Archivio del Tag ‘salute’
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Darpa, Usa: soldati-Ogm invulnerabili, col Dna modificato
Visto che non sarà possibile «produrre tanti vaccini e tanti antivirus per proteggere tutta la popolazione durante una guerra chimica o biologica», perché non provare a trasformare il corpo umano in una “fabbrica” di anticorpi? E’ la domanda, sconcertante, che aleggia attorno alle parole di Steven Walker, il direttore della Darpa, punta di lancia della ricerca applicata alla difesa statunitense. Il Pentagono, avverte l’avvocato neozelandese Darius Shahtahmasebi, sta infatti provando a varcare la frontiera naturale fisiologica. Obiettivo: «Alterare la biologia umana per offrire una adeguata protezione contro attacchi chimici e biologici». Secondo il giurista, esperto di questioni geopolitiche, «arriverà un momento in cui i film di fantascienza si scriveranno da soli: siamo già in una fase in cui forse è solo questione di tempo, e poi si metterà in pratica tutto ciò su cui stanno studiando alcuni scienziati finanziati dal governo per cercare di aiutare le forze armate Usa». Il grande problema, per il Pentagono, sono le armi più eslusive, non convenzionali. Si domanda Walker: «Si riuscirà davvero a proteggere un soldato sul campo di battaglia, dalle armi chimiche e biologiche, controllando il suo genoma?», ovvero «facendo cioè in modo che il suo genoma produca proteine che lo proteggono automaticamente da fattori esterni?».In apparenza, spiega Shahtahmasebi, l’obiettivo della Darpa non è di formare un esercito di super-soldati (anche se la tentazione potrebbe esserci). La vera meta è rendere i militari invulnerabili, di fronte ad agenti tossici. Per questo, la Defense Advanced Research Projects Agency sta sviluppando una nozione nota come “editing genico” (o editing del genoma) con lo scopo di rendere più potente il personale militare americano. «L’editing genico – spiega Shahtahmasebi – è essenzialmente un gruppo di tecnologie che consentono agli scienziati di cambiare il Dna di un organismo, aggiungendo, rimuovendo o alterando materiale genetico in particolari posizioni del genoma». Per ottenere l’immunità assoluta dei soldati, la Darpa ha finora speso 65 milioni di dollari nella ricerca sulla modifica genetica. Come osserva Walker, si possono usare queste tecnologie “per il bene”, oppure “per il male”. A quanto pare, la Darpa cerca di «usarle per il bene, per proteggere i combattenti Usa». Aggiunge l’avvocato Shahtahmasebi: «Se c’è qualcosa per cui sono conosciute le agenzie del governo Usa che lavorano per il Pentagono, è che usano sempre a fin di bene una tecnologia paurosamente pericolosa». E la Darpa è nota per l’uso spericolato della tecnologia. Al punto, ora, da progettare soldati-Ogm trasformando in cavie i miltari statunitensi?Proprio la Darpa, aggiunge il legale, è la stessa agenzia incaricata di sviluppare un «software personalizzato capace di scoprire i falsi [fake news] nascosti tra oltre 500.000 storie, foto, video e clip audio». In altre parole: «La stessa agenzia che sta cercando di creare una razza di super-soldati, deve trovare anche quali sono le notizie false e identificare quali sono i media che fanno disinformazione». Secondo il “Bulletin of the Atomic Scientists”, ci sono molti modi di usare questa tecnologia, per cui «le cose potrebbero andare storte», al punto che la stessa Darpa «vuole anche capire come si può invertire il processo se si dovessero verificare conseguenze indesiderate». Darius Shahtahmasebi si ribella all’idea: «Non riesco a dimenticare – scrive – l’immagine di uno scienziato che ha alterato due embrioni prodotti da un donatore sieropositivo e li ha impiantati in una madre sana, che poi ha dato alla luce due gemelli, con l’intenzione di rendere i bambini resistenti all’Hiv». Secondo uno studio di “Nature Medicine”, le persone che hanno vissuto naturalmente questo stesso tipo di mutazione hanno avuto il 20% in più di probabilità di morire giovani. «Non sorprende che quello scienziato, in Cina, sia costantemente sotto sorveglianza, e che potrebbe dover ancora rispondere per il suo operato».La Darpa fu istituita nel 1957 come risposta al lancio spaziale dello Sputnik da parte dell’Urss. Oggi, ad allarmare l’agenzia sono soprattutto i progressi tecnologici compiuti da Pechino. «Credo che il modo migliore per competere con i nostri antagonisti sia vincere la corsa tecnologica del 21° secolo», ha detto Walker. «La mia preoccupazione più immediata – ammette Shahtahmasebi – sta nel fatto che gli Usa potrebbero presto avere un esercito formato da super-soldati, la cui struttura genetica consentirà loro di resistere a ogni tipo di guerra biologica e chimica; per non parlare di un esercito di robot assassini e di un’enorme quantità di armi nucleari avanzate, combinate con una allegra dottrina nucleare del “prima sparo e poi ti chiedo il permesso”». La domanda su dove tracciare la linea, conclude Shahtahmasebi, non è solo a carattere scientifico, ma anche esistenziale: «Ci dovrà pur essere un punto in cui dovremo dire di averne abbastanza della guerra, e nel quale potremo smetterla di focalizzare le nostre energie e le nostre risorse su come fare un’altra guerra ancora più grande». Molto meglio se comininciassimo a ragionare, finalmente, su «come evitarla, la guerra».(Darius Shahtahmasebi è avvocato e analista politico, abita in Nuova Zelanda e si occupa della politica estera Usa in Medio Oriente, Asia e nella regione del Pacifico. Come legale è abilitato in due giurisdizioni internazionali. Le sue dichiarazioni, rilasciate a “Rt”, sono state tradotte da Bosque Primario per “Come Don Chisciotte” l’11 ottobre 2019).Visto che non sarà possibile «produrre tanti vaccini e tanti antivirus per proteggere tutta la popolazione durante una guerra chimica o biologica», perché non provare a trasformare il corpo umano in una “fabbrica” di anticorpi? E’ la domanda, sconcertante, che aleggia attorno alle parole di Steven Walker, il direttore della Darpa, punta di lancia della ricerca applicata alla difesa statunitense. Il Pentagono, avverte l’avvocato neozelandese Darius Shahtahmasebi, sta infatti provando a varcare la frontiera naturale fisiologica. Obiettivo: «Alterare la biologia umana per offrire una adeguata protezione contro attacchi chimici e biologici». Secondo il giurista, esperto di questioni geopolitiche, «arriverà un momento in cui i film di fantascienza si scriveranno da soli: siamo già in una fase in cui forse è solo questione di tempo, e poi si metterà in pratica tutto ciò su cui stanno studiando alcuni scienziati finanziati dal governo per cercare di aiutare le forze armate Usa». Il grande problema, per il Pentagono, sono le armi più elusive, non convenzionali. Si domanda Walker: «Si riuscirà davvero a proteggere un soldato sul campo di battaglia, dalle armi chimiche e biologiche, controllando il suo genoma?», ovvero «facendo cioè in modo che il suo genoma produca proteine che lo proteggono automaticamente da fattori esterni?».
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Vaccini, 130.000 bambini italiani esclusi da nidi e materne
A guidare la lista dei renitenti è la Puglia, l’unica Regione che abbia approntato un servizio di farmacovigilanza attiva per valutare l’effetto dei vaccini sul corpo dei neonati. Seguono Lombardia e Friuli, quindi Piemonte, Veneto e Toscana. Risultato: oltre 4 bambini su 100 sono stati esclusi dall’asilo o dall’asilo nido per effetto della legge Lorenzin, ratificata dalla pentastellata Giulia Grillo. Parlano i numeri dello “pseudopaper” redatto da un medico, Pier Paolo Dal Monte, animatore del blog “Il Pedante”. Chirurgo e gastroenterologo, il dottor Dal Monte ha raccolto i dati sull’obiezione vaccinale in Italia grazie ai genitori del comitato “Libertà di Scelta”, contrario all’obbligo vaccinale indiscriminato e favorevole alla libera scelta di far vaccinare i propri figli, valutando le singole vaccinazioni. Nel mirino è finito «il diritto all’istruzione pre-primaria», che oggi viene negato «ai bambini da zero a cinque anni». Esclusi, se non vaccinati, pur in assenza di emergenze sanitarie in corso: non si ha notizia, infatti, di epidemie pericolose per la salute. «La stima – scrive Dal Monte sul “Pedante” – ha prodotto un risultato di quasi 130.000 minori oggi esclusi “de iure” dalla possibilità di frequentare gli asili nido e le scuole d’infanzia». Centotrentamila: «Si tratta di un fenomeno che non ha precedenti, neanche lontani, nell’intera storia repubblicana e nazionale».Che la campagna pro-vaccini fosse destinata a incubare strascichi politici lo si è visto nei mesi scorsi, quando Beppe Grillo firmò insieme a Matteo Renzi il “patto per la scienza” promosso da Claudio Burioni: un documento surreale, che considera “scienza” solo le sicurezze dei vaccinisti e chiede addiritttura allo Stato di impedire la ricerca autonoma (violando in tal modo una fondamentale libertà costituzionale). Altro dato notevole: il silenzio assordante con cui i media accolsero l’iniziativa della Puglia, dove il presidente Michele Emiliano, Pd, promosse una campagna di vigilanza attiva (con le famiglie contattate dai sanitari) per monitorare gli effetti dei vaccini polivalenti: 4 bambini pugliesi su 10 risultarono colpiti da reazioni avverse, con casi anche gravissimi. Oggi, Del Monte cerca di tirare le somme: in Puglia è stato escluso dal sistema scolastico il 6% della popolazione interessata (0-5 anni), ben 12.000 “inadempienti” su 187.000. Dati simili in Friuli Venezia Giulia, dove i bambini rimasti a casa sono 3.000 su 52.000 (il 5,7%) e in Lombardia (a casa oltre 17.000 bambini su 345.000, pari al 5%). Appena inferiori le cifre del Piemonte, dove hanno saltato l’asilo quasi 7.000 bambini su 195.000 (il 2,9%). A seguire ci sono il Veneto (2,9%) e Toscana (2,8), dove sono rimasti esclusi dalle scuole dell’infanzia rispettivamente quasi 7.000 bambini su 232.000, e 3.600 piccoli su 129.000.In