Archivio del Tag ‘segreti’
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Tutti a casa, aspettando che finiscano di sfasciare il mondo
Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.La “buona politica” di cui si avverte disperatamente il bisogno, semplicemente, non esiste: tutto il personale politico in campo, nonostante movimenti anche recenti, è sostanzialmente allineato al dogmatismo del mainstream neoliberale e neo-feudale, che – dopo le violente campagne anti-casta degli anni e decenni scorsi – predica l’erosione dell’interesse pubblico e la sparizione progressiva dello Stato come soggetto strategico, sociale ed economico. In Eurozona, il miglior governo che venisse eletto sarebbe di fatto impotente, costretto a limitare la propria spesa strategica al 3% del Pil. Impossibile utilizzare, come in passato, la leva monetaria: in un paese come l’Italia, il debito pubblico ha permesso di realizzare colossali investimenti sociali e infrastrutturali che hanno determinato il boom economico degli anni ‘60 e poi i mini-boom degli anni ‘80 e ‘90. Oggi, senza più sovranità statale, fiscale, economica, finanziaria e monetaria, questo scenario non è più ripetibile.A livello geopolitico, la situazione sta assumendo caratteristiche da incubo. Un crescendo di instabilità e orrori, a partire dal collasso dell’Urss: Jugoslavia, Somalia, Cecenia; poi, dopo l’11 Settembre, la drammatica accelerazione degli ultimi 15 anni, con le guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Ucraina, Siria. In tutti questi teatri, gli Usa sono passati all’offensiva, allo scopo di destabilizzare interi continenti, prima che la Cina potesse assumere una leadership pericolosa per il monopolio americano, anche l’attraverso l’asse con la Russia di Putin. L’Europa è travolta dalla tempesta profughi e terremotata dal terrorismo pilotato dall’intelligence occidentale, utilizzando la falsa bandiera dell’Isis, che ha preso il posto di Al-Qaeda. Uno dei principali obiettivi è proprio l’Europa: prima lo scandalo Volkwagen, poi il caso Bnp-Paribas, quindi l’attacco al segreto bancario svizzero, ora la vicenda Panama. Sul tappeto resta il trattato segreto Ttip, che trasferirà potere giuridico direttamente alle multinazionali, scavalcando leggi e Stati. Il trattato resta segreto, e nessuno ne parla. Il governo dell’Ue non tenta neppure di inscenare la ritualità di una democrazia formale.Il terrorismo è l’altra grande leva dell’operazione eversiva in corso. Sorretto da settori della Cia e del Pentagono, Daesh è finanziato da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi del Golfo. Proprio le stragi di Parigi, Charlie Hebdo e 13 novembre, e ora quella di Bruxelles, hanno spinto alcuni esponenti della massoneria ad effettuare denunce clamorose, rimaste escluse dal mainstream ma circolate sul web. La tesi riguarda l’ispirazione massonica degli attentati e il loro contenuto simbolico nascosto utilizzato come “firma”, a partire dallo stesso acronimo Isis, che corrisponde alla dea Iside, il cui secondo nome è Hathor – e Hathor Pentalpha, secondo Gioele Magaldi, è il nome della famigerata superloggia fondata dai Bush negli anni ‘80, cui avrebbero aderito Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan, cioè gli uomini che hanno promosso le guerre in Iraq, in Libia e in Siria, dopo aver ideato gli attentati dell’11 Settembre.Un’intera narrazione sta crollando, giorno per giorno, sotto i colpi delle rivelazioni che illuminano i retroscena della cronaca: il mainstream continua a proporla, l’informazione ufficiale, ma non riscuote più la fiducia della maggioranza dei cittadini, sempre più scettici, tentati dall’astensionismo (convinti che votare sia ormai inutile) e in ogni caso diffidenti di fronte alle notizie sfornate a ciclo continuo. In parallelo, si assiste a clamorose rivelazioni in serie: prima Julian Assange e Wikileaks, poi lo scandalo dello spionaggio di massa targato Nsa, denunciato da Edward Snowden. Sul piano culturale, in Italia e non solo, è parallelo il percorso di uno studioso isolato come Mauro Biglino, che propone la (sconcertante) traduzione letterale della Bibbia: lo Jahwè dell’Antico Testamento non è affatto una divinità, ma un feroce guerriero venuto da non si sa dove e impegnato – insieme ad alcuni “colleghi” – a instaurare un dominio di tipo coloniale in Palestina, peraltro sul Sapiens che, secondo la Genesi, sarebbe stato creato in laboratorio, mediante clonazione genetica. La teologia della creazione? Pura fantasia, di cui nella Bibbia non c’è traccia.Secondo l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore di contro-indagini clamorose su alcuni misteri della cronaca italiana, dalle Bestie di Satana al Mostro di Firenze (l’intuizione della spaventosa realtà dei delitti rituali compiuti da sette occulte, affollate da potentissimi insospettabili) il bicchiere mezzo pieno consiste nel fatto che, se certi orrori si sono sempre verificati, oggi finalmente se ne comincia a parlare. Un altro osservatore come Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, sostiene che la crescente violenza cui stiamo assistendo corrisponda all’inquietudine dell’élite al potere, che sa di aver perso il consenso di almeno il 20-30% della popolazione e quindi preme sull’acceleratore della paura per condizionare la parte restante, quella che ancora è facilmente manipolabile. Lo afferma anche un massone come Gianfranco Carpeoro, grande esperto di codici esoterici e simbolici: la strategia della tensione come arma estrema, da parte di chi pensa di non avere più altri strumenti per condizionare le masse.L’arma più antica – il terrore – per tentare di portare a compimento il grande disegno emerso negli ultimi decenni, ben illustrato da Paolo Barnard nel saggio “Il più grande crimine”: la riduzione in schiavitù del cittadino occidentale, affrancatosi dal feudalesimo con la Rivoluzione Francese, per farlo retrocedere al rango di suddito, senza più uno Stato democratico che lo tuteli. Il progetto della globalizzazione neoliberista è semplice, aggiunge Carpeoro: allineare tutti noi al livello degli abitanti del terzo mondo, cioè lavoratori pre-moderni e senza diritti. Il piano procede inesorabilmente: con le crisi finanziarie, le guerre, le bombe, le menzogne quotidiane sfornate dal “pensiero magico”, la suprema manipolazione cui ricorre il massimo potere, sempre impegnato a costruire nemici artificiali che il popolo dovrà odiare, evitando di farsi le domande giuste. Che può fare, il cittadino comune? Ricordarsi di esistere, risponde Erri De Luca: per esempio, la partecipazione al referendum contro le trivellazioni è un grido contro “l’anestesia delle coscienze”. Sapendo però che di ben altra “rianimazione” ci sarebbe bisogno, in un paese che ancora accetta l’euro, considera una sciagura il debito sovrano e pensa che, dopo Bruxelles, sarà bene avere meno libertà in cambio di più sicurezza.Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.
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Dirottare negli Usa i soldi dell’Europa: è la Panama-strategy
La diffusione della mega-soffiata sulle ricchezze offshore, già confezionata con il nome di ‘Panama Papers’, va osservata con criteri distaccati, come tentai di fare al momento del massimo impatto delle rivelazioni via Wikileaks, nel 2010, quando moltissimi cablogrammi diplomatici americani divennero improvvisamente di pubblico dominio. In quella occasione pensai che «deve valere una premessa: non ci sono individui, e neanche organizzazioni, che siano in grado di leggere 250mila documenti in breve tempo. Quindi ci arriva solo un flusso filtrato di documenti. E chi lo filtra, per ora, è la vecchia fabbrica dei media tradizionali». Oggi, che i documenti trapelati sono 11 milioni e mezzo, una cinquantina di volte di più di allora, il discorso vale ancora di più. Dunque dobbiamo capire quali fonti producono i materiali, chi li studia e filtra, chi li diffonde e rifiltra, con quale parabola mediatica alla fine arrivano a tutti noi.Nel caso dei Panama Papers, nessuno di noi conosce i primi manipolatori delle fonti. Sappiamo solo che, oltre un anno fa, una manina ha sottratto un enorme fascicolo digitale custodito dallo studio legale panamense Mossack Fonseca, una di quelle officine tropicali degli affari segreti che armonizzano le alchimie fiscali del capitalismo finanziario globalizzato. Il portafoglio panamense è una piccolissima frazione degli affari planetari, però ritagliata con particolare cura in modo da non ricomprendere i grandi padroni americani. Fra i documenti scoperchiati, infatti, sono ricostruiti i giochi finanziari di nemici e amici dell’America, ma non degli americani. Molti commentatori sono concordi: si tratta di un’anomalia ma non si tratta di un caso, se gli americani stanno fuori dal mirino.La manina, che rimane segreta e non chiede un dollaro in cambio, affida tutto alla redazione di “Süddeutsche Zeitung”, quotidiano di Monaco di Baviera edito da una casa editrice legata alle principali conglomerate editoriali tedesche. Il materiale, tuttavia, è troppo voluminoso anche per un grande giornale.I redattori ricorrono perciò all’International Consortium of Investigative Journalists (Icij), una rete che mette insieme 190 giornalisti di oltre 65 paesi, ed è l’emanazione internazionale di un’organizzazione basata negli Stati Uniti d’America, il Center for Public Integrity, che vanta tra i suoi finanziatori le principali fondazioni delle grandi famiglie capitalistiche americane, compresi i Rockefeller, i Rothschild, la Open Society di Soros, e altri super-filantropi di peso paragonabile. Il consorzio dei giornalisti investigativi è insomma alimentato dal cupolone dei padroni universali, gli stessi che i Papers non nominano, i medesimi che guidano affari opachi e speculazioni su una scala enormemente maggiore rispetto a quanto emerso dalle carte panamensi. Come mai un cenacolo di straricchi capaci di muovere vagonate di miliardi con un solo clic, senza battere ciglio si mette a finanziare proprio i giornalisti che quasi ogni anno tirano fuori grosse inchieste contro i paradisi fiscali? Anche qui: si tratta di un’anomalia, ma è improbabile che si tratti di un caso.I meno distratti sanno che attualmente con il Ttip e altri trattati più o meno segreti si sta ridisegnando lo spazio euroatlantico a guida statunitense in modo da ricompattare il blocco capitalista più legato a Washington intorno a una sorta di “Nato economica”. Ebbene, nel 2009-2010, il presidente Barack Obama aveva composto un collegio di consiglieri economici presieduto dalla storica Christina Romer, una professoressa che aveva studiato a menadito la Grande Depressione degli anni trenta. Secondo la Romer l’unico modo per risolvere strutturalmente la crisi finanziaria con epicentro negli Stati Uniti stava nel determinare un trasferimento di capitali europei verso Wall Street. Da allora, da Washington si