Archivio del Tag ‘riforme’
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L’Istat annuncia la fine del mondo: 80 anni di austerità
Non è uno scherzo o un tentativo maldestro di mettere in piedi una trama di fantapolitica. Sapevamo che la tragica approvazione, tramite Pd-Pdl, del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio in Costituzione avrebbe provocato danni permanenti a questo paese. Danni dei quali non si ha ancora chiara l’effettiva portata. Pensando magari che “la crescita” arriva davvero “risanando” parte dello stato del paese. L’Istat, che non è una casa editrice di fantascienza ma l’istituto nazionale di statistica, mette invece in guardia su quanto sta realmente accadendo in questo paese. Ha infatti pubblicato una simulazione su quanti anni occorrono a due paesi dell’Eurozona, praticando l’austerità, per raggiungere i parametri fissati dal Fiscal Compact e dal pareggio di bilancio in Costituzione, grazie alla guida del Six Pack e del Two Pack, gli accordi tra stati dell’Eurozona che prevedono rigidità di bilancio e sorveglianza ferrea di Bruxelles.
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Grillo teme il peggio: Italia alla fame già quest’autunno
Grillo “scommette” sulla catastrofe dell’Italia? C’è da augurarsi che si sbagli, perché nessuno – neppure il fragile “Movimento 5 Stelle”, appeso agli umori del leader – riuscirebbe a salvarsi dal collasso di un paese allo stremo, se davvero nei prossimi mesi dovesse crollare il nostro sistema economico e sociale, con la chiusura in massa di aziende e licenziamenti a tappeto. Eppure, sostiene Aldo Giannuli, l’intransigenza di Grillo – a partire dalla porta sbattuta in faccia a Bersani – si spiega solo con il fondato timore dell’ex comico: Grillo è davvero convinto che l’autunno 2013 sia la prova generale dell’apocalisse. Una burrasca senza precedenti dal dopoguerra, affrontabile solo con una pattuglia di uomini fidatissimi, agli ordini del comandante supremo. Che non ha voluto fidarsi del Pd, neppure di fronte a offerte clamorose: legge anticorruzione, riforma Rai, abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, reddito di cittadinanza, legge sul conflitto d’interesse e magari anche il nome del presidente della Repubblica.
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Crisi senza colpevoli, secondo la Fiom dell’innocuo Landini
Addio Fiom, fine dell’equivoco: Maurizio Landini evita addirittura di denunciare i responsabili della crisi, guardandosi bene dal ventilare possibili soluzioni. Mentre Usa e Giappone reagiscono alla recessione nell’unico modo possibile, cioè battendo moneta sovrana per aumentare la spesa pubblica, l’Eurozona strangolata dalla moneta unica “privatizzata” dalla Bce riduce il bilancio statale alla canna del gas, falcidiando aziende e lavoratori. E il sindacato dei metalmeccanici Cgil che fa? Si limita agli slogan – diritto al lavoro, istruzione, salute, reddito, cittadinanza, giustizia sociale e democrazia – senza neppure dire perché tutti questi obiettivi oggi sono lontani, e per colpa di chi. «Con gli slogan non si otterranno posti di lavoro», avverte Anna Lami, che osserva come la strada maestra seguita dalla Fiom resta «quella delle gite nella capitale assolata, con le celebrity a fare discorsi edificanti dal palco».
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Cremaschi: rottamare Bruxelles, tutto il resto non conta
Tutta la politica ufficiale si svolge dentro al tragitto predeterminato dal grande capitale, dalla finanza e dallo spread, dal Fiscal Compact, che decidono chi rientra nel recinto della politica ufficiale. Se davvero vogliamo provare a fermare il disastro bisogna rompere questo recinto. E fare dunque una precisa contestazione alle regole del gioco che ci vengono imposte. Grillo e il “Movimento 5 Stelle”, che io a differenza di altri non ho mai demonizzato, e che considero se possibile un interlocutore per molte battaglie, hanno sicuramente svolto un ruolo positivo. Se avessero preso pochi voti e avessimo Bersani trionfante a governare con Monti saremmo in una situazione uguale dal punto di vista dei contenuti ma peggiore dal punto di vista del quadro politico. Hanno cioè avuto la capacità di dare espressione ad una protesta di massa contro il sistema. Ma il “Movimento 5 Stelle” è concentrato solo sulla punta dell’iceberg del sistema di potere che ci governa ed è debolissimo su tutto il resto.
