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Il funerale del bar, in arancione: morte civile dell’Italia
Marisa strizza lo strofinaccio col quale laverà il pavimento per l’ultima volta. Sono le ore 19, e il bar è ancora aperto: un’ora dopo il limite stabilito, il dehors è affollato di avventori. Stanno seduti in modo ordinato, mantenendo le distanze. Sorseggiano l’ultima birra, l’ultimo Prosecco, ingollando qualche tartina. E’ una specie di cerimonia silenziosa: la solidarietà per i baristi, condannati alla chiusura imposta dalla cosiddetta zona arancione. E se passa una pattuglia, facendo notare che ai tavoli non dovrebbe più esserci nessuno? Pazienza: ci faremo verbalizzare – dicono – e spiegheremo che non riusciamo proprio a mandarla giù, questa ennesima chiusura suicida, decretata solo per via del mitico indice di contagio, in lievissima risalita in termini percentualmente infinitesimali. Mastica amaro anche Alfonso, pensionato, che fino a qualche mese fa era sostanzialmente tollerante verso le restrizioni: le comprendeva. Ora invece ha cambiato idea: non capisce perché, in zona gialla, i ristoranti aperti a pranzo debbano restare chiusi a cena. E men che meno digerisce l’idea di dover fare a meno del suo amato bar, se scatta la zona arancione.Il bar è un’isola sociale che racconta benissimo l’Italia, quella che lavora: è lo spazio-finestra dove si può parlare liberamente di tutto, con chiunque, nel breve interregno tra il lavoro e la vita familiare, tra le pareti domestiche. Lorella, studentessa, sospira: adesso basta, non se ne può più. Sono tutti d’accordo: il giovane operaio Walter, l’elettricista Beppe, l’idraulico Stefano, il taciturno Nicola che ogni mattina apre al mercato la sua bancarella di vestiario insieme alla compagna, Sonia. Il bar-tabacchi interseca la società: a pranzo la cucina serve pasti per i dipendenti della vicina zona industriale, ma verso sera si trasforma in un’oasi in cui ciascuno può dire la sua: l’insegnante e l’infermiera, il manager che si gusta un calice di Franciacorta, il meccanico dell’officina all’angolo con la sua squadra di dipendenti. La pausa-caffè, il bicchiere di rosso. Un po’ di musica, e tantissime parole: per tentare di ricordarci chi siamo e cosa è rimasto di noi, malgrado tutto, dopo un anno di insopportabili ingiunzioni, spesso assurde, frutto di decisioni affrettate e confuse, mai trasparenti, calate dall’alto. E senza alcun rispetto per gli esercenti, ancora in attesa dei mitici “ristori” che continuano a non arrivare.Un anno fa, subito dopo il lockdown primaverile, il bar esplodeva di umanità sulle barricate: da una parte i sostenitori della banda Conte, disposti a ingoiare qualunque privazione perché proveniente dai presunti avversari di Salvini, e dall’altra i seguaci dell’opposizione, furibondi per la palese cialtroneria mostrata dal governo. Il virus mordeva: era la televisione a esibire ogni sera lo spettacolo dell’orrore. Governisti e antagonisti, col passare dei mesi, s’erano scoperti d’accordo su un punto: superata la tragica sorpresa dei primi mesi, le autorità avrebbero escogitato qualcosa per risollevare tutti. E invece, niente: anziché aggiornare il protocollo di cura introducendo finalmente i farmaci giusti per le terapie precoci, a domicilio, il ministro della sanità ha perso l’estate a scrivere un libro grottesco e auto-celebrativo (che poi non ha osato distribuire) e ha speso l’autunno a gridare alla “seconda ondata”, continuando a fare quello che aveva sempre fatto, cioè nulla, se non vietare, chiudere, sprangare. Ultimissimo capolavoro, la beffa riservata alle aziende dello sci: fermate a poche ore dalla riapertura, dopo tutte le spese (e le assunzioni) effettuale in vista della ripartenza.Ora la farsa è davvero finita: il tribunale del bar ha emesso la sua sentenza. «Dobbiamo fare una rivoluzione?», si domanda Marisa, la barista, risciacquando gli ultimi bicchieri. Sono ormai passate le sette, e là fuori non s’è vista nessuna pattuglia. Gli avventori si avviano alla cassa, per saldare il conto: la mesta cerimonia della solidarietà è finita. Ricordava un funerale, per la morte civile di un paese che, sul far della sera, sembra deserto e spopolato. Il governo è cambiato, ma i risanatori virtuali non hanno ancora osato rimuovere neppure il coprifuoco. Persino il ministro-fenomeno è rimasto al suo posto, davanti alla sua patetica cartina con le Regioni colorate. Scandaloso: si chiude tutto, non appena il famigerato indice Rt accenna a risalire. Esattamente come un anno fa: senza cure domiciliari, in sicurezza, si chiude l’Italia per evitare la corsa agli ospedali, in attesa dei famosi vaccini.l timore della pressione sul pronto soccorso è fondato: l’ospedale può tornare a ingolfarsi, ma solo perché i malati – ai primi sintomi – si continua a non curarli, a casa. Così, si seguita a consegnare l’Italia alla fatalità dell’emergenza eterna, nemmeno fossimo un paese del terzo mondo. E questo, dopo un anno, è davvero inaccettabile. Emerge, in tutto il suo fulgore, la vergognosa inettitudine di un governo di straccioni: per tutto il 2020 non ha saputo limitare la strage, né soccorrere le aziende a cui ha impedito di lavorare. Ormai l’hanno capito tutti: il virus è molto contagioso ma scarsamente letale, può essere pericoloso (anche mortale) quasi solo per i soggetti più anziani e più fragili. In 12 mesi, non si è fatto nessun passo avanti: i medici hanno scoperto come affrontarlo, con farmaci efficaci e anche banalissimi come gli antinfiammatori, ma nessuno a Roma si è preoccupato di imporre alle Asl, tramite le Regioni, una procedura unica, nazionale, per agire con tempestività mediante i medici di base, spegnendo l’incendio alle prime avvisaglie.I sanitari che hanno imparato la lezione, e somministrano in via precoce i farmaci adatti, sanno che in questo modo si riduce del 70-80% il rischio di ricorrere all’ospedale. Traduzione impietosa: oggi significherebbe contare 30.000 morti anziché quasi 100.000. Se si fosse agito tempestivamente, a partire da aprile-maggio 2020, il bilancio del coronavirus non sarebbe stato peggiore, statisticamente, di quello di una brutta epidemia stagionale di influenza. E invece: le televisioni hanno solo e sempre rilanciato la paura, evitando di dare la parola ai medici che curano e guariscono. Così, il governo dei cialtroni ha potuto usare l’allarme per restare in sella, limitandosi a fare promesse a vuoto sui necessari soccorsi economici. Fatti precisi: tre decreti su quattro, di quelli solo annunciati, non sono mai stati firmati. Questa l’eredità del nuovo governo, appena entrato in funzione: nessun passo avanti sul piano sanitario, e il 70% dei “ristori” rimasti tuttora nel cassetto. Servono soluzioni immediate: vaccini e (soprattutto) cure tempestive, a casa, per chi si ammala. Si sono persi 12 mesi. Ora si chiede l’ennesimo sacrificio, in arancione: serve altro tempo, per approntare finalmente le risposte giuste, rimediando al malgoverno dei cialtroni. E così è amarissima anche l’ultima birra, servita alle ore 19, tre ore prima che scatti l’assurdità del coprifuoco (ancora più surreale nelle nuove zone arancioni, dove neppure i bar apriranno più).Marisa strizza lo strofinaccio col quale laverà il pavimento per l’ultima volta. Sono le ore 19, e il bar è ancora aperto: un’ora dopo il limite stabilito, il dehors è affollato di avventori. Stanno seduti in modo ordinato, mantenendo le distanze. Sorseggiano l’ultima birra, l’ultimo Prosecco, ingollando qualche tartina. E’ una specie di cerimonia silenziosa: la solidarietà per i baristi, condannati alla chiusura imposta dalla cosiddetta zona arancione. E se passa una pattuglia, facendo notare che ai tavoli non dovrebbe più esserci nessuno? Pazienza: ci faremo verbalizzare – dicono – e spiegheremo che non riusciamo proprio a mandarla giù, questa ennesima chiusura suicida, decretata solo per via del mitico indice di contagio, in lievissima risalita in termini percentualmente infinitesimali. Mastica amaro anche Alfonso, pensionato, che fino a qualche mese fa era sostanzialmente tollerante verso le restrizioni: le comprendeva. Ora invece ha cambiato idea: non capisce perché, in zona gialla, i ristoranti aperti a pranzo debbano restare chiusi a cena. E men che meno digerisce l’idea di dover fare a meno del suo amato bar, se scatta la zona arancione.
