Archivio del Tag ‘servizi segreti’
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Al-Baghdadi, Us Navy, baby-schiavi liberati e guerre stellari
Non sono ancora notizie vere e proprie, ma sono teoricamente enormi: difficili persino da commentare. «Vere? Non saprei. Ma, se lo fossero, potremmo assistere – addirittura nei prossimi giorni – a fatti clamorosi e inattesi, a livello geopolitico, per una volta di segno positivo anziché negativo». La “profezia” di Tom Bosco, redattore dell’edizione italiana della rivista australiana “Nexus”, è datata 22 ottobre. Appena cinque giorni dopo, nel mondo è rimbalzata la notizia delle notizie: l’uccisione del capo dell’Isis, Abu Bakr Al-Baghdadi, nei dintorni di Idlib, in una Siria ampiamente liberata dalla poderosa operazione militare avviata a fine 2016 dalla Russia di Putin. Autori dell’accerchiamento finale di Al-Baghdadi: gli Usa, sotto la regia di Trump. E le “notizie enormi” evocate da Bosco appena cinque giorni prima, a “Border Nights”? Devastanti: una raccapricciante, l’altra fantascientifica. La prima: forze della Us Navy – la stessa arma che ha appena ammesso l’esistenza degli Ufo – circa venti giorni fa avrebbero «liberato 2.1000 bambini detenuti in stato di schiavitù in bunker sotterranei, in California». La seconda “notizia”, di fonte tedesca: nei giorni seguenti, precisamente tra il 19 e il 21 ottobre, si sarebbe svolta nei nostri cieli una decisiva battaglia aerospaziale, con astronavi gigantesche. Esito: i “buoni” avrebbero sconfitto i “cattivi”. Di qui la deduzione di Bosco: se queste voci fossero veritiere, potremmo assistere a eventi geopolitici sbalorditivi in senso positivo.
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Toghe e 007: perché condizionano l’agenda politica italiana
Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).Richiedere a un partito 49 milioni di euro, oggi, significa esporlo al rischio di non poter più svolgere l’attività politica (restringendo in tal modo la libertà costituzionale relativa all’offerta democratica garantita dalle elezioni). Ad Agrigento invece il pm sembra aver trattato Salvini – contrario agli sbarchi – alla stregua un bandito dell’anonima sarda, imputandogli addirittura l’ipotetico “sequestro di persona” a danno dei migranti, come se i profughi fossero stati tenuti prigionieri della nave che li aveva raccolti (e non fossero invece liberissimi di salpare, per poi sbarcare altrove). Ma il colpo più duro, alla Lega, lo hanno assestato i servizi segreti – non si sa di quale paese – che hanno intercettato e registrato a Mosca il famoso colloquio tra l’esponente leghista Gianluca Savoini e alcuni emissari di secondo piano del potere russo. Tema della conversazione: una ipotetica fornitura di petrolio e gas, sulla quale – hanno riferito giornali come “L’Espresso” – lo stesso Savoini (a che titolo, non si sa) avrebbe discusso la possibilità ipotetica di ricevere una percentuale sull’eventuale affare, peraltro non andato in porto e mai neppure avviato. Salvini si è difeso dichiarandosi più che tranquillo, evitando però di rispondere nel merito: del caso si sta occupando la magistratura milanese, a cui qualcuno (chi?) ha inviato l’audio della conversazione all’Hotel Metropol.Infastidito per l’insistenza dei giornalisti italiani che hanno seguito la vicenda (testate che contro l’ex Carroccio hanno condotto una vera e propria crociata politica), il leader lehista è apparso evasivo: ha detto di non essere stato messo al corrente di quell’incontro. In ogni caso, Savoini non rappresentava in alcun modo il governo italiano (all’epoca, ottobre 2018, Salvini era vicepremier, oltre che ministro dell’interno). Peraltro è noto a tutti che la Lega, alla luce del sole, ha sempre avuto ottimi rapporti politici con Mosca e col partito “Russia Unita”, fondato da Putin. Salvini giudica l’uomo del Cremlino uno statista di prima grandezza, e ritiene che l’Italia possa e debba riavvicinare la Russia all’orbita Nato, per ragioni geopolitiche e commerciali, dato anche il valore dell’export italiano verso Mosca. Non solo: dai tempi di Bossi, il Carroccio non è mai stato pregiudiziale nei confronti del mondo slavo. Durante la guerra civile nei Balcani, la Lega Nord fu l’unico partito italiano ad allacciare un dialogo anche con la Serbia filo-russa di Milosevic, bombardata dalla Nato e criminalizzata dalla disinformazione occidentale come unico “cattivo soggetto” dell’area balcanica. Una regione devastata dagli opposti nazionalismi e dal cinismo dei vari leader, come svelato nel memorabile saggio “Maschere per un massacro”, di Paolo Rumiz. Sullo sfondo, il ruolo occulto delle potenze egemoni (Occidente cristiano e Turchia islamica) nella “guerra per procura”, dopo la caduta dell’Urss, contro la residua influenza russa, attraverso il regime serbo, ai confini occidentali dell’Europa.Tornando a Salvini, è evidente lo stato di imbarazzo generato – a torto o a ragione – dal cosiddetto Russiagate. E’ pensabile che l’incidente non abbia inciso, nella scelta di “staccare la spina” dal governo gialloverde nel fatidico agosto 2018? Certo, a Bruxelles la Lega aveva appena incassato il “tradimento” di Conte e dei 5 Stelle, decisivi per l’elezione alla guida della Commissione Europea di Ursula von der Leyen, simbolo del rigore più estremo, di marca tedesca. Un vero e proprio affronto, per l’alleato leghista dichiaratamente impegnato (come un tempo anche i grillini) a pretendere un cambio di paradigma nella governance europea. Va aggiunto che Salvini aveva più di una ragione per pretendere il divorzio dai pentastellati: Conte, il misterioso premier indicato dai grillini ma teoricamente “venuto dal nulla”, aveva sostanzialmente insabbiato i referendum di Lombardia e Veneto per le autonomie regionali differenziate. Ma era stato ancora una volta uno dei consueti player istituzionali (la magistratura, in questo caso) a speronare indirettamente il progetto di Flat Tax, facendo piovere un avviso di garanzia sul suo ispiratore, il sottosegretario leghista Armando Siri. Effetti politici collaterali, certo. Ma intanto, una volta di più, è stato un soggetto terzo – non elettivo – a condizionare l’agenda politica italiana, esattamente come ai tempi di Mani Pulite e poi di Berlusconi.Se qualche potere sovrastante, non istituzionale, ha voluto provare a “togliere di mezzo” Salvini pensando di “utilizzare” apparati statali magari per fare un favore a Conte, oggi è lo stesso premier ad essere costretto (da altri poteri sovrastanti?) a rendere conto del suo operato, presso analoghi organi statali, in merito alla vicenda dell’ipotetico impegno “irrituale” dei servizi segreti italiani in favore di settori dell’intelligence statunitense. Si sospetta cioè che Conte, in modo indebito, abbia messo i servizi italiani a disposizione di quelli di Trump, a sua volta impegnato a difendersi dai vari Russiagate che gli sono stati addebitati: in questo caso, la Casa Bianca avrebbe richiesto l’aiuto italiano per “incastrare” il rivale Joe Biden, accusato di malversazioni in Ucraina. Qualcosa del genere aveva coinvolto anche Renzi: quando era primo ministro, Barack Obama gli avrebbe chiesto di mobilitare gli 007 italiani per aiutare Hillary Clinton ad azzoppare Trump, sempre attraverso indiscrezioni provenienti dalla sfera russa. In attesa che i fatti possano eventualmente chiarirsi (dopo le prime vaghe rassicurazioni rese dal premier al Copasir, ora presieduto dal leghista Raffaele Volpi) resta il fatto che Conte oggi è al governo proprio con Renzi, mentre a Salvini non resta che fare da spettatore.Sarebbe il colmo se lo stesso Conte, domani, fosse costretto a farsi da parte proprio a causa del suo ruolo nella gestione dell’intelligence, che stranamente ha voluto tenere per sé. Per coincidenza, negli ultimi giorni si rincorrono voci di corridoio proprio sull’eventuale sfratto dell’inquilino di Palazzo Chigi. Non durerà a lungo, profetizza Paolo Mieli. Potrebbe venir sostituito da Draghi, ipotizza Augusto Minzolini, interpretando i desiderata del redivivo Renzi. Secondo il saggista Gianfranco Carpeoro, a Renzi i “sovragestori” avevano dato un’ultima chance: rientrare in gioco, se fosse riuscito a silurare Salvini. Detto fatto: d’intesa con Grillo, il fiorentino è stato capace di digerire all’istante persino gli odiati 5 Stelle. In cambio di cosa? Il premio, pare, sarebbe