Archivio del Tag ‘sacrifici’
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Povera Europa, plaude alle “lezioni” del suo killer: la Merkel
Nell’immane declino europeo non si capisce cosa sia più sinistro, le “lezioni” di un’insegnante di cui tutti faremo a memo (Angela Merkel) o il tappeto rosso che la stampa le stende ai piedi, nel momento in cui l’oligarca di Berlino, donna simbolo delle sofferenze imposte dalla crisi, si mette a bacchettare Donald Trump dal forum di Davos, santuario continentale della globalizzazione più feroce. «Noi crediamo che l’isolazionismo non ci faccia andare avanti», dice la Merkel: «Il protezionismo non è la risposta giusta, dobbiamo cooperare». Il tipo di “cooperazione” di cui è capace il regime finanziario incarnato dalla Merkel lo si è visto in Grecia, con le famiglie sul lastrico e gli ospedali senza più medicine per curare i bambini. Tutto il Sud Europa ha visto crollare il suo tenore di vita, in una spirale sistematicamente devastante: guerra teologica al debito pubblico, e quindi tagli ai salari e alle pensioni, precarizzazione del lavoro, esplosione della tassazione, licenziamenti, aziende fallite a decine di migliaia, disoccupazione alle stelle, crollo del mercato immobiliare, erosione dei risparmi. Il fantasma della povertà minaccia l’Europa: nella sola Italia, dove la crisi indotta dal rigore tedesco è costata 450 miliardi di euro in appena tre anni, sono oltre 10 milioni le persone che secondo Eurostat faticano a consumare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a pagare l’affitto e a riscaldare a sufficienza la casa.Una vera festa, la spettacolare crisi italiana, per l’industria tedesca che ha fatto shopping a prezzi di saldo accaparrandosi quote rilevanti dell’eccellenza del “made in Italy”, altro classico esempio di “cooperazione” ordoliberista di stampo teutonico. «La Germania è un problema cronico e fisiologico per l’Europa», sostiene Paolo Barnard, «proprio a causa del suo tipo di economia sbilanciato verso l’export». Il che significa compressione dei salari in patria (gli scandalosi mini-job da 450 euro mensili) e aggressività competitiva verso i paesi confinanti, trattati come colonie a cui rubare fatturato e sottrarre la miglior forza lavoro di formazione universitaria avanzata, dando vita al flagello della “fuga dei cervelli”. «I personaggi come la “sorella” Angela Merkel, esponente della Ur-Lodge reazionaria Golden Eurasia, sono i veri nemici dell’Europa unita, i veri e irriducibili antieuropeisti», sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela i retroscena supermassonici del vero potere neoliberista. «Quelli che vengono spacciati per statisti sono in realtà pedine di interessi esclusivamente privati, che traggono i massimi profitti proprio dalla distruzione dell’unità europea: assistiamo infatti a una spietata concorrenza fra Stati, di cui il neo-mercantilismo tedesco è l’espressione più tristemente significativa».Sempre la Germania, racconta l’economista Nino Galloni (vicepresidente del Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi) ottenne – dalla Francia di Mitterrand, in cambio della rinuncia al marco – il via libera per la deindustrializzazione progressiva dell’Italia, cioè del massimo antagonista del sistema manifatturiero tedesco. E’ questa la motivazione di fondo – squisitamente industriale e concorrenziale – dietro alle politiche di austerity dell’Ue a trazione tedesca, che hanno tentato ininterrottamente di demolire il sistema economico italiano. E’ il Belpaese il vero bersaglio degli eurocrati tedeschi come Angela Merkel, ai piedi dei quali si sono genuflessi i vari Letta, Renzi e Gentiloni, dopo il “ko tecnico” procurato a Monti e Napolitano, commissari italiani del super-potere che tiene in scacco l’Europa utilizzando Berlino come cane da guardia. Per questo, le affermazioni della cancelleria a Davos suonano sincere quanto le parole del killer al funerale della propria vittima: «Nel mondo c’è tr6oppo egoismo nazionale», scandisce la professoressa. «Fin dai tempi dell’Impero Romano e della Grande Muraglia sappiamo che limitarci a rinchiuderci non aiuta». Viste dalla Grecia ridotta alla fame, queste parole – in una ipotetica, seconda Norimberga – assicurerebbero ad Angela Merkel una fucilazione di prima classe, con tutti gli onori che spettano ai grandi traditori.Nell’immane declino europeo non si capisce cosa sia più sinistro, le “lezioni” di un’insegnante di cui tutti faremmo a meno (Angela Merkel) o il tappeto rosso che la stampa le stende ai piedi, nel momento in cui l’oligarca di Berlino, donna simbolo delle sofferenze imposte dalla crisi, si mette a bacchettare Donald Trump dal forum di Davos, santuario continentale della globalizzazione più feroce. «Noi crediamo che l’isolazionismo non ci faccia andare avanti», dice la Merkel: «Il protezionismo non è la risposta giusta, dobbiamo cooperare». Il tipo di “cooperazione” di cui è capace il regime finanziario incarnato dalla Merkel lo si è visto in Grecia, con le famiglie sul lastrico e gli ospedali senza più medicine per curare i bambini. Tutto il Sud Europa ha assistito al crollo epocale del suo tenore di vita, in una spirale sistematicamente devastante: guerra “teologica” al debito pubblico, e quindi tagli ai salari e alle pensioni, precarizzazione del lavoro, esplosione della tassazione, licenziamenti, aziende fallite a decine di migliaia, disoccupazione alle stelle, crollo del mercato immobiliare, erosione dei risparmi. Il fantasma della povertà minaccia l’Europa: nella sola Italia, dove la crisi indotta dal rigore tedesco è costata 450 miliardi di euro in appena tre anni, sono oltre 10 milioni le persone che secondo Eurostat faticano a consumare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a pagare l’affitto e a riscaldare a sufficienza la casa.
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Odiavano Silvio, hanno sfasciato l’Italia e oggi tifano per lui
Spiegatecelo, davvero, Angela Merkel e Bill Emmott, Eugenio Scalfari, Romano Prodi ed Elsa Fornero, sinceri democratici e antiberlusconiani d’antan: esattamente, in cosa Berlusconi, oggi, sarebbe migliore rispetto a ieri? Perché un Berlusconi manovratore occulto dovrebbe essere più “fit” di un Berlusconi premier, caro Bill Emmott? Cosa la induce a pensare, caro Eugenio Scalfari, che oggi, improvvisamente, il populismo di quello che lei definì «un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica» oggi abbia «almeno una sua sostanza»? E ancora: come mai, professor Prodi, solo ora ha sentito il bisogno di ricordarci che quella sua defenestrazione ingloriosa, nell’autunno del 2011, fosse una specie di complotto internazionale, per fargli pagare «la posizione italiana a favore di Putin, di Gheddafi e della stabilità iraniana»? Cosa la induce a credere, cara Elsa Fornero, che quel Cavaliere «conosca bene la realtà economica, e sappia distinguere tra le cose che sono possibili», dopo che ha promesso, nell’ordine, di cancellare «gli effetti deleteri» della riforma delle pensioni che porta il suo nome, di pagare le dentiere agli anziani, di alzare le pensioni minime a mille euro, di affiancare all’euro un’altra moneta di conio nazionale, di introdurre una generica “flat tax” (senza specificare a quale aliquota intenda porre l’asticella), di ampliare la “no-tax area” per chi guadagna meno di mille euro al mese e di abolire il Jobs Act?E come mai tutto questo ben di Dio dovrebbe costituire un argine ai populisti, Frau Merkel, e aggiungiamo noi, a una crescita spropositata del debito pubblico italiano? Raccontiamoci tutte le fregnacce che vogliamo, dai, ma almeno non prendiamoci per i fondelli: Berlusconi oggi è molto peggio di quanto non lo fosse nel 1994, nel 2001, nel 2006, nel 2008 e nel 2013 e un suo ritorno a Palazzo Chigi, da king o da kingmaker, sarebbe una tragedia in qualunque paese con un minimo di serietà. Allora aveva una classe dirigente, piacesse o meno, con titoli e competenze per prendere in mano il timone di un paese; oggi è costretto a improvvisare un nome come quello dell’ex generale Gallitelli come possibile presidente del Consiglio, o Maurizio Gasparri come presidente del Senato o della Regione Lazio. Allora aveva una piattaforma programmatica perlomeno coerente e proporzionata, ancorata a un principio di realtà, oggi accatasta proposte che nemmeno Trump. Allora, perlomeno a sprazzi, aveva la volontà di cambiare il paese a immagine e somiglianza della sua visione del mondo, oggi è mosso solo dal desiderio di mettere al sicuro Mediaset e di garantire un happy ending alle sue aziende, per evitare vengano spolpate vive appena lui e Confalonieri non saranno più in grado di occuparsene. Allora vi faceva schifo, oggi è un simpaticone. Molto bene.Anzi no, non va bene un bel niente. Fatevelo dire da chi anti-berlusconiano non è mai stato. L’unica differenza, cari nostri, è che oggi Berlusconi vi serve come l’aria. Perché con le sue sparate è l’argine perfetto a Salvini e Di Maio. Perché pensate che se la gente si beve le sue sparate, meglio ancora se sono patacche, non si berrà le loro. Perché siete convinti che potrà fare solo da stampella, non certo tornare a comandare. Perché avete la certezza, sotto sotto, che sia solo una carcassa di Caimano, vecchio, stanco, incapace di fare danni. Una notizia: i danni li state facendo voi, a questo giro, e sono più grandi di quel che potete immaginare. Perché i prossimi saranno anni di sacrifici e lo sapete benissimo. Perché la gente è stupida finché volete, ma si accorge se la state fregando e se una volta al governo Berlusconi non farà quel che ha promesso, o non gli sarà concesso di farlo dai vincoli di bilancio che oggi tutti fingono di non vedere, ci penseranno Grillo e Salvini ad accogliere a braccia aperte tutti i delusi dal Cavaliere. Perché state distruggendo tutta la poca o tanta credibilità che vi ha accompagnato per vent’anni abbondanti, investendola, tutta in una volta sola, nella speranza (vana?) di cinque anni tranquilli. Perché il prezzo che dovrete pagare sarà ciò contro cui avete combattuto per un quarto di secolo, quel conflitto d’interessi vulnus primordiale del vostro feroce anti-berlusconismo. Perché anche prendendo il 15-20% Berlusconi stravincerà la sua lunga partita politica. Perché tutta questa melassa ipocrita è un distillato purissimo di doppia verità, ancora peggio del venticinquennale perbenismo moralista che ha accompagnato Re Silvio come un’ombra. E no, non servirà a nulla, se non a lui.(Francesco Cancellato, “Berlusconi è diventato ‘buono’? La peggiore bugia di questa campagna elettorale”, da “Linkiesta” dell’11 gennaio 2018).Spiegatecelo, davvero, Angela Merkel e Bill Emmott, Eugenio Scalfari, Romano Prodi ed Elsa Fornero, sinceri democratici e antiberlusconiani d’antan: esattamente, in cosa Berlusconi, oggi, sarebbe migliore rispetto a ieri? Perché un Berlusconi manovratore occulto dovrebbe essere più “fit” di un Berlusconi premier, caro Bill Emmott? Cosa la induce a pensare, caro Eugenio Scalfari, che oggi, improvvisamente, il populismo di quello che lei definì «un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica» oggi abbia «almeno una sua sostanza»? E ancora: come mai, professor Prodi, solo ora ha sentito il bisogno di ricordarci che quella sua defenestrazione ingloriosa, nell’autunno del 2011, fosse una specie di complotto internazionale, per fargli pagare «la posizione italiana a favore di Putin, di Gheddafi e della stabilità iraniana»? Cosa la induce a credere, cara Elsa Fornero, che quel Cavaliere «conosca bene la realtà economica, e sappia distinguere tra le cose che sono possibili», dopo che ha promesso, nell’ordine, di cancellare «gli effetti deleteri» della riforma delle pensioni che porta il suo nome, di pagare le dentiere agli anziani, di alzare le pensioni minime a mille euro, di affiancare all’euro un’altra moneta di conio nazionale, di introdurre una generica “flat tax” (senza specificare a quale aliquota intenda porre l’asticella), di ampliare la “no-tax area” per chi guadagna meno di mille euro al mese e di abolire il Jobs Act?