totale, non ha potuto frequentare il nido o la scuola dell’infanzia il 4,42% degli aventi diritto, precisamente 127.291 bambini (di cui 60.724 esclusi dal nido e 66.567 dalla materna). «Sono tantissimi i motivi per cui questo numero dovrebbe sbalordire», scrive Dal Monte, e il primo di questi è che la cosa «non sbalordisce nessuno». E spiega: il fenomeno è praticamente invisibile, sui media. «Già il fatto di averlo dovuto indovinare da pochi e reticenti trafiletti di giornale, e non da statistiche ufficiali, tradisce il tentativo delle autorità di nascondere l’enormità di ciò che sta avvenendo». Il medico la considera «un’aggressione immotivata o almeno gravemente controversa ai diritti di un centinaio di migliaia di cittadini, oltretutto i più fragili». Per giunta si tratta di «un tentativo evidentemente ben riuscito, se queste masse di sub-cittadini non approdano sulle prime pagine o nel dibattito istituzionale se non nei termini diminutivi, paternalistici e denigratori di sparute frange di disinformati da rieducare alla “ragionevolezza” e alla “scienza” per gli uni, di rumorosi fanatici ossessionati da un “falso problema” per gli altri». Un silenzio imbarazzante ha accompagnato le cattive notizie dal fronte vaccinale: 4.000 militari italiani gravemente malati (e 1.000 già morti, anche a causa di vaccini somministrati incautamente, secondo i medici della commissione parlamentare difesa) e vaccini “sporchi” o inefficaci, secondo le analisi dell’ordine nazionale dei biologi.Sul tema, Pier Paolo Dal Monte ha scritto il libro-denuncia “Immunità di legge”, ovvero “i vaccini obbligatori, tra scienza al governo e governo della scienza” (Arianna editrice). La tesi: l’obbligo vaccinale, insieme alla collegata “condizionalità” dei diritti sociali, rappresenta «il banco di prova oggi più avanzato di un attacco combinato alla democrazia». Un attacco ai cittadini, «irregimentandone non più le idee o i patrimoni, ma direttamente la sostanza fisica in cui esistono». E un attacci anche alla scienza, «con l’intimidazione delle voci dissonanti e la forzatura di un falso consenso». Dal Monte è allarmato: l’offensiva, avverte, «è solo agli inizi», e il suo dispositivo coercitivo «promette di estendersi ben oltre le punture contro le pustole». A due anni dal varo del decreto Lorenzin, «appare vieppiù stomachevole e osceno l’atteggiamento di una classe politica – tutta – intenta a sopire e troncare, a far passare per normale l’idea che all’improvviso si debbano medicalizzare, discriminare e perseguitare milioni di persone perché lo ha deciso la Casa Bianca, senza altro domandarsi». Fu infatti Obama a stabilire che l’Italia diventasse il paese-cavia, in Europa, della nuova sperimentazione vaccinale (che ha gonfiato il business di Big Pharma). Ma il dottor Dal Monte non si arrende: «Non se la caveranno così. La storia insegna che quando mancano buoni argomenti – come è questo il caso – movimenti di resistenza così numerosi si possono sconfiggere solo con la repressione e le purghe».A guidare la lista dei renitenti è la Puglia, l’unica Regione che abbia approntato un servizio di farmacovigilanza attiva per valutare l’effetto dei vaccini sul corpo dei neonati. Seguono Lombardia e Friuli, quindi Piemonte, Veneto e Toscana. Risultato: oltre 4 bambini su 100 sono stati esclusi dall’asilo o dall’asilo nido per effetto della legge Lorenzin, ratificata dalla pentastellata Giulia Grillo. Parlano i numeri dello “pseudopaper” redatto da un medico, Pier Paolo Dal Monte, animatore del blog “Il Pedante”. Chirurgo e gastroenterologo, il dottor Dal Monte ha raccolto i dati sull’obiezione vaccinale in Italia grazie ai genitori del comitato “Libertà di Scelta”, contrario all’obbligo vaccinale indiscriminato e favorevole alla libera scelta di far vaccinare i propri figli, valutando le singole vaccinazioni. Nel mirino è finito «il diritto all’istruzione pre-primaria», che oggi viene negato «ai bambini da zero a cinque anni». Esclusi, se non vaccinati, pur in assenza di emergenze sanitarie in corso: non si ha notizia, infatti, di epidemie pericolose per la salute. «La stima – scrive Dal Monte sul “Pedante” – ha prodotto un risultato di quasi 130.000 minori oggi esclusi “de iure” dalla possibilità di frequentare gli asili nido e le scuole d’infanzia». Centotrentamila: «Si tratta di un fenomeno che non ha precedenti, neanche lontani, nell’intera storia repubblicana e nazionale».
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Di Maio ci offre un caffè: tanto vale il taglio delle Camere
Sapete quanto vale, nelle nostre tasche, il regalone che ci ha appena fatto Luigi Di Maio con il taglio di un terzo dei parlamentari? Un caffè all’anno, per ognuno di noi. Che lusso, davvero. A fare il conticino della vergogna è l’antropologo Marco Giannini, già grillino “eretico”, in rotta con Grillo e soci dopo il tentato trasbordo, a Strasburgo, tra le fila degli euro-fanatici dell’Alde, il club “lacrime e sangue” di Verhofstadt e Monti. E’ passato qualche anno: all’epoca, Di Maio e Di Battista cantavano ancora nello stesso coro, all’opposizione. Poi è arrivata l’anomala e precaria stagione “grilloverde”, con Di Maio trasformato in vicepremier “di cittadinanza” per tentare di mascherare i bidoni rifilati, uno dopo l’altro, agli elettori del MoVimento. Ma che la recita stesse per finire lo si capì già in primavera, quando Grillo firmò (con Renzi, tu guarda) il mitico “Patto per la Scienza”, cioè il tradimento definitivo di qualsiasi promessa “free-vax”. E infatti adesso eccoli là, Beppe e Matteo, impegnati a tenere in piedi l’imbarazzante Conte-bis, anche col penoso stratagemma della riduzione del numero di deputati e senatori. Depistaggi puerili, sembra dire Giannini: l’Italietta traballa, strattonata tra Usa e Russia e tritata dall’asse franco-tedesco che la costringe a grattare il fondo del barile (leggasi Iva). All’orizzonte, il nulla sta per essere oscurato dal peggio? Ma niente paura: ecco il prode Di Maio che sforbicia il Parlamento.«Cosa bolle in pentola nello Stivale?», si domanda Giannini. «Questioni di una pericolosità senza precedenti, ma il governo – afferma – reagisce cercando di distrarre l’opinione pubblica con un provvedimento forse condivisibile ma economicamente ridicolo». Secondo Giannini, si tratta di una strategia «comprensibile dal punto di vista mediatico, ma che fallirà». C’è ben altro, sulla bilancia: «I dazi Usa contro il nostro paese sono un monito terrificante: gli americani ci lasciano al nostro destino, cioè soli di fronte alle arroganti violenze economico-finanziarie e geopolitiche francesi e tedesche». Visione impietosa: «Più che una penisola siamo una barchetta, o meglio un barcone in attesa di un… ciclone». E non è per niente casuale, secondo Giannini, che tutto ciò «coincida con l’emergere di questioni oscure riguardanti servizi segreti e spionaggio internazionale (vedasi il premier Conte), perché queste questioni le hanno volute rendere pubbliche proprio gli Usa». Esplicito e brutale, per Giannini, il messaggio dello Zio Sam: cari italiani, non siete più il nostro partner privilegiato in Ue.«Se si esclude il periodo della Seconda Guerra Mondiale – aggiunge Giannini – ho la vaga (e fondata) sensazione che i rapporti del governo italiano con gli americani non siano di buon sangue». Nel frattempo, purtroppo, «si riacutizza il problema delle tragedie nel Mediterraneo, causate dalla ingannevole attrattiva dei porti di nuovo aperti». Ingannevole, certo, «perché attraversare il mare in mano a degli scafisti per giungere in un paese privo di lavoro è una trappola», piaccia o no al pelosissimo buonismo nazionale, caro ai sacerdoti del politically correct. Comunque la si veda, siamo in un oceano di guai. «E proprio in questo contesto si inserisce il dimezzamento dei parlamentari». Ebbene: «Quanto fa risparmiare a ogni italiano? Il costo di un caffè all’anno». Solo fuffa, dunque, e senza neppure un disegno istituzionale alle spalle: si teme infatti che la nuova legge elettorale (ridisegno dei collegi, per adeguarli alla riduzione della rappresentanza) verrebbe improvvisata in extremis, in base alla convenienza del momento dettata dai sondaggi. Per ora i partiti hanno votato compatti, sfilando a Di Maio il monopolio dell’eroica riforma, che poi non è ancora detto che diventi davvero legge. Intanto, Giannini osserva: «Stiamo ballando sul Titanic, e i pentastellati stanno elargendo “generosamente” dilettantismo: un dilettantismo che non ha i tratti del solo Luigi Di Maio».Sapete quanto vale, nelle nostre tasche, il regalone che ci ha appena fatto Luigi Di Maio con il taglio di un terzo dei parlamentari? Un caffè all’anno, per ognuno di noi. Che lusso, davvero. A fare il conticino della vergogna è l’antropologo Marco Giannini, già grillino “eretico”, in rotta con Grillo e soci dopo il tentato trasbordo, a Strasburgo, tra le fila degli euro-fanatici dell’Alde, il club “lacrime e sangue” di Verhofstadt e Monti. E’ passato qualche anno: all’epoca, Di Maio e Di Battista cantavano ancora nello stesso coro, all’opposizione. Poi è arrivata l’anomala e precaria stagione “grilloverde”, con Di Maio trasformato in vicepremier “di cittadinanza” per tentare di mascherare i bidoni rifilati, uno dopo l’altro, agli elettori del MoVimento. Ma che la recita stesse per finire lo si capì già in primavera, quando Grillo firmò (con Renzi, tu guarda) il mitico “Patto per la Scienza”, cioè il tradimento definitivo di qualsiasi promessa “free-vax”. E infatti adesso eccoli là, Beppe e Matteo, impegnati a tenere in piedi l’imbarazzante Conte-bis, anche col penoso stratagemma della riduzione del numero di deputati e senatori. Depistaggi puerili, sembra dire Giannini: l’Italietta traballa, strattonata tra Usa e Russia e tritata dall’asse franco-tedesco che la costringe a grattare il fondo del barile (leggasi Iva). All’orizzonte, il nulla sta per essere oscurato dal peggio? Ma niente paura: ecco il prode Di Maio che sforbicia il Parlamento.