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Nuova Germania: via dall’euro e dagli orrori di Bruxelles
Politica monetaria: esigiamo un ordinato scioglimento del sistema monetario dell’euro. La Germania non ha bisogno dell’euro; l’euro ha danneggiato altri paesi. Esigiamo la reintroduzione delle valute nazionali o la creazione di più limitati e più stabili accordi monetari. La reintroduzione del Dm non deve essere un tabù. Esigiamo un cambiamento dei trattati europei per rendere possibile l’uscita di ogni Stato dall’euro. Ogni popolo deve poter decidere democraticamente sulla propria valuta. Esigiamo che la Germania pretenda questo diritto al ritiro, bloccando con il suo veto ulteriori crediti dell’Esm. Esigiamo che i costi della cosiddetta politica di salvataggio non vengano sostenuti dal contribuente; le banche, gli hedge-funds e i grandi investitori privati sono i beneficiari di questa politica: devono per questo risponderne per primi. Chiediamo che agli Stati eccessivamente indebitati e senza speranza sia accordato un taglio del debito.
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L’Italia usi il suo oro per minacciare l’uscita dall’Eurozona
L’Italia ha tutti i mezzi per resistere alla crisi, a patto che voglia davvero farlo: deve cioè minacciare l’uscita dall’unione monetaria europea, che la sta strangolando. Lo sostiene l’inglese Ambrose Evans-Pritchard, di fronte alla recente proposta del World Gold Council: utilizzare la riserva aurea italiana, la quarta al mondo, per mitigare i dettami di austerità imposti dall’Eurozona. Duemila tonnellate d’oro, come garanzia di una prima tranche per le eventuali perdite degli obbligazionisti: in questo modo, l’Italia potrebbe raccogliere sul mercato dei capitali almeno 400 miliardi di euro e sfuggire al ricatto del debito per un paio d’anni. Ma se a monte non cambiano le regole di Bruxelles – avverte l’economista del “Telegraph” – dopo una boccata d’ossigeno biennale l’Italia potrebbe trovarsi definitivamente nei guai. E senza più neppure il salvagente dei suoi lingotti d’oro.
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Giannuli: golpe strisciante, democrazia azzoppata dal ‘93
Per la prima volta nella storia italiana, il governo in carica è diretta emanazione del capo dello Stato, di fronte all’ “impotenza” del Parlamento la cui fiducia è più forzata che ottenuta. Napolitano non si limita a nominare il presidente del Consiglio, ma interviene direttamente nella scelta dei ministri e stabilisce anche le linee guida del programma. Dunque: «Siamo già di fronte ad una evoluzione di tipo semi-presidenziale che volge al modello francese», rileva Aldo Giannuli. E’ il caso di parlare di “golpe”, come ha fatto Grillo? Dipende da come si intende il concetto di “colpo di Stato”, sostiene il politologo: si può avere “rottura costituzionale” anche senza per forza i carri armati nelle strade. Tecnicamente, «si ha colpo di Stato quando viene mutata la natura del sistema politico con modalità diverse da quelle legali, ad opera di una fazione al potere». Se proprio serve una data, Giannuli risale al 1993: fu la riforma elettorale voluta dal referendum Segni, sull’onda dell’emergenza Tangentopoli, a incrinare pericolosamente la nostra democrazia.
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Opposizione non pervenuta: non osa denunciare Bruxelles
Ce lo dice lo spread: per ora, i padroni dell’universo non stringeranno il cappio. Hanno un piano, diverso da quello di Draghi: permettere al governo Napolitano-Letta di “resistere” fino all’autunno, cioè alle elezioni tedesche. Nel frattempo, Enrico “Ponzio Pilato” Letta lavorerà sull’unico punto che trova il pieno accordo di tutto il Palazzo: varare una legge elettorale il più in fretta possibile, che sia peggiore del Porcellum. Obiettivo: impedire a chiunque di insidiare il potere. Tagliando fuori Grillo e, intanto, logorandolo, ovvero «aiutandolo nel compito non difficile in cui è già impegnato: logorare se stesso». Giulietto Chiesa è netto: se l’unica risposta alla crisi è a Bruxelles, Grillo deve “prendere l’aereo” e correre in cerca di alleati, «che ci sono», anziché «limitarsi a controllare i conti del Palazzo», mentre il sistema-Italia sta per saltare in aria e “nonno Napolitano” «resta, armi in pugno, a difendere Maastricht e Lisbona, per portare l’Italia in Grecia (a nuoto)».
