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Macedonia: fabbrica fake news, intasca 10.000 euro al mese
Ha festeggiato i 18 anni, quattro mesi fa, con una festa sontuosa nella sua città natale e ha dichiarato alla “Nbc News” che «senza il presidente eletto Donald Trump non sarebbe stato possibile». Ma che c’entra? Dimitri, il nome è di fantasia perché ha chiesto l’anonimato al giornalista che l’ha intervistato, è uno dei tanti adolescenti-smanettoni che si sono arricchiti durante la campagna elettorale americana. Di giorno va a scuola e di notte ‘sforna’ bufale in inglese. Nel piccolo paesino di Veles, in Macedonia, esistono delle vere e proprie ‘fabbriche’ di fake news: ogni giorno producono notizie false, ma scritte in modo tale da risultare vere a chi le legge sui social network e sui siti d’informazione. Come queste tre notizie, scritte da Dimitri e pubblicate su “Huffingtonpolitics.com”, la versione fake del HuffingtonPost: “Lo stilista di Michelle Obama si rifiuta di vestire Melania Trump”, “La regina Elisabetta ha invitato Trump”, l’attore George Lopez “promette di lasciare gli Usa a causa della vittoria di Trump”).Come si è arricchito spacciando notizie false? In due modi. Scrivendo notizie false e vendendole ai siti d’informazione degli Stati Uniti e pubblicandole anche su siti, come “Usa Daily News 24”, per poi postarle su Facebook. Più clic si riceve più si guadagna (un centesimo per clic) grazie alle pubblicità di Google inserite nel sito. I soldi arrivano direttamente nel suo account Google AdSense, che solo nel mese di settembre ha visto un + 7.500 euro. Un sito che, come si può vedere, ha una bella grafica e sembra, a tutti gli effetti un sito web americano, in realtà è nato ed è stato registrato a Veles, come altri 200 che garantiscono tanti soldi ad almeno sei ‘squadre’ che sfornano fake news in questa cittadina di 55mila abitanti, diventata la miniera d’oro delle bufale sul web. Dimitri ha raccontato di aver guadagnato almeno 56mila euro negli ultimi sei mesi, superando di gran lunga il reddito dei genitori e di molte altre famiglie della sua città, dove il salario medio annuo è di 4.500 euro. La sua principale fonte di denaro? I sostenitori e gli elettori del presidente eletto Donald Trump che, inevitabilmente, hanno messo “Mi Piace” e condiviso sui social le tante notizie negative scritte ad arte su Hillary Clinton.«Ho scritto, in inglese logicamente, gran parte delle bufale sullo scandalo delle email che ha investito la Clinton, e sulla sua (probabile) malattia, e per questo non adatta come presidente degli Usa”, ha dichiarato Dimitri all’emittente americana. Perché proprio Veles è la fabbrica delle bufale? Quasi un quarto dei macedoni è attualmente disoccupato, un tasso di circa cinque volte superiore a quello negli Stati Uniti. Poi la maggior parte dei ragazzi parla correntemente l’inglese. Chi produce notizie false guadagna talmente tanti soldi da poterli investire comprando case e appartamenti, fondando aziende e acquistando automobili costose. E, come accade in ogni parte del mondo, ora questi ragazzi sono diventati anche “più belli” agli occhi delle ragazze. «Non è un’attività criminale», ha affermato il sindaco della città, «perché», ha concluso, «tutto il denaro guadagnato dagli adolescenti viene tassato regolarmente».(Luigi Garofalo, “Fake news, ha guadagnato 56mila euro in 6 mesi ‘fabbricando’ bufale. La storia di un 18enne macedone”, da “Key4Biz” del 18 gennaio 2017. Diretto da Raffaele Barberio, “Key4Biz” è un newsmagazine sulla “digital economy”, con aggiornamenti quotidiani sul mondo del web).Ha festeggiato i 18 anni, quattro mesi fa, con una festa sontuosa nella sua città natale e ha dichiarato alla “Nbc News” che «senza il presidente eletto Donald Trump non sarebbe stato possibile». Ma che c’entra? Dimitri, il nome è di fantasia perché ha chiesto l’anonimato al giornalista che l’ha intervistato, è uno dei tanti adolescenti-smanettoni che si sono arricchiti durante la campagna elettorale americana. Di giorno va a scuola e di notte ‘sforna’ bufale in inglese. Nel piccolo paesino di Veles, in Macedonia, esistono delle vere e proprie ‘fabbriche’ di fake news: ogni giorno producono notizie false, ma scritte in modo tale da risultare vere a chi le legge sui social network e sui siti d’informazione. Come queste tre notizie, scritte da Dimitri e pubblicate su “Huffingtonpolitics.com”, la versione fake del HuffingtonPost: “Lo stilista di Michelle Obama si rifiuta di vestire Melania Trump”, “La regina Elisabetta ha invitato Trump”, l’attore George Lopez “promette di lasciare gli Usa a causa della vittoria di Trump”).
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Attali, supermassone oligarchico: Macron, una mia creatura
Emmanuel Macron è una mia creatura, rivela. E sottolinea: «Sono molto felice. Il suo primo posto è un risultato insperato fino a poche settimane fa». Autore dell’esternazione: Jacques Attali, uomo-ombra del vero potere europeo, tra i massimi strateghi (sul versante francese) del sistema euro-Ue. Paolo Barnard lo ha definito «il maestro di Massimo D’Alema, che quand’era a Palazzo Chigi si vantò di aver realizzato il record di privatizzazioni, in Europa». Per un ex consigliere di Mitterrand come l’insigne economista Alain Parguez, Attali «è sempre stato un monarchico, travestito da socialista». Frase celebre, a lui attribuita: «Cosa credono, che l’euro l’abbiamo creato per la felicità della plebaglia europea?». A chiudere il cerchio è Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) dichiara che Attali milita nella Ur-Lodge “Three Eyes”, emblema della supermassoneria internazionale reazionaria, incarnata da personalità come quelle di Kissinger e Rockefeller. Nell’appendice di “Massoni”, uno dei quattro “grandi vecchi” che svelano il ruolo di Mario Monti, inviato in Italia nel 2011 per commissariare il paese su ordine dell’oligarchia finanziaria, ricorda da vicino il profilo di Attali, che in quelle pagine si dichiara pentito dell’accelerazione neo-feudale e ultraliberista imposta alla politica europea.Lo stesso Attali, nel 2016, è arrivato a invocare, per l’Europa, un’inversione di rotta in senso keynesiano e roosveltiano: stop al rigore, fine dell’austerity. E adesso annuncia che, se arrivasse all’Eliseo, il suo pulillo Macron (già finanziere dei Rothschild) sarebbe «un grande presidente». Se Emmanuel Macron si è affacciato alla politica ed è diventato prima consigliere dell’Eliseo, poi ministro e adesso probabile presidente della Repubblica, lo deve a Jacques Attali, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere della Sera”: «Economista, saggista e romanziere, Attali fu uno degli uomini più vicini a François Mitterrand e ha sempre coltivato un gusto bipartisan che nel 2008 lo portò a collaborare anche con l’allora presidente Nicolas Sarkozy». Per redigere il rapporto “Liberare la crescita”, contnua il “Corriere”, Attali «si avvalse dell’aiuto di un giovane, brillante e sconosciuto prodotto dell’Ena, la scuola dell’élite francese: Emmanuel Macron». E ora, a pochi minuti dall’annuncio dei risultati, il 73enne Attali parla con un certo orgoglio del suo “enfant prodige”. «L’unico pericolo, adesso – dice Attali – è pensare che sia già finita», mentre la partita del ballottaggio «bisognerà giocarla con intelligenza e attenzione alle ragioni dell’altra Francia, quella che esiste e che ha votato per Le Pen».Attali si dichiara «molto colpito dal fatto che abbiano tutti, tranne Mélenchon, fatto dichiarazione di voto per Macron contro Marine Le Pen». E’ la riedizione di una sorta di «fronte repubblicano contro l’estrema destra». Un’alleanza che potrebbe aiutare Macron, qualora eletto il 7 maggio, a trovare una maggioranza in Parlamento, «visto l’allineamento di tanti leader degli altri partiti, da Fillon a destra a Hamon a sinistra». Secondo Attali, «gli elettori di Marine Le Pen sperano nel ritorno a un’epoca che non esiste più, e che non potrà mai più tornare». E’ il globalista, che parla: «Il mondo interconnesso è una realtà irreversibile». Ma, aggiunge l’ex quasi-socialista Attali: «Macron può contribuire a governarlo e non subirlo». Le maggiori qualità di Macron? «Molto competente, serio, intelligente, aperto, capace di ascoltare gli altri e quindi in grado di prendere il meglio da chiunque, che sia di destra o di sinistra». Il rilancio della Francia? «La scuola, in particolare quella materna, e poi le misure per formare e rimettere nel mondo del lavoro i troppi disoccupati che ancora ci sono». Il suo sussidio per i disoccupati «non è assistenzialismo, è formazione seria per renderli in grado di trovare un posto».Centrale, per l’ultra-europeista Attali, «l’idea di puntare sull’Europa a partire dalla difesa comune, che è un progetto ormai pronto a essere varato», nonostante quello che definisce «il disastro rappresentato dalla Brexit», nonostante tutti gli indicatori economici raccontino che il Regno Unito stia letteralmente “volando”, dopo essersi sganciato dall’Ue, sia in termini finanziari che sul piano della crescita dei posti di lavoro. Ma Attali punta ancora e sempre sulla sua creatura, l’Unione Europea, che di fatto ha messo in crisi tutti i paesi che ne fanno parte, tranne la Germania. «Distruggere il polo di potere rappresentato dall’Unione Europea», dice, «andrebbe a vantaggio delle altre sfere di influenza, e per ogni singolo paese europeo sarebbe una catastrofe». Nel frattempo, in attesa del verdetto finale degli elettori, Attali si gode la “pole position” di Macron al primo turno: dopo quello studio economico realizzato insieme, racconta, «sono stato io a presentarlo a François Hollande nel 2010, e quando Hollande è diventato presidente lo ha chiamato come consigliere». Gongola, l’anziano Attali: «Devo riconoscere che provo un certo orgoglio nell’avere capito per primo che Emmanuel era un ragazzo di grandi qualità».Il “coming out” di Attali nei confronti di Macron, uomo dei Rothschild, finisce per sottolineare, ancora una volta, il ruolo probabilmente decisivo, nel “back-office” del potere, svolto dalle 36 Ur-Lodges (logge madri, internazionali e apolidi) di cui parla Magaldi, che ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali) insieme all’attuale ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. Della “Three Eyes” farebbero parte anche Mario Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi. Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Edmund Burke” (Domenico Siniscalco, Ignazio Visco), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia”). In Francia, sempre secondo Magaldi, il presidente uscente François Hollande milita in due circuiti supermassonici “progressisti”, la Ur-Lodge “Ferdinand Lassalle” e la “Fraternité Verte”, che però avrebbe deluso, “tradendo” il mandato iniziale (porre fine all’austerity) a causa di minacce e blandizie. Ora è in campo Macron, che è “en marche” insieme ai Rothschild e alla “Three Eyes” del suo mentore Attali.Emmanuel Macron è una mia creatura, rivela. E sottolinea: «Sono molto felice. Il suo primo posto è un risultato insperato fino a poche settimane fa». Autore dell’esternazione: Jacques Attali, uomo-ombra del vero potere europeo, tra i massimi strateghi (sul versante francese) del sistema euro-Ue. Paolo Barnard lo ha definito «il maestro di Massimo D’Alema, che quand’era a Palazzo Chigi si vantò di aver realizzato il record di privatizzazioni, in Europa». Per un ex consigliere di Mitterrand come l’insigne economista Alain Parguez, Attali «è sempre stato un monarchico, travestito da socialista». Frase celebre, a lui attribuita: «Cosa credono, che l’euro l’abbiamo creato per la felicità della plebaglia europea?». A chiudere il cerchio è Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) dichiara che Attali milita nella Ur-Lodge “Three Eyes”, emblema della supermassoneria internazionale reazionaria, incarnata da personalità come quelle di Kissinger e Rockefeller. Nell’appendice di “Massoni”, uno dei quattro “grandi vecchi” che svelano il ruolo di Mario Monti, inviato in Italia nel 2011 per commissariare il paese su ordine dell’oligarchia finanziaria, ricorda da vicino il profilo di Attali. In quelle pagine, “Frater Rosenkrantz” si dichiara pentito dell’accelerazione neo-feudale e ultraliberista imposta alla politica europea.