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Sudditi: la verità che nessuno vuole. E buone elezioni a tutti
Gli slogan elettorali nell’Italia del 2018? Piccoli corvi, che banchettano sui resti di un cadavere. «Voi ora vivete in uno Stato che non esiste più, avete delle leggi che non contano più niente: la vostra sovranità economica non esiste più». La voce sembra quella del vecchio marinaio di Coleridge, che insiste nel raccontare una storia atroce, che nessuno vuole ascoltare: la storia di un naufragio che si trasforma in catastrofe, dove ciascuno tenta disperatamente di sopravvivere a spese degli altri. E’ inaccettabile, il racconto del superstite. Troppo duro da digerire: «Nell’arco di pochi decenni, sono riusciti ad ammazzare la cittadinanza occidentale: eravamo persone capaci di cambiare la propria storia. L’Italia, con un solo partito e una sola televisione, ha fatto divorzio e aborto: eravamo figli del Vaticano ma siamo riusciti a ribaltare il paese». Dov’è finita quell’Italia? Davanti al televisore, ad ascoltare le amenità di Renzi e Grasso, Berlusconi e Di Maio. Di loro si occupano i giornalisti, gli stessi che ignorano l’altro giornalista, quello vero. Il vecchio marinaio. Il folle, l’eretico. L’ostinato reduce che insiste nel raccontare la verità che nessuno vuole sentire. Verità semplice e drammatica: c’è solo una politica in campo, quella del vero potere. E’ il potere antico, quello dei Re. E si è ripreso tutto. Distruggendo cittadini, leggi e Stati.
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Myss: il segreto della prostituta che vive in ognuno di noi
La prima idea che a molti viene in mente udendo la parola “prostituzione” è l’immagine di qualcuno che venda il proprio corpo per fini sessuali. Tuttavia la prostituzione a cui mi riferirò in questo articolo non ha a che fare con il sesso a pagamento. La Prostituta interiore è invece una tendenza presente in ognuno di noi. Nel suo libro “Sacred Contracts”, Carolyn Myss si riferisce alla Prostituta interiore come ad un archetipo capace di influenzare la nostra vita in un certo numero di modi. Un archetipo è un’immagine, un modello, un simbolo universale codificato all’interno della psiche umana ed ereditato di generazione in generazione. In ognuno di noi è presente in qualche misura la Prostituta interiore; tanto negli uomini quanto nelle donne. La Prostituta interiore si manifesta nella nostra vita tutte le volte che “vendiamo” metaforicamente una parte di noi per ottenere in cambio un tornaconto personale. Come funziona la Prostituta interiore? Si nutre delle paure connesse alla sopravvivenza e all’incolumità. L’energia di questo archetipo è ascrivibile principalmente al chakra della radice (Primo Chakra), il quale può bloccarsi o danneggiarsi come conseguenza dello sviluppo di determinate credenze o dell’influsso di alcune particolari esperienze di vita.Spesso coloro i quali lottino costantemente con la loro Prostituta interiore sono reduci da infanzie fisicamente o emotivamente precarie. L’individuo guidato dalla Prostituta interiore persegue ad ogni costo una condizione di sicurezza e protezione, anche se ciò significhi rinunciare a diverse prerogative umane. Ad esempio: sacrifica i propri sogni in cambio del comfort; subordina i propri valori ai trend sociali; sgisce a scopo di lucro e non sulla spinta di passione o convinzione; si svende al fine di guadagnare popolarità piuttosto che restare ignoto, ma fedele a se stesso e alla propria unicità; mantiene in vita rapporti malsani per non rinunciare alla sicurezza emotiva, sociale o economica; tende a comportarsi gentilmente solo per ottenere qualcosa in cambio; scende a compromessi con i propri principi etici; manipola gli altri per perseguire un tornaconto personale. L’atteggiamento che caratterizza la Prostituta interiore si può sintetizzare nel mondo seguente: “Sono disposto a dare tutto ciò che mi si chiede (anche in violazione della mia fede, della mia autostima e della mia integrità) in cambio di un’adeguata contropartita”.L’archetipo della Prostituta può indurre a sacrificare qualsiasi cosa in cambio della ricerca della sicurezza e della protezione. Nessun luogo è considerato “terra santa”. Tutto è in vendita al giusto prezzo. Ciò detto, non importa quanto la Prostituta possa apparire “cattiva” o “negativa”. Essa è in realtà una forza del tutto neutra. La Prostituta diventa un problema solo quando non si sia coscienti del suo influsso nella nostra vita. Carolyn Myss si riferisce alla Prostituta interiore come al “guardiano della fede”, in quanto è grazie ad essa che possiamo realizzare fino a che punto siamo inclini a vendere una parte di noi stessi in cambio di un tornaconto. L’archetipo della Prostituta dovrebbe insegnarci a sviluppare l’integrità, il rispetto e la fiducia in noi stessi, e la fede nel Divino. Se compresa e controllata, la Prostituta può aiutarci a scoprire i luoghi della nostra vita in cui abbiamo deciso di venderci.La fiducia è la lezione fondamentale impartita dall’archetipo della Prostituta. Per avere fiducia dobbiamo credere fermamente nella nostra capacità di sperimentare la forza, il benessere e l’abbondanza. Quando dubitiamo di noi stessi, il vuoto che si crea viene riempito dalla ricerca della ricchezza esteriore, degli agi del comfort e da facili gratificazioni che possano compensare il nostro senso di insicurezza. Tutto ciò naturalmente genera ulteriore auto-disistima e insicurezza che alimenta nuovi comportamenti compulsivi dettati dalla Prostituta interiore. L’unico modo di neutralizzare la Prostituta interiore apprendendone gli insegnamenti è rafforzare la nostra fiducia in noi stessi. Il modo migliore di farlo è rendendosi conto che ciò che siamo si estende oltre le nostre personalità, i nostri titoli, le nostre occupazioni lavorative, i nostri corpi e i nostri pensieri. Come possiamo fidarci di ciò che non è realmente “noi”? Ciò che siamo stati condizionati a identificare con “noi” non potrà mai infonderci alcun comfort o senso di sicurezza. Come può una personalità in continuo mutamento, un corpo che invecchia, un lavoro temporaneo, una famiglia transitoria, infondere fiducia in se stessi?Per imparare l’insegnamento della Prostituta e riappropriarci della nostra integrità dobbiamo ristabilire il contatto con l’unico luogo immutabile presente in noi: la nostra Coscienza. Ciò che definiamo “Lavoro dell’Anima”, presente praticamente in ogni tradizione o percorso spirituale, definisce il nostro impegno e la nostra volontà di riconnetterci con la nostra anima. La nostra anima è la nostra essenza, la verità alla radice della nostra esistenza; in altre parole è il nostro flusso di Coscienza. La nostra anima è illimitata, grande, infinitamente saggia e amorevole; è il nostro personale collegamento con lo Spirito, il quale è la radice di ogni cosa. La Prostituta interiore non è un nemico, né è qualcosa di cui vergognarsi. Si tratta invece di un normale istinto di difesa presente in ognuno di noi e a vari livelli. Non si tratta di un “problema” da risolvere cercando di curarlo o farlo magicamente sparire; è invece necessario prendere realmente atto della sua esistenza. Quando comprendiamo la sua essenza possiamo perfino arrivare ad amarla e al tempo stesso impedirle di prendere il controllo delle nostre decisioni ed azioni.Vado ad elencare alcune domande da porsi per accrescere la consapevolezza di quanto le nostre esistenze siano influenzate dalla Prostituta: in quali aree della mia vita ho scelto di sacrificare le mie autentiche esigenze in cambio di denaro, beni materiali, popolarità, protezione, sicurezza, comfort e ammirazione? Vivo rapporti personali o di lavoro manifestamente tossici per il mio benessere? Quali componenti della mia identità ho venduto agli altri? (Esempi: l’allegria, l’affettività, la sincerità, la fantasia…). Ho venduto o sacrificato la mia moralità in cambio di un tornaconto personale? Quante volte mi capita di mentire per ottenere un tornaconto personale? Ho mai indotto qualcuno a “vendersi” per il mio tornaconto personale? Cosa sono disposto a digerire pur di raggiungere o conservare la “sicurezza”? Per lavorare proficuamente con la propria Prostituta interiore occorre raggiungere la ferma consapevolezza che la Coscienza / Dio è sempre qui per supportarci, dal momento che tutti noi siamo parte di Essa / Egli.(Aletheia Luna, “L’archetipo della prostituta”, da “Anticorpi.info” del 16 novembre 2017, ripreso dal blog “La Crepa nel Muro”).La prima idea che a molti viene in mente udendo la parola “prostituzione” è l’immagine di qualcuno che venda il proprio corpo per fini sessuali. Tuttavia la prostituzione a cui mi riferirò in questo articolo non ha a che fare con il sesso a pagamento. La Prostituta interiore è invece una tendenza presente in ognuno di noi. Nel suo libro “Sacred Contracts”, Carolyn Myss si riferisce alla Prostituta interiore come ad un archetipo capace di influenzare la nostra vita in un certo numero di modi. Un archetipo è un’immagine, un modello, un simbolo universale codificato all’interno della psiche umana ed ereditato di generazione in generazione. In ognuno di noi è presente in qualche misura la Prostituta interiore; tanto negli uomini quanto nelle donne. La Prostituta interiore si manifesta nella nostra vita tutte le volte che “vendiamo” metaforicamente una parte di noi per ottenere in cambio un tornaconto personale. Come funziona la Prostituta interiore? Si nutre delle paure connesse alla sopravvivenza e all’incolumità. L’energia di questo archetipo è ascrivibile principalmente al chakra della radice (Primo Chakra), il quale può bloccarsi o danneggiarsi come conseguenza dello sviluppo di determinate credenze o dell’influsso di alcune particolari esperienze di vita.