sono moltiplicate le iniziative per far chiudere il maggior numero possibile di paradisi fiscali non anglo-sassoni, troppo concorrenziali E una parte dei giochi ha reso meno forte l’euro. È un’angolazione diversa per osservare le fughe di notizie di questi anni: la crisi di Cipro, gli scandali vaticani, l’attacco al santuario bancario svizzero, ecc.Naturalmente queste ondate di scandali, creando panico, si riverberavano negativamente anche sulla finanza anglosassone, per via delle tante interconnessioni. Ma nell’insieme, quella rimane più protetta dalle regole e dai rapporti di forza nelle istituzioni finanziarie internazionali che essa stessa ha creato e quindi resiste all’urto. Come la chemioterapia, che ambisce a sopportare il veleno che uccide molte cellule funzionali al proprio organismo purché uccida tutte le cellule “disfunzionali” del tumore, allo stesso modo i poli della finanza anglosassone vedono ridursi o perfino scomparire i poli concorrenti, al prezzo di un certo caos sistemico. Malgrado ciò, i capitalisti in cerca di investimenti stabili e sicuri non hanno ancora trovato né così allettante né così facile trasferire i loro soldi in Usa, di cui – nonostante tutto – avvertono gli scricchiolii.Quel sistema che grossolanamente chiamiamo Nato economica spianerà la strada. Se va in porto, gli Usa si salvano attirando i capitali europei, a spese di interi popoli, ai quali andranno resi difficili gli affari con paesi fuori da quel giro, anche se più convenienti e più complementari. Magari con uno strumento micidiale: le sanzioni. Ebbene, la questione delle sanzioni è un punto particolarmente illuminante, che spiega bene dentro quali paletti potesse muoversi l’inchiesta. Nel documento di presentazione dei Panama Papers pubblicato dalla “Süddeutsche Zeitung”, infatti si spiega che la specializzazione primaria della Mossack Fonseca, oltre al riciclaggio e l’evasione fiscale, riguardava «attività imprenditoriali che potenzialmente violano delle sanzioni». Rockefeller non ha bisogno di questi schemi, mentre è più probabile che li abbiano dovuti usare le classi dirigenti russe, soggette a un drastico sistema di sanzioni, per riuscire a interagire faticosamente con il resto del mondo in questi anni. E così hanno fatto altri dirigenti di altri paesi soggetti a sanzioni.I giornalisti dell’Icij, collegati alle principali testate dell’Occidente – che possiamo considerare come altrettanti organi ufficiosi della Nato – non si sono posti il problema. Il contesto sanzioni, nella vulgata dei giornali, cede il passo al contesto corruzione/evasione. E mentre il contesto sanzioni spiegherebbe bene la scoperta dell’acqua calda, che cioè i grandi giri di denaro in Russia non li fanno i nemici di Putin, il contesto corruzione/evasione è inadatto a spiegare il ruolo di Putin. Ma gli organi della Nato preferiscono quello, e riprendono allora tutto il set di interpretazioni che hanno già usato altre volte. A Putin non è riconducibile direttamente nessuno degli schemi finanziari analizzati, ma il suo ritratto deve aprire la notizia, e mangiarsela. Esattamente come quando era esploso lo scandalo doping: riguardava atleti di decine di nazioni, ma la “Repubblica” faceva il titolone in prima sul surreale “doping di Putin”.In Regno Unito il primo giorno hanno fatto di peggio. Nonostante fosse direttamente coinvolto il padre del premier Cameron, il tanto decantato giornalismo britannico è stato zitto, per fare invece a gara, anche lì, a chi metteva la foto più grande di Vladimir il Cattivo.Eppure ci sarebbe da dire anche su questa tegola per il primo ministro britannico. Nonostante lo storico allineamento di Londra con Washington, recentemente ci sono state moltissime correnti di attrazione economica e finanziaria fra Londra e Pechino. La stessa grande soffiata, pur chiamandosi Panama, riguarda in buona parte affari che si concludono nella City londinese. Ne risulta un bel calcione a eventuali velleità britanniche, così come lo scandalo Volkswagen risultava essere un bel calcione alle velleità germaniche e la supermulta alla banca Bnp Paribas era bel calcione alle velleità francesi. Seguono attentati. Recentemente Sergey Glazyev, un economista molto ascoltato da Putin, ha parlato di “guerra ibrida” per definire le complesse mosse non strettamente militari degli Usa contro il “nemico” russo. Possiamo estendere la definizione anche ad altri casi: la “guerra ibrida” viene mossa anche contro gli “amici”. Magari via Panama, ma con il portafoglio ben radicato e protetto a Washington. E con infiniti strati di copertura che rendano irriconoscibile la guerra e facciano credere che esista il giornalismo investigativo con il guinzaglio lungo.(Pino Cabras, “Panama Papers, segreti manipolati”, dal blog “Occhi della Guerra” su “Il Giornale” del 6 aprile 2016).La diffusione della mega-soffiata sulle ricchezze offshore, già confezionata con il nome di ‘Panama Papers’, va osservata con criteri distaccati, come tentai di fare al momento del massimo impatto delle rivelazioni via Wikileaks, nel 2010, quando moltissimi cablogrammi diplomatici americani divennero improvvisamente di pubblico dominio. In quella occasione pensai che «deve valere una premessa: non ci sono individui, e neanche organizzazioni, che siano in grado di leggere 250mila documenti in breve tempo. Quindi ci arriva solo un flusso filtrato di documenti. E chi lo filtra, per ora, è la vecchia fabbrica dei media tradizionali». Oggi, che i documenti trapelati sono 11 milioni e mezzo, una cinquantina di volte di più di allora, il discorso vale ancora di più. Dunque dobbiamo capire quali fonti producono i materiali, chi li studia e filtra, chi li diffonde e rifiltra, con quale parabola mediatica alla fine arrivano a tutti noi.
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L’altra verità sui Panama Papers (e non fa onore alla stampa)
I Panama Papers di clamore ne hanno suscitato. Indignazione, anche, com’è inevitabile quando vengono rivelati i conti milionari di centinaia di personalità di caratura mondiale. Ma siamo sicuri che si tratti di giornalismo? La risposta non è affatto scontata. Certo, sarebbe molto facile e comodo unirsi al coro di indignazione e di condanna per le rivelazioni. La stampa internazionale tende ad essere conformista e se un pool di prestigiose testate pubblica i risultati di quella che viene presentata come una straordinaria inchiesta giornalistica la “verità” trasmessa al mondo diventa univoca e incontestabile. I dubbi, in realtà, sono doverosi: ciò a cui assistiamo in queste ore non ha per nulla le stigmate del giornalismo di inchiesta, semmai di qualcos’altro ben più ambiguo e poco onorevole. Di certo rappresenta il bis di un altro scandalo esploso esattamente tre anni fa. Ricordate? Nell’aprile del 2013 l’International Consortium of Investigative Journalism – lo stesso che oggi propizia i Panama Papers – diffuse i nomi di 130.000 conti nei paradisi fiscali e delle fiduciarie di tutto il mondo che avevano aiutato i loro prestigiosi clienti ad aprirli; uno scandalo che lambì anche la Svizzera e naturalmente anche il Ticino con la diffusione dei nomi di alcuni studi.Lo schema mediatico di allora è identico a quello che emerge ora: una fonte passa al Consorzio di giornalismo una quantità enorme di documenti segreti, talmente colossale da indurlo a coinvolgere un certo numero di testate giornalistiche nella lettura e nella selezione di migliaia di documenti, la cui autenticità, però, è assicurata. Da chi? Ma dalla fonte stessa, che però non viene rivelata alle testate. Garantisce il direttore dell’International Consortium of Investigative Journalism. E questo è il punto: giornalismo di inchiesta presuppone un lavoro faticoso, duro, talvolta rischioso, in cui i giornalisti seguono una prima traccia, trovano riscontri, cercano più testimoni incrociando le prove. E’ un esercizio ben diverso sia dall’Offshore leaks che dai Panama Papers, in cui ai giornalisti è stato semplicemente chiesto di setacciare montagne di carte, senza indagare, senza approfondire, senza incrociare, svolgendo una mansione più che da reporter da reporter investigativo, da speleologo dell’informazione.Pochi commentatori, sia allora sia oggi, si sono posti la domanda fondamentale: com’è possibile che una sola fonte abbia potuto avere accesso a segreti custoditi gelosamente da studi professionali iperprotetti, trafugando dossier di dimensioni tali da non poter essere sottratti da un solo impiegato infedele? Parliamo di 11 milioni di documenti, che riguardano 200mila società in un arco di tempo lunghissimo, 40 anni! Chi e per quale ragione ha potuto compiere un’operazione così ampia, così sofisticata e così strumentale nei bersagli finali Non abbiamo una risposta certa ma sappiamo che le guerre moderne si combattono non solo con la forza militare, bensì anche – e talvolta soprattutto – con strumenti asimmetrici come la pirateria informatica, dunque con il trafugamento di informazioni sensibili. E avendo letto attentamente e con angoscia le rivelazioni di Edward Snowden, l’ex analista dei servizi segreti americani, non ci stupiamo più di nulla. Nessun archivio è davvero al sicuro, nulla di quanto scriviamo su un computer è davvero soltanto nostro. C’è chi ha accesso alla vita digitale di ogni uomo e di ogni società, in qualunque parte del mondo e può disporne a piacimento. Anche a Panama, un tranquillo lunedì di aprile, usando i media come straordinario, compiacente e compiaciuto detonatore.(Marcello Foa, “L’altra verità sui Panama Papers, e non fa onore alla stampa”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 4 aprile 2016).I Panama Papers di clamore ne hanno suscitato. Indignazione, anche, com’è inevitabile quando vengono rivelati i conti milionari di centinaia di personalità di caratura mondiale. Ma siamo sicuri che si tratti di giornalismo? La risposta non è affatto scontata. Certo, sarebbe molto facile e comodo unirsi al coro di indignazione e di condanna per le rivelazioni. La stampa internazionale tende ad essere conformista e se un pool di prestigiose testate pubblica i risultati di quella che viene presentata come una straordinaria inchiesta giornalistica la “verità” trasmessa al mondo diventa univoca e incontestabile. I dubbi, in realtà, sono doverosi: ciò a cui assistiamo in queste ore non ha per nulla le stigmate del giornalismo di inchiesta, semmai di qualcos’altro ben più ambiguo e poco onorevole. Di certo rappresenta il bis di un altro scandalo esploso esattamente tre anni fa. Ricordate? Nell’aprile del 2013 l’International Consortium of Investigative Journalism – lo stesso che oggi propizia i Panama Papers – diffuse i nomi di 130.000 conti nei paradisi fiscali e delle fiduciarie di tutto il mondo che avevano aiutato i loro prestigiosi clienti ad aprirli; uno scandalo che lambì anche la Svizzera e naturalmente anche il Ticino con la diffusione dei nomi di alcuni studi.