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Rivoluzione: guarire, da casa. Draghi punta su Remuzzi
Smontare il Covid? Possibile: basta agire per tempo, sapendo quali farmaci usare. Non c’è bisogno dell’ospedale: ci si cura a casa, con potenti dosi di antinfiammatori. In questo modo, si impedisce alla patologia di esplodere e la si “spegne” sul nascere. Lo afferma il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Milano. La notizia? Mario Draghi ha intenzione di “arruolarlo” come suo consulente speciale, facendone il Fauci italiano: uno stratega, in grado di spezzare l’incantesimo del Covid, finora rivelatosi un disastro per l’Italia (niente cure precoci, e corsa all’ospedale quando ormai è tardi, in molti casi). Il primo a rivelare il piano-Draghi è stato il “Foglio”, sottolineando la scelta di utilizzare Remuzzi. Attenzione: nei mesi scorsi, il professore (insieme a Fredy Suter, a lungo primario di malattie infettive all’ospedale di Bergamo) ha diffuso una sorta di protocollo per le cure precoci, destinato a istruire i medici di famiglia, mettendoli finalmente nelle condizioni di trasformare il Covid in un problema affrontabile da casa, in pochi giorni. Istruzioni finora mai recepite dal ministero della sanità.L’attuale protocollo-Covid è ancora «grottesco», come lo definisce il professor Pietro Luigi Garavelli, infettivologo e primario a Novara: le cure efficaci esistono (idrossiclorochina e colchicina, più eventualmente eparina), ma non sono state recepite dai gestori nazionali della sanità. «Ai pazienti alle prese coi primi sintomi si prescrive ancora l’inutile Tachipirina, lasciandoli in attesa a “friggere” nella loro febbre: in questo modo, non si fa nulla per contrastare il peggioramento, che poi gonfia i numeri dei ricoveri in emergenza», dicono i sanitari che assistono gratis i pazienti, attraverso associazioni come “Ippocrate”, che vantano il 100% di successi: tutte guarigioni ottenute senza bisogno di ospedalizzare nessuno. La terapia di Remuzzi è ancora più semplice: tanta vitamina D, e soprattutto antinfiammatori come il Nimesulide. Ma persino l’Aspirina (in dosi elevate) può bloccare l’evoluzione del Covid, scongiurando il pericolo. Sta dunque per cambiare la narrazione dell’emergenza, se Mario Draghi punta sul presidente dell’istituto Mario Negri? Sarà sfatato il tabù che ha finora impedito ai media di raccontare l’esistenza di terapie efficaci?Proprio l’adozione di un protocollo nazionale per le cure precoci domiciliari (finora clamorosamente mancato) potrebbe essere l’arma vincente per uscire dall’incubo. Certo, a pesare come un macigno sono i 12 mesi di ritardo accumulati dal governo Conte, grazie alla sciagurata gestione dell’emergenza affidata al ministro Speranza e al suo consulente Walter Ricciardi. Occorre altro tempo, per mettere a punto la contromossa definitiva? Per questo, probabilmente, lo stesso Draghi convalida la colorazione di arancione di molte Regioni, per il prossimo mese. Primo obiettivo, transitorio: limitare i contagi, trovando il modo (intanto) di arginare il problema con i vaccini, cioè reperendo milioni di dosi e reclutando personale sanitario e siti per le vaccinazioni in ogni angolo d’Italia. Insomma: fine delle storielle imbarazzanti, come le costosissime “primule” di Arcuri. La risposta vaccinale è quella che va per la maggiore, nel mondo: si spera che i “vaccini” mRna («che non sono veri vaccini, ma terapie geniche», precisa Garavelli) possano funzionare, almeno per qualche mese.Molti i dubbi, ovviamente: si teme che un innesto genetico come quello oggi in distribuzione (ancora sperimentale, e con grandi incognite sugli effetti collaterali a medio e lungo termine) possa rappersentare una soluzione solo momentaea, dovendo “inseguire” un virus Rna velocemente mutante. Strategica, invece, la risposta dei sanitari che hanno imparato a guarire i pazienti: vaccino o non vaccino, l’essenziale è sapere come fermare l’infiammazione in modo tempestivo. Se il governo Draghi adotterà questo approccio, raccomandando dai migliori medici italiani, è facile immaginare che il problema Covid sarà destinato a sparire dai titoli d’apertura dei telegiornali. L’importante è che il governo metta finalmente tutti i medici nelle condizioni di intervenire in modo risolutivo. Come? «Se abbiamo qualche sintomo che potrebbe essere riconducibile al Covid, non c’è tempo da perdere», premette “Qui Finanza”, citando un’intervista che Remuzzi ha rilasciato mesi fa a “Repubblica”. «Nessun falso allarmismo, ma soltanto buonsenso. Perché con questo virus non si scherza, e il tempo è una variante assolutamente determinante».Remuzzi e Suter hanno firmato lo scorso dicembre un documento indirizzato ai medici di famiglia: fondamentale per curarsi a casa in sicurezza «anche prima di avere la conferma, tramite tampone, che si tratti proprio di coronavirus». Il protocollo si basa sulla letteratura scientifica e sull’esperienza clinica matirata sul campo, in tutto il mondo: «Strumenti essenziali e semplici, alla portata di tutti, per spiegare come vengono curati i pazienti Covid a casa loro, minimizzando il rischio di ricovero in ospedale». La parola d’ordine è tempestività. «Prima agisci, più hai successo nell’evitare il ricovero», ha spiegato Remuzzi a “Repubblica”. «Moltissimi italiani che si curano a casa ci telefonano perché hanno problemi di assistenza, che poi li inducono a rivolgersi al pronto soccorso. Però non ci vanno subito, ma solo quando si è già instaurata una fase iper-infiammatoria, e allora magari la malattia evolve negativamente».Nei primi 2-3 giorni, quando la malattia è in fase di incubazione e si è presintomatici, inizia ad esserci una carica virale che sale, riassume “Qui Finanza”, sulla base del report di Remuzzi. Nei 4-7 giorni successivi, iniziano febbre e tosse e la carica virale diventa altissima. «Quello è il momento cruciale, ma è anche il momento in cui di solito non si fa niente, perché magari ci si limita a prendere l’antipiretico aspettando il tampone». Così, si può arrivare rapidamente al periodo di infiammazione eccessiva, quella che gli inglesi chiamano “hyper inflammation”, con sindrome respiratoria acuta: «E’ questa che mette le basi perché il virus arrivi ai polmoni, e lì si crei quella che gli immunologi chiamano “tempesta di citochine”, ovvero una reazione eccessiva del sistema immunitario che danneggia l’organismo». Un dramma che si può benissimo evitare, sostiene Remuzzi, se il medico di base sa come agire, da subito. Prevenire la fase di iper-infiammazione, dice Remuzzi, «è la cosa più importante in assoluto, per scongiurare un’evoluzione negativa della malattia».Ovviamente non si tratta di una “cura fai da te”: è una strategia da seguire a casa sotto controllo medico (a patto che il medico, appunto, sia stato finalmente ragguagliato sui farmaci da somministrare). Prima ancora, il professor Remuzzi raccomanda l’assunzione di vitamina D, a scopo preventivo: alza le difese immunitarie, e quindi riduce di molto la possibilità di inconvenienti seri. Quando invece la malattia dovesse manifestarsi, secondo Remuzzi il medico di famiglia dovrebbe visitare il paziente, a casa, almeno una prima volta, per impostare la terapia (per seguire l’evoluzione, basteranno contatti solo telefonici). Prima mossa: «Appena si avvertono i primi sintomi, occorre suggerire subito l’antinfiammatorio, mentre il paziente aspetta il tampone». Remuzzi spiega anche cosa non fare. E cioè: «Non seguire la solita trafila ma chiamare subito il medico, non prendere la Tachipirina mentre si aspetta il tampone, non aspettare altri giorni per i risultati del tampone».Quello che raccomandano Remuzzi e i suoi colleghi, aggiunge “Qui Finanza”, è di prendere vantaggio sul virus non appena si può. «Appena si avvertono i primissimi sintomi – come tosse, febbre, spossatezza, mal di testa, dolori ossei e muscolari – bisogna iniziare subito il trattamento, senza aspettare i risultati del tampone». Alle prime avvisaglie, «non bisogna assumere un antipiretico (come la Tachipirina) ma un farmaco antinfiammatorio, così da limitare la risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione virale». Quali farmaci si possono prendere a casa, dietro prescrizione medica, prima dell’esito del tampone? «Quando la febbre supera i 37,3 gradi o se ci sono mialgie, dolori articolari o altri sintomi dolorosi, si possono assumere farmaci antinfiammatori chiamati “inibitori della ciclo-ossigenasi 2” (o Cox-2 inibitori), come il Celecoxib. Il medico può prescriverne, ovviamente se per quel paziente non ci sono controindicazioni, una dose iniziale di 400 milligrammi seguita da una di 200 nel primo giorno di terapia, e poi un massimo di 400 milligrammi per giorno nei giorni successivi, se necessario».Un altro farmaco Cox-2 inibitore, utile a prevenire l’infiammazione eccessiva, è il Nimesulide, il più famoso dei quali è l’Aulin. «In questo caso la dose consigliata è di 100 milligrammi due volte al giorno, dopo i pasti, per un massimo di 12 giorni». Se invece ci sono problemi o controindicazioni per il Celecoxib e il Nimesulide, «si può anche ricorrere all’Aspirina, anch’essa in grado di inibire Cox-2». La semplice Aspirina? Sì, certo: in dosi da 500 milligrammi, due volte al giorno, dopo i pasti. Poi: «Se c’è febbre persistente, dolori muscoloscheletrici o altri segnali di infiammazione, il dottore può prescrivere anche un corticosteroide, come il Desametasone: i corticosteroidi inibiscono molti geni pro-infiammatori che producono citochine». Uno studio sul Nimesulide, pubblicato sull’”International Journal of Infective Diseases”, dimostra che riduce le componenti della famosa “tempesta di citochine”.Un altro studio, pubblicato su “Anesthesia and Analgesia” rivela che «l’uso dell’Aspirina si associa a minor bisogno di ventilazione meccanica, minore necessità di essere ammessi in terapia intensiva e minore mortalità del paziente». Attenti, soprattutto, a non usare la Tachipirina: «La Società di Farmacologia francese ha trovato che l’utilizzo di paracetamolo, in persone che hanno forme avanzate della malattia, potrebbe persino nuocere, perché sottrae glutatione, antiossidante naturale prodotto dal fegato, sostanza importante per la capacità di difenderci dalle infezioni virali». Tutte notizie “lunari”, per il pubblico italiano, a cui giornali e televisioni – per un anno – hanno raccontato che dal Covid ci si “salva” solo all’ospedale, o ricorrendo al vaccino. Introdurre finalmente terapie precoci, gestibili da casa, significa compiere una sorta di “rivoluzione copernicana”, trasformando il Sars-Cov-2 (incluse le sue ovvie e continue “varianti”, essendo un virus Rna) in una patologia normalmente affrontabile, come tantissime altre. Il che permetterebbe di uscire davvero dall’incubo, mettendo fine all’allucinazione collettiva del panico e del distanziamento: se la malattia diventa curabile (e lo è già, come confermano Remuzzi e colleghi) l’emergenza non ha più ragione di esistere.https://quifinanza.it/info-utili/video/covid-antinfiammatori-ricovero-remuzzi/444694/Smontare il Covid? Possibile: basta agire per tempo, sapendo quali farmaci usare. Non c’è bisogno dell’ospedale: ci si cura a casa, con potenti dosi di antinfiammatori. In questo modo, si impedisce alla patologia di esplodere e la si “spegne” sul nascere. Lo afferma il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Milano. La notizia? Mario Draghi ha intenzione di “arruolarlo” come suo consulente speciale, facendone il Fauci italiano: uno stratega, in grado di spezzare l’incantesimo del Covid, finora rivelatosi un disastro per l’Italia (niente cure precoci, e corsa all’ospedale quando ormai è tardi, in molti casi). Il primo a rivelare il piano-Draghi è stato il “Foglio”, sottolineando la scelta di utilizzare Remuzzi. Attenzione: nei mesi scorsi, il professore (insieme a Fredy Suter, a lungo primario di malattie infettive all’ospedale di Bergamo) ha diffuso una sorta di protocollo per le cure precoci, destinato a istruire i medici di famiglia, mettendoli finalmente nelle condizioni di trasformare il Covid in un problema affrontabile da casa, in pochi giorni. Istruzioni finora mai recepite dal ministero della sanità.