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I 5 Stelle contro Di Maio e Rousseau: vogliamo democrazia
Altro che festa: nel decimo compleanno del Movimento 5 Stelle, scrive Elisa Calessi su “Libero”, i malumori di tanti attivisti e portavoce prendono forma in un documento che è un atto di accusa agli attuali vertici. È la Carta di Firenze 2019, pubblicata a mezzanotte, allo scadere del giorno che segna l’anniversario della nascita del Movimento. «Si chiede maggiore trasparenza e democrazia interna, coerenza e rispetto dei principi non trattabili, una riorganizzazione che parta dal basso, una rivisitazione dei processi partecipativi, e una riformulazione dei metodi di selezione delle candidature, delle nomine e di valutazione dei portavoce». Fa male, aggiunge la Calessi, perché a scriverla è chi sta ancora dentro il Movimento e non vuole andarsene: «Sono quelli che lamentano un tradimento delle origini. E sono tanti. Molto più dei firmatari della Carta». A dieci anni dal giorno in cui la creatura di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ha preso vita, scrivono, «il nostro cuore batte ancora per il Movimento 5 Stelle», definito «un modello concreto, un profondo cambiamento culturale, una rivoluzione pacifica e non violenta, un grande esempio mondiale di democrazia dal basso». Eppure, aggiungono, «da tempo assistiamo al dissolversi di questo progetto politico».«In nome di una fraintesa responsabilità di governo – si legge, nella Carta di Firenze – il Movimento ha rinunciato ai propri principi identitari: dalla lotta per la ricostruzione di uno stato sociale massacrato da trent’anni di neoliberismo fino alla battaglia per la conquista della piena sovranità nazionale». Aggiungono i firmatari: «Riceviamo sia per strada che sul web accuse sempre più sferzanti sulle promesse non mantenute e sui compromessi al ribasso». E ne soffrono: «La nostra coscienza di attivisti si ribella e ci impone di riportare il M5S al pieno rispetto dei suoi valori con perseveranza e soprattutto coerenza». I dissidenti sono convinti che «in questo momento così delicato per il futuro del M5S» si debba «ristabilire un rapporto paritetico» tra la base e gli eletti, a ogni livello, «poi aprire un confronto trasparente e partecipato sugli obiettivi politici e sulle forme organizzative del Movimento stesso». Secondo loro «si tratta di una necessità impellente, assolutamente essenziale» per continuare insieme quello che definiscono «questo progetto meraviglioso», e quindi «ritrovare quell’identità che oggi appare sbiadita».Gli aspiranti riformatori grillini avanzano alcune proposte, come riassume Elisa Calessi: vorrebbero convocare un’assemblea nazionale (la prima, nella storia storia) per avviare «un processo di riforma dello Statuto». In altre parole, democrazia: vorrebbero infatti «attribuire all’assemblea il potere di esprimersi sulle cariche interne, tutte elettive». Premono inoltre per «la revisione dello Statuto e il superamento della figura del capo politico», cioè Luigi Di Maio, «con l’introduzione di organi elettivi e collegiali a livello nazionale, regionale e provinciale». Infine, chiedono «piena proprietà e gestione del sistema operativo Rousseau», da togliere alla Casaleggio Associati e consegnare al Movimento 5 Stelle. Per quanto riguarda il rispetto dei principi non trattabili spunta la «libertà di autodeterminazione al trattamento sanitario», quindi contro l’obbligo vaccinale introdotto da Beatrice Lorenzin e confermato da Giulia Grillo. Il bersaglio evidentemente è Luigi Di Maio, insieme al gruppo dirigente a lui vicino, annota Calessi. L’ex vicepremier gialloverde, ora impalpabile ministro degli esteri, è accusato di «aver accentrato troppi poteri, tradendo la natura del Movimento». Critiche che, sia pure senza essere espresse con piena chiarezza, «vengono condivise anche da tanti portavoce eletti in Parlamento».Altro che festa: nel decimo compleanno del Movimento 5 Stelle, scrive Elisa Calessi su “Libero”, i malumori di tanti attivisti e portavoce prendono forma in un documento che è un atto di accusa agli attuali vertici. È la Carta di Firenze 2019, pubblicata a mezzanotte, allo scadere del giorno che segna l’anniversario della nascita del Movimento. «Si chiede maggiore trasparenza e democrazia interna, coerenza e rispetto dei principi non trattabili, una riorganizzazione che parta dal basso, una rivisitazione dei processi partecipativi, e una riformulazione dei metodi di selezione delle candidature, delle nomine e di valutazione dei portavoce». Fa male, aggiunge la Calessi, perché a scriverla è chi sta ancora dentro il Movimento e non vuole andarsene: «Sono quelli che lamentano un tradimento delle origini. E sono tanti. Molto più dei firmatari della Carta». A dieci anni dal giorno in cui la creatura di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ha preso vita, scrivono, «il nostro cuore batte ancora per il Movimento 5 Stelle», definito «un modello concreto, un profondo cambiamento culturale, una rivoluzione pacifica e non violenta, un grande esempio mondiale di democrazia dal basso». Eppure, aggiungono, «da tempo assistiamo al dissolversi di questo progetto politico».
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Gli scienziati: 5G e cancro. Il voto alla Camera: fermiamolo
Cancro, danni al Dna, riduzione della fertilità. «Fermate il 5G, potenzialmente pericoloso per la salute, in attesa che la scienza ne chiarisca il reale impatto sul nostro corpo». In vista del voto alla Camera il 7 ottobre, lo chiedono Sara Cunial del gruppo misto e quattro colleghi, le grilline Gloria Vizzini e Veronica Giannone più Silvia Benedetti (gruppo misto) e Manfred Schullian (minoranze linguistiche). Per la prima volta, annuncia Sara Cunial, ai parlamentari sarà sottoposto «un testo importantissimo», con cui si chiede di impegnare il governo a «sospendere qualsiasi forma di sperimentazione tecnologica del 5G nelle città italiane, in attesa della produzione di sufficienti evidenze scientifiche per giudicarne l’innocuità». Il governo viene anche invitato a «mantenere gli attuali valori-limite previsti dalla legge», riguardo alla soglia d’irradiazione elettromagnetica (che il 5G farebbe salire alle stelle). All’esecutivo “ecologista” di Giuseppe Conte, che annuncia un “green new deal”, si chiedono «iniziative per minimizzare il rischio» e anche l’introduzione di clausole di risarcimento, nei contratti delle aziende incaricate di predisporre la potentissima rete wireless di quinta generazione. Si chiede inoltre uno studio sugli effetti biologici delle radiofrequenze presso un ente indipendente che non sia l’Icnirp, accusato di conflitto d’interessi.Forti di una petizione sottoscritta da 11.000 cittadini, grazie all’alleanza italiana “Stop 5G” che ha coinvolto parlamentari e consiglieri regionali, sindaci, avvocati, scienziati e medici, nonché tecnici, giornalisti, movimenti e partiti, associazioni di malati e comitati civici, Sara Cunial e colleghi pretendono anche «una commissione di vigilanza permanente, per un monitoraggio finalmente serio e attendibile degli effetti che i campi elettromagnetici possono avere sulla salute umana». E’ allarme: con il 5G la nostra esposizione aumenterebbe in modo abnorme, grazie ad antenne collocate ovunque, a poche centinaia di metri l’una dall’altra. Più di 200 scienziati di tutto il mondo hanno rivolto un appello all’Ue per chiedere il blocco della tecnologia 5G a causa delle crescenti preoccupazioni per l’aumento delle radiazioni da radiofrequenza e dei relativi rischi per la salute. Un altro appello, sottoscritto da 54.000 cittadini, ha raccolto le adesioni di ricercatori e organizzazioni di 168 paesi al mondo e mette a disposizione una bibliografia ricchissima che attesta numerosi rischi biologici da elettrosmog. In Italia è stata avviata una prima sperimentazione nelle città di Prato, L’Aquila, Matera, Bari e Milano, a cui si sono aggiunte Roma, Torino e in ultimo Genova e Cagliari. Sono poi stati individuati 120 piccoli Comuni italiani in cui è prevista l’estensione della fase sperimentale del 5G.A insospettire decine di cittadini è stato il taglio improvviso dei grandi alberi nei parchi cittadini, in tutta la penisola: strano fenomeno, segnalato nei mesi scorsi al video-reporter Massimo Mazzucco. Due documenti ufficiali del governo inglese, conferma Mazzucco, certificano che «alberi e arbusti con un denso fogliame provocano un disturbo nella propagazione del segnale». Il 5 G è una rete veloce, capillare ed efficiente: può consentire di gestire ogni sorta di dispositivo. Il suo uso non sarà limitato alla navigazione ultra-veloce su Internet via smartphone e tablet, ma consentirà di creare una rete istantanea a cui ogni singolo dispositivo elettronico, anche domestico, sarà collegato. Le “smart city” del futuro saranno tutte collegate con il 5G: la nuova rete permetterà di gestire tutti i servizi e i dispositivi urbani. Viabilità e gestione del traffico, servizi per il cittadino, sensori di sicurezza e videosorveglianza: tutto sarà connesso e gestibile da remoto attraverso questa rete veloce e “a bassa latenza”, cioè onnipresente. Come si può immaginare, ci troviamo davanti ad un enorme giro d’affari: introiti che nel 2026 si aggireranno sui 1.307 miliardi di dollari.Saranno letteralmente rivoluzionati settori-chiave come l’agricoltura e la sanità, ma anche i trasporti e i media, l’intrattenimento, l’automotive e il commercio, i servizi finanziari e l’industria manifatturiera. Le infrastrutture del 5G vedono protagonisti colossi come Nokia, Ericsson, Cisco e Zte, ma anche Huawei. «Ben si comprende perché proprio quest’ultimo colosso cinese possa trovarsi al centro di un braccio di ferro con gli Usa, fortemente contrari alla presenza di Huawei all’interno del mercato delle infrastrutture “mobile” a causa di un possibile spionaggio internazionale da parte della Cina», scive il blog giuridico dello studio Cataldi. Secondo alcuni analisti politici, tra i motivi alla base della rottura del governo gialloverde ci sarebbe proprio il ruolo di Huawei in Italia: alla Lega di Salvini, anche convocando Giorgetti a Washington, gli Usa avrebbero inutilmente chiesto di far annullare gli impegni presi con il gigante cinese per la gestione della rete 5G. «In Italia – aggiunge lo studio Cataldi – la sfida per la copertura 5G è stata vinta da Tim e Vodafone, seguite da Wind-Tre e Iliad: le prime sperimentazioni sono attese per metà 2019, ma il debutto ufficiale è previsto nel il 2020. I primi telefonini dovrebbero essere sul mercato già dall’estate».Sara Cunial e colleghi ora chiedono al Conte-bis di «promuovere la ricerca di tecnologie più sicure, meno pericolose e alternative al wireless, come