Archivio del Tag ‘ricchi’
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No alla monarchia mondiale, anche Kant promuove Putin
Persino Kant promuove Putin: guai, infatti, se ci si rassegna tutti alla “monarchia universale” di un solo padrone. Resistere è un dovere. E Putin dimostra ogni giorno che la resistenza alla dittatura globale degli Usa è possibile. Ne è convinto il filosofo Diego Fusaro, per il quale «Putin purtroppo non è Lenin», però «ha un compito fondamentale, oggi: quello di resistere al monopolio – con bombardamento etico incorporato – del capitalismo americano». Per essere chiari: «Che ci sia Putin, oggi, è un bene fondamentale, anzitutto per noi», perché il mondo plurale, con più Stati, anche in disaccordo fra loro, «è pur sempre meglio di un mondo monopolare in cui c’è un’unica potenza mondiale, quella statunitense». Lo diceva lo stesso Kant, nel 1795, nel suo splendido scritto “Per la pace perpetua”: «Per l’idea della ragione, val sempre meglio una pluralità di Stati, anche in competizione tra loro, piuttosto che non la loro dissoluzione ad opera di una monarchia universale». Ed eccoci qua: «Oggi la monarchia universale uscita vincitrice dalla guerra fredda, quella degli Stati Uniti d’America, mira a dissolvere tutti gli Stati ancora esistenti e a imporsi come unico Stato legittimo».Con tutte le cautele del caso, dice Fusaro in un video editato su YouTube, potremmo dire che oggi, nell’epoca post-1989, la Russia di Putin svolge il ruolo di “equivalente funzionale di senso” del comunismo storico novecentesco ingloriosamente defunto. «Non certo perché oggi in Russia vi sia il comunismo, figuriamoci – anzi, la Russia di oggi registra rapporti classisti sempre più osceni». Infatti Mosca «sta sperimentando un capitalismo trionfante», e infatti «l’aspettativa di vita è scesa di almeno 7 anni». Ma il discorso cambia sul piano geopolitico: «La Russia di Putin svolge un ruolo prezioso anzitutto per noi, perché ci ricorda che resistere al capitalismo monopolare americano è possibile e necessario». Per Fusaro, «oggi viviamo in un’epoca paradossale, in cui si dichiarano superati gli Stati nazionali e, insieme, si dichiara legittima la sopravvivenza di un unico Stato, gli Usa», tuttalpiù con l’aggiunta di Israele, «fedele servo degli Stati Uniti d’America». Tutti gli altri «devono sparire». “Yes, we can”, recitava l’iconografia pop di Obama. “No, you can’t”, gli risponde – per nostra fortuna – Putin.«Il fatto che il circo mediatico, la manipolazione organizzata e il clero accademico si accaniscano continuamente contro Putin – agiunge Fusaro – è un segnale indiretto che ci avvisa del fatto che Putin è positivo, cioè che svolge un ruolo importantissimo nello scacchiere geopolitico internazionale». Proprio per questo, «oggi gli Stati Uniti d’America stanno cercando – da più anni a questa parte, in verità – di delegittimarlo e di porlo sotto assedio: basi militari in tutti i territori vicini alla Russia, poi la vicenda oscena dell’odierna Ucraina», cioè l’ennesima “rivoluzione colorata” attraverso cui gli Usa si intromettono nella vita di un paese non allineato e ne rovesciano il governo legittimo, insediando i loro vassalli. «La retorica americana è sempre quella del dittatore». E ormai, aggiunge Fusaro, siamo alla Quarta Guerra Mondiale, dopo le prime due e dopo la guerra fredda: «E’ la guerra che gli Stati Uniti d’America hanno dichiarato nel 1989 a tutti gli Stati che resistono al loro dominio». Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Siria. Lo dice Fenoglio nel “Partigiano Johnny”: l’importante è ne resti sempre almeno uno, a resistere, o sparisce dal pensiero l’idea stessa della possibilità di resistenza, perché «finché c’è resistenza, c’è speranza». Se il nostro nemico oggi è il liberismo sul piano economico, nonché l’individialismo sfrenato sul piano filosofico, sul piano geopolitico il nemico si chiama America. Non ci schiaccherà definitivamente, fino a quando ci sarà un Putin a opporre il suo “no, you can’t”.Persino Kant promuove Putin: guai, infatti, se ci si rassegna tutti alla “monarchia universale” di un solo padrone. Resistere è un dovere. E Putin dimostra ogni giorno che la resistenza alla dittatura globale degli Usa è possibile. Ne è convinto il filosofo Diego Fusaro, per il quale «Putin purtroppo non è Lenin», però «ha un compito fondamentale, oggi: quello di resistere al monopolio – con bombardamento etico incorporato – del capitalismo americano». Per essere chiari: «Che ci sia Putin, oggi, è un bene fondamentale, anzitutto per noi», perché il mondo plurale, con più Stati, anche in disaccordo fra loro, «è pur sempre meglio di un mondo monopolare in cui c’è un’unica potenza mondiale, quella statunitense». Lo diceva lo stesso Kant, nel 1795, nel suo splendido scritto “Per la pace perpetua”: «Per l’idea della ragione, val sempre meglio una pluralità di Stati, anche in competizione tra loro, piuttosto che non la loro dissoluzione ad opera di una monarchia universale». Ed eccoci qua: «Oggi la monarchia universale uscita vincitrice dalla guerra fredda, quella degli Stati Uniti d’America, mira a dissolvere tutti gli Stati ancora esistenti e a imporsi come unico Stato legittimo».
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Grazie alla crisi, l’1% sta per superare in ricchezza il 99%
La ricchezza oggi è insaziabile. Premia sempre di più coloro che hanno già tutto, e toglie ancora di più a coloro che non hanno quasi niente. Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, la Ong Oxfam ha pubblicato il rapporto annuale “Grandi disuguaglianze crescono”, che aggrava lo scenario tracciato solo un anno fa. All’inizio del 2014 Oxfam aveva calcolato che 85 persone possedevano la ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, un dato choc che è stato ultra-citato in questi mesi a controprova del livello di estrema diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e che oggi la lotta di classe esiste, e l’hanno vinta i ricchi. Le nuove stime, effettuate sui dati del Credit Suisse, ricalcolano il numero dei miliardari che nel 2013 possedevano la stessa ricchezza del 50% più povero, e attesta che oggi il loro numero esatto è 92 e non più 85. Oxfam fa una previsione: nel 2016 la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale supererà quella del 99%, rendendo obsoleto persino lo slogan del movimento di Occupy Wall Street.L’1% dei super-ricchi possiede oggi il 48% della ricchezza globale e lascia al restante 99% il 52% delle risorse. Questo 52% è, a sua volta, posseduto da 20% di “ricchi”. Il restante 80% si deve arrangiare con il 5,5% delle risorse. Dal 2010, spiega il rapporto, gli 80 ultra-miliardari della lista stilata da “Forbes” (primo Bill Gates, secondo Warren Buffett, terzo Carlos Slim, quindicesimo Mark Zuckerberg; primo tra gli italiani Michele Ferrero e famiglia) hanno visto le loro ricchezze moltiplicarsi con l’esplosione della crisi globale. Cinque anni fa detenevano una ricchezza netta pari a 1.300 miliardi di dollari. Oggi contano su 1.900 miliardi di dollari. Un aumento di 600 miliardi di dollari, il 50% in termini nominali. Oxfam segnala inoltre una lotta tra i ricchi, visto che il loro numero è diminuito dai 388 del 2010 agli attuali 92 che detengono il volume equivalente alla ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale. Tre miliardi e mezzo di persone si dividono dunque il totale della ricchezza posseduta da queste persone.Nell’élite elencata da “Forbes” c’erano 1645 miliardari nel 2014. Il 30% (492 persone) sono cittadini statunitensi, oligarchi russi, nuovi ricchi cinesi, finanzieri come George Soros e i principi sauditi. Più di un terzo di queste persone ha ereditato, e non prodotto, la ricchezza che detiene, segno che il capitale di produce verso l’alto e non allarga la base della piramide. Il 20% di questi ricchi ha interessi nei settori finanziario o assicurativo dove la ricchezza