italiano Gabriele Chelazzi, stranamente morto dopo aver scritto una lettera di protesta alla Procura di Firenze, che accusava di averlo lasciato solo, senza uomini e mezzi. Lo racconta un super-poliziotto, Michele Giuttari, che fece condannare i “compagni di merende”. Prima del Mostro di Firenze (la cui vera storia si è rassegnato a scriverla nei suoi romanzi), Giuttari aveva sgominato – con Chelazzi – la gang di Cosa Nostra impegnata a realizzare gli attentati dinamitardi di Milano, Firenze e Roma. Un’indagine record, con decine di mafiosi in manette. Per ordine di chi avevano agito? Totò Riina, Leoluca Baragarella. D’accordo, si domanda Giuttari: ma chi aveva ordinato a Riina e Bagarella di piazzare ordigni fuori dalla Sicilia? E per quale oscuro motivo? Per una ragione formidabile e al tempo stesso indicibile: terremotare l’Italia e renderla fragile, mentre i poteri forti organizzavano la tagliola fatale del Trattato di Maastricht, l’inizio della fine delle economie prospere e sovrane. A dirlo non è Giuttari ma Dezzani, lo studioso che ora accusa i politci catalani di essersi fatti strumento di quegli stessi poteri oligarchici che – c’è da giurarci – spingeranno il vento nelle vele degli autonomisti lombardi e veneti al referendum del 22 ottobre, sperando di veder presto anche l’Italia sbriciolarsi, come la Spagna, per meglio dominare, finanziariamente, un popolo ormai ipnotizzato dalla televisione.Inorridisce giustamente, l’italiano medio, di fronte alla brutalità della polizia spagnola che a Barcellona prende a calci i giovani inermi finiti a terra, maltratta le donne tirandole per i capelli, rompe nasi e spezza braccia, spara nel mucchio proiettili di gomma ad altezza uomo, spintona e strattona persino le nonne, trascinandole via come pericolose terroriste. Inorridisce, ma senza chiedersi come mai tanta violenza di Stato venga esibita di colpo a reti unificate. E si domanda invece, giustamente, per quale motivo il governo democratico di Madrid non si vergogni nemmeno un po’ dello spettacolo barbarico dei suoi agenti antisommossa, i robocop neri a cui è stato semplicemente ordinato di picchiare senza riguardi, di pestare gente con le mani alzate, di spedire all’ospedale cittadini, popolo, anziani. Sono le domande naturali, ovvie, che assillano e disturbano lo spettatore neutrale, estraneo ai fatti, turbato dalla violenza andata in scena a Barcellona. Quegli interrogativi se li pongono anche gli addetti all’informazione ospiti dei talkshow. Ma, attenzione: sono gli stessi giornalisti mainstream che si guardarono bene dal fiatare quando a prendere a calci i cittadini – italiani – erano le forze antisommossa spedite dal governo di Roma in valle di Susa col medesimo ordine: mandare all’ospedale la gente che aveva osato protestare, presidiare spazi e invocare giustizia, molto prima che la battaglia NoTav venisse inquinata dalle derive rabbiose nate dall’esasperazione.
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Catalogna? Dezzani: tremo per l’Italia, il Nord-Est scapperà
Come in Catalogna, così in Lombardia e Veneto: secessione? Dopo le aspirazioni di Barcellona, ecco i due referendum per l’autonomia regionale che si terranno il 22 ottobre nel lombardo-veneto: tra Milano e Venezia sarebbero in azione «gli stessi poteri che sferrarono l’assalto del 1992-1993», poteri stranieri «che hanno oggi condotto l’Italia al default e mirano a smembrare il paese». Lo afferma un analista geopolitico indipendente come Federico Dezzani, che attribuisce a potenze extra-italiane la vera regia del crollo della Prima Repubblica, con il ciclone Mani Pulite ma anche gli attentati terroristici eseguiti da Cosa Nostra tra Roma, Milano e Firenze, senza contare le stragi costate la vita a Falcone e Borsellino. «L’Italia deve osservare da vicino quanto accade in Spagna e prepararsi al peggio», ammonisce Dezzani. «Nell’autunno del 2017 è ufficialmente subentrata la penultima fase dell’eurocrisi: sovraccaricata l’Europa meridionale di tensioni economiche-sociali e portato l’indebitamento pubblico a livello critico grazie alla moneta unica, si fomentano le spinte secessionistiche in seno ai membri più deboli, in vista di un default più o meno ordinato e lo smembramento dei medesimi».
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Un milione gli Ufo finora avvistati. Perché gli Usa tacciono
Sui grandi media non se ne parla mai, ma sono un milione gli Ufo avvistati nel mondo, negli ultimi 70 anni. E almeno il 20% degli avvistamenti – quindi, non meno di 200.000 – sono stati “validati” dall’intelligence militare di decine di paesi. Lo rivela il sociologo Roberto Pinotti, storico leader del Cun, Centro ufologico nazionale, riconosciuto dall’aeronautica militare. «Una realtà che il potere ufficiale continua a non ammettere, benché ne sia perfettamente a conoscenza». Il perché di questo decennale, imbarazzato silenzio? «Semplice: chi oggi detiene la leadership, nel mondo, dovrebbe ammettere la propria catastrofica inferiorità tecnologica di fronte a esseri infinitamente superiori», sostiene Pinotti in una recente conferenza, ripresa da “YouTube”. «Tutti sanno che gli alieni ci stanno monitorando», aggiunge. «Se avessero cattive intenzioni, avrebbero già annientato l’umanità». Si metteranno “ufficialmente” in contatto con noi? «Ma con chi potrebbero parlare? Con gli Usa, sempre in guerra col resto del mondo? Con i russi, i cinesi, gli indiani, gli europei? Meno improbabile, semmai, un contatto con autorità morali: il Dalai Lama non ha escluso questa eventualità, e la stessa Chiesa cattolica attribuisce un’importanza strategica al modernissimo osservatorio astronomico della Specola Vaticana di Mount Graham, in Arizona».“Res Inexplicata Volans”, è la definizione – in latino – con cui gli stimatissimi scienziati di Mount Graham, gesuiti, definiscono astronavi e dischi volanti. Fenomeno la cui osservazione ufficialmente documentata risale al 1947. Da allora, se ne sono occupati ininterrottamente i maggiori esperti militari, dall’aviazione statunitense fino alla Royal Air Force britannica, incluso il Kgb sovietico: «Proprio da Mosca, dopo il crollo dell’Urss – aggiunge Pinotti – abbiamo avuto accesso una mole veramente enorme di materiale top secret». Attualmente si contano oltre 12.000 dossier ufficiali dei militari statunitensi, mentre sono 1.700 quelli che la Francia ha raccolto dal 1977. La media si equivale ovunque: oltre il 20% degli avvistamenti resta puntualmente “inspiegato”. Sono circa 500, poi, i casi «tuttora senza una spiegazione certa», registrati in Italia dal Reparto Generale Sicurezza dell’aeronautica militare, istituito da Giulio Andreotti dopo i 2.000 avvistamenti sulla penisola verificatisi nel biennio 1978-79. Lo stesso Centro ufologico nazionale ha agli atti oltre 12.000 rapporti. «Nessuno ormai osa più dire che il fenomeno non è reale», conferma il Cun. Pinotti, già ufficiale dell’aeronautica nonché saggista di successo e giornalista aerospaziale, dispone di un archivio di oltre 8.000 fotografie. Tutte autentiche? Le falsificazioni accertate, assicura, non superano il 10%.Vladimiro Bibolotti, attuale