Archivio del Tag ‘rifiuti’
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Fiscal Compact: col ricatto del debito moriremo di fame
“Affama la bestia” era lo slogan di Ronald Reagan. La “bestia” era il governo: «Non la soluzione, ma il problema». Meglio mettere tutto in mano ai privati, che così si appropriano delle funzioni pubbliche e le gestiscono in base alla legge del profitto. «La bestia da affamare è in realtà la democrazia, l’autogoverno, la possibilità per i cittadini e i lavoratori di decidere il proprio destino». L’antico programma antisociale di Reagan, secondo Guido Viale, è stato ora tradotto dall’Unione Europea e dai governi dell’Eurozona in due strumenti micidiali, il pareggio di bilancio e il Fiscal Compact. «Con queste due misure, in Italia verranno prelevati ogni anno dalle tasse, cioè dai bilanci di chi le paga, quasi 100 miliardi di interessi e altri 45-50 di ratei, per versarli ai detentori del debito: in larga parte banche e assicurazioni sull’orlo del fallimento per operazioni avventate e altri grandi speculatori nazionali ed esteri, e solo in minima parte singoli risparmiatori».
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Finiguerra: riscattiamo l’Italia. Già, ma con che soldi?
Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano in provincia di Milano, è un uomo libero e coraggioso. Uno dei tanti volti puliti dell’Italia sana, quella che funziona ma non sa più a che santo (politico) votarsi, data la “resa” di Pd e Pdl alla drammatica “agenda Monti”. Con altri sindaci “virtuosi”, Finiguerra ha redatto un appello per il riscatto civico del paese: impossibile che cittadini e movimenti continuino a procedere in ordine sparso, con la tentazione del non-voto, di fronte allo scenario del progressivo sfacelo, sotto il colpi del “rigore” imposto da Bruxelles. Imperativo categorico: fronteggiare seriamente la crisi e creare posti di lavoro riconvertendo l’economia in modo sostenibile. Più democrazia, più partecipazione, nuova sovranità dei territori. Tutto giusto, ma Finiguerra e colleghi – nel loro documento – non menzionano le cause della catastrofe: l’euro e l’Unione Europea.
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Londra, Street Bank: comprare meno e prestarsi di tutto
Sapere di avere tutto a portata di mano tranquillizza, rasserena. Tutti gli strumenti per eventuali riparazioni, gli hard-disk per immagazzinare eventuali file, le stoviglie per eventuali ospiti, il frulla-tutto per piatti esotici, e così via, rispetto ad ulteriori esigenze “varie ed eventuali”. Conosco pochi appassionati del minimal, ho a che fare sovente con personaggi affetti da “possessivite acuta” che scoprono di avere un trapano quando ripongono la scatola di quello appena comprato, o che magari comprano un hard-disk di 2 tera-byte occupandone solo un decimo dello spazio. E se invece di avere tutto a disposizione all’interno delle mura domestiche si potesse pensare al quartiere dove si vive, alla rete di vicini, come lo spazio di approvvigionamento e, soprattutto, di condivisione?
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Giulietto Chiesa: come difendersi dal declino che ci aspetta
A sinistra l’ideologia della crescita, con tutti i suoi corollari, è entrata come il burro, trasmigrando dalla crescita socialista dei piani quinquennali alla crescita infinita del capitalismo totale. Non vedono la necessità di fare i conti con i “limiti allo sviluppo”. Cambiare i consumi, senza ridurli, diventerà presto praticamente impossibile. O si dimostra che questa affermazione è errata, oppure si deve affrontare la questione della decrescita. Non è soltanto una economia in crescita geometrica ad essere insostenibile, comunque la si voglia presentare. Anche un’economia stazionaria, a crescita zero, è comunque insostenibile alla lunga. Anch’essa porta, sebbene più lentamente, al confine con i limiti. Puntare a un’economia stazionaria equivale a condannare a morte il capitalismo come lo conosciamo oggi. Infatti non c’è capitalismo che non cresce e un capitalismo a crescita zero è una contraddizione in termini. Eppure nemmeno essa sarà sufficiente a evitare una catastrofe strategica.
