Archivio del Tag ‘sanzioni’
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Sorpresa: guerra e menzogne non ci incantano più
Come in una tragedia greca, gli occidentali che annunciavano di voler bombardare la Siria entro un’ora, non hanno fatto nulla e si sbranano fra loro. «Gli dei fanno prima impazzire coloro che vogliono portare alla rovina», diceva Euripide. Da una parte i leader degli Stati che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Barack Obama, David Cameron e François Hollande; dall’altra, i loro popoli. Da un lato, l’hybris (ὕϐρις), l’eccesso delle ultime grandi potenze coloniali; dall’altro, i Lumi della Ragione. Di fronte a loro, i siriani, silenziosi e resistenti, e i loro alleati, russi e iraniani, appostati. Il brano che viene suonato non è solo un ennesimo episodio della dominazione mondiale, ma un tale momento cruciale che la Storia non conosceva dal 1956 e dalla vittoria di Nasser al Canale di Suez. All’epoca, il Regno Unito, la Francia e Israele dovettero rinunciare al loro sogno coloniale. Certo, ci furono ancora le guerra d’Algeria, del Vietnam e la fine dell’apartheid in Sud Africa, ma lo slancio che aveva posto l’Occidente a capo del mondo si era spezzato.
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Stiamo precipitando verso la guerra: Grillo se n’è accorto?
Sulla “soggezione” verso la Bonino del “Movimento Cinque Stelle” (dove, forse, c’è ancora qualcuno che rimpiange non vederla presidente della Repubblica) avevo già scritto ai tempi della prima “uscita pubblica” dei parlamentari della Commissione Esteri. Credevo che, da allora, le cose fossero migliorate. Non è così. E riparliamo quindi della Bonino e, soprattutto, di un avverbio da lei usato: “attivamente”. Ecco un estratto del suo testo da lei letto, il 26 agosto 2013, al “Forum sulla politica estera”: «Comunque, l’Italia non prenderebbe attivamente parte ad azioni militari contro la Siria deliberate al di fuori del Consiglio di Sicurezza dell’Onu». Testo da lei riletto, il 27 agosto 2013, nella riunione su Egitto e Siria della “Commissioni affari esteri congiunte Senato e Camera” alla presenza – ahinoi! – di deputati e senatori Cinque Stelle (che, ci auguriamo, avevano già avuto modo di documentarsi sulle posizioni espresse dalla Bonino il giorno prima).
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Morales-Snowden, l’America apre la caccia al dissidente
Il sequestro del presidente della Bolivia, Evo Morales, costretto ad atterrare a Vienna durante il suo volo di ritorno da Mosca e poi costretto a subire una perquisizione dell’aereo, rappresenta una novità eccezionale e gravissima, che manifesta un salto di qualità dell’imperialismo americano. Molti paesi, tra cui Francia, Spagna, Italia, Portogallo, in perfetta coordinazione, hanno negato il sorvolo all’aereo del presidente di una repubblica democratica con cui intrattengono normali rapporti diplomatici, in base al semplice sospetto che potesse trasportare il massimo dissidente della nostra epoca, Edward Snowden. Mentre scrivo, i principali organi di stampa mantengono la notizia con un taglio basso. Invece, attenzione, è una di quelle notizie che segnano un passaggio d’epoca. La patina democratica del potere occidentale è stata totalmente smascherata dallo scandalo dello spionaggio senza limiti, il Datagate. Quel che prima era osceno, cioè “fuori scena”, è ora visibile a tutti, ed è il volto pieno e terribile del potere imperiale. Quel potere è in ballo e balla. E ballerà ancora, al ritmo che vorrà l’imperatore. Agli altri un unico compito: obbedire.L’Italia e gli altri avrebbero avuto tantissimi motivi per aprire mille fascicoli contro le conclamate violazioni spionistiche di Washington, ma non hanno fatto nulla. Viceversa, una presunta presenza del dissidente su un aereo protetto da tutte le immunità è stata sanzionata con una velocità di esecuzione impressionante, che – semplicemente – denuda la vera catena di comando: una catena militare da guerra mondiale, che si fa beffe di qualsiasi ragione storica e giuridica che fin qui ha sempre