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Bagnai: cretini di sinistra, l’immigrazionismo è colonialismo
«Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui, dopo averci proposto come panacea la moneta altrui. E un paese distrutto, semplicemente, non ha risorse per aiutare nessuno». Parola di Alberto Bagnai, che sul blog “Goofynonics” rilancia un intervento già abbozzato anni fa, destinato ai suoi studenti della Sapienza, corso di laurea in “economia della cooperazione internazionale e dello sviluppo”. La tesi: “L’immigrazionismo è la fase suprema del colonialismo”. «Per motivi scellerati – premette l’economista – abbiamo mandato al potere gli immigrazionisti: quelli che, ideologicamente, vedono nella libera immigrazione in Italia la soluzione dei problemi del mondo, senza se e senza ma». I nostri aiuti allo sviluppo? Cronicamente insufficienti: «Lo sono sempre stati, proprio perché l’egemonia culturale e politica è stata esercitata dai neoliberisti (cioè dagli idoli degli iussolisti scemi – e anche di quelli furbi), i quali, come sappiamo, vogliono reprimere la spesa pubblica – qualsiasi spesa – sotto la fulgida egida del “non ci sono risorse”». E oggi il problema si è aggravato: parte delle risorse che potremmo dedicare all’emancipazione di quei popoli «viene dedicata al loro traghettamento», via Lampedusa. «Le risorse ci sarebbero sia per traghettare, che per emancipare», ma «la scelta di fare solo una di queste cose è una scelta politica».Una scelta, avverte Bagnai, nella quale «la sovranità popolare non è stata coinvolta, venendo completamente sovrastata da quella di organizzazioni ormai chiaramente individuabili come braccio operativo di un progetto esogeno al nostro paese». Naturalmente, aggiunge l’economista, «gli iussolisti scemi erano praticamente tutti europeisti». Eppure, aggiunge, «non ce n’era nemmeno uno che notasse come da questo dibattito l’Europa fosse totalmente assente». Di fatto, «per lo iussolista scemo l’Italia è merda», e comunque è “normale” che l’Europa sia inesistente, nella gestione del problema migranti. «C’è questa strana caratteristica dell’immigrazionismo, che più di essere un’ideologia è una religione (con tanto di pensiero magico)», scrive Bagnai. «In quanto religione, ha una sua terra promessa, che però è una e una sola: l’Italia – che fra l’altro è esattamente quella dove molti di quelli che arrivano non vorrebero restare». E chi se ne importa: «Ogni religione vuole sacrifici, e le vittime dell’immigrazionismo sono, naturalmente: gli immigrati». Del resto, «un processo così complesso non dovrebbe essere affidato alla carità pelosa di organizzazioni arroganti e non trasparenti, che tanta parte hanno avuto nel generare il traffico (e quindi le vittime)».Poi c’è un problema di fondo, strutturale: «L’immigrazionismo, con buona pace dei tanti razzisti che pure circolano e che non hanno la mia simpatia, altro non è, da parte delle ex potenze coloniali, che una fase ulteriore di appropriazione delle risorse delle ex colonie». Sostiene Bagnai: «Dopo averle depredate delle loro risorse naturali, le deprediamo delle loro risorse umane». C’è chi disprezza la qualità umana dei migranti? «Se pure quelle che vediamo per strada fossero solo braccia rubate all’agricoltura», secondo Bagnai «sarebbero, appunto, braccia rubate all’agricoltura di paesi nei quali l’autosufficienza alimentare non è un dato banale». La forza lavoro è una risorsa, è un fattore produttivo. «E la libera mobilità dei fattori produttivi è benefica e equilibrante solo nei modelli neoclassici, cioè nell’ossatura ideologica del liberismo oltranzista». Qui in Europa, abbiamo visto che «la mobilità del lavoro è particolarmente destabilizzante, perché tende ad amplificare il divario fra paese di provenienza e di destinazione». Nel modello neoclassico, aggiunge Bagnai, «ogni bracciante che parte dal Niger contribuisce a far aumentare il salario di quelli che restano. Nel mondo reale, contribuisce a impoverire il paese».Questa situazione, continua Bagnai, è la stessa che «i vescovi africani vedono e stigmatizzano, perché vale, su scala minore, quello che vale per noi». E cioè: «Anni e risorse spesi per istruire persone che poi vanno altrove, creando un danno al paese di origine. Ma questo, agli immigrazionisti non interessa». Cosa gliene importa, davvero, della vita in Burkina Faso o in Sierra Leone? «Ben contenti e soddisfatti di essere nati dalla parte giusta del mondo», in un preciso spettro ideologico, «a loro interessa solo che qualcuno venga qui a “pakarglilapensione”, perché così gli hanno detto che succederà i giornali dei padroni, cui loro, da buoni imbecilli di sinistra, credono, perché Gramsci per loro se va bene è un liceo, se va male una strada, e nella maggior parte dei casi non è niente». Infierisce, Bagnai: «Questa è la feccia con la quale dovremo ricostruire questo cazzo di paese, non so se è chiaro: una torma di imbecilli sottoproletarizzati da decenni di propaganda a reti unificate, pronti a sollevarsi (sotto l’egida di ogni e qualsiasi organizzazione imperialistica i loro caporioni gli propongano in base alle loro logiche elettoralistiche) per difendere progetti la cui matrice ultraliberista (quindi fallimentare e fascista) dovrebbe essere immediatamente leggibile da chiunque avesse delle minime basi di storia del pensiero, ma anche di mero buon senso».«Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui, dopo averci proposto come panacea la moneta altrui. E un paese distrutto, semplicemente, non ha risorse per aiutare nessuno». Parola di Alberto Bagnai, che sul blog “Goofynonics” rilancia un intervento già abbozzato anni fa, destinato ai suoi studenti della Sapienza, corso di laurea in “economia della cooperazione internazionale e dello sviluppo”. La tesi: “L’immigrazionismo è la fase suprema del colonialismo”. «Per motivi scellerati – premette l’economista – abbiamo mandato al potere gli immigrazionisti: quelli che, ideologicamente, vedono nella libera immigrazione in Italia la soluzione dei problemi del mondo, senza se e senza ma». I nostri aiuti allo sviluppo? Cronicamente insufficienti: «Lo sono sempre stati, proprio perché l’egemonia culturale e politica è stata esercitata dai neoliberisti (cioè dagli idoli degli iussolisti scemi – e anche di quelli furbi), i quali, come sappiamo, vogliono reprimere la spesa pubblica – qualsiasi spesa – sotto la fulgida egida del “non ci sono risorse”». E oggi il problema si è aggravato: parte delle risorse che potremmo dedicare all’emancipazione di quei popoli «viene dedicata al loro traghettamento», via Lampedusa. «Le risorse ci sarebbero sia per traghettare, che per emancipare», ma «la scelta di fare solo una di queste cose è una scelta politica».
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Bogre, il martirio dei Catari che nessuno vuole ricordare
«Lo sterminio dei càtari? Non ci risulta». E’ una coltre di piombo quella che continua a velare la verità storica sulla devastante persecuzione che annientò la più importante eresia del medioevo europeo. Una strage di massa oscurata dall’oblio e dal negazionismo, al più minimizzata dal riduzionismo della più recente pubblicistica cattolica, in interventi come quelli di Vittorio Messori e di altre personalità contigue al Vaticano. Estrarre memoria da quella remota vicenda resta un’impresa titanica: ed è la missione di Fredo Valla, regista di cultura occitana, impegnato nella produzione del documentario “Bogre”. Un viaggio sulle tracce dell’eresia dualistica che attorno all’anno Mille si affacciò a Bisanzio per poi propagarsi in Macedonia e Bulgaria, fino ad attestarsi in Bosnia Erzegovina per poi migrare in Lombardia, in Nord Europa e infine nella regione mediterranea e pirenaica oggi francese, l’Occitania: un sub-continente esteso dalle Alpi all’Atlantico, allora accomunato dalla lingua d’Oc. Il termine “bogre”, spiega Valla, non indica semplicemente un abitante della Bulgaria: così era in antico, ma poi in occitano ha assunto il significato di persona infida, che maschera la verità. «Attorno al XII secolo, “bogre” divenne un insulto diretto ai càtari d’Occitania, colpevoli di una religione non ortodossa, simile per dottrina a un altro grande movimento eretico europeo, quello dei bogomili bulgari».Catarismo e Bogomilismo, riassume il regista, reduce dalle prime riprese condotte in Bulgaria, «sono la testimonianza storica di un medioevo tutt’altro che buio e immobile come spesso viene rappresentato: le idee viaggiavano da un capo all’altro dell’Europa, dai Balcani ai Pirenei, dall’Italia centro-settentrionale alla Bosnia». Proprio in Bulgaria, la troupe ha filmato i luoghi dell’eresia bogomila e raccolto le testimonianze dei più grandi esperti: «Abbiamo incontrato storici, filologi, archeologi. È stata la prima tappa, la seconda sarà in Occitania francese e poi seguiranno l’Italia centro-settentrionale, la Bosnia e Istanbul». La ricognizione filmica in Occitania rappresenta il cuore del documentario: «Qui la vittoria della Chiesa di Roma, delle armi dei crociati e dell’Inquisizione sui càtari, pose fine a un’idea di Dio che si voleva fedele alle origini, che predicava la pace, sosteneva l’eguaglianza sociale e – cosa inaudita a quei tempi – la parità uomo-donna». Fu lo sterminio di un mondo, aggiunge Valla, che ora promette di far entare gli spettatori «nella quotidianità dell’essere càtari e bogomili in quegli anni». All’eresia non aderirono solo i servi e i contadini che si opponevano all’alto clero, ma anche i feudatari e le classi mercantili e colte delle città.