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Conquistare il mondo: l’Occidente spara, la Cina compra
Se dovessimo sintetizzare ciò che accomuna tutti gli imperi nella storia dell’umanità, potremmo indicare questi punti fermi: la volontà di conquistare il mondo intero e una scusa per poterlo conquistare. Inoltre, chi voleva provare a conquistarlo, ha sempre avuto due problematiche da risolvere: la necessità di tenere sotto controllo una grande massa di persone (le masse, infatti, necessitano di essere controllate, altrimenti il caos e il disordine sociale sarebbe ingestibile); da qui scaturisce un’ulteriore esigenza: la necessità di avere un nemico per tenere unito un popolo, Stato, nazione, o altri gruppi sociali, o di dare uno scopo. L’Impero Romano, è noto, voleva conquistare tutto il mondo conosciuto; i Romani realizzarono uno dei più grandi imperi della storia. Il popolo veniva tenuto buono tramite il cosiddetto “panem et circenses” (valido ancora oggi con strumenti come il calcio, il baseball in Usa, la Tv, ecc.). Il nemico era costituito dai barbari che, in quanto esseri inferiori, potevano essere assoggettati. Alessandro Magno voleva voleva conquistare il mondo, e la scusa era quella di imporre ai territori conquistati la cultura avanzata e superiore dell’Antica Grecia (in realtà pare che conoscesse molto poco la cultura greca, e che fosse uno studente mediocre, allievo del grande Aristotele).Gengis Khan divenne il capo di una serie di tribù mongole disunite; aveva bisogno di un nemico, per tenere coesa la gente sotto di lui, e si diede da fare per conquistare tutto il conquistabile, massacrando e distruggendo tutti i popoli che decise di sottomettere. Dopo aver sconfitto i cinesi giurò di unificare tutto il mondo sotto un unico impero. Fondò l’impero più vasto mai conosciuto sulla terra, ma anche il più breve. Uno dei suoi successori, Kublai Khan, conquistò anche la parte merdionale la Cina ma adottò un mezzo singolare, l’unico possibile date le caratteristiche del territorio e della popolazione cinese: si cinesizzò, adottò gli usi e costumi cinesi, e quindi molti non sanno che la dinastia Yuan, che resse la Cina attorno al 1200, era in realtà una dinastia mongola, non cinese. Tamerlano, condottiero turco-mongolo, è considerato uno dei più grandi conquistatori della storia, il cui impero comprendeva l’Asia occidentale e centrale. Si considerava erede di Gengis Khan e aspirava ad emularne le gesta anche lui volendo “conquistare il mondo”. La sua versione dell’Islam, bigotta, crudele e violenta, poco si conciliava con i precetti dell’Islam o la dottrina Sufi dell’amore: egli si considerava la frusta di Allah, mandato a punire gli emiri per le loro ingiustizie. La scusa per invadere l’India nel 1398 fu, ad esempio, che il sultano era troppo tollerante con gli indù.L’Unione Sovietica voleva fare la stessa cosa imponendo il comunismo alle nazioni dell’Europa orientale; il capitalismo aveva fatto il suo corso, ed era ora di instaurare un mondo nuovo. Per fare questo utilizzarono due metodi: l’invasione militare, quando potevano, e il tentativo di conquistare gli altri paesi condizionandone la politica (ovverosia finanziando i partiti comunisti dell’Europa). Né più né meno che quello che hanno fatto gli Usa fino ad oggi. L’Europa non può essere considerata un impero unitario, essendosi per secoli divisa in scaramucce tra Francia, Spagna e Inghilterra, ma ai fini del nostro discorso lo considereremo tale, insieme agli Usa (che, non dimentichiamolo, sono stati fondati dai primi coloni europei). Noi europei abbiamo sempre cercato di conquistare il mondo. Siamo andati in Sud America, abbiamo sterminato i nativi e ci siamo impiantati noi. La stessa cosa abbiamo fatto con il Nord America. Secondo Howard Zinn, sono 9 milioni i nativi americani massacrati perché potessimo insediarci noi europei in Nord America piazzandoci un po’ ovunque: gli spagnoli in Florida, inglesi e olandesi al Nord, i francesi in Canada, e via discorrendo. Gli Usa nascono, quindi, dallo sterminio sistematico dei nativi americani, e dallo sterminio di milioni di africani che venivano trasportati come schiavi per lavorare nei campi.Hitler, che voleva conquistare il mondo, altro non fece che tentare quello che, da secoli, tentavano inglesi, spagnoli, francesi e olandesi, con la differenza che lui tentò di farlo prima di tutto in Europa, e solo dopo si sarebbe allargato al resto del mondo. Ma di fatto, non tentò nulla di diverso da quello che tentarono tutti, e che continuano a tentare tutti. Una volta eliminata la schiavitù, e consolidato il proprio potere economico, gli Stati Uniti d’America hanno dovuto porsi altri obiettivi: di qui la necessità di esportare la democrazia (esattamente come la Russia che voleva esportare il comunismo, come la Chiesa cattolica voleva esportare il cattolicesimo, come alcuni Stati islamici volevano esportare l’Islam, ecc.) verso i nemici che di volta in volta venivano individuati: Vietnam, Corea, Iraq. Dove non sono arrivati con i cannoni, gli Usa sono arrivati con il controllo politico dei vari Stati, come il finanziamento dei partiti a loro graditi, il sostegno alle varie fazioni terroristiche di destra o sinistra, e così via. Quando non c’era alcun motivo o scusa per la conquista, come nel caso delle isole Hawaii, gli Usa si sono limitati a rovesciarne il governo senza motivo, solo per paura che arrivassero prima gli inglesi, o altri Stati europei. Usa ed Europa, quindi, ai nostri fini li considereremo un modello unitario, e lo definiremo “modello occidentale”.I Templari meritano un posto a parte, in questo elenco. Perché anche loro avevano come obiettivo la conquista del mondo allora conosciuto, ma con mezzi e finalità diverse. I Templari volevano abbattere i sovrani assoluti e la Chiesa cattolica, per instaurare un regno di pace, governato da iniziati (cioè da saggi illuminati). Non per niente erano monaci (potere spirituale: saggi, ispirati ad una vita spirituale, in contatto con Dio) e guerrieri (potere temporale). Per instaurare questo governo mondiale non potevano usare la guerra, né potevano dichiarare apertamente il loro intento. Dichiararono formalmente la loro fedeltà alla Chiesa cattolica e al Papa, ma si dettero come unico obiettivo quello di “difendere i pellegrini in Terra Santa”. Questo obiettivo farlocco, in realtà, era la scusa ufficiale per non intervenire mai nelle contese tra i vari sovrani e il Papa, e non prendere mai una vera posizione. Nel frattempo divennero potentissimi, creando commende dal Portogallo alla Terra Santa e un po’ in tutta Europa.A un certo punto diventarono più potenti di qualsiasi sovrano europeo e, di lì a poco, sarebbero stati i veri sovrani dell’Europa e della Palestina; ma furono fermati da Filippo il Bello e Clemente V. Il loro sogno di un mondo migliore, di pace, governato da istanze spirituali oltre che materiali, si infranse quando Jacques de Molay venne messo al rogo. Gli eredi delle istanze templari furono i Rosacroce e la massoneria. Anche loro sognavano un mondo unito e di pace, e si diedero da fare per creare quella che furono poi l’Unione Europea e l’Onu, le prime strutture del Nuovo Ordine Mondiale. Anche se la massoneria dichiara apertamente di non volere certo conquistare il mondo, di fatto è quello il suo obiettivo, ben evidente quando essa proclama orgogliosamente di aver organizzato le varie rivoluzioni (Americana, Francese, Russa, l’Unità d’Italia, ecc.) e che tutti gli uomini più influenti al mondo erano massoni. Il progetto è quello di portare la democrazia in tutto il mondo (anche a colpi di cannone, purtroppo) per creare un mondo sempre più libero e democratico.Anche per la Cina è necessario un discorso a parte, per capire un po’ più a fondo questo popolo dalla tradizione millenaria e dalla cultura straordinaria. Una delle caratteristiche della Cina è di non aver mai conosciuto, in nessuna epoca, il nostro concetto di “democrazia”. La Cina è sempre stata politicamente uno Stato assoluto, dapprima con i vari imperi e le varie dinastie, per poi passare alla dittatura della Repubblica Popolare. L’unico tentativo di dare una Costituzione e delle riforme che garantissero i diritti della popolazione fu quello dell’ultimo sovrano della dinastia Quing, Guanxu, redatte da Kang Youwei nel 1898, ma il tentativo fu affossato sul nascere: l’imperatore venne arrestato con un vero e proprio colpo di Stato da parte dell’imperatrice Cixi. La seconda caratteristica dell’Impero Cinese è quella di non aver mai cercato di sottomettere gli altri Stati con la violenza. La Cina ebbe guerre con gli Stati confinanti, come è ovvio, specialmente Corea e Giappone, ma complessivamente non ebbe mai la mira di conquistare il mondo con la violenza, a meno che non fosse necessario.Questo non perché rispettassero il resto del mondo, ma per una questione culturale; essi si sentivano al centro del mondo, e sentivano loro stessi superiori (come noi europei del resto), e quindi per loro era inevitabile che gli altri Stati si assoggettassero a loro riconoscendone la grandezza. Del resto, grandi lo erano davvero: basti pensare che inventarono la carta secoli prima che la utilizzassimo anche noi; la povere da sparo; il torchio da stampa; e la banconota cartacea ben prima che la utilizzassimo anche noi (durante la dinastia Yuan). Inoltre fin dal secondo secolo d.C. i cinesi inventarono il sistema del concorso pubblico per selezionare i funzionari pubblici più preparati (con 1600 anni di anticipo rispetto a noi). Nel 1271 Kublai Khan, discendente di Gengis Khan (quindi tecnicamente mongolo, non cinese), avendo conquistato la Cina, ne riconobbe l’immenso potenziale culturale e sociale e, anziché distruggerla (come in genere erano soliti fare i mongoli con gli altri nemici), decise di cinesizzarsi egli stesso: diede alla propria dinastia il nome preso dall’I-ching, il Classico dei Mutamenti (dinastia Yuan) e trasferì la capitale a Pechino, ospitando l’imperatore precedente presso di sé e assumendo gli usi e i costumi cinesi.Per capire l’atteggiamento della Cina verso gli altri popoli è significativo un aneddoto. Durante la dinastia Ming, gli Stati vicini facevano a gara per dimostrare la loro sottomissione alla Cina, grazie alla generosità dell’imperatore, assolutamente riconoscente verso tutti coloro che si proclamavano sottomessi. Avvenne che molti cinesi si facevano rasare il capo per passare da tibetani e alcuni si spacciavano per ambasciatori di paesi inventati, tanto era conveniente dichiararsi vassalli della Cina. Uno dei problemi che i Ming ebbero fu, paradossalmente, quello di limitare le troppe dimostrazioni di vassallaggio, anche perché alcuni doni provenienti da altri paesi gravavano poi sull’erario per il loro mantenimento (ad esempio avevano centinaia di tigri regalate dai paesi vicini, ed ogni tigre poi divorava due pecore al giorno, senza contare i costi del personale per sorvegliarle). Quando in Cina arrivarono gli europei, ovviamente si rifiutarono di sottomettersi all’Impero (erano loro ad essere superiori, mica i cinesi), e iniziarono i primi problemi, che portarono alla Guerra dell’Oppio tra Inghilterra e Cina, e a tutta una serie di problematiche che ora sarebbe impossibile affrontare.La violenza, in Cina, ci fu soprattutto all’interno. Nel corso dei vari secoli, tutti gli imperatori avevano avuto lo stesso problema: come poter tenere sottomesse le masse? La risposta, in genere, era il bagno di sangue. In tempi più moderni il problema della Cina rimase lo stesso. Dapprima la Rivolta dei Boxer, con cui vennero massacrati esponenti perlopiù dell’Occidente, cristiani, musulmani, inglesi; poi venne proclamata nel 1911 la Rivoluzione repubblicana; da quel momento ci furono continue guerre civili (si stima in circa 15 milioni di morti il totale dei cinesi che vennero massacrati in questo periodo), finché venne istituita nel 1949 la Repubblica Popolare Cinese; nel 1966 ci fu la cosiddetta Rivoluzione Culturale di Mao, e anche tutto questo periodo fu un massacro che costò la vita a circa 100 milioni di cinesi, in un bagno di sangue che l’umanità non aveva mai conosciuto neanche ai tempi di Tamerlano o della Seconda Guerra Mondiale. Anche la questione tibetana per loro era prevalentemente interna, perché quella del Tibet era sempre stata una regione assoggettata, o comunque vassalla, della Cina.Tralasciando quindi le sporadiche guerre con i confinanti, la Cina ha avuto la guerra prevalentemente al suo interno, ma non è mai andata in Antartide, nelle Hawaii, in Australia, in Africa, dicendo “salve, qui comandiamo noi, ora vi massacriamo tutti perché abbiamo il diritto di uccidervi in nome della superiorità della nostra religione e/o impero”. Se dovessimo fare un paragone, il loro modello di sviluppo nel mondo ricorda più quello dei Templari, che non degli altri imperi (non a caso la tradizione del monaco guerriero da noi fu un’eccezione; tutti i libri concordano su questa particolarità dei Templari, quella di essere insieme monaci e guerrieri; la tradizione del monaco guerriero, invece, in Cina è la norma. I monasteri Shaolin sono luoghi in cui il monaco è anche un guerriero; esattamente come i Templari, anche i monaci Shaolin entravano in azione con i loro mezzi solo per difendere la Cina o l’imperatore, o comunque per difendersi da un pericolo. Più in generale, tutto il Kung Fu è un arte marziale cinese che presuppone però anche una preparazione spirituale oltre che fisica). Ovviamente, ciò che manca all’espansione cinese in Occidente è il fine spirituale proprio dei Templari.La Cina, quindi, ha sempre fatto una cosa molto semplice, che è quella che sta facendo adesso: ha comprato gli altri Stati. E’ arrivata in silenzio, dolcemente, e ha comprato tutto quello che poteva, e senza proteste quando qualcuno li ostacolava. Facciamo un esempio. Quando la Guardia di Finanza fece un’importantissima operazione nel porto di Napoli, che era uno degli scali principali per portare la merce in Italia, la Cina – nonostante il duro colpo – non si scompose. In fondo, dal loro punto di vista, noi avevamo fatto ciò che è giusto, rispettando la legge. Spostarono quindi le loro merci in Grecia, comprando il porto del Pireo per 370 milioni di dollari, dando un grosso e concreto aiuto alla Grecia, in crisi grazie alle dissennate politiche imposte dall’Unione Europea. Alla prima occasione però hanno cercato di tornare in Italia con la questione dei porti di Genova e Trieste. Insomma, la voglia di conquistare il mondo è una costante di tutti gli imperi, ma anche di molte organizzazioni religiose, politiche, e