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Migranti in cambio di petrolio, patto segreto Italia-Malta
Mentre la crisi dei rifugiati siriani è arrivata a un’impasse, sia in termine di sicurezza europea sia di diritti umani dei rifugiati, Bruxelles si trova a dover negare accuse di un patto segreto tra Malta e l’Italia per scambiare rifugiati con diritti di esplorazione petrolifera. Il leader dell’opposizione maltese sostiene che Malta e l’Italia hanno stretto un accordo segreto in cui l’isola rinuncia ai diritti di esplorazione petrolifera su un’area offshore oggetto di disputa con l’Italia, in cambio dell’assegnazione all’Italia della quota di migranti recuperati in mare che spetterebbe a Malta. La Commissione Europea è stata costretta a rispondere a queste accuse, negandole, ma la situazione resta complessa, scrive “Zero Hedge” in un post ripreso da “Voci dall’Estero”, che segnala l’offensiva dell’esponente politico maltese Simon Busuttil, del Partito Nazionalista, europarlamentare dal 2013, secondo cui il suo governo ha permesso a Roma di trivellare i fondali marini in acque maltesi, nell’ambito di uno scambio poco pulito tra petrolio e migranti.Le sue accuse sono state amplificate dal “Giornale”: Matteo Renzi avrebbe concluso quell’accordo con il premier maltese Joseph Muscat. Ne aveva già parlato lo scorso settembre il ministro dell’interno Carmelo Abela, accennando a un “accordo informale” con l’Italia. Dal canto suo, Malta ha ammesso la collaborazione stretta, ma i funzionari del piccolo paese mediterraneo sostengono che non c’è un vincolo che lega il discorso migranti alle esplorazioni petrolifere. Malta è il membro dell’Ue più vicino alle coste libiche, sottolinea “Zero Hedge”: considerato questo, il parlamentare italiano Elisabetta Gardini (centrodestra) ha recentemente chiesto alla Commissione Europea di spiegare come mai ci sono così pochi arrivi di migranti a Malta. Una domanda impegnativa: dal 2015, delle 142.000 persone che hanno lasciato le loro case per dirigersi in Europa lasciando le coste nordafricane, solo un centinaio sono arrivate a Malta. E’ un dato molto strano, nel mezzo di un’acuta crisi di rifugiati.Nel 2013, continua “Zero Hedge”, gli ufficiali maltesi avevano registrato 2.008 sbarchi. Nello stesso periodo, l’Italia aveva accolto 150.000 rifugiati. «L’ipotesi che non esista alcun accordo suggerirebbe che i rifugiati semplicemente non desiderano provare a raggiungere Malta». A fine 2015, l’Ue ha finalmente risposto alle accuse: il commissario europeo agli affari interni e alla migrazione Dimitris Avramopoulos ha detto di «non essere al corrente di alcun accordo bilaterale tra le autorità italiane e maltesi riguardo le operazioni di “Search and Rescue” (Sar) nel mare Mediterraneo». Il fatto di “non essere al corrente” non risolve la questione, osserva “Zero Hedge”. Secondo l’“Independent”, la stessa Commissione Europea ha notato che, guardacaso, l’area di esplorazione petrolifera in questione si sovrappone alle aree di recupero dei migranti. «Di cosa stiamo parlando, in termini petroliferi? Di un grosso affare, potenzialmente», aggiunge il blog. «Secondo una fonte indipendente, Malta dispone di un potenziale di 260 milioni di barili. Ma Malta e l’Italia sono bloccate dalla disputa sulle zone di esplorazione offshore e sulle zone di recupero migranti».Il nocciolo della questione è una legge italiana del 2012 che di fatto raddoppiava la zona marittima italiana in direzione sud-est rispetto alla Sicilia e verso la costa libica. Malta aveva protestato per la sovrapposizione con aree che ritiene sue. Alla fine del 2015, Malta e l’Italia hanno raggiunto un accordo informale di sospensione delle trivellazioni esplorative in quell’area. Altra domanda aperta: l’accordo Ue-Turchia, che vedrà la Turchia riprendersi i rifugiati sbarcati in Grecia (in cambio di qualche favore da parte della Ue e qualche aiuto finanziario) essenzialmente eliminerà la rotta dei migranti attraverso il Mar Egeo. «Questo potrebbe risvegliare l’interesse dei migranti nella rotta attraverso la Libia. E se Malta si è davvero liberata della sua zona di recupero, significa grossi problemi per l’Italia, che dovrà accollarseli tutti».Mentre la crisi dei rifugiati siriani è arrivata a un’impasse, sia in termine di sicurezza europea sia di diritti umani dei rifugiati, Bruxelles si trova a dover negare accuse di un patto segreto tra Malta e l’Italia per scambiare rifugiati con diritti di esplorazione petrolifera. Il leader dell’opposizione maltese sostiene che Malta e l’Italia hanno stretto un accordo segreto in cui l’isola rinuncia ai diritti di esplorazione petrolifera su un’area offshore oggetto di disputa con l’Italia, in cambio dell’assegnazione all’Italia della quota di migranti recuperati in mare che spetterebbe a Malta. La Commissione Europea è stata costretta a rispondere a queste accuse, negandole, ma la situazione resta complessa, scrive “Zero Hedge” in un post ripreso da “Voci dall’Estero”, che segnala l’offensiva dell’esponente politico maltese Simon Busuttil, del Partito Nazionalista, europarlamentare dal 2013, secondo cui il suo governo ha permesso a Roma di trivellare i fondali marini in acque maltesi, nell’ambito di uno scambio poco pulito tra petrolio e migranti.
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Debito, la Bce grazia l’Irlanda: fine del regime del rigore?
«Per risolvere il problema del debito pubblico, è stato iniziato da Dublino un esperimento monetario sotto l’egida della Bce: l’Irlanda emette buoni del tesoro a scadenza centennale, al tasso fisso lordo del 2,5%, e la Bce li compera sul mercato primario». Le conferme si trovano nel web, scrive Marco Della Luna, attento osservatore dei dispositivi di dominio per via finanziaria, autore di saggi come “Cimiteuro, uscirne e risorgere”. «Dato che calcoli a 100 anni sono al di fuori di qualsiasi ragionevole prevedibilità economica – afferma Della Luna nel suo blog – l’acquisto e la gestione di tali titoli è palesemente pensata per soggetti che non si limitano a cercare di prevedere o indovinare, come è il caso dei risparmiatori, ma che hanno la forza di prendere e imporre decisioni di lungo termine, come è il caso del cartello bancario-monetario Bri-Imf-Fed-Bce & C», ovvero le massime “istituzioni” finanziarie occidentali, che da trent’anni hanno imposto il regime dell’austerity agli Stati, costretti a tagliare spese e investimenti.«Se l’esperimento avrà successo, e se Berlino non avrà la forza di bloccare tutto», continua della Luna, si potrà estendere l’esperimento irlandese «a tutti i paesi europei aventi un grave indebitamento pubblico, per rimetterli in grado di eseguire investimenti pubblici in funzione di rilanciare quelli privati, i redditi e l’occupazione». E forse, aggiunge, questa inedita “innovazione” «si potrà applicare anche per la risoluzione delle crisi bancarie da deterioramento dei crediti». Sarebbe in ogni caso una svolta epocale: la “monetizzazione del debito” permetterebbe agli Stati di uscire dal tunnel della crisi, innescata dall’irruzione della finanza speculativa nella finanza pubblica – i titoli di Stato affidati ai “mercati” – e aggravata in modo fatale, in Europa, dall’avvento dell’euro, che ha tolto definitivamente ai governi la possibilità di gestire il proprio debito: non più denominato in moneta sovrana, da leva strategica fondamentale (investimenti, salari e infrastrutture, con ricadute positive sull’economia privata) il debito si trasforma in un onere insostenibile.Secondo Della Luna, il test irandese – se non verrà stoppato dalla Germania – potrebbe creare un precedente per una clamorosa inversione di rotta, dopo decenni di dominio assoluto da parte del super-potere finanziario e neoliberista internazionale, interpretato dal Fmi e dalla Fed, nonché da potenze come la Bank for International Settlements (Bri, banca dei regolamenti internazionali) e fino a ieri anche dal Wto. La missione: disabilitare la capacità di spesa degli Stati, per accelerare la maxi-privatizzazione globale di aziende e servizi. Ruolo in Europa affidato all’Ue e alla Bce, fino ai negoziati segretissimi per la stipula del Ttip, il Trattato Transatlantico che consegnerebbe il potere, anche giuridico, alle multinazionali. Che senso ha, allora, la contromossa che si starebbe giocando in Irlanda, dove – di fatto – si restituirebbe il potere finanziario allo Stato? Un estremo tentativo di tenere in piedi l’Europa dell’euro a guida tedesca, il cui crollo è dato da più parti per imminente, o l’implicita ammissione del fallimento del sistema globalizzato, privatizzatore e neoliberista?«Per risolvere il problema del debito pubblico, è stato iniziato da Dublino un esperimento monetario sotto l’egida della Bce: l’Irlanda emette buoni del tesoro a scadenza centennale, al tasso fisso lordo del 2,5%, e la Bce li compera sul mercato primario». Le conferme si trovano nel web, scrive Marco Della Luna, attento osservatore dei dispositivi di dominio per via finanziaria, autore di saggi come “Cimiteuro, uscirne e risorgere”. «Dato che calcoli a 100 anni sono al di fuori di qualsiasi ragionevole prevedibilità economica – afferma Della Luna nel suo blog – l’acquisto e la gestione di tali titoli è palesemente pensata per soggetti che non si limitano a cercare di prevedere o indovinare, come è il caso dei risparmiatori, ma che hanno la forza di prendere e imporre decisioni di lungo termine, come è il caso del cartello bancario-monetario Bri-Imf-Fed-Bce & C», ovvero le massime “istituzioni” finanziarie occidentali, che da trent’anni hanno imposto il regime dell’austerity agli Stati, costretti a tagliare spese e investimenti.