«Sono tante le famiglie di alto lignaggio che abbracciarono la novità della dottrina càtara: a Firenze – spiega l’autore di “Bogre” – erano càtari personaggi che tutti conosciamo, come Farinata degli Uberti, il poeta Guido Cavalcanti e, secondo studi recenti, lo stesso Dante Alighieri». Eppure, nonostante il suo evidente ruolo storico, il Catarismo spesso viene considerato un fenomeno marginale. Innumerevoli documenti e tradizioni svelano i rapporti dottrinali e umani che unirono i dualisti dell’Est Europa a quelli dell’Ovest: «L’episodio che rappresenta al meglio il mondo di “Bogre” è il concilio càtaro che si tenne nel 1167 a Saint-Felix de Caraman, presso Tolosa: un concilio a cui parteciparono rappresentanti delle varie comunità càtare occitane e italiane (le comunità di Tolosa, Carcassonne, Albi e Aran, più Marco di Lombardia per l’Italia) e che vide tra gli invitati il bogomilo Nicetas, che trasmise lo Spirito Santo attraverso l’unico sacramento riconosciuto dai càtari, il “consolamentum”». È innegabile che tra i due movimenti religiosi ci fosse non solo un’affinità, ma rapporti tutt’altro che sporadici. Entrambi condividevano una teologia drasticamente alternativa a quella cattolica: per càtari e bogomili, il mondo materiale era il frutto di una “creazione dannata”, operata dal Dio Straniero, alla quale il Padre Celeste (signore del cielo, ma non onnipotente) non aveva potuto opporsi.Può sembrare un espediente teologico: scagionare “Dio” dalla responsabilità del male presente nel mondo. Ma il sincretismo gnostico e proto-cristiano dei càtari ricorda da vicino la grande religione largamente diffusa nell’area mediorientale fino all’anno zero, quella dei Magi “venuti dall’Oriente” ad adorare il neonato di Betlemme. Era l’antica religione di Zoroastro, il mazdeismo, risalente al 1400 avanti Cristo, che aveva abolito i sacrifici animali (i càtari poi saranno addirittura vegetariani) e aveva aperto il sacerdozio alle donne (accanto ai Perfetti, il Catarismo ordinerà le Perfette). I Buoni Uomini, o Buoni Cristiani, erano casti e “francescani”, nonviolenti, contrari alla proprietà privata. La prima strage di massa, nel 1028, fu ordinata, suo malgrado, dal vescovo milanese Ariberto d’Intimiano, che interrogò i “bulgari” catturati a Monforte d’Alba, nelle Langhe: bruciateci pure, rispose il loro portavoce, così torneremo più velocemente al Padre Celeste. Il loro motto (“Noi non siamo del mondo, e il mondo non è nostro”) ricalca quello dei Sufi, con cui strinse un sodalizio Francesco d’Assisi. “Nel mondo, ma non del mondo; nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”, è infatti il credo dei mistici islamici, da cui derivano i Dervisci Rotanti.In piena “new age”, avverte una studiosa rigorosa come Lidia Flöss, autrice di importanti ricerche sull’argomento, il Catarismo è stato anche strumentalizzato, in modo superficiale, in funzione anti-cattolica. Uno dei massimi storici europei del fenomeno, il francese René Weis, interpreta l’adesione a quell’eresia come il bisogno del credente medievale di tornare agli ideali evangelici, in un’epoca dominata dal potere ecclesiastico, spesso corrotto. Fu lo stesso Bernardo di Chiaravalle a condurre una storica missione in Occitania: lo stile di vita dei càtari è esemplare, riferì al Papa il futuro San Bernardo, auspicando che il clero cattolico abbandonasse lussi e privilegi. Il pontefice non era dello stesso avviso: Innocenzo III bandì addirittura una crociata, in terra europea, per stroncare un’eresia che – attraverso l’adesione della classe dirigente, l’aristocrazia e la nascente borghesia artigianale e mercantile – metteva in pericolo il potere del Papato. Fonti storiche citate da Weis parlano addirittura di mezzo milione di morti, fra Crociata Albigese e Inquisizione. La tragedia scoppiò nel 1209, quando la cittadina rivierasca di Béziers, in Linguadoca, si oppose al diktat dei crociati: volevano che Béziers consegnasse loro i 200 eretici riparati fra le mura. Di fronte al rifiuto dei consoli, l’abate Arnaud Amaury – capo spirituale della crociata – reagì nel modo più spietato: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi».La tradizione storiografica parla di migliaia di vittime. Lo choc per lo sterminio dell’intera popolazione di Béziers spinse il potente Re d’Aragona, Pietro II, a scendere in battaglia a fianco del conte di Tolosa, che difendeva – di fatto – la libertà di culto nelle terre occitane. Pietro II perse la vita nel 1213 combattendo cavallerescamente nella battaglia di Muret, ma la crociata devastò la regione fino al 1229. Si arrese Tolosa, ma non i suoi alleati: i cavalieri “faidits”, messi al bando, si rifugiarono nei castelli di montagna sui Pirenei, per proteggere gli eretici in fuga. Nel 1244, dopo nove mesi di assedio, cadde la fortezza di Montségur. L’ultima notte prima della resa, donne e soldati vollero ricevere il “consolamentum”, il battesimo càtaro, ben sapendo cosa li avrebbe attesi, l’indomani: furono 220 le persone arse vive nella spianata ai piedi del castrum, in quello che ancora oggi porta il nome di “Prat dels Cremats”. I càtari? Un fantasma scomodo: erano nullatenenti, vivevano di carità. Non veneravano nessun libro sacro: per loro, l’Antico Testamento (con la sua “terra promessa”) era opera del Dio Straniero. Non avevano neppure chiese, né templi: irriducibilmente anarchici, rifiutavano qualsiasi struttura organizzata. La comunità càtara, pur articolata in diocesi, non disponeva di beni materiali.Il Catarismo aborriva la dimensione materiale del vivere, ripudiando la materia come “prigione dello spirito”: riparlarne oggi forse non è casuale, nel momento in cui è la stessa fisica a diffidare della percezione spazio-temporale, mentre la comunità scientifica rivaluta l’esegesi non teologica dei cosiddetti testi sacri. Lo stesso Mauro Biglino, che traduce la Bibbia alla lettera «scoprendo che in quelle pagine non c’è nessun Dio», ricorda che il “format” cattolico (con i suoi dogmi) si affermò soltanto nel 325 dopo Cristo, per il volere politico dell’imperatore Costantino, «a spese di tutti gli altri Cristianesimi dell’epoca, che erano decine, a partire da quelli gnostici». In quella corrente si colloca certamente il Catarismo, che invoca la divinità “celeste” con queste parole: «Facci conoscere ciò che Tu conosci». Per i càtari, il vero Graal è, appunto, la conoscenza, al quale il credente può aspirare in modo autonomo, senza alcuna mediazione sacerdotale. Di fatto, il Catarismo nega alla religione il ruolo di struttura sociale al servizio del potere politico: i Buoni Cristiani proibivano di giurare, in un’epoca in cui proprio sul giuramento si fondava l’investitura feudale, e non riconoscevano alcuna legittimazione alle autorità terrene, né ai confini tra le nazioni.L’atteso lavoro cinematografico di Fredo Valla si basa su fonti storiche e dati d’archivio, nonché su consulenze autorevoli come quella di Maria Soresina e del Centro Ivan Dujčev di Sofia, una delle più importanti istituzioni accademiche bulgare, senza dimenticare il Cirdoc, la Mediateca Occitana di Béziers e l’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici di Firenze. Il documentario sarà completato grazie al contributo fondamentale del crowdfunding: anche una piccola donazione può essere importante, per una produzione che accanto a Valla (autore e regista) vede impegnati Andrea Fantino ed Elia Lombardo (fotografia, suono, montaggio) con Ines Cavalcanti della Chambra d’Oc (produzione). «Abbiamo deciso di lanciare questa campagna di crowdfunding per condividere il nostro lavoro di ricerca e continuarlo in Occitania, dove nasce la parola “bogre”, e dove in fondo nasce il nostro film documentario». Proprio l’attuale Midi francese sarà la tappa più importante del viaggio. «Abbiamo intenzione di mantenere un metodo di lavoro attento alla storiografia e ai documenti più attendibili», assicura il regista. «Vogliamo che la storia di “Bogre” contribuisca alla storia dei “bogre”, di chi quel nome se l’è trovato appiccicato come un insulto dal momento in cui ha scelto una fede diversa da quella dominante». Una storia di idee che camminano, e che lottano per non essere dimenticate.«Lo sterminio dei càtari? Non ci risulta». E’ una coltre di piombo quella che continua a velare la verità storica sulla devastante persecuzione che annientò la più importante eresia del medioevo europeo. Una strage di massa oscurata dall’oblio e dal negazionismo, al più minimizzata dal riduzionismo della pubblicistica cattolica, in interventi come quelli di Vittorio Messori e di altre personalità contigue al Vaticano. Estrarre memoria da quella remota vicenda resta un’impresa titanica: ed è la missione di Fredo Valla, regista di cultura occitana, impegnato nella produzione del documentario “Bogre”. Un viaggio sulle tracce dell’eresia dualistica che attorno all’anno Mille si affacciò a Bisanzio per poi propagarsi in Macedonia e Bulgaria, fino ad attestarsi in Bosnia Erzegovina per poi migrare in Lombardia, in Nord Europa e infine nella regione mediterranea e pirenaica oggi francese, l’Occitania: un sub-continente esteso dalle Alpi all’Atlantico, allora cementato dalla lingua d’Oc. Il termine “bogre”, spiega Valla, non indica semplicemente un abitante della Bulgaria: così era in antico, ma poi in occitano ha assunto il significato di persona infida, che maschera la verità. «Attorno al XII secolo, “bogre” divenne un insulto diretto ai càtari d’Occitania, colpevoli di una religione non ortodossa, simile per dottrina a un altro grande movimento eretico europeo, quello dei bogomili bulgari».