fratellanze esoteriche. Questa voglia di conquista, da parte di un po’ tutti, nasce quindi da due esigenze. In primo luogo perché l’essere umano non è pronto a vivere in pace col proprio vicino (sia esso il vicino di casa, il paesino confinante, la squadra di calcio, o la nazione); per evitare quindi che le masse, fuori controllo, creino il caos a livello sociale, ogni governante deve, consciamente o inconsciamente, trovare un nemico esterno e coalizzare le masse contro questo nemico.Di volta in volta quindi il nemico può essere l’Islam, il comunismo, i cattivi Stati dittatoriali che meritano di essere puniti (chissà poi perché si decide di punire Gheddafi, ad esempio, ma non la Cina, che pure quanto a dittatura non è seconda a nessuno per privazione dei diritti individuali), l’eresia, la crisi economica, il petrolio, la guerra al terrorismo. Ogni scusa è buona pur di conquistare qualcuno e qualcosa. Insomma, per riassumere, oggi abbiamo due modelli a confronto sullo scenario del mondo: il modello occidentale e quello cinese, entrambi con l’obiettivo di conquistare il mondo. La differenza tra i due modelli è che quello vincente è quello cinese, molto più dolce e persuasivo. Non cannoni, ma soldi. La questione però non è così semplice. Sopra questi due modelli, ci sono i vari gruppi finanziari, che sono al di sopra degli Stati e, attualmente, più potenti di essi, e non hanno alcun modello se non quello economico. Del resto anche la distinzione che noi abbiamo fatto tra due modelli, cinese e occidentale, è semplicistica e non risponde alla realtà. La verità è un po’ più complessa, perché i cambiamenti nella storia della Cina, che partono dalla Rivolta dei Boxer in poi, sono – guarda caso – stati fomentati anche dall’Occidente, che è sempre intervenuto pesantemente nelle questioni politiche ed economiche cinesi.Basti pensare che il primo presidente della Repubblica Cinese, Sun Yat-sen, divenne tale proprio dopo un viaggio negli Usa (guarda un po’ che caso). E basti ricordare che la Cina era, fino al 2019, il primo detentore di titoli del debito pubblico americano (attualmente è il Giappone). E, ovviamente, i veri detentori sono i gruppi finanziari, non gli Stati in se stessi. In altre parole, tra Cina e Occidente non è individuabile un confine netto, perché il gioco delle grandi potenze, in realtà, è diretto dall’alto, dall’élite finanziaria globale, con la differenza operativa, tra Cina e Occidente, che una gran parte delle finanze cinesi sono sotto il diretto controllo del governo, mentre da noi i governi (comprese le istituzioni europee) non contano assolutamente nulla, essendo le banche, con la Bce in primis, totalmente indipendenti dal controllo politico e governativo. Se la gran parte dei soldi cinesi è sotto il controllo del governo, una larga parte è in mano ai finanzieri cinesi fuoriusciti dal sistema cinese e arricchitisi grazie alla corruzione dilagante in Cina (non meno che da noi, ovviamente).Per capire la commistione di interessi tra Cina e Occidente, basti ricordare che il coronavirus è partito proprio da Wuhan, sede di un laboratorio per la ricerca sui virus, in cui lavoravano sia cinesi che americani che francesi, in un progetto costato 44 milioni di dollari, finanziato da varie organizzazioni anche americane, tra cui la fondazione di Bill Gates. Un intreccio inestricabile di interessi per cui suona ridicolo accusare i cinesi, o Bill Gates, o l’Oms, da qualunque parte provenga l’accusa. Il punto è che le guerre, oggi, ben difficilmente possono essere condotte contro i vari Stati, perché una vera guerra distruggerebbe il mondo conosciuto grazie alla potenza dei vari arsenali militari. Occorre quindi trovare nuovi nemici; la Corea appare abbastanza ridicola come pericolo per minacciare il mondo; al pericolo del terrorismo islamico che attenta alla sicurezza dell’Occidente con coltelli, o autobus lanciati contro la folla, prima o poi non crederà più nessuno. Per controllare le masse occorre quindi utilizzare altri mezzi, e instillare l’idea di pericoli del tutto diversi, rispetto a quelli che venivano paventati fino a qualche decennio fa.La situazione attuale nasce quindi dall’esigenza dell’élite finanziaria al potere di controllare le masse. Il nemico è il coronavirus, perché è l’unico modello che può essere accettato da larghe fasce della popolazione, e che accomuna tutti, cristiani, atei, islamici, cinesi. Il mezzo di controllo è l’instaurazione di uno Stato di polizia globale, l’abbassamento del numero della popolazione, e soprattutto l’instupidimento delle persone tramite i mezzi come il 5G e i vaccini (Steiner, ai primi del ’900, aveva previsto che i vaccini sarebbero stati utilizzati come arma di controllo globale). L’individuazione di un nemico globale, il virus, richiede soluzioni globali, al fine di ridisegnare la mappa economica e sociale del mondo. Non è uno scenario nuovo, quindi, quello che si sta profilando, rispetto al passato. La novità è solo la gestione globale e internazionale del potere, e lo scenario su cui si gioca la partita, che è, appunto, globale. La vera soluzione, ancora una volta, non sarà globale, ma individuale. In ogni epoca ci sono state persone che hanno combattuto la società in genere pagando le loro scelte con la vita o con il carcere. Si pensi a Martin Luther King, Nelson Mandela, Lu Xiaobo (Premio Nobel per la Pace per il suo impegno a favore dei diritti civili in Cina), Thomas Sankara (il presidente del Burkina Faso), e tanti altri, spesso sconsciuti alla storia.Coloro che sono riusciti a diffondere valori spirituali ad un certo livello sociale, coinvolgendo grandi numeri di persone, sono stati inevitabilmente eliminati dalla scena, come Gandhi o i grandi maestri spirituali dell’umanità (tutti morti avvelenati o assassinati, da Socrate e Pitagora, a Buddha e Maometto, per passare a Steiner, Yogananda, Osho). I maestri spirituali di tutti i tempi, in ogni caso, hanno capito che la vera guerra non è quella contro qualcuno, ma quella contro noi stessi, perché il mondo è sempre stato lo stesso, i meccanismi sono sempre uguali (cambiano solo le forme apparenti della sua manifestazione), e il mondo si può cambiare solo partendo dal cambiamento di noi stessi. Concludo con una frase di Lao Tzu, che viene proprio dalla saggezza cinese, come risposta a chi si domanda come bisogna agire per migliorare la situazione che stiamo vivendo: «Nella vita si dovrebbe agire adottando la semplice Via del Tao: non imponendo i propri desideri al mondo ma seguendo la natura stessa. Eliminando i desideri e lasciando che il Tao pervada l’uomo, si supererà anche la differenza tra buono e cattivo. Ogni attività verrà dal Tao e l’uomo diventerà uno col mondo. Questa è la soluzione di Lao Tzu al problema della felicità».(Paolo Franceschetti, “Obiettivo, la conquista del mondo: Cina e Occidente a confronto”, dal blog “Petali di Loto” del 16 maggio 2020).Se dovessimo sintetizzare ciò che accomuna tutti gli imperi nella storia dell’umanità, potremmo indicare questi punti fermi: la volontà di conquistare il mondo intero e una scusa per poterlo conquistare. Inoltre, chi voleva provare a conquistarlo, ha sempre avuto due problematiche da risolvere: la necessità di tenere sotto controllo una grande massa di persone (le masse, infatti, necessitano di essere controllate, altrimenti il caos e il disordine sociale sarebbe ingestibile); da qui scaturisce un’ulteriore esigenza: la necessità di avere un nemico per tenere unito un popolo, Stato, nazione, o altri gruppi sociali, o di dare uno scopo. L’Impero Romano, è noto, voleva conquistare tutto il mondo conosciuto; i Romani realizzarono uno dei più grandi imperi della storia. Il popolo veniva tenuto buono tramite il cosiddetto “panem et circenses” (valido ancora oggi con strumenti come il calcio, il baseball in Usa, la Tv, ecc.). Il nemico era costituito dai barbari che, in quanto esseri inferiori, potevano essere assoggettati. Alessandro Magno voleva voleva conquistare il mondo, e la scusa era quella di imporre ai territori conquistati la cultura avanzata e superiore dell’Antica Grecia (in realtà pare che conoscesse molto poco la cultura greca, e che fosse uno studente mediocre, allievo del grande Aristotele).
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L’inferno: microchip obbligatorio e vaccini imposti col Tso
Il vaccino è soltanto un passaggio intermedio. L’obiettivo finale non è il vaccino: perché, per quanti soldi si possano fare vaccinando 60 milioni di italiani, non è questo l’obiettivo finale. Certo i vaccini sono una cosa bellissima, per Big Pharma, perché non c’è niente di meglio che curare i sani, nella storia della medicina. Curare a pagamento dei sani è il meglio di qualsiasi business legato alla medicina post-ippocratica. Ma il vero problema è che il vaccino è soltanto una tappa intermedia, verso il pieno controllo bio-tecnologico e bio-politico dell’umanità, con tecnologie che mettano insieme la biologia e la biochimica con l’elettronica. Questo è l’orizzonte di senso a cui personaggi come Bill Gates e le sue aziende lavorano, ormai da molti anni. L’arricchimento della grande élite è secondario, è quasi un effetto collaterale. Il problema fondamentale è il controllo del sistema. Noi dobbiamo fare attenzione, per non cadere nella trappola e non apparire dei dietrologi, dei paranoici deliranti; dobbiamo vedere le cose, ognuna, “iuxta propria principia”. Quando gli Achei salpano per distruggere e conquistare Troia, sono mossi – come ci spiega bene Omero – da una gamma di desideri diversi.Agamennone vuole affermare la sua supremazia su tutti i regni della Grecia. Menelao vuole vendicare il tradimento della moglie, Elena, e recuperarla. Aiace vuole far vedere che è il più forte. Ulisse si piega, pure alla partenza, dovendo realizzare un suo progetto, che non si si risolverà neanche nell’Odissea. E Achille deve riaffermare la sua natura divina-umana. Cioè: sono tutti mossi da finalità diverse, come in fondo ci spiega questa grande epopea psicologica che è l’Iliade; ma tutti convergono su un obiettivo, che è la conquista e la distruzione di Troia. Anche nel nostro caso, evidentemente, ci sono molti interessi, diversi ma convergenti. L’interesse su cui convergono è il fatto di mettere l’umanità sotto controllo. Le ragioni per cui diversi soggetti debbano mettere l’umanità sotto controllo sono svariate, ovviamente. Qualcuno dovrà vendere i microchip per metterli sotto la pelle di tutti, qualcuno dovrà vaccinare tutti, qualcuno dovrà avere un sistema monetario che non risenta di capricci come quelli dei titoli-spazzatura e del problema della monetazione delle monete sovrane. Qualcuno dovrà distruggere ogni principio di sovranità nazionale, alla luce di un diabolico governo globale.Questi interessi convergono: così come nel caso dell’Iliade la distruzione di Troia, in questo caso l’interesse convergente è la distruzione di tutte quelle libertà (costituzionali, civili, giuridiche, individuali e collettive) su cui è nata la grande epopea sorta con la Pace di Westfalia, attraversando poi la Rivoluzione Inglese (quella delle Teste Rotonde), la Rivoluzione Americana di Washington, Franklin e Madison, la Rivoluzione Francese con i suoi esiti, arrivando fino ai Risorgimenti nazionali dell’800, per creare invece un ecumene tecnologico iper-controllato, governato da un’élite platenaria in cui si entra per cooptazione. E’ un disegno luciferino, che sembra marciare con un’agenda implacabile. Anche perché, su questo, convergono molti interessi inconfessabili. Quando oggi si dice, per esempio, che l’unico principio ispiratore, l’unico attrattore strano del caso, l’unico principio organizzatore generale di una società con 9 miliardi di uomini non può che essere la scienza, si perde di vista il fatto che non solo non esiste, una scienza con la S maisucola, neutrale, e non solo gli scienziati non sono gli efori, i sacerdoti della verità metafisica; ma ci sono mille interessi che convergono: quelli delle Big Pharma, di chi vuole mettere sotto controllo il mercato della salute, in tutte le sue implicazioni (il mercato della vita e della morte).E quindi è chiaro che, in questa situazione, non è del tutto scontato che non si possa prendere atto che il dottor Fauci, denunciato anche da sue collaboratrici, non sia guidato soprattutto dal tema dei brevetti dei vaccini o dalle case farmaceutiche, piuttosto che dagli interessi comuni della popolazione degli Stati Uniti d’America. Però, questo blocco storico (uso un termine gramsciano) è saldato in modo talmente forte, che queste idee – che possono sembrare un po’ dietrologiche e paranoiche – in realtà si saldano con un processo storico che è molto forte e molto chiaro. Nel piano della globalizzazione, del mondo senza frontiere, della finanza globalizzata dei Rothschild, dei Rockefeller, dei Soros e dei Bill Gates, è stata già stabilita una divisione internazionale del lavoro. All’estremo Oriente, alla Cina deve andare tutta la manifattura, che con la sua plusvalenza accumulata deve comprarsi il debito americano e la potenza anche militare degli Stati Uniti. L’Europa dev’essere ridotta a qualcosa che è una via di mezzo tra quel po’ di industria che rimane in Germania e un gerontocomio (o una pizzeria) come l’Italia; e comunque, essendo un continente invecchiato, l’Europa deve essere destinata all’afro-islamizzazione demografica, come già aveva preconizzato Oriana Fallaci una trentina d’anni fa.E in questo quadro, chiunque rappresenti un ostacolo dev’essere spazzato via come una formica, e spiaccicato. Non esiste più nessuna libera informazione: c’è un mainstream implacabile. Siamo arrivati al ricorso al Tso, per chi contesta il lockdown? Del trattamento sanitario coatto è sempre stato fatto un uso dovizioso in tutti i regimi, a partire da quello staliniano: se si rifiuta una società “perfetta”, o si è criminali o si è matti, perché si rifiuta il proprio bene. Quella del Tso “per il bene comune” è l’idea che sta alla base di questa filosofia del diritto. In Italia ci sono due modi per costringere qualcuno a subire il trattamento sanitario coatto: uno è psichiatrico e l’altro – guardacaso – è epidemiologico, infettivologico. L’isolamento e la quarantena obbligatoria per chi rischia di propagare una malattia è un intervento coatto, esattamente come il Tso psichiatrico, che viene applicato in modo arbitrario. Il Tso psichiatrico viene prescritto da un medico psichiatra, dipendente pubblico, e confermato da un secondo collega che ne recepisce la diagnosi. Poi deve essere ratificato entro 24 ore dal sindaco, quindi dal giudice tutelare.E’ chiaro che tutto questo implica qualsiasi arbitrio possibile: le ragioni per cui un soggetto possa essere considerato pericoloso a sé e agli altri sono infinite. Potrebbe essere qualcuno che brandisce un’ascia e vorrebbe fare a pezzi la nonna, ma potrebbe essere qualcuno che vuole suicidarsi gettandosi dalla finestra. O qualcuno che non vuole sottoporsi a una terapia, che a quel punto gli viene imposta con la forza. A Testimoni di Geova sono state imposte trasfusioni, col pretesto di salvare una vita. Se lo psichiatra arriva perché il paziente non vuole ricevere quello che è “buono, santo e giusto” per lui, siamo entrati in questa fattispecie. Ed è quella che, credo, verrà usata in modo sistematico: nel nome del pietismo, della filantropia, del benessere individuale e collettivo, e del bene supremo della salvezza della vita – che diventa qualcosa di assoluto, ipostatizzato e mitizzato, anche al di fuori di qualsiasi valutazione razionale. Cioè: se noi abbiamo un vaccino con cui ti puoi salvare da una malattia incombente e tu non te lo vuoi fare, tu non stai facendo il tuo bene; e quindi noi saremo costretti a ricoverarti in ospedale, foss’anche per 48 ore, praticarti il vaccino e poi dimetterti.Ho fatto il primario di psichiatra per tanti anni, e ho visto imporre trattamenti coatti a schizofrenici cronici: rifiutavano la terapia farmacologica, non gliela si poteva praticare in casa, e allora lo psichiatra del territorio (con la copertura dello psichiatra direttore del dipartimento ospedaliero di salute mentale) confermava il Tso anche con un ricovero tipo day hospital, lì veniva praticata l’iniezione – che ha una durata d’efficacia di tre settimane – e dopodiché il paziente veniva dimesso. Ecco: questo è il futuro che si prepara, per noi. Quindi, anche dentro la psichiatria, occorrerà una battaglia serrata. Ma purtroppo ho un’opinione veramente bassa dei miei colleghi, ormai per lo più ridotti a propagandisti di case farmaceutiche, pronti a vendersi anche la nonna per farsi una settimana di vacanza alle Maldive; pur di non perdere il primariato e i premi che ricevono da Big Pharma, saranno pronti a dire: «Ma come, non vuole fare il vaccino? Lei forse non sta bene, è depresso, ha un disturbo ossessivo-compulsivo; noi la ricoveriamo (anche soltanto per 48 ore) le facciamo il vaccino e poi la dimettiamo». Vedrete che finirà così.Conoscendo i miei mediocri colleghi, il Tso sarà uno strumento fortissimo. Su questo, bisognerà organizzare una linea di difesa anche giuridica, da subito, cominciando a castigare i primi che si prestano a fare i “bravi”, i poliziotti di questo sistema. Io mi candido a fare il perito d’accusa della parte civile. Sono a disposizione, gratuitamente, per colpire il primario di quel reparto, cercare di farlo destistituire e mettere in galera, se possibile. Sul caso di Palermo, facciamo subito un esposto in Procura e alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. O sinceriamoci che lo stiano già facendo: bisogna attaccare preventivamente, perché questi personaggi, che si mettono a disposizione del propagandista delle case farmaceutiche, non è che siano dei cuor di leone. Io li conosco bene, è gente che tiene famiglia: se capisce che il potere è una parte, si schiera; ma se capisce che dall’altra parte c’è un contropotere, si defila. Perché sono “minuta gente” manzoniana: è un “popol disperso” che non ha pace, non ha dignità. Basta fargli un “bau”, a volte, per spaventarli.Il problema però non è nemmeno il vaccino, in questo caso. Ci verrà inoculata una qualche sostanza nel momento in cui il Covid non farà più paura neanche a un gatto, perché avrà esaurito la sua funzione e la sua dimensione patogenetica. A un certo punto, per non andare in galera, non finire in manicomio o per non perdere il nostro lavoro, potremmo anche accettare di metterci nel corpo un po’ di acqua sporca, sperando che non ci faccia troppo male. Ma non è questo, l’obiettivo finale, credetemi: fosse tutto qui, sarebbe ancora poca cosa. L’obiettivo finale è la moneta unica platenaria, veicolata da un microchip, collegata alle nostre condizioni di salute. Microchip che tutti dovranno mettersi, come il segno dell’Apocalisse: l’elettrodo sulla fronte, o sotto la pelle della mano, senza il quale nessuno potrà né comprare né vendere (il Segno della Bestia, il 666). Non voglio apparire un mistico pazzo, ma credetemi: quello che si sta delineando è proprio questo. Moneta unica, sistema giuridico unico, salute unica. Tutto questo, per una società filantropica governata da quello che Soloviev definisce l’Anticristo, pacifico filantropo macrobiotico, vegetariano, ecologista, con Greta Thunberg come consulente.E’ un potere pervasivo, perfetto: che non ha bisogno dei nostri soldi, perché li stampa. Il problema è che, perché un sistema di controllo funzioni, di fronte a un capitalismo tradizionale, servono nuove soluzioni: intanto deve ridurre la popolazione mondiale, e poi ha bisogno di una società divisa in caste, come nel “Nuovo mondo” di Huxley, dove c’è un’élite di Alfa che non si vedono neppure. Serve una castizzazione della società che metta gli uomini in condizioni giuridiche, psicologiche e antropologiche diverse. Sotto gli Alfa invisibili ci sono i Beta che si vedono (i Soros, gli Zuckenberg, i Bill Gates), poi ci sono i Gamma, che sono gli esecutori politici (tipo il povero professor Conte, avvocato dello studio Alpa), e poi sotto ci sono i carabinieri, i lavoratori, gli impiegati dell’Agenzia delle Entrate, gli operai. E ancora più sotto ci sono gli Epsilon, che devono vivere con 600 euro al mese prendendosi solo il Soma, che è la droga dell’inebetimento.Questo, credetemi, è il disegno complessivo. Ed è un disegno ben pensato, perché tiene conto dell’ingovernabilità della complessità. L’unica forza che abbiamo non è l’opposizione consapevole, perché in questo siamo sicuramente perdenti. Dobbiamo sperare nelle leggi universali del caos. Il grande imperatore Carlo V, sul cui impero non tramontava mai il sole, dal Messico ai Balcani, dopo aver lasciato le colonie d’America e la Spagna al figlio Filippo II e l’impero asburgico a Ferdinando, si ritirò in un convento benedettino in Germania, dove la sua passione era far funzionare una trentina di orologi meccanici. E passò gli ultimi giorni della sua vita dicendo: «Quanto sono stato pazzo, a pensare di controllare tutti i popoli del mondo, quando non sono riuscito a far marciare insieme nemmeno 30 orologi». E’ su questo, che i luciferini del controllo potrebbero cascare. Una cellula impazzita è Trump, un’altra è Putin, altre ancora siamo noi che facciamo questi discorsi, facendoci passare per pazzi, contro i nostri interessi materiali, accademici, categoriali. Siamo noi stessi delle schegge impazzite: siamo sfide nella complessità. Mattoidi, quasi pronti per il Tso.(Alessandro Meluzzi, dichiarazioni rilasciate il 16 marzo 2020 nel dibattito “Alla ricerca della verità”, in diretta web-streaming sulla pagina Facebook di Leonardo Leone, con la partecipazione di Ugo Mattei e Massimo Mazzucco; il video è ora disponibile anche su YouTube. Notissimo psichiatra, nonché criminologo, saggista e accademico, Meluzzi – di formazione comunista – è stato poi deputato e quindi senatore eletto con Forza Italia nel 1994 e nel 1996. Massone, ha fatto parte del Grande Oriente d’Italia. Approdato al cristianesimo, è stato diacono cattolico di rito greco-melchita e poi presbitero della Chiesa ortodossa italiana autocefala, divenendone primate).Il vaccino è soltanto un passaggio intermedio. L’obiettivo finale non è il vaccino: perché, per quanti soldi si possano fare vaccinando 60 milioni di italiani, non è questo l’obiettivo finale. Certo i vaccini sono una cosa bellissima, per Big Pharma, perché non c’è niente di meglio che curare i sani, nella storia della medicina. Curare a pagamento dei sani è il meglio di qualsiasi business legato alla medicina post-ippocratica. Ma il vero problema è che il vaccino è soltanto una tappa intermedia, verso il pieno controllo bio-tecnologico e bio-politico dell’umanità, con tecnologie che mettano insieme la biologia e la biochimica con l’elettronica. Questo è l’orizzonte di senso a cui personaggi come Bill Gates e le sue aziende lavorano, ormai da molti anni. L’arricchimento della grande élite è secondario, è quasi un effetto collaterale. Il problema fondamentale è il controllo del sistema. Noi dobbiamo fare attenzione, per non cadere nella trappola e non apparire dei dietrologi, dei paranoici deliranti; dobbiamo vedere le cose, ognuna, “iuxta propria principia”. Quando gli Achei salpano per distruggere e conquistare Troia, sono mossi – come ci spiega bene Omero – da una gamma di desideri diversi.
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Master Roosevelt: per conoscere i segreti del grande potere
Cani da guardia della democrazia: così amavano lasciarsi definire i veri reporter, all’epoca in cui Bob Woodward e Carl Bernstein, dalle colonne del “Washington Post”, trascinavano Nixon verso l’impeachment e le dimissioni. Oggi, lo spettacolo è patetico: i mastini di un tempo sono stati rimpiazzati da barboncini scodinzolanti, che non osano avventurarsi oltre il recinto delle notizie ufficialmente autorizzate. Il grande freddo è calato dopo l’opaca tragedia dell’11 Settembre, che segna un drammatico spartiacque tra verità e autocensura. Vale per tutto, anche per la politica: vietato osare. Vent’anni di piombo e di sangue, costellati di guerre protette dalla disinformazione, tra crisi economiche generate dalla finanziarizzazione definitiva dell’economia globalizzata, in mano a poche famiglie potentissime. A prendere il potere, gettando la maschera, è stata un’élite neo-feudale. Obiettivo: saccheggiare il pianeta, svuotando la democrazia anche in Europa. Tutto è perduto? No, se si crede ancora nella sovranità democratica. Lo sostiene Gioele Magaldi, esponente italiano di quella stessa supermassoneria internazionale che, nelle sue forme più regressive, ha privatizzato il globo. La sua tesi: se le superlogge reazionarie hanno messo all’angolo quelle progressiste, protagoniste del boom economico, è ora di impegnarsi a rovesciare il tavolo. Come? Anche sfornando una nuova classe dirigente. Per esempio, con un master come quello ora in partenza, decisamente unico in Italia.Il corso è destinato a italiani disposti a ricevere una formazione speciale, che li metta nelle condizioni di vedersela alla pari con i grandi player dell’attualità. Storia della conoscenza, storia del potere e delle civiltà umane. E poi: economia post-keynesiana e rooseveltiana, finanza etica e conti pubblici, geopolitica. Comunicazione: marketing e pubblicità, giornalismo, media e televisione. Ma anche “scienza, polis e potere”, filosofia politica, ecologia, salute, arte e letteratura, cinema, musica e “affabulazione collettiva”. Sono alcune delle materie del “Master Roosevelt in Scienze della Polis”, al via a fine gennaio: 12 weekend intensivi, tra Roma e Milano, con anche il supporto video per chi non potrà partecipare a tutte le lezioni. «Solo il nostro master – assicurano i promotori – offre insegnamenti teorico-pratici che coprono tutto lo “scibile” contemporaneo». Informazioni preziose per affrontare il buongoverno della cosa pubblica, consapevoli dei propri diritti e doveri, oltre che della propria sovranità di cittadini. «Inoltre – aggiungono gli organizzatori – questo master soddisfa esigenze di conoscenza inter-disciplinare (di natura sia “materiale” che “spirituale”) che nessun’altra alta scuola di formazione può garantire».Basta dare un’occhiata alle docenze proposte. Per esempio: storia, teoria e pratica dei servizi segreti e dell’intelligence pubblica e privata. Oppure: esoterismo, iniziazioni e massoneria. Ancora: introduzione alla Kabbalah. E poi simbologia, ideologie e sistemi di pensiero. Un lavoro in profondità: si parlerà di archetipi psicologici e comportamenti politico-sociali, svelando «i segreti delle energie sottili e delle arti marziali e venusiane». Premessa: è il potere stesso – per chi non l’avesse ancora capito – a padroneggiare queste materie. E il Master Roosevelt è dunque la prima opportunità, offerta a tutti, di esplorare quel mondo elusivo, precluso ai più. Ad affermarlo è lo stesso Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha tolto il velo all’aspetto più segreto dell’establishment: «A muovere anche i massimi oligarchi è una sorta di “aristocrazia dello spirito”, che li induce a ritenersi gli unici depositari dei destini del mondo». Non la pensa così l’autore di “Massoni”, già inziato alla superloggia progressista “Thomas Paine” e ora leader del Grande Oriente Democratico. La sua tesi: «La vera massoneria è costituzionalmente progressista. Storicamente, è stata proprio la “libera muratoria” a produrre le forme della modernità, lo Stato di diritto, la relativa libertà del cittadino non più suddito e la facoltà di auto-governarsi mediante elezioni democratiche, una volta conquistato il suffragio universale».Pietra miliare: la Rivoluzione Francese, con la caduta dell’Ancien Régime. Da allora, lotte e rivolte in tutto il mondo, fino al Risorgimento italiano. Quindi i decenni gloriosi del boom, nell’ultimo dopoguerra: «Era massone Franklin Delano Roosevelt, che volle il Piano Marshall dopo aver sconfitto il nazismo. Era “libera muratrice” sua moglie Eleanor, madrina dei diritti umani. Era massone Keynes, lo stratega del benessere diffuso in Occidente. Ed erano massoni John Rawls e William Beveridge, gli inventori del welfare (concepito per eliminare il gap tra ricchi e poveri)». Nel suo saggio – un vero e proprio bestseller italiano – Magaldi scrive che la leadership culturale e politica delle superlogge progressiste fu sabotata con la violenza alla fine degli anni Sessanta, negli Usa, con il doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King: i rooseveltiani li avevano scelti, come presidente e vice, per cambiare faccia al mondo. Non è andata così: nel 1973 (proprio l’11 settembre) la superloggia “Three Eyes” di Kissinger e Rockefeller organizzò il golpe in Cile introducendo il neoliberismo con i carri armati. Due anni dopo, la Trilaterale avrebbe spiegato, con il manifesto “La crisi della democrazia”, che era iniziata la grande retromarcia storica: meno diritti, meno pace e meno benessere per tutti. Sulla base di cosa? Di un piano egemonico: la riconquista del pianeta, da parte di un’élite massonica che i sodali di Magaldi definiscono “controiniziata”, avendo rinnegato l’impegno massonico per il progresso democratico dell’umanità.Nel 2011, in televisione, lo stesso