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Web, 10 milioni di voci libere: ecco perché il Ddl Gambaro
Se carico filmati erotici su YouTube mi chiudono l’account, se li carico su YouPorn posso fare milioni di visionamenti. Se pubblicizzo medicine che possono avere effetti dannosi è Ok, se informo sulla relazione tra vaccini e casi di autismo fuorvio l’opinione pubblica. Se insulto il Capo dello Stato su una pagina Facebook che ho aperto in Italia rischio sanzioni e galera, se lo faccio da una pagina aperta in un’altra nazione deregolata non mi succede niente. C’è qualcosa che non va. Gli estensori del Ddl Gambaro non se ne rendono conto? Strano! Nessuno può ancora pensare che noi siamo qui a discutere questioni risolvibili con leggi nazionali. Credo che siate d’accordo. La libertà e il controllo nel web, le norme che dovrebbero regolarlo, i grandi soggetti che lo hanno costruito e lo animano… e così via, sono a ogni effetto questioni e soggetti globali, quindi è meglio alzare il punto di vista dell’osservatore, il più in alto possibile, per cercare di avere una visione d’insieme di un fenomeno molto esteso, molto dinamico e complesso.Alle Nazioni Unite, per esempio, sin dal 1995 si pose la questione delle norme nel web. Dieci anni dopo – a seguito del debutto di YouTube, nel 2005, e poi di Facebook – una delle agenzie Onu, la International Telecommunications Union di Ginevra, cominciò a convocare tutti i soggetti interessati agli Igf, “Forum sulla Governance di Internet”. Proprio ieri si sono avviate le prime consultazioni dell’Igf 2017 a Ginevra e i lavori, in questo momento, sono in corso. Quali sono le aspettative e i risultati dopo 12 anni di incontri? Scarsi. Perché? Per tanti motivi. La materia è in costante progresso, coinvolge centinaia di trattati internazionali e contrappone gli interessi dei governi (e dei militari) a quelli dei mercanti e a quelli dei popoli. I mercanti non amano il metodo di voto dell’Onu dominato dalla presenza dei governi, quindi rallentano e impediscono le decisioni in nome della libertà di commercio e della frenetica innovazione tecnologica, e hanno fatto adottare all’assemblea il sistema multi stake holder. Questo modello di misurazione delle volontà riconosce agli stake holders, ovvero i portatori di interessi, pari peso e dignità.Chi sono gli stake holders? Governi, aziende (sia commerciali che tecnologiche), accademie e la società civile. Quindi, quando si tratta di decidere rispetto alla governance di Internet, un governo ha pari peso e dignità di una multinazionale. È così. Al tavolo è chiamata ad esprimersi anche la società civile, ma le sue rappresentanze non hanno fondi e spesso sono organizzate in grandi sigle internazionali che vivono ufficialmente di donazioni, ma in realtà sono interlocutori senza voce mossi da lobbisti occulti. Risultato? A parte qualche modifica dell’Icann – l’anagrafe planetaria del web, voluta dal ministero del commercio Usa, che attribuisce nomi e domini – ciò che si è ottenuto in 12 anni è stato solo il mantenimento e l’esaltazione del dialogo. Un risultato apprezzabile – dicono i liberisti – che ha consentito alla Rete di crescere, espandersi e di non spezzarzi in “N” tronconi: una rete cinese, una araba, una occidentale e così via. È così! Lo stato del dibattito è molto alto e vivace, durante gli Igf, ma non si arriva a nulla se non a fotografare ciò che i giganti del web modificano incessantemente a loro vantaggio. In sostanza la Rete (di tutti) è nelle salde mani di pochi, cosiddetti Over the Top, che ne fanno ciò che vogliono. È strano che i firmatari del Ddl Gambaro non lo sappiano.Passiamo all’Europa. Nel nostro continente le istituzioni preposte alla creazione di regole per il web sono apparse molto distratte, che strano!, e hanno tollerato l’insediamento dei giganti in territori fiscalmente agevolati e deregolati, quali l’Irlanda e il Lussemburgo, fino ad accorgersi recentemente che: 1) i giganti Over the Top, guarda caso, tutti originati in Usa, non pagano in Europa le tasse che dovrebbero. Secondo “Forbes”, nel 2016, si tratterebbe di cifre comprese tra 50 e 70 miliardi di euro/anno sottratti al fisco da quegli stessi soggetti ai quali qualcuno vuole affidare il controllo delle “fake news” in Rete. Strano anche questo. 2) L’Europa si è accorta anche che la Rete può essere la sede di attività losche e violente. In qualche anno si è passati dall’indignazione per gli schiaffoni in classe filmati e caricati su YouTube, alla scoperta del traffico di organi nel cosiddetto deep web e dei siti che organizzano stragi. A quel punto le istituzioni europee hanno cercato di correre ai ripari, ma non risulta che ci sia alle viste un testo di norme condivisibile da tutti gli Stati membri, pertanto ogni governo locale sta agendo in modo autonomo e diverso dagli altri.La vicenda del Ddl Gambaro si inscrive in questa scena. Poco più di un mese fa, il 25 gennaio 2017, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, un organismo internazionale privo di poteri e che non ha niente a che fare con il Consiglio Europeo, ha approvato il rapporto “Media online e giornalismo: sfide e responsabilità”, presentato dalla senatrice Gambaro. Obiettivo: promuovere la disciplina dell’informazione online come avviene per quella offline, usando gli strumenti già a disposizione negli ordinamenti giuridici nazionali… e consentendo ai giganti del web l’uso di selettori software (algoritmi) per «rimuovere i contenuti falsi, tendenziosi, pedopornografici o violenti». La senatrice è tornata a casa con questa missione e che ha fatto? Il 7 febbraio ha presentato un Ddl al Senato che: ha molto poco a che vedere con il suo rapporto presentato al Consiglio d’Europa, in cui si disegnava una scena ben più ampia e complessa; sembra scritto da sacerdoti della Verità di Stato; utilizza gli ordinamenti giuridici nazionali soprattutto in chiave di repressione locale; adombra infine un sogno: la soluzione è il rilancio di un immenso Ordine dei giornalisti, disclipinati da una legge di 60 anni fa!Il ruolo e le responsabilità dei giganti del web non vengono mai menzionati. Strano! Eppure, lo sanno tutti, i maggiori players della vicenda Internet sono un drappello di corporations targate Usa. Tra queste: Google-YouTube (confluita in Alphabet), Facebook, Amazon, e-Bay, Yahoo, PayPal. Ognuno di loro, è stato ampiamente dimostrato, chi più chi meno, lavora alacremente a raccogliere Big Data e li passa poi ai pubblicitari e ai servizi segreti. Addirittura, per legge (il Patriot Act), li passa alla Nsa statunitense. Queste sono le loro principali ragion d’essere. Il loro ruolo, dopo una stagione di seduzione, di promesse di libertà di espressione e di uguaglianza e dopo la nascita dei social network, si è rivelato per quello che è: sono megastrutture “pompate nelle Borse”, grandi evasori fiscali, al servizio dei mercanti globali, alleate con alcuni governi e in guerra con altri. Il loro fine ultimo è concedere visibilità in cambio della gestione e del controllo della privacy, degli spazi pubblicitari e dell’e-commerce. In pochi anni hanno mutato la vita sociale, la produzione della cultura, il commercio, e hanno creato stili di vita sempre più uniformi.Grazie all’immenso fenomeno dei “contenuti generati dagli utenti”, ai sistemi di cross selling in rete, all’impero delle carte di credito, l’alleanza Ott–mercanti, a partire dal 2009 ha prodotto enormi risultati. Tra questi è rilevante l’avvenuta sudditanza dei media mainstream al potere, che era già in latenza ma si è conclamata, grazie alla sottrazione di risorse pubblicitarie che sono state destinate al web. Oggi nessun editore è ormai più indipendente, tutti vengono usati a sostegno della visione di potere… e forse questo è anche il motivo per cui il Ddl Gambaro li esclude dalle sanzioni? E arriviamo ai “contenuti generati dagli utenti”, i Cgu (blogs, pagine Fb, canali Yt). Credo sia la prima volta che vengono menzionati con tale dicitura – all’articolo 8 – in un Ddl. Le sanzioni e le pene sono pensate soprattutto per loro. Questo imponente fenomeno che coinvolge nel mondo 2 miliardi di utenti solo su Fb e Yt, riguarda in Italia 50 milioni di accounts. E di questi il 10% è considerabile “antagonista”. Il fenomeno non è mai stato analizzato a fondo da giuristi, economisti e politici. I Cgu hanno scardinato negli ultimi 12 anni alla radice la comunicazione di massa e quindi anche la politica e il costume. Ma ora si stanno rivelando un boomerang. Perché?Avendo ridotto di molto l’autorevolezza dei media tradizionali ed essendosi sostituiti ad essi in occasioni altamente strategiche grazie a testimonianze scritte e filmate imprevedibili e non controllabili, i Cgu hanno consentito la misurazione di una mente collettiva tumultuosa, non conformista, populista e non riconducibile alla divisione classica destra/sinistra. Però molto reale, attiva e determinante per l’organizzazione del consenso non solo elettorale (vedi Brexit, No alla riforma costituzionale, Trump e il dibattito su Europa matrigna, euro, signoraggio bancario, debito predatorio). Quindi il potere cerca di correre ai ripari. La domanda è: perchè non c’è stato il setaccio alle origini? Perchè non ci doveva essere. Almeno nella fase in cui gli Ott hanno usato i Cgu per raggiungere alcuni obiettivi prima impensabili, tra i quali la sudditanza generalizzata. Per diventare sudditi e partecipare all’orgia digitale bastava e basta un semplice “I accept”… “Io accetto le norme di chi mi ospita”. Oggi, però, su pressione di alcuni governi e potentati, gli Ott stanno cominciando a “setacciare”… tanto, gli obiettivi delle origini sono per loro stati raggiunti, i Big Data sono stati accumulati, la pubblicità ingannevole dilaga a costi minimi per gli inserzionisti; il mainstream è asservito, centinaia di milioni di umani vengono veicolati all’acquisto di merci e servizi di