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Fiscal Horror, Cremaschi: tagliola sull’Italia, la politica tace
Nella complice e colpevole disattenzione dei palazzi della politica, in questi giorni a Bruxelles si decide del futuro del nostro paese. L’Italia è il paese Ue con il più alto numero assoluto di poveri, quasi 11 milioni. Proprio mentre emerge questo nostro record mostruoso, il governo Gentiloni decide di aderire al nuovo accordo europeo sul Fiscal Compact. C’è un rapporto tra i due fatti? Certamente, il secondo aggraverà il primo, il record di poveri non ce lo toglierà più nessuno. In questi dieci anni di crisi i poveri sono triplicati, e questo perché il lavoro e la vita stesse delle persone sono stati sacrificati al rigore di bilancio. Rigore feroce, nonostante che le fake news del regime propagandino l’idea di una spesa pubblica troppo generosa verso i cittadini. In realtà il bilancio pubblico è in attivo da più di venti anni, cioè ogni anno i cittadini versano in tasse allo Stato più di quanto ricevano in servizi e prestazioni. Il deficit della spesa pubblica deriva da una sola voce: gli interessi sul debito che si pagano alle banche. Essi ammontano a quasi 80 miliardi all’anno. Lo Stato ne copre circa 50 con i soldi dei cittadini, in particolare lavoratori, pensionati, ceti medi. Il resto sono deficit e manovre, che portano via altre risorse ai servizi pubblici.Se proiettiamo questo conto su un ventennio, alla spesa pubblica necessaria per fare dell’Italia un paese un poco più civile sono mancati circa 1000 miliardi. Mentre il debito è comunque aumentato di diverse centinaia di miliardi. Per la precisione dal giugno 2011, da quando il presidente Giorgio Napolitano reclamò lacrime e sangue per ridurre il debito pubblico, quest’ultimo è aumentato di circa 300 miliardi. I cittadini pagano sempre di più per avere sempre meno, ma il debito cresce. E non per colpa dei furbetti del cartellino o dei pensionati, come invece fa credere la propaganda di regime. Tutto questo avviene a causa dell’usura bancaria sullo Stato, divenuta legge con la fine del controllo pubblico sulla moneta. Lo Stato italiano dal 1981 non può stampare moneta per finanziarsi, ma deve chiedere prestiti alle banche. Poi dal 1992, con il Trattato di Maastricht e poi con l’euro, lo Stato italiano ha persino dovuto cancellare la sua sovranità su come e quanto indebitarsi. Sono i vincoli europei a imporre le decisioni.Così siamo arrivati ad avere cittadini che pagano sempre di più, uno Stato che dà sempre meno, un debito che cresce. Tutto in funzione dei profitti delle banche e della finanza internazionale, che grazie alla usura sul debito fanno shopping delle risorse del paese. Ora il Fiscal Compact renderà questo meccanismo ancora più feroce ed insopportabile. Questo accordo europeo, imposto dalla Germania nel 2012, infatti non solo obbliga al pareggio di bilancio, che vergognosamente Pd, Forza Italia e satelliti hanno addirittura inserito nell’articolo 81 della Costituzione. Il Fiscal Compact va oltre questa misura socialmente criminale e impone non solo la stabilizzazione del debito, ma la sua riduzione in venti anni al 60% del Pil. Per l’Italia che attualmente è al 133%, significa più che dimezzare. Dunque oltre a quelli per pagare gli interessi, dovremmo ogni anno trovare altri 40-50 miliardi per ridurre l’ammontare del debito. In totale ogni anno dovremmo fare finanziarie da 120 miliardi, come per un paese in guerra.Questa follia è sembrata esagerata persino ai burocrati di Bruxelles, che hanno capito che se la si imponeva troppo rigidamente, sarebbe saltata. Così in questi giorni tutti i governi della Ue hanno deciso di far slittare il Fiscal Compact, che avrebbe dovuto scattare già l’anno prossimo, al 2019. Inoltre questo patto non dovrebbe più essere inserito nei grandi trattati costituenti la Ue, ma diventare una direttiva. Questo fa dire a Gentiloni che l’Italia ha ottenuto un successo. Balle, se non è zuppa è pan bagnato. Anche l’usuraio a volte allenta il cappio sulla vittima, quando vede che non ce la può più fare. Preferisce rinunciare a qualcosa, ma mantenere il guadagno sicuro e tenere sempre la vittima a propria disposizione. Il Fiscal Compact sarà meno rigido, ma per questo ancora più micidiale e ridurrà l’Italia a condizioni uguali o persino peggiori della Grecia. Tutto sarà privatizzato, tutto sarà in vendita. E la democrazia sarà completa finzione, perché un superministro del tesoro Ue compilerà i nostri bilanci.Intanto però il Fiscal Compact non scatterà con le elezioni, e questo ha permesso a tutte le principali forze politiche di parlare d’altro. Avete per caso sentito Renzi, Di Maio, Berlusconi, Meloni, Grasso e Salvini affrontare davvero la questione? E soprattutto metterla in testa a tutte le altre, visto la sua importanza per i diritti sociali e le vite di tutti? Quale forza politica oggi in Parlamento propone non di sbattere i pugni su qualche inesistente tavolo, ma di disdettare il Fiscal Compact e di riconquistare il controllo sul bilancio pubblico, rompendo con tutti i vincoli dei trattati Ue, cioè rompendo con la Ue? Nessuna, per questo i burocrati di Bruxelles e la Germania hanno allentato il cappio per qualche mese. Sanno che comunque lo tengono ben saldo su chi governa o vuole governare. Solo la rottura coi vincoli Ue e con le complicità con essi può dare un futuro al paese.(Giorgio Cremaschi, “Gli usurai europei del Fiscal Compact e i loro complici”, da “Micromega” del 14 dicembre 2017).Nella complice e colpevole disattenzione dei palazzi della politica, in questi giorni a Bruxelles si decide del futuro del nostro paese. L’Italia è il paese Ue con il più alto numero assoluto di poveri, quasi 11 milioni. Proprio mentre emerge questo nostro record mostruoso, il governo Gentiloni decide di aderire al nuovo accordo europeo sul Fiscal Compact. C’è un rapporto tra i due fatti? Certamente, il secondo aggraverà il primo, il record di poveri non ce lo toglierà più nessuno. In questi dieci anni di crisi i poveri sono triplicati, e questo perché il lavoro e la vita stesse delle persone sono stati sacrificati al rigore di bilancio. Rigore feroce, nonostante che le fake news del regime propagandino l’idea di una spesa pubblica troppo generosa verso i cittadini. In realtà il bilancio pubblico è in attivo da più di venti anni, cioè ogni anno i cittadini versano in tasse allo Stato più di quanto ricevano in servizi e prestazioni. Il deficit della spesa pubblica deriva da una sola voce: gli interessi sul debito che si pagano alle banche. Essi ammontano a quasi 80 miliardi all’anno. Lo Stato ne copre circa 50 con i soldi dei cittadini, in particolare lavoratori, pensionati, ceti medi. Il resto sono deficit e manovre, che portano via altre risorse ai servizi pubblici.
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Il subcomandante Di Maio sfida l’Europa con Grasso e il Pd
Di Maio vaneggia sull’euro e comincia a ventilare possibili alleanze post-elettorali? Fa parte di un piano, sostiene l’ex grillino Paolo Becchi: l’obiettivo è conquistare Palazzo Chigi con l’appoggio di D’Alema, Bersani e Grasso, più eventuali spezzoni del Pd, nel caso il partito di Renzi andasse incontro a una disfatta, scaricando il segretario. Come arrivare alla guida del futuro esecutivo? «È molto semplice: proponendo per il governo guidato da Di Maio nomi di tecnici per i vari ministeri, in realtà però “tecnici di area”». Di quale area? «Una di queste aree riguarda l’intesa di massima con “Liberi e Uguali”, il nuovo partito di Bersani e D’Alema guidato da Piero Grasso (messo lì al Senato con i voti di Grillo, nonostante l’incazzatura di Casaleggio)». Al momento il nuovo cartello ex-Pd è dato nei sondaggi intorno al 7%, ma in campagna elettorale potrebbe crescere fino al 10%. «In termini di seggi non sarebbero tanti, anche perché potrebbe vincere in pochi collegi uninominali; ma una quarantina di scranni a Montecitorio e una ventina a Palazzo Madama, scaturenti quasi tutti dai collegi plurinominali, dovrebbe ottenerli. Sommando a quel punto i seggi del M5S con quelli di “Liberi e Uguali”, la maggioranza assoluta dei seggi sarebbe però ancora lontana. Ma non per questo irraggiungibile: a spuntare in soccorso arriverebbe il Pd».Se Renzi ottenesse un risultato deludente, «ad esempio intorno al 20% dei voti o addirittura meno (e non è da escludere) l’agguato di una resa dei conti interna è dietro l’angolo», scrive Becchi su “Libero”, in un’analisi firmata insieme a Giuseppe Palma e ripresa da “Scenari Economici”. Il possibile esito della catastrofe renziana: «Dimissioni da segretario e, al suo posto, una figura Caronte che traghetti il partito verso nuove primarie e un nuovo congresso. A quel punto, tolto di mezzo Renzi, l’accordo tra M5S e Pd è presto fatto». Anche in questo caso, secondo Becchi e Palma, basterà puntare su tecnici “di area”, per un governo «formalmente guidato dal M5S, ma in realtà dalla vecchia sinistra: una maggioranza parlamentare che va da Di Maio a Grasso, passando da Orlando, Finocchiaro e Franceschini, con il godimento massimo di Massimo D’Alema e di Bersani». Insomma, un’alternativa alla coalizione del centrodestra c’è, e proprio Di Maio «la sta abilmente costruendo». La verifica della sua tenuta? «E’ già sperimentata: a questo – e solo a questo – serviva la legge sul testamento biologico», che ha allineato in anticipo i voti trasversali che domani, secondo i due analisti, potrebbero sorreggere il governo Di Maio.Quanto al programma dell’eventuale esecutivo “arcobaleno”, è meglio non farsi illusioni. «Se dovessimo arrivare al referendum sull’uscita dall’euro, che per me è l’extrema ratio, è chiaro che sarei per l’uscita», dice Di Maio a “La7”, «perché vorrebbe dire che l’Europa non ci avrebbe ascoltato su nulla». Ma prima, aggiunge, «proverei a ottenere risultati andando in Europa». Se Di Maio scherza, Renzi non ride alle sue barzellette. Mette in discussione il tabù dell’euro? «Sarebbe una follia per l’economia italiana», replica l’ex premier, il mancato salvatore dell’Italia. Questa la sua visione: «Immaginate cosa accadrebbe al nostro export, e ai lavoratori delle aziende interessate, se al governo ci fosse chi vuole uscire dall’euro come Salvini o Di Maio: chi pagherebbe il conto?». E’ vero, si corregge Di Maio: non dicevo sul serio. «L’obbiettivo di governo del M5S non è assolutamente l’uscita dall’euro», chiarisce il grillino, su Facebook. La vera missione è «rendere la permanenza del nostro paese nella moneta unica una posizione conveniente per l’Italia». Perfetto, e come?Di Maio spiega che porterà in Europa un «pacchetto di proposte», essendo, beato lui, «fiducioso nella strada del dialogo con le istituzioni europee». Poi però minaccia: «Se l’Europa sarà rimasta sorda a tutte le nostre richieste, non sacrificheremo la ricchezza e il benessere degli italiani sull’altare dell’euro». Ma non lo sa, il subcomandante Di Maio, che i buoi sono giù fuggiti dalla stalla, mentre i 5 Stelle dormivano e a Strasburgo cercavano addirittura di traslocare tra i super-euristi dell’Alde, in compagnia di Mario Monti? Evidentemente, i candidati alle politiche 2018 sanno di potersi permettere di tutto, convinti che gli italiani ci cascheranno ancora. Magari votando per frontman anziani, o giovanissimi già decrepiti, che pensano di mandare Massimo D’Alema a sbattere i pugni sui tavoli di Bruxelles. Un programma veramente credibile, rivoluzionario. Difatti, il vero potere ostile all’Italia – da Wall Street a Bruxelles – sta già tremando, all’idea di doversela vedere con Di Maio e Bersani, Grasso e Franceschini. Un altro lottatore, Stefano Fassina, avverte: «Sull’euro il referendum consultivo è impraticabile per evidenti ragioni pratiche: la fuga di capitali dall’Italia e l’impennata degli spread sui titoli di Stato al solo annuncio di volerlo celebrare».Di Maio vaneggia sull’euro e comincia a ventilare possibili alleanze post-elettorali? Fa parte di un piano, sostiene l’ex grillino Paolo Becchi: l’obiettivo è conquistare Palazzo Chigi con l’appoggio di D’Alema, Bersani e Grasso, più eventuali spezzoni del Pd, nel caso il partito di Renzi andasse incontro a una disfatta, scaricando il segretario. Come arrivare alla guida del futuro esecutivo? «È molto semplice: proponendo per il governo guidato da Di Maio nomi di tecnici per i vari ministeri, in realtà però “tecnici di area”». Di quale area? «Una di queste aree riguarda l’intesa di massima con “Liberi e Uguali”, il nuovo partito di Bersani e D’Alema guidato da Piero Grasso (messo lì al Senato con i voti di Grillo, nonostante l’incazzatura di Casaleggio)». Al momento il nuovo cartello ex-Pd è dato nei sondaggi intorno al 7%, ma in campagna elettorale potrebbe crescere fino al 10%. «In termini di seggi non sarebbero tanti, anche perché potrebbe vincere in pochi collegi uninominali; ma una quarantina di scranni a Montecitorio e una ventina a Palazzo Madama, scaturenti quasi tutti dai collegi plurinominali, dovrebbe ottenerli. Sommando a quel punto i seggi del M5S con quelli di “Liberi e Uguali”, la maggioranza assoluta dei seggi sarebbe però ancora lontana. Ma non per questo irraggiungibile: a spuntare in soccorso arriverebbe il Pd».