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Covid, cure negate. Medici: rimediate, o vi denunciamo
O ci ascoltate, o stavolta ci rivolgiamo al giudice: serve un protocollo per garantire cure efficaci, a casa, per i malati di Covid. Con i farmaci adeguati – che esistono – è possibile intervenire con successo, se si agisce nelle fasi iniziali. Lo affermano i medici presenti nel “Comitato per il diritto alla cura tempestiva domiciliare nell’epidemia di Covid-19”, presieduto dall’avvocato Erich Grimaldi. L’invito, riporta un periodico altoatesino, è a condividere lo schema terapeutico (redatto da oltre 200 specialisti italiani), per il trattamento del Covid in fase precoce. Si chiede anche di sperimentare con urgenza due sostanze, l’ivermectina e la colchicina, rivelatesi molto promettenti per sconfiggere il virus. L’appello del Comitato è stato recapitato all’Aifa, alla presidenza del Consiglio dei ministri e, naturalmente, al ministero della salute. Devastante la denuncia di sanitari come quelli dell’associazione “Ippocrate”, che curano gratis i malati a casa, guarendoli: «All’ospedale arrivano solo i casi già gravi: pazienti lasciati soli per giorni, senza cure domiciliari, dando tempo al Covid di fare danni anche molto seri e, a quel punto, spesso irreparabili».I medici di “Ippocrate” considerano scandaloso che le indicazioni attuali – dopo un anno di crisi pandemica – si limitino alla semplice somministrazione di Tachipirina, farmaco ritenuto assolutamente inutile. «E’ inaudito che, mentre si parla solo di vaccini, ancora non esista un elementare protocollo nazionale per la cura tempestiva, domiciliare, cioè quando è decisivo “spegnere” il problema sul nascere». Se si fosse agito in questo modo, sostengono i sanitari, «avremmo evitato la strage» e non ci sarebbe stata nessuna “seconda ondata”, negli ospedali, nell’autunno 2020. Un’accusa pesantissima, quella formulata nei confronti del governo Conte e del ministro Speranza. A rilanciarla è ora il “Comitato per il diritto alla cura tempestiva domiciliare”: dopo le prime richieste presentate già il 30 aprile 2020, e poi rinnovate il 13 gennaio scorso, i medici non demordono. Insistono sulla necessità di curare il Covid ai primi sintomi e a livello domiciliare. E ripetono: è inaccettabile che queste richieste siano rimaste prive di riscontro.«Il nostro paese, come ben noto, non dispone di un adeguato protocollo, condiviso con i medici che hanno curato il Covid a domicilio e in fase precoce, sia nella prima, sia nella seconda ondata», scrivono i sanitari, nel comunicato ora trasmesso alle autorità di governo. Sanno di cosa parlano: a gennaio avevano inutilmente invitato il ministero a «considerare uno schema terapeutico di cura domiciliare precoce, realizzato da oltre duecento medici, secondo le evidenze e le esperienze dei territori, condiviso anche negli Stati Uniti dai dottori Harvey Risch e Peter Andrew McCullough», due luminari di fama mondiale. Il primo è professore di epidemiologia alla Yale University; il secondo, cardiologo, è docente e aiuto primario di medicina interna al Medical Center della Baylor University. Nelle ultime settimane, lo schema terapeutico del Comitato è stato sottoposto alla commissione sanità della Regione Lombardia, e richiesto da numerosi medici.Inoltre, l’avvocato Erich Grimaldi invita le autorità sanitarie, in particolare Aifa e ministero della salute, a valutare con urgenza la sperimentazione di nuovi farmaci: «Alcuni studi randomizzati impongono al nostro paese, in assenza di valide alternative terapeutiche in fase precoce, di valutare con urgenza anche la sperimentazione di ivermectina e colchicina». Somministrata a pazienti non ospedalizzati, la colchicina «ha ridotto i ricoveri del 25%, il ricorso alla ventilazione meccanica del 50% e il tasso di mortalità del 44%». Un test importante, effettuato su ben 4.000 pazienti. «All’inizio della sperimentazione, svolta tra Canada, Stati Uniti, Brasile, Spagna e Sudafrica, i pazienti non erano ospedalizzati ma presentavano almeno un fattore di rischio per complicanze di Covid-19». La colchicina, peraltro, «è un farmaco usato da decenni per il trattamento di infiammazioni provocate dall’accumulo di acido urico (gotta), ma anche in cardiologia, per curare pericarditi e prevenirne le recidive».Si tratta, dunque, di una sostanza ben conosciuta: può essere utilizzata in sicurezza dal medico, con costi contenuti. Inieme all’ivermectina, quindi, dunque, potrebbe rappresentare un’arma in più contro il Covid-19, in fase precoce domiciliare. «Motivo per cui è opportuno (come chiarito anche dal Consiglio di Stato, nella recente ordinanza dell’11 dicembre 2020, con riferimento all’idrossiclorochina), sino alla pubblicazione di studi randomizzati, che possano dichiararne l’inefficacia, sperimentarne l’uso off-label in condizioni di sicurezza ed appropriatezza». A sostegno di quanto dichiarato, si cita la documentazione scientifica comprovante l’efficacia dell’ivermectina della colchicina. Il Comitato è determinato a non cedere: qualora rimanesse inascoltato pure quest’ultimo appello, «depositerà esposto presso la competente Procura della Repubblica, al fine di poter accertare le responsabilità penali di tutte le parti coinvolte, per le reiterate omissioni, circa gli inviti e le istanze più volte rivolte, a tutela dei cittadini italiani».O ci ascoltate, o stavolta ci rivolgiamo al giudice: serve un protocollo per garantire cure efficaci, a casa, per i malati di Covid. Con i farmaci adeguati – che esistono – è possibile intervenire con successo, se si agisce nelle fasi iniziali. Lo affermano i medici presenti nel “Comitato per il diritto alla cura tempestiva domiciliare nell’epidemia di Covid-19”, presieduto dall’avvocato Erich Grimaldi. L’invito, riporta un periodico altoatesino, è a condividere lo schema terapeutico (redatto da oltre 200 specialisti italiani), per il trattamento del Covid in fase precoce. Si chiede anche di sperimentare con urgenza due sostanze, l’ivermectina e la colchicina, rivelatesi molto promettenti per sconfiggere il virus. L’appello del Comitato è stato recapitato all’Aifa, alla presidenza del Consiglio dei ministri e, naturalmente, al ministero della salute. Devastante la denuncia di sanitari come quelli dell’associazione “Ippocrate”, che curano gratis i malati a casa, guarendoli: «All’ospedale arrivano solo i casi già gravi: pazienti lasciati soli per giorni, senza cure domiciliari, dando tempo al Covid di fare danni anche molto seri e, a quel punto, spesso irreparabili».
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Magaldi: con Draghi, l’Italia cambia la storia europea
«L’Italia, l’Europa e persino il mondo attendono parole nuove: chi saprà interpretarle senza deludere sarà protagonista nella storia, a partire da questo momento». Una frase che sembra scolpita, quella che Gioele Magaldi utilizza per chiarire, in modo inequivocabile, il senso autenticamente post-keynesiano della rivoluzionaria missione di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Lui, l’ex principe del massimo rigore (Grecia docet) ora si appresta a capovolgere tutto: non solo il disastro nazionale firmato Conte-Casalino, con la collaborazione dei vari Arcuri, Ricciardi, Speranza e virologi televisivi di complemento. Non si tratta esclusivamente di sventare il collasso del sistema-paese e fare uscire l’Italia dall’incubo-Covid alla velocità della luce, archiviando la psicosi da coprifuoco. La partita è epocale: in gioco è la sopravvivenza degli italiani, con la loro libertà e la loro dignità. Una questione che coinvolge l’intero Occidente, finito sul precipizio dei lockdown forsennati. Se ne esce in un solo modo: trovando il coraggio di azzerare il debito, cioè lo strapotere abusivo e i diktat dell’élite che ha usato ogni mezzo, dalla finanza privatizzatrice alla crisi pandemica, per svuotare la democrazia.