è aumentata da 1.010 miliardi di dollari a 1.160 miliardi in un solo anno. Nel frattempo sono cresciuti i miliardari che operano nel settore farmaceutico e sanitario. Nel club sono entrati in 29 con un aumento del 47% della ricchezza collettiva, passata da 170 miliardi a 250 miliardi di dollari. I campi biopolitici della cura o della prevenzione delle malattia, così come quello dell’assicurazione contro i rischi, costituiscono uno dei principali fattori dell’accumulazione.Lo strumento principale per ottenere tale risultato è il lobbismo, una modalità alla quale la finanza e le imprese ricorrono per ottenere benefici dalla politica e dagli Stati. Nel 2013, solo negli Usa, il settore finanziario ha speso oltre 400 milioni di dollari per fare lobby. Nell’Unione Europea la stima è di 150 milioni di dollari. Nel vecchio continente, tra il 2013 e il 2014, i super-ricchi sono aumentati da 31 a 39 con una ricchezza pari a 128 miliardi. Un’élite di oligarchi globali contro un mondo di working poors e poverissimi. Sono dati che smentiscono, una volta in più, la pseudo-teoria neoliberista del “trickle-down” (lo “sgocciolamento”). La ricchezza di pochi non traina lo sviluppo capitalistico né la redistribuzione delle ricchezze. Anzi, aumenta le diseguaglianze. Sono sette le proposte di Oxfam per invertire questa tendenza: contrasto all’elusione fiscale, investimenti in salute e istruzione pubblica e gratuita; redistribuzione equa del peso fiscale; introduzione del salario minimo e di salari dignitosi per tutti; parità di retribuzione, reti di protezione sociale per i poveri, lotta globale contro la diseguaglianza. Un’agenda in fondo minimalista per provare a rovesciare la direzione della lotta di classe dal basso verso l’alto.(Roberto Ciccarelli, “La lotta di classe dell’1% ha vinto, ed è insaziabile”, dal “Manifesto” del 20 gennaio 2015, articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”).La ricchezza oggi è insaziabile. Premia sempre di più coloro che hanno già tutto, e toglie ancora di più a coloro che non hanno quasi niente. Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, la Ong Oxfam ha pubblicato il rapporto annuale “Grandi disuguaglianze crescono”, che aggrava lo scenario tracciato solo un anno fa. All’inizio del 2014 Oxfam aveva calcolato che 85 persone possedevano la ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, un dato choc che è stato ultra-citato in questi mesi a controprova del livello di estrema diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e che oggi la lotta di classe esiste, e l’hanno vinta i ricchi. Le nuove stime, effettuate sui dati del Credit Suisse, ricalcolano il numero dei miliardari che nel 2013 possedevano la stessa ricchezza del 50% più povero, e attesta che oggi il loro numero esatto è 92 e non più 85. Oxfam fa una previsione: nel 2016 la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale supererà quella del 99%, rendendo obsoleto persino lo slogan del movimento di Occupy Wall Street.
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Barnard: cosa sono gli speculatori e quanto male ci fanno
«Welcome to the crazed world of “The Masters of the Universe”». Benvenuti nel mondo allucinante dei “Padroni dell’Universo”. E’ un’espressione coniata a Wall Street dai collaboratori del super-speculatore John Meriwether, padrone dell’hedge fund Ltcm, una macchina per fare soldi fittizi truffando con numeri fittizi per miliardi di dollari l’intero mondo. Lavoravano, questi avvoltoi, con una tale feroce maniacalità che all’apice del successo e delle piramidi di coca che gli passarono nel sangue, una notte stapparono un rosso da 7.000 dollari a bottiglia e gridarono: «Siamo i Padroni dell’Universo!». Ltcm collassò nell’orgia finanziaria suicida nel 1998, e si rischiò il collasso della finanza mondiale. Dopo di loro, l’America e l’Europa si accorsero del pericolo nucleare che ’sta gente rappresentava, e corsero ai ripari: ne crearono di peggio.