Magaldi si espose in prima persona per segnalare la militanza – nella supermassoneria reazionaria – di primattori come Mario Monti, il presidente Napolitano e lo stesso Draghi. Sei mesi dopo l’uscita del suo dirompente saggio (silenziato dai grandi media), Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt, un soggetto meta-partitico che si propone di “risvegliare” la politica italiana in modo trasversale, appellandosi a tutti i partiti per il ripristino della democrazia sostanziale nella governance, dominata da un’Ue non democratica. Nel 2019, viste le incertezze deludenti del governo gialloverde, Magaldi (insieme all’economista Nino Galloni, vicepresidente “rooseveltiano”) ha anche aperto il cantiere del “Partito che serve all’Italia”, work in progress politico-programmatico: fine dell’austerity, istruzioni per l’uso. E ora, con il master, si passa direttamente all’attività formativa. Nel corso di un anno, il programma affronta materie vaste e complesse: istituzioni democratiche e meccanismi elettorali, amministrativi e parlamentari, approfondendo anche le leggi ordinarie e quelle costituzionali. E poi relazioni istituzionali pubbliche e private, euro-atlantismo e Nato, area mediterranea e strategie militari globali, storia contemporanea e dinamiche planetarie.Tra le docenze non mancano “polis e disabilità”, rigenerazione urbana e architettura, organizzazione del lavoro, “percezione di sé e osservazione dell’ambiente”. Un impegno a 360 gradi: modelli democratici ed elettorali a confronto. Una bussola precisa: mente, coscienza ed etica, tra politica e società. In altre parole: si tratta di formare super-cittadini, capaci di misurarsi senza timidezza con qualsiasi interlocutore, per arrivare – domani – a irrobustire finalmente una classe politica diversa, più preparata, in grado di tutelare l’Italia nel solo modo che Magaldi e i suoi ritengono possibile, e cioè recuperando la sovranità democratica di concerto con il resto d’Europa e del mondo. Da qualche tempo, lo stesso Magaldi segnala indizi di un possibile cambiamento in corso: «L’élite massonica neoaristiocratica che ha messo in piedi quest’Europa post-democratica sta per cedere, di fronte al disastro socio-economico che ha prodotto: lo dimostrano anche le esternazioni pubbliche e private di un supermassone come Mario Draghi, tra i massimi architetti dell’austerity, che ora si dichiara pronto a tornare sui suoi passi, recuperando la lezione di Keynes e quella personalmente ricevuta dal grande economista italiano Federico Caffè».Durissimo nel denunciare le peggiori malefatte del potere e i suoi aspetti più occulti, Magaldi ha fiducia nel futuro: crede sinceramente che la democrazia sociale sperimentata in Europa nel dopoguerra possa riprendere il suo corso. Ma per sbriciolare il potere degli oligarchi, dice, occorre una nuova generazione di italiani, all’altezza della sfida. Occorre anche gettare nella spazzatura l’ipocrisia che, nel nostro paese, impedisce di riconoscere il ruolo della massoneria, menzionando le logge solo per demonizzarle. E se sono massoni molti dei protagonisti negativi dell’attuale establishment, è meglio acquisire quelle stesse competenze, anche senza entrare in massoneria. Pure questa, in fondo, è tra le missioni del Master Roosevelt: fare in modo che nessuno detenga il monopolio della conoscenza. Avverte Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine” sui misfatti neo-feudali del neoliberismo: ai “mostri” del vero potere, menti raffinatissime e preparatissime, non puoi opporre un branco di politicanti spesso mediocri e ignoranti come quelli italiani. Prima ancora che il servilismo, è la loro incompetenza a trasformarli fatalmente in docili maggiordomi, meri esecutori di decisioni prese altrove.Se siamo ridotti così, con governi-fantasma che prendono ordini da Bruxelles, da una Commissione Europea che è solo la cinghia di trasmissione del volere di potentati privati, secondo Magaldi dipende dagli snodi cruciali della storia recente. Per esempio l’eliminazione del massone progressista Olof Palme, campione del welfare svedese, alla vigilia delle trattative che avrebbero portato al Trattato di Maastricht. Da quel “frame” sciagurato non siamo ancora usciti: ci hanno fatto credere che il debito pubblico sia una colpa, e che lo Stato sia come una famiglia che, se s’indebita, poi deve ripagare tutto (e con gli interessi). Solo nel 2018, sulla base di questi presupposti – a essere sovrani sono i mercati finanziari, non i cittadini – Mattarella impedì a Paolo Savona l’accesso al ministero dell’economia. In quell’occasione, Magaldi chiese le dimissioni del presidente della Repubblica, che definì «un servizievole paramassone». Rispetto all’epoca del governo Monti, l’informazione alternativa ha fatto passi da gigante, grazie al web. E’ cresciuta una forte minoranza, finalmente informata. Fioriscono iniziative, convegni, gruppi. Ma manca ancora un progamma organico per mettere a fuoco il problema in modo esauriente, forgiando autentici esperti. Ed è esattamente a questo che punta il Master Roosevelt, prima scuola italiana che nasce per insegnare a sfidare, domani, questo potere che tiene prigioniero il paese.(L’avvio del Master Roosevelt in Scienze della Polis è previsto per sabato 25 gennaio 2020, ore 9, presso l’Istituto Sant’Orsola di via Livorno 50/a, Roma).Cani da guardia della democrazia: così amavano lasciarsi definire i veri reporter, all’epoca in cui Bob Woodward e Carl Bernstein, dalle colonne del “Washington Post”, trascinavano Nixon verso l’impeachment e le dimissioni. Oggi, lo spettacolo è patetico: i mastini di un tempo sono stati rimpiazzati da barboncini scodinzolanti, che non osano avventurarsi oltre il recinto delle notizie ufficialmente autorizzate. Il grande freddo è calato dopo l’opaca tragedia dell’11 Settembre, che segna un drammatico spartiacque tra verità e autocensura. Vale per tutto, anche per la politica: vietato osare. Vent’anni di piombo e di sangue, costellati di guerre protette dalla disinformazione, tra crisi economiche generate dalla finanziarizzazione definitiva dell’economia globalizzata, in mano a poche famiglie potentissime. A prendere il potere, gettando la maschera, è stata un’élite neo-feudale. Obiettivo: saccheggiare il pianeta, svuotando la democrazia anche in Europa. Tutto è perduto? No, se si crede ancora nella sovranità democratica. Lo sostiene Gioele Magaldi, esponente italiano di quella stessa supermassoneria internazionale che, nelle sue forme più regressive, ha privatizzato il globo. La sua tesi: se le superlogge reazionarie hanno messo all’angolo quelle progressiste, protagoniste del boom economico, è ora di impegnarsi a rovesciare il tavolo. Come? Anche sfornando una nuova classe dirigente. Per esempio, con un master come quello ora in partenza, decisamente unico in Italia.
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Pino Aprile: truccati gli archivi, nascosto il genocidio del Sud
Come nasce la storiografia italiana? Nasce con un atto del 1830 da un piccolo, ristrettissimo gruppetto – parliamo di 2-3 famiglie: nessuno di loro aveva mai scritto o insegnato storia. Persone di buona cultura, normalmente di ambiente cattolico molto tradizionalista, alla De Maistre; individui nobili, possidenti terrieri, di strettissima osservanza sabauda. Le regole sono: vanno distrutti tutti i documenti che gettano ombre sulla dinastia. Quelli che non vengono distrutti devono essere classificati e collocati in un archivio segreto, inviolabile. Un’altra parte deve finire in archivi controllati da loro. Quella mostrata dev’essere una piccola parte. Saranno gli archivisti a scegliere a chi far vedere i documenti, controllando (in corso d’opera) come li usano. E chi poi scriverà di quei documenti dovrà prima sottoporre ai controllori l’elaborato, in modo che si decida se potrà essere pubblicato oppure no. Tutto questo è documentato dall’Istituto Studi Storici del Risorgimento (la massima autorità, il professor Umberto Levra, già docente all’università di Torino e presidente dell’associazione dei docenti di storia risorgimentale). Viene documentato come il Re in persona, per “aggiustare” la storia, strappasse documenti e lettere dei suoi familiari.
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Magaldi: un’email stralunata su me, i Savoia e Diego Fusaro
Egregio Giovanni Seia, il curatore del sito Libreidee Giorgio Cattaneo mi ha girato una mail da lui ricevuta e che appare come un commento all’articolo pubblicato sullo stesso sito (vedi “Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia” ). Orbene, lei scrive: «Egregio Signor Magaldi, prima di scrivere notizie errate e prive di fondamento sarebbe opportuno ricorrere alla fonte, onde evitare una becera informazione che evidenzia unicamente la spasmodica voglia di un fanciullesco protagonismo. Sono il delegato dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e l’organizzatore della conferenza storico-scientifica, del 16 novembre scorso, sulla figura del Re Vittorio Emanuele III nella ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, data peraltro dimenticata completamente, pur essendo stato il Re Capo di Stato per ben 46 anni. La conferenza che ha visto la partecipazione di circa 400 persone, è stata tenuta da due illustri professori, Fréderic Le Moal de l’Ecole Militaire de Saint Syr e Francesco Perfetti della Luiss di Roma».«Quale moderatore della conferenza ho scelto il prof. Diego Fusaro che ha evidenziato l’odierna caduta dei Valori fondanti della Nazione. La conferenza prevedeva anche un pranzo a cui hanno partecipato 270 persone e il prof. Fusaro è stato accreditato al tavolo dei relatori e degli ospiti, a cui sedeva anche Emanuele Filiberto e Gabriele Albertini. Emanuele Filiberto era presente in quanto il Re Vittorio Emanuele III era suo bisnonno e Gabriele Albertini sedeva a quel tavolo in quanto iscritto al nostro Istituto. Quindi nessuna trama politica, nessun coinvolgimento del prof. Fusaro in esperienze partitiche, ma solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza. (Cordialmente, Giovanni Seia)».Mi pregio, con riferimento a tale sua stralunata e molto imprecisa (oltre che insipiente) missiva, di farle osservare quanto segue: 1) Quando si rivolge a me, abbia l’accortezza o di chiamarmi Dott. Magaldi o Presidente Magaldi, se preferisce un lessico profano, oppure Illustrissimo, Venerabilissimo e Potentissimo Gran Maestro e Sovrano Gran Commendatore/Patriarca, qualora si stia cimentando in qualche disamina di natura massonica, come in verità dalla sua lettera si evince. Per un personaggio, lei, che si qualifica come il delegato di una cosa pomposa, ridondante e ampollosa come l’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon, sarà il caso di avere riguardo anche per i formalismi e le ampollosità altrui, comprese quelle massoniche di Grande Oriente Democratico (www.grandeoriente-democratico.com) e del Rito Europeo Universale da me presieduti. Tanto più che senza la Libera Muratoria risorgimentale, di cui mi pregio di essere uno dei più devoti epigoni in questo XXI secolo, gli ospiti delle Reali Tombe non avrebbero potuto essere tali.Senza i massoni del XIX secolo (Giuseppe Garibaldi in testa, che consegnò a Vittorio Emanuele II di Savoia l’intero Regno delle Due Sicilie da lui liberato/conquistato, ma anche l’opera del Fratello Cavour e di tanti altri intorno a lui non fu da meno), insomma, il Regno d’Italia non sarebbe mai stato appannaggio dei Savoia. 2) Lei è impreciso, quando dice che io abbia scritto qualcosa sul tema Fusaro, Savoia, Albertini. L’articolo cui si riferisce è opera di Giorgio Cattaneo. Semmai, il sottoscritto ha parlato della questione nella trasmissione citata e linkata sopra (se la vada a vedere/ascoltare). 3) Rispetto la sua inclinazione (e quella di altri, con lei) a voler festeggiare Vittorio Emanuele III nella ricorrenza della sua nascita (che peraltro mi constava essere nato a Napoli l’11 novembre 1869 e non il 16 novembre, ma avrete avuto i vostri motivi per celebrarne il genetliaco 5 giorni dopo la ricorrenza effettiva), ma nel video (che lei, da come si esprime, mostra di non aver visto) della puntata 53 di “Gioele Magaldi racconta” ( https://www.youtube.com/watch?v=sisX3JZV3_0 ) esprimo anche le mie gravi riserve su un monarca che non solo acconsentì all’instaurarsi della dittatura fascista, ma nemmeno mosse un dito contro la promulgazione delle vergognose leggi razziali del 1938 e si comportò da fellone alla fine della Seconda guerra mondiale.4) Probabilmente lei ha fatto male ad invitare Diego Fusaro quale moderatore della conferenza storico-scientifica da lei organizzata, perché costui – non privo di qualche competenza filosofica e politologica – appare platealmente carente in fatto di scienze storiche, come evidenziato da diversi svarioni inseriti nelle sue pubblicazioni (almeno quelle le ha lette? – io si, ahimé – o lei ha il vizio di parlare di cose che non conosce direttamente e approfonditamente?). 5) La parte più stralunata, imprecisa e sgangherata della sua lettera, tuttavia, è quella in cui scrive: «La conferenza prevedeva anche un pranzo a cui hanno partecipato 270 persone e il prof. Fusaro è stato accreditato al tavolo dei relatori e degli ospiti, a cui sedeva anche Emanuele Filiberto e Gabriele Albertini. Emanuele Filiberto era presente in quanto il Re Vittorio Emanuele III era suo bisnonno e Gabriele Albertini sedeva a quel tavolo in quanto iscritto al nostro Istituto. Quindi nessuna trama politica, nessun coinvolgimento del prof. Fusaro in esperienze partitiche, ma solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza».Chi avrebbe alluso a trame politiche? Tutta la questione è nata perché Diego Fusaro ha pubblicato una foto in cui veniva ritratto attovagliato con Emanuele Filiberto e Albertini, senza forse neanche spiegare il contesto dell’incontro (come invece ha tenuto a fare lei, ma sarebbe cambiato poco) e/o comunque senza che sul web fosse compreso tale contesto (ma sarebbe cambiato poco, ripeto: solo che forse si sarebbe ridimensionata l’immagine narcisistica e autocompiaciuta che Fusaro desiderava offrire…lasciando intendere di un pranzo per pochi intimi, mente c’erano 270 persone… ) Di qui, prima che ne parlassi io, una ridda di commenti su tale “attovagliamento”. Alla domanda del conduttore di “Gioele Magaldi racconta”, Fabio Frabetti, rivolta al sottoscritto, su cosa pensassi di tale foto, ho risposto sostanzialmente (ma legga meglio l’articolo di Libreidee e ancor meglio si guardi il video cui l’articolo si ispira) che se il sedicente “profeta” del riscatto del proletariato nel XXI secolo ci tiene tanto a pubblicare ed enfatizzare la foto che lo ritrae in una (vera o falsa) intimità conviviale con un erede di monarchi e un “vecchio” politico sedicente liberale (laddove il liberalismo è esecrato da Fusaro come il peggiore di tutti i mali, stante anche la sua confusione storica ed ermeneutica tra liberalismo, liberismo e neoliberismo) allora siamo davvero al paradosso più grottesco.Un paradosso, tuttavia, che si spiega benissimo con l’atteggiamento da “cortigiano e cicisbeo politico da salotto, televisivo e non”, che molti contestano al filosofo torinese, recente ispiratore del partitino rossobruno e fasciocomunista “Vox Italia”. E ho aggiunto delle riflessioni su questioni e trame politiche che riguardano il solo Fusaro e in cui non c’entra nulla né il suo “Istituto Nazionale bla bla bla” nè gli stesi Albertini ed Emanuele Filiberto di Savoia. 