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Pilger: Terza Guerra Mondiale, solo Trump non la vuole
Ho filmato nelle Isole Marshall, a nord dell’Australia, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ogni volta che dico alla gente dove sono stato, mi chiedono: «Dove si trovano?». Se come indizio faccio riferimento a “Bikini”, dicono: «Vuoi dire il costume da bagno». Pochi si rendono conto del fatto che il costume da bagno bikini è stato chiamato così per celebrare le esplosioni nucleari che hanno distrutto l’isola di Bikini. Sessantasei dispositivi nucleari furono fatti brillare dagli Stati Uniti nelle Isole Marshall tra il 1946 e il 1958 – l’equivalente di 1,6 bombe [della potenza di quella che colpì] Hiroshima – ogni giorno, per dodici anni. Oggi Bikini tace, trasformata e contaminata. Le palme crescono in una strana disposizione a griglia. Nulla si muove. Non ci sono uccelli. Le lapidi nel vecchio cimitero sono tuttora radioattive. Le mie scarpe registrano un “pericoloso” sul contatore Geiger. Sulla spiaggia, ho visto il verde smeraldo del Pacifico sprofondare in un grande buco nero. È il cratere causato dalla bomba all’idrogeno che chiamavano “Bravo”. L’esplosione avvelenò la gente e l’ecosistema per centinaia di chilometri, forse per sempre.Al mio ritorno, fermandomi all’aeroporto di Honolulu notai una rivista americana chiamata “Women’s Health”. Sulla copertina c’era una donna sorridente in bikini, e il titolo: “Anche voi, potete avere un corpo da bikini”. Pochi giorni prima, nelle Isole Marshall, avevo intervistato donne che hanno avuto “corpi da bikini” molto diversi; ognuna di loro soffriva di cancro alla tiroide e di altri tumori mortali. A differenza della donna sorridente sulla rivista, tutte erano povere: vittime e cavie umane di una superpotenza rapace che oggi è più pericolosa che mai. Racconto questa mia esperienza come avvertimento e per interrompere una confusione che ha stremato tanti di noi. Il fondatore della propaganda moderna, Edward Bernays, descrisse questo fenomeno come «la manipolazione consapevole e intelligente di abitudini e opinioni» delle società democratiche. Lo chiamò un «governo invisibile». Quante sono le persone consapevoli del fatto che una guerra mondiale è cominciata? Per il momento si tratta di una guerra di propaganda, di menzogne, di distrazione, ma tutto ciò può cambiare istantaneamente con il primo ordine sbagliato, con il primo missile.Nel 2009, il presidente Obama si trovava davanti ad una folla adorante nel centro di Praga, nel cuore dell’Europa. Lì si impegnò a rendere il mondo «libero da armi nucleari». La gente lo applaudì e alcuni piansero. Un torrente di banalità fluì da parte dei media. Successivamente, ad Obama fu assegnato il premio Nobel per la Pace. Era tutto falso. Stava mentendo. L’amministrazione Obama ha costruito più armi nucleari, più testate nucleari, più sistemi di distribuzione nucleari, più fabbriche nucleari. La sola spesa per le testate nucleari è cresciuta di più sotto Obama che sotto ogni altro presidente americano. Spalmato su trent’anni, il costo supera il trilione di dollari. Si sta pianificando la fabbricazione di una mini-bomba nucleare. È conosciuta come la B61 Modello 12. Non c’è mai stato nulla di simile. Il generale James Cartwright, un ex vice presidente del Joint Chiefs of Staff, ha detto: «Facendolo più piccolo [rende l'utilizzo di questo ordigno nucleare] un’arma più plausibile».Negli ultimi diciotto mesi, il più grande accumulo di forze militari dalla Seconda Guerra Mondiale – pianificato dagli Stati Uniti – si sta attuando lungo la frontiera occidentale della Russia. È dai tempi dell’invasione di Hitler all’Unione Sovietica che la Russia non subisce una minaccia tanto evidente da parte di truppe straniere. L’Ucraina – un tempo parte dell’Unione Sovietica – è diventata un parco a tema della Cia. Dopo aver orchestrato un colpo di stato a Kiev, Washington controlla effettivamente un regime che è vicino e ostile alla Russia: un regime letteralmente infestato da nazisti. Parlamentari ucraini di spicco sono i diretti discendenti politici dei famigerati fascisti dell’Oun e dell’Upa. Inneggiano apertamente a Hitler e chiedono l’oppressione e l’espulsione della minoranza di lingua russa. Raramente questo fa notizia in Occidente, o la si inverte per sopprimere la verità. In Lettonia, Lituania ed Estonia – alle porte della Russia – l’esercito americano sta schierando truppe da combattimento, carri armati, armi pesanti. Di questa estrema provocazione alla seconda potenza nucleare del mondo non si parla in Occidente.Quello che rende la prospettiva di una guerra nucleare ancora più pericolosa è una campagna parallela contro la Cina. Sono rari i giorni in cui la Cina non raggiunge il rango di “minaccia”. Secondo l’ammiraglio Harry Harris, comandante della flotta statunitense nel Pacifico, la Cina sta «costruendo un grande muro di sabbia nel Mar Cinese Meridionale». Ciò a cui fa riferimento è che la Cina sta approntando piste di atterraggio nelle Isole Spratly, che sono oggetto di un contenzioso con le Filippine – una controversia senza priorità fino a quando Washington non fece pressioni corrompendo il governo di Manila, mentre il Pentagono ha lanciato una campagna di propaganda chiamata “libertà di navigazione”. Cosa significa tutto ciò, in realtà? Significa che le navi da guerra americane hanno la libertà di pattugliare e dominare le acque costiere della Cina. Provate ad immaginare la reazione americana se navi da guerra cinesi facessero la stessa cosa al largo della costa della California.Ho girato un film intitolato “La Guerra che non vedete”, in cui ho intervistato illustri giornalisti in America e in Gran Bretagna: reporter del calibro di Dan Rather della “Cbs”, Rageh Omaar della “Bbc”, David Rose dell’“Observer”. Tutti hanno detto che se i giornalisti e le emittenti mediatiche avessero fatto il loro dovere e messo in discussione la propaganda che asseriva che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa, e se le bugie di George W. Bush e Tony Blair non fossero state amplificate e riportate dai giornalisti, l’invasione dell’Iraq nel 2003 non sarebbe avvenuta, e centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sarebbero ancora vivi, oggi. In linea di principio la propaganda che sta preparando il terreno per una guerra contro la Russia e/o la Cina non è diversa. Per quanto ne so io, nessun giornalista occidentale tra i più quotati – uno come Dan Rather, per dire – chiede perché la Cina sta costruendo piste di atterraggio nel Mar Cinese Meridionale.La risposta dovrebbe essere palesamente ovvia. Gli Stati Uniti stanno circondando la Cina con una rete di basi con missili balistici, gruppi d’assalto, bombardieri armati di testate nucleari. Questo arco letale si estende dall’Australia alle isole del Pacifico, le Marianne e le Marshall e Guam nelle Filippine, quindi in Thailandia, a Okinawa, in Corea e in tutta l’Eurasia, in Afghanistan e in India. L’America ha appeso un cappio intorno al collo della Cina. Ma questo non fa notizia. Il silenzio dei media è guerra tramite i media. In tutta segretezza, nel 2015, gli Stati Uniti e l’Australia hanno inscenato la più grande esercitazione militare “aria-mare” della storia recente, chiamata “Talisman Sabre”. Lo scopo era quello di collaudare un piano di battaglia “aria-mare”, bloccando arterie marittime, come lo Stretto di Malacca e lo Stretto di Lombok, che tagliano l’accesso della Cina al petrolio, gas e altre materie prime vitali che arrivano dal Medio Oriente e dall’Africa.Nel circo noto come la campagna presidenziale americana, Donald Trump è stato presentato come un pazzo, un fascista. Certamente odioso lo è; ma è anche una figura di odio mediatico. Questo da solo dovrebbe suscitare