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Anche Tsipras da Draghi per negoziare la fine della Grecia
Non è difficile comprendere ciò che accadrà in Grecia il 25 gennaio, allorché si voterà per eleggere il nuovo Parlamento dopo i tre scrutini non conclusivi in merito all’elezione del presidente della Repubblica, che si sono consumati in un lampo per la pervicace volontà del leader di “Nuova Democrazia”, Antonis Samaras, di portare il paese alle elezioni anticipate e vincerle dopo aver imposto alla nazione un funzionario dell’Ue come presidente, rassicurando così non tanto i fantomatici mercati, ma la Germania e la tecnocrazia europea sul fatto che nulla sarebbe mutato nel progetto di distruzione pressoché completa della società greca. Essa dovrebbe e potrebbe essere in tal modo consegnata (in ciò che di essa rimane) nelle mani del capitale finanziario internazionale che ne farebbe un’isola (sì!, il paradosso dell’isola delle tremila isole) per ricchi turisti e un’area di transito per le merci che dall’heartland passano per i Dardanelli e l’Egeo, pieno di petrolio e di gas.Mario Draghi in questi mesi ha ricevuto più e più volte Samaras, come ha più e più volte ricevuto il principale protagonista dell’opposizione a questo progetto: il leader di “Syriza”, ossia il buon Alexis Tsipras, che propone un programma in generale assai moderato e tutto “nazionale”, ossia fondato non sul rifiuto dell’euro (così come dicono coloro che vogliono speculare sui ribassi da quasi-panico e lucrare poi guadagni nei rialzi che ne seguono inevitabilmente nelle borse), ma su una schedulazione del debito, ossia una sua gestione condivisa che certamente non può provocare contagio alcuno per la sua piccolezza: 300 miliardi circa di euro sono una bazzecola rispetto alla potenza di fuoco dell’oligopolio finanziario mondiale e dei bilanci degli attori del citato oligopolio, oltreché dell’indimenticabile dispensatrice di sogni mediatici, ossia la Bce con il suo presidente, fascinoso come un attor giovane settecentesco.Ciò che è interessante, tuttavia, non è discettare sull’esito delle elezioni; infatti due cose sono certe: la vittoria di “Syriza” e l’impossibilità che essa avrà di formare un nuovo governo. Il che costringerà a una rinegoziazione del debito sub specie democratica in regime di emergenza. Questo se la Germania non si deciderà a scambiare condivisione di sovranità, e quindi di debito, con esistenza dell’euro. Nessuno vuole uscire dall’euro, ma l’unico modo per rimanervi è trattare e schedulare il debito. L’alternativa sarebbe l’occupazione militare del suolo greco, ma essa è impossibile. La soluzione sarà il congelamento della Grecia in un regime speciale di sorveglianza fiscale e finanziaria, com’è successo già diverse volte alla nazione greca, si ricorra o meno alle elezioni. Questo sarà possibile per ciò ch’io chiamo il paradigma greco. Paradigma analitico di cui mi sono convinto rileggendo il mio vecchio libro edito da Longam nel 1994 (“Southern Europe Since 1945: Tradition and Modernity in Portugal, Spain, Italy, Greece and Turkey”).Occorre riflettere sulla storia greca e sulla dinamica della macchina partitica che già il mio vecchio amico Keith R. Legg, in “Politics in Modern Greece”, aveva magistralmente descritto ben prima di me, per comprendere ciò che succederà. Esiste tuttavia anche un’altra nazione greca, attiva sin dalle guerre civili che segnarono il decennio che va dal 1821 al 1830 e su cui Lord Byron scrisse pagine memorabili. È la nazione dell’altra diaspora, ossia dei milioni di poveri greci emigrati in tutto il mondo e quella che, invece, non emigra e che fonda la tradizione democratica e socialista e comunista greca che attraverserà una tribolata esistenza anch’essa plurisecolare. Alcune famiglie (i Papandreou ne sono l’esempio più eclatante e preclaro) anche in questo caso ne rappresentano il gruppo dirigente, sino a condividere con la diaspora plutocratica usi e costumi, mantenendo tuttavia nella nazione le fonti essenziali della costruzione del potere, a