6) Poi lei ha l’impudenza, l’insolenza, l’ipocrisia e la mala creanza di scrivere: «Solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza». Ebbene, a differenza del suo amato Fusaro, io non compio “sfarfallamenti intellettuali”. Io, quando parlo di filosofia, storia, politica e politologia lo faccio al lume di competenze serie e strutturate. So quel che dico e so come lo dico, anche a differenza sua, che scrive fischi per fiaschi, confondendo anche chi abbia detto o scritto cosa e quando e perché.La visibilità mediatica il sottoscritto l’ha avuta sin dai primi anni in cui “Grande Oriente Democratico” muoveva i suoi primi passi (si documenti, dal 2010 in poi), finendo sulle prime pagine di giornali e in servizi/interviste televisive di testate e trasmissioni di punta. Il sottoscritto ha pubblicato anche altri libri, ma il solo primo volume della serie di “Massoni” (”La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere editore) ha venduto più copie di tutti i volumi pubblicati dal suo amato Diego Fusaro nel corso degli anni (libri, peraltro, in cui il successivo ripete le cose dette nel precedente e, all’interno dello stesso volume, anche i capitoli si copiano e reiterano nei contenuti, diffondendo una noia mortale in danno del lettore…). Le riconosco, tuttavia, che dopo che il sottoscritto ha pubblicato “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges” e che è stato fondato il Movimento Roosevelt (www.movimentoroosevelt.com: soggetto politico metapartitico che ordinariamente non si presenta alle elezioni – essendo metapartitico, civico, pedagogico e trasversale – ma che quando si è presentato, ad esempio a Gioia Tauro, ha preso circa il 60% nel 2015, mentre alle comunali del 2019 Fusaro ha raccolto il 2,87%…), cioè a partire dal 2015/2016, una qualche ritrosia (non sempre rispettata, comunque) del sistema mediatico mainstream (lo stesso sistema contro cui tuona il rivoluzionario da salotto Fusaro) a parlare di me/noi c’è. Mentre non c’è alcuna ritrosia, da parte di tale sistema mediatico, nell’invitare spesso e volentieri l’esimio prof. Diego Fusaro, graditissimo sparring partner e avversario dialettico di comodo (irrisorio e irrilevante) per tutti i fiancheggiatori dell’egemonia neoliberista e postdemocratica in atto da decenni in Italia e in Europa.7) L’apice della sua insolenza e insipienza malevola, esimio Giovanni Seia, lei la raggiunge però quando parla, riferendosi a “Grande Oriente Democratico”, «di un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza». Lei è massone? Oppure uno studioso/esperto di cose massoniche? O ha studiato la Massoneria presso i libri del suo compare “monarchicheggiante” Aldo Mola, le cui opere sulla Massoneria appaiono, a ben vedere, estremamente lacunose e fuorvianti (oltre che faziosamente ispirate rispetto ad alcuni gruppi massonici italiani ed esteri)? A che titolo e in nome di quale sapienza o esperienza diretta Lei ha l’autorevolezza per definire cosa sia o non sia una “associazione massonica pura o spuria”? I Fratelli e le Sorelle di Grande Oriente Democratico (www.grandeoriente-democratico.com ), comunque, se ne rideranno delle sue ridicole farneticazioni e continueranno a consolidare la propria funzione “liquida e sovranazionale” di network massonico in grado di collegare le migliori avanguardie liberomuratorie progressiste planetarie.Quanto a Lei, Giovanni Seia, non ci sembra distinguersi né per spirito democratico (altrimenti come potrebbe tenere tanto alla celebrazione di un monarca, Vittorio Emanuele III, che sancì l’avvento del Fascismo e la fine della Democrazia, in Italia, per circa un ventennio?), né per intelligenza. Però ci sembra un sincero e schietto ipocrita quando ci saluta scrivendo “cordialmente”, mentre invece la sua missiva era tutto tranne che cordiale. Ecco perché la saluto senza alcuna stima ma anche senza veruna cordialità, proprio per non comportarmi da ipocrita come lei. Ad maiora.Gioele Magaldi, storico, filosofo, Presidente del Movimento Roosevelt, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico/Sovrano Gran Commendatore e Patriarca del Rito Europeo Universale.(Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di Gioele Magaldi, “Riscontro alla sua stralunata e imprecisa mail”, che risponde a una lettera di Giovanni Seia a lui indirizzata, inviata a Libreidee). Egregio Giovanni Seia, il curatore del sito Libreidee Giorgio Cattaneo mi ha girato una mail da lui ricevuta e che appare come un commento all’articolo pubblicato sullo stesso sito (vedi “Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia” ). Orbene, lei scrive: «Egregio Signor Magaldi, prima di scrivere notizie errate e prive di fondamento sarebbe opportuno ricorrere alla fonte, onde evitare una becera informazione che evidenzia unicamente la spasmodica voglia di un fanciullesco protagonismo. Sono il delegato dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e l’organizzatore della conferenza storico-scientifica, del 16 novembre scorso, sulla figura del Re Vittorio Emanuele III nella ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, data peraltro dimenticata completamente, pur essendo stato il Re Capo di Stato per ben 46 anni. La conferenza che ha visto la partecipazione di circa 400 persone, è stata tenuta da due illustri professori, Fréderic Le Moal de l’Ecole Militaire de Saint Syr e Francesco Perfetti della Luiss di Roma».
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Tutti i politici italiani che hanno sempre preso soldi stranieri
In Europa c’è un paese, Metternich avrebbe detto “un’espressione geografica”, che nel XIX secolo ha preso soldi dalle banche inglesi. Lo sostiene lo storico Aldo Mola, quando scrive che «nella spedizione dei Mille, il ruolo della massoneria inglese fu determinante, con un finanziamento di tre milioni di franchi e il monitoraggio costante dell’impresa»; ma lo ha affermato anche il ben più noto Sergio Romano, basandosi su testi di Arrigo Petacco, quando scriveva che «le ragioni dell’atteggiamento britannico furono in parte culturali, in parte strettamente politiche. I liberali inglesi erano favorevoli ai moti nazionali europei. Il loro leader, William Gladstone, scrisse un feroce pamphlet contro il Regno delle due Sicilie. Londra accolse generosamente Mazzini e contribuì a fare di lui un grande personaggio europeo. Il viaggio di Garibaldi a Londra fu un successo e suggerì alle aziende di ceramica dello Staffordshire la costruzione di statuette variopinte del generale che hanno decorato da allora i caminetti delle case del Regno Unito». Certo, direte voi, ma questa è roba vecchia, vecchissima, e che risale all’Ottocento. E poi, che male c’è? Gli inglesi ci hanno aiutato contro i Borbone e contro l’Imperatore d’Austria, e hanno fatto bene. Sì, ma…In Europa c’è un paese che si è fatto finanziare dagli stranieri anche dopo, ad Italia unificata. Il Duce d’Italia, Benito Mussolini, fu finanziato dagli inglesi e dagli americani, e chi lo ha seguito al governo del paese dopo la guerra lo fece in modo anche più esplicito. E’ il caso di un certo Alcide de Gasperi, trentino, che prese un aereo per gli Stati Uniti al fine di ottenere il placet e agevolazioni finanziarie. Poi arrivò il celeberrimo Piano Marshall, un fondo basato sul finanziamento in dollari, la cui “generosità” è oggi ampiamente contestata, dato che la ripresa in Europa “occidentale” si era già avviata da sola e la politica dei prezzi americana fu pilotata per indurre gli europei a vincolarsi al sostegno americano. Non sono nessuno per avvalorare questa linea storiografica; ma, anche volendola rifiutare, al mondo solo gli zulù non ammetterebbero che ci furono finanziamenti all’Italia. E non furono sempre trasparenti come il Piano Marshall. Sereno Freato, stretto collaboratore di Aldo Moro, negli anni Novanta dichiarava ad un giudice: «Mi meraviglio, è la scoperta dell’acqua calda: i finanziamenti del governo Usa alla Democrazia Cristiana ci sono sempre stati! Ho incassato di persona un assegno da 60 milioni dal capo-stazione della Cia a Roma, un assegno destinato alle casse dello scudo crociato nei primi anni ‘60».Vabbè, direte voi, ma questa era la Dc, il partito di maggioranza relativa che doveva combattere una guerra, seppur fredda. Va bene, come osservazione ci sta, peccato che in Europa c’è un paese ove anche le opposizioni si sono fatte finanziare dagli stranieri. E mica tanti anni fa. C’era l’Urss, e quindi parliamo di soli 30 anni or sono. In un libro del 1993 apparso presso Baldini e Castoldi (“L’oro di Mosca”), Gianni Cervetti racconta di essere stato per un certo periodo il procuratore del partito, incaricato di bussare ogni anno alla porta dell’ufficio di un omino magro, taciturno, con la testa pelata e la vivacità espressiva di un busto di marmo (la descrizione è mia) che si chiamava Boris Ponomariov. Cervetti gli rappresentava le esigenze del Pci e, dopo qualche considerazione sull’entità della cifra, incassava un assegno in dollari. La pratica durò sino alla fine degli anni Settanta quando Enrico Berlinguer, allora segretario del partito, decise di mettervi fine. Vi sarebbero stati altri contributi del Pcus (Partito comunista dell’Unione Sovietica) negli anni successivi, ma destinati al «membro della direzione del Partito comunista italiano compagno Cossutta», e sarebbero serviti ad ammonire il Pci che la definitiva rottura con Mosca avrebbe comportato un rischio di scissione.L’informazione su questi ultimi finanziamenti è in un altro libro, “Oro da Mosca”, di Valerio Riva, pubblicato da Mondadori qualche anno dopo l’apparizione del libro di Cervetti. Dunque, anch’io con questo breve (e parziale) excursus storico ho scoperto l’acqua calda: governi e partiti di “quel paese in Europa” (che si chiama Italia) si sono fatti sempre SEMPRE finanziare dagli stranieri. Ora si scopre che (forse) un altro partito italiano, la Lega, si sarebbe fatto finanziare da stranieri, precisamente da industriali russi. Ricalcando la propagadanda Usa contro Trump, anche in Italia si accendono i riflettori sul Russiagate, nonostante tutti i politici italiani di centro, di destra e di sinistra sempre SEMPRE si siano fatti finanziare dagli stranieri. Chiedo allora agli illustrissimi giuristi che si buttano per terra e si contorcono in preda agli spasmi quando leggono di industriali russi che avrebbero promesso fondi ad un partito filorusso: dove accidenti sta scritto che questa cosa non si possa fare? Siamo forse in guerra con la Russia? Non lo sapevo!Sapevo di italiani in guerra contro la Russia negli anni Quaranta, quando le presero di santa ragione sul Don, ma non sapevo che anche oggi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte avessero messo in piedi un’Armir. perché solo in caso di guerra con la Russia sarebbe scandaloso un finanziamento di russi a politici italiani. Ad inizio 2018 si è completata la transizione dal finanziamento pubblico a quello (quasi) totalmente privato, come previsto dal decreto Letta del 2013. La legge non pone alcun veto al finanziamento da parte di soggetti esteri, se non con alcuni limitati distinguo a partire dall’aprile 2019, quando il governo gialloverde (no, dico… il governo gialloverde!!!), ha ridimensionato questa possibilità limitandola a fondazioni e associazioni. La verità è che, in mancanza di euro, dovrebbero consentirci di ripagare il debito pubblico in bufale: lo avremo ripianato da un pezzo.(Massimo Bordin, “Russiagate, dove diavolo è scritto che non si può?”, dal blog “Micidial” del 23 ottobre 2019).In Europa c’è un paese, Metternich avrebbe detto “un’espressione geografica”, che nel XIX secolo ha preso soldi dalle banche inglesi. Lo sostiene lo storico Aldo Mola, quando scrive che «nella spedizione dei Mille, il ruolo della massoneria inglese fu determinante, con un finanziamento di tre milioni di franchi e il monitoraggio costante dell’impresa»; ma lo ha affermato anche il ben più noto Sergio Romano, basandosi su testi di Arrigo Petacco, quando scriveva che «le ragioni dell’atteggiamento britannico furono in parte culturali, in parte strettamente politiche. I liberali inglesi erano favorevoli ai moti nazionali europei. Il loro leader, William Gladstone, scrisse un feroce pamphlet contro il Regno delle due Sicilie. Londra accolse generosamente Mazzini e contribuì a fare di lui un grande personaggio europeo. Il viaggio di Garibaldi a Londra fu un successo e suggerì alle aziende di ceramica dello Staffordshire la costruzione di statuette variopinte del generale che hanno decorato da allora i caminetti delle case del Regno Unito». Certo, direte voi, ma questa è roba vecchia, vecchissima, e che risale all’Ottocento. E poi, che male c’è? Gli inglesi ci hanno aiutato contro i Borbone e contro l’Imperatore d’Austria, e hanno fatto bene. Sì, ma…
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Sapelli: Macron vuole “mangiarsi” l’Italia, grazie a Renzi