il nostro scetticismo. Il punto di vista di Trump sulla migrazione è grottesco, ma non più grottesco di quello di David Cameron. Non è Trump il “grande deportatore” dagli Stati Uniti, ma il vincitore del Premio Nobel per la Pace, Barack Obama. Secondo un geniale commentatore liberale, Trump sta «scatenando le forze oscure della violenza» negli Stati Uniti. Sta scatenando? Questo è il paese dove i poco più che lattanti sparano alle loro madri e dove la polizia ha dichiarato una guerra assassina contro i neri americani. Questo è il paese che ha attaccato e cercato di rovesciare più di 50 governi, molti dei quali democrazie, e bombardato dall’Asia al Medio Oriente, causando morte e privazioni a milioni di persone. Nessun paese può uguagliare questo sistematico record di violenza. La maggior parte delle guerre americane (quasi tutte contro paesi indifesi) sono stati lanciate non da presidenti repubblicani, ma da democratici liberali: Truman, Kennedy, Johnson, Carter, Clinton, Obama.Una serie di direttive del Consiglio di Sicurezza Nazionale, nel 1947, determinava che l’obiettivo primario della politica estera americana fosse “un mondo sostanzialmente fatto a propria [dell'America] immagine”. L’ideologia era l’americanismo messianico. Eravamo tutti americani. Altrimenti…. gli eretici sarebbero stati convertiti, sovvertiti, corrotti, macchiati o schiacciati. Donald Trump è un sintomo di tutto ciò, ma è anche un anticonformista. Dice che è stato un crimine invadere l’Iraq; lui non vuole andare in guerra contro la Russia e la Cina. Il pericolo per il resto di noi non è Trump, ma Hillary Clinton. Lei non è anticonformista. Lei incarna la resilienza e la violenza di un sistema il cui decantato “eccezionalismo” è totalitario, con un occasionale volto liberale. Mentre il giorno delle elezioni presidenziali si avvicina, la Clinton sarà salutata come il primo presidente donna, a prescindere dai suoi crimini e menzogne – proprio come Barack Obama è stato osannato come il primo presidente nero e i liberali si bevvero le sue sciocchezze sulla “speranza”. E lo sbavare continua.Descritto dal giornalista del “Guardian” Owen Jones come «divertente, affascinante, con un’impassibilità che sfugge praticamente ad ogni altro politico», l’altro giorno Obama ha inviato droni a macellare 150 persone in Somalia. Di solito lui uccide la gente il martedì, secondo quanto scrive il “New York Times”, quando gli viene consegnato un elenco di candidati per la morte da drone. Molto cool. Nella campagna presidenziale del 2008, Hillary Clinton minacciò di «annientare totalmente» l’Iran con armi nucleari. Come segretario di Stato sotto Obama, ha partecipato al rovesciamento del governo democratico dell’Honduras. Il suo contributo alla distruzione della Libia nel 2011 è stato quasi allegro. Quando il leader libico, il colonnello Gheddafi, fu pubblicamente sodomizzato con un coltello – un omicidio reso possibile dalla logistica americana – la Clinton gongolava per la sua morte: «Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto».Uno dei più stretti alleati della Clinton è Madeleine Albright, l’ex segretario di Stato, che ha attaccato le giovani donne che non sostengono “Hillary”. Questa è la stessa Madeleine Albright, tristemente ricordata per aver detto in tv che la morte di mezzo milione di bambini iracheni era «valsa la pena». Tra i più grandi sostenitori della Clinton troviamo la lobby israeliana e le società di armi che alimentano la violenza in Medio Oriente. Lei e suo marito hanno ricevuto una fortuna da Wall Street, e lei sta per essere nominata come candidato delle donne, per sbarazzarsi del malvagio Trump, il demone ufficiale. I suoi sostenitori includono femministe illustri: gente del calibro di Gloria Steinem negli Stati Uniti e Anne Summers in Australia. Una generazione fa, un culto post-moderno ora conosciuto come “politica dell’identità” ha fatto sì che molte persone intelligenti e dalla mentalità liberale smettessero di esaminare le cause e gli individui che sostenevano – come le falsità di Obama e della Clinton, o come i fasulli movimenti progressisti tipo “Syriza” in Grecia, che hanno tradito il popolo di quel paese e si sono alleati con i loro nemici. L’essere assorbiti da se stessi, una sorta di “me-ismo”, è diventato il nuovo spirito del tempo nelle società occidentali privilegiate ed ha siglato la fine dei grandi movimenti collettivi contro la guerra, l’ingiustizia sociale, la disuguaglianza, il razzismo e il sessismo.Oggi, il lungo sonno potrebbe essere terminato. I giovani si stanno scuotendo di nuovo, gradualmente. Le migliaia in Gran Bretagna che hanno sostenuto Jeremy Corbyn come leader laburista fanno parte di questo risveglio – come lo sono quelli che si sono radunati per sostenere il senatore Bernie Sanders. La settimana scorsa in Gran Bretagna, il più stretto alleato di Jeremy Corbyn, John McDonnell, ha impegnato un prossimo governo laburista a pagare i debiti delle banche piratesche, cioè a continuare di conseguenza, la cosiddetta austerità. Negli Stati Uniti, Bernie Sanders ha promesso di sostenere la Clinton se e quando sarà nominata come candidato presidenziale. Anche lui ha votato perché l’America usi la violenza contro altri paesi quando pensa che sia «giusto». Dice che Obama ha fatto «un ottimo lavoro».In Australia, c’è una sorta di politica mortuaria, in cui i noiosi giochi parlamentari vengono riproposti nei media, mentre i rifugiati e gli indigeni sono perseguitati e la disuguaglianza cresce, insieme al pericolo di guerra. Il governo di Malcolm Turnbull ha appena annunciato un cosiddetto bilancio per la difesa di 195 miliardi di dollari che avvicina alla guerra. Non c’è stato alcun dibattito. Silenzio. Dov’è andata a finire la grande tradizione di azione diretta popolare, slegata dai partiti? Dove sono il coraggio, la fantasia e l’impegno necessari per iniziare il lungo viaggio verso un migliore, giusto e pacifico mondo? Dove sono i dissidenti dell’arte, del cinema, del teatro, della letteratura? Dove sono quelli che romperanno il silenzio? O aspettiamo che venga sparato il primo missile nucleare?(John Pilger, riassunto di una recente lezione tenuta all’Università di Sydney, dal titolo “Una Guerra Mondiale è cominciata”; post ripreso dal sito “Counterpunch” del 23 marzo 2016 e tradotto da Gianni Ellena per “Come Don Chisciotte”. Di origine australiana, tra i più noti e prestigiosi giornalisti internazionali, Pilger ha ricevuto numerosi premi e dottorati per le sue battaglie per i diritti umani ed è stato nominato per ben due volte “Giornalista dell’anno” in Inghilterra).Ho filmato nelle Isole Marshall, a nord dell’Australia, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ogni volta che dico alla gente dove sono stato, mi chiedono: «Dove si trovano?». Se come indizio faccio riferimento a “Bikini”, dicono: «Vuoi dire il costume da bagno». Pochi si rendono conto del fatto che il costume da bagno bikini è stato chiamato così per celebrare le esplosioni nucleari che hanno distrutto l’isola di Bikini. Sessantasei dispositivi nucleari furono fatti brillare dagli Stati Uniti nelle Isole Marshall tra il 1946 e il 1958 – l’equivalente di 1,6 bombe [della potenza di quella che colpì] Hiroshima – ogni giorno, per dodici anni. Oggi Bikini tace, trasformata e contaminata. Le palme crescono in una strana disposizione a griglia. Nulla si muove. Non ci sono uccelli. Le lapidi nel vecchio cimitero sono tuttora radioattive. Le mie scarpe registrano un “pericoloso” sul contatore Geiger. Sulla spiaggia, ho visto il verde smeraldo del Pacifico sprofondare in un grande buco nero. È il cratere causato dalla bomba all’idrogeno che chiamavano “Bravo”. L’esplosione avvelenò la gente e l’ecosistema per centinaia di chilometri, forse per sempre.