differenza dell’altra nazione diasporico-plutocratica.Dalla dittatura di Metaxas negli anni Trenta del Novecento a quella dei colonnelli nel decennio Sessanta è tutto uno sgranarsi di conflitti in cui la Grecia è eterodiretta oppure fa immensi sforzi per liberarsi dall’eterodirezione. Come? Con politiche di ogni sorta, anche clientelari e assistenziali. Ma fa ciò anche il gruppo plutocratico estero, come ha dimostrato negli anni Novanta “Nuova Democrazia”, dominata allora dall’altra famiglia simbolo, i Karamanlis, con i brillanti risultati raggiunti truccando i conti e falsificando i bilanci dello Stato pur di entrare nell’euro. L’euro e la tecnocrazia antinazionale, del resto, è il regime più idoneo per l’ala plutocratica greca che si trova in tal modo a governare nel modo più consono alla sua storia che, come ho cercato di dimostrare, non è l’intera storia greca. Per questo le elezioni del gennaio 2015 sono così importanti nella storia europea. Perché lo sono in forma culturalmente cogente per l’intera storia greca e per i rapporti tra nazione e internazionalizzazione che sovradeterminano anche la storia di questa dimidiata “patria byroniana”.Una vicenda del resto non dissimile in molti punti dalla storia italiana e che quindi noi dovremmo seguire con grande partecipazione intellettuale. Il paradigma è quello di una nazione a precocissima parlamentarizzazione e ad altrettanto precoce larghissimo suffragio che si crea dal basso con forti radici popolari e un’immensa eco culturale in tutto il mondo civilizzato dell’epoca Il popolo greco, contadini e intellettuali déraciné in primis, insorge contro i turchi nel 1821 e nel 1829 raggiunge l’autonomia dall’Impero ottomano per ottenere, dopo intestine lotte civili, l’indipendenza nel 1830. Certo, Francia, Regno Unito (a Londra si firmò la dichiarazione d’indipendenza, del resto) e Russia appoggiano questa lotta in funzione anti-ottomana, ma immediatamente il prezzo che la nazione paga è l’imposizione di un re bavarese, Ottone I. La lotta tra le opposte fazioni facilita questa sottomissione. Ottone rappresenta quel settore cosmopolita della società e della cultura greca: la sua plutocrazia oligarchica e diasporica. Ancora oggi gli armatori greci godono dalla clausola costituzionale – costituzionale, si badi bene! – per cui essi non pagano tasse e possono legalmente battere bandiere straniere pur considerandosi cittadini greci.Ecco il mio paradigma. Il paradigma greco è quello di una nazione spaccata in due. L’oligarchia dominante che da più di due secoli esercita il potere di fatto è diasporica: ossia in Grecia, paradossalmente, laddove (se si appartiene alle classi alte) si studia, ci si forma e si domina la nazione è l’estero e non ciò che in altri contesti culturali è “la patria”. Si governa da più di due secoli la nazione, in primis, dai centri del capitale finanziario internazionale, non da Atene o da Salonicco. Un tempo solo da Londra, oggi anche da New York. Giova ricordare che la più interessante, libera e colta rivista greca, indispensabile per studiare e conoscere la Grecia, è edita a New York e il suo titolo è tutto un programma e un destino insieme, “Journal of Hellenic Diaspora”, una rivista di cui non si può far a meno, non solo per conoscere e seguire i problemi della Grecia, ma anche della regione turco-balcanica.Non ci sono problemi reali di default europeo e, se ce ne fossero, per i greci sarebbe meglio di questa lenta agonia somministrata come brevi permanenze nei lager. Anche se l’arroganza di persone come il povero Wolfgang Schaeuble, le quali avvertono i greci che qualsivoglia sia la loro decisione di voto nulla cambierà rispetto ai dettati europei, ossia della Troika, è veramente da commiserare ed esprime in forma plastica e icastica che ciò che l’ordoliberalismus invera è la fine della democrazia e la sua trasformazione in un’oligarchia dei ricchi e dei potenti, ovvero una plutocrazia: quella forma di governo, insomma, tanto osteggiata dal grande Tocqueville, il quale, guarda caso, è uno dei pensatori meno citati di questi tempi. Con Schaeuble è quasi impossibile prendersela, ma con l’ordoliberalismus sì, e verrà il giorno in cui la miseria dei dioscuri della distruzione della società salterà agli occhi di tutti.