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Toto: di lockdown si muore, dobbiamo tornare a vivere
Da circa un anno subiamo restrizioni della libertà attraverso lockdown, coprifuoco, distanziamento sociale ed obbligo di indossare mascherine in nome della tutela della salute. Ma che cos’è la salute? Come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Oms: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità». Dunque la tutela della salute deve necessariamente tenere in considerazione gli aspetti mentali e sociali, quindi le relazioni tra gli esseri umani, la possibilità di accesso al mondo del lavoro, la salvaguardia dell’economia e tutte le dimensioni che incidono sul benessere della persona sul piano fisico e mentale. Al fine di rafforzare questo concetto l’Oms ha pubblicato nel 2013 il “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 dove a pagina 7 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità.Interessante notare che tale definizione fu coniata nel 1948. Questa data è molto significativa, infatti, il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. In riferimento alla pandemia, il 27 Aprile 2020 l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ammonì i paesi a rispettare lo stato di diritto, durante la pandemia da coronavirus, limitando nel tempo le misure eccezionali, al fine di evitare una “catastrofe” per i diritti umani. Sulla base di queste considerazioni, possiamo certamente intuire che esiste una netta differenza tra “salute” e mera “sopravvivenza”. Inoltre, non possiamo ignorare le rivolte e le proteste che in varie parti del mondo queste misure restrittive hanno generato. Le restrizioni, infatti, hanno un impatto devastante sull’economia e la libertà individuale.Tra l’altro l’Italia dovrà confrontarsi con una possibile crisi economica senza precedenti proprio per il fatto di aver bloccato le attività lavorative e non dimentichiamoci che il primo articolo della Costituzione sancisce che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Comunque, il 31 marzo 2021 scadrà il blocco dei licenziamenti imposto dal governo a partire dal primo lockdown, e più volte prorogato con la prosecuzione della pandemia. Cosa accadrà ai lavoratori? Le proiezioni dell’Istat per il 2020 danno una contrattura del Pil pari a -14,3% secondo quanto riportato su open.online il 31 luglio 2020. Questi dati evidenziano i danni procurati dal lockdown sul piano economico. Di certo un incremento significativo della povertà indurrà danni alla salute a causa dallo stress psicologico, dell’incapacità di acquistare cibi di alta qualità e l’impossibilità di accesso a cure nel settore privato della sanità.Altra questione fondamentale riguarda la scuola. La qualità della formazione è nettamente in calo ed il rapporto docente/studente risulta estremamente danneggiato e ridotto ad un contatto virtuale. A titolo di cronaca mi sento in dovere di riportare che alcuni siti Internet sostengono che la definizione di salute Oms nel completo silenzio mediatico sia cambiata nel 2011 nella seguente: “capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Questa definizione si presenta come sostegno filosofico ad una società che si confronta con l’aumento della durata della vita e di conseguenza l’inevitabile insorgere di malattie spesso invalidanti sul piano fisico e psicologico. Ma in ogni caso, anche in questa definizione troviamo la parola autogestione, che in ambito medico e sanitario, rappresenta l’insieme delle tecniche di cura di pazienti con malattie o disabilità croniche, attraverso le quali possano guarire e curarsi da sé.Dunque una definizione che pone nuovamente l’enfasi sull’individuo. Resta di fatto che nel “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità. In conclusione, al di là delle definizioni, delle competenze, dei tecnicismi e proposte di soluzioni a problemi complessi, esiste il “senso della vita” che rappresenta il punto fondamentale della nostra esistenza umana. Tutto quello che rende la nostra vita unica e speciale, la libertà, il rapporto con gli altri, la libertà di culto, il lavoro, gli affetti, la possibilità di corteggiarsi, di viaggiare e di godere di ogni bene e servizio a nostra disposizione è stato totalmente annullato in nome della tutela della salute. Ma questa è salute? O meglio, questa è vita?(Carlo Toto, “Lockdown? Meglio assumersi una dose di rischio”, dal blog di Nicola Porro del 30 gennaio 2021).Da circa un anno subiamo restrizioni della libertà attraverso lockdown, coprifuoco, distanziamento sociale ed obbligo di indossare mascherine in nome della tutela della salute. Ma che cos’è la salute? Come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Oms: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità». Dunque la tutela della salute deve necessariamente tenere in considerazione gli aspetti mentali e sociali, quindi le relazioni tra gli esseri umani, la possibilità di accesso al mondo del lavoro, la salvaguardia dell’economia e tutte le dimensioni che incidono sul benessere della persona sul piano fisico e mentale. Al fine di rafforzare questo concetto l’Oms ha pubblicato nel 2013 il “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 dove a pagina 7 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità.
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Lockdown inutili e disastrosi, referendum in Svizzera
Approfittando di una disposizione unica nella loro Costituzione, gli attivisti svizzeri hanno raccolto firme sufficienti per indire un referendum nazionale volto a togliere al governo i poteri di imporre misure di blocco conseguenti a una pandemia. Il gruppo Amici della Costituzione ha raccolto 86.000 firme per richiedere una votazione a livello nazionale per decidere se abrogare la legge Covid-19 del 2020 del governo approvata a settembre, scrive “Business Insider”. La Costituzione svizzera prevede il ricorso alla democrazia diretta, in base alla quale i cittadini possono indire un referendum per annullare leggi introdotte dal Parlamento se sono in grado di raccogliere 50.000 firme in 100 giorni. Avendo superato ampiamente tale requisito, il voto è previsto per giugno. La settimana scorsa il governo svizzero ha annunciato restrizioni più severe con lo scopo dichiarato di limitare la diffusione di nuove varianti del Covid-19 che si dice siano state scoperte per la prima volta in Gran Bretagna.Hanno imposto la chiusura di negozi che vendono prodotti “non essenziali”, limitato gli incontri privati a cinque persone e ordinato alle aziende di chiedere ai dipendenti di lavorare da casa, ove possibile, o di far indossare mascherine al personale. Hanno anche prolungato la chiusura dei ristoranti, oltre che dei siti culturali e sportivi, fino alla fine di febbraio, riferisce la “Reuters”. Christoph Pfluger, membro del consiglio di amministrazione di Amici della Costituzione, ha dichiarato che il gruppo ritiene che il governo stia «approfittando della pandemia per aumentare il controllo e ridurre la democrazia». Il gruppo ha anche affermato che la legge Civid-19 è «sproporzionata» e «manifestamente inefficace», mentre altri hanno sostenuto che dà al governo troppo potere per imporre un «sistema obbligatorio di vaccini insufficientemente testati». Secondo quanto riporta “The Local”, Pfluger ha detto: «Il successo del referendum costituirebbe un invito alle autorità ad esercitare la massima cautela nella campagna di vaccinazione e anche a imporre una moratoria».Questo dibattito in Svizzera si inserisce nel quadro di diversi studi che confermano il danno sproporzionato arrecato agli individui e alla società nel suo complesso dall’attuazione delle misure di blocco. La rivista “Newsweek” ha recentemente pubblicato uno studio dell’Università di Stanford (ITALIANO) che ha concluso di non poter «trovare un chiaro e significativo effetto benefico» delle misure di blocco «sulla diffusione dei casi in qualsiasi paese». In effetti, lo studio ha affermato che i lockdown draconiani possono di fatto aumentare i tassi di infezione. Tre professori sono giunti a questa stessa conclusione lo scorso autunno quando hanno scritto: «Se l’isolamento ha davvero modificato il corso di questa pandemia, allora il conteggio dei casi di coronavirus avrebbe dovuto chiaramente diminuire quando e dove l’isolamento ha avuto luogo. L’effetto avrebbe dovuto essere ovvio. A giudicare dalle prove, la risposta è chiara: l’isolamento obbligatorio ha avuto poco effetto sulla diffusione del coronavirus».Un altro rapporto pubblicato a novembre sottolinea l’incommensurabile danno inflitto dalle misure di lockdown nei settori della salute mentale, dell’economia, della disoccupazione, della criminalità e dell’istruzione. Questi includono un raddoppio delle tendenze suicide nel complesso, con un enorme numero di giovani adulti di età compresa tra i 18 e i 24 anni che a fine giugno hanno riferito di aver avuto idee suicide. A quel tempo, il 40% degli adulti americani aveva dichiarato di avere problemi di salute mentale. I sintomi dell’ansia erano triplicati e quelli della depressione erano quadruplicati rispetto ai dati del 2019. Le visite al pronto soccorso legate a problemi di salute mentale sono aumentate del 24% per i bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni e del 31% per quelli tra i 12 e i 17 anni, rispetto al 2019. Il 39% di quelli nella fascia di reddito basso, che vivono con un reddito familiare di 40.000 dollari o meno, ha dichiarato di aver perso il lavoro. C’è stato un aumento del 53% cento degli omicidi da giugno ad agosto, con picchi relativi ad abusi domestici, tra cui, ad esempio, un aumento del 25% delle chiamate a un ente di beneficenza del Regno Unito per gli abusi in famiglia.Uno studio pubblicato a luglio dalla Heritage Foundation ha rilevato che i lockdown draconiani del tipo adottato in molti Stati americani sono meno efficaci nel combattere il Covid-19 rispetto alle strategie più strettamente dirette a coloro che sono maggiormente a rischio. Con la consapevolezza che «la possibilità di morte dovuta al Covid-19 è più di mille volte superiore nei vecchi e nei malati rispetto ai giovani», e che «man mano che aumenta l’immunità nella popolazione, il rischio di infezione per tutti – compresi i più vulnerabili – diminuisce» dato che la popolazione si sposta verso «l’immunità di gregge», decine di migliaia di medici e scienziati della sanità pubblica e sostengono invece questo approccio più strettamente mirato che chiamano “Focused Protection” (protezione mirata). Questa valutazione, presentata nella Dichiarazione di Great Barrington, adotta come obiettivo centrale la protezione dei soggetti vulnerabili, mentre coloro che non rientrano in questa categoria dovrebbero «essere immediatamente autorizzati a riprendere la vita normale».Secondo il loro giudizio professionale, questo è «l’approccio migliore che bilancia rischi e benefici del raggiungimento dell’immunità di gregge», e quindi la protezione dell’intera popolazione dagli effetti nefasti del virus e delle draconiane misure di lockdown. Mentre la Svizzera procede sulla via del referendum, lo fa come una delle più antiche democrazie del mondo, con una Costituzione che enfatizza la libertà individuale, poiché si impegna a «proteggere la libertà e i diritti del popolo». Con la sua disposizione sulla democrazia diretta, la Svizzera indice ogni anno molteplici referendum su ogni tipo di argomento. Lo scorso marzo, però, mentre si avvicinavano al loro “momento Brexit” con un voto nazionale volto a ridurre i rapporti della nazione con l’Unione Europea, il governo ha annullato il voto e sospeso le campagne per altri referendum a causa delle misure di limitazione della pandemia. Come concluse allora la “Reuters”, «la tradizione di democrazia diretta del paese è stata vittima dell’epidemia».(Patrick Delaney, “Svizzera: referendum contro i lockdown”, da “LifeSiteNews” del 19 gennaio 2021, tradotto da Cinthia Nardelli per ComeDonChisciotte).Approfittando di una disposizione unica nella loro Costituzione, gli attivisti svizzeri hanno raccolto firme sufficienti per indire un referendum nazionale volto a togliere al governo i poteri di imporre misure di blocco conseguenti a una pandemia. Il gruppo Amici della Costituzione ha raccolto 86.000 firme per richiedere una votazione a livello nazionale per decidere se abrogare la legge Covid-19 del 2020 del governo approvata a settembre, scrive “Business Insider”. La Costituzione svizzera prevede il ricorso alla democrazia diretta, in base alla quale i cittadini possono indire un referendum per annullare leggi introdotte dal Parlamento se sono in grado di raccogliere 50.000 firme in 100 giorni. Avendo superato ampiamente tale requisito, il voto è previsto per giugno. La settimana scorsa il governo svizzero ha annunciato restrizioni più severe con lo scopo dichiarato di limitare la diffusione di nuove varianti del Covid-19 che si dice siano state scoperte per la prima volta in Gran Bretagna.