massa, globalizzati e inquinanti. I mercanti hanno vinto, ora “selezionano” le truppe digitali che appaiono non ossequiose.Accenniamo ora all’evanescente concetto di “fake news”, bufale, notizie vero/falso… questo tipo di comunicazione esiste da sempre (dai tempi di Nerone, dai tempi di Giordano Bruno). La novità è che la rete è un enorme amplificatore di tutto, quindi anche di “fake news”, le sue caratteristiche di velocità e ubiquità e possibile anonimità, la rendono una dimensione in cui il vero e il falso possono coincidere nello stesso spazio tempo. Questo determina aspetti politici e sociali inaspettati. Quando il potere planetario, organizzato nelle sue diverse aree di influenza, nonostante abbia sottratto sovranità ai governi locali, si accorge che i media al suo servizio non sono in grado di raggiungere un’organizzazione del consenso per esso soddisfacente; quando si accorge che esistono sacche quali Wikileaks e Anonimous e milioni di Cgu che sono incontrollabili e destabilizzanti, il potere planetario si innervosisce e tira le orecchie ai governi locali lanciando una semplice parola d’ordine, “meno libertà e più controllo… datevi da fare, ognuno sul proprio territorio”. E così si mette in moto la macchina del controllo e talvolta, come nel caso del Ddl Gambaro, va fuori strada e diventa la macchina della repressione.I firmatari tentano di addolcire la pillola con le proposte di alfabetizzazione e promozione dell’uso critico dei media online. Bene! Oltre che nelle scuole secondarie (se mai la faranno) la facessero in prima serata sulle reti Rai, visto che tanto paghiamo sempre noi. Ma diciamoci una verità: perchè il Ddl Gambaro non menziona e reprime le bufale diffuse dalla pubblicità e dai media mainstream? Perchè non controlla e reprime le migliaia di “fake news” che ogni giorno circolano in Rete mascherate da suggerimenti per fare affari nelle Borse? O addirittura per salvare i risparmi di una vita, mettendoli in realtà a rischio? Queste sì che sono fake news destabilizzanti. Eccome! Noi però non possiamo dimenticare che «la democrazia punisce i fatti compiuti mentre è la dittatura che punisce le opinioni».(Glauco Benigni, “I grandi mercanti del web ora vogliono setacciare gli utenti”, da “Megachip” del 3 marzo 2017. Benigni è presidente di Wac, Web Activists Community).Se carico filmati erotici su YouTube mi chiudono l’account, se li carico su YouPorn posso fare milioni di visionamenti. Se pubblicizzo medicine che possono avere effetti dannosi è Ok, se informo sulla relazione tra vaccini e casi di autismo fuorvio l’opinione pubblica. Se insulto il Capo dello Stato su una pagina Facebook che ho aperto in Italia rischio sanzioni e galera, se lo faccio da una pagina aperta in un’altra nazione deregolata non mi succede niente. C’è qualcosa che non va. Gli estensori del Ddl Gambaro non se ne rendono conto? Strano! Nessuno può ancora pensare che noi siamo qui a discutere questioni risolvibili con leggi nazionali. Credo che siate d’accordo. La libertà e il controllo nel web, le norme che dovrebbero regolarlo, i grandi soggetti che lo hanno costruito e lo animano… e così via, sono a ogni effetto questioni e soggetti globali, quindi è meglio alzare il punto di vista dell’osservatore, il più in alto possibile, per cercare di avere una visione d’insieme di un fenomeno molto esteso, molto dinamico e complesso.
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Su euro e Nato, battaglie giuste: e a farle è Marine Le Pen
La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli Usa in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marine Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi. Il no alla Nato in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro. Lo stesso, anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà, avveniva contro l’Euro e la sua creatura: l’Unione Europea. Nel 1979 il Pci di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la Dc, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l’istituzione dello Sme, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l’euro, e l’installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l’Unione Sovietica.Le motivazioni con le quali allora i comunisti italiani rifiutarono quelle due scelte potrebbero essere usate oggi contro i guasti della moneta unica e contro la folle decisione della Nato di espandersi aggressivamente fino ai confini della Russia. A tale scopo finanziando anche la guerra al popolo del Donbass da parte del governo ucraino infarcito di ministri nazifascisti. Quegli argomenti di allora sono ancora più validi oggi, ma ora non sono più sostenuti dalla maggioranza della sinistra, ma, in Francia soprattutto, dalla nuova destra populista. Che è sempre stata euroscettica, ma spesso, e in contrapposizione alla Ue, Natofanatica. Oggi invece gran parte di ciò che ufficialmente è sinistra in Europa sostiene la Nato, l’euro e l’Unione Europea. E non perché queste istituzioni siano cambiate, né tantomeno migliorate, ma perché è la sinistra stessa che è cambiata e per questo sta scomparendo.Le socialdemocrazie di governo sono state conquistate dalle politiche liberiste, se ne sono fatte complici e le hanno amministrate assieme alla vecchia destra conservatrice e liberale, di cui alla fine sono diventate una variante. Variante sul piano dei diritti civili, non di quelli sociali. Giusto battersi per il diritto al matrimonio tra coppie dello stesso sesso, ma perché contemporaneamente distruggere il diritto al lavoro e la tutela contro i licenziamenti ingiusti? Bene l’Erasmus, per chi può permetterselo, ma perché strangolare finanziariamente la scuola pubblica? E perché privatizzare la sanità e finanziare le banche? La sinistra di governo, proprio quando questa tornava ad essere al centro di tutto, ha abbandonato la questione sociale, che è stata così occupata dalla nuova destra, che nel frattempo rompeva con la sua anima liberale e di governo. Non c’è stata sinora simmetria.Mentre la nuova destra faceva sue antiche parole d’ordine della sinistra radicale – ovviamente storpiandole dentro il suo contenitore di sempre: dio, patria, famiglia – quest’ultima si rifugiava in astratti principi di buona volontà. La resa di Tsipras e Siryza alla Troika e alla Nato ha poi tolto dal campo europeo la possibilità che la rottura a destra avesse il suo immediato corrispondente a sinistra. Podemos in Spagna e il M5S in Italia, seppur partendo da collocazioni differenti, sinora son giunti alla medesima conclusione di non misurarsi esplicitamente con la rottura con euro, Ue, Nato. Rottura che così oggi è diventata ufficialmente un obiettivo della nuova destra. Che pare aver rovesciato a suo favore l’antica parola d’ordine della politica comunista dei fronti popolari antifascisti del secolo scorso: raccogliere, dal fango in cui era stata gettata dalla borghesia, la bandiera della democrazia e della indipendenza nazionale.L’Unione Europea muove scandalo per Trump che vuol concludere il muro contro i migranti iniziato da Clinton, ma poi subappalta quello stesso muro al governo fantoccio libico e a quello autoritario di Erdogan. La delocalizzazione delle fabbriche è seguita da quella degli assassinii di massa dei migranti, restaurando la così più pura tradizione coloniale del vecchio continente. Di fronte alla crisi economica permanente del sistema euro, la Germania propone l’Unione a due velocità, una per sé una per le colonie del Sud Europa, e il governo italiano acconsente. Intanto tutti i parlamenti europei tranne uno, quello tedesco, sono sottoposti ai diktat e agli arbitri della tecnoburocrazia comunitaria. Trump chiede agli europei di pagarsi la Nato, cioè di accrescere le spese e gli interventi militari mentre si distrugge lo stato sociale, e la destra e la sinistra liberale fanno improvvisamente di quell’alleanza militare un baluardo dei diritti umani.Alla base di questi sconvolgimenti politici sta la crisi irreversibile della globalizzazione, non a caso dichiarata dai governi dei due paesi, Gran Bretagna e Stati Uniti, che quaranta anni fa avevano dato a essa il massimo impulso. Crisi che in Europa sta finora proponendo solo due alternative, quella della rottura da destra e quella della conservazione ipocrita dello statu quo da parte delle vecchie élites e della loro doppia morale. Un’alternativa progressista oggi non è in campo perché gran parte della sinistra è stata condotta in un binario morto da gruppi dirigenti o venduti, o subalterni alla globalizzazione liberista. Persino nell’antagonismo radicale è comparso improvvisamente l’amore per la Ue e speriamo che ora ci sia risparmiato quello per la Nato. La sinistra comunista e anticapitalista, se vuole ancora avere un ruolo e una funzione, deve prima di tutto riprendersi i suoi obiettivi. Fuori dalla Nato, dall’euro e dalla Ue dunque, con ancora maggiore convinzione oggi che questi stessi obiettivi vengono riproposti dalla parte opposta. Solo così la sinistra può ridare attualità al socialismo e competere con, e smascherare il, nazional liberismo della nuova destra.(Giorgio Cremaschi, “Fuori dalla Nato, euro e Ue. Non cambio idea anche se Marine la pensa così”, dall’“Huffington Post” del 6 febbraio 2017).La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli Usa in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marine Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi. Il no alla Nato in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro. Lo stesso, anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà, avveniva contro l’Euro e la sua creatura: l’Unione Europea. Nel 1979 il Pci di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la Dc, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l’istituzione dello Sme, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l’euro, e l’installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l’Unione Sovietica.