il sospirato accesso al gotha supermassonico, quello da cui proviene il Draghi che oggi prova a dipingere se stesso come una specie di Robin Hood (evocando il ritorno alla sovranità monetaria) dopo aver interpretato per decenni il ruolo spietato dello Sceriffo di Nottingham.A Palazzo Chigi sta davvero per arrivare Super-Mario, che in realtà sarebbe propenso a puntare direttamente al Quirinale evitando la fatale impopolarità che attende chiunque si metta alla guida di un governo? Difficile dirlo. Certo, è impossibile non osservare il basso profilo ora adottato da Salvini: cauto e attendista, più moderato nei toni, concentrato sull’agevole partita tattica delle regionali. Come se sapesse che, a monte, restano da sciogliere nodi assai più grandi della Lega, fuori dalla portata dei comuni elettori. Svolte, scossoni e colpi di scena verranno, ancora una volta, da poteri non elettivi e organi istituzionali non politici? Un certo complottismo indiscriminato tende a mettere in cattiva luce sia i magistrati che gli 007, accusando gli uni di faziosità e gli altri di doppiogiochismo, come se non si trattasse di organismi che (salvo eccezioni) fanno semplicemente rispettare le leggi e vigilano sulla sicurezza del sistema-paese. Semmai, la lente andrebbe puntata su poteri elusivi e superiori, non solo italiani, che ne sfruttassero le prerogative per deviarne l’azione su obiettivi contingenti, condizionando – di fatto – l’agenda nazionale e le sue dinamiche politiche, al di sopra della volontà popolare espressa dai risultati elettorali.Secondo lo stesso Carpeoro, questa particolare fragilità italica ha radici antiche: già in epoca medievale e rinascimentale, Comuni e signorie ricorrevano regolarmente all’aiuto straniero (pagandone poi il prezzo in termini “coloniali”) per sbarazzarsi dei vicini di casa. L’Italia non è riuscita a proteggere né Enrico Mattei dai suoi sicari, né Adriano Olivetti dalla concorrenza industriale, di marca Fiat e statunitense. Travolta giudiziariamente la leadership dei vari Craxi e Andreotti, e scomparso un politico della caratura di Enrico Berlinguer, il Belpaese si è sorbito Berlusconi, Prodi, Grillo e Renzi. Così, Germania e Francia hanno fatto quello che hanno voluto, nella Penisola: Macron ha persino reclutato un esponente del Pd, Sandro Gozi, per farne una sorta di alfiere anti-italiano in sede europea, quand’era ancora in carica il governo gialloverde. Del resto, ormai, da noi vota solo un elettore su due. E quelli che tornano alle urne – nella maggior parte dei casi – lo fanno per votare contro qualcuno, più che per qualcosa. Se questo è il quadro, il meno che ci si possa aspettare è che poteri esterni cerchino di sfruttare le nostre istituzioni, con ogni mezzo, per insediare a Roma il governo più comodo per loro, non certo progettato per il benessere degli italiani. Non ci sarebbe da stupirsi, quindi, se fossero ancora le sentenze, gli avvisi di garanzia e le imprese degli 007 a scegliere tempi, modi e personaggi della politica italiana.Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).
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Il Corriere: omissioni al Copasir, guai in vista per “Giuseppi”
Conte attacca Salvini su Moscopoli, ma tace sulla parte di Russiagate che avrebbe lambito i servizi italiani da lui diretti, messin improvvisamente a disposizione del ministro della giustizia statunitense William Barr, l’estate scorsa. Barr è un politico dell’amministrazione Trump, e dunque – scrive Fiorenza Sarzanini sul “Corriere della Sera” – Conte avrebbe potuto e dovuto partecipare agli incontri invece di «mettere a disposizione» di un altro paese, anche se alleato, i vertici degli apparati di intelligence. «Ci sono ancora alcuni punti oscuri», nella vicenda, che Conte non ha chiarito: ombre, aggiunge il “Corriere”, che il premier «non è riuscito a dissipare durante le dichiarazioni pubbliche, ma neppure nel corso della sua audizione di fronte al Copasir». E tutte «riportano all’interrogativo chiave rimasto senza risposta: perché il capo del governo ha autorizzato quei contatti diretti anziché gestirli personalmente?». Ora a doverne rispondere saranno il direttore del Dis Gennaro Vecchione, quello dell’Aise Luciano Carta e dell’Aisi Mario Parente. Anche perché è stato lo stesso Conte ad ammettere che «dopo la richiesta arrivata a giugno per via diplomatica» sono state «effettuate ricerche in archivio, reperiti documenti, svolti accertamenti». Dunque è stata compiuta una vera e propria indagine.L’obiettivo degli Stati Uniti, come ha confermato Conte, era scoprire che fine avesse fatto Joseph Mifsud, il professore della Link University di Roma che nel Russiagate ha un ruolo chiave. Nel 2016, ricorda sempre il “Corriere”, è stato proprio lui a rivelare allo staff di Trump che i russi avevano numerose email compromettenti contro la candidata dei democratici Hillary Clinton. Mifsud incontrò più volte l’emissario George Papadopoulos, ma un anno dopo sparì all’improvviso. E Trump si convinse che in realtà Midsuf fosse un «agente provocatore» di alcuni servizi segreti europei, con un obiettivo preciso: dimostrare che il presidente americano aveva cercato di incastrare la Clinton. «Ecco perché Barr vuole rintracciarlo o comunque scoprire che fine abbia fatto». Secondo la ricostruzione fornita da Conte, risale a giugno la prima richiesta di Barr: Palazzo Chigi autorizza la collaborazione, «ma il premier non chiarisce che tipo di accertamenti siano stati effettuati». Secondo Conte, non è stata trovata alcuna notizia utile e dunque nulla è stato rivelato al ministro della giustizia americano. «Ma allora – si domanda Fiorenza Sarzanini – perché sono stati organizzati due incontri? Se a ferragosto era già chiaro che l’Italia non aveva dati utili, perché un mese e mezzo dopo è stata convocata una riunione allargata ai direttori delle due agenzie?».Entro qualche settimana, aggiunge il “Corriere”, Trump renderà noto il “rapporto Barr” che contiene tutte le informazioni raccolte dal politico durante il suo giro in Europa, «e dunque anche quanto scoperto nel nostro paese». Dettagli che secondo il “Corrire” «potrebbero mettere in imbarazzo sia il presidente del Consiglio, sia le strutture dell’intelligence perché, come è stato sottolineato al Copasir, sono state assecondate istanze in maniera riservata, mentre si sarebbe dovuta seguire una procedura trasparente che passasse attraverso Palazzo Chigi e il ministero della giustizia». Entrambi gli incontri si sono invece svolti nella sede del Dis in piazza Dante a Roma, e nel secondo colloquio tra i presenti c’era anche il procuratore John Durham. Conte ha specificato che «si trattava di un indagine preliminare, altrimenti avremmo dovuto procedere per rogatoria». In realtà, come viene specificato da alcuni componenti del Copasir, «la presenza del procuratore e del ministro accreditano la tesi che fosse in realtà un’inchiesta già incardinata, e dunque l’Italia avrebbe dovuto essere rappresentata dall’autorità politica delegata e dal guardasigilli».Conte attacca Salvini su Moscopoli, ma tace sulla parte di Russiagate che avrebbe lambito i servizi italiani da lui diretti, messin improvvisamente a disposizione del ministro della giustizia statunitense William Barr, l’estate scorsa. Barr è un politico dell’amministrazione Trump, e dunque – scrive Fiorenza Sarzanini sul “Corriere della Sera” – Conte avrebbe potuto e dovuto partecipare agli incontri invece di «mettere a disposizione» di un altro paese, anche se alleato, i vertici degli apparati di intelligence. «Ci sono ancora alcuni punti oscuri», nella vicenda, che Conte non ha chiarito: ombre, aggiunge il “Corriere”, che il premier «non è riuscito a dissipare durante le dichiarazioni pubbliche, ma neppure nel corso della sua audizione di fronte al Copasir». E tutte «riportano all’interrogativo chiave rimasto senza risposta: perché il capo del governo ha autorizzato quei contatti diretti anziché gestirli personalmente?». Ora a doverne rispondere saranno il direttore del Dis Gennaro Vecchione, quello dell’Aise Luciano Carta e dell’Aisi Mario Parente. Anche perché è stato lo stesso Conte ad ammettere che «dopo la richiesta arrivata a giugno per via diplomatica» sono state «effettuate ricerche in archivio, reperiti documenti, svolti accertamenti». Dunque è stata compiuta una vera e propria indagine.