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Galloni: dire no ai boss dell’euro, creato per uccidere l’Italia
Poniamo il caso che un grande economista italiano vi dicesse che l’euro è stato inventato per impedire all’Italia di rafforzarsi: ci credereste? Vi conviene farlo, dice Gianluca Scorla, se questo economista risponde al nome di Nino Galloni, già ricercatore a Berkeley e poi docente universitario a Modena, Milano e Roma. Di scuola post-keynesiana, tra il 1981 e il 1986 è stato collaboratore del professor Federico Caffè, il genio europeo dell’economia progressista. Nell’ultima stagione governativa di Andreotti, il “Divo Giulio” chiamò a sé proprio Galloni per aiutare l’Italia a non rimetterci le penne, in vista del Trattato di Maastricht. Risultato: l’allora cancelliere Kohl ingiuse al nostro governo di allontanare quel funzionario “ribelle”, che si ridusse – in ufficio – a comunicare con Andreotti mediante “pizzini”, per aggirare il rischio di intercettazioni ambientali. Galloni ha lavorato al ministero dell’economia e in quello del lavoro, all’Inpdap e all’Ocse, nonché presso gruppi come Agip, Nuova Satin, Fintext Corporation. E’ stato impegnato nell’Inps, poi nell’Inail. Oggi è vicepresidente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi. Obiettivo: costringere la politica italiana a leggere la crisi in modo corretto, capendo chi l’ha creata e perché.Sono passi indispensabili, per poterne uscire. Come? Restituendo allo Stato la sua piena sovranità operativa, monetaria e finanziaria, senza la quale ogni soluzione di rilancio non è credibile, è pura propaganda elettorale. Renzi e Berlusconi fanno a gara nel promettere bonus e sgravi fiscali? Stanno semplicemente barando: sanno benissimo che, se prima non si rovescia il tavolo europeo del rigore (che non è tecnico-economico ma solo politico, ideologico), non ci si saranno soldi per sostenere gli italiani. Era il 2014, quando Galloni – dopo aver denunciato il piano di “deindustrializzazione” dell’Italia pianificato via Eurozona dal nostro maggiore competitor, la Germania – ricordava la trama del film horror proiettato in Europa negli ultimi tre lustri. «Dalla fine della primavera del 2001 i grandi ecomomisti, i Premi Nobel, i centri di ricerca, i grandi esperti avevano previsto che “dal prossimo trimestre ci sarà la ripresa”, e che questa ripresa “slitterà al semestre successivo”, poi “all’anno successivo” e poi ancora a quello venturo, senza alcuna spiegazione sulle logiche che avrebbero dovuto guidare questa ripresa». Ma della ripresa, ovviamente, «nemmeno l’ombra», sintetizza tre anni fa Gianluca Scorla, sul “Giornale delle Buone Notizie”.E vi pare possibile che, di trimestre in trimestre, da allora, le banche abbiano emesso 800.000 miliardi di dollari di titoli derivati e altri 3 milioni di miliardi di dollari di derivati sui derivati, quindi di titoli tossici? Già nel 2014 il totale sfiorava i 4 quadrilioni di miliardi di dollari, cifra pari a 55 volte il Pil del mondo. Lacrime e sangue: quante ne hanno davvero versate gli italiani, obbedendo ai diktat degli ultimi governi euro-diretti, da Monti a Gentiloni passando per Letta e Renzi? «Nella fase storica in cui la politica è stata superata dall’economia e le scelte operate seguono il paradigma della speculazione internazionale piuttosto che del rilancio dello sviluppo», riassume Scorla, Galloni racconta come stanno realmente le cose, indicando anche la via da percorrere per risalire la china: utilizzare ogni mezzo (compresi quelli esistenti, non soppressi da Maastricht) per riattivare lo Stato come soggetto necessariamente protagonista dell’economia nazionale: per esempio emettendo moneta metallica o anche “moneta fiduciaria”, non a corso legale fuori dai confini nazionali, ma valida ad esempio per pagare le tasse. «Già solo questo – ricorda Galloni, in un recente intervento al convegno promosso a Roma dal Movimento Roosevelt sulla Costituzione – basterebbe a rimediare allo scellerato obbligo del pareggio di bilancio, introdotto dal governo Monti con i voti di Berlusconi e Bersani».“Chi ha tradito l’economia italiana” (Editori Riuniti) è uno dei recenti saggi ai quali Galloni ha affidato la sua circostanziata denuncia. In estrema sintesi: i 35 anni che vanno dal 1944 al 1979, riassume Scorla, sono lo specchio di uno stabile modello di capitalismo espansionista keynesiano che ha centrato l’obiettivo di massimizzare le vendite, i profitti complessivi e l’occupazione. Nel 1979, in concomitanza con il G7 di Tokyo, l’uscita dal sistema della solidarietà internazionale dà luogo alla genesi di un nuovo tipo di capitalismo, definito di “rivincita dei proprietari”, che durerà fino agli inizi degli anni ’90 con l’avvento della crisi del sistema monetario europeo. «Dalla fine degli anni ’70, la svolta liberista anti-keynesiana trova il suo apice devastatore nella logica del salvataggio bancario, che spinge le istituzioni e le banche stesse ad assoggettarsi, nel tempo, al sistema ultra-speculativo voluto dalla grande finanza». Dal 2001, quindi, «le banche affondano l’acceleratore nell’emissione di derivati e dei derivati sui derivati, generando così i titoli tossici. L’obiettivo raggiunto coincide con la massimizzazione del guadagno, non sul rendimento del titolo ma sul numero delle emissioni».Meglio di chiunque altro, Galloni ha spiegato come – tra il 1980 e l’anno seguente – lo sviluppo del paese fu letteralmente sabotato dal divorzio tra Bankitalia (Ciampi) e il Tesoro (Andreatta): prima ancora dell’euro, la banca centrale abdicò al suo ruolo istituzionale di “prestatore di ultima istanza”, cessando di fungere da “bancomat” del governo, a costo zero. Da allora, il deficit cominciò a essere finanziato – al prezzo di interessi salatissimi – da investitori finanziari privati: cosa che fece letteralmente esplodere, di colpo, il debito pubblico italiano, problema poi impugnato come una clava dal potere neoliberista, fin dall’inizio impegnato a fare la guerra allo Stato. Oggi, dice Galloni, la buona notizia è che l’Italia sta resistendo in modo imprevedibile al massacro sociale imposto da Bruxelles per via finanziaria. E senza alcun intervento da parte della politica: i lavoratori, semplicemente, hanno smesso di andare a votare, gonfiando l’oceano dell’astensionismo. Potremmo vivere un’accelerazione positiva esponenziale, aggiunge Galloni, se solo la politica si decidesse a dire la verità sull’accaduto, a denunciare i nemici del sistema-Italia e a mettere in campo politiche nuovamente espansive, fondate su investimenti strategici sorretti dall’emissione monetaria diretta. Premessa: innanzitutto, è urgente compiere una mossa semplice e drastica, di cui hanno paura tutti – dal Pd a Berlusconi, fino ai 5 Stelle. E cioè: mandare a stendere i poteri che manovrano i fantocci di Berlino, Bruxelles e Francoforte. Dicendo loro: se non si rinegozia tutto, da cima a fondo, l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei. Funzionerebbe: perché, senza più il nostro paese, il bunker antieuropeo chiamato Unione Europea crollerebbe un minuto dopo.Poniamo il caso che un grande economista italiano vi dicesse che l’euro è stato inventato per impedire all’Italia di rafforzarsi: ci credereste? Vi conviene farlo, dice Gianluca Scorla, se questo economista risponde al nome di Nino Galloni, già ricercatore a Berkeley e poi docente universitario a Modena, Milano e Roma. Di scuola post-keynesiana, tra il 1981 e il 1986 è stato collaboratore del professor Federico Caffè, il genio europeo dell’economia progressista. Nell’ultima stagione governativa di Andreotti, il “Divo Giulio” chiamò a sé proprio Galloni per aiutare l’Italia a non rimetterci le penne, in vista del Trattato di Maastricht. Risultato: l’allora cancelliere Kohl ingiuse al nostro governo di allontanare quel funzionario “ribelle”, che si ridusse – in ufficio – a comunicare con Andreotti mediante “pizzini”, per aggirare il rischio di intercettazioni ambientali. Galloni ha lavorato al ministero dell’economia e in quello del lavoro, all’Inpdap e all’Ocse, nonché presso gruppi come Agip, Nuova Satin, Fintext Corporation. E’ stato impegnato nell’Inps, poi nell’Inail. Oggi è vicepresidente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi. Obiettivo: costringere la politica italiana a leggere la crisi in modo corretto, capendo chi l’ha creata e perché.