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Lo 007 confessa: la Turchia dietro la strage di Bruxelles
I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.«Le forze popolari curde che combattono in Siria hanno oggi [24 marzo] catturato un alto funzionario dei servizi segreti turchi che, “sottoposto ad interrogatorio”, ha coinvolto il presidente Erdogan», scrive “Veterans Today” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «A Veterans Today – aggiunge Nahed Al Husaini – è stato dato accesso alle confessioni registrate che hanno rivelato il ruolo del Mit (Milli Istihbarat Teskilati, l’intelligence turca) nelle esplosioni di Bruxelles ed i piani per effettuare ulteriori attacchi in Europa. Il “funzionario sospetto” ha confessato il suo ruolo nella pianificazione – a Raqqah – dell’attacco di Bruxelles, in collaborazione con l’Isis». L’informazione che ha portato alla cattura del funzionario, scrive “Veterans Today”, deriva da un’intercettazione effettuata dai russi: le forze di Mosca non sarebbero state direttamente coinvolte nell’operazione, ma si presume che unità di “Spetsnaz”, i corpi speciali russi, potrebbero essere state messe a disposizione dei curdi, come supporto.Secondo le affermazioni estorte al funzionario catturato, i servizi segreti turchi gestirebbero un centro di pianificazione operativa collocato in un complesso sotterraneo di Raqqah, la “capitale” del Califfato in Siria. «Il centro, costruito al di sotto di un impianto di atletica, contiene scorte di armi chimiche e biologiche, tra le quali il gas sarin, il virus per l’influenza suina e tonnellate di materiali per la produzione di altri tipi di gas», scrive ancora Nahed Al Husaini. «Gli Stati Uniti, coordinandosi con l’unità siriana “Tigre”, colpirono quel complesso nell’ottobre del 2014, nell’ambito di una di quella mezza dozzina di operazioni altamente segrete effettuate congiuntamente. L’operazione portò alla cattura di alcuni ufficiali del Qatar, dell’Arabia Saudita e della Turchia». “Veterans Today” dichiara di aver ricevuto un resoconto dell’interrogatorio da Haissam Bou Said, segretario generale del Desi, Dipartimento sicurezza e informazioni per l’Europa, secondo cui «dietro agli orribili attentati suicidi c’è proprio il Mit».Sempre secondo questa fonte, «alcune cellule terroristiche turche erano state impiantate anni fa in Europa, in collaborazione con un’infrastruttura del crimine organizzato attiva nel traffico degli esseri umani e della droga, al lavoro con gruppi israeliani e sauditi per effettuare attacchi terroristici “false flag”», cioè “sotto falsa bandiera”, secondo il copione (italiano) della “strategia della tensione”. Il presidente turco Erdogan, sempre secondo la fonte di “Veterans Today”, avrebbe introdotto le cellule terroristiche addestrate dal Mit «nascondendole all’interno del flusso di profughi, attentamente orchestrato, per poi indirizzarle presso le comunità della criminalità turca, con sede in Germania, Belgio e Olanda». Per l’intelligence Usa, «da oltre un decennio la criminalità organizzata turca è concentrata a Monaco di Baviera, che è il “ground zero” per gli attacchi terroristici che dovrebbero colpire gli Stati Uniti alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali».Da anni, il presidente turco è al centro di crescenti polemiche, anche per via del giro di vite autoritario sulla stampa nazionale, che ha portato giornalisti in carcere. Contestato da più parti anche la violenza della repressione interna affidata alla polizia, Erdogan ha tentato di coinvolgere la Nato nello scontro con la Russia, con l’abbattimento del jet di Mosca. Ma non è tutto: nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi scrive che lo stesso Erdogan è affiliato alla superloggia segreta “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush. Si tratta di un club super-massonico internazionale definiti “del sangue e della vendetta”, di cui farebbero parte anche Tony Blair, inventore del falso storico delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, e il francese Sarkozy, protagonista della guerra in Libia contro Gheddafi. La “Hathor Pentalpha” avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel maxi-attentato dell’11 Settembre, per poi lasciare la propria “firma” anche nell’Isis, acronimo che richiama la dea egizia Iside, chiamata anche Hathor.I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.
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Carpeoro: l’oro di Dongo, il segreto con cui Gelli ricattò il Pci
La fortuna economica di Licio Gelli iniziò con l’oro di Dongo che diventerà uno dei suoi segreti. Non era uno stragista ma venne utilizzato per i vari depistaggi. Ad un certo punto scaricò Berlusconi. Sono alcune delle rivelazioni di Gianfranco Pecoraro, meglio conosciuto come Carpeoro, ex gran maestro della “legittima e storica comunione di Piazza del Gesù”, rilasciate nel corso del programma radiofonico “Border Nights”, in onda ogni martedi alle 22 su “Web Radio Network”. «È scomparso un personaggio che trova le sue radici nella gran confusione dell’Italia del dopoguerra. Gelli si è riciclato talmente bene che da fascista è diventato partigiano, partecipando all’operazione della sparizione dell’oro di Dongo. Quello rimane il segreto principale della sua vita, che gli ha permesso di ricattare gli unici che potevano dargli problemi, cioè i comunisti. Con l’oro di Dongo iniziò a costruire le sue fortune imprenditoriali. Per lui era inoltre facile avere indiscrezioni sulle oscillazioni della Borsa. Dedicava 24 ore al giorno alla ricerca delle informazioni che poi utilizzava per varie finalità».Accostato più volte alle stragi, secondo Carpeoro il suo ruolo si era però limitato a quello di depistatore: «Era un personaggio di riferimento di certi equilibri politici, veniva utilizzato per depistare. Non era l’organizzatore delle stragi. Veniva semmai utilizzato dai servizi segreti, dei quali fu collaboratore stimato e sempre utilizzato: serviva ad evitare che si arrivare ad individuare connivenze un po’ particolari. Non era uno stragista, non ne sarebbe stato neanche in grado. Si occupava di un altro aspetto: quello che non si arrivasse mai alla verità. Gelli era un massone che aveva tradito la massoneria, i suoi stessi compagni di strada. Si sentirono traditi da lui personaggi come Giulio Caradonna o Alliata di Montereale. Per opportunismo non guardava in faccia a nessuno». La famigerata P2 era in questa ottica lo strumento di potere di Gelli, che però non aveva ramificazioni tali per andare oltre ed intaccare davvero il tessuto istituzionale: «L’operazione P2 era ramificata e potente in termini di seconde linee iper permettere a Gelli di avere potere e fare affari. Ma non per condizionare la politica italiana. Finché era dentro il Goi, infatti, era soggetta ad altri organismi».«Non bisogna mai dimenticare che, in un rigurgito di perbenismo, la P2 venne buttata fuori dal Goi. Quando scoppiò lo scandalo erano già passati sei anni da quell’espulsione. C’era una parte della lista P2, che Gelli non ha fatto ritrovare, che era composta da ecclesiastici». L’ex gran maestro si è sentito anche danneggiato dall’azione di Gelli: «Mi ha fatto la guerra. Non avendo più una organizzazione massonica di riferimento, negli anni ‘90 voleva appropriarsi della mia, la più storica d’Italia, sufficientemente piccola per i suoi scopi. Fece una serie di manovre in questo senso per impossessarsene, provocandomi una serie di danni. Non mi prestai, e anche per questo ho “chiuso” la mia obbedienza. Sapevo che ne avrei pagato le conseguenze, ma non me me sono mai pentito».(Fabio Frabetti, “Gelli fu un depistatore, non uno stragista. L’oro di Dongo il suo segreto”, da “Blasting News” del 30 dicembre 2015).La fortuna economica di Licio Gelli iniziò con l’oro di Dongo che diventerà uno dei suoi segreti. Non era uno stragista ma venne utilizzato per i vari depistaggi. Ad un certo punto scaricò Berlusconi. Sono alcune delle rivelazioni di Gianfranco Pecoraro, meglio conosciuto come Carpeoro, ex gran maestro della “legittima e storica comunione di Piazza del Gesù”, rilasciate nel corso del programma radiofonico “Border Nights”, in onda ogni martedi alle 22 su “Web Radio Network”. «È scomparso un personaggio che trova le sue radici nella gran confusione dell’Italia del dopoguerra. Gelli si è riciclato talmente bene che da fascista è diventato partigiano, partecipando all’operazione della sparizione dell’oro di Dongo. Quello rimane il segreto principale della sua vita, che gli ha permesso di ricattare gli unici che potevano dargli problemi, cioè i comunisti. Con l’oro di Dongo iniziò a costruire le sue fortune imprenditoriali. Per lui era inoltre facile avere indiscrezioni sulle oscillazioni della Borsa. Dedicava 24 ore al giorno alla ricerca delle informazioni che poi utilizzava per varie finalità».
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Chi comanda il mondo: il potere oscuro esce allo scoperto
Si può definire in tanti modi: governo ombra, stato profondo, squadra segreta. Qualunque sia il nome, l’idea è semplice: dietro la facciata del governo apparente che esercita il potere, c’è un gruppo non eletto, privo di responsabilità, in gran parte sconosciuto, che lavora per il perseguimento di obiettivi a lungo termine, qualsiasi sia il partito politico o il fantoccio in carica. All’interno della temuta comunità dei “teorici della cospirazione”, l’idea è emersa qua e là nel corso degli anni. L’assassinio di Jfk ha dato origine a molti resoconti di tipo confidenziale e a rivelazioni su “The Secret Team”. Lo scandalo Iran-Contra ha portato ad un documentario di Bill Moyers sul governo segreto che dopo 19 anni vale ancora la pena guardare. E’ stato anche apertamente riconosciuto che il 9/11 era stato reso operativo un “governo ombra”. Ma negli ultimi anni ha avuto luogo uno strano fenomeno, che si è intensificato negli ultimi mesi: l’idea di uno “stato profondo” o di un “governo ombra” che controlla la politica, anche negli Stati Uniti, sta diventando mainstream.
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Guerra in Libia, non sarà certo l’Italia a decidere il da farsi
Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti. Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia. Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) sarà tenuta segreta anche ai suoi familiari, non solo alla stampa. Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo. La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal Parlamento, decisa da Washington. E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington. Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi. E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro. Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei). Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’Onu e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del Parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.(Marco Della Luna, “Italia, Libia, guerra, intelligence”, dal blog di Della Luna del 4 marzo 2016).Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.