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Decrescita o disastro, chi parla di crescita è un suicida
«Cercare di uscire dalla crisi stimolando la crescita è come cercare di rianimare un moribondo a bastonate, perché la crescita non è la soluzione ma la causa della crisi». Servono robusti anticorpi per difendersi dall’ideologia della crescita infinita del Pil. Un virus letale: «E’ l’illusione nefasta che il denaro sia la misura di tutte le cose». L’alternativa? «Non è fra crescita e decrescita, ma fra decrescita e disastro». Luca Salvi, esponente della finanza etica italiana, concorda con Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice: «Siamo immersi nella crisi fino al collo e le misure che ci vengono imposte per cercare di uscirne (tagli, tasse e sacrifici) non fanno che aggravarla. Infatti il sistema economico-finanziario fondato sulla crescita, schiacciato dai debiti pubblici, è entrato definitivamente in crisi e non si intravede via d’uscita».
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Riciclare pannolini: in Italia il primo impianto al mondo
Usa e getta? No, grazie. Vale anche per i pannolini, che poi finiscono in discarica o all’inceneritore. Montagne di pannicelli: quasi un millione di tonnellate l’anno, con un impatto devastante sull’ambiente. L’ideale sarebbe utilizzare i prodotti lavabili, ma pare che non si riesca a fare a meno dei pratici pannoloni monouso. La soluzione? Made in Italy: a Vedelago, in provincia di Treviso, un’azienda pioniera ha inaugurato una proposta destinata a fare scuola, a livello planetario: il primo impianto al mondo per il riciclo al 100% dei pannolini sporchi, ma anche pannoloni per anziani e assorbenti femminili. Tre anni di ricerche e test sul campo, 5 milioni di investimenti. E una partnership strategica: con la Fater, produttrice italiana di prodotti usa e getta. Risultato: il Centro Riciclo Vedelago ritirerà pannolini sporchi e restituirà materiali pronti all’uso, come plastica e cellulosa. Economia verde, a impatto zero.
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Bio-agricoltura per giovani: Egitto e Tunisia meglio di noi
Ricerca scientifica e piccole imprese agricole unite contro la disoccupazione? L’alleanza è possibile. Almeno in Egitto e Tunisia, dove i rispettivi Ministeri della Scienza hanno deciso di collaborare con un obiettivo preciso: sfruttare i risultati della ricerca per lo sviluppo di piccole aziende nelle aree rurali. Lo scopo è riscoprire metodi e colture tradizionali, scongiurando allo stesso tempo quello che, secondo i governi dei due Paesi, è stato un fattore determinante nei disordini dello scorso anno con la primavera araba: la disoccupazione giovanile. Il progetto, parte di una più ampia cooperazione scientifica e tecnologica, prevede il coinvolgimento di giovani ricercatori di entrambe le nazioni. Che, insieme, cercheranno di trovare le giuste soluzioni per i diversi contesti agricoli in cui si troveranno ad operare. Il tutto mentre in Europa, invece, la Corte di Giustizia conferma il divieto di commercializzare le sementi delle varietà tradizionali.
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Pallante: come tagliare il debito senza far soffrire nessuno
Uscire dalla crisi? La soluzione ci sarebbe: tagliare gli sprechi, quelli veri. Non certo la spesa sociale, che i tecno-devastatori stanno minando dalle fondamenta col risultato di far crollare la sicurezza quotidiana degli italiani, impoverendo il paese. Gli sprechi da tagliare – vere fabbriche di debito – sono le grandi opere inutili, l’immensa dispersione di energia e la peste chimica dell’agricoltura industriale, quella della grande distribuzione che oggi ci alimenta. Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, ha le idee chiare: si può creare nuova occupazione senza fare nuovo debito, ma addirittura tagliandolo. Lo dimostra uno studio pubblicato dal “Sole 24 Ore” il 13 febbraio: per ogni 10 miliardi di euro investiti nella riduzione degli sprechi si possono ricavare 130.000 posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere si darebbe lavoro al massimo a 7.300 persone.
