Archivio del Tag ‘rivolta’
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Sangue in Siria, Assad si rassegni e conceda la libertà
«La libertà costa cara. Voi europei sapete bene quanto avete pagato per conquistarla in Italia, in Francia, e altri in America e in Giappone. Beh, adesso tocca a noi siriani. Come voi, dobbiamo lottare. S’è sparso sangue nel Paese, e altro ne scorrerà. Però, non c’è altra scelta». Così parla l’anziano avvocato Haythem al-Maleh, 80 anni, in libertà dopo un anno e mezzo di prigione. Già magistrato, negli anni ’50 e ’60 «quando la magistratura siriana era forte e indipendente», al-Maleh è un dissidente storico: il padre dei diritti civili in Siria, un paese nel quale i dissidenti sono stati incarcerati e decine di migliaia, torturati e uccisi. Un paese ora in fiamme, che non crede più alle promesse del giovane presidente Bashar Assad.
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Partire lontano: lasciateci sognare l’Europa
«Oh barca, amore mio, portami fuori dalla miseria. Partire lontano: nel mio paese mi sento umiliato, sono stanco e mi sono stufato». Il ritmo è rap, la melodia araba. Il brano è firmato dagli algerini Reda Taliani e 113. Racconta, come meglio non si potrebbe, quello che spinge i giovani tunisini sui barconi che approdano a Lampedusa: “partire lontano”, ovvero «andare via, evadere, come da una prigione, per vedere il mondo», dice Gabriele Del Grande, osservatore speciale dei migranti dal blog “Fortress Europe”. «Di canzoni così ce ne sono decine, dal Marocco all’Egitto. Ma su tutte spicca il grande successo di “Partir loin”», firmato da giovani: lasciateci andare, cantano, perché il mondo non è solo vostro.
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Lampedusa, gli impresari della paura rimpiangono i dittatori
Turbati da una rivoluzione araba che sovverte la loro visione del mondo, alcuni ministri italiani si sono trasformati in profeti di sventura. E subito i giornali governativi hanno cominciato a suonare le campane a morto. Mentre Frattini sparava cifre a casaccio su «un’invasione di 300 mila profughi», La Russa e Maroni abusavano dei sacri testi per evocare un “Esodo biblico”, giungendo martedì scorso a fantasticare di “Tsunami umano”. Rileggere in sequenza i titoloni di prima pagina de “La Padania” aiuta a comprendere lo stato d’animo di costernazione con cui i nostri governanti vivono questi cambiamenti storici, percepiti nel resto d’Europa come rischiosi, certo, ma potenzialmente benefici.
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«Uccidere Gheddafi: il vero obiettivo della Gran Bretagna»
Gli inglesi vogliono uccidere Gheddafi: obiettivo vero dei raid, l’eliminazione fisica del raìs per porre fine alla resistenza delle sue forze armate, duramente colpite dai raid della coalizione internazionale: l’alleanza agisce su mandato delle Nazioni Unite per imporre la “no-fly zone” sulla Libia, ma di fatto sta martellando l’esercito del Colonnello sperando che anche i reparti d’élite abbandonino il dittatore. Secondo fonti dell’opposizione, sarebbe morto a Tripoli il figlio militare del leader libico, Khamis Gheddafi, colpito dal fuoco di un pilota passato agli insorti. Khamis, alla guida dell’omonima brigata – massimo baluardo a difesa del regime paterno – sarebbe stato colpito a morte nel complesso fortificato di Bab-el-Aziziya, dove poco dopo si è abbattuto un missile che ha distrutto un edificio dell’amministrazione militare.
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Raid contro il Colonnello, forze speciali inglesi già in Libia
«Centinaia di soldati delle forze speciali britanniche Sas sarebbero in azione da almeno tre settimane in Libia al fianco dei gruppi ribelli», afferma il 20 marzo il quotidiano “Sunday Mirror”. Due unità di incursori, soprannominate “Smash” per la loro capacità distruttiva, avrebbero «dato la caccia ai sistemi di lancio di missili terra-aria di Muhammar Gheddafi», i Sam 5 di fabbricazione russa, «in grado di colpire bersagli attraverso il Mediterraneo con una gittata di quasi 400 chilometri». Affiancate da «personale sanitario, ingegneri e segnalatori», sempre secondo il “Sunday Mirror” le Sas britanniche hanno «creato posizioni sul terreno in modo da venire in aiuto in caso in cui jet della coalizione fossero stati abbattuti durante i raid».
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Libia, anche l’Italia firma l’ultimatum di guerra
Sette basi militari a disposizione, insieme ai velivoli tricolori in partenza per i cieli libici: intercettori Eurofighter, caccia F-16 e bombardieri Tornado. Missione: contribuire alla “no-fly zone” per impedire a Gheddafi di continuare a bombardare gli insorti e la popolazione che li sostiene. Di fatto: neutralizzare basi libiche, contraerea, radar e difesa missilistica. Sono le regole d’ingaggio della “guerra dell’Onu”, ultimatum scattato con l’ok del Consiglio di Sicurezza su pressione di Francia e Inghilterra – un passo indietro gli Usa, astenuta la Germania. Decisivo il silenzio-assenso di Russia e Cina, che hanno rinunciato al loro potere di veto aprendo la strada alla fine del regime di Gheddafi: un esito sul quale mette la propria firma anche l’Italia, “portaerei del Mediterraneo” e scomoda dirimpettaia del Colonnello, fino a ieri super-fornitore, grande amico e socio in affari.