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Moscopoli: ‘Report’ evita l’unica domanda che conti davvero
L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.Per “Report”, comunque, va bene così: basta che i telespettatori disprezzino la Lega, senza neppure sapere chi avrebbe cercato di “incastrarla”. Seriamente: anche in seguito a quel polverone il governo italiano è caduto, ma a “Report” non interessa provare a spiegare chi ha spinto i gialloverdi alle dimissioni, e perché. Lo stile della trasmissione, ora condotta da Sigfrido Ranucci, eredita il marchio fuorviante impresso da Milena Gabanelli: fragorosi depistaggi. Mai una vera indagine sul potere (dopo la dipartita di Paolo Barnard) e inchieste aggressive solo nei toni, in apparenza “contro”, ma in realtà perfettamente allineate ai voleri dell’establishment: vedi l’improvvisa liquidazione del populista Antonio Di Pietro, di colpo presentato come gestore inaffidabile dei finanziamenti pubblici del suo partito, nel momento in cui “serviva” travasare l’elettorato dell’Italia dei Valori nell’esordiente Movimento 5 Stelle (altro fumo negli occhi destinato agli elettori “arrabbiati”). L’infaticabile Mottola ha messo insieme una notevole mole di dati, tutti però di secondo piano. Ha acceso i riflettori su un mondo sommerso – il greve retrobottega anche affaristico del fondamentalismo cristiano russo e americano, insospettabilmente interconnesso – ma senza mai collocare le notizie all’interno di un’analisi capace di fornire deduzioni decisive per leggere l’attualità, depurandola dal foklore.Salvini? Avvicinato (quasi molestato) solo e sempre a margine di comizi, tra nugoli di fan in coda per i selfie di rito: in quei momenti, in mezzo alla folla, all’odiato “capitano” è stato chiesto di parlare dei suoi eventuali legami con remoti oligarchi russi. L’unico scopo evidente degli spettacolari “agguati”, in stile “Le Iene”, era trasmettere il seguente messaggio: lo spregevole Salvini evita di rispondere perché sa di essere colpevole e teme la verità. E quale sarebbe, per “Report”, la verità? Con l’aria di inoltrarsi tra le SS di Himmler nel tenebroso maniero di Wewelsburg, le telecamere incalzano i seguaci di Steve Bannon nella Certosa di Trisulti, in Ciociaria, che secondo i piani doveva diventare il Vaticano del “sovranismo” europeo. Da Frosinone a Mosca, stessa musica: si delizia, “Report”, nel cogliere l’apprezzamento di Salvini nelle parole del filosofo neo-conservatore Alexandr Dugin, ideologo presentato come ispiratore di Putin (e in Italia, esaltato da Diego Fusaro). Dio, patria e famiglia? Ricetta specularmente opposta e complementare, rispetto alla teologia globale neoliberista che dice di voler contrastare.Rifugiandosi nel mitico buon tempo antico, magari quello dello zarismo che spediva in Siberia qualsiasi dissidente, l’attuale sovranismo sembra il binario morto costruito apposta per non democratizzarla mai, la globalizzazione in atto. Mondialismo neoliberale e neo-sovranismo: due facce della stessa medaglia, interpretate da soggetti che in realtà giocano nella stessa squadra e con lo stesso obiettivo, addormentare le coscienze politiche o al massimo deviarle verso falsi bersagli, comodamente sbaraccabili al momento giusto (Di Pietro docet) quando non serviranno più a infervorare gli elettori più sprovveduti. Ma questi probabilmente sono spunti impensabili, per “Report”, che sembra trattare gli spettatori come bambini dell’asilo. Nella fiaba di giornata, il cattivo è Putin. Gli oligarchi euro-atlantici, invece, sono mammolette? Nel fanta-mondo di “Report”, se lo Zar del Cremlino è il Dio del misterioso Savoini (anima nera del bieco Salvini), il capo della Lega è una sorta di enigma: chi è davvero l’Uomo Nero di Pontida? E’ il classico utile idiota, accecato dall’ambizione e quindi comodamente sfruttato dalla micidiale Spectre sovranista, oppure è una specie di genio del male pronto a distruggere la meravigliosa armonia democratica dell’Unione Europea, modello mondiale di felicità?Avvilente il bilancio giornalistico del servizio televisivo: un’ora di speculazione elettorale contro il salvinismo, senza mai neppure domandarsi – nemmeno per sbaglio – chi ha intercettato Savoini a Mosca, e perché, mentre parlava coi petrolieri russi ipotizzando transazioni milionarie (mai avvenute). La prova del nove la fornisce l’impareggiabile Fabio Fazio, lo zerbino di Macron pagato dagli italiani con il canone Rai: com’è possibile, si domanda, che il dossier di “Report” rimanga senza conseguenze? Ma se Fazio fa solo avanspettacolo, sia pure politicamente scorretto perché tendenzioso, in teoria “Report” dovrebbe sentire il dovere di informarli, i cittadini, e quindi farsi l’unica domanda utile per inseguire la notizia: chi ha intercettato Savoini? Sono stati i servizi di Trump, per sbarazzarsi del deludente carrozzone gialloverde? Quelli di Conte, per liberarsi di Salvini? Quelli di Putin, che potrebbe aver “venduto” l’amico Salvini in cambio di qualcos’altro, sullo scacchiere geopolitico? C’è stata una concertazione internazionale incrociata per ottenere il cambio di governo a Roma? La notizia starebbe proprio qui: e invece “Report” galoppa dalla parte opposta, portando a spasso i telespettatori lontanissimo dall’accaduto. Qualcuno ha passato gli audio del Metropol al sito americano “BuzzFeed”. Già, ma chi? E quindi: perché? Inoltre: chi è “BuzzFeed”? Con chi parla? Con chi lavora? Qualcuno lo finanzia?Tra i nuovi fenomeni web, nel confine ambiguo tra giornalismo e intelligence, si è imposto recentemente il “Site” di Rita Katz, un tempo considerata vicina al Mossad israeliano, sempre prontissima a divulgare – in esclusiva – le imprese dell’Isis. Nella famosa serata moscovita in quello che è conosciuto anche come “l’albergo delle spie”, c’era un russo la cui identità non è ancora nota. Al Metropol, si dice, anche i muri hanno orecchie. Chi ha deciso, il 18 ottobre 2018, che la corsa italiana della Lega andava fermata con un possibile ricatto? Se gli italiani si aspettano risposte da “Report”, buonanotte. La polpetta avvelenata proviene ovviamente da qualche 007. Lo scopo: indurre i giornali a colpire, nella direzione indicata. Compito che “Report” esegue pedestremente, obbedendo e facendosi usare senza porsi domande. Non stupisce, peraltro: Barnard, co-fondatore della trasmissione, mise in difficoltà la redazione (allora scomoda, per la Rai) con inchieste taglienti. Memorabili le amnesie di Fassino sulle malefatte della globalizzazione, o la sconcertante confessione di Prodi quand’era a capo della Commissione Ue. Testualmente: come faccio a sapere quali e quante direttive emaniano? Fulminato, Barnard, per un’inchiesta sugli abusi di Big Pharma censurata dalla Gabanelli: se la trasmettiamo, gli disse, ci chiudono. Benissimo, rispose Barnard: lo facciano, daremo battaglia. A finire fuori, invece, fu lui. “Report” ovviamente è rimasto, ma abdicando al suo ruolo originario: l’antica grinta ribelle oggi serve solo a raccontare favole innocue per il potere, e magari – come in questo caso – confezionate direttamente da misteriosi servizi segreti.(Giorgio Cattaneo, “Moscopoli, la fabbrica della paura creata dagli 007: da Report nessuna risposta sul caso montato da chi voleva far cadere il governo italiano”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 ottobre 2019).L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.