(Giulio Sapelli, “Il futuro dell’Italia è in Grecia”, da “Il Sussidiario” del 1° gennaio 2015).Non è difficile comprendere ciò che accadrà in Grecia il 25 gennaio, allorché si voterà per eleggere il nuovo Parlamento dopo i tre scrutini non conclusivi in merito all’elezione del presidente della Repubblica, che si sono consumati in un lampo per la pervicace volontà del leader di “Nuova Democrazia”, Antonis Samaras, di portare il paese alle elezioni anticipate e vincerle dopo aver imposto alla nazione un funzionario dell’Ue come presidente, rassicurando così non tanto i fantomatici mercati, ma la Germania e la tecnocrazia europea sul fatto che nulla sarebbe mutato nel progetto di distruzione pressoché completa della società greca. Essa dovrebbe e potrebbe essere in tal modo consegnata (in ciò che di essa rimane) nelle mani del capitale finanziario internazionale che ne farebbe un’isola (sì!, il paradosso dell’isola delle tremila isole) per ricchi turisti e un’area di transito per le merci che dall’heartland passano per i Dardanelli e l’Egeo, pieno di petrolio e di gas.
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Walking Dead, zombie cannibali: siamo carne da macello
Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.La Siria, l’Iraq, la Libia e l’Afghanistan crollano verso una guerra religiosa senza fine. Abbiamo addirittura passeggeri aerei che spariscono misteriosamente in Asia senza lasciare traccia. La Crimea si è staccata dall’Ucraina per appartenere alla Russia ed è stato messo in moto un piano da parte delle potenze occidentali per punire la Russia. L’America supporta e pianifica un rovesciamento da parte di un governo eletto democraticamente in Ucraina. Abbiamo assistito al “false flag” dell’abbattimento di un aereo di linea sopra l’Ucraina da parte del governo ucraino, del quale vengono accusati la Russia e Putin da Obama e dai suoi complici europei. Le agenzie di media portavoce americane hanno ignorato l’occultamento delle trasmissioni di controllo mancanti, le registrazioni della scatola nera e gli indizi evidenti della morte di centinaia di persone innocenti per mano di politici europei. Israele e Hamas hanno ripreso la loro infinita guerra religiosa a Gaza causando migliaia di vittime e distruzione.L’Inghilterra intimorita dalla guerra e dalle minacce finanziare a stento si accorge della secessione della Scozia. La Catalogna continua a premere per un voto di secessione per lasciare la Spagna. Proteste violente sono scoppiate in Spagna, Italia, Francia e anche in Svezia. Turbolenze, proteste e rivolte in Brasile, Venezuela, Argentina e in Messico sono germogliate a causa della rabbia per la corruzione politica, per l’inflazione e per un generale malfunzionamento dell’economia. Si è alzato un polverone tra Cina e Giappone e i giovani di Hong Kong sono scesi in piazza a protestare per la scarsa democrazia concessa dalla Cina nelle elezioni. L’economia mondiale, che subisce il venir meno dello stimolo da parte della banca centrale, sta tornando in una fase di recessione con Germania, Cina e Stati Uniti che si uniscono al declino economico del resto del mondo. E ora, in Africa occidentale scoppia l’Ebola che si è già sparsa in tutto il mondo con la previsione di un’epidemia che potrebbe portare il pianeta in un caos completo.Quello che sta succedendo nel mondo reale rende lo zombie distopico di “Walking Dead” un essere quasi bizzarro. Con un uso brillante del simbolismo e dell’arte figurativa, gli autori di questo show catturano il mondo nella sua essenza violenta, caotica, inumana, deprimente e brutale come il periodo di crisi “Fourth Turning” nel quale siamo entrati nel 2008 e che si intensifica di giorno in giorno. C’è una buona ragione per cui il primo episodio della quinta stagione ha stabilito il record di ascolti nella storia