impedito simili atti. In occasione dei casi di Assange, di Manning e di Snowden, abbiamo a lungo cercato di volgere nella nostra lingua l’intraducibile termine “whistleblower”. Letteralmente sarebbero coloro che lanciano un allarme per via di una condotta illegale o minacciosa di un’organizzazione di cui fanno parte. Si tratta di funzionari che si trovano fra le mani informazioni sensibili e decidono di farle conoscere. Nel farlo rivestono un ruolo misto fra “confidenti”, “obiettori di coscienza” e “attivisti politici”. Ma dicendo così non arriviamo al centro del significato. Il termine dissidente, applicato a Snowden, appare improvvisamente, invece, come l’unica misura per capire la portata di quel che sta accadendo in Occidente. La parola ha un sapore da Cecoslovacchia anni settanta, ma è da rispolverare qui ed ora, dove i porti sicuri per chi contesta il potere dall’interno sono in via di totale dissoluzione.La scala su cui misuriamo il ruolo di Edward Snowden per l’America deve essere la stessa su cui si misurava la figura di Andrej Sakharov per l’Unione Sovietica. Sakharov fu il più importante dissidente del Paese al quale contribuì a donare la potenza soverchiante e terribile della bomba all’idrogeno. La sua Bomba Zar, esplosa nell’ottobre 1961, rivelava all’umanità un potere in grado di distruggere il mondo. Snowden ha rivelato la potenza di un altro tipo di bomba, in grado di distruggere il mondo che conosciamo in un altra maniera ancora. La vera arma-fine-di-mondo non usa più, o non soltanto, una deflagrazione termonucleare. È un sistema che coordina tutte le possibili interferenze nelle trasmissioni verso un unico scopo: il dominio planetario che non ammette contrasto. Chi non lo comprende, o lo sottovaluta, sarà il complice della fine della democrazia, e della corsa verso la guerra. Chi lo comprende dall’interno, cioè chi è un dissidente, è già ora trattato con la massima determinazione.Le sovranità di ogni paese, anche quelle meno limitate, sono e saranno soggette a una pressione crescente. Fa impressione leggere la lista sempre più lunga degli Stati che non concederanno asilo a Snowden. Il diktat di Washington vuole piegare tutti. Forse era questo il vero senso di “Yes We Can”. Deve essere chiaro che non ci sarà consentito di stare in mezzo. Il caso Snowden non sa che farsene di intellettuali liberi che sono soltanto liberi di non rischiare. La libertà è a rischio, e dovremo capirlo ora, partendo anche da un piccolo passo, cominciando a chiedere a Emma Bonino – o ad altri decisori che non possono starsene nell’ombra – in base a quale autorità e con quali misteriosi accordi hanno negato il transito nello spazio aereo italiano al velivolo di Morales. Gli amici della libertà e della sovranità devono farsi sentire subito, e dire da che parte stanno.(Pino Cabras, “La Superpotenza apre la caccia grossa ai dissidenti”, da “Megachip” del 3 luglio 2013).Il sequestro del presidente della Bolivia, Evo Morales, costretto ad atterrare a Vienna durante il suo volo di ritorno da Mosca e poi costretto a subire una perquisizione dell’aereo, rappresenta una novità eccezionale e gravissima, che manifesta un salto di qualità dell’imperialismo americano. Molti paesi, tra cui Francia, Spagna, Italia, Portogallo, in perfetta coordinazione, hanno negato il sorvolo all’aereo del presidente di una repubblica democratica con cui intrattengono normali rapporti diplomatici, in base al semplice sospetto che potesse trasportare il massimo dissidente della nostra epoca, Edward Snowden. Mentre scrivo, i principali organi di stampa mantengono la notizia con un taglio basso. Invece, attenzione, è una di quelle notizie che segnano un passaggio d’epoca. La patina democratica del potere occidentale è stata totalmente smascherata dallo scandalo dello spionaggio senza limiti, il Datagate. Quel che prima era osceno, cioè “fuori scena”, è ora visibile a tutti, ed è il volto pieno e terribile del potere imperiale. Quel potere è in ballo e balla. E ballerà ancora, al ritmo che vorrà l’imperatore. Agli altri un unico compito: obbedire.