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Governi non eletti, Parlamento illegittimo: questa è l’Italia
Della sentenza della Corte Costituzionale che boccia l’Italicum non mi colpisce tanto la contorta architettura del dispositivo, atta a renderne meno traumatico possibile l’impatto sul sistema politico, ma il pronunciamento in quanto tale. Che è di una gravità inaudita per un paese che voglia restare una democrazia. Per la seconda volta di seguito, la legge elettorale votata dal Parlamento della Repubblica viene dichiarata incostituzionale. E, si badi bene, questo pronunciamento della Consulta non avviene a seguito di una iniziativa delle forze politiche o per qualche pentimento istituzionale, ma per l’azione puntuale e tenace di un manipolo di valorosi giuristi democratici. Sono loro che con il Porcellum prima, con l’Italicum ora, sono andati dal giudice avviando il percorso che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità delle leggi elettorali. Nelle istituzioni invece silenzio e complicità. Tre presidenti della Repubblica hanno avuto un ruolo decisivo in queste leggi incostituzionali. Ciampi ha firmato il Porcellum senza obiezioni, come ha poi fatto Mattarella con l’Italicum, mentre Napolitano, eletto due volte da parlamenti frutto dell’incostituzionalità, quando era in carica mai ha messo in discussione la legge elettorale, semmai ha solo cercato di non far votare.Nel 2006, nel 2008 e nel 2013 ben tre volte i cittadini italiani sono stati chiamati a eleggere i propri rappresentanti sulla base di una legge elettorale incostituzionale, cioè che non avrebbe dovuto esserci. Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi hanno tranquillamente governato dopo aver ricevuto il voto di fiducia da un Parlamento illegittimo. Un Parlamento che ha preso decisioni che influiscono pesantemente sulle nostre vite, dalla legge Fornero, alla Buona Scuola, al Jobs Act, all’acquisto degli F-35, alle missioni militari in giro per il mondo. Un Parlamento che ha approvato il Fiscal Compact vincolando per i prossimi venti anni l’Italia alle politiche di austerità della Unione Europea e che lo ha addirittura inserito nella Costituzione, stravolgendone l’articolo 81. Un Parlamento incostituzionale che infine ha approvato una completa controriforma della Costituzione, corredata da una corrispondente legge elettorale, passata, è bene ricordarlo, con il voto di fiducia. Sono stati il popolo, con il suo No referendario, e le sentenze della suprema magistratura dello Stato a fermare questa deriva del sistema istituzionale verso la totale illegittimità.Il popolo, la magistratura, i giuristi e i cittadini democratici, loro hanno fermato il disastro e non le altre istituzioni, né quelle italiane, né tantomeno quelle europee, che della distruzione della nostra Costituzione hanno assoluto bisogno, per imporci il loro volere. È una situazione senza precedenti, per una democrazia, quella di operare nella illegittimità delle sue istituzioni da più di dieci anni, e se non si vuole riprendere a precipitare nella china alla fine della quale c’è solo la formale dittatura, bisogna fermare tutto qui e ora. Altro che affidare a un Parlamento squalificato e soprattutto incostituzionale il varo di una terza legge elettorale, magari incostituzionale anch’essa! Altro che il teatrino della politica! Si vada a votare subito, anche con il pasticcio che è venuto fuori dalle sentenze e di cui le varie maggioranze politiche, non le sentenze, hanno colpa. Si metta punto fermo alla catena delle illegittimità e si ricominci a parlare di contenuti materiali delle scelte politiche, e non ancora una volta della governabilità. Principio che da noi ha sviluppato appieno tutte le sue potenzialità antidemocratiche e che ha finito per produrre il suo esatto opposto: lo stato confusionale di un sistema illegittimo. Basta, al voto subito.(Giorgio Cremaschi, “Solo il voto subito ferma la deriva di un sistema illegittimo”, dall’“Huffington Post” del 27 gennaio 2017).Della sentenza della Corte Costituzionale che boccia l’Italicum non mi colpisce tanto la contorta architettura del dispositivo, atta a renderne meno traumatico possibile l’impatto sul sistema politico, ma il pronunciamento in quanto tale. Che è di una gravità inaudita per un paese che voglia restare una democrazia. Per la seconda volta di seguito, la legge elettorale votata dal Parlamento della Repubblica viene dichiarata incostituzionale. E, si badi bene, questo pronunciamento della Consulta non avviene a seguito di una iniziativa delle forze politiche o per qualche pentimento istituzionale, ma per l’azione puntuale e tenace di un manipolo di valorosi giuristi democratici. Sono loro che con il Porcellum prima, con l’Italicum ora, sono andati dal giudice avviando il percorso che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità delle leggi elettorali. Nelle istituzioni invece silenzio e complicità. Tre presidenti della Repubblica hanno avuto un ruolo decisivo in queste leggi incostituzionali. Ciampi ha firmato il Porcellum senza obiezioni, come ha poi fatto Mattarella con l’Italicum, mentre Napolitano, eletto due volte da parlamenti frutto dell’incostituzionalità, quando era in carica mai ha messo in discussione la legge elettorale, semmai ha solo cercato di non far votare.
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Una famiglia greca su 2 campa della pensione di un parente
Tagli a sangue la spesa pubblica, imponi tasse folli, elimini la moneta sovrana. E ottieni, esattamente, la Grecia: dove, si apprende, un cittadino su due sopravvive, lottando contro la fame, solo grazie alla piccola pensione percepita da un membro della famiglia. E’ la fotografia perfetta del rigore “germanico” imposto all’Europa con la moneta unica, che impedisce allo Stato di proteggere la comunità nazionale e promuovere investimenti vitali per il lavoro. Gli ultimi dati su Atene sono spaventatosi. Li pubblica “Keep Talking Greece”, in un aggiornamento sulla situazione finanziaria dei nuclei familiari in Grecia. «Quasi la metà delle famiglie vive della sola pensione di un familiare, i tre quarti hanno subìto un peggioramento delle proprie condizioni economiche, e quasi altrettanti si aspettano ulteriori peggioramenti nell’anno in corso, a testimonianza di un paese che ha perso ogni speranza nel futuro», scrive “Voci dall’Estero”, che ha tradotto il report statistico, secondo cui, appunto, «la metà dei nuclei familiari in Grecia dichiara che l’unica fonte di reddito di cui dispone è la pensione di un membro della famiglia».Secondo il sondaggio, condotto a novembre 2016 dall’associazione piccole imprese (Ime Gsevee) su un campione di mille nuclei familiari distribuiti in tutto il paese, il 49,2% delle famiglie non ha alcuna altra fonte di reddito, a parte la (piccola) pensione di un familiare. I greci sono letteralmente allo stremo: tre su quattro hanno «subìto un declino significativo del proprio reddito nel corso dell’anno 2016». Dati impietosi: il 37,1 % dei nuclei familiari dice di vivere con meno 10.000 euro all’anno; il 37,9 % campa del proprio magro salario, e il 9 % dipende principalmente dai redditi provenienti da attività commerciali. Attenzione: un nucleo familiare su tre ha almeno un componente della famiglia disoccupato, ciò significa una stima di 1,1 milioni di famiglie. E i disoccupati di lungo periodo contano per il il 73,3 % di tutti i senza lavoro. Se il lavoro c’è, è poca cosa: il 22,4 % dei nuclei familiari ha un componente occupato della famiglia che guadagna meno del salario mensile minimo, pari a 586 euro lordi. Intanto, in una famiglia ogni dieci, un parente ha già lasciato il paese. E il futuro è nero: il 73,5 % degli intervistati si aspetta un peggioramento ulteriore della propria situazione finanziaria, fra tasse arretrate che non potrà pagare e mutui bancari troppo salati.Il report suggerisce che «La crisi finanziaria di lungo periodo, la cui vittima principale è la classe media, non sta portando solo a un ulteriore declino dei redditi e a un ampliamento delle disuguaglianze, ma minaccia apertamente la coesione sociale». In compenso i conti pubblici sarebbero in via di risanamento? Certo, come nel vecchio adagio “l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”. «La cosiddetta terapia, che consiste nel continuo aumento delle tasse, dirette e indirette, può anche portare a un avanzo fiscale primario, ma questo – sintetizzano gli autori del report – non si riflette in alcun beneficio per i contribuenti in termini di qualche forma di servizio pubblico, e anzi al tempo stesso viene ridotta la spesa per la sanità e l’istruzione». Questo è l’orrore su cui si specchia, in Grecia, l’Europa delle élite oggi affidata all’ordoliberismo della Merkel: strangolato lo Stato, a sua volta costretto a strangolare i cittadini (più tasse, meno servizi vitali), l’imposizione dell’euro si manifesta per quello che è: un’operazione senza anestesia, inflitta a un’Europa senza futuro. Pagano tutti, a cominciare dai più deboli.Tagli a sangue la spesa pubblica, imponi tasse folli, elimini la moneta sovrana. E ottieni, esattamente, la Grecia: dove, si apprende, un cittadino su due sopravvive, lottando contro la fame, solo grazie alla piccola pensione percepita da un membro della famiglia. E’ la fotografia perfetta del rigore “germanico” imposto all’Europa con la moneta unica, che impedisce allo Stato di proteggere la comunità nazionale e promuovere investimenti vitali per il lavoro. Gli ultimi dati su Atene sono spaventatosi. Li pubblica “Keep Talking Greece”, in un aggiornamento sulla situazione finanziaria dei nuclei familiari in Grecia. «Quasi la metà delle famiglie vive della sola pensione di un familiare, i tre quarti hanno subìto un peggioramento delle proprie condizioni economiche, e quasi altrettanti si aspettano ulteriori peggioramenti nell’anno in corso, a testimonianza di un paese che ha perso ogni speranza nel futuro», scrive “Voci dall’Estero”, che ha tradotto il report statistico, secondo cui, appunto, «la metà dei nuclei familiari in Grecia dichiara che l’unica fonte di reddito di cui dispone è la pensione di un membro della famiglia».