presidente del Cun, sul “Fatto Quotidiano” ricorda che il 24 giugno 1947, esattamente 70 anni fa, il pilota civile americano Kenneth Arnold, mentre volava nei pressi del Monte Rainier nello Stato di Washington avvistò «una formazione di 9 oggetti volanti in fila indiana che sembravano saltellare come piattini sull’acqua». Oltre alla elevata velocità, quegli oggetti «avevano una forma particolare, semicircolare “come il tacco di una scarpa”». Ma per i giornalisti dell’epoca, attirò di più la versione di “piattini volanti”: quella colorita definizione, “flying saucer”, era destinata a diventare famosa, trasformandosi poi in “flying disc”. Solo tra il 1952 e il 1953 l’oggetto volante diventò Ufo, “Unidentified flying object”. La notizia dell’avvistamento, continua Bibolotti, non fu subito presa in seria considerazione, fino a quando – pochi giorni dopo – alcuni piloti militari avvistarono anche loro degli oggetti volanti comparabili con quelli osservati da Kenneth Arnold. Durante l’estate del ‘47 «furono moltissimi gli avvistamenti segnalati in ogni parte del territorio degli Stati Uniti, e cosa poco nota, furono scattate molte fotografie proprio da piloti militari». Così, anche grazie ai media, era nata l’ufologia.Già antiche cronache latine e medioevali, aggiunge il presidente del Cun, troviamo fenomeni celesti molto curiosi, dalle descrizioni simili e assimilabili alle moderne segnalazioni di fenomeni Ufo. E durante la Seconda Guerra Mondiale comparvero i cosiddetti “Foo Fighters”, «che volavano impunemente in mezzo alle formazioni degli alleati o dell’asse». Tuttavia, l’avvistamento del 24 giugno 1947 è considerato convenzionalmente come il “primo”. A distanza di 70 anni, il fenomeno Ufo continua ad appassionare. Come ebbe a dire un decennio fa l’allora presidente dell’Unione giornalisti aerospaziali italiani, il compianto Cesare Falessi: «Gli Ufo? Certo che esistono! Se per assurdo così non fosse, il vero scoop sarebbe scoprire in virtù di quale incredibile prodigio una questione inesistente continua a rimbalzare tuttora sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, a distanza di sei decenni». Oggi, a dieci anni dalla scomparsa di Falessi, dopo che il fenomeno è stato a lungo negato dalle autorità, «si scopre che invece le varie agenzie governative, non ultima la Cia, investigarono meticolosamente e con un ingente budget a disposizione».A conferma di ciò, continua Bubolotti, c’è da poco stato il rilascio di ben 800.000 dossier, con oltre un milione di pagine a testimonianza dell’interesse per quelle manifestazioni tecnologiche così inconsuete. Come disse il presidente americano Harry Truman in una conferenza stampa televisiva per tranquillizzare l’opinione pubblica americana dopo il famoso sorvolo nel 1952 di alcuni oggetti sopra la Casa Bianca, «se mai tali oggetti fossero reali, non sarebbero stati costruiti da nessuna nazione della Terra». C’è chi ha trasformato questa ricerca «in atti di fanatismo religioso, minando la credibilità stessa del fenomeno», al pari degli scettici «che non hanno mai letto dossier di fonte militare», accusa il presidente del Cun. Depistatori, che hanno trasformato il tutto «in cattive interpretazioni di percezione o allucinazioni, dimenticando che persino noti astronomi d fama mondiale come Clyde Tombaugh, scopritore di Plutone, nonché piloti militari, scienziati e premi Nobel sono stati testimoni di avvistamenti di oggetti la cui natura tecnologica e intelligente esula dalle nostre capacità costruttive». Conferma il grande astrofisico Stephen Hawking: «Non siamo soli, nell’universo».A settant’anni dall’avvistamento di Kenneth Arnold, però, rimane ancora il ragionevole dubbio e il mistero che tali oggetti ci lasciano, sia come manifestazione tecnologica, sia come fenomeno sociologico che investe l’intera umanità, coclude Bubolotti. «Evidentemente, la vastità dell’universo e le nuove scoperte ci avvicinano a nuove prospettive e conoscenze paragonabili alla rivoluzione copernicana che scardinò l’idea che la Terra fosse al centro dell’universo». Forse, lo studio e la verifica della realtà degli “oggetti volanti non identificati”, «fenomeno oggettivamente non misurabile convenzionalmente, nonostante tracciati radar e filmati militari», alla fine «sconfesserebbe il modus operandi di scettici che, senza aver mai studiato carte e documenti, lapidariamente hanno liquidato la questione come inesistente». Storici precedenti smentiscono i negazionisti: è il caso delle meteoriti che «solamente nel 1794, dopo la caduta di molti esemplari a Siena, furono accettate come fenomeno reale, nonostante oltre 5.000 anni di osservazioni astronomiche».Roberto Pinotti è ancora più drastico: imputa agli Usa l’imposizione del “grande silenzio” sulla materia, perché «la superpotenza, in quanto tale, è quella che averebbe più da perdere, di fronte all’ammissione dell’esistenza di entità ben più potenti». Anche per questo, aggiunge, proprio gli Usa – tramite la fantascienza di Hollywood e le produzioni televisive appositamente finanziate – ha cercato di manipolare l’immaginario collettivo: un po’ per mettere gli Ufo in burletta, e un po’ per cominciare ad abituare la popolazione all’idea che, un bel giorno, l’evento destinato a terremotare la coscienza dell’umanità potrebbe davvero accadere, «come i militari sanno benissimo, dato che – anche in Italia – compilano accurati dossier», in parte trasferiti allo stesso Cun, redatti con precisione impressionante: caratteristiche del veicolo osservato, dimensioni, luminosità, rumore, tipo di volo. C’è di tutto, compresa la descrizione minuziosa di atterraggi. «Cito da fonte precisa, militare: membri dell’equipaggio, due. Altezza: un metro e trenta. Abbigliamento: tuta azzurra e casco bianco, con antenne».Sui grandi media non se ne parla mai, ma sono un milione gli Ufo avvistati nel mondo, negli ultimi 70 anni. E almeno il 20% degli avvistamenti – quindi, non meno di 200.000 – sono stati “validati” dall’intelligence militare di decine di paesi. Lo rivela il sociologo Roberto Pinotti, storico leader del Cun, Centro ufologico nazionale, riconosciuto dall’aeronautica militare. «Una realtà che il potere ufficiale continua a non ammettere, benché ne sia perfettamente a conoscenza». Il perché di questo decennale, imbarazzato silenzio? «Semplice: chi oggi detiene la leadership, nel mondo, dovrebbe ammettere la propria catastrofica inferiorità tecnologica di fronte a esseri infinitamente superiori», sostiene Pinotti in una recente conferenza, ripresa su “YouTube”. «Tutti sanno che gli alieni ci stanno monitorando», aggiunge. «Se avessero cattive intenzioni, avrebbero già annientato l’umanità». Si metteranno “ufficialmente” in contatto con noi? «Ma con chi potrebbero parlare? Con gli Usa, sempre in guerra col resto del mondo? Con i russi, i cinesi, gli indiani, gli europei? Meno improbabile, semmai, un contatto con autorità morali: il Dalai Lama non ha escluso questa eventualità, e la stessa Chiesa cattolica attribuisce un’importanza strategica al modernissimo osservatorio astronomico della Specola Vaticana di Mount Graham, in Arizona».