il cablaggio». Il governo italiano è invitato a farsi promotore, in sede Ue, di una revisione complessiva di tutta la normativa europea in materia. Quella ispirata dalle raccomandazioni dell’Icnirp, la “Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti”, contiene disposizioni inattendibili perché «in evidente conflitto di interessi, causa riconosciuti legami con le lobby delle telecomunicazioni». Quella sottoposta alla Camera è una mozione supportata da evidenze scientifiche di peso internazionale. Da quest’anno, le radiofrequenze del wireless di quinta generazione sono considerate pericolose dallo Scheer, il Comitato scientifico sui rischi sanitari e ambientali dell’Ue, fino a ieri “negazionista” sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici. Lo Scheer afferma che il «5G lascia aperta la possibilità di conseguenze biologiche». I campi elettromagnetici a radiofrequenza (Cem-Rf) promuovono lo stress ossidativo, una condizione implicata nello sviluppo del cancro, in diverse malattie acute e croniche e nell’omeostasi vascolare. Recenti studi – si legge nel testo integrale della mozione parlamentare – hanno anche suggerito effetti sulla riproduzione, metabolici e neurologici in grado di alterare la resistenza batterica agli antibiotici.Quest’anno, l’Alleanza contro il cancro (fondata nel 2002 dal ministero della salute e di cui fa parte l’Istituto superiore di sanità) ha ufficializzato un progetto di studio sul glioblastoma, tumore maligno del cervello, per il quale sono ipotizzate correlazioni con le onde elettromagnetiche. La legge 36 del 2001, in teoria, protegge gli italiani “dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” anche mediante la promozione dalla ricerca scientifica. Obiettivo: valutare gli effetti e sviluppare l’innovazione tecnologica finalizzata a minimizzare l’intensità dell’esposizione. Lo stesso articolo 168 del Trattato di Lisbona impegna gli Stati a «proteggere la popolazione dai potenziali effetti nocivi dei campi elettromagnetici». Sebbene alcune evidenze scientifiche siano tuttora controverse, scrive la relazione sottoposta alla Camera, già nel 2011 l’Oms ha classificato i Cem-Rf come «possibile cancerogeno per l’uomo». Proprio in questi giorni, lo Iarc ha ufficializzato una rivalutazione della classificazione generale sulla cancerogenesi, che potrebbe comportare l’innalzamento delle radiofrequenze come «probabile agente cancerogeno». Problema: l’esito finale della riclassificazione è previsto entro i prossimi cinque anni. Inoltre, un ampio studio del 2018 a cura del programma nazionale di tossicologia degli Usa (National toxicology program), ha dimostrato un aumento significativo dell’incidenza del cancro cerebrale e del tumore al cuore negli animali esposti a campi elettromagnetici anche a livelli inferiori a quelli fissati nelle attuali linee-guida dell’Icnirp.«Peraltro, le linee-guida del monitoraggio si limitano per ora ad analizzare i soli “effetti termici a breve termine” simulati su manichini riempiti di gel», affermano Sara Cunial e gli altri parlamentari in allarme per il 5G. Impossibile fidarsi dell’Icnirp, «organismo privato con sede in Germania, già al centro di numerose polemiche e attacchi da parte di scienziati, medici e ricercatori di mezzo mondo». L’icnirp è stato spesso accusato di «conflitti d’interesse, contiguità con la lobby delle telecomunicazioni e scarsa trasparenza nell’operato». Inoltre, sempre secondo i firmatari della mozione italiana, l’Icnirp è «fermo su parametri obsoleti e superati dalla letteratura biomedica più recente», nonché «sostenitore di una tesi negazionista sui cosiddetti effetti non termici a medio-lungo termine dei Cem-Rf». Nel 2017, il medico svedese Lennart Hardell (il ricercatore più eminente al mondo sui rischi di tumore del cervello connessi all’uso a lungo termine dei telefoni cellulari) ha pubblicato sulla rivista scientifica “International Journal of Oncology” una dura critica all’Icnirp, avallata da alcuni esponenti politici del Consiglio d’Europa: non ci sono prove, sostiene Hardell, che l’Icnirp sia un’associazione di scienziati indipendenti e che sia l’interlocutore giusto per valutare gli effetti delle radiofrequenze.Martin Pali, professore emerito di biochimica e scienze mediche di base della Washington State University, nel 2018 ha denunciato «il pericolo per la salute umana derivabile dalle radiofrequenze e dal 5G», puntando il dito su «storture, falle metodologiche e grossolani limiti di contenuto evidenziati nel controverso documento diffuso dell’Icnirp». Secondo Pali, le raziazioni del 5G ci espongono ad almeno otto pericoli dimostrati: danni cellulari al Dna con rottura dei filamenti e ossidazione delle basi, diminuzione della fertilità maschile e femminile, aumento di aborti spontanei, abbassamento di ormoni come estrogeni, progesterone e testosterone, abbassamento della libido. E ancora: danni neurologici e neuropsichiatrici, apoptosi e morte cellulare; stress ossidativo e aumento dei radicali liberi (responsabili della maggior parte delle patologie croniche), nonché effetti ormonali, aumento del calcio intracellulare e infine “effetto cancerogeno” sul cervello, sulle ghiandole salivari e sul nervo acustico. Olle Johansson, neuroscienziato del Karolinska Institute (che assegna il Premio Nobel per la fisiologia e la medicina) ha affermato che la prova del danno causato dai campi elettromagnetici a radiofrequenza «è schiacciante».Un altro scienziato, Ronald Powell, fisico laureato ad Harvard e che ha lavorato presso la National Science Foundation e l’Istituto nazionale degli standard e della tecnologia, condivide preoccupazioni simili riguardo al potenziale danno diffuso dalle radiazioni a radiofrequenza. Recenti studi pubblicati nel 2018, realizzati dal Centro per ricerca sul cancro dell’Istituto Ramazzini, evidenziano poi «un aumentato rischio, sia per i tumori alla testa sia per gli schwannomi, il più pericoloso dei quali è il tumore cardiaco». Sono risultati «basati sulla sperimentazione animale su cavie uomo-equivalenti», che si sommano agli ultimi studi epidemiologici sugli utilizzatori di cellulari condotti dall’oncologo Lennart Hardell. Tutte ricerche che «fanno concludere agli studiosi che è tempo di aggiornare la classificazione Iarc». La stessa Ue ammette che i campi elettromagnetici «sono altamente focalizzati dai raggi, variano rapidamente con il tempo e il movimento», e proprio per questo «sono imprevedibili». Il problema, aggiunge Bruxelles, è che al momento «non è possibile simulare o misurare accuratamente le emissioni di 5G al di fuori del laboratorio, nel mondo reale».Altro rischio per la salute, l’elettrosensibilità accentuata dal 5G: già nel 2004 l’Oms denunciato a Praga questa «sindrome altamente invalidante e fortemente in crescita nei paesi occidentali e industrializzati». Una malattia definita come «un fenomeno in cui gli individui avvertono gli effetti avversi sulla salute quando sono in prossimità di dispositivi che emanano campi elettrici, magnetici o elettromagnetici». I ricercatori stimano che circa il 3% della popolazione mondiale ha gravi sintomi associati alla elettrosensibilità, mentre un altro 35% della popolazione ha sintomi moderati come «deficit del sistema immunitario o malattie croniche». In Italia, dal 2013, la sindrome è stata riconosciuta dalla Regione Basilicata e inclusa nell’elenco delle malattie rare. «In questo scenario in evoluzione, sebbene gli effetti biologici dei sistemi di comunicazione 5G siano scarsamente studiati (mancando uno studio preliminare degli effetti sulla salute), è iniziato un piano d’azione internazionale per lo sviluppo di reti 5G con un prossimo incremento nel numero di dispositivi e nella densità di piccole celle e con l’uso di onde millimetriche», avvertono Cunial, Vizzini, Giannone, Benedetti e Schullian.Non c’è da stare tranquilli: «Osservazioni preliminari hanno mostrato che le onde millimetriche aumentano la temperatura della pelle, alterano l’espressione genica, promuovono la proliferazione cellulare e la sintesi di proteine legate allo stress ossidativo». Le microonde del 5G, inoltre, causano «processi infiammatori e metabolici, possono generare danni oculari e influenzare le dinamiche neuromuscolari». Per questo «sono necessari ulteriori studi per esplorare meglio e in modo indipendente gli effetti sulla salute dei Cem-Rf in generale e delle onde millimetriche in particolare», insistono i cinque parlamentari. Secondo diversi scienziati, sono necessari ulteriori studi per esplorare in modo migliore e indipendente gli effetti sulla salute (dei campi elettromagnetici a radiofrequenza in generale, e delle microonde millimetriche del 5G in particolare). «Tuttavia, i risultati disponibili appaiono sufficienti per dimostrare l’esistenza di effetti biomedici, per invocare il principio di precauzione, per definire i soggetti esposti come potenzialmente vulnerabili e per rivedere i limiti esistenti». I promotori si augurano che la mozione alla Camera metta fine «alla svendita dei nostri diritti sanitari e ambientali, ceduti per soddisfare interessi economici». Chiosa Sara Cunial: «Confidiamo che il voto in aula sia unanime e che riacquistino priorità il principio di precauzione, i diritti dei cittadini e la nostra stessa Costituzione, che prescrive la tutela della salute pubblica».Cancro, danni al Dna, riduzione della fertilità. «Fermate il 5G, potenzialmente pericoloso per la salute, in attesa che la scienza ne chiarisca il reale impatto sul nostro corpo». In vista del voto alla Camera il 7 ottobre, lo chiedono Sara Cunial del gruppo misto e quattro colleghi, le grilline Gloria Vizzini e Veronica Giannone più Silvia Benedetti (gruppo misto) e Manfred Schullian (minoranze linguistiche). Per la prima volta, annuncia Sara Cunial, ai parlamentari sarà sottoposto «un testo importantissimo», con cui si chiede di impegnare il governo a «sospendere qualsiasi forma di sperimentazione tecnologica del 5G nelle città italiane, in attesa della produzione di sufficienti evidenze scientifiche per giudicarne l’innocuità». Il governo viene anche invitato a «mantenere gli attuali valori-limite previsti dalla legge», riguardo alla soglia d’irradiazione elettromagnetica (che il 5G farebbe salire alle stelle). All’esecutivo “ecologista” di Giuseppe Conte, che annuncia un “green new deal”, si chiedono «iniziative per minimizzare il rischio» e anche l’introduzione di clausole di risarcimento, nei contratti delle aziende incaricate di predisporre la potentissima rete wireless di quinta generazione. Si chiede inoltre uno studio sugli effetti biologici delle radiofrequenze presso un ente indipendente che non sia l’Icnirp, accusato di conflitto d’interessi.