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Censura universale: così cancellano la nostra libertà
Smettiamola pure di preoccuparci di un futuro senza più libertà. Quel futuro è presente, e non come realtà distopica alla George Orwell ma come grossolana quotidianità drammaticamente abituata senza battere ciglio a cedere porzioni di privacy e di indipendenza. Ce le stanno portando via, senza neanche troppi sforzi, concedendoci servizi gratuiti o garantendoci sempre più comodità. Così, appena abbiamo iniziato a chiederci qual è il prezzo di questo nuovo mondo iperconnesso, ecco che ci siamo accorti che forse è già troppo tardi per fare qualcosa. Ci aspettavamo un incubo dai contorni avveniristici come in “Blade Runner” o “Matrix”. Invece è qualcosa di più simile a un episodio di “Black Mirror”. E così un giorno ci siamo svegliati e ci siamo resi conto che è già tutto segnato. Troppo tardi per tornare indietro. Nessuna pillola blu per risvegliarsi dall’incubo, nessuna pillola rossa per sganciarci dalle catene. La realtà è molto più banale. È tale e quale a quella di cinquant’anni fa (niente macchine che volano, per intenderci), ma con una grande differenza: un mondo etereo, Internet, che conta molto pù di quello tangibile. Ed è lì dentro che ci stiamo affossando. Per colpa nostra. Perché il mezzo non è mai il male, dipende tutto dall’uso che se ne fa.Tanto per intenderci: se prendiamo una scopa, è più importante la chioma o il bastone? Alla maggior parte delle persone verrebbe probabilmente da rispondere la prima perché anche senza manico si riesce a pulire ugualmente. A fatica, ma si riesce. Scopare, invece, solo con il manico è impossibile. Ma David Foster Wallace butta la palla oltre e in “La scopa del sistema” (Einaudi) fa notare che dipende tutto dall’uso che se ne vuole fare: «Se la scopa ci serve per spaccare una finestra, allora la parte fondamentale è chiaramente il manico». Internet permette a tutti di essere connessi. Accorcia le distanze. Un bene, no? I social servono proprio a questo. Ma attenzione: cosa succede se regaliamo le nostre vite (i desideri, i gusti, i segreti, i sentimenti, le fotografie, la localizzazione nel mondo) a società private il cui unico scopo è generare profitti? Cosa succede se i servizi che ci offrono sono gratuiti e quindi devono trovare un altro modo per arricchirsi? Mark Zuckerberg e compagnia bella, per quanto ci tengano talvolta a passare per filantropi, non sono certo enti caritatevoli. Ma soprattutto non sono neutrali.Negli ultimi giorni abbiamo assistito, in un pericoloso silenzio anestetizzato, alla cacciata di Donald Trump da Facebook, Twitter e Instagram. Era nell’aria da mesi. Probabilmente in molti lo agognavano dal giorno in cui il tycoon ha iniziato a marciare verso la Casa Bianca. Zuckerberg ha colto l’occasione dopo gli scontri dello scorso 6 gennaio (l’assalto a Capitol Hill tra pagliacci vestiti da sciamani, assurde teorie cospirazioniste e morti vere) per spianare gli account dell’ormai prossimo ex presidente degli Stati Uniti. Il giro di vite non si è fermato lì. Molti sostenitori dell’alt right hanno fatto la stessa fine. “Hate speech”, l’accusa. Incitamento all’odio e alla violenza. Ma non solo: in 70mila sono saltati perché paladini della teoria cospirazionista Qanon. E, quando questi “profughi” sono sbarcati su Parler, Google e Apple hanno estromesso l’app dai propri negozi digitali mentre Amazon l’ha cacciata dai propri server rendendo in questo modo la piattaforma, che si stava imponendo come il Twitter di estrema destra, irraggiungibile.Nelle ultime ore le purghe dei big della Silicon Valley si sono abbattute anche su Ron Paul, figura di riferimento del movimento libertario statunitense che nell’ultimo mese aveva già ricevuto uno “strike” da YouTube per aver video pubblicato un comizio di Trump. Dovrebbe essere chiaro a tutti il fatto che il problema sia molto più imponente di quello che potrebbe anche non apparire in primissima battuta. Chi si trincera dietro al fatto che le big tech sono aziende private, e che quindi possono fare quello che vogliono, rischia di prendere una grandissima cantonata. Anche colossi come Facebook o Twitter sono, infatti, chiamati a rispettare i principi costituzionali. E la libertà di espressione è un diritto costituzionale da difendere sempre e comunque. Per questo nelle ultime ore sta facendo rumore anche la temporanea limitazione dell’account di “Libero” su Twitter. Al di là di chi è coinvolto nella stretta, il giro di vite dovrebbe spingere tutti a un’attenta riflessione.«La possibilità di interferire nella libertà di espressione – ha dichiarato Angela Merkel – è data solo nei limiti stabiliti dalle leggi e non può venire dalla decisione autonoma di un’impresa privata». Che cosa significa togliere il diritto di parola? Quali sono i rischi e le conseguenze di questa limitazione? Le big tech si limiterà all’oscuramento dei profili o troveranno il modo di stringere ulteriormente i cordoni? Da sempre, per esempio, i motori di ricerca hanno il potere di “premiare” o nascondere una notizia. Quali sono i principi che sottendono l’algoritmo che regola cosa possiamo leggere e cosa no? E ancora: chi controlla i censori delle nostre libertà? Quest’ultimo punto non è certo meno importante degli altri. Dobbiamo tenere presente, infatti, che mentre questi colossi decidono cosa farci leggere o comprare, mentre plasmano i nostri gusti, mentre indirizzano le nostre scelte, ingrassano anche grazie ai dati che noi stessi diamo loro.Se da una parte ci mostrano quello che vogliamo vedere (azzeccando sempre quello che ci piace), dall’altra compiono un “soft power” che con il passare del tempo permette loro di intervenire attivamente sui nostri interessi pilotando in questo modo le nostre scelte e, quindi, i nostri acquisti. È soprattutto dalla predizione dei nostri comportamenti futuri che traggono il loro vero potere. Il punto è che siamo noi stessi a permetterglielo. Lo facciamo non appena mettiamo piede in un social network e continuiamo a farlo ogni volta che flagghiamo una casella in più nelle sfilza di criteri che regolano l’utilizzo dei dati personali. Spuntiamo la casella “accetto” senza farci troppi problemi (e probabilmente senza nemmeno leggere quello che ci viene proposto) e gli consegniamo la nostra anima. Lo faremo anche con WhatsApp (anche questa di proprietà dell’onnipresente Zuckerberg) quando nei prossimi giorni ci chiederà di vidimare l’ultimo aggioramento dei diritti sulla privacy.D’altra parte è già così con tutti i social network che, oltre a immagazzinare miliardi di fotografie e video, stipano nei loro server un’infinità di terabyte di chat private. I big data sono la materia prima su cui si fonda quel “nuovo ordine economico” che, come spiega Shoshana Zuboff in “Il capitalismo della sorveglianza” (Luiss Edizioni), concentra «ricchezza, sapere e potere» in pochissime società. «Alcuni di questi dati – scrive la docente di Harvard – vengono usati per migliorare prodotti o servizi, ma il resto diviene un surplus comportamentale privato, sottoposto a un processo di lavorazione avanzato noto come ‘intelligenza artificiale’ per essere trasformato in prodotti predittivi in grado di vaticinare cosa faremo immediatamente tra poco e tra molto tempo». Da sempre la tecnica punta a dominare la persona per concentrare nelle mani di pochi quante più ricchezze. Mai come oggi, però, c’è in gioco la nostra libertà. Non tanto quella che ci permettere di fare quello che vogliamo o di andare dove vogliamo. Quanto quella che ci permette di pensare e pertanto di agire come vogliamo. Per questo la cacciata di Trump dai social network ha in qualche modo a che fare anche con la nostra libertà.(Andrea Indini, “Ci tolgono la libertà”, dal “Giornale” del 12 gennaio 2021).Smettiamola pure di preoccuparci di un futuro senza più libertà. Quel futuro è presente, e non come realtà distopica alla George Orwell ma come grossolana quotidianità drammaticamente abituata senza battere ciglio a cedere porzioni di privacy e di indipendenza. Ce le stanno portando via, senza neanche troppi sforzi, concedendoci servizi gratuiti o garantendoci sempre più comodità. Così, appena abbiamo iniziato a chiederci qual è il prezzo di questo nuovo mondo iperconnesso, ecco che ci siamo accorti che forse è già troppo tardi per fare qualcosa. Ci aspettavamo un incubo dai contorni avveniristici come in “Blade Runner” o “Matrix”. Invece è qualcosa di più simile a un episodio di “Black Mirror”. E così un giorno ci siamo svegliati e ci siamo resi conto che è già tutto segnato. Troppo tardi per tornare indietro. Nessuna pillola blu per risvegliarsi dall’incubo, nessuna pillola rossa per sganciarci dalle catene. La realtà è molto più banale. È tale e quale a quella di cinquant’anni fa (niente macchine che volano, per intenderci), ma con una grande differenza: un mondo etereo, Internet, che conta molto pù di quello tangibile. Ed è lì dentro che ci stiamo affossando. Per colpa nostra. Perché il mezzo non è mai il male, dipende tutto dall’uso che se ne fa.