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Costa Concordia: credete davvero che sia stato un incidente?
Sicuri che sia stato davvero un incidente, e non invece un naufragio deliberato? Nel caso, quello della Costa Concordia risulterebbe “firmato” in modo inequivocabile, massonico. Troppe coincidenze alimentano fondati sospetti, afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e studioso di simbologia. “Seguite i soldi”, direbbe un detective americano, e forse scoprirete che dietro al disastro della nave da crociera incagliatasi davanti all’Isola del Giglio il 13 gennaio 2012 potrebbe nascondersi il più classico dei moventi, quello economico. E cioè: sbarazzarsi di una nave ormai anziana, scansando gli esorbitanti costi dello smantellamento. Un’ipotesi non così fantascientifica, per Carpeoro, che nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” svela il codice esoterico con cui settori deviati dell’intelligence Nato avrebbero “firmato” gli attentati in Europa eseguiti da manovalanza islamista targata Isis. «In una serie di elementi di questa vicenda – afferma Carpeoro, parlando della Concordia ai microfoni di “Border Nights” – ho trovato qualcosa che somiglia al meccanismo consueto, che è quello della “firma”. Cioè: attraverso la scelta di circostanze e di date, qualcuno l’ha “firmato”, l’evento». Gli ipotetici autori? «Soggetti che generalmente lavorano per servizi, per società segrete anche paramassoniche». E i 32 morti? «Non voluti: probabilmente un errore di calcolo, che però si appoggiava su un’ipotesi criminosa».
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Omicidi e stragi, la guerra segreta degli inglesi contro l’Italia
“Colonia Italia”. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra. Sono cose che dobbiamo sapere. Quando si pensa alle ingerenze dall’estero nei confronti del nostro paese si pensa sempre agli Stati Uniti d’America. Ma basta aprire una cartina geografica e vedere dov’è l’Inghilterra, un’isola del Nord Europa, e dove sono stati per molti decenni – a ancora oggi – i suoi interessi economici, strategici, militari. In Nord Africa, nel Medio Oriente e in Estremo Oriente. E cosa c’è tra la Gran Bretagna e i suoi interessi? C’è il Mediterraneo e, al centro del Mediterraneo, l’Italia. Quindi già dai tempi del Risorgimento, l’Italia per la Gran Bretagna era una postazione di fondamentale importanza, attraverso la quale poteva controllare i suoi domini e le sue rotte marittime. Poi l’Italia perde la Seconda Guerra Mondiale e, tra Gran Bretagna e Stati Uniti, c’è una visione molto conflittuale sul problema Italia: per gli Stati Uniti noi eravamo un paese cobelligerante, cioè che si era autoliberato dal nazifascismo combattendo al fianco degli alleati. Per la Gran Bretagna invece noi eravamo un paese sconfitto tout-court. Punto e basta. Quindi un paese soggetto ai vincoli, imposti attraverso trattati internazionali, dalle potenze vincitrici alle nazioni sconfitte.Questo ha determinato il corso degli eventi della storia successiva, praticamente fino ai giorni nostri. Al tavolo della pace, quando le grandi potenze vincitrici cominciarono a spartirsi il mondo in aree di influenza, all’interno del campo atlantico la Gran Bretagna pretese e ottenne, dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, una sorta di diritto di supervisione sull’Italia. Quindi l’Italia, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, è paese che appartiene all’area di influenza britannica. C’è una differenza importante tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Gli Usa hanno combattuto anche in Italia una guerra contro il comunismo. La Gran Bretagna non ha combattuto solo quella, ma anche una guerra contro l’Italia, in modo particolare contro quella parte della classe dirigente italiana del secondo dopoguerra – penso ai De Gasperi, ai Mattei, ai Fanfani, ai Vanoni fino ad Aldo Moro, sovranista – cioè, che pur nel contesto di un’alleanza internazionale, l’alleanza atlantica, si muoveva con una propria visione sulla base di un proprio interesse nazionale. Era l’Italia del dopoguerra, uscita a pezzi, che però voleva crescere, riprendersi, ricostruire le proprie istituzioni, il proprio sistema economico. E per poterlo fare aveva bisogno di quella materia prima che è il sangue, l’ossigeno per ogni sistema, e cioè il petrolio, l’energia. Questo è stato all’origine di un conflitto con la Gran Bretagna che dura ancora oggi.La Gran Bretagna, che ha esercitato un controllo pressoché assoluto sul nostro sistema di informazione, ha usato la stampa, i giornali, gli opinion leader, gli intellettuali per orientare l’opinione pubblica e tentare di condizionare le scelte politiche dei partiti e dei governi. Una di queste grandi scelte su cui la Gran Bretagna ha tentato di condizionarci è stata la politica mediterranea, la politica energetica e petrolifera dell’Italia. De Gasperi, presidente del Consiglio nel 1953, aveva il mandato britannico di sciogliere l’Agip. Mattei, nel 1953, era stato messo alla presidenza dell’Agip per scioglierla. E invece di sciogliere l’Agip lui fondò l’Eni, grazie anche a un decreto di De Gasperi. E dopo aver fondato l’Eni, Mattei cominciò ad attuare una propria politica. Non era accettata l’Italia di Mattei, dell’Eni, al tavolo delle grandi compagnie internazionali, in modo particolare di quelle britanniche, con pari dignità. Era ammessa a sedersi, tutt’al più, su uno strapuntino, ma Mattei e l’Italia di quegli anni non volevano assolutamente dipendere dal punto di vista energetico dalla Gran Bretagna. Per cui cercarono autonomamente le fonti di approvvigionamento, offrendo ai paesi produttori di petrolio, che erano quasi tutti controllati dalle compagnie britanniche, condizioni più favorevoli.C’era la famosa regola del fifty-fifty: 50% ai produttori, 50% alle compagnie petrolifere straniere. Questa era una regola imposta dalle “sette sorelle”. Mattei cambiò le regole dello scambio, proponendo il 25% alle compagnie e il 75% ai produttori: i paesi produttori trovarono più conveniente fare affari con l’Italia che non con la Gran Bretagna. Questo disturbò parecchio gli inglesi. La rivelazione di questo libro è l’esistenza di una vera e propria macchina della propaganda occulta britannica. E questa macchina venne scagliata contro De Gasperi e contro il suo erede politico Attilio Piccioni, attraverso la macchina del fango. De