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Giorni contati per il Conte-bis, Mario Draghi a Palazzo Chigi?
Campane a morto per Giuseppe Conte, ormai in rotta con Di Maio e incalzato ogni giorno dall’abile manovratore Renzi. Occhio, avverte Zingaretti: se il Vietnam contro il premier e il governo giallorosso non si arresta, il Pd potrebbe rompere e tornare al voto, ricandidando come primo ministro proprio il professor-avvocato di Volturara Appula, l’unico – secondo l’impalpabile “fratello di Montalbano” – ad avere chance elettorali. Non la pensano così personaggi televisivi come Alan Friedman, secondo cui Conte sarebbe «un uomo vuoto», e lo stesso Paolo Mieli, per il quale “l’avvocato degli italiani” avrebbe ormai i giorni contati, non disponendo di un reale peso parlamentare da opporre alle intemperanze dei renziani e al crescente malpancismo di un Di Maio emarginato da Grillo e contestato dai suoi. Lo scrittore Gianfranco Carpeoro l’aveva vaticinato a settembre: qui si rischia di tornare a votare entro tre mesi, al più tardi a gennaio. Ora Carpeoro rilancia: il governo traballa, e le elezioni anticipate potrebbero essere evitate solo dall’eventuale piano-Draghi, cioè l’ipotesi di potere che vorrebbe insediato a Palazzo Chigi il presidente uscente della Bce, il cui ruolo dietro le quinte potrebbe essere destinato a crescere, incidendo direttamente sull’Italia ex gialloverde, delusa dal modestissimo Conte-bis e spiazzata dalla fulminea alleanza tra Renzi e Grillo.
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Avete mai avuto la sensazione di esser presi per i fondelli?
Avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli? Era il 1978 quando John Lydon, alias Johnny Rotten, pronunciò quella frase – non proprio da incorniciare nei libri di storia – al termine di un mediocre concerto dei suoi Sex Pistols, a San Francisco. Sono passati quarant’anni, e il punk imperversa ovunque sotto forma di trash. Ma quanti hanno la stessa onestà dell’allora giovane frontman inglese, nell’ammettere che lo show è truccato, visto che sul palco si agitano un bel po’ di cialtroni senza talento? Come verrebbe, la foto di gruppo, se Di Maio si facesse crescere una bella cresta viola e il suo ex preside-fantasma, il tuttora oscuro Giuseppe Conte, andasse in giro con canottiere strappate e giacconi borchiati? Nel paese di Pinocchio, se uno vuol farsi veramente del male, non ha che ha accendere il televisore un qualsiasi martedì sera, magari proprio il giorno in cui l’eroico Parlamento della Repubblica ha osato decespugliare senatori e deputati, quei puzzoni impresentabili. Per fare cosa, poi? Con quale costrutto e quale nuova legge elettorale? Lo saprete alla prossima puntata, sibila l’attore Di Maio, in attesa che la produzione gli passi il seguito del copione.Zapping: sul tema, Bianca Berlinguer interpella due numi pensosi, l’imperscrutabile Mieli e il sempre esecrante Cacciari, mentre l’immortale Lady Gruber si avvale del formidabile vaticinio di una leggenda del giornalismo mondiale come Beppe Severgnini. Altro giro, altro canale: il capocomico Floris scatena il suo zoo contro Matteo Salvini, obbligandolo a non-rispondere sul mitico Russiagate, lo scivolone del sciùr Savoini: la sua celebre cenetta coi petrolieri russi, con confidenze riservatissime affidate ai microfoni di non si sa esattamente quale servizio segreto. A proposito: sempre all’osteria di Floris si ciancia su come i servizi (italiani) avrebbero prima aiutato la Clinton, con Renzi, su richiesta di Obama, per ostacolare la corsa di Trump, salvo poi intervenire con Conte, in modo simmetrico e altrettanto irrituale, ancora una volta nelle lande dell’orso russo, per aiutare The Donald a inguaiare il suo avversario Biden, già braccio destro di Obama. Nel suo piccolo, l’ex rocker da strapazzo Johnny Rotten, campione di humour, non rischia forse di sembrare un gigante?Se poi – sempre per ridere – si finge di credere che esista davvero, qualcosa che assomigli all’irraggiungibile Olimpo marmoreo che i giornali continuano a chiamare L’Europa, non si può fare a meno di notare che dal bar di Bruxelles è sparito il simpatico Juncker, quello che citava Marx in segno di vicinanza politico-spirituale con le dolenti masse degli oppressi (ellenici in primis). Niente più bourbon, purtroppo, ma solo le bevande analcoliche servite dall’elegantissima barista Ursula von der Leyen, assistita da camerieri in livrea del calibro di Paolo Gentiloni, discendente dell’antica corte del Papa-Re. Nel personale di servizio figura lo stesso David Sassoli, un tempo mezzobusto del Tg1, temibile allevamento di giornalisti di razza, veri e propri “cani da guardia della democrazia”. A proposito di virtù canine: già ferocissima gregaria del mastino Angela Merkel, Frau Ursula è lì grazie all’ex comico televisivo Beppe Grillo, occasionalmente rivoluzionario (ma solo per i più piccini) prima di firmare, la scorsa primavera, il memorabile Patto per la Scienza insieme a Matteo Renzi, il suo attuale socio di governo (scopo del Patto, pietra miliare nella storia della medicina: zittire e delegittimare qualsiasi voce scientifica non allineata al nuovo affascinante dogma della Vaccinazione Universale).Come in tutti gli show, è il finale a riservare le vere sorprese. Ed è a quel punto che entrano in scena i fuoriclasse. Lui e lei, naturalmente: gran bella coppia. Mario & Christine: noti ai fan come insuperabili mattatori nei filmoni di guerra, nei thriller, nei plot più drammatici. Suspence, terrore. Severissima austerità, dolore copiosamente sparso con fermezza inflessibile. E invece adesso eccoli là, con in faccia il cerone della commedia: si scherzava, ragazzi, era tutta una burla. E’ vero, vi avevamo raccontato che non c’erano alternative: sangue, sudore e lacrime. Ci eravate cascati? Certo, siamo stati bravi. Ma adesso, sapete, cambierà tutto. E quelle maledette banconote, per le quali vi abbiamo spremuto fino al midollo, ora ve le getteremo dalla finestra: helicopter money! Che diamine, la moneta appartiene al popolo: non lo sapevate? Gli spettatori esitano, spiazzati – quasi quanto gli economisti da patibolo e il loro codazzo di coristi radiotelevisivi. Contrordine? Siamo per caso rimasti all’oscuro di decisioni epocali? Ci è sfuggito qualcosa di fatale che forse è maturato, lassù, tra le sfuggenti divinità? La produzione, caritatevole, sente che al pubblico – per il quale mostra compassione – bisogna pur concedere qualcosa di rassicurante. E allora, mentre le luci si abbassano, sul palco viene rispedito il solito usciere dall’aria dimessa, con lo storico annuncio: abbiamo tagliato i parlamentari. Tradotto in cifre, agli italiani viene offerto un caffè. Purtroppo lo steward non è Johnny Rotten, è solo Di Maio. Ma il risultato è lo stesso: avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli?(Giorgio Cattaneo, “Avete mai avuto la sensazione di esser presi per i fondelli?”, dal numero 12 de “La Voce Rooseveltiana”, 17 ottobre 2019).Avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli? Era il 1978 quando John Lydon, alias Johnny Rotten, pronunciò quella frase – non proprio da incorniciare nei libri di storia – al termine di un mediocre concerto dei suoi Sex Pistols, a San Francisco. Sono passati quarant’anni, e il punk imperversa ovunque sotto forma di trash. Ma quanti hanno la stessa onestà dell’allora giovane frontman inglese, nell’ammettere che lo show è truccato, visto che sul palco si agitano un bel po’ di cialtroni senza talento? Come verrebbe, la foto di gruppo, se Di Maio si facesse crescere una bella cresta viola e il suo ex preside-fantasma, il tuttora oscuro Giuseppe Conte, andasse in giro con canottiere strappate e giacconi borchiati? Nel paese di Pinocchio, se uno vuol farsi veramente del male, non ha che ha accendere il televisore un qualsiasi martedì sera, magari proprio il giorno in cui l’eroico Parlamento della Repubblica ha osato decespugliare senatori e deputati, quei puzzoni impresentabili. Per fare cosa, poi? Con quale costrutto e quale nuova legge elettorale? Lo saprete alla prossima puntata, sibila l’attore Di Maio, in attesa che la produzione gli passi il seguito del copione.