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Strage di poliziotti e carabinieri, 44 suicidi negli ultimi mesi
Né mafia né criminalità comune. La prima causa di morte violenta tra le forze di polizia è il suicidio. Strisciante e imprevedibile, la belva dell’anima azzanna nel silenzio e non molla la presa. Dall’inizio dell’anno sono 44 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita. Per lo più con l’arma di ordinanza. «Un morto a settimana. È un dato impressionate che dovrebbe indurre i vertici delle varie amministrazioni a riflettere. Non cerchiamo colpevoli, ma antidoti. Se non iniziamo a interrogarci sul fenomeno, rischiamo di piangere altri morti», dice Roberto Loiacono, della Funzione Pubblica della Cgil di Torino. Un dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Torino, rivolto agli operatori del settore, ha delineato un quadro inquietante. E sono soprattutto i dati raccolti a livello nazionale dall’associazione Cerchio Blu, che da anni si occupa di sostegno psicologico per le forze di polizia, a rappresentare la gravità del fenomeno. L’86% di chi si toglie la vita, tra carabinieri, polizia, finanza, penitenziaria e polizie locali, lo fa utilizzando la pistola d’ordinanza. La maggiore concentrazione di casi si registra nel Nord: 42% contro il 31,4% di eventi avvenuti nel Sud e nelle isole.La fascia di età “a rischio” va dai 45 e ai 64 anni, che racchiude il 58,13% di suicidi. Segue la fascia tra i 25 e i 44 anni, con il 34,48%. I picchi si sono registrati tra i 43 e 44 anni, e tra 52 e i 49 anni. Il 30,7 % lo ha fatto in un luogo privato, il 27,9% sul posto di posto di lavoro. Il 31% dei casi in estate, il 24% inverno. «Il problema va affrontato con estrema cautela perché i casi sono in aumento», spiega Graziano Lori, presidente dell’associazione Cerchio Blu: «Ci sono paesi, come la Francia, dove la situazione è addirittura più drammatica della nostra». Nel 2014 i suicidi erano stati 43; 34 nel 2015 e nel 2016; 28 nel 2017 e 29 nel 2018. Le polizie locali o municipali, ex vigili urbani, registrano il più alto tasso di suicidi femminili: il 52,6%. I corpi di polizia locale accolgono il 36% di donne in divisa, percentuale più alta rispetto alle altre forze dell’ ordine. A livello nazionale ci sono stati 5 episodi, di cui 2 in un arco temporale di 5 mesi nella sola provincia di Torino.«Spesso i comandanti o i funzionari apicali – spiega Emiliano Bezzon, comandante della polizia municipale di Torino – affrontano il problema da un punto di vista di puro rispetto delle norme per evitare ripercussioni sul piano della responsabilità. Non basta togliere l’arma d’ordinanza quando si manifesta un disagio. Io la vedo diversamente. Bisogna andare al di là della semplice gestione del personale. Bisogna prendersi cura delle persone, occuparsi delle criticità individuali». Quali sono i fattori che incidono di più? I contesti lavorativi o le dinamiche personali? Il fenomeno è seguito da un osservatorio nazionale ma i correttivi «andrebbero affrontati con maggior coraggio dalle amministrazioni centrali, che invece preferiscono nascondere il problema», dicono i sindacati. «Tra le valutazioni del rischio lavorativo non è compresa quella dello stress correlato», afferma Nicola Rossiello, segretario regionale del Silp Cgil della polizia e coordinatore nazionale sicurezza sul lavoro. «Dobbiamo obbligare le nostre amministrazioni a confrontarsi con la tragicità del fenomeno. A discutere apertamente dei rischi psicosociali che affliggono tutti gli operatori di polizia, qualunque sia la loro divisa».(Massimiliano Peggio, “Il suicidio è la prima causa di morte violenta tra le forze dell’ordine”, da “La Stampa” del 28 settembre 2019; articolo ripreso da “Dagospia”. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore di molti misteri italiani, è sospetta l’altissima percentuale di suicidi tra le forze dell’ordine: i fatti di sangue spesso colpiscono agenti in buona salute psicofisica, senza la minima avvisaglia di depressione. Secondo Franceschetti, è possibile che in alcuni casi i “suicidi”, specie tra ispettori di polizia e sottufficiali dei carabinieri e della Guardia di Finanza, siano in realtà omicidi mascherati).Né mafia né criminalità comune. La prima causa di morte violenta tra le forze di polizia è il suicidio. Strisciante e imprevedibile, la belva dell’anima azzanna nel silenzio e non molla la presa. Dall’inizio dell’anno sono 44 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita. Per lo più con l’arma di ordinanza. «Un morto a settimana. È un dato impressionate che dovrebbe indurre i vertici delle varie amministrazioni a riflettere. Non cerchiamo colpevoli, ma antidoti. Se non iniziamo a interrogarci sul fenomeno, rischiamo di piangere altri morti», dice Roberto Loiacono, della Funzione Pubblica della Cgil di Torino. Un dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Torino, rivolto agli operatori del settore, ha delineato un quadro inquietante. E sono soprattutto i dati raccolti a livello nazionale dall’associazione Cerchio Blu, che da anni si occupa di sostegno psicologico per le forze di polizia, a rappresentare la gravità del fenomeno. L’86% di chi si toglie la vita, tra carabinieri, polizia, finanza, penitenziaria e polizie locali, lo fa utilizzando la pistola d’ordinanza. La maggiore concentrazione di casi si registra nel Nord: 42% contro il 31,4% di eventi avvenuti nel Sud e nelle isole.