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Vaccinatevi, negazionisti: la scomunica del Papa “cinese”
Un grande influencer, all’occorrenza anche pontefice: dopo il via libera all’immigrazione illimitata dall’Africa e alle teorie di Greta Thunberg sulle cause del surriscaldamento terrestre, Jorge Mario Bergoglio si allinea fortemente al pensiero unico del mainstream anche sui vaccini e su Donald Trump. In uno speciale del Tg5 condotto da Fabio Marchese Ragona, redattore del “Giornale”, Bergoglio condanna l’assalto dei manifestanti a Capitol Hill (senza accennare alle motivazioni che lo hanno determinato) e criminalizza in modo esplicito i cittadini italiani che volessero sottrarsi al vaccino anti-Covid. Non stupisce più di tanto, l’atteggiamento di Papa Francesco: nella primavera 2020 aveva approvato il massimo rigore del severissimo e disastroso lockdown imposto da Conte, ignorando persino le proteste di alcuni coraggiosi sacerdoti per la chiusura delle chiese e la proibizione di celebrare le funzioni religiose. Bargoglio è arrivato a “silenziare” anche il Natale, rinunciando senza battere ciglio alla tradizionale messa di mezzanotte, in ossequio al coprifuoco. E ora attacca chi manifesta dubbi sui vaccini Rna approntati in pochi mesi, senza la consueta sperimentazione: chi si sottrae al vaccino, in pratica, sarebbe un cittadino socialmente irresponsabile. Addirittura un «negazionista».«C’è un negazionismo suicida – ha infatti dichiarato il pontefice sudamericano al telegiornale di Mediaset – che non saprei spiegare: il vaccino si deve prendere». E ancora: «Io credo che eticamente tutti debbano prendere il vaccino: è un’opzione etica, perché tu ti giochi la salute, la vita, ma ti giochi anche la vita di altri». Messaggi impliciti: il Covid è un grandissimo pericolo, estremamente letale (il che è falso) e il vaccino è l’unico rimedio: un farmaco che per giunta è assolutamente sicuro, per chi lo assume. Soprattutto, Bergoglio presenta come verità assoluta la sua tesi più insidiosa: i free-vax – sintetizza il “Giornale” – comprometterebbero anche la salute degli altri, oltre che la loro. E’ la posizione, ideologica, dei propagandisti di Big Pharma: chi è vaccinato dovrebbe temere i non-vaccinati. Come se il vaccino (che si dà per scontato che sia sicuro, senza rischi per chi lo riceve) non fosse affatto efficace: se un soggetto fosse vaccinato, infatti, che motivo avrebbe di avere timore di contrarre il virus?Eppure, è il refrain della nuova pedagogia “zootecnica” imposta dal sistema-Covid: quello che ha esasperato i toni dell’emergenza “pandemica” per poi arrivare esattamente a questo, cioè all’imposizione di vaccini estremamente controversi, temuti da molti degli stessi medici. Non solo: con anche il placet del Papa, il vaccino viene presentato come unico rimedio possibile, ignorando completamente le valide terapie del frattempo messe a punto. Bergoglio, aggiunge il “Giornale”, ha anche ripercorso la storia delle vaccinazioni, aderendo alla tesi (non sottoscritta dall’intera comunità scientifica) secondo cui l’introduzione del vaccino avrebbe storicamente comportato il declino di alcune gravissime malattie, come la poliomelite. Non solo: il Papa ha citato anche il morbillo tra le patologie pericolose, sottoscrivendo quindi le pressioni di Big Pharma che hanno recentemente introdotto l’obbligo dello stesso vaccino contro quella che resta una comune malattia infantile, normalmente contratta (senza conseguenze) durante l’infanzia.Sottinteso: per il pontefice, il “terrorismo sanitario” scatenato con il Covid, che ha sospeso libertà e diritti, è sacrosanto. Giusta, quindi, la decisione di instaurare la “dittatura sanitaria”, gonfiando i numeri dell’emergenza e ostacolando l’adozione di normali, efficaci terapie. L’unico orizzonte resta quello previsto fin dall’inizio: il vaccino. E chi si mostra refrattario è addirittura “negazionista”: sconcerta, qui, il fatto che il Papa cattolico accetti di utilizzare in modo tanto inopportuno un termine (negazionismo) con il quale, storicamente, si indica chi osa ridimensionare, o persino negare, la tragedia della Shoah. Esplicita, da parte di Bergoglio, l’adozione della neolingua orwelliana imposta dal pensiero unico e dal nuovo regime, non più democratico, che esercita il suo potere a vocazione totalitaria proprio utilizzando la paura del Covid. L’orizzonte è quello illuminato da Bill Gates e dagli altri “padroni dell’universo”, che profetizzano una riformulazione dell’umanità (e della socialità) a misura di pandemia: distanziamento eterno, smart working, pass vaccinale e controllo “cinese” sulla vita delle persone.Lo scorso dicembre, Bergoglio aveva stipulato in Vaticano un’alleanza con il Council for Inclusive Capitalism, organismo promosso da Lynn Forester de Rothschild, grande amica di Hillary Clinton. Due mesi prima era stato Mike Pompeo, segretario di Stato di Donald Trump, ad attaccare frontalmente Bergoglio per la decisione, senza precedenti, di concedere al governo di Pechino il potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina. Un patto che, secondo Pompeo, mina «l’autorità morale della Chiesa», compromessa con la dittatura che opprime i cinesi e ora ricatta il mondo, con l’esplosione dell’epidemia di Wuhan. Puntuale la vendetta di Bergoglio, dopo la caduta di Trump in seguito alle gravissime irregolarità che hanno segnato le presidenziali 2020, alterate da estesi brogli: fingendo di ignorare completamente le ragioni dell’esasperazione dei manifestanti pro-Trump, che il 6 gennaio hanno contestato la certificaziobe della vittoria di Biden arrivando a invadere in modo sconcertante il Parlamento, Bergoglio dichiara il suo stupore per un fatto tanto grave, per «un popolo così disciplinato nella democrazia», denunciando chi «prende una strada contro la comunità, contro la democrazia, contro il bene comune».Un grande influencer, all’occorrenza anche pontefice: dopo il via libera all’immigrazione illimitata dall’Africa e alle teorie di Greta Thunberg sulle cause del surriscaldamento terrestre, Jorge Mario Bergoglio si allinea fortemente al pensiero unico del mainstream anche sui vaccini e su Donald Trump. In uno speciale del Tg5 condotto da Fabio Marchese Ragona, redattore del “Giornale”, Bergoglio condanna l’assalto dei manifestanti a Capitol Hill (senza accennare alle motivazioni che lo hanno determinato) e criminalizza in modo esplicito i cittadini italiani che volessero sottrarsi al vaccino anti-Covid. Non stupisce più di tanto, l’atteggiamento di Papa Francesco: nella primavera 2020 aveva approvato il massimo rigore del severissimo e disastroso lockdown imposto da Conte, ignorando persino le proteste di alcuni coraggiosi sacerdoti per la chiusura delle chiese e la proibizione di celebrare le funzioni religiose. Bargoglio è arrivato a “silenziare” anche il Natale, rinunciando senza battere ciglio alla tradizionale messa di mezzanotte, in ossequio al coprifuoco. E ora attacca chi manifesta dubbi sui vaccini Rna approntati in pochi mesi, senza la consueta sperimentazione: chi si sottrae al vaccino, in pratica, sarebbe un cittadino socialmente irresponsabile. Addirittura un «negazionista».
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Pioggia di soldi, ma dall’Italia all’Ue: persi 112 miliardi
Da molti anni siamo abituati alle sensazionali notizie sulla “pioggia di miliardi dall’Europa” che dovrebbero dissetare le aride terre d’Italia. Ma se guardiamo ai dati reali la storia è un po’ diversa, osserva Davide Gionco, proponendo le nude cifre del rapporto finanziario tra Italia e Ue. Esempio: nel 2001 abbiamo incassato quasi 8 miliardi, versandone però 11,6. Un saldo sempre negativo, per il Belpaese: 5-6 miliardi di perdita, in media, ogni anno. Nel primo decennio del nuovo millennio il record spetta al 2009: 15 miliardi usciti e solo 7,7 entrati (saldo: -7,2 miliardi). Perdite analoghe negli anni seguenti, se non ancora peggiori: 7,5 miliardi nel terribile 2011, altri 7,3 nel 2017, quasi 7 miliardi di perdita secca negli ultimi due anni. Il conto, dal lontano 1994, è impietoso: l’Italia ha perso 112 miliardi di euro. Il calcolo di Gionco, presentato su “Attivismo.info”, parte dai dati ufficiali di bilancio relativi ai fondi versati dall’Italia all’Unione Europea e ai fondi erogati dall’Ue al nostro paese, a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht. «Dopo 25 anni il conto netto è che l’Italia ha erogato, a fondo perduto, quasi 113 miliardi di euro all’Unione Europea».Gionco tiene anche conto del fatto che 2,3 miliardi netti erogati alla Ue nel 1994 corrispondono a 3,7 miliardi del 2019, in quanto nel 1994 l’indice dei prezzi era più basso di oggi. Ha quindi ricalcolato la tabella tenendo conto dell’indice Istat di rivalutazione dei prezzi. «Ci avevano detto che nel medio-lungo termine avremmo avuto grandi vantaggi dalla nostra adesione all’Unione Europea. Sono passati 25 anni, ma i risultati sono stati molto diversi da quelli promessi», scrive Gionco. «Peraltro, che cosa ci si dovrebbe attendere da una “impresa” che per 25 anni taglia gli investimenti e la spesa corrente, per fare donazioni a fondo perduto a delle “imprese” concorrenti?». Cestinare l’Europa? Non si tratta di questo: «Nessuno vuole negare l’importanza etica della solidarietà fra paesi più ricchi e paesi più poveri, anche a livello continentale. Ma allora ce lo avrebbero dovuto dire: l’Unione Europea non era un progetto politico per lo sviluppo economico comune dei paesi europei, ma era un fondo comune per trasferire denaro ai paesi più poveri, per farli uscire dalla povertà, al prezzo del nostro impoverimento».Per Gionco, si tratta di una prospettiva politica che potrebbe avere un senso, «ma ce lo avrebbero dovuto spiegare e chiedere la nostra approvazione: cosa che, invece, non è mai accaduta». Campanello d’allarme, la crescita esponenziale dei nuovi poveri. «Dopo 25 anni e più di Unione Europea, l’Italia sta scalando le classifiche della povertà, oramai solo dietro Romania, Bulgaria e Grecia». Grafici impietosi: l’Italia è in quarta posizione, per il numero di “persone a rischio povertà o esclusione sociale”. «La povertà è quasi triplicata, negli ultimi 15 anni», osserva Gionco. «E non disponiamo ancora dei dati, certamente catastrofici (basta leggere il Rapporto Caritas) del 2020, con i danni economici causati dal coronavirus, a cui il governo non ha voluto rispondere adeguatamente». La verità? L’Italia non è più il paese ricco che era, in grado di aiutare i paesi meno fortunati. «Ora ci annunciano la “pioggia di miliardi” del Recovery Fund che, al netto dei prestiti, potrebbero significare, finalmente, un attivo di 5-6 miliardi di euro fra quanto l’Italia paga e quanto riceve, sempre che le quote da pagare non aumentino a seguito della Brexit. Questo se tutto va bene. Ma non chiamiamola “pioggia di miliardi”», chiosa Gionco: «Se pioggia di miliardi c’è stata, lo è stata dall’Italia verso l’Europa. E ne abbiamo pagato molto caro il conto».Da molti anni siamo abituati alle sensazionali notizie sulla “pioggia di miliardi dall’Europa” che dovrebbero dissetare le aride terre d’Italia. Ma se guardiamo ai dati reali la storia è un po’ diversa, osserva Davide Gionco, proponendo le nude cifre del rapporto finanziario tra Italia e Ue. Esempio: nel 2001 abbiamo incassato quasi 8 miliardi, versandone però 11,6. Un saldo sempre negativo, per il Belpaese: 5-6 miliardi di perdita, in media, ogni anno. Nel primo decennio del nuovo millennio il record spetta al 2009: 15 miliardi usciti e solo 7,7 entrati (saldo: -7,2 miliardi). Perdite analoghe negli anni seguenti, se non ancora peggiori: 7,5 miliardi nel terribile 2011, altri 7,3 nel 2017, quasi 7 miliardi di perdita secca negli ultimi due anni. Il conto, dal lontano 1994, è impietoso: l’Italia ha perso 112 miliardi di euro. Il calcolo di Gionco, presentato su “Attivismo.info“, parte dai dati ufficiali di bilancio relativi ai fondi versati dall’Italia all’Unione Europea e ai fondi erogati dall’Ue al nostro paese, a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht. «Dopo 25 anni il conto netto è che l’Italia ha erogato, a fondo perduto, quasi 113 miliardi di euro all’Unione Europea».