della Tv via cavo. La serie sta chiaramente prendendo a piene mani dallo stato d’animo che pervade la massa. Prima, nell’ultimo episodio della serie precedente, ci si rende conto che Terminus è diventato un centro di produzione gestito dai cannibali. La linea di confine tra vittime e criminali, tra preda e cacciatore, tra male e bene, tra follia e sanità mentale, tra morale e immorale ha contorni sfumati e indefiniti. Tutto diventa relativo, nel mondo post-apocalittico di “Walking Dead”.Vedere i cannibali di Wall Street andarsene indenni dopo aver divorato il sistema economico mondiale nel 2008 con i loro calcoli finanziari fraudolenti, vedere i politici corrotti arricchitisi buttando coloro-che-pagano-le-tasse sotto un autobus, le forze di polizia calpestare il Quarto Emendamento, la Nsa sorvegliare ogni cittadino americano, una banca centrale privata arricchire i suoi azionisti facendo transitare migliaia di miliardi nelle loro camere blindate, un presidente calpestare la Costituzione emanando ordini che scavalcano gli altri rami del governo e ancora miliardi di frodi, fiscali e del welfare, dai ghetti urbani fino alle suite-attico di New York; tutto ciò ha convinto gran parte degli americani che tutto sia relativo e che niente importi davvero nel nostro mondo distopico e corrotto. Giusto e sbagliato non contano più. La morale è un concetto antico. La fedeltà alla Costituzione è una consuetudine fuori moda. La nostra società inneggia e accetta il paradigma dell’homo homini lupus. O lo zombie che mangia qualsiasi cosa, nel caso di “Walking Dead”.La comunità Terminus ricorda il campo di concentramento nel film Shindler’s List. Ci sono addirittura vagoni per i prigionieri, cancelli con filo spinato, guardie armate e un numero infinito di attrezzature per “processare” i prigionieri. Un fitto fumo nero impregna l’aria. C’è una stanza piena della refurtiva ben impilata, orsacchiotti, orologi, vestiti di tutto tranne le otturazioni d’oro. La precisione e l’attenzione al dettaglio tanto cara ai nazi si riflettono nel metodo professionale con cui gli amministratori di Terminus stanno per divorare le loro prede. La raccapricciante efficienza e l’ambiente antisettico dell’impianto di preparazione evocano il ricordo delle camere a gas dell’Olocausto. La scena iniziale quando Rick, Daryl, Glenn e Bob sono in mezzo a un gruppo di uomini in fila pronti per essere sventrati come maiali, attorno a una mangiatoia in attesa che venga raccolto il loro sangue, può essere a buon diritto una delle scene più terribili mai messa in onda sulla Tv via cavo.Il modo freddo e spietato in cui i prigionieri (la carne da macello) sono allineati di fronte a un’inossidabile mangiatoia d’acciaio è sconcertante e agghiacciante. Le vittime sono colpite con una mazza da baseball e le loro gole vengono squarciate da uomini con tute protettive. Non sono diventati altro che carne pronta per essere macellata e consumata dai cannibali di Terminus. In un’ altra parte dell’impianto di “macellazione” si vedono essere umani appesi a dei ganci esattamente come pezzi di carne. Gareth, il leader di Terminus, supervisiona l’operazione come un perfetto amministratore delegato, rimproverando i macellai per non essere arrivati alla quota stabilita e per non aver seguito le procedure standard. Situazione non molto diversa da come vengono gestite le grandi aziende oggigiorno. L’altra affascinante similitudine tra il distopico “incubo del volere” rappresentato in Terminus e il nostro moderno distopico “regno dell’eccesso” è l’uso di una pubblicità falsa e una propaganda che induce i consumatori in trappola.La loro versione dei cartelloni pubblicitari era compensata da messaggi scritti a mano della serie “Un rifugio per tutti”, “Una comunità per tutti” e “Coloro che arrivano sopravvivono”. I cannibali di Terminus si sarebbero trovati benissimo in Madison Avenue con gli artisti Spinart meglio pagati, i divulgatori e le puttane per gli oligarchi delle banche. I cartelli lungo le rotaie e le trasmissioni radio da parte di