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Italiani analfabeti, 7 su 10 non capiscono quel che leggono
Il 70 per cento degli italiani è analfabeta: legge, guarda, ascolta, ma non capisce. Non è affatto un titolo sparato, per impressionare; anzi, è un titolo riduttivo rispetto alla realtà, che avvicina la cifra autentica all’80 per cento. E questo vuol dire che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di 3 di loro su 4 sono analfabeti: sembrano “normali” anch’essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell’unico di loro che non è analfabeta, e però sono “diversi”. Qual è questa loro diversità? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. Sono incapaci! La (relativa) complessità della realtà gli sfugge, colgono soltanto barlumi, segni netti ma semplici, lampi di parole e di significati privi tuttavia di organizzazione logica, razionale, riflessiva.Non sono certamente analfabeti “strumentali”, bene o male sanno leggere anch’essi e – più o meno – sanno tuttora far di conto (comunque c’è un 5 per cento della popolazione italiana che ancora oggi è analfabeta strutturale, “incapace di decifrare qualsivoglia lettera o cifra”); ma essi sono analfabeti “funzionali”, si trovano cioè in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso – quasi sempre – non se ne rendono nemmeno conto. Quando si dice che quella di oggi non è più la civiltà della ragione ma la civiltà della emozione, si dice anche di questo. E quando Bauman (morto ieri, grazie a lui per ciò che ci ha dato) diceva che, indipendentemente da qualsiasi nostro comportamento, ogni cosa é intessuta in un discorso, anche l’”analfabetismo” sta nel “discorso”. Cioè disegna un profilo di società nella quale la competenza minima per individuare una capacità di articolazione del proprio ruolo di “cittadino” – di soggetto consapevole del proprio ruolo sociale, disponibile a usare questo ruolo nel pieno controllo della interrelazione con ogni atto pubblico e privato – questa competenza appartiene soltanto al 20 per cento dei nostri connazionali.E’ sconcertante, e facciamo fatica ad accettarlo. Ma gli strumenti scientifici di cui la linguistica si serve per analizzare il rapporto tra “messaggio” e “comprensione” hanno una evidenza drammatica. Non é un problema soltanto italiano. L’evoluzione delle tecnologie elettroniche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico stanno modificando un po’ dovunque il livello di comprensione; ma se le percentuali attribuibili ad altre societá (anche Francia, Germania, Inghilterra, o anche gli Usa, che non sono affatto il modello metropolitano del nostro immaginario ma piuttosto un’ampia America profonda, incolta, ignorante, estremamente provinciale) se anche quelle societá denunciano incoerenze e ritardi, mai si avvicinano a queste angosciose latitudini, che appartengono soltanto all’Italia, e alla Spagna.Il “discorso” è complesso, e ha radici profonde, sociali e politiche. Se prendiamo in mano i numeri, con il loro peso che non ammette ambiguità e approssimazioni, dobbiamo ricordare che nel nostro paese circa il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. Non é che la scuola renda intelligenti, e però fornisce strumenti sempre più raffinati – quanto più avanti si vada nello studio – per realizzare pienamente le proprie qualità individuali. Vi sono anche laureati e diplomati che sono autentiche bestie, e però è molto più probabile trovare “bestie” tra coloro che laurea e diploma non sanno nemmeno che cosa siano. (La percentuale dei laureati in Italia, poi, é poco più della metà dei paesi più sviluppati.)Diceva Tullio De Mauro, il più noto linguista italiano, ministro anche della Pubblica Istruzione (incarico che siamo capaci di assegnare perfino a chi non ha né laurea né diploma – e questo dato rientra sempre nel “discorso”), che più del 50 per cento degli italiani si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge le complessità, ma che anche davanti a un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale) é capace di una comprensione appena basilare.Un dato impressionante ce l’ha fatto conoscere ieri l’Istat: il 18,6 per cento degli italiani – cioè quasi uno su 5 – lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non é mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio, o a ballare. Ha vissuto prevalentemente per la televisione come strumento informativo fondamentale, e non é azzardato credere – visti i dati di riferimento della scolarizzazione – che la sua comprensione della realtà lo piazzi a pieno titolo in quell’80 per cento di analfabeti funzionali (che riguarda comunque un universo sociale drammaticamente molto più ampio di questa pur amara marginalità). E da qui, poi, il livello e il grado della partecipazione alla vita della società, le scelte e gli stili di vita, il voto elettorale, la reazione solo di pancia – mai riflessiva – ai messaggi dove la realtà si copre spesso con la passione, l’informazione e la sua contaminazione con la pubblicità e tant’altro che ben si comprende. E’ il “discorso”.Il “discorso” ha al centro la scuola, il sistema educativo del paese, le scelte e gli investimenti per la costruzione di un modello funzionale che superi il ritardo con cui dobbiamo misurarci in un mondo sempre più aperto e sempre più competitivo. Se noi destiniamo alla ricerca la metà di un paese come la Bulgaria, evidentemente c’é un “discorso” da riconsiderare. (Questo testo é un omaggio a Tullio De Mauro, morto nei giorni scorsi, che ha portato la linguistica fuori dalle aule dell’accademia, e l’ha resa uno degli strumenti fondamentali di analisi di una società) .(Mimmo Càndito, “Il 70 per cento degli italiani è analfabeta: legge, guarda, ascolta, ma non capisce”, da “La Stampa” del 10 gennaio 2017).Il 70 per cento degli italiani è analfabeta: legge, guarda, ascolta, ma non capisce. Non è affatto un titolo sparato, per impressionare; anzi, è un titolo riduttivo rispetto alla realtà, che avvicina la cifra autentica all’80 per cento. E questo vuol dire che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di 3 di loro su 4 sono analfabeti: sembrano “normali” anch’essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell’unico di loro che non è analfabeta, e però sono “diversi”. Qual è questa loro diversità? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. Sono incapaci! La (relativa) complessità della realtà gli sfugge, colgono soltanto barlumi, segni netti ma semplici, lampi di parole e di significati privi tuttavia di organizzazione logica, razionale, riflessiva.
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Monbiot: malati di solitudine, questo sistema ci fa impazzire
Un’epidemia di malattie mentali sta distruggendo mente e corpo di milioni di persone. È arrivato il momento di chiederci dove stiamo andando e perché. Quale maggiore atto d’accusa potrebbe esserci, per un sistema, di una epidemia di malattie mentali? Eppure problemi come ansia, stress, depressione, fobia sociale, disturbi alimentari, autolesionismo e solitudine oggi si abbattono sulle persone in tutto il mondo. Le recenti, catastrofiche statistiche sulla salute mentale dei bambini in Inghilterra riflettono una crisi globale. Ci sono una moltitudine di ragioni secondarie per spiegare questo disagio, ma a me sembra che la causa di fondo sia ovunque la stessa: gli esseri umani, mammiferi estremamente sociali, i cui cervelli sono cablati per rispondere agli altri, sono stati scorticati. I cambiamenti economici e tecnologici in questo svolgono un ruolo importante, ma lo stesso vale per l’ideologia. Benché il nostro benessere sia indissolubilmente legato alla vita degli altri, ci viene spiegato da ogni parte che il segreto della prosperità è nell’egoismo competitivo e nell’individualismo estremo.In Gran Bretagna, uomini che hanno passato tutta la loro vita in circoli privilegiati – a scuola, all’università, al bar, in Parlamento – ci insegnano che dobbiamo sempre camminare con le nostre gambe. Il sistema dell’istruzione diventa ogni anno più brutalmente competitivo. Trovare lavoro è una lotta all’ultimo sangue con una massa di altri disperati che inseguono i sempre meno posti disponibili. I moderni sorveglianti dei poveri attribuiscono a colpe individuali la loro situazione economica. Gli incessanti concorsi televisivi alimentano aspirazioni impossibili come le opportunità reali. Il vuoto sociale è riempito dal consumismo. Ma, lungi dal curare la malattia dell’isolamento, questo intensifica il confronto sociale, al punto che, dopo aver consumato tutto quello che c’era da consumare, iniziamo ad avventarci su noi stessi. I social media ci uniscono ma anche ci dividono, consentendoci di quantificare con precisione la nostra posizione sociale, e di constatare che altre persone hanno più amici e seguaci di noi.Come Rhiannon Lucy Cosslett ha brillantemente documentato, le ragazze e le giovani donne modificano abitualmente le foto che pubblicano per sembrare più levigate e sottili. Alcuni telefoni lo fanno perfino automaticamente, basta attivare l’impostazione “bellezza”; così ci si può trasformare anche da soli in modelli di magrezza da inseguire. Benvenuti nella distopia post-hobbesiana: una guerra di tutti contro se stessi. C’è da stupirsi, in questa solitudine interiore, in cui il contatto è stato sostituito dal ritocco, se le giovani donne stanno annegando nel disturbo mentale? Una recente indagine condotta in Inghilterra suggerisce che tra i 16 e i 24 anni una donna su quattro si è autoinflitta una ferita, e uno su otto oggi soffre di disturbo da stress post-traumatico. Ansia, depressione, fobie o disturbo ossessivo-compulsivo colpiscono il 26% delle donne in questa fascia di età. Dati di questo tipo assomigliano da vicino a una crisi di salute pubblica. Se la frammentazione sociale non è presa in seria considerazione, come si prende sul serio una gamba rotta, è perché non possiamo vederla. Ma i neuroscienziati possono.Una serie di affascinanti articoli suggerisce che il dolore sociale e il dolore fisico sono elaborati dagli stessi circuiti di neuroni. Questo potrebbe spiegare perché in molte lingue è difficile descrivere l’impatto della rottura dei legami sociali senza ricorrere alle parole che usiamo per indicare dolore fisico e lesioni. Negli esseri umani come negli altri mammiferi sociali il contatto sociale riduce il dolore fisico. Questo è il motivo per cui abbracciamo i nostri figli quando si fanno male: l’affetto è un potente analgesico. Gli oppioidi alleviano sia l’agonia fisica sia l’angoscia della separazione. Forse questo spiega il legame tra isolamento sociale e tossicodipendenza. Alcuni esperimenti riassunti sulla rivista “Physiology & Behaviour” il mese scorso suggeriscono che, data la possibilità di scegliere tra dolore fisico o isolamento, i mammiferi sociali scelgono il primo. Alcune scimmie cappuccino prive di cibo e tenute in isolamento per 22 ore, prima di mangiare si sono riunite alle loro compagne. I bambini che sono trascurati dal punto di vista emotivo, secondo alcuni studi, subiscono peggiori conseguenze per la salute mentale rispetto ai bambini che soffrono sia trascuratezza emotiva sia violenza fisica: per quanto orribile, la violenza comporta essere notati e toccati.L’autolesionismo è spesso usato come tentativo di alleviare la sofferenza: un’altra indicazione che il dolore fisico è meno terribile del dolore emotivo. Come il sistema carcerario sa fin troppo bene, una delle forme più efficaci di tortura è proprio l’isolamento. Non è difficile capire quali potrebbero essere le ragioni evolutive per la presenza del dolore sociale. La sopravvivenza tra i mammiferi sociali è notevolmente più alta quando sono fortemente legati al resto del branco. Sono gli animali isolati ed emarginati che hanno più probabilità di essere attaccati dai predatori, o morire di fame. Così come il dolore fisico ci protegge dai danni fisici, il dolore emotivo ci protegge dai danni sociali. Ci spinge a ricostruire