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A come Austerity, dal clown Katainen al club Draghi-Padoan
Nei giorni scorsi, in occasione della riunione del collegio dei commissari europei tenutasi a Strasburgo, il vicepresidente finlandese della Commissione Europea, Jyrki Katainen, ha lanciato un monito al governo italiano affinché rispetti l’impegno preso in merito ai conti pubblici e racconti “la verità” agli italiani. «Sostanzialmente – sintetizza Daniela Corda su “Rete Mmt” – ciò che Katainen rimprovera al governo è di non aver tirato abbastanza la cinghia affinché i cittadini e le aziende soffrissero un po’ di più». Nonostante l’austerità portata avanti dell’esecutivo con la “spending review”, e malgrado i tagli selvaggi alla spesa pubblica e il ridimensionamento della spesa in deficit, il risultato per Katainen non è ancora soddisfacente: occorre ancora più rigore, servono «ancora più lacrime e sangue». Si dovrebbe ridurre ulteriormente il rapporto deficit-Pil dello 0,6%, ma nella legge di bilancio presentata lo scorso ottobre il governo Gentiloni si è impegnato per un misero 0,3%. Peccato che proprio il deficit pubblico «è quello che resta ai cittadini e alle aziende al netto delle tasse», ricorda il blog ispirato alla Modern Money Theory, introdotta in Italia da Paolo Barnard. «Una riduzione del deficit comporta un ulteriore impoverimento del settore privato».L’aspetto più sconcertante della vicenda è la pervicacia “sovietica” con cui l’oligarchia finanziaria neo-feudale che la colonizzato le istituzioni europee, piazzando nei posti-chiave personaggi come l’oscuro Katainen, insiste del reiterare la grande menzogna ideologica neoliberista, in base alla quale si restituisce salute all’economia tagliando la spesa pubblica. Dogma bugiardo: è vero esattamente il contrario, come ricorda un grande economista post-keynesiano come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «Il problema non sta neppure nel carico fiscale: non serve tagliare le tasse, se prima non ampli la spesa, perché solo l’investimento pubblico in termini di deficit può rilanciare l’economia, incrementando infine anche il gettito erariale». Una verità palese, che appartiene all’abc della scienza economica, ma che l’oligarchia Ue continua a sovvertire, nonostante la catastrofe che ha provocato, negli ultimi anni, mettendo in sofferenza l’intero continente. Niente si strano, quindi, se ora il “falco” di turno ripete, a pappagallo, che «lo scarso impegno dell’Italia nel consolidamento dei conti metterà a rischio la tenuta del welfare italiano».Katainen, come giù i suoi “colleghi” eurocrati, da Draghi a Monti, prefigura «conseguenze disastrose» se l’Italia non farà harakiri fino in fondo. «Ad aver distrutto il welfare italiano sono proprio le politiche di austerità che stanno a cuore al commissario finlandese», obietta Daniela Corda: «È vero che gli italiani devono conoscere la verità», ma devono sapere che «non è quella di Katainen». Ovvero: «Più il governo si piegherà alle richieste della Commissione Europea, più la situazione economica peggiorerà». Nei prossimi giorni, aggiunge il blog “Rete Mmt”, da Bruxelles arriverà un’altra lettera al governo italiano, con la quale la Commissione Europea chiederà “spiegazioni” sulla legge di bilancio e, come al solito, invocherà “maggiore impegno” sul fronte dei conti pubblici. Quello che la maggior parte degli italiani non sanno, spiega Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, è che l’uomo in prima linea nelle trattative con Bruxelles – il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan – appartiene a pieno titolo «alla rete neo-aristocratica della supermassoneria sovranazionale», quella della Ur-Lodge “Three Eyes”, inserita «nello stesso circuito dell’élite più reazionaria al quale appartiene lo stesso Draghi, insieme a Monti e Napolitano». Sono gli uomini che hanno “firmato” la drammatica escalation dell’austerity nel 2011, col pretesto artificiale dello “spread”: dalla legge Fornero sulle pensioni alla mutilazione della Costituzione, deturpata dall’inserimento dell’aberrante pareggio di bilancio (votato anche da Bersani e compagni).Lo stesso Padoan sta cercando di destreggiarsi tra Roma e Bruxelles, alla ricerca di mediazioni che consentano a Gentiloni e Renzi di non rimetterci l’osso del collo? «Quella stessa élite non è un monolite, in questo periodo alcuni suoi esponenti – come il berlusconiano Antonio Tajani – stanno inviando segnali di insofferenza rispetto al perdurare dell’austerity», segnala il saggista Gianfranco Carpeoro, sodale di Magaldi. Come dire: la “cupola” di potere che ha ridotto l’Ue a una caserma punitiva sta cominciando a mostrare le prime crepe, persino delle file dell’ala più conservatrice? Non è questo, però, il caso dell’oltranzista finlandese Katainen: «Dovremmo pensare alle lettere della Commissione Ue come ai palloncini rossi di “It”, quelli che il mostro del celebre romanzo di Stephen King mostrava ai bambini prima di ucciderli», scrive Daniela Corda. «Jyrki Katainen, in questo momento, potrebbe ben rappresentare “It” nella vita reale. Sta a noi decidere se dare retta a un clown che cerca di abbindolarci con un palloncino rosso e che in realtà vuole ammazzarci con l’austerità, oppure ripudiare il mostro e i suoi artefici studiando la macroeconomia». Solo così, conclude Corda, «possiamo vedere quel palloncino rosso per quello che è: una terrificante politica antisociale e antidemocratica».Nei giorni scorsi, in occasione della riunione del collegio dei commissari europei tenutasi a Strasburgo, il vicepresidente finlandese della Commissione Europea, Jyrki Katainen, ha lanciato un monito al governo italiano affinché rispetti l’impegno preso in merito ai conti pubblici e racconti “la verità” agli italiani. «Sostanzialmente – sintetizza Daniela Corda su “Rete Mmt” – ciò che Katainen rimprovera al governo è di non aver tirato abbastanza la cinghia affinché i cittadini e le aziende soffrissero un po’ di più». Nonostante l’austerità portata avanti dell’esecutivo con la “spending review”, e malgrado i tagli selvaggi alla spesa pubblica e il ridimensionamento della spesa in deficit, il risultato per Katainen non è ancora soddisfacente: occorre ancora più rigore, servono «ancora più lacrime e sangue». Si dovrebbe ridurre ulteriormente il rapporto deficit-Pil dello 0,6%, ma nella legge di bilancio presentata lo scorso ottobre il governo Gentiloni si è impegnato per un misero 0,3%. Peccato che proprio il deficit pubblico «è quello che resta ai cittadini e alle aziende al netto delle tasse», ricorda il blog ispirato alla Modern Money Theory, introdotta in Italia da Paolo Barnard. «Una riduzione del deficit comporta un ulteriore impoverimento del settore privato».
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Magaldi: sveglia, Renzi. Ribellati all’Ue, o sarà la catastrofe
Matteo, sveglia: devi cambiare rotta adesso, in extremis, dichiarando guerra all’austerity. Oppure, «dopo il bagno di sangue delle elezioni» sarà troppo tardi. Non ci saranno vincitori, ma un grande sconfitto, il Pd. E l’Italia dovrà rassegnarsi all’ennesimo non-governo, prono ai diktat di Bruxelles. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, insiste su Renzi: ancora per qualche mese, l’ex rottamatore sarebbe l’unico potenziale vettore di consenso, su cui far convergere una piattaforma keynesiana in grado di ribaltare il tavolo europeo. Non lo è il Movimento 5 Stelle, nel cui programma l’Europa è assente. Non lo è Berlusconi, «che un giorno attacca la Merkel e il giorno dopo ne cerca l’amicizia, tramite Tajani». E non lo è neppure Salvini, «che dice “no a quest’Europa” ma poi non ha ricette alternative al liberismo classico». Beninteso: «A Palazzo Chigi non ci andrà, Salvini, perché le prossime elezioni – che non vincerà nessuno – regaleranno all’Italia l’ennesimo governo di basso profilo, con un premier né carne né pesce che vada bene agli uni e agli altri». E questa sarebbe anche la fine di Matteo Renzi, cioè di quella che milioni di italiani hanno percepito come come l’ultima spiaggia, l’ultima vera speranza di cambiamento. Ha bluffato, Renzi? Certamente. Dunque gli resta un’ultima possibilità: aprire, davvero, le ostilità con Berlino, Francoforte e Bruxelles. Viceversa, dopo il voto, sarebbe politicamente morto.«A differenza di altri, Renzi potrebbe in extremis dare corpo a quelle che, peraltro, sono sue enunciazioni», afferma Magadi, ai microfoni di “Colors Radio”. «Giustamente, oggi Renzi chiama in causa la vigilanza di Bankitalia su diverse vicende mal gestite – Bankitalia governata a suo tempo da Mario Draghi». Certo, si dirà che lo fa «per stornare gli attacchi ricevuti su Banca Etruria». Ed è paradossale che Berlusconi, «defenestrato a suo tempo soprattutto per volere di Draghi e delle consorterie massoniche di cui Draghi è parte», si schieri oggi in difesa del suo ex killer politico, Mario Draghi. «Ma questo fa parte del gioco di Berlusconi: da un lato chiede al Parlamento di vigilare sulle vicende dello spread del 2011, talvolta alimentando l’idea che ci sia stato un golpe a suo sfavore, ma poi va a lisciare il pelo di colui che è stato, insieme a Napolitano e altri, il burattinaio di quel golpe, che ha insediato Mario Monti a Palazzo Chigi». Se questo è il centrodestra, il centrosinistra sta ancora peggio: ma non solo per colpa di Renzi, sostiene Magaldi. «Oggi ad esempio assistiamo alle uscite di Veltroni, che dà consigli non richiesti». Veltroni, cioè «colui che ha portato il Pd alla prima sconfitta, facendo il modo che Prodi perdesse il governo».Sia chiaro, nessun rimpianto: «Prodi è tra coloro che dovrebbero chiedere scusa agli italiani, avendo (al pari di Berlusconi) governato malissimo l’ingresso dell’Italia in Europa, la sua permanenza e in generale gli ultimi 25 anni di storia», precisa Magaldi. Che però insiste: non è colpa di Renzi se il Pd, che doveva essere «la quintessenza del progressismo in Italia, raccogliendo forze nuove della società civile e politica», si è ridotto fin dall’inizio a essere soltanto «la fusione tra Margherita e Ds», nonché «l’ennesima propagazione del mondo post-comunista, Pci-Pds». Matteo Renzi? «Non è il responsabile del declino del Pd, perché Bersani – prima di lui – ha fatto molto peggio: ha appoggiato il governo Monti, la sciagurata introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione e la riforma delle pensioni della sciaguratissima ministra Fornero. Dovrebbe tacere, Bersarni: vergognarsi, e non mettere l’articolo 1 della Costituzione accanto al simbolo altrettanto grottesco del Mdp, “movimento democratico progressista”». Per Magaldi, Bersani, D’Alema e soci «sono molto peggio di Renzi, e non a caso i sondaggi li danno a percentuali risibili: non sono credibili né come alternativa a sinistra del Pd, né per rifare il centrosinistra su basi diverse da quelle renziane».Detto questo, continua Magaldi, anche Renzi ha le sue responsabilità. «Per questo, se ha un minimo senso di autoconservazione, è importante che – in modo fulmineo – cambi rotta: gli italiani non gli perdonano di esser stato un affabulatore, qualcuno che ha promesso, che ha dato delle speranze». Alle ultime europee, il Pd renziano aveva superato il 40%? Logico: «Molti hanno creduto in Renzi, nel suo piglio giovanile, nella sua capacità di comunicazione, nel suo ottimismo. Molti hanno pensato che fosse la carta giusta. Gli hanno creduto quando l’hanno sentito parlare di