Gasperi venne coinvolto in uno scandalo, il famoso scandalo Guareschi – De Gasperi delle lettere che poi risultarono false, fabbricate dalla propaganda occulta inglese, e Piccioni venne coinvolto in un altro scandalo, quello famosissimo di Wilma Montesi, la ragazza trovata morta su una spiaggia di Tor Vaianica. Il figlio, Piero Piccioni, venne coinvolto in quello scandalo; e il padre, ministro degli esteri, sodale di De Gasperi e protettore di Enrico Mattei, venne travolto da quell’ondata di fango. Poi lo scandalo si rivelò infondato, perché le responsabilità del figlio di Piccioni non erano quelle che la campagna ispirata dalla macchina occulta britannica gli aveva attribuito, tant’è che Piero Piccioni qualche anno dopo fu prosciolto, risultò innocente.Questo è solo un esempio di come la Gran Bretagna è intervenuta pesantemente nelle nostre vicende interne, e adesso ho citato due episodi che sono collegati alla guerra specifica energetico-petrolifera. L’Iran di Mohammad Mosaddeq, primo ministro, aveva nazionalizzato il petrolio britannico. La Gran Bretagna reagì imponendo l’embargo, e l’Italia dell’Eni e di De Gasperi violò quell’embargo. Winston Churchill, allora premier britannico – nel libro ci sono dei documenti desecretati inglesi – ordinò ai suoi apparati di “dare una lezione” agli italiani, perché avevano osato violare l’embargo imposto dagli inglesi contro l’Iran. Sono emersi nuovi documenti sulla guerra scatenata dalla macchina della propaganda occulta contro Enrico Mattei. Attraverso la sua politica, Mattei emarginò progressivamente le compagnie che curavano gli interessi britannici, in aree che gli inglesi consideravano, per importanza – sto citando testualmente un documento – seconde soltanto alla Gran Bretagna stessa. Aree come la Libia, come l’Egitto, come l’Iran, come l’Iraq che per gli inglesi erano di vitale importanza. Mattei andò a ficcare il naso, con la sua politica, in queste zone, disturbando, anzi addirittura emarginando, nel corso degli anni, la presenza britannica.In questi documenti Mattei venne definito dagli inglesi – cito testualmente – «un pericolo mortale per gli interessi britannici nel mondo». E c’è un altro documento che fa venire la pelle d’oca. E’ del 1962. Gli inglesi dicono che Mattei «è una verruca, è un’escrescenza da rimuovere in ogni modo». Scrivono: «Abbiamo tentato di fermarlo in tutti i modi e non ci siamo riusciti: forse è giunto il momento di passare la pratica alla nostra intelligence». Sei mesi dopo, Enrico Mattei morì in un incidente aereo che oggi sappiamo con certezza, anche sul piano giudiziario, essere stato causato da un atto di sabotaggio. Aldo Moro? La vicenda Moro si colloca esattamente nello stesso contesto della vicenda di Enrico Mattei. Aldo Moro è stato l’erede della politica mediterranea di Mattei. Tra il 1969 e il 1975, Moro è stato l’ispiratore della politica estera italiana. Era ministro degli esteri in diversi governi, e riuscì a mettere a segno ulteriori colpi contro gli interessi inglesi. Certo, non è che gli italiani scherzassero, a loro volta. In Libia, nel 1969, con Moro ministro degli esteri, ci fu un colpo di Stato che rovesciò la monarchia filo-britannica e portò al potere il colonnello Muhammar Gheddafi, addestrato nelle accademie militari italiane. E’ vero che Gheddafi cacciò via gli italiani, ma subito dopo nazionalizzò il petrolio, che era controllato dalle compagnie britanniche, espulse dalla Libia le basi militari britanniche e iniziò un rapporto privilegiato con gli italiani, grazie al quale l’Italia conobbe un periodo di grande benessere economico.E poi, negli anni successivi, ci furono altri colpi messi a segno, come in Iraq, dove il regime nazionalista aveva espropriato, nazionalizzato il petrolio controllato dalle compagnie britanniche. E l’Eni era riuscita a penetrare anche lì, grazie ovviamente ai successori della politica energetica di Mattei, ma soprattutto grazie alla politica estera di Aldo Moro. Tra i documenti di “Colonia Italia“, ce n’è uno che veramente fa venire i brividi, riportato con tutti i suoi riferimenti archivistici, per cui chiunque voglia andare a controllare può farlo. Nel gennaio del 1969, il responsabile della macchina della propaganda occulta a Roma dice: «Attraverso la macchina della propaganda occulta non abbiamo ottenuto grandi risultati contro questa classe dirigente italiana». Quindi invita il suo governo: «Dobbiamo adottare altri metodi». Quali metodi? Questa parte del documento è oscurata ancora oggi. E’ ancora oggi coperta dal segreto. Io chiedo continuamente agli opinionisti, ai direttori dei giornali, alla stampa: ma perché non chiedete al governo britannico la desecretazione di quella parte del documento, in cui sono spiegati gli “altri metodi” da utilizzare contro l’Italia a partire dal 1969?Nel 1969 ci fu la strage di piazza Fontana e iniziò una stagione di sangue, lo stragismo, il terrorismo, che toccò il suo punto più alto con il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. E anche qui c’è da dire qualcosa a proposito dell’intervento britannico. Nel 1976 – questo è provato, perché lo dicono gli stessi documenti inglesi desecretati e conservati nell’archivio di Stato di Kew Gardens, a disposizione di tutti – ci fu un tentativo di colpo di Stato organizzato o progettato dagli inglesi nei primi sei mesi del 1976 per bloccare la politica di Aldo Moro. Quel progetto venne sottoposto all’attenzione degli alleati francesi, tedeschi e americani. I francesi aderirono immediatamente, perché l’Italia era un concorrente temibile anche per i francesi, non solo per gli inglesi, mentre americani e tedeschi si mostrarono molto più scettici, e dissero agli inglesi: «Ma voi siete pazzi! Un colpo di Stato in Italia, a parte i contraccolpi negativi nell’opinione pubblica per l’alleanza atlantica, in Italia c’è una sinistra forte, c’è una organizzazione sindacale molto radicata, cioè ci sarebbe una reazione e quindi un bagno di sangue!»Gli inglesi allora misero da parte il progetto di un colpo di Stato vero e proprio, classico. Però c’è un altro documento, pubblicato nel libro. Scrivono: «Visto che non è possibile attuare un colpo di Stato militare classico, per l’opposizione di Germania e Stati Uniti, passiamo al piano-B». Qual era questo piano-B? Purtroppo, anche in questo caso, come nel documento che ho citato prima, c’è soltanto il titolo. E il titolo è