connessioni. Ma per molte persone è diventato quasi impossibile.Non è sorprendente che l’isolamento sociale sia fortemente associato alla depressione, al suicidio, all’ansia, all’insonnia, alla paura e alla sensazione di essere minacciati. È più sorprendente scoprire la gamma di malattie fisiche che provoca o aggrava. Demenza, ipertensione, malattie cardiache, ictus, abbassamento della resistenza ai virus, perfino gli incidenti sono più comuni tra le persone sole. La solitudine ha un impatto sulla salute fisica paragonabile al fumare 15 sigarette al giorno: sembra aumentare il rischio di morte prematura del 26%. Questo in parte è perché la solitudine aumenta la produzione dell’ormone dello stress, il cortisolo, che deprime il sistema immunitario. Studi condotti su animali e sull’uomo suggeriscono che mangiare sia motivo di conforto: l’isolamento riduce il controllo dell’impulso, portando all’obesità. Visto che le persone situate nella parte più bassa della scala socioeconomica sono anche quelle più a rischio di soffrire di solitudine, questa potrebbe essere una delle spiegazioni per il forte legame tra basso livello economico e obesità?Chiunque può rendersi conto che qualcosa di molto più importante della maggior parte dei problemi di cui ci si preoccupa è andato storto. Ma allora, perché siamo così impegnati in questa frenesia che distrugge il mondo e si autoannienta, devastando l’ambiente e riducendo in pezzi le società, se tutto ciò che produce è un dolore insopportabile? Questo problema non dovrebbe essere considerato il più scottante nella vita pubblica? Ci sono enti di beneficenza meravigliosi che fanno quello che possono per lottare contro questa marea, con alcuni dei quali ho intenzione di lavorare come parte del mio progetto contro la solitudine. Ma per ogni persona aiutata, molte altre vengono spazzate via. Non basta una risposta politica per tutto questo. Ci vuole qualcosa di molto più grande: ripensare un’intera visione del mondo. Di tutte le fantasie degli esseri umani, l’idea che ce la si possa fare da soli è la più assurda e forse la più pericolosa. O restiamo uniti o andiamo in pezzi.(George Monbiot, “Il nuovo ordine liberale crea solitudine, ecco cosa sta facendo a pezzi la nostra società”, dal “Guardian” del 12 ottobre 2016, articolo tradotto da “Voci dall’Estero”).Un’epidemia di malattie mentali sta distruggendo mente e corpo di milioni di persone. È arrivato il momento di chiederci dove stiamo andando e perché. Quale maggiore atto d’accusa potrebbe esserci, per un sistema, di una epidemia di malattie mentali? Eppure problemi come ansia, stress, depressione, fobia sociale, disturbi alimentari, autolesionismo e solitudine oggi si abbattono sulle persone in tutto il mondo. Le recenti, catastrofiche statistiche sulla salute mentale dei bambini in Inghilterra riflettono una crisi globale. Ci sono una moltitudine di ragioni secondarie per spiegare questo disagio, ma a me sembra che la causa di fondo sia ovunque la stessa: gli esseri umani, mammiferi estremamente sociali, i cui cervelli sono cablati per rispondere agli altri, sono stati scorticati. I cambiamenti economici e tecnologici in questo svolgono un ruolo importante, ma lo stesso vale per l’ideologia. Benché il nostro benessere sia indissolubilmente legato alla vita degli altri, ci viene spiegato da ogni parte che il segreto della prosperità è nell’egoismo competitivo e nell’individualismo estremo.
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Osho: siamo unici e liberi, diversi da come ci vorrebbero
La più grande avventura che possa accadere all’essere umano è il passaggio tra lo stato di mente a quello di non-mente, dalla personalità all’individualità. Lo stato di non-mente ha un’individualità, la mente invece è uno stato sociale. Tutte le personalità sono assolute maschere che nascondono la tua individualità. Io sono qui per distruggere la vostra personalità, e per darvi la nascita dell’individualità. Andare dal maestro significa andare alla ricerca della tua innocenza, in cerca della tua infanzia perduta, in cerca della tua originalità… in cerca della tua individualità, in cerca della libertà. Ricordate: nessun attaccamento potrà farvi crescere, nessun attaccamento cresce. Essi sono tutti contro la vostra indipendenza, la vostra libertà e la vostra individualità. Amare l’uomo e rispettarlo, rispettarne l’individualità e le sue differenze, è possibile, ma solo se prima hai rispetto per la tua individualità. Tutto ciò è possibile solo se tu hai consolidato le radici del tuo essere individuale senza temerlo.L’amore con i suoi occhi sa quando dire di sì e quando dire di no. L’amore non è soggetto a interferenze dalle vite degli altri, e non permette che nessuno interferisca con la sua esistenza. L’amore dona l’individualità agli altri, senza però togliere l’individualità a sé stesso. Prova a cercare la tua individualità, la tua integrità, e prova a farlo senza compromessi. Perché più cercherai di ottenere l’individualità con i compromessi e meno sarai individuale. In quel caso diverrai solo una parte della ruota, un ingranaggio di un vasto meccanismo, e quindi non un essere individuale nella tua bellezza, nella tua verità… Io sono assolutamente contro il compromesso. La morte è lungi meglio di una vita di compromessi. Una cosa è certa: non potrai divenire nulla, nella vita, se non te stesso. E meno sarai te stesso e più sarai infelice. La felicità accade solo quando da un roseto cresceranno delle rose; quando fioriscono? Quando hanno la loro individualità.Il fatto che da un roseto ne cresca un fior di loto è creare qualcosa di insano. Vuota la mente, cancellala. La Via della non-mente non è la Via del conflitto: la Via della non-mente è la Via della Consapevolezza. La sparizione della tua personalità non è la sparizione di te stesso, ricordalo; invero, è la tua manifestazione. Come la tua persona svanisce, così svanisce la tua personalità; la tua individualità, è lei che ascende. Avere una personalità è ipocrita, avere la propria individualità è la tua essenza primordiale. Ogni uomo nasce con un’unica individualità, ed ogni uomo ha un suo destino. L’imitazione è un crimine, è criminale. Se tenterai di diventare un Buddha, diverrai un’imitazione di Buddha. Sarai simile a Buddha, camminerai come lui, parlerai come lui, ma ti perderai. Perderai tutto ciò che la vita ha da offrirti. Perché Buddha è vissuto una volta sola. Non è nella natura delle cose ripetersi. Dio è così creativo che non ripete mai nulla.Non troverai mai un essere umano nel presente, nel passato o nel futuro che apparirà esattamente come te. Non è mai successo. L’uomo non è un meccanismo. Non è come le auto della Ford in una via d’assemblaggio sistematica; potrai produrre milioni di copie, esattamente uguali. L’uomo è la sua anima, egli è individuale per natura, l’imitazione è velenosa. Non imitare mai nessuno. Essere un individuo è la cosa più difficile del mondo, perché nessuno desidera tu diventi individuale. Tutti desiderano uccidere la tua individualità e farti diventare una pecora. Nessuno desidera tu sia te stesso. Ogni singolo individuo è unico nel suo genere. L’unicità diventa qualcosa di più intelligente e chiaro, cristallino, quando la persona diventa un’illuminato, perché solo col suo puro genio, la sua pura individualità, incontaminata, immacolata, sarà rivelato. Il primo passo è accettare noi stessi, ognuno di noi. Non adempiere a nessun dovere fuorché a quello del cuore! Non devi diventare qualcun altro.Non è previsto dalla natura delle cose che tu faccia qualcosa che non segua la Via di te stesso, tu sei solo per te stesso. Rilassati! E sii solamente te stesso. Abbi rispetto della tua individualità e sii coraggioso di firmarti con la tua firma, non copiare quella degli altri. E’ importante. Di vitale importanza. Non avere interesse nel fatto di diventare un artista celebre a livello mondiale, non è quella la cosa importante. Piuttosto pensa a creare qualcosa, come una bella canzone, un piccolo motivo musicale, una danza, un quadro, un giardino… e fa crescere le rose… non puoi affermare che la vita sia una striscia dove molte rose crescono. Non puoi affermare che la vita sia una striscia di rose, perché il quadro sarà creato per la prima volta nel mondo e per l’ultima volta. Nessuno l’ha mai fatto prima, e nessuno lo farà nuovamente; solo tu sarai in grado di farlo. Esprimi la tua unicità in tutto ciò che fai. Esprimi la tua individualità. Lascia che la vita sia fiera di te. La vita non sarà mai una striscia di rose, ma diverrà unicamente una fragranza.Fintanto che una persona deciderà che: “A qualsiasi costo, desidero essere me stesso! Condannatemi, non accettatemi, fatemi perdere la rispettabilità… ma non posso più fingere di essere qualcun altro”. Questa decisione è una dichiarazione di libertà che trascende l’essere parte di una massa. Questo dà nascita alla tua naturalità, alla tua individualità. Dopo non avrai bisogno di alcuna maschera. Dopo tu sarai semplicemente te stesso, semplicemente come sei. E nel momento in cui sarai come sei, proverai una tale pace che sorpassa la comprensione della mente. L’ordinario, l’inconsapevole essere umano non ha un’individualità. Ha solo una personalità. La personalità è ciò che gli altri ti danno: i parenti, gli insegnanti, i preti, la società, tutto ciò che hanno detto di te. E tu desideri essere rispettabile, essere rispettato, per fare cose che vengano apprezzate, in modo che la società ti sia riconoscente, e che ti rispetti ancora e ancora. Questo è il loro modo di creare una personalità. Ma la personalità è una cosa molto sottile, superficiale. Non è la tua natura.Il bambino nasce senz’alcuna personalità, ma nasce con una potenziale individualità. La sua potenziale individualità semplicemente sta ad indicare la sua unicità fuori da ogni altro, lo rende differente dagli altri, lo rende unico. La gente è parecchio confusa a proposito della personalità e dell’individualità. Credono che la personalità sia l’individualità. Non è così, difatti c’è una barriera. Non raggiungerai mai l’individualità se non sarai pronto a frantumare la tua personalità. Ci sono molte terapie, meditazioni, lavori interiori… tutto è stato ideato come Vie per la distruzione della tua personalità, l’artificiale Sé, e cercano di riportarti indietro alla tua individualità primordiale. L’individualità è nata con te, è il tuo Essere. La personalità è un fenomeno sociale, ti è stata data. Quando sei seduto in una caverna sull’Himalaya non hai alcuna personalità, ma hai la tua individualità. La personalità esiste solo in relazione agli altri. Più gente ti conosce e più personalità hai, quindi desideri avere un nome e fama. Più gente ti rispetterà, più accrescerai la tua personalità, a tal punto da rafforzarla continuamente. Ma ciò non corrisponderà con la tua individualità.(Osho Rajneesh, “La ricerca dell’individualità”, riflessione ripresa dal blog “La Crepa nel Muro” il 29 dicembre 2016).La più grande avventura che possa accadere all’essere umano è il passaggio tra lo stato di mente a quello di non-mente, dalla personalità all’individualità. Lo stato di non-mente ha un’individualità, la mente invece è uno stato sociale. Tutte le personalità sono assolute maschere che nascondono la tua individualità. Io sono qui per distruggere la vostra personalità, e per darvi la nascita dell’individualità. Andare dal maestro significa andare alla ricerca della tua innocenza, in cerca della tua infanzia perduta, in cerca della tua originalità… in cerca della tua individualità, in cerca della libertà. Ricordate: nessun attaccamento potrà farvi crescere, nessun attaccamento cresce. Essi sono tutti contro la vostra indipendenza, la vostra libertà e la vostra individualità. Amare l’uomo e rispettarlo, rispettarne l’individualità e le sue differenze, è possibile, ma solo se prima hai rispetto per la tua individualità. Tutto ciò è possibile solo se tu hai consolidato le radici del tuo essere individuale senza temerlo.