Sventato il “pericolo” gialloverde, ora il Conte-bis non serve più. E Macron potrebbe approfittarne per “prendersi l’Italia”, grazie all’amico Renzi, approfittando del caos politico nel quale versa l’Ue. Lo sostiene Giulio Sapelli, economista e storico, sondato da Marco Biscella per il “Sussidiario”. Tanto per cominciare, suona stonata la lettera della Commissione Europea che chiede chiarimenti al governo italiano sulla manovra 2020: fuoco amico contro un esecutivo allineato a Bruxelles? Il guaio, premette Sapelli, è che non si capisce più chi comandi, in questo momento, nell’Unione Europea: la Commissione von der Leyen è in stallo, al punto che «le trattative sulla Brexit le sta conducendo Juncker». Quanto ai francesi, «si sono messi contro tutti». Macron bloccato l’allargamento Ue a Macedonia e Albania. «C’è un’anarchia terribile», dice il professore, e quindi il Conte-bis è irrilevante. «Un tempo, uno sgarbo simile alla Germania, come quello fatto alla Commissione von der Leyen, non sarebbe mai stato possibile», precisa Sapelli. E la spaccatura a Bruxelles provoca «una caduta di credibilità enorme, di cui approfittebbero subito Cina e Stati Uniti».Secondo Sapelli, «i cinesi ci sguazzeranno, in questa carenza di potere». E così potranno perfezionare i loro rapporti con la Nuova Via della Seta, «su cui nessuno intende fare marcia indietro, a cominciare proprio dall’Italia». E Washington? «Gli Stati Uniti non esistono più: esistono due o tre Americhe, impegnate in una lotta spietata l’una contro le altre». Gli Usa, aggiunge il professore, non riescono più a esercitare la loro influenza stabilizzatrice. Gli Stati Uniti, dice, «sono grandi per potersi occupare del mondo, ma non grandi abbastanza per potersene occupare da soli». E quindi, «appena la potenza americana si è dimostrata non più grande come un tempo, si sono subito visti i riflessi sulle divisioni europee», che una volta «si risolvevano nell’ambasciata americana», e oggi non più. «Il problema dell’Europa non sono gli europei, ma gli Stati Uniti, che non riescono più a unire il gregge. Quindi, divisioni ed egoismi nazionali all’interno della Ue aumenteranno sempre di più». E oggi il problema numero uno, in Europa, si chiama Macron.Il presidente francese «è alle prese con grossi problemi interni», e ha davanti a sé «una campagna elettorale difficilissima con il suo pseudo-partito diviso, lacerato, a pezzi». Per Sapelli, il suo disegno troverà una via d’uscita gollista. Ovvero: «Fare il duro in Europa, non cooperare. E immaginiamoci un po’ cosa si appresta a fare la Francia in Italia». Allarme rosso: «Ora che sta per arrivare la stagione delle nomine ai vertici degli enti pubblici, la preoccupazione principale di Macron, muovendo quella macchina potente e perfetta che è la diplomazia francese, sarà di affermare la potenza della Francia nell’economia italiana». E non troverà ostacoli? «Renzi è sceso in campo per questo, per aiutare i francesi in questa posizione», sostiene Sapelli. «Situazioni che abbiamo già storicamente vissuto con il Risorgimento, con la Prima Guerra Mondiale: è una vecchia tiritera dei rapporti italo-francesi». Il professore allude anche al Trattato del Quirinale, impostato proprio sotto il governo Renzi: di quel trattato «non si sa nulla», e finora «è stato affidato a parti private: il Parlamento non ne ha mai avuto contezza».E dunque – domanda Biscella – che effetti avrà sulla politica italiana questa “comunione d’intenti” tra Macron e Renzi? «Macron si sente un re taumaturgo, invece Renzi è come un contadino che vuole farsi toccare dal re», risponde Sapelli. «Renzi è un elemento di disturbo che lavora per suoi fini, mira a disgregare i partiti. Che è la stessa operazione condotta da Macron per arrivare al potere: lui ha disgregato gollisti e socialisti, Renzi, se lo imita, vuole disgregare il Pd, e prima voleva rottamare tutti. Ma non essendo un re taumaturgo, ha poi dovuto fare un passo indietro». Secondo Sapelli, fino alla stagione delle nomine il governo non dovrà cadere. Poi, potrà succedere. Del resto, aggiunge, la creazione di “Italia Viva” è servita proprio a questo scopo. E il governo Conte-bis è a termine. «Renzi sa benissimo quanto è difficile che questo governo duri», sottolinea Sapelli.E la Germania? L’opposizione a 360° di Macron mette a rischio anche il Trattato di Aquisgrana firmato con la Merkel? «Assolutamente no», dice ancora Sapelli: «I legami fortissimi, culturali ed economici, tra Francia e Germania resistono. I due litigano continuamente, ma Berlino e Parigi sono una coppia, invece l’Italia non è fidanzata con nessuno. E’ una signora abbandonata a se stessa». Ma Conte non era il cocco dell’establishment euro-atlantico? «Parlare di un Conte accreditato presso l’establishment mondiale per aver partecipato a un G7 mi sembra un po’ esagerato», dice Sapelli, che non esclude una completa “riabilitazione” di Matteo Salvini. «Il destino di Salvini è nelle mani di Salvini, tutto dipende da cosa farà: se la Lega diventa quello che deve diventare, cioè una nuova Dc, una forza moderata, tutto potrebbe cambiare». Spiega Sapelli: «Le regioni più produttive dell’Italia, in larghissima parte rappresentate dalla Lega, hanno bisogno di un partito che sia ragionevole e riformista».Sventato il “pericolo” gialloverde, ora il Conte-bis non serve più. E Macron potrebbe approfittarne per “prendersi l’Italia”, grazie all’amico Renzi, approfittando del caos politico nel quale versa l’Ue. Lo sostiene Giulio Sapelli, economista e storico, sondato da Marco Biscella per il “Sussidiario”. Tanto per cominciare, suona stonata la lettera della Commissione Europea che chiede chiarimenti al governo italiano sulla manovra 2020: fuoco amico contro un esecutivo allineato a Bruxelles? Il guaio, premette Sapelli, è che non si capisce più chi comandi, in questo momento, nell’Unione Europea: la Commissione von der Leyen è in stallo, al punto che «le trattative sulla Brexit le sta conducendo Juncker». Quanto ai francesi, «si sono messi contro tutti». Macron bloccato l’allargamento Ue a Macedonia e Albania. «C’è un’anarchia terribile», dice il professore, e quindi il Conte-bis è irrilevante. «Un tempo, uno sgarbo simile alla Germania, come quello fatto alla Commissione von der Leyen, non sarebbe mai stato possibile», precisa Sapelli. E la spaccatura a Bruxelles provoca «una caduta di credibilità enorme, di cui approfitterebbero subito Cina e Stati Uniti».
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Erdogan spietato con i curdi. Invece gli altri sono meglio?
Ci sono approfondimenti talmente contrari al comune sentire che scontentano tutti: destra, sinistra, moderati, massimalisti, patrioti, nazionalisti, sovranisti ed iperliberisti. Ebbene, l’approfondimento che segue appartiene proprio alla categoria degli “inaccettabili”. Tuttavia, come diceva Franz Kafka, bisogna anche sforzarsi di leggere testi che sono un pugno nello stomaco. Se vi siete abituati a leggere solo le informazioni che vengono dai media tradizionali, sconsiglio dunque la lettura di quel che segue. Da appassionato di storia, ho sempre nutrito una certa simpatia per le cause separatiste. Che si tratti della causa basca o catalana in Spagna, di quella irlandese nel Nord dell’isola o di quella del Donbass in Ucraina, a mio modo di vedere le comunità hanno il diritto di autodeterminarsi. Ci sono molte importanti eccezioni, però, perchè in alcuni casi il separatismo è solo anticamera di guerre civili, e quelle che a prima vista possono sembrare cause separatiste, nascondono lotte di potere interne alle comunità, oppure torbide relazioni con paesi del tutto estranei. Il caso della Cecenia è in tal senso illuminante: non si trattò affatto di guerre per l’autodetermianzione del popolo ceceno, ma di una guerra civile sponsorizzzata.Dunque, i distinguo servono eccome, altrimenti si rischia di non capirci nulla e di fare, come si suol dire, di tutta l’erba un fascio. In queste ore il presidente turco Erdogan ha ordinato un’operazione militare nel nord della Siria al fine di annullare l’operatività dei militanti curdi. Erdogan maschera questo intervento con la solita manfrina della lotta al terrorismo. Questo tema (il terrorismo), viene usato da tutti, senza eccezioni, per reprimere gli oppositori internazionali. I Bush contro Iraq e Afghanistan, Sarkozy contro la Libia, Umberto I e Bava Beccaris contro i manifestanti a Milano, l’austriaco Cecco Beppe contro i serbi e giù giù fino a Metternich contro Mazzini. Dunque, l’argomentazione di Erdogan non regge così come non reggevano quelle di Obama, di Clinton e financo di James Brooke contro Sandokan. C’è però almeno un aspetto per il quale faccio seriamente fatica a criticare l’intervento di Erdogan. Ed è la consapevolezza che il Medioriente è la polveriera del mondo. I turchi hanno dominato, amministrato e costruito infrastrutture in Medioriente per più di 500 anni di storia moderna. Le aree confinanti con l’attuale Turchia erano dentro la Turchia stessa (alias Impero Ottomano) fino al 1922 e lo erano per l’appunto, da oltre mezzo millennio. Gli stati mediorientali attuali: Siria, Libano, Israele, Giordania, Arabia Saudita sono un’invenzione geometrica anglofrancese, realizzata a tavolino dopo la Prima Guerra Mondiale attraverso il trattato Sykes-Picot.Quel trattato ha conferito potere alla tribù più retriva dell’area, i wahabiti (oggi “sauditi”) ed è una divisione innaturale, che non tiene conto delle culture delle varie altre tribù. Detto diversamente, il caos che regna in Medioriente da quasi un secolo a questa parte è interamente imputabile alle proiezioni coloniali anglofrancesi, non ai turchi che furono storicamente più tolleranti in quelle aree di quanto non lo sono oggi le tribù autoctone eterodirette (e lo ripeto: eterodirette prima da francesi e inglesi; poi da americani ed israeliani). Com’è logico che sia, dal 1922 – anno della dissoluzione dell’Impero Ottomano – ad oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e non è posssibile far finta di nulla. I turchi si sono macchiati di crimini orrendi, in primis il genocidio degli armeni durante la Prima Guerra Mondiale, avvenuto per opera di un gruppo di fanatici ottomani ai danni delle popolazioni storicamente più vicine ai russi in quel periodo: gli armeni, appunto.Non si trattò affatto però, come Hollywood vorrebbe far credere, della natura malvagia dei turchi: poco prima i coloni inglesi avevano perseguitato e sterminato fino all’estinzione la stragrande maggioranza delle tribù pellerossa in Nord America e costretto i neri africani a fare da schiavi. I belgi avevano pochi anni prima massacrato milioni di congolesi ed i tedeschi di lì a poco si sarebbero interessati agli ebrei in un modo a dir poco maniacale e demoniaco. Sì, insomma, se i turchi sono cattivi, trovatemi quelli buoni, che io ancora non ne ho conosciuti. Venendo in modo più stringente alla questione curda, al separatismo della regione del Kurdistan, ecc, la vicenda è solo apparentemente complessa. Quand’è che – storicamente – una regione separatista realizza il suo progetto e diventa uno Stato nazionale? La risposta è duplice: da un lato, ciò avviene quando quella regione riesce a farsi riconoscere come Stato dalla stragrande maggioranza degli altri paesi. In subordine, ma neanche tanto, quando un’altra nazione la aiuta in questo tortuoso e rischioso percorso. In Iraq, in Siria ed in Turchia – cioè nei paesi ove alla faccia del trattato Sykes-Picot vivono i curdi – la comunità ha fatto una scelta precisa e inequivocabile dicendo che “ad aiutarci in questa impresa saranno gli Stati Uniti d’America! Non importa se siamo comunisti, non importa se siamo antimperialisti! Sarà l’America a liberarci dai turchi e da Assad”.Al netto di tale ingenuità (fidarsi degli americani in geopolitica è come fidarsi di un promotore finanziario in banca), i siriani lealisti hanno teso una mano ai curdi in diverse occasioni. Com’è noto, date le vicende in Siria e la chiamata del leader Assad dei russi in suo soccorso, cercare una collaborazione con Assad per i curdi avrebbe significato anche cercare una collaborazione con Putin. I curdi hanno declinato gentilmente l’invito preferendo gli americani e, ora, tutti ad allargarsi la bocca e stracciarsi le vesti perchè gli americani li hanno mollati. Ma dire che i curdi hanno avuto sfortuna puntando sul cavallo sbagliato non basta. C’è dell’altro. Anche se gli americani tramite milizie ribelli l’avessero spuntata contro i siriani lealisti, che ne sarebbe stato del Kurdistan? L’ipotesi più probabile è che avrebbero realizzato una microscopica autonomia in perenne contrasto con la Turchia. Io non trascurerei tanto facilmente il fatto che Erdogan, appena tre anni or sono, ha represso un colpo di Stato militare contro di lui. Non se ne parla più, ma che gli americani non sapessero nulla di quel colpo di stato, per cortesia, lo andate a raccontare ai vostri bambini, la sera, prima di addormentarsi e dopo avergli letto quella di Biancaneve.Ora, immaginatevi questo scenario: una Turchia sempre più vassalla dell’America dopo la fine di Erdogan. Una Siria inesistente ed in mano all’Isis. Che ne sarebbe stato del laico e comunista Kurdistan? Non sarebbe forse diventato un Israele dei poveri, ulteriore elemento di destabilizzazione e di attentati? Gli islamisti vittoriosi non se lo sarebbero pappato in un attimo? Conclusione: i curdi sono stati pagati per anni dagli americani per destabilizzare l’area nella speranza che i vari gruppi di ribelli rovesciassero la Siria con la guerriglia e la Turchia con il colpo di stato. Le cose non sono andate così ed ora Erdogan fa quello che tutti farebbero: riportare la stabilità con le cattive col tacito consenso di Putin, Assad e Trump. In cambio, Erdogan acquista armi dai russi, non metterà in discussione il ruolo di Assad a Damasco e custodirà gli jihadisti catturati dagli americani per fare un piacere anche a Trump, che ha dato il via libera. E’ sempre difficile giustificare umanamente un intervento militare. Ma a comprendere Erdogan non ci vuole niente.(Massimo Bordin, “La versione di Erdogan”, dal blog “Micidial” del 10 ottobre 2019).Ci sono approfondimenti talmente contrari al comune sentire che scontentano tutti: destra, sinistra, moderati, massimalisti, patrioti, nazionalisti, sovranisti ed iperliberisti. Ebbene, l’approfondimento che segue appartiene proprio alla categoria degli “inaccettabili”. Tuttavia, come diceva Franz Kafka, bisogna anche sforzarsi di leggere testi che sono un pugno nello stomaco. Se vi siete abituati a leggere solo le informazioni che vengono dai media tradizionali, sconsiglio dunque la lettura di quel che segue. Da appassionato di storia, ho sempre nutrito una certa simpatia per le cause separatiste. Che si tratti della causa basca o catalana in Spagna, di quella irlandese nel Nord dell’isola o di quella del Donbass in Ucraina, a mio modo di vedere le comunità hanno il diritto di autodeterminarsi. Ci sono molte importanti eccezioni, però, perchè in alcuni casi il separatismo è solo anticamera di guerre civili, e quelle che a prima vista possono sembrare cause separatiste, nascondono lotte di potere interne alle comunità, oppure torbide relazioni con paesi del tutto estranei. Il caso della Cecenia è in tal senso illuminante: non si trattò affatto di guerre per l’autodetermianzione del popolo ceceno, ma di una guerra civile sponsorizzzata.