agghiacciante. Testualmente: “Appoggio a una diversa azione sovversiva per bloccare Aldo Moro”. Quale poteva essere questa “azione sovversiva” naturalmente io non lo so, perché anche questa parte del documento è ancora oggi secretata, protetta dal segreto. A suo tempo venne oscurata persino agli americani e ai tedeschi. E anche in questo caso non mi trattengo dal chiedere agli opinionisti italiani, alla stampa italiana: siamo in un paese in cui rivendichiamo tutti i giorni verità e giustizia; beh, quando ci troviamo di fronte a documenti di questo tipo, ma che ci vuole a chiedere agli inglesi di desecretare anche questo documento per capire quale poteva essere la “diversa azione sovversiva” contro Moro?Magari non c’entra nulla con il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, le cui responsabilità ovviamente ricadono sulle Brigate Rosse italiane. Magari, attraverso la desecretazione di quel documento, scopriamo che la diversa azione sovversiva con cui gli inglesi volevano bloccare Aldo Moro era soltanto una scampagnata della regina Elisabetta in Italia… Ci sono due documenti drammatici, che segnano due fasi drammatiche della nostra storia: piazza Fontana e l’assassinio di Aldo Moro. Entrambi questi documenti sono incompleti. Sono ancora oggi secretati. E visto che la Gran Bretagna è un paese nostro amico, addirittura nostro alleato, sarebbe utile per noi sapere se questo paese amico ha avuto un qualche ruolo, oppure no, nella strage di piazza Fontana e nell’assassinio di Aldo Moro. Allo stato delle nostre ricerche, ho ragione di ritenere che oggi il controllo britannico sul nostro paese sia ancora più forte di prima.(Giovanni Fasanella, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora il 12 novembre 2015 per la video-intervista “I documenti Uk che fanno gelare il sangue, da Enrico Mattei ad Aldo Moro”, pubblicata su “ByoBlu” per presentare il libro “Colonia Italia”, Chiarelettere – 483 pagine, euro 18,90 – che Fasanella ha scritto insieme a Mario José Cereghino. Il possibile ruolo occulto della Gran Bretagna nella “sovragestione” dell’Italia è tornato drammaticamente in primo piano nel febbraio 2016 con l’uccisione al Cairo del giovane Giulio Regeni, ingaggiato in Egitto da una Ong collegata all’università di Cambridge; secondo molte fonti indipendenti, tra cui l’ex inviato di “Panorama” Marco Gregoretti, il lavoro di Regeni sarebbe stato utilizzato dall’Mi6, il controspionaggio inglese. La stessa intelligence britannica, sempre secondo Gregoretti, avrebbe “sacrificato” Regeni, utilizzando killer egiziani, per creare un incidente diplomatico tra Italia ed Egitto in vista di un possibile intervento militare italiano in Libia. E Fulvio Grimaldi, ex giornalista Rai, segnala che l’Italia, tramite l’Eni, ha raggiunto un accordo strategico con l’Egitto per lo sfruttamento di un immenso giacimento di gas, nel Mediterraneo, in acque egiziane, fatto che ha sicuramente irritato e preoccupato gli inglesi).“Colonia Italia”. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra. Sono cose che dobbiamo sapere. Quando si pensa alle ingerenze dall’estero nei confronti del nostro paese si pensa sempre agli Stati Uniti d’America. Ma basta aprire una cartina geografica e vedere dov’è l’Inghilterra, un’isola del Nord Europa, e dove sono stati per molti decenni – a ancora oggi – i suoi interessi economici, strategici, militari. In Nord Africa, nel Medio Oriente e in Estremo Oriente. E cosa c’è tra la Gran Bretagna e i suoi interessi? C’è il Mediterraneo e, al centro del Mediterraneo, l’Italia. Quindi già dai tempi del Risorgimento, l’Italia per la Gran Bretagna era una postazione di fondamentale importanza, attraverso la quale poteva controllare i suoi domini e le sue rotte marittime. Poi l’Italia perde la Seconda Guerra Mondiale e, tra Gran Bretagna e Stati Uniti, c’è una visione molto conflittuale sul problema Italia: per gli Stati Uniti noi eravamo un paese cobelligerante, cioè che si era autoliberato dal nazifascismo combattendo al fianco degli alleati. Per la Gran Bretagna invece noi eravamo un paese sconfitto tout-court. Punto e basta. Quindi un paese soggetto ai vincoli, imposti attraverso trattati internazionali, dalle potenze vincitrici alle nazioni sconfitte.
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Rino Gaetano fu assassinato, osava minacciare il potere
Era amico della figlia del medico personale di Licio Gelli: era lei la fonte di tante rivelazioni che poi sarebbero finite nelle sue canzoni, in un gioco tanto pericoloso da costargli la vita? Sono gli interrogativi che l’avvocato salernitano Bruno Mautone solleva, nel suo secondo libro sulla strana morte di Rino Gaetano, fino a chiedere alla magistratura romana di riaprire le indagini sulla scomparsa del cantante, morto nella capitale il 2 giugno 1981, a soli trent’anni di età, dopo esser stato investito da un camion. Impressionante l’elenco delle “stranezze” che Mautone riassume nel pamphlet, “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”, edito da Revoluzione nel 2016. Davvero moltissimi i riferimenti, nelle canzoni di Gaetano, a episodi imbarazzanti della politica italiana. Desta scalpore, inoltre, l’infelice sorte di un grande amico del cantautore crotonese, altra possibile fonte di informazioni riservate: una morte-fotocopia (incidente stradale) altrettanto prematura. Il giovane, che lavorava presso consolati stranieri, fu sepolto al Verano accanto all’artista, ma poi disseppellito e trasferito in un altro cimitero. Curiosità: l’autore dello spostamento dei resti mortali, scrive il blog “Scomparsi”, ha una identità «che coincide con un personaggio storico dello spionaggio italiano, collegato addirittura al “Noto Servizio”».Si tratta di apparato riservato dello Stato «che compiva atti di intelligence in modo autonomo rispetto ai servizi istituzionali», prima il Sid e poi il Sismi e il Sisde, «spesso sfociando in atti illegali e gravissimi». Specialità inquietante del “Noto Servizio” «risultò essere, con atti sequestrati e acquisiti dalla magistratura, l’uccisione di persone ritenute “scomode” con incidenti stradali». Nel libro, Mautone ricostruisce le vistose anomalie dell’incidente che causò la morte di Gaetano, travolto da un camion e poi morto dissanguato, nella notte, a bordo di un’ambulanza militare, dopo che il ricovero fu rifiutato dal pronto soccorso di diversi ospedali. Una vicenda su cui