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La tela atlantica: Obama e Letta, governissimo di guerra
L’approdo al governo di Enrico Letta ha molti punti di contatto con il viaggio nel potere di Barack Obama. A molti questo potrebbe apparire come un complimento rivolto a due campioni progressisti. Per chi obamiano non è, come chi scrive, è invece la critica a due conservatori impegnati a salvaguardare creativamente gli interessi dell’Impero, Obama al centro e Letta in periferia. Tralasciamo per ora le scontate differenze fra Usa e Italia, il divario in termini di loro ruolo e peso internazionale, la diversità dei sistemi politici ed elettorali. Quel che interessa qui sottolineare è il fatto che un sistema in profonda crisi di legittimità ha trovato una soluzione “creativa” all’interno delle proprie classi dirigenti. Gli Stati Uniti erano segnati da un “impresentabile” come il presidente Bush. In Italia venivamo da un livello di fiducia nei partiti politici ormai prossimo allo zero.
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Nato e Bce, con tanti saluti all’Italia (e minacce a Grillo)
Dall’ultra-atlantista Emma Bonino, pronta a tutte le più sanguinose guerre decise da Washington, all’ultra-europeista Fabrizio Saccomanni, direttore di Bankitalia con esperienze sia alla Bce che al Fmi, dopo gli studi alla Bocconi e alla Princeton University. Due ministri-chiave, esteri ed economia, già delimitano in modo inequivocabile il perimetro del secondo “governo Napolitano”, con Letta premier e Alfano vice, più altri mestieranti della nomenklatura: Gaetano Quagliariello alle riforme, probabilmente per una legge elettorale anti-Grillo e un presidenzialismo all’italiana, Maurizio Lupi a infrastrutture e trasporti (leggasi: Tav Torino-Lione), nonché il redivivo Dario Franceschini (rapporti col Parlamento) e i “presentabili” Nuzia De Girolamo (agricoltura), Beatrice Lorenzin (sanità) e l’ex sindaco padovano Flavio Zanonato (sviluppo). Ministri-vetrina: la campionessa Josefa Idem (sport), il direttore della Treccani, Massimo Bray (cultura), il presidente dell’Istat Enrico Giovannini (altro“saggio”, ora incaricato di gestire lavoro e welfare) e la italo-congolese Cécile Kyenge, medico e primo ministro di colore nella storia italiana, delegata all’integrazione.
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Travaglio: viva Napolitano, e la stampa si copre di ridicolo
Il “Foglio” e “Libero” – il primo in modo spiritoso, il secondo con le mèches – smentiscono quel che abbiamo scritto negli ultimi giorni e di cui facciamo ammenda: cioè che tutti i media siano genuflessi ai piedi di Sua Castità e del suo governissimo. Essi anzi manifestano una sbarazzina tendenza alla critica che rasenta il vilipendio. Per esempio il “Corriere”, che assume la guida dell’opposizione con il commento al vetriolo di Antonio Polito: «Discorso breve, severo ma intriso di commozione: una lezione di virtù repubblicana». E di Paolo Valentino: «Ci sono discorsi che cambiano la storia di un Paese. Come quello di Abraham Lincoln nel 1863 a Gettysburg… O come Lyndon Johnson, che nel 1964 pronuncia il celebre we shall over come e chiude la segregazione razziale… Il discorso di Giorgio Napolitano ha la forza retorica, l’altezza d’ispirazione e la dirompenza politica che lo rendono già un’opera prima… ha aperto una nuova pagina, restituendo dignità alla parola e regalandoci un testo di etica pubblica senza precedenti nella storia repubblicana. In un altro Paese, lo farebbero studiare nelle scuole».
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Nuovo Ordine Mondiale, i boss del web e la grande politica
Stati transnazionali? Religioni più o meno laiche? Modelli di comportamento e lifestyle globalizzati? Lobby e gruppi di pressione? Facebook e Youtube, i due grandi social network che “autodichiarano” di aver superato la mitica soglia del miliardo di membri, stanno modificando alcuni aspetti della geopolitica mondiale e in particolare della politica in Usa. Secondo Glauco Benigni, questi due giganti non sono più definibili semplicemente “comunità digitali”, perché il comportamento dei loro membri – e dei loro proprietari – li rende trasmutabili in altre macroentità. Ai membri, l’ingresso nella “nazione” digitale conferisce di fatto uno status che prima non esisteva: «Aprire un account è come ottenere una carta d’identità, una sorta di passaporto. E soprattutto aderire, quasi sempre beotamente, alla mappata di “terms and conditions”, significa accettare una Costituzione che di democratico ha ben poco. Se ci fosse una Costituzione da Nuovo Ordine Mondiale, sarebbe questa».