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Greta recita: sta minacciando personalmente ognuno di noi
Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena cambiato il frigo e osato concedervi una vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Una viperetta tracotante, livida: ne saranno felcissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è suprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.Il grande artefice del disgelo, Mikhail Gorbaciov, sognava un mondo senza più guerre. Sfrattato dal Cremlino, ha visto l’Urss smembrata e la Russia brutalmente privatizzata e saccheggiata. Ma il colpo da maestro degli strateghi del globalismo a mano armata è stato permettere alla Cina di entrare nel gioco planetario con merci prodotte sottocosto, grazie anche a condizioni schiavistiche di lavoro, senza le tutele sindacali di Europa e Usa. In pochi anni il mondo è esploso, insieme al suo fatturato, in una sorta di festa truccata: l’europeo e l’americano medio hanno perso terreno, hanno smesso di crescere in termini di benessere, hanno cominciato a intaccare i risparmi familiari e a dover mantenere i figli senza lavoro, costretti a non sposarsi o a emigrare all’estero. Devastante il fenomeno delle delocalizzazioni, la fuga delle industrie nei paesi asiatici dove l’operaio costava un dollaro al giorno. In Europa – vero laboratorio mondiale del suicidio tecnocratico della democrazia – la truffa neoliberale ha indossato la maschera austera e perbenista dell’ordoliberismo autoritario, l’ipocrita moralismo del guru austriaco Friedrich von Hayek: l’illuminato economista concepiva il welfare (ridotto a poche briciole, s’intende) solo come misura estrema e preventiva per cautelarsi dalla rivolta delle masse impoverite.Agli italiani, personaggi come Ciampi e Prodi avevano presentato l’Ue e l’Eurozona come il paradiso, il regno dell’età dell’oro. Dopo meno di vent’anni non restano che macerie, nazioni che si guardano in cagnesco e che si fanno le scarpe appena possono, mentre il Belpaese (depredato, secondo i piani) ha perso il 25% del suo potenziale industriale. L’Europa intera ha assistito senza muovere un dito alla macellazione senza anestesia del popolo greco: cos’avrebbe da dire, Greta Thunberg, ai sopravvissuti della Grecia che si sono visti scippare il Pireo e gli aeroporti, chiudere i bancomat, tagliare i salari, ridurre le pensioni fino alla soglia della fame? Cicale irresponsabili, quelle che hanno assistito alla morte dei neonati, nei loro ospedali, per mancanza di medicine? Spendaccioni scellerati, i greci, che oggi devono vedersela con piaghe che si credevano sepolte dalla storia, come la malnutrizione infantile? E’ sconcertante la consonanza fra le parole di Greta e quelle degli oligarchi europei che hanno messo la Grecia in ginocchio, accusandola di aver abusato del debito pubblico. La canzone – vagamente nazista – è sempre la stessa: la colpa è vostra, peggio per voi.La Thunberg, si sa, è una pedina importantissima della grande manipolazione mediatica sul “climate change”, ovvero la teoria – non suffragata scientificamente – secondo cui il surriscaldamento globale (peraltro appena contestato all’Onu da 500 scienziati) sarebbe di origine antropica. Sommessamente, qualche anno fa, il fisico Carlo Rubbia, Premio Nobel, ricordava che, ai tempi dell’Impero Romano, le temperature medie erano superiori a quelle di oggi. Nel solo medioevo, come gli storici sanno, si è passati dalla mini-glaciazione (che d’inverno congelava il Tamigi e la Senna, attraversabili camminando) al grande caldo del periodo basso-medievale, con colture mediterranee come l’ulivo diffuse ovunque nel Nord Italia. Ancora nom c’era neppure la macchina a vapore, figurarsi le emissioni velenose delle odierne megalopoli. L’inquinamento è tangibile e pericoloso, quello sì: negli oceani galleggiano isole di plastica vaste quanto continenti. Come è possibile che non si impieghi la tecnologia necessaria a bonificare la Terra e riconvertire ecologicamente l’industria? E soprattutto: perché – in primis – i padroni dell’universo che muovono i fili della marionetta Greta vogliono, a tutti i costi, colpevolizzare noi per quanto sta accadendo, raccontandoci addirittura che il degrado della biosfera altera il clima del pianeta?E’ tutto talmente surreale da sembrare comico, se non fosse per il caos sanguinoso che sfiora o assedia miliardi di esseri umani. Il cielo è vistosamente coperto dalle emissioni aeree della geoingegneria (guai a chiamarle scie chimiche), mentre l’aviazione Usa ammette, di colpo, che i piloti dei jet sono frastornati dai continui avvistamenti di Ufo. Il Medio Oriente non fa più notizia, eppure dovrebbe: non si è ancora spenta l’eco del terrore scatenato dal sedicente Stato Islamico, protetto e armatissimo da precisi settori dell’intelligence atlantica prima dell’elezione di Trump alla Casa Bianca. Gli stregoni della finanza oggi hanno paura: temono un crollo catastrofico dell’economia fittizia gonfiata dalla speculazione. Mario Draghi smentisce integralmente la sua vicenda professionale e arriva a evocare addirittura la Modern Money Theory, cioè la restituzione della sovranità monetaria agli Stati, mentre Christine Lagarde, in uscita dal Fmi e diretta alla Bce, parla apertamente degli eurobond che metterebbero fine all’incubo dello spread, consentendo all’economia europea di tornare a investire e produrre lavoro. Sono voci frammentarie di élite potentissime che oggi appaiono divise e lacerate da faglie profonde, come quella che oppone il governo Usa al cartello Rothschild, ora schierato con Silicon Valley e con la Cina, pronto a sostituire il dollaro con un’altra possibile valuta internazionale, come propone la Bank of England.I segnali non sono rassicuranti, c’è chi teme un collasso che potrebbe spalancare scenari di guerra. Nell’Italia che assiste alla strage indiscriminata di alberi d’alto fusto, tagliati per fare spazio al misterioso 5G (vera incognita, per la salute), i genitori si rassegnano a sottoporre i bambini a vaccinazioni improvvisamente obbligatorie, somministrate in batteria – oggi ai neonati e forse domani anche agli adulti, pena la pedita del passaporto e della patente di guida come in Argentina? Ma non importa, evidentemente, se in tanti battono le mani alla piccola strega Greta Thunberg, che recita a soggetto davanti alle Nazioni Unite puntando il dito contro tutti noi. Un’intimidazione ad personam, minacciosa e sinistra: guai a voi, branco di incoscienti. Come osate continuare a sperare di migliorare la vostra vita? Musica, per le orecchie dei tagliatori di bilanci. Nulla che possa impensierire le major, gli oligarchi, le multinazionali. Greta ce l’ha con noi, con ognuno di noi: punta a far crescere il nostro senso di colpa, quello del giovane che sogna l’auto nuova, del pensionato che fatica ad arrivare alla fine del mese. Grazie a Greta, i cialtroni dell’austerity – da Palazzo Chigi alla Commissione Ue – potranno accanirsi sul popolo bue con meno scrupoli, specie se l’economia mondiale volgerà al peggio. Nuovi sacrifici in vista? Niente paura, in soccorso ai lestofanti arriva la lezione della piccola attrice svedese: soffrire è giusto, ce lo meritiamo.Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena comprato lo smartphone ultimo modello e avete osato concedervi una bella vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Sembra una viperetta tracotante, livida: ne saranno felicissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è soprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.
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Carotenuto: ho paura, chi pilota il Conte-2 è capace di tutto
«Spero sinceramente che duri poco, perché di questo governo c’è da aver paura: il Conte-bis è un esecutivo pericolosissimo». Lo afferma Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti, autore di una singolare ritratto di Giuseppe Conte: «E’ sorretto dallo stesso potentissimo network vaticano che gestiva lo strapotere di Andreotti, a cominciare dal cardinale Achille Silvestrini». Ora siamo nei guai, dice Carotenuto in un video su YouTube, perché a Conte si aggiungono personaggi temibili come l’euro-tecnocrate Roberto Gualtieri, che Bruxelles ha fatto sistemare direttamente al ministero dell’economia. Senza contare Paolo Gentiloni, come Conte in strettissimi rapporti col Vaticano, ora promosso alla Commissione Ue, e lo stesso David Sassoli, eletto presidente del Parlamento Europeo. Gentiloni e Sassoli, ovvero: il Pd, i grandi media, il Vaticano e l’europeismo oligarchico. Questo significa che l’Italia, dopo l’effimera sbornia gialloverde, è oggi una cinghia di trasmissione perfetta per il super-potere europeo: «Aspettiamoci di tutto», dice Carotenuto, perché i signori dell’eurocrazia, magari in cambio di qualche piccola concessione sul bilancio, «potranno prendere decisioni inimmaginabili e terribili, per tutti noi».
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Su Marte nel 2024: cosa nascondono le fake news ufficiali?
Siete pronti? Tra poco atterriamo su Marte: alla peggio nel 2024, cioè fra cinque anni. Chi l’ha detto? Donald Trump, nientemeno. Prima esternazione: un anno fa. «Il succo della missione sarebbe questo: si manderebbero su Marte alcuni astronauti», scrive Paolo Franceschetti, che in due distinti post sul blog “Petali di Loto”, intitolati “Bufale su Marte”, riassume l’ultima epopea fanta-spaziale che i media fingono di prendere sul serio, dopo aver trionfalmente celebrato l’anniversario del presunto allunaggio del 1969. E in quanti sarebbero a sbarcare sul Pianeta Rosso? «Quattro astronauti, pare. Oppure 6, a seconda dei progetti. Ma ne esistono alcuni che prevedono ben 80.000 persone». Caspita: «Impianterebbero una prima colonia, per poi far venire altri coloni negli anni successivi». La cosa non è nuova, ricorda Franceschetti: «Già Bush aveva lanciato l’idea e un piano di studi che prevedesse la fattibilità del progetto, nei primi anni ‘90. Una storia a cui, credo, non ha abboccato nessuno». I giornali hanno dato la notizia in modo asettico, senza approfondimenti. Sicchè, «la maggior parte dei complottisti avrà sicuramente odorato aria di balle spaziali».