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Il finto sovranismo della “serva Italia” e l’inganno di Grillo
Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.L’euro e le sue regole sono uno strumento essenziale a questo fine (vedi i miei “Euroschiavi”, “Tecnoschiavi”, “Cimiteuro”, “Traditori al Governo”, “Oligarchia per popoli superflui”). L’Italia neanche se unita e neanche se guidata da autentici statisti – quali oggi non esistono né in Italia né altrove in Occidente – potrebbe battere il liberal-capitalismo finanziario imperante, e affrancarsi da tale programma: gli strumenti finanziari, monetari, mediatici e giudiziari in mano agli interessi dominanti sono troppo forti; prima bisognerebbe che il loro apparato di potenza fosse abbattuto da un rivolgimento perlomeno continentale. Soprattutto sotto leader modesti come Salvini, Di Maio, Renzi, con certezza non si raggiunge la libertà. I tentativi di affrancamento, come quello, vago e timido, del governo gialloverde, non possono che fallire e ricadere in danno agli italiani. Dai tempi dell’occupazione longobarda, e poi franca, normanna, francese, spagnola, austriaca, la gran parte dei politici italiani aspira a collaborare coi padroni stranieri aiutandoli a sfruttare l’Italia, perché aiutandoli si eleva verso di essi e sopra i comuni italiani. E’ un tratto culturale storicamente consolidato. In Italia, fare il Quisling non è un titolo di demerito, ma all’opposto di nobiltà; questo va ricordato a coloro che hanno dato del Quisling al Quirinale: non è un vilipendio, è un encomio.Da tutto quanto sopra consegue che agli italiani conviene un governo non ribelle agli interessi stranieri, specificamente franco-tedeschi, piuttosto che uno ribellista ma impotente, che attira ritorsioni su di loro. Un governo sottomesso ma dialogante, che attenui la violenza del processo di spolpamento, espropriazione ed invasione afroislamica, e lo diluisca nel tempo, dando modo alla popolazione generale di vivere decentemente qualche anno in più, e alla parte più valida di essa di emigrare e trasferire aziende e patrimonio all’estero. Agli intellettuali antisistema non conviene farsi partito politico, sia perché non vi è spazio per l’azione politica, sia perché verrebbero attaccatati dai magistrati politici e dall’apparato mediatico. L’azione antisistema, di critica e controproposta al regime tecnofinanziario, sebbene impossibile sul piano governativo, potrebbe invece parallelamente continuare sul piano culturale e informativo: la critica intelligente e competente potrebbe costituire un’associazione internazionale di ricerca scientifica socio-economica, geostrategica e storica, meglio se con sede all’estero (fuori della portata della giustizia nostrana), indipendente da ogni ente pubblico e dal capitale privato, avente lo scopo di mettere in luce la verità, gli inganni e i meccanismi monetari-finanziari che essi nascondono.Ora qualche nota sulla crisi di governo in atto. Salvini l’ha aperta in un momento scelto razionalmente, forse non il migliore, ma verosimilmente l’ultimo possibile (non voglio pensare l’abbia aperta confidando nelle assicurazioni di Zingaretti, che non si sarebbe alleato coi grillini ma avrebbe spinto per le elezioni: se Salvini si fosse fidato di tali dichiarazioni, ignorerebbe l’abc della politica, ossia che menzogna e dissimulazione sono parte essenziale del metodo politico). Poi l’ha gestita male, con tentennamenti, incertezze, contraddizioni e scarse analisi economico-giuridiche. Al Senato non si è difeso efficacemente dalle stroncature di Conte: ha replicato usando argomenti deboli mentre ne aveva a disposizione di ben più forti; non ha ribattuto sul piano giuridico-costituzionale; è apparso in pallone, impacciato, patetico nei suoi appelli alla Madonna e nel suo offrirsi come bersaglio.La sua difesa è stata fatta molto meglio dalla senatrice Bernini di Forza Italia, che ha smascherato l’ipocrisia e le contraddizioni di Conte. Salvini è un buon comunicatore, ha un buon fiuto, non è stupido, è ben sopra la media dei politici nostrani, ma adesso tutti hanno potuto vedere che non ha la saldezza né la preparazione culturale dello statista. E’ o è stato un leader carismatico, e i leader carismatici perdono il carisma allorché appaiono perdenti. Però Salvini può ancora rinquartarsi e recuperare, specialmente se la Lega va all’opposizione e fa opposizione dura e aggressiva nelle piazze, o anche se ricuce con il partito della Casaleggio & Associati, perlomeno al fine di proteggersi dagli attacchi giudiziari stando al governo. Però in ogni caso dovrebbe colmare le sue lacune in diritto costituzionale ed economia internazionale. Ad ogni modo, la carica sovranista e antisistema dei capi grillini e leghisti era da tempo andata scemando e riducendosi a poche banalità pressoché inoffensive e a denunce sterili.Ben diversamente, Grillo era partito, prima che fosse fondato il M5S, da una vera critica antisistema, che metteva in luce il fattore centrale del potere e dell’iniquità, che spoglia della loro sovranità i popoli: la privatizzazione della sovranità monetaria, il monopolio privato della produzione e allocazione della moneta e del credito. Poi, divenendo capo di una formazione partitica assieme alla Casaleggio e Associati, aveva smesso di parlare di queste cose, troppo autenticamente disturbanti per il sistema, e si era giustificato, ad usum imbecillium, asserendo che si tratterebbe di cose che la gente non capisce. Era passato alla dottrina del vaffa, più alla portata della classe cui si rivolgeva, e ben tollerabile per il sistema. Tuttavia, ancora nei due anni precedenti le elezioni politiche del 2018, alcuni esponenti grillini, segnatamente Villarosa (attuale sottosegretario alle finanze), Pesco e Sibilia, si erano interessati e avevano approfondito con impegno la materia monetaria e bancaria, richiedendo e ricevendo la collaborazione mia e di altri studiosi di questo campo, organizzando eventi pubblici e promettendo iniziative concrete una volta al governo. Ma, al contrario, una volta accomodatisi sulle poltrone governative, i predetti non solo non hanno preso alcuna concreta e visibile iniziativa, ma hanno addirittura rifiutato ulteriori contatti con noi.Evidentemente avevano ricevuto ordini di scuderia e calcolato la loro convenienza. Si sono allineati al sistema, con tutto il Movimento, il quale si è rivelato e confermato uno strumento per raccogliere il dissenso antisistema e poi neutralizzarlo, anzi portarlo al sistema convertendolo in consenso ad esso, a braccetto col partito dei finanzieri detto Pd, e con la risibile mascheratura di contentini demagogici, rumorosi e dannosi come il cosiddetto reddito di cittadinanza, il salario minimo, una riforma giacobina e incompetente del processo penale. E dopo hanno votato Ursula von der Leyen, falco finanziario germano-rigorista, gettando completamente la maschera: servono interessi opposti a quelli dichiarati. Ancor prima, Movimento e Lega erano entrambi passati da posizioni critiche verso l’euro, spavaldamente contemplanti la possibilità di uscirne senza danno (Borghi, Bagnai) in caso di rifiuto di opportune e strutturali riforme dell’apparato europeo, a posizioni di definitiva accettazione dell’euro e di arrendevolezza a Bruxelles. Ma ciò non è bastato ad evitare l’isolamento e la marginalizzazione dell’Italia in sede europea, né a ottenere più margini di spesa pubblica. Insomma, come governo antisistema il governo gialloverde era fallito prima di cadere, o più precisamente prima di nascere. Non abbiamo perso molto. Anzi, abbiamo guadagnato in chiarezza.(Marco Della Luna, “Il soranismo della serva Italia”, dal blog di Della Luna del 22 agosto 2019).Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.
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Veneziani: all’Italia manca un’aristocrazia (dei meritevoli)
Prima gli ultimi. No, prima i nostri. No, prima loro, i migranti. No, prima i giovani, le donne, le quote rosa o delle altre categorie discriminate. La battaglia delle priority prosegue senza sosta e senza punto d’incontro. E se, più semplicemente, dicessimo “Prima i primi” ovvero chi ne ha diritto, perché è arrivato primo o per primo, cioè i capaci e i meritevoli, i migliori, chi ha i titoli, l’anzianità e le competenze? E se il problema italiano non fossero le élite ma la loro assenza e il loro mancato ricambio? Andiamo con ordine. Prima gli ultimi, dice Papa Francesco, e sul piano pastorale nulla da dire. Giusto soccorrere chi sta male, aiutare prima chi sta peggio; un cristiano non può eludere la carità. Ma adottare la priorità degli ultimi come criterio sociale di vita pubblica è una catastrofe. In verità il Vangelo di Matteo dice: «Beati i poveri in spirito perché di loro sarà il regno dei cieli»; non promette ai poveri il regno della terra e l’accoglienza ovunque. Tuttavia sul piano religioso la carità come dedizione personale e comunitaria è un grande valore. Ma se diventa criterio distributivo nella vita pubblica e metodo di selezione pubblica, allora le società si deteriorano, degradano verso il peggio. La stessa cosa vale se gli ultimi che diventano i primi sono i migranti e i profughi.Si può apprezzare l’intenzione morale, la tensione etica di questa apertura, ma in questo modo una società deperisce, subordina le esigenze reali e prioritarie di tutti cittadini a soddisfare i bisogni di chi viene da lontano. Nefasta è pure la logica delle quote riservate, pur se animata dalle migliori intenzioni: prima le donne, prima i giovani, prima le categorie deboli e protette. Ma la priorità di genere, d’anagrafe o di categoria contrasta con la meritocrazia, mortifica i titoli, le qualità, l’esperienza, il talento; considera solo i disagi, i fattori momentanei o le fragilità vere o presunte; non si pone dal punto di vista della comunità, delle ricadute sociali, ma solo dal punto di vista dei soggetti deboli da aiutare. Risarcisce le disparità passate, creando disparità presenti e future. Così pure fu la rottamazione dei seniores da parte di Renzi. Non basta essere giovani o non avere precedenti (penali e non solo), per essere preferibili; si può essere giovani e inetti, incensurati e incapaci, innocui e imbecilli. Gli esempi sono innumerevoli…Prima i nostri, o prima gli italiani, come dice Salvini (o America First di Trump), garantisce coesione sociale e solidarietà comunitaria, riconosce le identità e le appartenenze, dà valore alla cittadinanza. Ma può valere in alcuni ambiti primari, nelle modalità d’accesso all’assistenza, all’assegnazione delle case popolari, alle graduatorie per lavori generici o per necessità elementari. Ma è un metodo inadeguato di scelta nelle attività ad alta specializzazione o ad alta responsabilità o per selezionare competenze professionali, ruoli direttivi, ceti dirigenti. Non si può preferire “uno dei nostri” a “uno bravo”. Del resto, il degrado della nostra società, la discesa progressiva, inarrestabile, dei suoi livelli di qualità, la fuga all’estero delle energie più dinamiche e delle intelligenze più brillanti, confermano la decadenza delle classi dirigenti come una vera e propria catastrofe nazionale. E allora sorge l’indecente, scorrettissima, proposta: e se la priorità del nostro paese fosse individuare, formare, selezionare, una vera aristocrazia in tutti i campi del sapere e del lavoro?Da anni siamo infognati nella diatriba tra la Casta e la Massa. E se il problema non fosse contrapporre il popolo alle élite, o peggio le plebi alle oligarchie, ma riconoscere ciascuno secondo il suo rango, cioè le sue capacità, i suoi meriti e i gradi di responsabilità? Il problema non è abbattere le classi dirigenti, identificandole gramscianamente con le classi dominanti, o peggio con le classi sovrastanti, che vivono sopra le masse senza neanche guidarle; ma riattivare l’ascensore sociale, rigenerare la circolazione delle élite, come diceva Pareto; riaprire i ponti in entrata e in uscita, in modo che si proceda per selezione sul campo e non per cooptazione. Circolazione delle classi dirigenti, non circuiti chiusi. Nessuna società sopravvive alla morte o alla stagnazione delle élite. Nessuna società si autogoverna, il popolo ha bisogno di classi dirigenti, non caste chiuse e autoreferenziali ma aperte al ricambio e organiche al popolo.Riammettiamo la parola proibita: aristocrazie, non di sangue o di censo, né per trasmissione ereditaria di poteri e di possedimenti, ma premiando i migliori, riconoscendo le eccellenze in ogni settore.A formare le élite oggi non ci pensa lo Stato né la Scuola, l’Università, la Chiesa, i Partiti. A proposito, vi dice nulla che i quattro principali leader politici – Salvini, Di Maio, Zingaretti e Meloni – non siano nemmeno laureati? Certo, la laurea non è una garanzia di nulla, ma è una spia indicativa che i quattro principali leader non abbiano una laurea e una professione alle spalle. E infatti nessuno si batte per la meritocrazia né la pratica. All’Italia oggi mancano molte cose: la vitalità, la natalità, il coraggio di rischiare. Però manca una cosa che le precede: un’avanguardia di esempi, mille persone ai vertici degli ambiti decisivi, che siano da guida e da modello per tutti gli altri. I Mille. Non ci sono laboratori di formazione delle élite né in politica né in società, nella pubblica amministrazione o nelle imprese. E invece è necessario ripartire da lì, dalla rivoluzione delle élite. Dalle aristocrazie e dai luoghi di formazione. Prima i più bravi, vincano i migliori.(Marcello Veneziani, “All’Italia manca un’aristocrazia” dal numero 25/2019 di “Panorama”; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Prima gli ultimi. No, prima i nostri. No, prima loro, i migranti. No, prima i giovani, le donne, le quote rosa o delle altre categorie discriminate. La battaglia delle priority prosegue senza sosta e senza punto d’incontro. E se, più semplicemente, dicessimo “Prima i primi” ovvero chi ne ha diritto, perché è arrivato primo o per primo, cioè i capaci e i meritevoli, i migliori, chi ha i titoli, l’anzianità e le competenze? E se il problema italiano non fossero le élite ma la loro assenza e il loro mancato ricambio? Andiamo con ordine. Prima gli ultimi, dice Papa Francesco, e sul piano pastorale nulla da dire. Giusto soccorrere chi sta male, aiutare prima chi sta peggio; un cristiano non può eludere la carità. Ma adottare la priorità degli ultimi come criterio sociale di vita pubblica è una catastrofe. In verità il Vangelo di Matteo dice: «Beati i poveri in spirito perché di loro sarà il regno dei cieli»; non promette ai poveri il regno della terra e l’accoglienza ovunque. Tuttavia sul piano religioso la carità come dedizione personale e comunitaria è un grande valore. Ma se diventa criterio distributivo nella vita pubblica e metodo di selezione pubblica, allora le società si deteriorano, degradano verso il peggio. La stessa cosa vale se gli ultimi che diventano i primi sono i migranti e i profughi.