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Gheddafi azzoppato, sperava nel nostro infinito cinismo
Credere o non credere a Muhammar Gheddafi? Prima di rispondere è bene aspettare i fatti, anche se va detto che il leader libico sta giocando la sua partita definitiva, impegnato nella fatale partita a scacchi con la morte – ricordate il film di Bergman? Però, più che agli scacchi, Gheddafi per ora ha giocato a poker: non conoscendo le regole, forse neppure il decalogo psicologico del gioco, ma praticando con disinvoltura il bluff. Appena il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato la tardiva “no-fly zone”, ecco che lo spietato leader è diventato quasi un coniglio e ha accettato – per ora, a parole – le decisioni vincolanti delle Nazioni Unite, di cui il suo paese fa parte.
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Rivolta araba, ora s’infiamma anche il Golfo del petrolio
La Libia brucia e di certezze se ne vedono poche. In Egitto e in Tunisia si cerca di costruire il loro nuovo mondo. Tutto ruota, per ora, attorno all’asse del Nord Africa. Il Golfo Persico è attraversato da correnti non meno impetuose e, rispetto all’Europa e al Nord America, i cambiamenti potrebbero avere un impatto anche maggiore di quanto visto fino a ora. L’Arabia Saudita, per esempio. La monarchia di Riad vive la crisi più profonda della sua storia. La casa reale non ha un candidato al trono. O ne ha troppi, che è poi l’altra faccia della stessa medaglia. Oggi è la “giornata della rabbia”, in Arabia Saudita.
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Matt Damon: senz’acqua, ogni 15 secondi muore un bambino
«Ogni 15 secondi c’è un bambino che muore: perché non dispone di acqua pulita». Parola di Matt Damon, una delle star più richieste di Hollywood. Reduce da pellicole come “Salvate il soldato Ryan” e dall’Oscar per “Will Hunting, genio ribelle” dopo l’esordio nel film “Il coraggio della verità”, dove interpreta un reduce tossicodipendente della Guerra del Golfo accanto a Denzel Washington, Matt Damon torna al cinema con “I guardiani del destino” tratto da un’opera di Philip Dick che si interroga sulla capacità di cambiare il corso delle cose: «La rivolta in Egitto è una lezione». E’ la ribellione dei poveri, la cui prima emergenza è l’acqua: l’attore è impegnato in una campagna per finanziare l’accesso all’acqua potabile nel terzo mondo.
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Il sud del mondo rivuole quel che gli abbiamo rubato
Rivoluzione democratica del mondo arabo? Per favore, chiamiamo le cose col loro nome: non è che i maghrebini e i mediorientali vogliano “finalmente” anche per sé la “nostra” magnifica democrazia liberale; svegliati da Internet e dalla tv satellitare, che rivela i nostri standard di vita, ora pretendono semplicemente che le loro vaste ricchezze siano resitituite e condivise, sottratte all’indegna custodia di dittature e satrapie che hanno finora sequestrato e derubato interi popoli per spartire il bottino petrolifero tra pochi intimi, a tutto vantaggio del business privilegiato occidentale. Restituzione del maltolto: questa la chiave del terremoto in corso, secondo lo storico Franco Cardini. Terremoto che parte dal Maghreb ma potrebbe coinvolgere l’intera Africa.
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Guerra contro Gheddafi: più vicino l’intervento della Nato
Armare i ribelli e impedire a Gheddafi di alzare in volo aerei ed elicotteri. Si fa sempre più concreta l’ipotesi di un intervento armato della Nato per scongiurare un disastro umanitario in Libia. Dopo il summit del 28 febbraio a Ginevra i membri dell’Alleanza atlantica stanno valutando diverse opzioni di intervento, compresa la creazione di una “no-fly zone”. Per quanto riguarda gli scenari futuri, gli Usa non escludono “l’esilio” del Colonnello, un’ipotesi questa su cui il premier italiano Berlusconi invita alla cautela. Per il momento però la controffensiva delle forze fedeli al dittatore libico ha impedito ai rivoltosi di raggiungere Tripoli ed espugnare la roccaforte del regime.
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Sangue sulla protesta, la rivolta raggiunge l’Africa di Sankara
Il vento rivoluzionario del Nord Africa e del Medio Oriente ora spira anche sugli altipiani del continente nero, nel “paese dei puri” fondato dal presidente-martire Thomas Sankara, assassinato nella capitale Ouagadougu dopo aver sfidato lo strapotere neo-coloniale dell’Occidente: proprio il Burkina Faso ora è sull’orlo della rivolta, dopo che il regime filo-francese di Blaise Compaoré ha fatto reprimere nel sangue la protesta popolare scatenatasi per l’ennesimo crimine del governo, l’uccisione dello studente Justin Zongo, bastonato a morte dalla polizia. La situazione nel paese africano è ritenuta esplosiva, dopo la feroce ondata di repressione: 7 morti in appena tre giorni.