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Vietato indagare su Bataclan e Mossad, cronista nei guai
Prima il segreto di Stato (segereto militare) imposto su Charlie Hebdo, dopo che la magistratura francese aveva individuato l’ombra dei servizi segreti di Parigi nella triangolazione col Belgio per le armi slovacche messe a disposizione del commando, che sterminò la redazione del giornale satirico abbandonando però un passaporto sul cruscotto dell’auto utilizzata per la strage. E ora, cala il bavaglio delle autorità anche sull’attentato al Bataclan compiuto venerdì 13 novembre 2015, da più parti segnalato come “false flag” di matrice massonica, con tanto di “firma”: il primo infausto “venerdì 13” della storia fu quello dell’ottobre 1307, quando Filippo il Bello emanò l’ordine di arresto per i Templari, e un mese dopo – il 13 novembre – alcuni cavalieri (che poi contribuirono a fondare la massoneria) riuscirono a lasciare Parigi riparando in Scozia. Chi ha organizzato la strage si considera “erede” dei Cavalieri del Tempio, al di là del paravento dell’Isis? Oggi, nel mirino delle indagini indipendenti – che tanto preoccupano il governo Hollande – non c’è la Scozia, ma Israele. Lo ha scoperto un reporter come Hicham Hamza, arrestato e incriminato per “violazione del segreto istruttorio e diffusioni di immagini gravemente lesive della dignità umana”, quelle della mattanza nel teatro parigino.Effettivamente, scrive Maurizio Blondet nel suo blog, il 15 dicembre Hamza aveva postato una foto ripresa all’interno del Bataclan pochi minuti dopo la strage: l’immagine mostrava l’orribile scena di decine di corpi smembrati. Il punto è che non è stato Hamza a scattare la foto, «subito scomparsa per ordine giudiziario». Una foto pericolosa, capace di rivelare dettagli scomodi? Il giornalista l’ha trovata su un tweet – il cui webmaster è situato a Gerusalemme – firmato “Israel News Feed”, “@IsraelHatzolah”. «Ora, “IsraelHatzola” è praticamente la stessa cosa di United Hatzolah, una Ong israeliana di paramedici che collabora con l’esercito di Israele», spiega Blondet. «Il presidente di United Hatzolah è particolarmente interessante: trattasi di Mark Gerson, un ebreo americano che è stato direttore esecutivo del famos think-tank neocon “Project for a New American Century”», il famigerato Pnac, quello che “consigliava” a George W. Bush di lanciare un grande riarmo, per il quale però sarebbe stata necessaria “una nuova Pearl Harbor”. «L’11 Settembre, quando la nuova Pearl Harbor si verificò, membri importanti del Pnac erano nel governo Bush, e lanciarono le guerre l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq».Invece di indagare su questa pista, chiedendosi come mai un sito israeliano legato ai necon e al Mossad aveva le foto dell’interno del teatro, scattate pochi minuti dopo la strage, gli inquirenti francesi hanno perseguito Hamza. «Varie personalità politiche e giornalisti lo hanno querelato per diffamazione, contando di rovinarlo economicamente: sul suo sito, “Panamza”, il perseguitato chiede ai lettori 10 mila euro per pagare le spese legali». Che la persecuzione sia originata dal governo non c’è dubbio, continua Blondet: Gilles Clavreul, delegato interministeriale del premier Manuel Valls, addetto alla “lotta contro il razzismo e l’antisemitismo”, s’è lasciato sfuggire durante un’intervista radio di stare cercando «egli inghippi giuridici per arrivare a perseguire» il giornalista. Hamza è colui che ha scoperto una quantità di indizi che consentono di interpretare l’attentato islamico del 13 novembre come un “false flag” con “segnatura” sionista. Una storia contraddistinta da parecchie “coincidenze”, a cominciare dalle date: l’11 settembre (ancora), cioè due mesi prima della strage, la famiglia Toutou aveva venduto il Bataclan, per poi trasferirsi definitivamente in Israele.«I responsabili della sicurezza della comunità ebraica erano stati avvertiti in anticipo dell’imminenza di un grosso attacco terroristico», secondo il “Times” di Israele, «che poi ha censurato la notizia». Da chi? «Dal banchiere barone Edmund De Rotschild, nientemeno». Il 13 novembre, giorno dell’attentato, era inoltre in corso un’immancabile esercitazione “antiterrorismo” programmata mesi prima dal Samu, il pronto soccorso municipale di Parigi, basata sullo scenario di tre attentati simultanei compiuti da tre gruppi di terroristi, che prevedeva 50 morti e 150 feriti. E ancora: la rivendicazione con cui Daesh si attribuiva gli attentati è stata diffusa dal “Site” di Rita Katz, l’ex collaboratrice del Mossad che ora opera dagli Stati Uniti. Secondo “France Télévision”, poi, i decreti per lo stato d’emergenza sarebbero stati adottati già prima dell’attentato al Bataclàn, alle 22.30, quando François Hollande uscì dallo Stade de France dove assisteva alla partita Francia-Germania: fuori dallo stadio, tre kamikaze si erano fatti saltare in aria con le cinture esplosive, uccidendo solo se stessi.«La strage del Bataclan non era ancora avvenuta, ma la bozza del decreto era pronta da tempo», scrive Blondet citando Hamza. Lo ha rivelato lo stesso funzionario, direttore degli affari giuridici del ministero dell’interno, che ha stilato il documento. Si chiama Thomas Andreu, «legato alla comunità ebraica e a Israele attraverso la moglie, Marguerite Bérard, cognata di Marie-Hélène Bérard, tesoriera della Camera di Commercio Francia-Israele e membro del direttivo del Crif, Conseil Représentatif des Institutions Juives de France». Per la mattanza – 90 morti – è finito nei guai anche Jesse Hughes, il cantante degli Eagles of Death Metal, il complesso che si esibiva al Bataclàn, davanti a 1500 spettatori: in una intervista rilasciata a “Fox Business Network” quattro mesi dopo, Hughes ha rivelato che quella sera aveva scoperto che ben sei uomini addetti alla sicurezza del palco erano inspiegabilmente assenti. Poco dopo ha ricevuto minacce di morte: un’immagine con una mitraglietta Uzi sulla bandiera israeliera e la scritta “on te fume”, ti eliminiamo.Per dare un’idea «del clima che Hollande sta facendo imporre nella ex patria della libertà di opinione», Blondet segnala anche il caso del professore di storia Pascal Geneste, duramente attaccato per aver difeso Putin come «uno dei precursori della lotta al terrorismo islamico, come dimostra l’intervento russo in Siria contro l’Isis». Geneste è stato convocato in gendarmeria e sottoposto a interrogatorio. E il 17 febbraio, 6 dei suoi allievi sono stati convocati in gendarmeria dove hanno subito un analogo interrogatorio sulla lezione pro-Putin. A premere sulla censura – anche sul web – è sempre il Crif, la rappresentanza franco-israeliana, che chiede che anche a Internet si applichi lo stato d’emergenza varato da Valls dopo l’eccidio del Bataclan, con poteri speciali allo Stato per frugare appartamenti, intercettare telefonate, ridurre le libertà personali. In realtà, il decreto contiene già misure repressive applicabili alla Rete: «Lo Stato può bloccare l’accesso a determinati siti, vietare a una persona tutte le comunicazioni via web, copiare tutti i dati trovati su terminali, smartphone e computer durante un’irruzione di polizia, compresi quelli sul cloud. Ma al Crif non basta: vuole siano punti e censurati i “messaggi di odio”», magari interpretando come tali anche le inquietanti rivelazioni di Hamza sul presunto ruolo del Mossad nella strage del 13 novembre.Prima il segreto di Stato (segreto militare) imposto su Charlie Hebdo, dopo che la magistratura francese aveva individuato l’ombra dei servizi segreti di Parigi nella triangolazione col Belgio per le armi slovacche messe a disposizione del commando, che sterminò la redazione del giornale satirico abbandonando però un passaporto sul cruscotto dell’auto utilizzata per la strage. E ora, cala il bavaglio delle autorità anche sull’attentato al Bataclan compiuto venerdì 13 novembre 2015, da più parti segnalato come “false flag” di matrice massonica, con tanto di “firma”: il primo infausto “venerdì 13” della storia fu quello dell’ottobre 1307, quando Filippo il Bello emanò l’ordine di arresto per i Templari, e un mese dopo – il 13 novembre – alcuni cavalieri (che poi contribuirono a fondare la massoneria) riuscirono a lasciare Parigi riparando in Scozia. Chi ha organizzato la strage si considera “erede” dei Cavalieri del Tempio, al di là del paravento dell’Isis? Oggi, nel mirino delle indagini indipendenti – che tanto preoccupano il governo Hollande – non c’è la Scozia, ma Israele. Lo ha scoperto un reporter come Hicham Hamza, arrestato e incriminato per “violazione del segreto istruttorio e diffusioni di immagini gravemente lesive della dignità umana”, quelle della mattanza nel teatro parigino.