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Zero privacy, il futuro progettato dal vero potere mondiale
Secondo Marlon Brando, la privacy non era «semplicemente un diritto, ma un prerequisito assoluto per vivere». Bei tempi. Oggi, «proteggere è veramente un parolone, anche un po’ improprio», accusa Glauco Benigni: «Ciò che appare è che la sfera pubblica globalizzata – i governi, i militari, i trader, i tecnocrati – vogliano impedire che la raccolta e il trattamento dei dati sia ostacolata dal sacrosanto bisogno di riservatezza, e per far questo hanno organizzato un sistema molto complesso di protezione regolata, al quale è impossibile sottrarsi e nel quale è quasi impossibile intervenire». Ma allora Orwell aveva ragione? «La domanda ormai appare retorica». Governi ossessionati dalla sicurezza, trader ossessionati dal guadagno e tecnocrati facilitatori del controllo formano una terna che non consente scampo: «La privacy è stata abbindolata, sedotta e stuprata da bambina. E ora, i suoi stupratori travestiti da padri di famiglia ne fanno mercimonio».
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Scacco a Obama, padroni del futuro i signori della guerra
L’attentato di Boston, i bombardamenti israeliani su Damasco, la finta crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord: sembrano eventi del tutto scollegati tra loro, ma purtroppo non lo sono. Al contrario, sembrano tutti segnali del convergere verso una “resa dei conti” su scala planetaria, tra Usa e Cina. Riletti in controluce, gli ultimi eventi parlano chiaro: a Boston si fanno prove generali per sospendere la democrazia sostituendola con lo stato d’assedio, utilizzando la paura. In Siria, l’intervento militare di Israele rischia di far precipitare la crisi verso un conflitto epocale con l’Iran. E la sfida ridicola inscenata da Pyongyang serve solo a consentire al Pentagono di traslocare armamenti in prossimità dei confini cinesi. E il presidente Obama? Non pervenuto. E’ lui il cuore del problema: «Adesso – dice Giulietto Chiesa – si vede in trasparenza che l’“uomo nuovo” della politica statunitense ha la stessa libertà di manovra di un fringuello in gabbia».
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Assalto alle banche, vogliono un altro governo Bilderberg
Per imporre in Italia un governo compiacente alla linea che molti oggi chiamerebbero “Linea Bilderberg”, o “Linea Monti-Merkel-Goldman Sachs”, nonostante l’esito elettorale dell’ultimo voto politico, potrebbe essere a breve orchestrata una crisi bancaria italiana che terrorizzi la popolazione e crei il consenso per un governo di quel tipo in cambio di soccorsi monetari di Bce, Fed e altri. I recenti spostamenti di capitali dello Ior da banche italiane a banche tedesche (compresa parte del nostro 8 per mille) corrobora questa congettura, assieme alla nomina di un tedesco alla presidenza dello Ior. Il voto politico del 25 febbraio esprime disinganno e rifiuto della maggioranza degli italiani verso la dittatura dei mercati, l’egemonia della Germania, il modello economico mercatista e neoliberista snaturato in Europa col socialismo tributario dei cosiddetti Illuminati, le ricette rigoriste e fiscaliste di tecnici e accademici balordi o traditori
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Nord Corea, missili e bluff: la guerra nucleare può attendere
Sulla crisi in Corea, un consiglio a chi ci legge (una piccola porzione fra i miliardi di utenti del sistema mediatico): non c’è da preoccuparsi troppo, per ora. Per molti nel mondo è già così, come ha rilevato il quotidiano britannico “The Guardian”, riscontrando che quasi nessuno prende sul serio i bellicosi comunicati dei comandi nordcoreani, quando proclamano di poter attaccare atomicamente il suolo nordamericano. Il livello della retorica del giovane Kim Jong Un sembra voler bucare la nostra noncuranza sollevandosi di parecchi toni. Se un capo di Stato minaccia di radere al suolo le città Usa si guadagna inevitabilmente i titoli di testa di ogni medium che abbia memoria dell’immaginario di Hollywood, e qualche sopracciglio in più si solleva (e anche qualche elicottero in più).
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Marò in pericolo: disastro-Italia, grazie al ministro Terzi
La catastrofe diplomatica sui due fucilieri di Marina (a questo punto vittime di una vicenda più grande di loro) Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sancisce la definitiva retrocessione dell’Italia nella serie B della politica internazionale di un mondo dove ormai siamo del tutto marginali. Presunzione, pressapochismo, colonialismo mentale che diventa razzismo strisciante, il cantarsela e suonarsela autoconvincendosi di avere ragione come se le balle che politici e giornalisti italiani raccontano tutti giorni all’opinione pubblica contassero qualcosa al di fuori dei nostri ristrettissimi confini, testimoniano di un paese che non è solo allo sbando ma è anche incapace di prendere atto del suo posto nel mondo.