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Della Luna: siamo in trappola, e la politica non conta nulla
Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, Marco Della Luna passa oltre: «Rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà». La politica visibile, in altre parole, conta pochissimo: «I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono». Ultimamente, il bipolarismo popolo-élite ha sostituito quello precedente, tra destra e sinistra. «Ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società». La politica palese, riflessa nel teatrino dei media mainstream, «dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul Pil», grazie a cui «ricollocare altri millesimi tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese». Briciole, in realtà.Davvero nulla che conti davvero, sostiene l’avvocato Della Luna, brillante saggista euroscettico, sia che si tratti di migranti o di «diritti civili consolatori come l’eutanasia, la droga, il matrimonio e l’adozione da parte di coppie omosessuali, l’affitto di utero e la fecondazione eterologa». Al livello più profondo «si trovano fattori strutturalmente molto più potenti, come gli effetti recessivi e deindustrializzanti dell’euro». Effetti «visibili a tutti, e dei quali i partiti nostrani, erroneamente ritenuti sovranisti, populisti e antisistema, parlavano prima di andare al governo contemplando la possibilità di uscire dall’euro, mentre subito dopo hanno dichiarato fedeltà ad esso senza condizioni, rivelandosi non sovranisti né populisti, ma sottomessi ai gestori dell’Ue». Del resto, «quando si hanno incarichi istituzionali, certi principi e certi dati di realtà bisogna rinnegarli: così è avvenuto con Syriza in Grecia e Podemos in Spagna: si sono omologati», a differenza – secondo Della Luna – dello Ukip di Nigel Farage e del Brexit Party. Ma c’è un livello ancora più profondo, e quindi «mai o quasi mai proposto al pubblico dalla politica», dove affiorano «tematiche quali la intenzionale, dolosa pianificazione dell’uso dell’euro e dei suoi effetti nocivi per alcuni paesi a vantaggio della Germania, e l’analisi della stessa costruzione europeista come concepita per questo fine».In quel livello decisionale, inaccessibile alla politica ordinaria, «si trovano pure fatti come l’imperialismo e il neocolonialismo cinese, francese e statunitense, con il land grabbing e la rimozione dei popoli locali, come causa della marea migratoria dall’Africa verso l’Europa, della quale noi dovremmo farci carico». Si trovano inoltre temi come “l’inestinguibilità” del debito pubblico di quasi tutti i paesi, la tendenza nazionale italiana (dopo 27 anni di declino) ad almeno altri 25 anni di perdita di efficienza comparata. Ci sono «la sostituzione etnica (afro-islamizzazione) congiunta alla fuga di cervelli, capitali e imprese», nonché «gli ingravescenti effetti di una coesione nazionale mantenuta e mantenibile solo spogliando Veneto e Lombardia del loro reddito (quindi della capacità di investimento e innovazione) per integrare il reddito di una Roma e di un Meridione storicamente dimostratisi incapaci di crescere nonostante gli aiuti». A una maggior profondità, quindi a una maggior lontananza dalla “notiziabilità” popolare e dalla pubblica “dibattibilità” politica nelle istituzioni, c’è poi «il problema dei rapporti gerarchici tra le potenze (Stati, ma anche potentati bancario-finanziari)», che è «il problema delle sovranità limitate».Quanta libertà di autodeterminazione politica resta, all’Italia, “colonia” statunitense com 130 basi militari sul suo territorio? Cosa resta, di un’Italia vincolata all’Eurosistema a guida franco-tedesca, che dopo l’equivoco gialloverde torna pienamente sottomessa grazie al Conte-bis? «E’ divenuto manifesto, ma non se ne parla in Parlamento, il fatto che un paese che non controlla la propria moneta è diretto politicamente da chi gliela fornisce, cioè dai banchieri». Nel frattempo, «si è constatata la capacità di Ue, Bce e agenzie di rating di prescrivere coercitivamente (con la minaccia di impedire il finanziamento del debito pubblico) all’Italia e ad altri paesi deboli politiche e riforme socio-economiche favorevoli al grande capitale finanziario di tipo liberista, recessivo, sperequante, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione». Questo potere di ricatto manifesta «l’illusorietà dei principi fondamentali della Costituzione italiana, alla luce del reale ordinamento e funzionamento gerarchico internazionale: niente governo del popolo (democrazia) ma dei capitali; niente sovranità nazionale; niente primato del lavoro; niente perseguimento dell’eguaglianza sostanziale». Ancora: «Niente equa e dignitosa retribuzione; niente subordinazione dell’impresa privata all’interesse collettivo; niente intervento pubblico keynesiano per uscire dalla depressione e dalla disoccupazione». E quindi «mancano i presupposti per la legittimazione del potere politico delle istituzioni».Queste sono le tematiche della post-democrazia, ampiamente analizzate e illuminate da giuristi come Luciano Barra Caracciolo, da valenti sociologi come Luciano Gallino. Secondo Della Luna, al filosofo Diego Fusaro, onnipresente sui media, sarebbe «riuscita l’unica impresa rivoluzionaria del dopoguerra, ossia sfondare la muraglia di censura culturale (costruita dalla falsa sinistra) portando davanti al naso del grande pubblico la spiegazione cristallina di che cosa è e che cosa fa il sistema liberal-finanziario». Fusaro avrebbe anche smascherato «l’ipocrisia delle forze presentate e presentantisi come di sinistra o progressiste, cioè in Italia soprattutto del Pd», traditrici del socialismo (cioè della difesa dei lavoratori contro lo sfruttamento) e al servizio dell’élite bancaria. Per contro, c’è chi guarda con sospetto a Fusaro: non sarà che il suo presenzialismo mediatico in fondo è comodo, al potere, perché appare stravagante e quasi cariturale, dunque innocuo? Ma a parte il giudizio su Fusaro (positivo, per Della Luna), l’autore di “Euroschiavi” e “Cimiteuro”, “Traditori al governo”, “Sbankitalia” e “I signori della catastrofe” punta il dito contro «livelli ancora più profondi» nella ricerca delle vere cause delle nostre sciagure socio-economiche.La moneta, per esempio: domina un monopolio «privato e irresponsabile della creazione dei mezzi monetari, della loro distribuzione, della fissazione del loro ‘costo’ (tasso di interesse)». E questo monopolio abusivo grava sulla politica e sulla società, soprattutto in relazione precisi fattori. Primo: quella imposta «è una moneta indebitante, che dà luogo a un indebitamento pubblico e privato che, per ragioni matematiche, non può essere estinto e continua a crescere, anche perché il reddito da creazione monetaria non viene contabilizzato e sfugge così alla tassazione». Secondo punto: questo tipo di moneta, nel lungo termine, «grazie all’indebitamento inarrestabile sta portando tutto e tutti, come debitori insolventi, nel dominio dei monopolisti monetari, azzerando la dimensione pubblica della politica e dello Stato». E infine: scontiamo «i falsi dogmi» con cui questi monopolisti «nascondono o legittimano» il loro potere abusivo, dogmi come «quello della scarsità e costosità della moneta». Pura invenzione: la moneta è illimitata, e la sua emissione è ormai a costo zero. «Portare tali temi nel pubblico dibattito non è fattibile – scrive Della Luna – perché la gente non li capirebbe, ma soprattutto perché renderebbero manifesta l’impotenza della politica bassa, palese, e dello stesso Stato».Un dibattito del genere, oltretutto, demolirebbe «la fede popolare (e il consenso) verso la falsa narrazione economica che legittima tutte le scelte di fondo finalizzate agli interessi dell’oligarchia che le formula a suo beneficio». Della Luna ha espresso lo stesso concetto nel saggio “Oligarchia per popoli superflui”: «Le masse, come strumenti di produzione di potere e ricchezza per le oligarchie, ormai sono divenute superflui (quindi impotenti poiché prive di potere negoziale, ma anche ridondanti, eliminabili) per effetto della concentrazione globale del potere e della smaterializzazione-automazione dei processi produttivi e bellici». E ora la possibilità tecnologica di gestirli in modo zootecnico, ossia non più semplicemente attraverso leve economiche e psicologiche «ma entrando nei loro corpi, nel loro Dna, e modificandoli biologicamente e geneticamente, soprattutto attraverso una manipolazione attuata per via legislativa (somministrazione forzata a generazioni di bambini di sostanze dagli effetti non chiari e non garantiti), avvia la decostruzione ontologica dell’essere umano, della specie homo, e la sua completa riduzione a strumento, merce, cosa illimitatamente formattabile, disponibile, fungibile». “Tecnoschiavi”, appunto: e senza scampo, almeno secondo Della Luna.Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, Marco Della Luna passa oltre: «Rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà». La politica visibile, in altre parole, conta pochissimo: «I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono». Ultimamente, il bipolarismo popolo-élite ha sostituito quello precedente, tra destra e sinistra. «Ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società». La politica palese, riflessa nel teatrino dei media mainstream, «dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul Pil», grazie a cui «ricollocare altri millesimi tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese». Briciole, in realtà.
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Boat People: quando l’Italia andò a salvarli in capo mondo
Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.Le immagini di questi disperati fanno il giro del mondo e dividono l’opinione pubblica mondiale, ancora divisa per ideologie pre-muro di Berlino. Il comunismo non può essere contestato né fare errori, sono «menzogne raccontate dai media che ingigantiscono la faccenda per strumentalizzarla». Mentre l’Occidente blatera, i rifugiati sui barconi scoprono di non poter sbarcare da nessuna parte. Vengono ribattezzati “boat people”, disperati con a disposizione due cucchiai d’acqua e due di riso secco al giorno che raccolgono l’acqua piovana coi teli di plastica e sono in balia di tempeste e crudeltà. Il governo della Malesia li rimorchia a terra per spennarli di tutti i loro averi, poi li rimette sulle barche dicendogli che stanno arrivando degli aiuti e li rimorchia in alto mare, dove taglia le funi e li abbandona a morire. A volte le tempeste tropicali li affondano, altre volte pescatori armati saltano a bordo e uccidono e stuprano finché sono stanchi, poi li abbandonano lì. A bordo c’è così tanta puzza da far svenire, e la fame è tale che ci sono episodi di cannibalismo. Navi occidentali si affiancano e gettano qualcosa da mangiare per fotografarli, poi se ne vanno.Intanto, l’Italia è un mondo diverso. Sono anni difficilissimi tra inflazione alle stelle, bombe e attentati, ma il neonato benessere è ancora troppo recente per far dimenticare agli italiani il loro passato di povertà, ruralità ed emigrazione. Quando le immagini dei boat people vengono rese pubbliche da Tiziano Terzani il 15 giugno 1979, invece di aggiungersi al dibattito globale di opinionisti e intellettuali impegnati a decidere se salvare dei profughi di un regime comunista sia un messaggio capitalista o no, Pertini capisce che ogni minuto conta, chiama Andreotti e dà ordine di recuperarli e portarli in Italia. Andreotti è presidente del Consiglio, ma è stato prima ministro della difesa. Quella che riceve è una richiesta folle, perché l’Italia non ha mai fatto missioni simili né per obiettivo né per distanza. Ora però il ministro della difesa è