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In saldo il made in Italy: maxi-svendite, grazie allo spread
Le multinazionali straniere fanno shopping a prezzi di saldo nella struttura industriale italiana. Prima le privatizzazioni, adesso la recessione: stanno vendendo il nostro paese a pezzi. I governi che si sono succeduti dal 1992 in poi hanno smantellato l’economia rendendo l’Italia un paese in vendita, sostiene il newsmagazine “Contropiano”. “Selling England by the pound”, cantavano i Genesis, guidati dalla calda voce di Peter Gabriel. Ma tutto questo sta accadendo qui, sotto i nostri occhi e sulle nostre spalle. Se n’è accorto anche il “Corriere della Sera”: «Qualche mese fa i sostenitori della destrutturazione lamentavano la scarsità di investimenti esteri nel nostro paese». Invece, ora sta accadendo il contrario, e «con un dettaglio micidiale: non si tratta di nuovi investimenti o impianti, ma solo di acquisizioni». E a volte, «di chiusure, ai fini della conquista esclusiva di marchi e quote di mercato in Italia».
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Cancro, bugie e miliardi: noi, il paradiso degli inceneritori
Quando ho letto su queste pagine la notizia secondo cui il sindaco di Parma potrebbe perdere la sua scommessa circa la chiusura dell’inceneritore (è bene chiamarlo così) perché i lavori di costruzione proseguono a ritmo serrato al fine di ottenere 40 milioni di euro di contributi statali, mi sono incazzato come una iena. Non tanto per il caso singolo, quanto perché – e forse non tutti lo sanno – l’Italia è l’unico paese d’Europa che ha dato impunemente incentivi all’energia prodotta dai rifiuti, nonostante che questo fosse assolutamente vietato. Infatti, la delibera del Comitato Interministeriale Prezzi adottata il 29 aprile del 1992 (governo Andreotti), in coerenza con le direttive europee e gli accordi internazionali, prevedeva che l’energia prodotta da fonti rinnovabili dovesse avere un costo maggiore rispetto a quella prodotta da fonti tradizionali (carbone e petrolio).
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Guerra al fotovoltaico: conviene a noi, non all’Enel
Il 3 maggio scorso si verificò un evento storico nella produzione energetica italiana: fu “il giovedì in cui l’energia costava zero”, grazie al boom del fotovoltaico italiano. Debora Billi, giornalista e blogger, profetizzò che presto nuove leggi e decreti avrebbero protetto la lobby dei produttori di termoelettrico. «Da quel giorno – scrive ora nelle pagine di “Petrolio.blogosfere” – è infatti cominciata la battaglia dei produttori tradizionali contro la produzione di energia rinnovabile, che li costringeva a rimetterci fior di soldoni. Con buona pace delle decantate “leggi di mercato”, si è cercato in tutti i modi di porre un freno all’enorme produzione italiana di energia gratuita solare. Motivo: le centrali a olio combustibile e turbogas non dovevano chiudere i battenti. «Il bello è che abbiamo praticamente un problema di sovrapproduzione: ma non dovevamo fare le urgentissime centrali nucleari?».
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La Consulta: vietato privatizzare i beni comuni degli italiani
Per una volta occorre usarla, la parola vittoria. Piena, cristallina, senza ombre. Il voto popolare, la decisione presa da 27 milioni di italiani non può più essere ignorata con vere e proprie norme truffa. La Corte costituzionale ieri ha riportato la lancetta del tempo al 13 giugno dello scorso anno, quando nelle piazze italiane i movimenti esultavano di fronte a un risultato straordinario e senza precedenti. Avevamo appena votato quattro quesiti, ma per tutti quell’appuntamento aveva un nome, uno spettro da respingere: privatizzazione. Ovvero la cessione di quello che le stesse multinazionali chiamano “l’essenziale per la vita” alle corporation, che, cariche dei soldi della finanza tossica, erano pronte a superare le Alpi, conquistando Comune dopo Comune il paese.