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Cuperlo: il Pd è morto, non ha ricette contro la catastrofe
Dopo le dimissioni del premier e le parole di dignità di quella notte ho visto un gruppo dirigente narcotizzato. La destra gioisce. È caduto il governo. Di bicameralismo si riparlerà tra qualche anno ed è iniziato il count down della legislatura senza che ci sia una legge elettorale. Intanto aumenta la sofferenza di chi vive sulla pelle la violenza di diseguaglianze sempre più grandi. Il referendum è stato soprattutto un voto politico che ha bocciato governo, classe dirigente e alcune riforme simboliche. Insegnanti, precari, giovani, Mezzogiorno, la fotografia reclama una svolta. Il Pd è senz’anima e se non lo capiamo è destinato a morire. La crisi peggiore del secolo dovrebbe spingere la sinistra a fare ciò che ha rinviato per anni, un ripensamento di sé, delle sue ricette. Flessibilità, liberalizzazioni, pareggio di bilancio sono stati un cedimento culturale che ha rimosso la lotta a disparità e discriminazioni sempre più odiose. Anche in Europa il risultato è una sinistra costretta a tifare Fillon o Merkel, senza una leadership e una strategia in grado di riscattare gli ultimi della fila. Se davanti a questa scena il primo partito della sinistra facesse come i proci a Itaca ci sarebbe da indignarsi.So riflettere sui miei limiti e anche sulle subalternità che vengono da prima. La norma sul pareggio di bilancio l’abbiamo votata noi quando Renzi era sindaco. Oggi il tema è come si ricuce con parti di società che hanno testa e cuore altrove. Sono stanco di sentire dal pulpito la scomunica dei caminetti e poi capire che si riuniscono in sacrestia. Ma quando deve discutere un partito segnato dalla sconfitta? Ho sentito capi corrente farsi di colpo paladini di una fase di decantazione per evitare altri traumi. Ma che opinione hanno dei circoli, dei nostri iscritti, di chi ci vota? Un congresso non si fa quando 10 persone decidono che sono pronti loro, lo si fa quando la realtà te lo chiede o te lo impone. Per me lo si deve fare prima delle elezioni e fissando regole nuove. Se la sinistra perde la fiducia verso le persone è difficile chiedere alle persone di avere fiducia in noi.Penso che Renzi abbia dato una scossa su temi importanti, dai migranti ai diritti civili, e che abbia commesso errori gravi, primo tra tutti aver coltivato l’isolamento sociale del Pd con riforme, dal lavoro alla scuola, vissute come schiaffo al nostro mondo. Per me, cambio di passo e del timoniere coincidono. Credo di avere coltivato la lealtà ed è quella stessa lealtà che mi porta oggi a denunciare cosa siamo diventati. Una confederazione di sotto-partiti. Il Pd rischia di esaurire la sua storia se non alza lo sguardo sulla realtà. Su cosa sia la grande crisi di questi anni, su come l’Occidente sta reagendo al venir meno del suo impianto spirituale, sulla fine delle politiche pubbliche che hanno dominato il ‘900, sul divario col Mezzogiorno che produce due nazioni in un corpo solo, sul bisogno di un modello alternativo di socialità e capitalismo. Se non abbiamo parole da dire su questo, il resto è ceto politico. Le norme sui voucher vanno cambiate. L’abuso è iniziato coi governi di prima e adesso la situazione è insostenibile. Penso che per primo Gentiloni ne sia consapevole. Poletti ha detto frasi scorrette e ora si è scusato. A me interessa l’inversione radicale di una politica sbagliata.(Gianni Cuperlo, dichiarazioni rilasciate ad Alessandra Longo nell’intervista “Non c’è anima né programma, senza congresso il Pd è morto”, pubblicata su “Repubblica” il 23 dicembre 2016).Dopo le dimissioni del premier e le parole di dignità di quella notte ho visto un gruppo dirigente narcotizzato. La destra gioisce. È caduto il governo. Di bicameralismo si riparlerà tra qualche anno ed è iniziato il count down della legislatura senza che ci sia una legge elettorale. Intanto aumenta la sofferenza di chi vive sulla pelle la violenza di diseguaglianze sempre più grandi. Il referendum è stato soprattutto un voto politico che ha bocciato governo, classe dirigente e alcune riforme simboliche. Insegnanti, precari, giovani, Mezzogiorno, la fotografia reclama una svolta. Il Pd è senz’anima e se non lo capiamo è destinato a morire. La crisi peggiore del secolo dovrebbe spingere la sinistra a fare ciò che ha rinviato per anni, un ripensamento di sé, delle sue ricette. Flessibilità, liberalizzazioni, pareggio di bilancio sono stati un cedimento culturale che ha rimosso la lotta a disparità e discriminazioni sempre più odiose. Anche in Europa il risultato è una sinistra costretta a tifare Fillon o Merkel, senza una leadership e una strategia in grado di riscattare gli ultimi della fila. Se davanti a questa scena il primo partito della sinistra facesse come i proci a Itaca ci sarebbe da indignarsi.
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Disgustoso Poletti, avete fatto di noi i camerieri d’Europa
«Caro ministro Poletti, le sue scuse mi imbarazzano tanto quanto le sue parole mi disgustano». Comincia con queste parole la lettera aperta che Marta Fana, ricercatrice impegnata a Parigi, ha affidato a “L’Espresso” dopo la sconcertante uscita dell’ex dirigente LegaCoop, ora membro dell’esecutivo Gentiloni: «Centomila giovani in fuga dall’Italia? Conosco gente che è bene non avere tra i piedi». Poletti ha espresso in modo esplicito un pensiero che dimostra la ormai storica rassegnazione dell’ex sinistra al pensiero unico, quello del mercato, sancita da personalità come Tiziano Treu e Marco Biagi, che hanno firmato le tappe fondamentali della revoca dei diritti del lavoro, per poi arrivare allo scempio della riforma Fornero e al Jobs Act renziano. «Noi, quei centomila che negli ultimi anni siamo andati via, ma in realtà molti di più – scrive Marta Fana – non siamo i migliori, siamo solo un po’ più fortunati di molti altri che non sono potuti partire e che tra i piedi si ritrovano soltanto dei pezzi di carta da scambiare con un gratta e vinci. Parlo dei voucher, ministro». L’Inps ha appena reso noto che nei dieci mesi del 2016 sono stati venduti 121 milioni e mezzo di voucher. Da quando Poletti è ministro, ne sono stati venduti oltre 265 milioni: «E’ sfruttamento. Sa, qualcuno ci ha rimesso quattro dita a lavorare a voucher davanti a una pressa».Marta Fana si riferisce a un ragazzo di 21 anni, senza indennità per malattia perché «faceva il saldatore a voucher». E aggiunge: «Oggi, senza quattro dita, lei gli offrirà un assegno di ricollocazione da corrispondere a un’agenzia di lavoro privata. Magari di quelle che offrono contratti rumeni, perché tanto dobbiamo essere competitivi». Quelli che sono rimasti, continua la lettera, sono coloro che per colpa di queste politiche si sono trovati in pochi anni da “generazione 1.000 euro al mese” a “generazione a 5.000 euro l’anno”. «Lo stesso vale per chi se n’è andato e forse prima o poi vi verrà il dubbio che molti se ne sono andati proprio per questo. Quelli che sono rimasti sono gli stessi che lavorano nei centri commerciali con orari lunghissimi e salari da fame. Quelli che fanno i facchini per la logistica e vedono i proprio fratelli morire ammazzati sotto un tir perché chiedevano diritti contro lo sfruttamento. Sono quelli che un lavoro non l’hanno mai trovato, quelli che a volte hanno pure pensato “meglio lavorare in nero e va tutto bene perché almeno le sigarette posso comprarle”».Sono gli stessi che «non possono permettersi di andare via da casa, o sempre più spesso ci ritornano», perché il governo, come i precedenti,«invece di fare pagare più tasse ai ricchi e redistribuire le condizioni materiali per il soddisfacimento di un bisogno di base e universale come l’abitare, ha pensato bene di togliere le tasse sulla casa anche ai più ricchi e prima ancora di approvare il piano casa». È lo stesso governo che «spende lo 0% del Pil per il diritto all’abitare», e che «si rifiuta di ammettere la necessità di un reddito che garantisca a tutti dignità». Marta Fana non si dichiara “redditista”, ma spiega: «A fronte di 17 milioni di italiani a rischio povertà, quattro milioni in condizione di povertà assoluta, mi pare sia evidente che questo passaggio storico per l’Italia non sia oggi un punto d’arrivo politico quanto un segno di civiltà». La colpa «è vostra», scrive la Fana: è colpa di voi politici, «che credete che siano le imprese a dover decidere tutto e a cui dobbiamo inchinarci e sacrificarci». Il capolavoro? «Spostare quasi 20 miliardi dai salari ai profitti d’impresa senza chiedere nulla in cambio – tanto ci sono i voucher», per poi ridurre le tasse sui profitti. «Così potrete sempre venirci a dire che c’è il deficit, che si crea il debito e che insomma la coperta è corta e dobbiamo anche smetterla di lamentarci».Il governo non crede nell’istruzione e nella cultura, vara “La Buona Scuola” ma taglia i fondi a scuola e università, e quindi spedisce il giovani a lavorare da McDonald’s: «Anche loro hanno un diploma o una laurea e se li dovesse mai incontrare per strada – scrive la Fana a Poletti – chieda loro com’è la loro vita e se sono felici. Le risponderanno che questa vita fa schifo. Però ecco: a differenza di quel che ha decretato il suo governo, questi giovani all’estero sono pagati». Ma il peggio, continua la lettera al ministro, «è che lei e il suo governo state decretando che la nostra generazione, quella precedente e le future siano i camerieri d’Europa, i babysitter dei turisti