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Tv e 5 Stelle all’assalto: addosso a Salvini, Maglie e Le Iene
Solo poltiglia italiana, dopo l’effimera stagione delle promesse gialloverdi tenute in vita dalle parole della Lega e smentite dai tradimenti a catena dei pentastellati. Impietoso il riflesso nell’acquario mediatico, dove si scivola ogni giorno più in basso. Tanto per non smentirsi, piuttosto che guardare in faccia la realtà, i 5 Stelle (dilaniati da dissidi interni dopo l’alleanza col Pd imposta da Grillo d’intesa con Renzi) se la prendono coi giornalisti non allineati, come Maria Giovanna Maglie. Su Twitter, in risposta a una critica a Virginia Raggi, l’attivista Marco Vaccari apostrofa l’ex corrispondente della Rai: «Ma che ca*** stai dicendo, giornalaia? Roma fa schifo per colpa degli idioti fannulloni imboscati incapaci ladri mafiosi collusi che hanno preceduto la Raggi». La risposta della Maglie: «Metodo 5 Stelle doc, nessuna responsabilità per il presente, quando tocca a loro: sempre colpa degli altri. E insulti a gogo, minacce di manette». Quindi, rivolta a Vaccari: «Ehi, fenomeno, la Raggi è sindaco da giugno 2016». In tre anni, non ha fatto praticamente niente. Eppure accende ancora i cuori degli hoolingan alla festa – mestissima – che i 5 Stelle hanno abborracciato a Napoli, attorno al fantasma di Di Maio. Solo che i fan hanno acceso un principio di rissa all’apparire di Filippo Roma, de “Le Iene”, accolto come un mascalzone provocatore.Tuona Vittorio Sgarbi: «Fascisti, pericolosi, minacciosi: una aggressione fisica che non ha precedenti». Aggiunge Sgarbi, «Si minimizza la violenza fascista dei 5 Stelle, mentre l’episodio d’intolleranza verso Gad Lerner a Pontida è stato stigmatizzato da chiunque». Prima ancora, «per giorni si era parlato del figlio di Matteo Salvini sulla moto d’acqua della polizia», gridando allo scandalo. Oggi, invece, «incredibilmente», si tace sulle intemperanze dei grillini a Napoli. Nel frattempo, migliaia di italiani hanno sottoscritto la protesta di Marco Moiso (Movimento Roosevelt) affidata a “Change.org”: la giornalista de “La7” è accusata di aver trasformato “Otto e mezzo” in un poligono di tiro nel quale esercitare la propria faziosità a senso unico, anche ricorrendo al bullismo del “body shaming” contro Salvini, cui è stato contestato il fisico non esattamente palestrato. Peggio: la Gruber permise a Mario Monti di mentire spudoratamente sulla massoneria (“non so nemmeno cosa sia”), evitando peraltro di citare la fonte della notizia, Gioele Magaldi, che aveva appena dichiarato l’identità massonica di Monti (superloggia reazionaria “Babel Tower”).La notizia della petizione contro la Gruber, invitata ad abbandonare la conduzione della trasmissione, è stata ripresa da “Affari Italiani”, da “Blasting News” e anche da “Libero”, il quotidiano di Vittorio Feltri. Basta comunque cambiare canale per scoprire che, Gruber o meno, la musica è la stessa: la suona, su “Rai 2”, il duetto composto da Fabio Fazio e Rula Jebreal. Nello studio di “Che tempo che fa” aleggia sempre lo stesso spettro, quello di Matteo Salvini. «Nessuno nasce razzista, bisogna imparare ad essere razzisti e ad odiare», premette la giornalista. Aggiunge: la crisi economica non aiuta le famiglie a essere generose coi migranti. Poi spara: «Purtroppo siamo ancora vittime della propaganda xenofoba di questi soggetti che utilizzano la retorica degli anni ‘20 e anni ‘30». A Napoli, i grillini insultano e minacciano l’inviato delle “Iene”, ma a tener banco da Fazio sono ancora le offese rivolte a Gad Lerner dai leghisti di Pontida. «Lui è un italiano ma di religione ebraica, quello che è successo – dice Rula – ti fa capire che la divisione non sarà solo contro l’immigrazione ma anche contro chi come te critica i sovranisti, contro chi come me ha la pelle diversa, magari contro omosessuali, handicappati e altro». Nientemeno.Quello che Fazio e la sua ospite si dimenticano di dire è che Lerner, come ricordato dallo stesso Salvini intervistato dalla Gruber, si augurò per iscritto la morte del leader leghista. Una battuta veramente infelice: peccato che Salvini non fosse nei paraggi, scrisse Lerner giorni fa, commentando l’esplosione incidentale di un missile russo. «Non è carino, che qualcuno si auguri la tua morte», ha scandito Salvini, dalla Gruber. «Chiederò scusa a Lerner per quello che è accaduto a Pontida dopo che Lerner avrà chiesto scusa a me per essersi augurato la mia morte». Questo è il tenore della narrazione giornalistica sulla politica italiana, mentre i carri armati di Erdogan marciano sul Kurdistan siriano e “l’Europa” fa scena muta, insieme alla Nato. Non solo: Bruxelles fa capire che, al di là delle promesse, non accetterà facilmente di accogliere migranti sbarcati in Italia. E mentre il governo giallorosso avvia l’ennesima, penosa lotteria per racimolare spiccioli e gestire il declino italiano a suon di tasse, Giuseppe Conte è nella bufera per il sospetto che abbia abusato dei servizi segreti per fare un favore a Trump. L’orizzonte epocale del nostro paese? Ovvio, le elezioni regionali in Umbria: Perugia, caput mundi.Solo poltiglia italiana, dopo l’effimera stagione delle promesse gialloverdi tenute in vita dalle parole della Lega e smentite dai tradimenti a catena dei pentastellati. Impietoso il riflesso nell’acquario mediatico, dove si scivola ogni giorno più in basso. Tanto per non smentirsi, piuttosto che guardare in faccia la realtà, i 5 Stelle (dilaniati da dissidi interni dopo l’alleanza col Pd imposta da Grillo d’intesa con Renzi) se la prendono coi giornalisti non allineati, come Maria Giovanna Maglie. Su Twitter, in risposta a una critica a Virginia Raggi, l’attivista Marco Vaccari apostrofa l’ex corrispondente della Rai: «Ma che ca*** stai dicendo, giornalaia? Roma fa schifo per colpa degli idioti fannulloni imboscati incapaci ladri mafiosi collusi che hanno preceduto la Raggi». La risposta della Maglie: «Metodo 5 Stelle doc, nessuna responsabilità per il presente, quando tocca a loro: sempre colpa degli altri. E insulti a gogo, minacce di manette». Quindi, rivolta a Vaccari: «Ehi, fenomeno, la Raggi è sindaco da giugno 2016». In tre anni, non ha fatto praticamente niente. Eppure accende ancora i cuori degli hoolingan alla festa – mestissima – che i 5 Stelle hanno abborracciato a Napoli, attorno al fantasma di Di Maio. Solo che i fan hanno acceso un principio di rissa all’apparire di Filippo Roma, de “Le Iene”, accolto come un mascalzone provocatore.