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Travaglio: Grasso evitò di indagare Schifani, difeso dal Pd
«I 5 Stelle che han votato Grasso contro Schifani sapevano bene chi è Schifani e hanno scelto il meno peggio, cioè Grasso, ma non avevano la più pallida idea di chi è Grasso». E questo è un bel problema, dice Marco Travaglio, specie per chi dice di informarsi sul web per sfuggire alla propaganda di regime: «Se l’avessero fatto davvero, avrebbero scoperto che il dualismo Schifani-Grasso era finto». Schifani è sempre piaciuto al Pd, che infatti cinque anni fa «non gli candidò nessuno contro, votò scheda bianca e mandò la Finocchiaro a baciarlo sulla guancia». Quando poi lo stesso Travaglio raccontò in televisione «chi è Schifani», i primi ad attaccarlo furono Finocchiaro, Violante, Gentiloni, il direttore di “Rai3” Ruffini e “Repubblica”. «Schifani era il pontiere dell’inciucio Pdl-Pd. Così come Grasso che, per evitare attacchi politici, s’è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini più scomode su mafia e politica, mentre altri pm pagavano e pagano prezzi indicibili per le loro indagini».
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Antonini: prima del mio stipendio, la verità su Viareggio
Mi restituite il lavoro? No, grazie. Prima di tutto, serve la verità sul rogo di Viareggio, quei 32 morti e 25 feriti del 29 giugno 2009. Riccardo Antonini è irremovibile: rifiuta l’accordo sul reintegro, già accettato dall’ad delle Ferrovie, Mauro Moretti, e vuole un regolare processo sul suo caso: licenziato per aver detto verità scomode su quel disastro. Il rogo di Viareggio, scrive Claudio Giorno sul suo blog, puzza di strage di Stato: mentre gli apparati di potere si coprono, per il momento a pagare è solo chi si è dato disponibile a testimoniare di fronte ai giudici le discutibili “scelte aziendali” all’origine del disastro. Tagli pericolosi, che forse nessun giudice riuscirà a individuare come causa diretta della morte di tante persone innocenti, ma che «sicuramente sono alla base dello stato di abbandono in cui nelle ferrovie italiane versa ogni settore che non sia funzionale agli appalti sempre più costosi del progetto Alta Velocità».
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Votare? Non abbiamo scampo: ha già deciso tutto Bruxelles
Scusate, votare per cosa? «Fra Vendola e Monti lo spazio di manovra è non più dello 0,1%», considerando le scelte che contano. E Grillo? «Ancora meno, perché il suo team è talmente scadente che neppure riuscirebbe a capire come si paga lo stipendio di un bidello». Paolo Barnard è esasperato: «Nessuno degli uomini o delle donne che oggi si azzuffano nelle liste elettorali, premier o parlamentari, vi potrà governare nei prossimi 5 anni». Gli attuali candidati «eseguiranno solo ordini impartiti da tecnocrati europei, dai Trattati europei e dai mercati finanziari», perché il Wto, l’Unione Europea e trattati come il Gats hanno già decretato la fine sostanziale della nostra sovranità, quella per cui ha senso partecipare alla vita pubblica attraverso le elezioni. «Inutile votare ‘sti politici, inutile leggerne i programmi, guardare i dibattiti tv». Sono soltanto «figure virtuali, impotenti al 99,9%», niente più che «morti viventi».
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Fiscal Compact: ci vogliono morti, ora la sentenza è legge
I giornali ne hanno parlato poco e in termini quasi sempre così “tecnici” da risultare incomprensibili ai non addetti ai lavori. Ma da oggi entra in vigore l’accordo europeo più pericoloso per la vita dei cittadini degli Stati con problemi di bilancio pubblico: il Fiscal Compact. Dal punto di vista “istituzionale” è una preoccupazione comprensibile: c’è il più che forte rischio che la notizia possa pesare negativamente sul declinante “europeismo da gregge” che ha fino a poco tempo fa connotato gli italiani. Con magari forti riflessi elettorali, specie per chi si prensenta come campione degli obblighi europei (Monti in primis, ma anche il Pd, l’Udc e persino berlusconiani e leghisti, che il Fiscal Compact lo hanno firmato mentre erano al governo, anche se la ratifica formale è arrivata solo il 2 marzo 2012 da parte di 25 capi di Stato e di governo (fuori Gran Bretagna e Repubblica Ceca).