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Craig Roberts: i media sanno che la verità ufficiale è falsa
Gli americani vivono in una falsa realtà, creata con fatti inventati. «La maggior parte delle persone consapevoli e capaci di pensare hanno rinunciato a credere al sistema chiamato “media mainstream”». E le “presstitutes”, gli organi di stampa “prostituiti al potere” «hanno perso la loro credibilità pur di aiutare Washington a mentire», sostiene un autorevolissimo analista come Paul Craig Roberts, economista e politologo, già viceministro di Ronald Reagan. Il piano? Diffondere crescente insicurezza, in un vista di una svolta autoritaria. E’ un po’ uno schema che si va ripetendo, sia a livello nazionale che internazionale: le “armi di distruzione di massa” di Saddam, il “nucleare iraniano”, e poi l’uso delle armi chimiche attribuito ad Assad e “l’invasione russa” dell’Ucraina”. Dai media, solo la versione ufficiale, su tutto: l’11 Settembre, le bombe sulla maratona di Boston, le «presunte sparatorie sulle masse, come Sandy Hook e San Bernardino». Nonostante «le incongruenze lampanti, le contraddizioni e i fallimenti dei sistemi di sicurezza che sembrano troppo improbabili per essere credibili – aggiunge Roberts – i media mainstream non si fanno domande e non indagano: si limitano a raccontare, come un dato di fatto, tutto quello che dicono le autorità».Il segno di uno Stato totalitario o autoritario, scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, si ha quando i media non sentono più la responsabilità di dover indagare per cercare la verità, accettando invece il ruolo del propagandista. «Negli Stati Uniti la trasformazione dei giornalisti in propagandisti si è completata con la concentrazione di un sistema che era formato da parecchi media indipendenti in sei mega-società che ormai non sono più gestite da giornalisti». Di conseguenza, le persone più avvedute «fanno affidamento sempre più su media alternativi, quelli che si fanno domande, che seguono la logica dei fatti e che offrono analisi al posto di una linea ufficiale con storie incredibili». Il primo esempio fu l’11 Settembre, in cui la versione ufficiale è stata smontata da centinaia di esperti e tecnici. Nonostante ciò, grazie ai media, la versione ufficiale regge ancora: «Dobbiamo credere che alcuni sauditi, senza nessuna tecnologia che potesse andare oltre il coltellino da tasca e senza nessun appoggio dei servizi segreti di nessun governo, siano stati tanto abili da superare in astuzia la tecnologia di sorveglianza di massa creata dalla Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) e dalla Nsa (National Security Agency) e che siano stati capaci di affondare il colpo più umiliante mai subito da una superpotenza in tutta la storia umana».Invece di mettersi alla guida delle indagini su un fallimento tanto massiccio della sicurezza, la Casa Bianca ha continuato a resistere per più di un anno prima di cedere alle richieste delle famiglie delle vittime delle Torri Gemelle, e solo allora ha accettato di nominare una commissione d’inchiesta, che però «non investigò, ma semplicemente si insediò e scrisse la stessa storia che aveva raccontato il governo», anche se poi gli stessi protagonisti della commissione – presidente, co-presidente e consulenti legali – hanno scritto libri in cui si dichiara che ogni informazione era stata negata alla commissione, che i funzionari governativi avevano mentito e che la Commissione «era stata istituita per fallire». Eppure, le “presstitutes” ancora ripetono la stessa propaganda ufficiale, «e ci sono abbastanza americani che ci credono, tanto da evitare che debbano essere riconosciute le vere responsabilità». Continua Craig Roberts: «Qualsiasi storico competente sa che vengono usati degli eventi “false flag” per portare a compimento gli ordini del giorno che, altrimenti, non potrebbro essere raggiunti». L’11 Settembre? «Diede ai neocon, che controllavano l’amministrazione Bush, una nuova Pearl Harbor che, dicevano, era necessaria per lanciare le loro invasioni militari egemoniche sui paesi musulmani».E le bombe alla maratona di Boston? «Hanno permesso di testare la polizia americana», verificando «come si può isolare totalmente una grande città, mandando per le strade 10.000 soldati armati e squadre speciali con truppe che facevano perquisizioni casa per casa costringendo, con le armi, gli abitanti a lasciare le loro case». Una operazione senza precedenti, «giustificata come necessaria per trovare un ragazzino di 19 anni, ferito, che era chiaramente un capro espiatorio». In mezzo, un’infinità di anomalie, a cui nessuno si cura di dare una spiegazione. In un video, realizzato montando le copertine dei telegiornali, compare un uomo in lutto per la perdita del figlio. E’ la stessa persona che, in altre immagini, indossa l’uniforme delle squadre speciali Swat mentre è intenta a seguire la sparatoria di Sandy Hook. Si tratta di un attore conosciuto, scrive Roberts, che interpreta parti diverse: «Dobbiamo chiederci il perché di questo falso». I primi che dovrebbero farlo sono proprio i media, ma non lo fanno. Insieme a Mike Palecek, il professor Jim Fetzer ha scritto in un libro che Sandy Hook sarebbe stato un esperimento della Fema per promuovere il controllo delle armi. Si dice anche che non sia morto nessuno, a Sandy Hook. «Il libro era disponibile su Amazon, ma è stato improvvisamente vietato. Perché vietare un libro?».«Se le informazioni fornite da Fetzer sono corrette – aggiunge Craig Roberts – risulta chiaramente che il governo degli Stati Uniti sta mettendo in atto un’agenda di lavori autoritaria e che sta usando eventi orchestrati ad arte per mostre una falsa realtà agli americani, per raggiungere gli obiettivi della sua agenda». Fetzer «non può essere liquidato come un semplice folle: è uno che si è laureato con lode all’università di Princeton, ha un dottorato di ricerca dell’Indiana University ed è stato “distinguished professor” alla McKnight University del Minnesota fino al suo pensionamento nel 2006. Ha avuto una borsa di studio della National Science Foundation e ha pubblicato più di 100 articoli e 20 libri di filosofia della scienza. E’ esperto di intelligenza articiale e di “computer science”, ha anche fondato la rivista internazionale “Minds and Machines”».Per una persona di media intelligenza, continua Craig Roberts, sia la storia ufficiale dell’assassinio del presidente Kennedy che quella dell’11 Settembre semplicemente non sono credibili, perché le storie ufficiali non sono coerenti con le prove. «Quello che mi disturba è che nessuno, né tra le autorità né tra i media mainstream, mostra un minimo interesse a controllare i fatti. Invece, quelli che hanno tirato fuori delle questioni scomode vengono additati come teorici della cospirazione». Sappiamo dall’Operazione Gladio e dall’Operazione Northwoods che i governi «si invischiano in cospirazioni criminali contro i propri cittadini: pertanto, il vero errore è concludere che i governi non si impegnino nelle cospirazioni». Spesso, si sente qualcuno che obietta che se l’11 Settembre fosse stato un attacco “false flag”, qualcuno avrebbe parlato. «Perché avrebbero dovuto parlare? Dovrebbe sapere qualcosa solo chi ha organizzato la cospirazione. E allora perché dovrebbe far venire altri dubbi su quella che è stata una sua congiura?».Ricordiamoci di William Binney, l’uomo che sviluppò il sistema di sorveglianza utilizzato dalla Nsa. Quando si rese conto che il suo sistema veniva usato contro il popolo americano, Binney si mise a parlare. «Ma non si era preso nessun documento con cui poter provare le sue affermazioni, cosa che lo salvò dall’essere condannato ma che non gli permise di produrre nessuna prova su quanto diceva», scrive Roberts. «Questo è il motivo per cui Edward Snowden si è preso tutti i documenti e li ha resi pubblici. Tuttavia, molti vedono Snowden come una spia, come uno che ha rubato dei segreti sulla sicurezza nazionale, non lo vedono come uno che ha saputo avvertirci che la Costituzione – quella cosa che ci protegge – è stata ribaltata».Funzionari governativi di alto livello hanno smentito varie parti della storia ufficiale sia dell’11 Settembre che della versione ufficiale che lega l’attentato alle Twin Towers all’invasione dell’Iraq, attraverso la fiaba delle “armi di distruzione di massa”. Il segretario ai trasporti, Norman Mineta, smentì il vicepresidente Cheney e la tempistica della storia ufficiale dell’11 Settembre, ricorda Craig Roberts. E il segretario del Tesoro, Paul O’Neill, affermò che il rovesciamento di Saddam Hussein fu oggetto della prima riunione di gabinetto dell’amministrazione di George W. Bush, molto prima dell’11 Settembre. Lo scrisse in un libro e lo disse a “Cbs News”. Anche la Cnn e altri organi di stampa ne parlarono, ma la cosa non ebbe nessun effetto. Gli informatori – quelli veri – pagano un caro prezzo e molti finiscono in carcere. «Obama ne ha perseguito e incarcerato un numero record. Una volta che li hanno buttati in galera, la domanda diventa: “Chi avrebbe creduto a un criminale?”».Per quanto riguarda l’11 Settembre, aggiunge Craig Roberts, hanno parlato persone di ogni tipo: oltre 100 poliziotti, vigili del fuoco e altri soccorritori hanno riferito di aver nettamente percepito un gran numero di esplosioni nelle Torri. Il personale della manutenzione ha raccontato di enormi esplosioni avvenute negli scantinati appena prima che gli edifici fossero colpiti dagli aerei. Ma nulla da fare: «Niente di tutte queste testimonianze ha avuto qualche effetto né con le autorità che erano dietro la storia ufficiale, né con le “presstitutes”». Ci sono 2.300 architetti e ingegneri che hanno scritto al Congresso chiedendo di aprire una vera indagine, ma invece di accogliere la richiesta con il rispetto che meritano 2.300 professionisti, sono stati liquidati come “teorici della cospirazione”. E ancora: una tavola internazionale di scienziati ha segnalato la presenza di un potentissimo esplosivo come la nanotermite nelle polveri del World Trade Center. Hanno offerto dei campioni alle agenzie governative e agli scienziati, per ottenere conferma. Ma nessuno potrà toccare quei reperti. «Il motivo è chiaro: oggi i finanziamenti per la scienza sono fortemente dipendenti dal governo federale e dalle aziende private che hanno contratti federali. Gli scienziati sanno bene che tirare fuori qualcosa sull’11 Settembre significa la fine della carriera».Il governo americano, conclude Craig Roberts, ci ha reso proprio come voleva: impotenti e disinformati, completamente privi di strumenti per capire quello che sta realmente accadendo, sulla nostra pelle. «La maggior parte degli americani sono troppo ignoranti per essere in grado di comprendere la differenza tra un edificio che crolla per danni strutturali (per asimmetria) e edifici che invece saltano in aria. I giornalisti mainstream non possono fare domante o fare indagini e contemporaneamente mantenersi il posto di lavoro. Gli scienziati non possono parlare se vogliono continuare ad essere finanziati». E così., sintetizza amaramente l’ex viceministro di Reagan, «dire la verità è un compito che ormai si permettono solo i media Internet alternativi, tra i quali io scommetto che il governo sta gestendo dei siti che gridano selvaggiamente alle cospirazioni, con il vero scopo di screditare tutti gli altri siti, quelli scettici».Gli americani vivono in una falsa realtà, creata con fatti inventati. «La maggior parte delle persone consapevoli e capaci di pensare hanno rinunciato a credere al sistema chiamato “media mainstream”». E le “presstitutes”, gli organi di stampa “prostituiti al potere” «hanno perso la loro credibilità pur di aiutare Washington a mentire», sostiene un autorevolissimo analista come Paul Craig Roberts, economista e politologo, già viceministro di Ronald Reagan. Il piano? Diffondere crescente insicurezza, in un vista di una svolta autoritaria. E’ un po’ uno schema che si va ripetendo, sia a livello nazionale che internazionale: le “armi di distruzione di massa” di Saddam, il “nucleare iraniano”, e poi l’uso delle armi chimiche attribuito ad Assad e “l’invasione russa” dell’Ucraina”. Dai media, solo la versione ufficiale, su tutto: l’11 Settembre, le bombe sulla maratona di Boston, le «presunte sparatorie sulle masse, come Sandy Hook e San Bernardino». Nonostante «le incongruenze lampanti, le contraddizioni e i fallimenti dei sistemi di sicurezza che sembrano troppo improbabili per essere credibili – aggiunge Roberts – i media mainstream non si fanno domande e non indagano: si limitano a raccontare, come un dato di fatto, tutto quello che dicono le autorità».