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Pandemia Italia: le ‘pecore matte’ credono proprio a tutto
Il sondaggio del Censis pubblicato lo scorso 4 dicembre conferma che gli italiani sono in grande maggioranza pecore credule e ignave (“pecore matte”, diceva Dante), ossia codardi senza dignità e spirito critico, pronti a sottomettersi cedendo diritti fondamentali in cambio di promesse di protezione, pur vedendo come i manovratori usano l’emergenza per aumentare il proprio potere e la propria ricchezza, scaricando i costi e rischi sulla popolazione generale. Questa grande maggioranza degli italiani si è lasciata impaurire e deprimere dal terrorismo di regime, dai suoi falsi tamponi e dai suoi falsi dati statistici; accetta tutto, si conforma alle cose più illogiche per ricevere rassicurazione psicologica, financo plaude al dittatorello e si avventa contro coloro che le vengono genericamente additati come “negazionisti” o untori senza museruola. Adesso questa maggioranza agogna il vaccino promesso, benché non sia ancora stato sperimentato (ci vogliono 10 anni circa) e si segnalino molti casi di reazioni avverse e persino qualcuno letale. Tali reazioni esprimono non una condizione transitoria ma la costituzione psichica profonda di questa maggioranza, e non ha senso né speranze cercare di risvegliarli – non sono addormentati, sono proprio fatti così.Se insisti, ottieni solo di farteli nemici, perché li togli dalla loro comfort zone. Se invece un domani, a seguito di disastri economici o sanitari, la loro paura si convertirà in rabbia, staremo a vedere che cosa saranno capaci di concludere. Ma intanto limitiamoci a godere dei benefici che ci vengono dal fatto che tutta questa gente si offre con entusiasmo come cavia per le vaccinazioni sperimentali, in modo di poter poi decidere con più dati a disposizione se vaccinarci pure noi. Meglio perciò evitare di sollevare dubbi disturbanti nelle testoline di questa maggioranza della popolazione, cioè di porre, privatamente o pubblicamente, certe domande come le seguenti: perché i vaccini vengono somministrati dalla politica prima che le case farmaceutiche abbiano rivelato i loro dati numerici sugli effetti, già in loro possesso? Per quanto tempo sono efficaci, i vari vaccini? Tre, quattro o sei mesi? Quanto tempo impiega un vaccino per fare effetto protettivo? Trenta giorni o sessanta? Per quanto tempo il neo-vaccinato è contagioso per i non vaccinati? Quanto tempo ci vuole per vedere se un vaccino protegge dalle nuove varianti del virus che via via si producono?Considerato che ci vuole circa un’ora per eseguire una vaccinazione Pfizer, quante nuove varianti si genereranno prima che sia completata la vaccinazione per la forma attuale del virus? Se per vaccinare metà della popolazione ci vorranno circa sei mesi, e se l’efficacia del vaccino dura meno di 6 mesi, come si fa? Perché il regime ci dice che anche dopo vaccinati bisogna portare la mascherina, distanziarci socialmente, eccetera eccetera, esattamente come prima? Questi nuovi vaccini modificano il nostro Dna? Qualcuno per caso sa come? Possono provocare nel tempo malattie autoimmuni o degenerative come il Parkinson o l’Alzheimer o il tumore? Perché i politici comprano i vaccini da case farmaceutiche che hanno una lunga storia di corruzione dei politici? I politici, i burocrati e l’Oms prendono una tangente sugli ordinativi di vaccini, oppure no? Perché comprano i vaccini da case farmaceutiche che hanno condanne per sperimentazione di vaccini dannosi e sterilizzanti? Perché in Tv si è visto che alcuni politici (come la prima ministra australiana) si sono fatti riprendere mentre venivano vaccinati, ma si è visto pure che la vaccinazione era finta perché l’ago era ancora coperto dal cappuccio?Quanto possiamo fidarci delle rassicurazioni dei politici e dell’Oms? Che cosa dicono i loro precedenti in campo farmaceutico circa corruzione e affidabilità? Perché le trattative e i contratti con cui hanno comperato questi e altri vaccini sono tenuti segreti? Perché i media italiani non riferiscono delle proteste e dei rifiuti che all’estero vengono opposti alla vaccinazione da parte anche di organizzazioni di sanitari, in relazione all’insufficiente collaudo e agli effetti già osservati? Perché agli italiani viene somministrato un vaccino che costa circa 1/10 di quello che viene somministrato negli Usa? Vale anche un decimo di quello americano, oppure no? Potrà mai finire una pandemia che è diventata un potente strumento di controllo sociale e di affari, con fondi di centinaia di miliardi? Arriveranno altre pandemie, se questa finirà? La gestione Oms-Ue della pandemia è un esperimento di un nuovo governo mondiale a libertà minimale?(Marco Della Luna, “L’esercito delle pecore matte”, dal blog di Della Luna del 25 dicembre 2020).Il sondaggio del Censis pubblicato lo scorso 4 dicembre conferma che gli italiani sono in grande maggioranza pecore credule e ignave (“pecore matte”, diceva Dante), ossia codardi senza dignità e spirito critico, pronti a sottomettersi cedendo diritti fondamentali in cambio di promesse di protezione, pur vedendo come i manovratori usano l’emergenza per aumentare il proprio potere e la propria ricchezza, scaricando i costi e rischi sulla popolazione generale. Questa grande maggioranza degli italiani si è lasciata impaurire e deprimere dal terrorismo di regime, dai suoi falsi tamponi e dai suoi falsi dati statistici; accetta tutto, si conforma alle cose più illogiche per ricevere rassicurazione psicologica, financo plaude al dittatorello e si avventa contro coloro che le vengono genericamente additati come “negazionisti” o untori senza museruola. Adesso questa maggioranza agogna il vaccino promesso, benché non sia ancora stato sperimentato (ci vogliono 10 anni circa) e si segnalino molti casi di reazioni avverse e persino qualcuno letale. Tali reazioni esprimono non una condizione transitoria ma la costituzione psichica profonda di questa maggioranza, e non ha senso né speranze cercare di risvegliarli – non sono addormentati, sono proprio fatti così.
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Mazzoni: brogli e hacker, Usa verso lo stato d’emergenza?
Negli Usa la situazione starebbe per precipitare verso lo stato d’emergenza: lo afferma il giornalista Roberto Mazzoni, che monitora attentamente l’evoluzione post-elettorale delle presidenziali. Dopo Natale, secondo Mazzoni, Donald Trump – più attivo che mai, alla Casa Bianca, dove sono state sospese le riunioni “di transizione” con lo staff di Biden – potrebbe rivolgere annunci clamorosi alla nazione, dopo la scoperta del devastante attacco hacker di SolarWinds: dallo scorso marzo, diversi paesi stranieri avrebbero di fatto assunto il controllo virtuale dei sistemi informatici che gestiscono le infrastrutture strategiche del paese. Sottinteso: avrebbero potuto interagire anche con le “perforabilissime” macchine elettorali, che durante lo spoglio sono state collegate a Internet? Decisiva la relazione attesa da John Ratcliffe, che coordina la direzione nazionale delle agenzie di intelligence: se emergessero prove di intrusioni dall’estero, scatterebbero le misure speciali previste dalla legge varata nel 2018 per proteggere le elezioni, chiamando in causa direttamente le forze armate.Scenari sconvolgenti? Sono quelli evocati dal generale Michael Flynn, che ha consigliato a Trump di instaurare una “legge marziale parziale”, limitata ai 6 Stati in cui sarebbero emersi brogli devastanti e decisivi per il conteggio dei voti. L’ipotesi: rifare le elezioni, stavolta sotto il controllo dell’esercito. Da un lato, osserva Mazzoni, le autorità giudiziarie si sono finora rifiutate di esaminare il caso: «Tonnellate di prove inchioderebbero Biden, ma i magistrati non se la sentono di intervenire in tempo utile, per chiarire gli innumerevoli episodi contestati ed eventualmente ribaltare l’esito apparente del voto». Dall’altro, aggiunge Mazzoni, queste prove (soverchianti, con oltre 1.000 testimoni giurati) sono ora all’esame del Senato: «In questo modo, cresce la consapevolezza della gravità dell’accaduto». Attenzione: deputati e senatori repubblicani hanno già avvertito che il 6 gennaio non riconosceranno la vittoria che Biden si è attribuito, costringendo così il Parlamento a innescare un lungo iter dibattimentale.Anche se svariati sondaggi d’opinione confermano che gli americani si sono ormai convinti, in maggioranza, che le presidenziali 2020 siano state “truccate”, Donald Trump sa bene che il ricorso allo stato d’emergenza richiederebbe un robusto consenso popolare: il rischio è che, comunque finisca questa rocambolesca partita, il paese resterebbe pericolosamente spaccato a metà. Per questo, secondo Mazzoni, il presidente manterrà l’attuale profilo prudentemente legalitario: le cause giudiziarie saranno comunque proseguite, per arrivare ad accertare i fatti e individuare eventuali colpevoli. Nel frattempo, cresce l’attenzione per la battaglia parlamentare che si aprirebbe il 6 gennaio, con la mancata convalida dell’elezione di Biden. Sempre che, nel frattempo, la situazione non precipiti per ragioni di “sicurezza nazionale”, se Ratcliffe (come già ventilato) confermerà che i servizi segreti ritengono che la regolarità delle elezioni sia stata effettivamente compromessa da intrusioni straniere, per esempio cinesi.Negli Usa la situazione starebbe per precipitare verso lo stato d’emergenza: lo afferma il giornalista Roberto Mazzoni, che monitora attentamente l’evoluzione post-elettorale delle presidenziali. Dopo Natale, secondo Mazzoni, Donald Trump – più attivo che mai, alla Casa Bianca, dove sono state sospese le riunioni “di transizione” con lo staff di Biden – potrebbe rivolgere annunci clamorosi alla nazione, dopo la scoperta del devastante attacco hacker di SolarWinds: dallo scorso marzo, diversi paesi stranieri avrebbero di fatto assunto il controllo virtuale dei sistemi informatici che gestiscono le infrastrutture strategiche del paese. Sottinteso: avrebbero potuto interagire anche con le “perforabilissime” macchine elettorali, che durante lo spoglio sono state collegate a Internet? Decisiva la relazione attesa da John Ratcliffe, che coordina la direzione nazionale delle agenzie di intelligence: se emergessero prove di intrusioni dall’estero, scatterebbero le misure speciali previste dalla legge varata nel 2018 per proteggere le elezioni, chiamando in causa direttamente le forze armate.