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Parla il maggiore Filer: la notte che uccidemmo un alieno
Sembra la trama di una puntata di X-File: un’astronave sorvola una base militare americana, uno dei suoi occupanti – ovviamente, un alieno – scende e va in esplorazione, ma viene intercettato e una guardia in preda al panico gli spara, uccidendolo. Poi, l’intera vicenda viene messa a tacere, coperta dal massimo segreto, fino a quando un ex ufficiale dell’Usaf non spiffera tutto. Fantascienza? Secondo la fonte di questo incredibile episodio, no: sarebbe la pura verità. La vicenda è riportata in un libro da poco pubblicato negli Stati Uniti, scritto dal giornalista John L. Guerra, il cui titolo tradotto in italiano suona più o meno “Uno strano velivolo: La vera storia della vita con gli Ufo di un ufficiale dell’intelligence dell’aeronautica militare”. Il protagonista è il maggiore George Filer III: oggi è in pensione, ma 40 anni fa era in forza al 21esimo Military Airlift Command di stanza nella base aerea McGuire, adiacente a Fort Dix, teatro della stupefacente sparatoria avvenuta nel New Jersey. Una storia, va detto, già nota, visto che gira da parecchio. A raccontarla più volte, lo stesso Filler, che ora l’ha riportata alla ribalta grazie a questo nuovo libro.Torniamo allora indietro nel tempo, a quella buia e gelida notte del 18 gennaio 1978, quando una creatura che camminava eretta su due gambe, alta circa 4 piedi (dunque, 120 centimetri), di color grigio scuro, con una testa larga, braccia lunghe e corporatura smilza, venne abbattuta con cinque colpi di pistola calibro 45 da un soldato del servizio di sicurezza di Fort Dix. L’uomo, a bordo di un camioncino della polizia militare, era partito alla ricerca di uno strano aereo avvistato a bassa quota mentre, verso le 2, entrava nello spazio aereo vietato della base. Dopo un’ora che girava in macchina nell’area più esterna dell’istallazione militare, si rese conto con orrore che quel velivolo se ne stava sospeso proprio sopra di lui e non era affatto un aereo: aveva una forma ovale ed emanava un inquietante bagliore bluastro. Fu in quel momento che l’essere misterioso emerse dall’ombra, stagliandosi nella luce proiettata dai fanali della vettura. Terrorizzato, l’agente gli ordinò di restare immobile e poi aprì il fuoco, freddandolo. Secondo la versione dell’ex maggiore, infatti, l’alieno morì all’istante e dal suo corpo si diffuse un pungente e sgradevole odore di ammoniaca. E che fine avrebbe fatto il cadavere dello sfortunato “grigio”?Sarebbe stato recuperato in gran fretta da una squadra di specialisti avvezzi a trattare quel genere di problemi, inviati direttamente dalla base aerea di Wright-Patterson, in Ohio. La stessa in cui si troverebbe il famigerato Hangar 18, ricettacolo dei più indicibili segreti dell’ufologia “made in Usa”, da Roswell in poi. Ovviamente, i responsabili della struttura militare, contattati dall’“Asbury Park Press” che ha scritto un articolo sulla vicenda, non hanno neppure risposto alla richiesta di chiarimenti. Filer, nel libro, ammette di non aver visto di persona il corpo dell’alieno, ma assicura di non avere dubbi che la storia sia vera, perché quel giorno c’era anche lui e ha redatto un rapporto top-secret. Non solo, come fa intendere il titolo stesso, sostiene di aver avuto incontri con gli Ufo per tutta la sua lunga vita – ora ha 84 anni – fin da quando un disco volante apparve davanti alla sua casa d’infanzia in Illinois. E ha poi continuato ad interessarsi dell’argomento, visto che ha anche ricoperto il ruolo di direttore locale del Mufon, la principale organizzazione ufologica degli Stati Uniti.La mattina del 18 gennaio 1978, dunque, l’allora ufficiale dell’intelligence arrivò alla base prima dell’alba, per preparare entro le 8 un’informativa strettamente riservata sulla vicenda per i suoi superiori. Trovò la sicurezza rafforzata, intervistò i testimoni, ma non gli fu permesso né di fare un sopralluogo, né di vedere le foto scattate alla strana creatura. Filer parlò con il sergente di turno, un uomo distrutto, dal volto pallido e con gli occhi sbarrati, che gli disse una frase rimasta scolpita nella sua memoria. «Hanno sparato ad un alieno a Fort Dix e lo hanno trovato alla fine della nostra pista, nella base McGuire», furono le sue parole. «Con alieno intende dire uno straniero?», gli domandò il maggiore. «No, intendo un alieno che arriva dallo spazio. Ci sono degli Ufo che ronzano sopra di noi all’impazzata».Filler ricorda poi che i vertici dell’aeronautica imposero il massimo riserbo sull’intera vicenda, vincolando al silenzio tutti i testimoni, anche minacciando pesanti ritorsioni. Una consegna mantenuta da tutti, tranne che da Filer che invece ne ha parlato in varie occasioni. Come dicevamo, grazie a lui da quasi quarant’anni a questa parte la voce circola tra gli appassionati della materia. Il primo giornale a pubblicarne i dettagli, però, è stato nel 2007 “The Trentonian”, il quotidiano di Trenton, in New Jersey. E all’epoca, i vertici dell’aeronautica, rispondendo ai reporter che chiedevano un commento sulla clamorosa rivelazione, dissero che si trattava solo di una bufala già ampiamente smentita. Di tutt’altra opinione Filer: a suo dire, quello che per tutti questi anni è stata ritenuta una mera leggenda metropolitana è invece un fatto assolutamente reale.(Sabrina Pieragostini, “La notte in cui spararono a un alieno”, da “Extremamente” del 10 settembre 2019. Giornalista televisiva in forza a Mediaset, la Pieragostini è caporedattrice di “Studio Aperto”, il telegiornale di “Italia 1”. Laureata in lettere antiche, si interessa da anni di misteri, Ufo e fenomeni inspiegati. Su questi argomenti “di confine” ha curato alcuni speciali Tv, ha collaborato con la trasmissione “Mistero”, sempre su “Italia 1”, ha pubblicato libri come “Misteri”, edito da Mondadori e “Inchiesta Ufo, quello che i governi non dicono”, scritto con Paolo Ayo per Mursia).Sembra la trama di una puntata di X-File: un’astronave sorvola una base militare americana, uno dei suoi occupanti – ovviamente, un alieno – scende e va in esplorazione, ma viene intercettato e una guardia in preda al panico gli spara, uccidendolo. Poi, l’intera vicenda viene messa a tacere, coperta dal massimo segreto, fino a quando un ex ufficiale dell’Usaf non spiffera tutto. Fantascienza? Secondo la fonte di questo incredibile episodio, no: sarebbe la pura verità. La vicenda è riportata in un libro da poco pubblicato negli Stati Uniti, scritto dal giornalista John L. Guerra, il cui titolo tradotto in italiano suona più o meno “Uno strano velivolo: La vera storia della vita con gli Ufo di un ufficiale dell’intelligence dell’aeronautica militare”. Il protagonista è il maggiore George Filer III: oggi è in pensione, ma 40 anni fa era in forza al 21esimo Military Airlift Command di stanza nella base aerea McGuire, adiacente a Fort Dix, teatro della stupefacente sparatoria avvenuta nel New Jersey. Una storia, va detto, già nota, visto che gira da parecchio. A raccontarla più volte, lo stesso Filler, che ora l’ha riportata alla ribalta grazie a questo nuovo libro.
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Il silenzio di Conte, l’avvocato delle spie: cosa ci nasconde?