inutilmente chiesero di fare luce, subito dopo, due senatori del Msi, Araldo di Crollalanza e Tommaso Mitrotti. Dal governo Forlani, un muro di silenzi e omissioni: il liberale Renato Altissimo, autore della risposta, non precisò l’ora dell’incidente sulla Nomentana, non disse chi allertò i soccorsi e come, né perché intervenne un’unica ambulanza nonostante fosse ferito anche il camionista coinvolto nell’incidente, esanime sull’asfalto, accanto all’artista intrappolato nella sua Volvo. Nella risposta di Altissimo, inoltre, «non si precisa perché l’unica ambulanza intervenuta fosse un mezzo poco attrezzato dei vigili del fuoco e perché Rino, una volta prelevato con una gravissima ferita cranica, venne condotto fatalmente in un ospedale privo del reparto di traumatologia cranica».Non si fanno neppure i nomi dei medici che avrebbero curato o cercato di curare il ferito in quelle condizioni, né si fa cenno ai presunti motivi che spinsero altri ospedali, pur allertati, a non approntare nessuna forma di soccorso. Non si dice nemmeno chi convocò il medico traumatologo, fatto accorrere al Policlinico, né il nome dello specialista e degli altri sanitari coinvolti. Tanta evidente vaghezza finisce per moltiplicare i sospetti: «Sin dai primi momenti, la morte prematura dell’artista calabrese suscitò interrogativi e dubbi». Oltre alla storia dell’amico impegnato in uffici diplomatici, che di lì a poco avrebbe seguito Rino Gaetano nel cimitero maggiore della capitale (per poi esservi rimosso), Mautone rimarca una clamorosa dichiarazione rilasciata da Rino dopo i trionfi sanremesi al giornalista Manuel Insolera: il festival della canzone viene paragonato in modo esplicito ad «un ordine massonico». In un articolo della “Stampa” di Torino, pubblicato il 3 giugno 1981 all’indomani della morte del cantante, si rileva come i testi di diverse canzoni facessero riferimento alle scabrose cronache della P2. A Mautone non sfugge che Rino Gatano è stato esplicitamente citato da Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, nel suo discorso ufficiale di insediamento, il 6 aprile 2014, utilizzando un verso del cantante per sottolineare la necessità di concordia: «Vi ricordo che cosa cantava Rino Gaetano: “Chi nuota da solo affoga per tre”».«Una notizia di grande interesse – aggiunge il blog “Scomparsi” – è rappresentata da una stretta frequentazione di Rino: nel cerchio delle sue più care amiche si annovera la giornalista Elisabetta Ponti, figlia di un medico, Lionello Ponti, che risultò inserito nella lista della P2 ed era il sanitario di fiducia di Licio Gelli». Il libro di Mautone, poi, mette a fuoco i costanti, fittissimi riferimenti (cifrati) con cui Rino Gaetano alludeva, nelle sue canzoni, ai principali “eroi” dei tanti scandali italiani: la Berta di “Berta filava” non sarebbe una ragazza qualunque, ma l’America, che “filava con Mario, filava con Gino”, ovvero i ministri Mario Tanassi e Luigi Gui, accusati per lo scandalo Lockeed, legato all’acquisto di velivoli militari Hercules C-130. Lo stesso Gaetano, in un concerto in Puglia, dichiarò che il brano era «dedicato al mondo dei grossi politici ed altri enigmatici mondi». Ci sono passaggi apparentemente inspiegabili come “il rapido Taranto-Ancona”, dalla canzone “Mio fratello è figlio unico”: «Da deposizioni giudiziarie – ha spiegato lo stesso Mautone – è poi risultato che proprio quel treno era stato utilizzato, da servizi deviati, per il trasporto di esplosivi destinati alle stragi nelle piazze».Ancora: il Cazzaniga citato nella canzone “Nun te reggae più” dopo la sequenza “Dc-Dc-Dc-Dc” sarebbe, secondo Mutone, l’oscuro democristiano Vincenzo Cazzaniga, già manager della Esso e poi vicepresidente della holding super-massonica Bastogi, posta sotto il controllo di Giulio Andreotti ed Eugenio Cefis, e citata espressamente da Gaetano in un’intervista. Cazzaniga, sostiene Mautone, risultò essere un collaboratore dei servizi americani e, per conto degli Usa, finanziava segretamente la Dc in chiave anti-sinistra. Altri riferimenti «allarmati», disseminati in vari brani musicali, citano una “rosa” e un “pugnale Usa”, richiamando l’eversione nera (la “Rosa dei Venti”) e Gladio. Nella canzone “La zappa, il tridente, il rastrello” compare direttamente “una mansanda in via Condotti”, che – si scoprirà poi – ospitava il vertice della P2. Decisamente inquietante, poi, il brano “La ballata di Renzo”, inciso nel 1970 ma uscito soltanto nel 2009, postumo. Sembra l’anticipazione, profetica e millimetrica, della fine che attendeva l’artista. “Quando Renzo morì, io ero al bar”, cantava Rino. L’incidente, poi l’odissea in ambulanza: “S’andò al san Camillo, e lì non lo vollero per l’orario”. Altro ospedale: “S’andò al san Giovanni, e lì non lo accettarono per lo sciopero”. E quindi l’epilogo, con persino il sinistro riferimento cimiteriale: “Con l’alba, le prime luci, s’andò al Policlinico, ma lo respinsero perché mancava il vice capo. In alto c’era il sole, si disse che Renzo era morto. Ma neanche al cimitero c’era posto”.Era amico della figlia del medico personale di Licio Gelli: era lei la fonte di tante rivelazioni che poi sarebbero finite nelle sue canzoni, in un gioco tanto pericoloso da costargli la vita? Sono gli interrogativi che l’avvocato salernitano Bruno Mautone solleva, nel suo secondo libro sulla strana morte di Rino Gaetano, fino a chiedere alla magistratura romana di riaprire le indagini sulla scomparsa del cantante, morto nella capitale il 2 giugno 1981, a soli trent’anni di età, dopo esser stato investito da un camion. Impressionante l’elenco delle “stranezze” che Mautone riassume nel pamphlet, “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”, edito da Revoluzione nel 2016. Davvero moltissimi i riferimenti, nelle canzoni di Gaetano, a episodi imbarazzanti della politica italiana. Desta scalpore, inoltre, l’infelice sorte di un grande amico del cantautore crotonese, altra possibile fonte di informazioni riservate: una morte-fotocopia (incidente stradale) altrettanto prematura. Il giovane, che lavorava presso consolati stranieri, fu sepolto al Verano accanto all’artista, ma poi disseppellito e trasferito in un altro cimitero. Curiosità: l’autore dello spostamento dei resti mortali, scrive il blog “Scomparsi”, ha una identità «che coincide con un personaggio storico dello spionaggio italiano, collegato addirittura al “Noto Servizio”».