Ruffini, e dice che in teoria è fattibile. Insieme scelgono come braccio destro Giuseppe Zamberletti, uno che aveva già dimostrato un’estrema capacità organizzativa in situazioni di crisi, e si mettono a studiare il da farsi. Non sanno quanti sono, né in che zona precisa; sono fotografie sfocate in mezzo al nulla.Se il primo problema è il dove, subito dopo vengono tempo e lingua. Il mondo del 1979 non parla inglese, figurarsi il vietnamita. Anche gli interpreti scarseggiano e non c’è tempo di trovarli, però c’è la Chiesa. Andreotti domanda al Vaticano se ha a immediata disposizione preti vietnamiti e gli arrivano padre Domenico Vu-Van-Thien e padre Filippo Tran-Van-Hoai. Per un terzo interprete, i carabinieri piombano all’università di Trieste, scorrono i registri e reclutano sul posto uno studente, Domenico Nguyen-Hun-Phuoc. A quel punto, Ruffini può alzare il telefono. L’incrociatore Vittorio Veneto dell’ottavo gruppo navale è alla fonda a Tolone, in Francia, dopo aver finito la stagione. L’equipaggio di 500 uomini non vede l’ora di sbarcare per abbracciare le proprie famiglie, quando nelle mani del comandante Franco Mariotti arriva un cablogramma urgentissimo dall’ammiraglio di Divisione Sergio Agostinelli, a bordo dell’Andrea Doria. Ordina di tenere a bordo solo il personale addetto alle armi, poi di riadattare l’assetto della nave e salpare alla volta di La Spezia per riunirsi all’Andrea Doria per una missione di recupero. Quando capiscono di cosa si tratta, gli equipaggi si esaltano.Mariotti lascia a terra 350 uomini, che invece chiedono di restare a bordo per aiutare. Predispone 300 posti letto per donne e bambini su letti a castello nell’hangar a poppa, e 120 posti per gli uomini a prua. L’alloggio sottufficiali diventa un’estensione dell’infermeria, e sotto il ponte di volo viene adibita la zona d’aria. Servono almeno dieci bagni in più, ma ce la fa. Impiega cinque giorni a cambiare l’assetto, e solo al quarto giorno, prima di partire, ordina agli uomini di scendere a salutare le famiglie. Arrivano a La Spezia il 4 luglio, dove vengono caricati e istruiti medici, infermieri, interpreti, medicinali e vestiti. Il giorno dopo salpano alle 10 diretti verso il sud di Creta, dove si riuniscono con la nave logistica Stromboli, comandata dall’ammiraglio Sergio Agostinelli; in totale ci sono 450 posti letto sulla Vittorio Veneto, 270 sulla Doria e 112 sulla Stromboli. È un viaggio orrendo, nella stagione peggiore. Oltre al caldo mostruoso del Mar Rosso, i monsoni dell’Oceano Indiano portano il vento a forza 7. Onde lunghe e gigantesche che mettono a dura prova i 73.000 cavalli vapore degli incrociatori.Dopo 10 giorni di navigazione ininterrotta, il 18 luglio ormeggiano a Singapore e caricano le provviste supplementari, così da dare il tempo all’intelligence di fare “ricognizione informativa” e di improntare un piano. In quattro giorni parlano con l’ambasciatore della Malesia, con l’addetto della marina militare inglese, i portavoce di World Vision International e definiscono le zone da pattugliare. Le direttrici di fuga sono cinque: due verso Thailandia e Hong Kong, di scarso interesse perché passano per acque territoriali. Le altre tre sono di preminente interesse, cioè dall’estremo sud del Vietnam verso la Thailandia (costa occidentale del Golfo del Siam), verso Malesia e isole Anambas dell’Indonesia. Le ultime due sono le più probabili perché sono vicine alla piattaforma petrolifera della Esso, che per chi mastica poco il mare è l’unico polo di attrazione. Alle 10 del 25 luglio salpano alla volta del Mar Cinese Meridionale e Golfo del Siam. Durante la notte, va e viene un eco-radar. Il giorno dopo il mare è a forza 4 (esempio), e il ponte viene spazzato da raffiche di vento e acqua. Alle 8.15, con un coraggio notevole, l’Agusta Bell 212 si alza in volo per investigare le coordinate e localizza la prima barca alla deriva. È un catorcio di 25 metri carico fino all’inverosimile che sta colando a picco davanti alla piattaforma della Esso.L’Andrea Doria dà l’avanti tutta e arriva a prenderli alle 9.20, carica su un gommone interprete, medici, scorta e glielo manda incontro in mezzo alla burrasca che monta, raccomandandosi di rispettare norme di prevenzione e contagio. Il gommone si affianca e gli interpreti recitano un testo che hanno imparato a memoria. «Le navi vicine a voi sono della Marina Militare Italiana e sono venute per aiutarvi. Se volete potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi ci porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e assistenza medica. Dite cosa volete e di cosa avete bisogno». Un’onda allontana il gommone, e una donna vietnamita, convinta che gli italiani li stiano abbandonando come tutti, gli lancia il proprio figlio a bordo. I marinai erano italiani del 1979, un mondo in cui non esistevano i social e queste scene non erano già state raccontate. A quella vista, impazziscono. Tutte le procedure per evitare contagi vengono infrante, e dallo scafo tirano fuori 66 uomini, 39 donne e 23 bambini.Teodoro Porcelli, all’epoca marinaio di vent’anni, è sul barcarizzo di dritta quando riconsegna il figlio alla madre. Lei per tutta risposta gli accarezza i capelli e si mette a piangere, poi portano insieme il bambino dal dottore. Sono i primi di tanti altri che arriveranno nei giorni successivi. A bordo degli incrociatori, gli uomini sgobbano come animali. Infermerie, lavanderie, forni e cucine lavorano senza sosta, coi panettieri che danno il turno e i cuochi che devono allestire 1000 pasti al giorno, di cui una doppia razione per i macchinisti che sono ridotti a pelle e ossa per a far andare le quattro caldaie Ansaldo-Foster Wheeler contro le onde, il tutto con temperature tropicali e navi tutt’altro che adatte. Medici e marinai devono stare attenti a 125 bambini che una volta nutriti corrono dovunque, ma ovviamente prediligono il ponte di volo. Il 31 luglio a bordo dell’Andrea Doria nasce un bambino che la madre battezza col nome di Andrea. Pasquale Marsicano lo avvolge con un vestitino di seta che doveva regalare a sua figlia. I vietnamiti più in salute vogliono essere d’aiuto e fare qualcosa, così vengono messi a fare i lavori del mozzo secondo il vecchio e famosissimo proverbio della Marina: “Pennello e pittura, carriera sicura”.Il 1° agosto a bordo delle navi non c’è più spazio fisico; hanno navigato per 2.640 miglia, esplorato 250.000 kmq di oceano e salvato 907 anime. L’ammiraglio dà ordine di tornare a casa, e il 21 agosto 1979 gli incrociatori entrano in bacino San Marco. Ad accoglierli c’è un oceano di gente, oltre a chi ha pianificato l’operazione fin dall’inizio: Andreotti, Ruffini, Zamberletti e Cossiga, che in seguito alla crisi di governo ha sostituito Andreotti. A bordo ci sono malattie anche tropicali e uomini malmessi, così a qualcuno viene in mente che Venezia, riguardo a importazioni di merci e uomini, qualcosina ne sa. Così, proprio come faceva la Serenissima novecento anni prima, i vietnamiti vengono messi in quarantena nel Lazzaretto vecchio e in quello nuovo. Quelli che non ci stanno vengono spediti in Friuli. Sono entrati così in simbiosi con l’equipaggio che a parte pianti, abbracci, baci e giuramenti, alcuni si rifiutano di scendere dalla nave chiedendo se possono arruolarsi.Alla fine ci sarà uno scambio di dichiarazioni tra vietnamiti ed equipaggio: «Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai; grazie per averci salvati! Grazie a tutti coloro che con spirito cristiano si sono sacrificati per noi notte e giorno. Voi italiani avete un cuore molto buono; nessuno ci ha mai trattato così bene. Eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere. Questa mattina quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie». L’ammiraglio risponde da parac… da italiano: «Noi siamo dei militari; ci è stata affidata una missione e abbiamo cercato di eseguirla nel modo migliore. Siamo felici d’aver salvato voi e così tanti bambini e di portarvi nel nostro paese. L’Italia è una bella terra anche se gli italiani, a volte, hanno uno spirito irrequieto. Marco Polo andò con pochi uomini alla scoperta dell’Asia; voi venite in tanti nel nostro piccolo mondo. Sappiate conservare la libertà che avete ricevuto». Vengono creati campi d’accoglienza a Chioggia, Cesenatico e Asolo. Il popolo italiano si mobilita in massa; vengono raccolti 26.500.000 di lire tramite raccolta di abiti usati e altrettanto arriva tramite donazioni private.Arrivano offerte di lavoro e di abitazione, una famiglia si offre di costruire una casa alle famiglie, una ditta si offre di arredarla. Una scolaresca raccoglie i soldi per comprare un motorino e una macchina da cucire, i dipendenti della Banca Antoniana si tassano lo stipendio fino all’agosto del 1980, versando ogni mese i loro risparmi nel conto corrente della Caritas. I commercianti padovani inviano generi alimentari, molti ospitano i rifugiati nelle loro case ad Arsego, San Giorgio delle Pertiche, Fratte e Zugliano. Ruffini, ricordando la storia, dirà: «Potevo considerarmi soddisfatto della mia intera esperienza politica per il solo fatto di aver potuto contribuire alla salvezza di quei fratelli asiatici». I vietnamiti si integrano alla perfezione, diventano italiani o disperdendosi per l’Italia arrivando oggi alla terza generazione. Parecchi marinai prenderanno la medaglia di bronzo. Quarant’anni dopo, i marinai e i profughi hanno aperto un gruppo Facebook per ritrovarsi. State attenti ad aprirlo se avete la lacrima facile. «A tutti i marinai della “Stromboli”, noi vietnamiti vi siamo molto riconoscenti. Se non ci foste venuti in aiuto, noi ora non saremmo probabilmente vivi. Vi pensiamo spesso, ora che siamo qui al sicuro e ricordiamo quanto buoni e gentili siete stati con noi. Il vostro ricordo rimarrà sempre nel nostro cuore e anche se non ci vediamo più, noi vi penseremo che con affetto, riconoscenza e nostalgia. Grazie ancora!».(Nicolò Zuliani, “Quando negli anni ’80 la marina militare italiana riuscì a fare l’impossibile”, da “Termometro Politico” del 3 agosto 2019. Le foto presentate a corredo dell’articolo sono di Roberto Vivaldi).Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.
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Dietro al gesuita Conte, il clan occulto che gestiva Andreotti
E’ stato dato l’incarico di governo a Giuseppe Conte, il professore. Ma chi è Conte? La situazione è complessa ma, per capirla, forse basta capire chi è Conte. I giornali non lo dicono. Si sa solo che, un giorno, il signor Bonafede (poi diventato ministro della giustizia) ha detto: io conosco un professore tanto carino, tanto bravo; perché non gli facciamo fare il presidente del Consiglio? E tutti han detto: ma sì, facciamoglielo fare. Ma chi ci crede, a questa favola per bambini? Quanti professori bravi avete conosciuto? Li avete presentati e gli hanno fatto fare il presidente del Consiglio? Non è così, chiaramente, anche perché poi questo Signor Nessuno ha dimostrato che a livello internazionale tutti gli davano retta. Tutti ne parlano bene, adesso vogliono fargli rifare il presidente del Consiglio. E intanto ha preso delle decisioni autonome – alla faccia dei 5 Stelle e della Lega – basandosi sul suo potere. Che significa? Che probabilmente rappresenta un grande potere, anziché essere “nessuno”. Diciamolo oggi, per la prima volta: il professor Giuseppe Conte altri non è che il successore di Andreotti. Letteralmente: nel senso che il potere che era dietro ad Andreotti, con la sua potenza di fuoco e la grande influenza che Andreotti poteva esercitare, era esattamente lo stesso potere che ha dietro Giuseppe Conte, e che attraverso Conte ha cominciato a manovrare, nuovamente, con la stessa potenza.