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Carpeoro: ma con questi politici, l’Italia resterà sottomessa
Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.Bisogna avere il coraggio di dire, agli italiani: “Io sono a lungo termine; se pretendete da me gli 80 euro il mese prossimo, rivolgetevi a qualcun altro”. Se poi gli italiani preferiscono così… Ma in questo modo il “qualcun altro” dura solo un giro, come Renzi. Nel frattempo restiamo sottomessi ai diktat del regime politico-finanziario europeo? L’Italia non deve contestare l’Europa, deve contestare il modo in cui è stata rappresentata la sua situazione economica. Il nostro paese ha il patrimonio artistico più grande del mondo, che non viene minimamente valutato. Gli altri, nei bilanci mettono finanche le noccioline; e noi non possiamo mettere a bilancio il nostro patrimonio artistico? Non è un bene? Non è un valore? Non è un patrimonio? Se io a casa ho un Renoir, nella dichiarazione dei redditi lo devo indicare. Invece lo Stato, nella “dichiarazione dei redditi” che fa per l’Europa, non ci può mettere il Colosseo. Se noi ottenessimo la revisione dei parametri economici – per un discorso di verità, non di bugia – possono garantire che il debito pubblico verrebbe azzerato. Gli stessi trattati europei non escludono neppure che, nel proprio patrimonio, si possano indicare dei beni di cui effettivamente si dispone. Non si tratta di rivedere le leggi, ma solo di dire la verità: di fare cioè delle dichiarazioni patrimoniali veritiere.Non osiamo farci valere: dipende dalla scarsa personalità dei nostri politici? Sono ricattabili, i politici italiani: tutti. Quindi, nel momento in cui alzano la voce, qualcuno gli telefona e gli dice: attenti, che in archivio ho un dossier, su di voi. Chi ha i dossier? I vari Attali, i vari Ledeen. Quali interessi difendono? I loro. Sono interessi anche personali: secondo voi questi personaggi chiedono la carità all’angolo della chiesa? Lavorano per banche, fondazioni finanziarie: tutte cose che hanno creato loro, che gestiscono loro, che manipolano loro. Le banche e gli organismi finanziari sono cose neutre, astratte: tutto dipende da chi li governa, da come li gestisce. E’ quello che intendo, quando parlo di “sovragestione”. Sarebbe un danno, per loro, se l’Italia potesse riscattarsi? No, non sarebbe un danno. Hanno semplicemente interesse a speculare sulle disgrazie: e quelle dell’Italia sono ottime, per specularci. Ma è solo una questione di guadagno: non hanno niente, contro l’Italia. Vorrei confortare tutti quanti: non c’è un odio verso il nostro paese. E’ come con la Grecia: nel momento in cui c’è la disgrazia, ci si specula sopra. Così funzionano, i pescecani. E la nostra disgrazia consiste nel fatto che, a suo tempo, non abbiamo rivendicato il nostro reale assetto economico e patrimoniale. Responsabilità di chi sedette al tavolo delle trattative per conto dell’Italia: è chiaro che la partita la perdi, se non cali i tuoi assi.Per contro, a quel tavolo non potevamo non sederci. Se fossimo rimasti fuori dal club europeo avrebbero strangolato la lira in modo inimmaginabile – come infatti stava già accadendo prima ancora dell’euro: don lo Sme e con la grande speculazione, la lira si sarebbe trasformata in una moneta ridicola. Mi si fa notare che un paese come la Corea del Sud è rimasto felicemente indipendente? Certo, ma in quel caso non hanno fatto l’Unione Asiatica: lì non c’è quel tipo di connessione finanziaria e di sovragestione che c’è da noi. Nel nostro caso, la sovragestione finanziaria esisteva già – prima ancora della creazione dell’Unione Europea. La grande speculazione c’era, eccome. La sterlina non è stata affatto strangolata? Certo, perché ha un impero suo: si chiama Commonwealth. Ha risorse, mercati e vie d’uscita enormi. Per questo la Gran Bretagna è stata costretta a uscire, dall’Ue: stava perdendo il Commonwealth. Ci sarà il boom del Brexit Party? Ormai in Inghilterra non si capisce più niente. Comunque il Regno Unito può andare dove vuole, tanto non va da nessuna parte, oggi. Se l’Europa fosse un organismo intelligente, darebbe all’Inghilterra una moratoria di 10 anni. Le direbbe: “Fa’ quello che vuoi. Esci, resta”. Invece di strangolarla, le dovrebbe dire: “Hai dieci anni di tempo, per decidere quello che vuoi fare”. Ma l’Europa non è un organismo intelligente.Ora si contestano anche le radici cristiane dell’Europa. Ma qualcuno può negare che il Cristianesimo faccia parte della storia europea? Fino al 100 dopo Cristo era un soggetto estraneo, limitato a una tradizione mediorientale. Poi ha fatto irruzione in Occidente – come anche il mitraismo e il sincretismo alessandrino, che univa le religioni greca, egizia e mitraica. C’erano tante influenze, perché ormai l’Impero Romano era una entità internazionale: c’era stata una specie di globalizzazione, e quindi è arrivato anche il Cristianesimo. Il problema? Aveva successo. Nei primi tre secoli del primo millennio era diventato, nell’Impero Romano, la religione maggioritaria. Al punto che Costantino fiutò la possibilità di farne una base solida del proprio potere imperiale, e così lo dichiarò religione di Stato. E dire che i cristiani erano stati perseguitati anche sanguinosamente, da imperatori come Traiano. Il guaio è che, una volta diventato religione di Stato, il Cristianesimo ha preso tutti i vizi del potere. Nella sua dimensione strutturale (che prima non aveva) si è plasmato proprio sul potere imperiale. E questa crescita – compresa questa sorta di tara – si è poi trasferita, pari pari, da impero a impero: dall’Impero Romano, poi sgretolato dalle invasioni, al risorgente Sacro Romano Impero.Il Sacro Romano Impero si fondava sul Cristianesimo: era il suo pilastro, tant’è vero che tutti gli imperatori venivano incoronati dal Papa (salvo momenti di frizione e conflitto per il potere materiale). Proprio il Sacro Romano Impero ci ha accompagnato direttamente fino alle porte dell’umanesimo e del Rinascimento. E cosa ha trasferito, fino ai giorni nostri? La trazione franco-germanica: comandavano francesi e tedeschi, esattamente come oggi. Questa è la vera radice europea. La storia ha una grande forza: esiste anche per chi non la riconosce. Contestare le radici cristiane dell’Europa (che non sono le uniche) è sbagliato. E’ un passaggio retorico, ma comunque irrilevante: perché alla fine la verità è che, oggi come allora, comandano i francesi e i tedeschi (a prescindere dalle istituzioni formali europee). Certo, la ricostruzione della storia non è facile, e spesso non è così veritiera. Abbiamo esempi anche recenti: una certa retorica vuole che l’Italia sia stata liberata dai partigiani, ma – se non fossero sbarcati gli americani – qui si girerebbe ancora con l’orbace.I partigiani sono stati il simbolo della reazione di una parte nobile del popolo, ma in pratica – piaccia o meno – l’Italia è stata liberata dagli americani. Si può discutere anche sul concetto di “liberazione”, certo. Ma resta il fatto che l’Italia, da sola, non si sarebbe liberata del fascismo. Americani o russi, non importa: qualcuno, da fuori, doveva intervenire. Liberata e rioccupata? Normale: la penisola è sempre stata occupata. E’ come il cesso della stazione, l’Italia: non lo trovi mai libero. Ma siamo noi che ci facciamo occupare. Non l’abbiamo difeso in niente, il nostro paese. Non abbiamo il senso dello Stato, ci manca il senso della nazione. Seguiamo poco persino la nazionale di calcio, perché non è divisiva: preferiamo le squadre di club, perché siamo campanilisti. Qualcuno si domanda perché Napoleone spogliò l’Italia di tanta arte: era il prezzo da pagare per il supporto dei francesi contro l’Impero Austro-Ungarico? Ma tutti quelli che sono venuti in Italia hanno spogliato il nostro paese. Ben prima di Napoleone, il Re di Francia (Francesco I) si portò via Leonardo: non si prese soltanto l’arte, ma pure l’artista.Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.
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L’Italia affonda e la Chiesa gareggia in ricchezza con gli Usa
Non si sono ancora sopite le polemiche per la decisione dell’elemosiniere del Papa di pagare l’elettricità di un palazzo occupato a Roma. Secondo una parte consistente dei commentatori politici, la decisione avrebbe chiari intenti polemici nei confronti dello Stato italiano ed anche di Matteo Salvini («pagherò le bollette arretrate degli inquilini e anche quelle del ministro», ha ironizzato l’elemosiniere del Pontefice). Insomma, dietro il pagamento di una bolletta, più che l’intento evangelico ci sarebbe quello politico. Papa Bergoglio sarebbe anche intenzionato non a punire, bensì a premiare il cardinale elemosiniere Krajewski conferendogli un ministero. Con la fine del potere universale della Chiesa cattolica nel medioevo, il papato ha inaugurato una nuova serie di sfide con le organizzazioni statali. La Chiesa è sopravvissuta, ma ha anche sempre sonoramente perso queste sfide, ridimensionandosi territorialmente fino a diventare lo Stato sovrano più piccolo del mondo. Tra le tante dispute, è degna di riflessione quella tra la Chiesa romana del Cinquecento e il Re d’Inghilterra, perché ripensarla oggi nei rapporti Stato italiano/Città del Vaticano potrebbe aiutare non poco a capire come “altri” risolsero il problema del debito pubblico.Come molti ricorderanno dagli insegnamenti scolastici, l’allora sovrano d’Inghilterra Enrico VIII pronunciò l’atto di supremazia sul cattolicesimo perché le alte sfere pontificie non accettarono il divorzio tra il Re e la sua consorte Caterina d’Aragona. Non si trattò di uno scisma teologico e dottrinale, dunque, ma di una disputa personale del Re con il Papa ed il suo cardinale di riferimento, Reginald Pole. Quel che non viene mai detto con sufficiente enfasi, invece, è che la disputa tra le due organizzazioni consentì all’Inghilterra di sanare il proprio debito pubblico. La dissoluzione dei monasteri, infatti, fu un processo che dal 1536 al 1540 permise ad Enrico VIII di confiscare le proprietà della Chiesa cattolica nell’isola. Grazie al possesso dei terreni d’Oltremanica, infatti, la Chiesa vantava entrate 3 volte maggiori rispetto a quelle dello Stato. A ben guardare, il ricavato delle vendite dei monasteri e dei terreni fu piuttosto deludente rispetto alle aspettative iniziali, ma consentì comunque all’Inghilterra di avere meno problemi economici di altri Stati in quell’epoca.Tornando all’attualità, e come si può ben immaginare, la Chiesa cattolica possiede, in Italia e fuori dal Belpaese, immobili che per quantità e qualità farebbero impallidire 100 confische di Enrico VIII. Il 20 per cento del patrimonio immobiliare italiano è in mano alla Chiesa, ma se calcoliamo anche quanto c’è fuori dai confini italiani, il papato può contare sullo stesso numero di ospedali, scuole e università di un gigante come gli Stati Uniti d’America. A Roma, città dai prezzi esorbitanti al metro quadro, un quarto degli immobili presenti è di proprietà del Vaticano. Secondo studi del “Sole 24 Ore”, solo in Italia, la Chiesa possiederebbe beni per miliardi di euro; e contando anche ciò che il Papa possiede fuori dall’Italia, la cifra supera i 2.000 miliardi solo di immobili. Va anche ricordato, a tal proposito, che la Città del Vaticano è una monarchia assoluta, una delle pochissime rimaste al mondo assieme al Brunei, all’Oman, agli Emirati Arabi e all’Arabia Saudita, e che il Papa – personalmente – risulta anche il proprietario “in solido” dei beni citati. In questo veloce conteggio, sono ovviamente esclusi conti bancari, depositi vari e oro, la cui consistenza è avvolta nel più assoluto mistero.Stiamo forse dicendo che sarebbe bene confiscare le proprietà della Chiesa? Non diamo nessuna valutazione, ma non sarebbe la prima volta che uno Stato lo fa a seguito di ingerenze politiche di stampo teocratico. Oltre ad Enrico VIII ci furono anche i francesi nel periodo della Rivoluzione, che dopo la Costituzione Civile del Clero provvidero ad assegnare ai cittadini i beni ecclesiastici presenti in Francia. Inoltre, che ci fosse bisogno di andare d’accordo col clero fu un’idea del Duce, che nel 1929 sottoscritte i Patti Lateranensi; ma i grandi protagonisti risorgimentali – Mazzini, Garibaldi, Cavour e i liberali che governarono l’Italia per più di sessantanni dopo l’Unità – non fecero concordati con la Chiesa e governarono tranquillamente il paese anche senza avere la simpatia e il consenso del Papa di turno.(Massimo Bordin, “Viene da Enrico VIII d’Inghilterra la soluzione per il debito pubblico italiano”, dal blog “Micidial” del 14 maggio 2019).Non si sono ancora sopite le polemiche per la decisione dell’elemosiniere del Papa di pagare l’elettricità di un palazzo occupato a Roma. Secondo una parte consistente dei commentatori politici, la decisione avrebbe chiari intenti polemici nei confronti dello Stato italiano ed anche di Matteo Salvini («pagherò le bollette arretrate degli inquilini e anche quelle del ministro», ha ironizzato l’elemosiniere del Pontefice). Insomma, dietro il pagamento di una bolletta, più che l’intento evangelico ci sarebbe quello politico. Papa Bergoglio sarebbe anche intenzionato non a punire, bensì a premiare il cardinale elemosiniere Krajewski conferendogli un ministero. Con la fine del potere universale della Chiesa cattolica nel medioevo, il papato ha inaugurato una nuova serie di sfide con le organizzazioni statali. La Chiesa è sopravvissuta, ma ha anche sempre sonoramente perso queste sfide, ridimensionandosi territorialmente fino a diventare lo Stato sovrano più piccolo del mondo. Tra le tante dispute, è degna di riflessione quella tra la Chiesa romana del Cinquecento e il Re d’Inghilterra, perché ripensarla oggi nei rapporti Stato italiano/Città del Vaticano potrebbe aiutare non poco a capire come “altri” risolsero il problema del debito pubblico.