una nuova Europa, quando ha detto che le cose che aveva in mente avrebbero riportato occupazione e benessere». Le cose, come sappiamo, non sono andate esattamente così. Nel suo libro, “Avanti”, oggi Renzi si lamenta: sostiene di non essere stato compreso. Ammette di aver commesso degli errori (solo veniali, però) e non si rende conto che il Jobs Act ha accentuato la precarierà del lavoro. In teoria non sarebbe sbagliata l’idea delle “tutele crescenti”, dice Magaldi, ma è insostenibile in questo contesto politico-economico: «Se invece si desse per Costituzione il diritto al lavoro, questo consentirebbe anche di abbandonare le vecchie tutele – ma allora non ci sarebbe neppure più bisogno del Jobs Act».Il vero problema che la politica italiana – Renzi compreso – finge di ignorare, è il carattere artificioso della crisi, ormai disastrosa: viviamo da decenni «in un clima di economia asfittica e di impossibilità delle istituzioni di rilanciare lavoro, occupazione e benessere, rinnovando infrastrutture divenute fatiscenti». E quindi, «in un paese pesantemente trattenuto anche dal Patto di Stabilità che frena gli enti locali, è inutile che Renzi venga a dire che non è stato compreso e che ha i nemici in casa». Renzi, aggiunge Magaldi, deve decidersi «in tempi rapidissimi», perché dopo le elezioni sarà già tardi. Deve scegliere «se davvero vuole essere quello che dà un nuovo passo all’Italia». Per farlo, però, «deve abbracciare un paradigma politico-economico che è alternativo a quello dell’austerity». E’ inutile che continui a vantarsi di litigare quotidianamente con i partner europei: «Tutti hanno visto il suo abbaiare e poi il suo sostanziale andare a baciare più volte l’anello di Angela Merkel e degli altri potenti, di quella che qualcuno definirebbe Euro-Germania, ma che non è altro che un meccanismo asservito a interessi sovranazionali di carattere privato». In sostanza, dice Magaldi, se Renzi non esce dal letargo non lo farà nessun altro: nemmeno Salvini e la Meloni avrebbero la forza necessaria a scuotere il paese.«Salvini – amette Magaldi – è stato bravo a investire nella trasformazione della Lega come movimento non più settentrionale ma nazionale». Dal leader leghista arrivano «giuste critiche ad alcuni aspetti dell’Europa». Bene anche quando dice che i migranti vanno “aiutati a casa loro”: peccano non si ricordi una sola proposta concreta, della Lega, per aiutare davvero “a casa loro” i disperati che giungono sulle nostre coste. Soprattutto: «Salvini ha in mente un impianto economico che è tradizionale: le ricette che propone non sono troppo dissimili da quelle del liberismo classimo». Per primo, con lucidità, Salvini ha chiesto di abbattere le aliquote fiscali: «Ma non basta, serve di più. A Salvini, probabilmente, manca la la percezione della necessità di ricette keynesiane». Fa benissimo a chiedere le primarie nel centrodestra, che Magaldi gli augura di vincere: «Un giorno Salvini potrebbe evolvere, capendo meglio la necessità di un cambio di paradigma politico-economico: occorre comprendere la radice del problema, che riguarda la globalizzazione e il pensiero neliberista egemone nella cosiddetta austerity che ancora ispira tutti i governi europei».Per rompere questo pensiero unico, dice ancora Magaldi, occorre che Salvini e altri «cambino il loro modo di guardare alla società e all’economia, ma ancora questo passo non l’hanno fatto». Perché «non basta dire no a quest’Europa», serve una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di intendere la sovranità democratica, mettendo fine al dominio ideologico dell’élite che ha dogmatizzato il neoliberismo, fino a traformare l’Europa in un inferno di sofferenze sociali. «Io sono un europeista – chiarisce Magaldi – ma mi vergogno di come l’europeismo sia stato tradito da questi anti-europeisti che oggi portano il vessillo delle istituzioni europee». Sarebbe questa l’unica battaglia giusta, necessaria e urgentissima, per poter dare un senso alle prossime elezioni. Che invece, avanti di questo passo, nessuno vincerà davvero: né il Renzi dormiente, né lo stesso Salvini. «Nessuno dei leader di punta, quelli cioè troppo caratterizzanti, aerriverà a Palazzo Chigi: nessuno di loro potrà essere a capo di un governo di coalizione. E nessuno le vincerà, le prossime elezioni: non il centrodestra, né il Movimento 5 Stelle. E non il centrosinistra, che anzi si prepara alla catastrofe».Matteo, sveglia: devi cambiare rotta adesso, in extremis, dichiarando guerra all’austerity. Oppure, «dopo il bagno di sangue delle elezioni» sarà troppo tardi. Non ci saranno vincitori, ma un grande sconfitto, il Pd. E l’Italia dovrà rassegnarsi all’ennesimo non-governo, prono ai diktat di Bruxelles. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, insiste su Renzi: ancora per qualche mese, l’ex rottamatore sarebbe l’unico potenziale vettore di consenso, su cui far convergere una piattaforma keynesiana in grado di ribaltare il tavolo europeo. Non lo è il Movimento 5 Stelle, nel cui programma l’Europa è assente. Non lo è Berlusconi, «che un giorno attacca la Merkel e il giorno dopo ne cerca l’amicizia, tramite Tajani». E non lo è neppure Salvini, «che dice “no a quest’Europa” ma poi non ha ricette alternative al liberismo classico». Beninteso: «A Palazzo Chigi non ci andrà, Salvini, perché le prossime elezioni – che non vincerà nessuno – regaleranno all’Italia l’ennesimo governo di basso profilo, con un premier né carne né pesce che vada bene agli uni e agli altri». E questa sarebbe anche la fine di Matteo Renzi, cioè di quella che milioni di italiani hanno percepito come come l’ultima spiaggia, l’ultima vera speranza di cambiamento. Ha bluffato, Renzi? Certamente. Dunque gli resta un’ultima possibilità: aprire, davvero, le ostilità con Berlino, Francoforte e Bruxelles. Viceversa, dopo il voto, sarebbe politicamente morto.
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Caro Mattarella, io mi dimetto da italiano: siamo in sfacelo
Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia. In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano. Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me. Voglio restituire la mia carta d’identità. Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore. Sì, signor presidente, mi dimetto. Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano. Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato. Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere. Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore. Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano. Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.Dopo un’oculata riflessione, durata circa vent’anni ed iniziata con l’età della ragione, guardandomi intorno e facendo una precisa disamina di quanto accaduto, in particolare negli ultimi anni, non posso che confermare quanto scrittole nel primo paragrafo. Crisi economica, mancanza di aiuti agli italiani costretti in degenza economica, le continue pagliacciate da parte dei partiti istituzionali ed aziende sane capaci di fornire lavoro a migliaia di persone portate dallo Stato al fallimento. Questo lo scenario targato Italia 2017. Il governo mantiene e difende, esclusivamente, clandestini, extracomunitari ed immigrati. Chiunque, l’importante che non sia italiano. Il tutto mentre i giovani, figli di questa terra, sono costretti a scappare dal proprio paese. Lo fanno perché non sono tutelati e non hanno nessuna garanzia di trovare un impiego solido, capace di donare speranza nell’avvenire. Nel mentre gli anziani, dopo una vita spesa facendo sacrifici su sacrifici, vedono riconosciuta da questo Stato una pensione da miseria. Inoltre vogliamo parlare degli italiani costretti a dormire in macchina? Uomini e donne scaraventati fuori dal loro nido perché non possono più far fronte ad un mutuo, le banche li strangolano, oppure sfratti dagli alloggi popolari.In questo scempio, le forze dell’ordine sono costrette a lavorare senza nessun tipo di garanzia, trattati peggio dei delinquenti e utilizzando mezzi completamente obsoleti. Infine le famiglie costrette ancora nei container in attesa di un alloggio dopo i, vari, terremoti che hanno sconquassato lo stivale. Chiedere in Irpinia come vivono, a distanza di 37 anni, da quando la terra tremò lasciando le certezze un lontano ricordo. Senza dimenticare il livello vessatorio a cui sono arrivate le tasse nella nostra nazione. Gli esattori, inesorabili vampiri, pronti ad avventarsi sul nostro estenuante ed umile lavoro. Proprio per questi motivi decido di rifiutare la nazionalità italiana e di dimettermi dal ruolo di cittadino italiano. Dalla data odierna mi considero apolide e pertanto richiederò accesso agli aiuti dedicati ai cittadini stranieri residenti sul nostro territorio, oppure in attesa del permesso di soggiorno. Non voglio essere più italiano, quindi rinuncio a tale incombenza. Ci era rimasta un’unica arma a disposizione: il voto. Ormai, ritengo, inutile anche questa espressione democratica da parte dei cittadini. Le malefatte, trasversali, della nostra infausta classe politica – maggioranza, minoranza, sinistra, destra, centro e a stelle – mi rendono certo che nessuno, politicamente parlando, può invertire la rotta in cui l’Italia si è immessa.In questo marasma cito le parole di uno dei padri della patria, Dante Alighieri: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Divina Commedia di una nazione alla deriva. Per come la politica da seconda repubblica, in linea continua con la prima, agisce e rappresenta la nazione è opportuno e necessario voltargli le spalle. Si votassero da soli. Oppure si facciano votare da chi li ritiene adeguati e si riconosce nella loro cronica incapacità professionale e indegnità morale. Vent’anni in cui ci hanno tolto tutto, anche i sogni, quelli nostri e delle generazioni che verranno. Ci hanno rubato l’unico valore a cui tutti potevano accedere: la libertà. Mi assale e sprofondo in un indomabile senso di vergogna. Lottare? Sì, l’ho fatto con i mezzi che avevo a disposizione, ma purtroppo lottare in questo paese non porta a nulla concreto. Perché questo sistema ed il Dna del nostro popolo, opportunista e disunito, non vuole cambiare o cambierà solo davanti ad un pallone da calcio. La mia, sia chiaro, non è una resa, ma una presa di coscienza della situazione attuale. La lascio alle sue incombenze, citando un altro grande siciliano, Franco Battiato: “Povera patria. Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni. Questo paese è devastato dal dolore. Ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”.(Andrea Pasini, “Non voglio più essere un italiano”, dal blog di Pasini sul “Giornale” del 1° novembre 2017. Giovane imprenditore, Pasini gestisce il blog “Senza paura” sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti).Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia. In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano. Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me. Voglio restituire la mia carta d’identità. Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore. Sì, signor presidente, mi dimetto. Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano. Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato. Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere. Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore. Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano. Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.