È accaduto tutto così velocemente che ancora non tutto è chiaro. Il passaggio in 20 giorni da una coalizione orientata a destra, a un’altra di un colore opposto, è stato un tale cambio, e talmente improvviso, da non aver ancora sedimentato tutte le risposte sulle sue radici e ragioni – perché si è sgretolato il potere di Salvini proprio al suo culmine? Cosa ha rotto l’unità del governo? Come mai è sopravvissuto alla crisi della sua coalizione Giuseppe Conte, arrivando a guidarne una seconda di segno opposto? Le risposte sono tante e vanno dalle più fantasiose e oscure (doppi e tripli complotti) alle più politologiche, passando per l’inevitabile visita al sofà degli psicanalisti. Le rivelazioni del “New York Times” e del “Washington Post” sulle visite e gli incontri segreti avuti nel nostro paese dagli alti rappresentanti dell’amministrazione Trump con rappresentanti dell’intelligence italiana aggiungono ora altre domande, molto più inquietanti: come mai il presidente Conte non ha informato nessuno di questi contatti con gli americani e della loro missione in Italia? Avrebbe potuto? Avrebbe dovuto? O la sua è stata una opaca manovra, che ha in qualche modo interferito sul corso stesso della crisi e della sua composizione?Conte dovrà ora rispondere a queste e ad altre domande davanti al Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, che lo ha convocato. Dopo questa audizione, il premier risponderà poi anche pubblicamente, come lui stesso ha annunciato in queste ore. Ma basta rimettere in fila gli avvenimenti che hanno portato all’avvitarsi di questa crisi per nutrire più di un dubbio, se non un sospetto, sulla segretezza con cui questi contatti fra Palazzo Chigi e gli americani sono stati protetti. Dal calendario, infatti, risulta evidente, come si diceva, che la crisi si avvita in maniera velocissima, in primavera, e che a un certo punto incrocia vari appuntamenti. Prendendo a misura i rapporti di Salvini con la Russia, possiamo risalire al 15-16 luglio del 2018, il viaggio a Mosca per i mondiali di calcio del leader leghista. Il 17-18 ottobre del 2018 va di nuovo in Russia. Son i giorni anche del famoso incontro all’Hotel Metropol di suoi collaboratori con tre russi per un presunto finanziamento di 65 milioni per la Lega. L’incontro del Metropol viene svelato il 24 febbraio del 2019 dal settimanale “L’Espresso”. Il 17 giugno 2019 Salvini vola in Usa per incontrare Trump, ma vede solo il vicepresidente Pence e il segretario di Stato, ex capo della Cia fino al marzo, Mike Pompeo. Il 4 luglio Putin è a Roma in visita ufficiale. Il 10 luglio il sito “Buzzfeed” pubblica l’audio dell’incontro al Metropol fra i leghisti e i russi. Da quel momento assistiamo a una accelerazone.Il 17-18 luglio Salvini va a Helsinki per il vertice dei ministri dell’interno Ue e attacca l’alleanza di governo in Italia: «Con i 5 Stelle non c’è più fiducia, nemmeno personale», e evoca per la prima volta il voto anticipato. Il 31 luglio la riforma Bonafede viene approvata “salvo intese” da un diviso Cdm. Il 6 agosto il decreto sicurezza-bis è legge. Il giorno dopo, il 7 agosto, al Senato M5S e Salvini sostengono due opposte mozioni sulla Tav. L′8 agosto la crisi si formalizza con una nota in cui il leader della Lega annuncia che non c’è più maggioranza. Entrano in scena nuovi attori. È il 15 agosto, e nella Roma infuocata del ferragosto arriva una delegazione da Washington. Altissimo livello: il General Attorney, il ministro di giustizia William Barr. Non sappiamo ancora esattamente cosa cerchino gli uomini di Trump. Sappiamo solo che cercano in Italia le prove che l’inchiesta Mueller sui rapporti di Trump con i russi per orientare le elezioni americane sia stata tutta una invenzione dei democratici Usa. La posizione di Washington in merito non è molto velata: l’idea è che intelligence di alcuni paesi europei, Inghilterra e Italia nello specifico, abbiano aiutato un attacco alla democrazia in America. Di tutto questo sappiamo davvero poco. Ma sappiamo che, di qualunque cosa si tratti, Conte autorizza gli incontri.Ripetiamo: è il 15 agosto. Esattamente 5 giorni dopo, il 20 agosto, Conte va in Senato e pronuncia il famoso discorso con cui scarica Salvini e consuma la rottura della coalizione. Nel discorso l’attacco all’ex alleato, il rapporto con la Russia del leghista, e la vicenda Metropol hanno un grande rilievo. Il 24 agosto Conte si reca al G7 di Biarritz su Iran, dazi, e Russia. Trump, appena giunto alla cena di apertura si ferma a parlare per una decina di minuti con il premier italiano. Un colloquio molto fitto, dicono fonti di Palazzo Chigi, durante il quale il tycoon ha testimoniato molta considerazione e attenzione personale nei confronti del professore, assicurando che «i rapporti personali vanno al di là degli incarichi». Il 27 agosto Trump si fa più esplicito: «Spero che Giuseppi Conte resti premier». Il 5 settembre giura il nuovo governo M5S-Pd, con premier lo stesso Conte. Venerdì 27 settembre, nuova visita della delegazione Usa, stesso scopo. Eccetto che stavolta nella nuova coalizione del governo Conte c’è il Pd. Neanche in questo caso, come il 15 agosto, Conte informa l’alleato. E se si può dire che forse con Salvini la crisi era già consumata a metà agosto, con il Pd si è in piena luna di miele.La prima domanda è dunque: avrebbe dovuto informare i suoi alleati? E, se verificato al Copasir che non l’ha fatto, la sua scelta rivela un elemento di mancata “opportunità” o di opacità bella e buona? Insomma c’è una sorta di colpevole silenzio? L’avvocato Conte ha sempre voluto, e conservato gelosamente, il suo ruolo di capo dei servizi. La legge affida infatti al presidente del Consiglio “l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, nell’interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni democratiche”. La legge 3 agosto 2007 n. 124 all’articolo 3 prevede che il presidente del Consiglio possa delegare talune sue prerogative (eccetto quelle sue esclusive) a un ministro senza portafoglio o a un sottosegretario di Stato alla presidenza. La legge dice che può, ma non che deve. E il gioco del delegare o meno è sempre entrato a far parte della tessitura di tutti i governi come parte del profilo che intende prendere. Alcuni premier così hanno delegato; gli ultimi due, Gentiloni e Conte, non hanno delegato. Conte si è tenuto la delega nella formazione del governo di coalizione dei giallorossi, soprattutto come bilanciamento a Salvini agli interni. Conte tuttavia non ha delegato nemmeno dopo, quando è rimasto capo del governo con la coalizione con il Pd.Tenendosi questa delega il premier attuale è di fatto il capo di ogni responsabilità attinente l’intelligence. Nulla può muoversi senza la sua decisione. Ma è obbligato a informare i suoi colleghi? O può/deve mantenere il silenzio assoluto? Gli esperti sostengono che eccetto per il segreto di Stato, che riguarda però gravi emergenze, potenziali danni gravi che potrebbero derivare per il paese, vale per il resto una “opportunità” politica che spinge a informare l’apposito comitato ristretto del Consiglio dei ministri. In questo caso la “opportunità politica” non era forse tale da spingere/obbligare Conte a informare? La domanda si fa tanto più urgente se, come è il caso, si tratta non di uno ma di ben due esecutivi, di natura fra loro completamente diversa, con cui si è scelto il silenzio. Per semplificare: se è possibile che Conte abbia scelto di non informare Salvini sulla visita di Barr il 18 agosto perché ormai in piena rottura, perché non ha informato (o lo ha fatto ?) della visita il 27 settembre in piena luna di miele con il Pd? È, come si diceva, un intreccio di scelte e date che lascia inquieti: il rapporto fra Conte e l’amministrazione americana avviene infatti con tempi tali da sollevare almeno il dubbio che ci sia una forte relazione fra la crisi italiana, la conferma del premier e il consenso americano. Si intravvede uno scambio, e forse questo scambio c’è o forse no, ma Conte ci deve sicuramente una spiegazione. Il silenzio con cui ha custodito questi contatti è forse, infatti, l’elemento più inquietante di questa vicenda.(Lucia Annunziata, “L’avvocato delle spie”, articolo pubblicato dall’“Huffington Post” e ripreso da “Dagospia” il 4 ottobre 2019).È accaduto tutto così velocemente che ancora non tutto è chiaro. Il passaggio in 20 giorni da una coalizione orientata a destra, a un’altra di un colore opposto, è stato un tale cambio, e talmente improvviso, da non aver ancora sedimentato tutte le risposte sulle sue radici e ragioni – perché si è sgretolato il potere di Salvini proprio al suo culmine? Cosa ha rotto l’unità del governo? Come mai è sopravvissuto alla crisi della sua coalizione Giuseppe Conte, arrivando a guidarne una seconda di segno opposto? Le risposte sono tante e vanno dalle più fantasiose e oscure (doppi e tripli complotti) alle più politologiche, passando per l’inevitabile visita al sofà degli psicanalisti. Le rivelazioni del “New York Times” e del “Washington Post” sulle visite e gli incontri segreti avuti nel nostro paese dagli alti rappresentanti dell’amministrazione Trump con rappresentanti dell’intelligence italiana aggiungono ora altre domande, molto più inquietanti: come mai il presidente Conte non ha informato nessuno di questi contatti con gli americani e della loro missione in Italia? Avrebbe potuto? Avrebbe dovuto? O la sua è stata una opaca manovra, che ha in qualche modo interferito sul corso stesso della crisi e della sua composizione?