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Carpeoro: servizi deviati e politici paraculi, la truffa infinita
Da Renzi a Salvini, da Mastella a Di Maio. Non conta chi, ma cosa. E come. Un copione invariabile: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone». E gli elettori, regolarmente, ci cascano. Parola dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, che rilegge sotto quest’ottica l’attualità italiana, persino il decreto-monstre sui vaccini obbligatori. «I partiti italiani cavalcano tutti le posizioni che gli sono convenienti». I partiti di maggioranza «hanno cavalcato i vaccini perché probabilmente sono stati finanziati dalle case farmaceutiche». Per contro, i partiti dell’opposizione cavalcano la protesta contro i vaccini «perché quello che non riscuotono sul piano economico lo vogliono riscuotere sul piano elettorale: prontissimi, quando saranno al potere, a prendere anche loro i quattrini e a cavalcare loro i vaccini», mentre «gli altri faranno l’opposto», in una perfetta inversione di ruoli. Una presa in giro spudorata: possibile che nessuno se ne accorga? Scandisce Carpeoro, in collegamento web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Io mi meraviglio che gli italiani non si siano rotti i coglioni di questo gioco delle parti».L’ultimo episodio del giochino speculare vittima-carnefice? La polemica sul caso giudiziario subito da Clemente Mastella, già sottosegretario agli interni, poi ministro con Berlusconi (lavoro) e con Prodi (giustizia), e ora scagionato, dopo 9 anni di “gogna” mediatica, dall’accusa di aver pilotato nomine alla Regione Campania. A “Porta a Porta”, da Bruno Vespa, ha accusato i “servizi deviati”. «I politici si lamentano dei servizi deviati solo quando a deviarli sono gli altri: quando li deviano loro non si lamentano affatto», dichiara Carpeoro, studioso di simbologia e autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016. «Mastella sa molto bene come funziano i servizi segreti: conosce bene tutti i meccanismi e ha ben poco da imparare, sotto questo profilo», continua Carpeoro. «Mi piacerebbe che i politici imparassero che non è che le cose sono sbagliate solo quando le fanno gli altri. Le cose, se sono sbagliate, sono sbagliate: non le devono fare loro, come non le devono fare gli altri». Mastella? «Ha deviato su tante cose i servizi segreti. Non dico che quello che adesso ha subito sia giusto. Credo che faccia parte di un meccanismo – ingiusto – che ha contribuito anche lui a creare, e che forse – quando gli faceva comodo usufrirne – avrebbe dovuto cercare di cambiare».Carpeoro imputa anche a Mastella «tutte quelle simpatiche operazioni degli anni ‘80 e ‘90, a cominciare da quelle che hanno interessato Tangentopoli: Mastella c’è stato dentro, in pieno». E poi, anni dopo, «tutte le operazioni dei servizi segreti innestate nella guerra con Berlusconi», guerra di cui proprio Mastella «è stato uno dei gangli operativi, visto che con la sua mini-scissione, assieme a Casini» (cui poi si aggiunge anche Fini) «nell’arco di vent’anni si è prestato a manovre molto losche». Magari Berlusconi «se le meritava», ma siamo alla solita storia, dice Carpeoro: «Non c’è un meglio e un peggio, io non sono in grado di giudicare eticamente se uno è meglio di un altro: questi si fanno la guerra con tutti i mezzi, quegli stessi mezzi che poi criticano quando ne finiscono vittime». Anche Matteo Renzi, per fare un esempio, messo alla berlina per i maxi-appalti del caso Consip. C’è chi parla di indagini addirittura a scopo eversivo? «La realtà è molto più pietosa», taglia corto Carpeoro: «Renzi aveva cercato – per poi fare le stesse cose che hanno fatto altri, prima di lui – di mettere interamente le mani sui servizi segreti», nomimando per il controllo dell’intelligence il fedelissimo Marco Carrai, «e accentrando tutti i poteri su di lui». Missione complicata: chiaramente, con tanti interessi in gioco e altrettante strutture, «quella parte dei servizi che non voleva stare completamente sotto Renzi si è attivata e ha cercato di non farsi “possedere”».Per Carpeoro, quella che spiega il caso Consip «è una verità molto semplice, molto elementare». Retroscena: la «piccola guerra» scoppiata due anni fa, quando Renzi voleva unificare servizi d’intelligence e informatici. «Chiaramente, chi non aveva interesse che Renzi avesse questa gestione, per motivi ugualmente comprensibili rispetto a quelli a cui Renzi tendeva, si è attivato per evitare tutto questo: è una guerra tra di loro». Oggi a te, domani a me, dal Pd alla Lega: sulle prime pagine campeggia la notizia del blocco dei conti correnti del Carroccio, con Salvini che parla di “democrazia a rischio”. Niente di strano, dice Carpeoro: è solo diventata esecutiva la parte patrimoniale di una sentenza ormai definitiva (condannati ex segretario ed ex tesoriere). «Le strutture burocratiche hanno scoperto che la Lega stava svuotando i conti, e allora hanno messo in atto dei provvedimenti cautelari: se scopri che rischi di non trovare i soldi, fai i sequestri». E la figura di Salvini? «E’ quella di un paraculo», dice Carpeoro, «perché Salvini viene da un partito che è andato col cappio, in Parlamento, e adesso non vuole pagare i soldi che ha rubato».Salvini “paraculo”? E la sbandierata “discontinuità” con la Lega di Bossi? «Con la scusa della discontinuità, in Italia si sono fatte le meglio porcherie», aggiunge Carpeoro: «Nell’89 Occhetto ha fatto il partito nuovo e ha creato la discontinuità per cui i comunisti non dovevano pagare se avevano preso i soldi dai russi, mentre gli altri hanno pagato per aver preso i soldi da altre parti». Fuor d’ipocrisia: «La discontinuità è una delle truffe italiane: Salvini, ai tempi il cui Bossi e il tesoriere della Lega facevano quelle cose, era uno dei dirigenti del partito. Adesso non può dire “c’ero, ma non sapevo”, perché lui stesso, come il suo partito, ha ripetuto per anni, in Parlamento, che Craxi “non poteva non sapere”. E adesso perché lui può non sapere?». Il campione assoluto di discontinuità oggi è il Movimento 5 Stelle, che secondo Carperoro «è stato creato per un interesse politico», ovvero: «La massoneria reazionaria e la parte americana del potere avevano interesse a cavalcare il grande dissenso del paese, o comunque a “possederlo”». Ma attenzione: non ha funzionato, le cose non sono andate come i registi occulti speravano.I grillini docili strumenti di poteri forti? Non esattamente: «Non è che poi il Movimento 5 Stelle è diventato questo: gli è scappato di mano, il cavallo». Tradotto: «Se c’è un Di Maio che risponde a ordini, c’è una base che invece dà continui segni di volersi ribellare a tutto questo». Quindi «il progetto non gli è riuscito», ai super-manovratori. Ci sono anche i militanti, gli elettori. Prima dei 5 Stelle, la stessa Lega Nord «è stata funzionale a fottere il sistema», dice esplicitamente Carpeoro, alludendo al crollo della Prima Repubblica. «Però poi la Lega ha avuto una sua evoluzione “di sistema”». Il Carroccio «doveva fottere il sistema e poi sparire», e invece è ancora qui (decisamente in forma, a quanto pare grazie anche a Salvini). I leader fanno i loro giochi sempre uguali: spesso sembrano pedine del potere, incasellare dentro schemi piramidali e gerarchici, che poi degenerano nello stesso modo, «configurando poteri senza responsabilità», cioè senza il coraggio di assumersi la piena responsabilità di ciò che decidono. Però poi, appunto, c’è anche la base dei partiti, fatta di cittadini. Una dicotomia che sembra fotografare i 5 Stelle: Di Maio è stato fin dall’inizio «il candidato di certi poteri, americani e di conseguenza italiani, prescelto per prendere il posto di Renzi», conclude Carpeoro. «Ma non ho mai detto che diventerà premier: esiste sempre un barlume di fiducia, nel raziocinio degli italiani».Da Renzi a Salvini, da Mastella a Di Maio. Non conta chi, ma cosa. E come. Un copione invariabile: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone». E gli elettori, regolarmente, ci cascano. Parola dell’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che rilegge sotto quest’ottica l’attualità italiana, persino il decreto-monstre sui vaccini obbligatori. «I partiti italiani cavalcano tutti le posizioni che gli sono convenienti». I partiti di maggioranza «hanno cavalcato i vaccini perché probabilmente sono stati finanziati dalle case farmaceutiche». Per contro, i partiti dell’opposizione cavalcano la protesta contro i vaccini «perché quello che non riscuotono sul piano economico lo vogliono riscuotere sul piano elettorale: prontissimi, quando saranno al potere, a prendere anche loro i quattrini e a cavalcare loro i vaccini», mentre «gli altri faranno l’opposto», in una perfetta inversione di ruoli. Una presa in giro spudorata: possibile che nessuno se ne accorga? Scandisce Carpeoro, in collegamento web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Io mi meraviglio che gli italiani non si siano rotti i coglioni di questo gioco delle parti».