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Anticorpi: il farmaco italiano guarisce il mondo, non l’Italia
Diecimila italiani potevano guarire subito, come tanti Donald Trump. Invece, aspettando un vaccino, l’Italia va incontro alla terza ondata Covid senza terapie a base di anticorpi monoclonali, quelli che in tre giorni neutralizzano il virus evitando il ricovero. Da uno stabilimento di Latina in realtà escono furgoni carichi di questi farmaci, ma sono destinati a salvare pazienti americani, non gli italiani. Ai quali, per altro, erano stati offerti a titolo gratuito già due mesi fa. È il paradosso di una storia che ha pesanti risvolti sanitari, politici ed etici. «Abbiamo ‘pallottole’ specifiche contro il virus. Possono salvare migliaia di pazienti, evitare ricoveri e contagi, ma decidiamo di non spararle. Non si spiega», ripete da giorni Massimo Clementi, virologo del San Raffaele di Milano. Racconta che i colleghi negli Stati Uniti da alcune settimane somministrano gli anticorpi neutralizzanti come terapia e profilassi per malati Covid. La stessa cura che ha salvato la vita a Donald Trump in pochi giorni, nonostante l’età e il sovrappeso: «Dopo 2-3 giorni guariscono senza effetti collaterali apparenti». Il tutto a 1.000 euro circa per un trattamento completo, contro gli 850 euro di un ricovero giornaliero. Gli Stati Uniti ne hanno acquistato 950.000 dosi, seguiti da Canada e – notizia di ieri – Germania. Non l’Italia, dove si producono.Il nostro paese ha investito su un monoclonale made in Italy promettente ma disponibile solo fra 4-6 mesi. Scienziati molto pragmatici si chiedono perché, nel frattempo, non si usino i farmaci che già si dimostrano efficaci altrove: fin da ottobre – si scopre ora – era stata data all’Italia la possibilità di usare questi anticorpi attraverso un cosiddetto “trial clinico”, nel quale 10.000 dosi del farmaco sarebbero state proposte a titolo a gratuito. Una mano dal cielo misteriosamente respinta mentre il paese precipitava nella seconda ondata. Il farmaco – bamlanivimab o Cov555 – è stato sviluppato dalla multinazionale americana Eli Lilly. La sua efficacia nel ridurre carica virale, sintomi e rischio di ricovero è dimostrata da uno studio di Fase 2 randomizzato (la fase 3 è in corso) condotto negli Usa. I risultati sono stati illustrati sul prestigioso “New England Journal of Medicine”. Dall’headquarter di Sesto Fiorentino spiegano che l’anticorpo è stato messo in produzione prima ancora che finisse la sperimentazione perché fosse disponibile su scala globale il prima possibile. Dal 9 novembre, quando l’Fda ne ha autorizzato l’uso di emergenza, gli Stati Uniti hanno acquistato quasi un milione di dosi. In Europa si aspetta il via libera dell’Ema che non autorizza medicinali in fase di sviluppo.Una direttiva europea del 2001 consente, però, ai singoli paesi Ue di procedere all’acquisto e la Germania ieri ha completato la procedura per autorizzarlo. A breve toccherà all’Ungheria. E l’Italia? Aspetta. Avendo il suo cuore europeo alle porte di Firenze, finito lo studio la società di Indianapolis ha preso contatto con le autorità sanitarie e politiche nazionali, anche italiane. Il 29 ottobre riunione con l’Aifa: collegati, tra gli altri, Gianni Rezza per il ministero della salute; Giuseppe Ippolito del Cts e direttore dello Spallanzani di Roma; il professor Guido Silvestri, virologo alla Emory University di Atlanta che aveva favorito il contatto con Eli Lilly. Sul tavolo, la possibilità di avviare in Italia la sperimentazione con almeno 10.000 dosi gratis del farmaco che negli Usa ha dimostrato di ridurre i rischi di ospedalizzazione dal 72 al 90%. In quel contesto viene anche chiarito che non sarebbe stato un favore alla multinazionale, al contrario: una volta che l’Fda l’avesse autorizzato, sarebbero partite richieste da altri paesi. L’occasione, da cogliere al volo, cade nel vuoto, forse per una rigida adesione alle regole di Aifa ed Ema che non hanno però fermato la rigorosa Germania. Altra ipotesi: l’offerta è stata lasciata cadere per una scelta già fatta a monte.Sui monoclonali, da marzo, il governo ha investito 380 milioni per un progetto tutto italiano che fa capo alla fondazione Toscana Life Sciences (Tls), ente non profit di Siena, in collaborazione con lo Spallanzani e diretto dal luminare Rino Rappuoli. La sperimentazione clinica deve ancora partire e la produzione, salvo intoppi, inizierà solo a primavera 2021. A quanto risulta al “Fatto”, l’operazione con Eli Lilly, che già due mesi fa avrebbe permesso di salvare migliaia di persone, non sarebbe andata in porto per l’atteggiamento critico verso questi anticorpi del direttore dello Spallanzani che lavorerà al progetto senese. «Non so perché sia andata così, dovete chiedere ad Aifa», taglia corto il direttore Giuseppe Ippolito, negando un conflitto di interessi: «Non prescrivo farmaci, mi occupo solo di scienza». Quando l’Fda autorizza il farmaco, la multinazionale non può più proporre il trial gratuito ma deve attenersi al prezzo della casa madre. Per assurdo, sfumata l’opzione a costo zero, l’Italia esprime una manifestazione ufficiale di interesse all’acquisto. Il negoziato va in scena il 16 novembre alla presenza di Arcuri, del Dg dell’Aifa Magrini e del ministro della salute Speranza. Si parla di prezzo e di dosi, ma il negoziato si ferma lì e non va avanti. Neppure quando il sindaco di Firenze torna alla carica.Dario Nardella annuncia ai giornali di aver parlato coi vertici di Eli Lilly e che «se c’è l’ok della Commissione Ue, la distribuzione del farmaco a base di anticorpi monoclonali potrebbe cominciare dopo Natale non solo in Francia, Spagna e Regno Unito ma anche in Italia». Natale è alle porte e in Italia non c’è traccia di farmaci anticorpali né si ha notizia di una pressione dell’Aifa per sollecitare l’omologa agenzia europea. Come se l’opzione terapeutica per pazienti in lotta col virus, già disponibile altrove, non interessasse. L’Aifa e la struttura di Arcuri – sentite dal Fatto – ribadiscono: finché non c’è l’autorizzazione Ema non si va avanti. Di troppa prudenza si può anche morire, rispondono gli scienziati. «Io avrei accelerato», dice chiaro e tondo il consulente del ministro Walter Ricciardi, presente alla riunione un mese fa: «Con tanti morti e ospedalizzati, valutare presto tutte le terapie disponibili è un imperativo etico e morale». Il virologo Silvestri, che tanto aveva spinto: «Non capisco cosa stia bloccando l’introduzione degli anticorpi di Lilly e/o Regeneron, che qui negli States usiamo con risultati molto incoraggianti». Ieri sera si è aggiunta anche la voce critica dell’immunologa dell’università di Padova, Antonella Viola: «E’ sorprendente questo ritardo, cosa aspettiamo?».Per il professor Clementi, siamo al paradosso. «È importante trovare il miglior farmaco possibile, ma non possiamo scartare a priori una possibilità terapeutica che altrove salva le persone. Una fiala costa poco più di un giorno di ricovero e ogni risorsa che risparmi la puoi usare per altro. Tenere nel fodero un’arma che si dimostra decisiva è incomprensibile. Da qui, la mia sollecitazione all’Aifa». Certo, una soluzione al 100% italiana garantirebbe autosufficienza e prelazione nell’approvvigionamento. Da Sesto Fiorentino, però, rispondono che il loro farmaco, oltre ai benefici in termini di salute e risparmio, avrebbe avuto anche ricadute economiche per l’Italia: nella produzione è coinvolto un fornitore italiano, la Latina Bsp Pharmaceutical. «Se andrà bene potremmo distribuirlo non solo negli Usa ma anche in Italia», esultava a marzo il titolare dell’impresa pontina, Aldo Braca. Nove mesi dopo, dallo stabilimento di Latina esce il farmaco più promettente contro il Covid. Ma va soltanto all’estero.(Thomas Mackinson, “L’anticorpo monoclonale fatto in Italia che noi non usiamo. Prodotto a Latina, poteva curare (gratis) 10mila malati. I burocrati lo lasciano agli Usa”, dal “Fatto Quotidiano” del 17 dicembre 2020).Diecimila italiani potevano guarire subito, come tanti Donald Trump. Invece, aspettando un vaccino, l’Italia va incontro alla terza ondata Covid senza terapie a base di anticorpi monoclonali, quelli che in tre giorni neutralizzano il virus evitando il ricovero. Da uno stabilimento di Latina in realtà escono furgoni carichi di questi farmaci, ma sono destinati a salvare pazienti americani, non gli italiani. Ai quali, per altro, erano stati offerti a titolo gratuito già due mesi fa. È il paradosso di una storia che ha pesanti risvolti sanitari, politici ed etici. «Abbiamo ‘pallottole’ specifiche contro il virus. Possono salvare migliaia di pazienti, evitare ricoveri e contagi, ma decidiamo di non spararle. Non si spiega», ripete da giorni Massimo Clementi, virologo del San Raffaele di Milano. Racconta che i colleghi negli Stati Uniti da alcune settimane somministrano gli anticorpi neutralizzanti come terapia e profilassi per malati Covid. La stessa cura che ha salvato la vita a Donald Trump in pochi giorni, nonostante l’età e il sovrappeso: «Dopo 2-3 giorni guariscono senza effetti collaterali apparenti». Il tutto a 1.000 euro circa per un trattamento completo, contro gli 850 euro di un ricovero giornaliero. Gli Stati Uniti ne hanno acquistato 950.000 dosi, seguiti da Canada e – notizia di ieri – Germania. Non l’Italia, dove si producono.