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Di Maio ci offre un caffè: tanto vale il taglio delle Camere
Sapete quanto vale, nelle nostre tasche, il regalone che ci ha appena fatto Luigi Di Maio con il taglio di un terzo dei parlamentari? Un caffè all’anno, per ognuno di noi. Che lusso, davvero. A fare il conticino della vergogna è l’antropologo Marco Giannini, già grillino “eretico”, in rotta con Grillo e soci dopo il tentato trasbordo, a Strasburgo, tra le fila degli euro-fanatici dell’Alde, il club “lacrime e sangue” di Verhofstadt e Monti. E’ passato qualche anno: all’epoca, Di Maio e Di Battista cantavano ancora nello stesso coro, all’opposizione. Poi è arrivata l’anomala e precaria stagione “grilloverde”, con Di Maio trasformato in vicepremier “di cittadinanza” per tentare di mascherare i bidoni rifilati, uno dopo l’altro, agli elettori del MoVimento. Ma che la recita stesse per finire lo si capì già in primavera, quando Grillo firmò (con Renzi, tu guarda) il mitico “Patto per la Scienza”, cioè il tradimento definitivo di qualsiasi promessa “free-vax”. E infatti adesso eccoli là, Beppe e Matteo, impegnati a tenere in piedi l’imbarazzante Conte-bis, anche col penoso stratagemma della riduzione del numero di deputati e senatori. Depistaggi puerili, sembra dire Giannini: l’Italietta traballa, strattonata tra Usa e Russia e tritata dall’asse franco-tedesco che la costringe a grattare il fondo del barile (leggasi Iva). All’orizzonte, il nulla sta per essere oscurato dal peggio? Ma niente paura: ecco il prode Di Maio che sforbicia il Parlamento.«Cosa bolle in pentola nello Stivale?», si domanda Giannini. «Questioni di una pericolosità senza precedenti, ma il governo – afferma – reagisce cercando di distrarre l’opinione pubblica con un provvedimento forse condivisibile ma economicamente ridicolo». Secondo Giannini, si tratta di una strategia «comprensibile dal punto di vista mediatico, ma che fallirà». C’è ben altro, sulla bilancia: «I dazi Usa contro il nostro paese sono un monito terrificante: gli americani ci lasciano al nostro destino, cioè soli di fronte alle arroganti violenze economico-finanziarie e geopolitiche francesi e tedesche». Visione impietosa: «Più che una penisola siamo una barchetta, o meglio un barcone in attesa di un… ciclone». E non è per niente casuale, secondo Giannini, che tutto ciò «coincida con l’emergere di questioni oscure riguardanti servizi segreti e spionaggio internazionale (vedasi il premier Conte), perché queste questioni le hanno volute rendere pubbliche proprio gli Usa». Esplicito e brutale, per Giannini, il messaggio dello Zio Sam: cari italiani, non siete più il nostro partner privilegiato in Ue.«Se si esclude il periodo della Seconda Guerra Mondiale – aggiunge Giannini – ho la vaga (e fondata) sensazione che i rapporti del governo italiano con gli americani non siano di buon sangue». Nel frattempo, purtroppo, «si riacutizza il problema delle tragedie nel Mediterraneo, causate dalla ingannevole attrattiva dei porti di nuovo aperti». Ingannevole, certo, «perché attraversare il mare in mano a degli scafisti per giungere in un paese privo di lavoro è una trappola», piaccia o no al pelosissimo buonismo nazionale, caro ai sacerdoti del politically correct. Comunque la si veda, siamo in un oceano di guai. «E proprio in questo contesto si inserisce il dimezzamento dei parlamentari». Ebbene: «Quanto fa risparmiare a ogni italiano? Il costo di un caffè all’anno». Solo fuffa, dunque, e senza neppure un disegno istituzionale alle spalle: si teme infatti che la nuova legge elettorale (ridisegno dei collegi, per adeguarli alla riduzione della rappresentanza) verrebbe improvvisata in extremis, in base alla convenienza del momento dettata dai sondaggi. Per ora i partiti hanno votato compatti, sfilando a Di Maio il monopolio dell’eroica riforma, che poi non è ancora detto che diventi davvero legge. Intanto, Giannini osserva: «Stiamo ballando sul Titanic, e i pentastellati stanno elargendo “generosamente” dilettantismo: un dilettantismo che non ha i tratti del solo Luigi Di Maio».Sapete quanto vale, nelle nostre tasche, il regalone che ci ha appena fatto Luigi Di Maio con il taglio di un terzo dei parlamentari? Un caffè all’anno, per ognuno di noi. Che lusso, davvero. A fare il conticino della vergogna è l’antropologo Marco Giannini, già grillino “eretico”, in rotta con Grillo e soci dopo il tentato trasbordo, a Strasburgo, tra le fila degli euro-fanatici dell’Alde, il club “lacrime e sangue” di Verhofstadt e Monti. E’ passato qualche anno: all’epoca, Di Maio e Di Battista cantavano ancora nello stesso coro, all’opposizione. Poi è arrivata l’anomala e precaria stagione “grilloverde”, con Di Maio trasformato in vicepremier “di cittadinanza” per tentare di mascherare i bidoni rifilati, uno dopo l’altro, agli elettori del MoVimento. Ma che la recita stesse per finire lo si capì già in primavera, quando Grillo firmò (con Renzi, tu guarda) il mitico “Patto per la Scienza”, cioè il tradimento definitivo di qualsiasi promessa “free-vax”. E infatti adesso eccoli là, Beppe e Matteo, impegnati a tenere in piedi l’imbarazzante Conte-bis, anche col penoso stratagemma della riduzione del numero di deputati e senatori. Depistaggi puerili, sembra dire Giannini: l’Italietta traballa, strattonata tra Usa e Russia e tritata dall’asse franco-tedesco che la costringe a grattare il fondo del barile (leggasi Iva). All’orizzonte, il nulla sta per essere oscurato dal peggio? Ma niente paura: ecco il prode Di Maio che sforbicia il Parlamento.
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Dezzani: il M5S, piano Usa nato per sterilizzare la protesta
Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano da occhi indiscretti. Ma le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema ricorre per esercitare il proprio dominio, scriveva l’analista geopolitico Federico Dezzani nel lontano 2015, quando a Palazzo Chigi sedeva il Matteo Renzi prima maniera, non ancora alleato dei grillini. Eppure, già allora, proprio di quelli Dezzani si occupava, definendo il Movimento 5 Stelle “la stampella del potere”. Tre anni dopo, i grillini sono andati al governo con Salvini ma piazzando lo sconoscito Conte nella sala dei bottoni. E oggi, puntualissimi, sono negli stessi ministeri ma con l’odiato Renzi e il “partito della Boschi”. Colpa di Salvini? Ma va là, direbbe Dezzani, che già quattro anni fa aveva le idee chiarissime sulla vera funzione del MoVimento, che infatti ha ricondotto all’ovile le pecorelle populiste facendo loro ingoiare persino l’inchino supremo alla Grande Germania, con l’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. A maggior ragione acquista sapore, oggi, la rilettura dell’analisi del profetico Dezzani: quello di Grillo era solo un bluff, fin dall’inizio. Operazione sofisticata, che ha ingannato milioni di elettori.
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Militari Usa: tecnologie aliene dal 1947. Nexus: grazie, Ufo
La Us Navy avrebbe scoperto solo oggi, nel 2019, che gli Ufo esistono? «Ma mi faccia il piacere!», avrebbe detto Totò. «Benvenuti tra noi», si limita a commentare sarcasticamente il saggista Gianfranco Carpeoro, che invita a fare una piccola ricerca: «Date un’occhiata a quanti brevetti sono stati improvvisamente depositati, negli Usa, all’indomani dell’evento di Roswell». Era la notte del 3 luglio 1947: testimoni oculari dichiararono di aver avvistato un disco volante. L’astronave era in fiamme e stava precipitando nel deserto del New Mexico. Un contadino mostrò allo sceriffo alcuni rottami, probabilmente volati via dopo l’impatto. Poco dopo, intervennero le autorità per negare tutto: era solo un pallone sonda in avaria. Trent’anni dopo, il maggiore Jesse Marcel (l’inventore della storia del pallone sonda) ammise: la nostra era una bugia, per insabbiare la verità. Oggi, all’indomani del “coming out” del Pentagono a reti unificate, la rivista “Nexus” rilancia: poco prima del duemila, l’allora numero due dell’intelligence militare Usa ammise che gli alti comandi seguono da decenni gli Ufo e studiano i rottami dei dischi volanti caduti a terra. Punto di svolta, il libro “Il giorno dopo Roswell” pubblicato nel 1997 dal colonnello Philip Corso: moltissime delle nostre attuali tecnologie – dice Corso – sono di derivazione aliena, nate dal contatto con extraterrestri.