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La Cia mi disse: piazzeremo il nostro uomo a Mosca (Gorby)
Fui esiliato in Occidente nel 1978, quando il corso trentennale della guerra fredda ebbe una svolta radicale. I capi della guerra fredda studiavano la società sovietica fin dall’inizio. La nuova scienza della sovietologia fu sviluppata impiegando migliaia di esperti e coinvolgendo centinaia di centri di ricerca. Al suo interno, un ramo distinto della cremlinologia apparve. In modo pedante studiava la struttura dello Stato sovietico, l’apparato del partito, l’apparato centrale del partito, il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, il Politburo e i singoli dipendenti dell’apparato governativo. Ma per molto tempo (forse fino alla fine degli anni ’70), l’obiettivo principale era la manipolazione ideologica e psicologica della popolazione, la creazione di masse pro-occidentali di cittadini sovietici che in realtà avrebbero giocato il ruolo di “quinta colonna” dell’Occidente (intenzionalmente o meno) lavorando alla disgregazione ideologica e morale della popolazione sovietica (per non parlare di altre operazioni). Così fu creato il movimento dei dissidenti. In breve, il lavoro principale fu svolto attraverso la distruzione della società sovietica “dal basso”.Gli importanti risultati ottenuti divennero i fattori della futura controrivoluzione. Ma non bastava per far collassare la società sovietica. Alla fine degli anni ’70, i capi occidentali della guerra fredda capirono che il sistema di governo era la base del comunismo sovietico e l’apparato di partito era il suo nucleo. Dopo aver studiato a fondo l’apparato di partito, la natura delle relazioni tra i suoi membri, la loro psicologia e loro qualifiche, i metodi di selezione e altre caratteristiche, i capi della guerra fredda conclusero che la società sovietica poteva essere distrutta solo dall’alto, distruggendone il sistema di governo. Per distruggerlo fu necessario e sufficiente distruggere l’apparato di partito, a partire dal vertice, il Comitato Centrale del Pcus. Così puntarono i loro principali sforzi in tale direzione. Trovarono i punti più vulnerabili nella struttura sociale sovietica. Non mi fu difficile notare tale cambiamento, perché ebbi l’opportunità di osservare e studiare la parte occulta della guerra fredda. Nel 1979, in una mia conferenza (“Come uccidere un elefante con un ago”), mi fu chiesto quale a mio parere fosse il punto più vulnerabile del sistema sovietico. Risposi: ciò che è considerato il più affidabile, l’apparato del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, e al suo interno, il Comitato Centrale, e all’interno di questi, il segretario generale.Tra le risate omeriche del pubblico, dissi: «Se mettete il vostro uomo in quella posizione rovinerà l’apparato di partito, dando così inizio a una reazione a catena con conseguente frattura del sistema di governo e di amministrazione. La conseguenza sarà la dissoluzione della società». Feci riferimento al precedente di Pizarro. Il lettore non deve pensare che diedi l’idea agli strateghi della guerra fredda. Se ne resero conto senza di me. Uno degli impiegati dell’intelligence mi disse che presto (le forze occidentali) avrebbero messo il loro uomo sul “trono sovietico”. Al momento non credevo fosse possibile. Parlai ipoteticamente del segretario generale come “ago” dell’Occidente. Ma gli strateghi occidentali già sapevano che era una proposta realistica. Svilupparono un piano per vincere la guerra: prendere il controllo del potere supremo in Unione Sovietica, promuovendo il “loro” uomo a segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, costringerlo a distruggere l’apparato del Pcus, attuando la revisione (“perestroika”) per avviare la reazione a catena e conseguente frantumazione della società sovietica.Tale piano era realistico, allora, perché la crisi ai vertici del potere sovietico era già evidente, a causa della senescenza del Politburo del Comitato Centrale del Pcus. Presto il “loro” uomo nel ruolo di “ago” occidentale apparve (se non fu “preparato” in anticipo). Certo, il piano funzionò bene. Ciò che distingue tale operazione da guerra fredda è che il metodo per “uccidere l’elefante con un ago” fu applicato a un meno potente, ma comunque potente, avversario, evitando la possibilità che la “guerra fredda” diventasse pericolosa al punto in cui i vantaggi dell’Occidente scomparissero, come accaduto nella guerra della Germania contro l’Unione Sovietica nel 1941-1945. Il metodo in questione permise di evitare rischi e perdite, risparmiare tempo e vincere per procura. Il metodo inventato dai deboli per combattere gli avversari più forti fu adottato dalle forze più potenti del pianeta nella loro guerra per il dominio sulla razza umana.(Alexandr Zinoviev, “Come uccidere un elefante con un ago”, dal blog “Aurora” del 23 novembre 2015. Filosofo dissidente, Zinoviev è autore di un saggio su come l’Occidente ha distrutto l’Unione Sovietica. “Aurora” pubblica anche l’introduzione della vedova, Olga, presidentessa dello Zinoviev Club, anticipato da “Rossija Segodnija”, agenzia di stampa russa. «Zinoviev – scrive Aurora” – diceva spesso che, a giudicare dal comportamento di Gorbaciov, non si poteva escludere la possibilità che lavorasse per l’Occidente, ma che infine non ha molta importanza, perché quello che fece servì esattamente gli interessi dell’Occidente». Il saggio “Come uccidere un elefante con un ago” è stato scritto da Zinoviev nel 2005, un anno prima della morte. Si basa sui ricordi di numerosi incontri che ebbe con i rappresentanti della élite politica occidentale responsabili della politica verso l’Urss, impegnati a «lavorare sul punto debole del nemico». Zinoviev cita l’episodio di Francisco Pizarro, conquistatore del Perù, che dimostrò straordinaria vivacità mentale nel trovare il punto debole degli indios, che capitolarono senza combattere perché scioccati per l’attacco al loro capo, «che consideravano un dio invulnerabile e intoccabile». Nel saggio, Zinoviev scrive che il tallone d’Achille dell’Urss era la sua dirigenza. «Zinoviev fu spesso chiamato dissidente, ma non si ritenne mai tale», precisa la moglie, Olga Zinovieva. «Era critico del sistema sovietico, ma non suo nemico». E negli ultimi anni «spesso ripeteva che, se avesse saputo quale destino terribile attendeva l’Urss, non avrebbe scritto un solo libro o articolo che la criticasse»).Fui esiliato in Occidente nel 1978, quando il corso trentennale della guerra fredda ebbe una svolta radicale. I capi della guerra fredda studiavano la società sovietica fin dall’inizio. La nuova scienza della sovietologia fu sviluppata impiegando migliaia di esperti e coinvolgendo centinaia di centri di ricerca. Al suo interno, un ramo distinto della cremlinologia apparve. In modo pedante studiava la struttura dello Stato sovietico, l’apparato del partito, l’apparato centrale del partito, il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, il Politburo e i singoli dipendenti dell’apparato governativo. Ma per molto tempo (forse fino alla fine degli anni ’70), l’obiettivo principale era la manipolazione ideologica e psicologica della popolazione, la creazione di masse pro-occidentali di cittadini sovietici che in realtà avrebbero giocato il ruolo di “quinta colonna” dell’Occidente (intenzionalmente o meno) lavorando alla disgregazione ideologica e morale della popolazione sovietica (per non parlare di altre operazioni). Così fu creato il movimento dei dissidenti. In breve, il lavoro principale fu svolto attraverso la distruzione della società sovietica “dal basso”.