stranieri, quelli che dovranno un giorno farsi la guerra con gli immigrati che oggi fate lavorare a gratis». L’imbarazzante esternazione del ministro? «A me pare chiaro che lei abbia voluto insultare chi è rimasto piuttosto che noi che siamo partiti». E ancora: «Non ho capito che cosa voi offrite loro se non la possibilità di essere sfruttati, di esser derisi, di essere presi in giro con 80 euro che magari l’anno prossimo dovranno restituire perché troppo poveri». Tutto questo «rasenta l’ignobile tentativo di rendere ognuno di noi sempre più ricattabile, senza diritti, senza voce, senza rappresentanza».In Italia, ormai, studia solo «chi ha genitori che possono pagare e sostenere le spese di un’istruzione sempre più cara». Insiste la Fana, rivolta a Poletti: «Lei non ha insultato soltanto noi, ha insultato anche i nostri genitori che per decenni hanno lavorato e pagato le tasse, ci hanno pagato gli asili privati quando non c’erano i nonni, ci hanno pagato l’affitto all’università finché hanno potuto». Molti di questi genitori, poi, «con la crisi sono stati licenziati». Finito il sussudio di disoccupazione, «potevano soltanto dirci che sarebbe andata meglio, che ce l’avremmo fatta, in un modo o nell’altro. In Italia o all’estero. Chieda scusa a loro – insiste Marta Fana – perché noi delle sue scuse non abbiamo bisogno». E aggiunge: «Noi la sua arroganza, ma anche evidente ignoranza, gliel’abbiamo restituita il 4 dicembre, in cui abbiamo votato No per la Costituzione, la democrazia, contro l’accentramento dei poteri negli esecutivi». No alla supremazia del mercato. «Era anche un voto contro il Jobs Act, contro la “buona scuola”, il piano casa, l’ipotesi dello stretto di Messina, contro la compressione di qualsiasi spazio di partecipazione. E siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i referendum abrogativi contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher, la battaglia è la stessa. Costi quel che costi, noi questa partita ce la giochiamo fino all’ultimo respiro. E seppure proverete a far saltare i referendum con qualche operazioncina di maquillage, state pur certi che sugli stessi temi ci presenteremo alle elezioni dall’estero e dall’Italia».«Caro ministro Poletti, le sue scuse mi imbarazzano tanto quanto le sue parole mi disgustano». Comincia con queste parole la lettera aperta che Marta Fana, ricercatrice impegnata a Parigi, ha affidato a “L’Espresso” dopo la sconcertante uscita dell’ex dirigente LegaCoop, ora membro dell’esecutivo Gentiloni: «Centomila giovani in fuga dall’Italia? Conosco gente che è bene non avere tra i piedi». Poletti ha espresso in modo esplicito un pensiero che dimostra la ormai storica rassegnazione dell’ex sinistra al pensiero unico, quello del mercato, sancita da personalità come Tiziano Treu e Marco Biagi, che hanno firmato le tappe fondamentali della revoca dei diritti del lavoro, per poi arrivare allo scempio della riforma Fornero e al Jobs Act renziano. «Noi, quei centomila che negli ultimi anni siamo andati via, ma in realtà molti di più – scrive Marta Fana – non siamo i migliori, siamo solo un po’ più fortunati di molti altri che non sono potuti partire e che tra i piedi si ritrovano soltanto dei pezzi di carta da scambiare con un gratta e vinci. Parlo dei voucher, ministro». L’Inps ha appena reso noto che nei dieci mesi del 2016 sono stati venduti 121 milioni e mezzo di voucher. Da quando Poletti è ministro, ne sono stati venduti oltre 265 milioni: «E’ sfruttamento. Sa, qualcuno ci ha rimesso quattro dita a lavorare a voucher davanti a una pressa».
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Scuola, addio corsivo: i bambini saranno meno creativi
Nella patria di Elias Lonnrot è accaduto che quanto promesso, pianificato e deciso ancora un paio di anni fa dall’Istituto nazionale per l’educazione, questo autunno sia effettivamente divenuto realtà. Già dal corrente anno scolastico infatti, nella scuola primaria finlandese non si impara più a scrivere in corsivo ma soltanto in stampatello, in quanto strumento graficamente più semplice e più veloce da apprendere, oltre che più adattabile e familiare per l’uso di pc, tablet e smartphone. Addio per sempre alla grafia individuale (e quindi alla società finlandese del futuro), addio alle belle ed eleganti (ma anche alle brutte e sgraziate) scritture personali che tanto contraddistinguono ognuno di noi e la nostra personalità fin da bambini, sui banchi di scuola. Solo block capitals dunque, affiancate da un uso sempre più massiccio – che diverrà totalizzante nell’arco di pochi anni – di tastiere, touch screen e supporti tecnologici fin dal primo anno di primaria, rinunciando definitivamente alla creatività del proprio segno a vantaggio di e-fonts e lettering predefiniti e uguali per tutti.Di fronte alle numerose critiche provenienti da ogni dove – perfino il quotidiano francese “Le Monde” ha parlato di limitazione della creatività dei bambini – il governo finlandese ha risposto che per favorire lo sviluppo delle abilità specifiche un tempo inerenti la calligrafia, è previsto un aumento del monte ore disciplinari da dedicare al disegno libero e alle arti manuali, che però con la calligrafia c’entrano ben poco. E’ vero che prima di criticare le politiche scolastiche finlandesi è bene sapere che stiamo parlando del paradiso delle eccellenze didattiche e che insieme alla Corea del sud, la Finlandia vanta annualmente una percentuale di studenti che riesce a ottenere un diploma superiore oltre il 93 per cento, tuttavia personalmente ritengo scellerata la decisione di abbandonare l’insegnamento del corsivo, e lo penso per diversi motivi, suffragati anche dalle moderne ricerche neuroscientifiche che registrano un nesso comprovato tra la scrittura a mano e un ampio sviluppo educativo della persona, soprattutto in età evolutiva.Stando a moltissimi studi su questo campo pare infatti che, tra le altre cose, i soggetti che imparano a scrivere a mano o si esercitano a migliorare la propria grafia, diventino più creativi, imparino a leggere più velocemente, siano più abili e capaci di generare idee e conservare informazioni più a lungo. Alcuni dati che confermano e sottolineano l’importanza della scrittura a mano nello sviluppo cognitivo dei ragazzi, sono quelli proposti da alcuni studiosi americani a partire dalla professoressa Karin James della Indiana University, i cui studi dimostrano che quando si scrive a mano libera non solo si deve pianificare ed eseguire l’azione in un modo che non ci è richiesto quando usiamo la tastiera, ma siamo anche in grado di produrre un risultato altamente variabile, e tale variabilità è di per sé uno strumento di notevole apprendimento. In altre parole: se un bambino produce una scrittura disordinata, proprio questo può aiutarlo a imparare. Tra neuroscienziati e psicologi qualcuno sostiene addirittura, è il caso della professoressa Beringer della Washington University, che la scrittura corsiva allena la capacità di autocontrollo come nessun’altra scrittura ed è quindi utile per trattare non solo problemi quali la dislessia, ma addirittura disturbi psichici e della personalità.Di sicuro uno dei pregi e dei valori della scrittura a mano è la consapevolezza che si è costretti a mettere in gioco nel momento in cui la si esercita, ed è ampiamente dimostrato che gli studenti, di ogni ordine e grado, imparano meglio quando prendono appunti a mano rispetto a quando digitano su una tastiera, proprio perché il corsivo permette al soggetto di meglio comprendere i contenuti, elaborarli cognitivamente e riformularli. Senza considerare poi i rischi di regressione storica e sociale che potrebbero derivare dalla decisione dell’Istituto nazionale per l’educazione finlandese. A mio avviso infatti, al di là di un pragmatismo di facciata, questa scelta nasconde una perniciosa omologazione che viene candidamente spacciata per innovazione ma che ha il sapore di un dispotico livellamento culturale. Siamo di fronte all’ennesimo caso di provvedimento subdolo e irreversibile che assottiglia sempre più i nostri spazi di libertà, intromettendosi perfino nel nostro modo di scrivere e di tenere la penna in mano, cosa che dovrebbe rappresentare, anche simbolicamente, un vero e proprio baluardo di libertà.(Matteo Righetto, “Corsivo addio. Verso un’omologazione che sa di regressione storica”, da “Il Foglio” del 18 novembre 2016).Nella patria di Elias Lonnrot è accaduto che quanto promesso, pianificato e deciso ancora un paio di anni fa dall’Istituto nazionale per l’educazione, questo autunno sia effettivamente divenuto realtà. Già dal corrente anno scolastico infatti, nella scuola primaria finlandese non si impara più a scrivere in corsivo ma soltanto in stampatello, in quanto strumento graficamente più semplice e più veloce da apprendere, oltre che più adattabile e familiare per l’uso di pc, tablet e smartphone. Addio per sempre alla grafia individuale (e quindi alla società finlandese del futuro), addio alle belle ed eleganti (ma anche alle brutte e sgraziate) scritture personali che tanto contraddistinguono ognuno di noi e la nostra personalità fin da bambini, sui banchi di scuola. Solo block capitals dunque, affiancate da un uso sempre più massiccio – che diverrà totalizzante nell’arco di pochi anni – di tastiere, touch screen e supporti tecnologici fin dal primo anno di primaria, rinunciando definitivamente alla creatività del proprio segno a vantaggio di e-fonts e lettering predefiniti e uguali per tutti.