un call center mostrano la business efficiency con cui i cannibali conducono le loro vittime al macello. È la stessa tecnica utilizzata dagli apostoli di Edward Bernays per manipolare in maniera consapevole e intelligente le abitudini, le opinioni, i gusti, le idee e le azioni delle masse per poterle controllare in ciò che comprano e nelle decisioni di voto e per sostenere le loro regole. Gli uomini invisibili che costituiscono il “governo invisibile” prediligono la tecnica di mantenere il bestiame docile, fedele e ignorante dato che lo porteranno al macello.Il governo e l’assenza di governo sono il torbido retroscena di come e perché gli Stati Uniti siano finiti nel mondo infetto di “Walking Dead”. Questo episodio fornisce alcuni indizi su come i laboratori del governo producano virus come armi da usare contro non meglio definiti nemici. L’insinuazione che traspare nel racconto è che il governo abbia in qualche modo perso il controllo del virus e che la conseguente pandemia abbia distrutto il mondo moderno lasciando i sopravvissuti a combattere contro gli zombie per il poco che è rimasto. Il governo federale ha causato il collasso della società ed è assente ed introvabile nel momento in cui bisogna ricostruire la nazione. Non è chiaro come l’apocalisse finisca, ma si può immaginare che inizi con paura, la quale porta al panico, al caos, al crollo economico, a uno sconvolgimento violento, alla guerra, a un totale collasso dell’autorità e del controllo da parte del governo. Si può leggere dell’ironia nel fatto che la paura che l’Ebola diventi un’epidemia pandemica coincide con un’inevitabile implosione economica, con le guerre che risuonano in Medio Oriente, con le violente proteste in tutto il mondo, e con la fiducia nell’autorità dei governi che crolla in un solo momento.“Walking Dead” ha intenzionalmente o meno catturato l’essenza della nostra epoca turbolenta. Quando si affrontano circostanze disperate, o si fa tutto il possibile per sopravvivere o si accetta sommessamente il proprio destino e si muore. Gareth e la sua schiera di cannibali sono nella stessa situazione, così come Rick e i suoi, ma sono riusciti in qualche modo a cambiare la situazione dei loro carcerieri. Nella comunità di Gareth la sopravvivenza del più forte era secondo il motto “o sei il macellaio o sei carne da macello”. L’essere umano reagisce in modi diversi a una forte pressione e alle situazioni di minaccia che capitano nella vita. Alcune persone vengono annientate e diventano dei mostri, come Gareth. Alcuni vengono annientati e perdono la testa. Altre, come Rick e Carol, mettono insieme una grande forza interiore per fare tutto il possibile per sopravvivere cercando di mantenere il loro buon senso. Altri si convertono in ciechi sostenitori di un leader forte senza mettere in discussione la morale, la legalità e il buon senso di quello che sono chiamati a fare. La linea tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è necessario e non necessario, tra la vendetta e la giustizia, tra il macellaio e la carne da macello appare sfumato in un mondo senza regole, governo e norme accettate.Credo che l’analogia del macellaio e della carne da macello sia purtroppo un valido memo del mondo nel quale stiamo vivendo. Nel mondo di “Walking Dead” gli individui devono scegliere tra il macellaio o la carne da macello. È un mondo darwiniano costituito da coloro che uccidono e da coloro che vengono uccisi. Gli individui solidali con valori e obiettivi comuni formano una comunità e cercano di portare un ordine nel mondo caotico in cui vivono. La comunità di Westbury, presieduta dal governatore e la comunità di Terminus, diretta da Gareth, sono fondate sul male e alla fine sono distrutte. La comunità di Rick è costituita da guerrieri liberi che fanno il necessario per sopravvivere, ma controllano la loro umanità, dignità e il loro desiderio di creare un mondo migliore. Il mondo nel quale viviamo oggi potrebbe non essere brutale come quello di “Walking Dead”; e anche se il confine tra la realtà e la finzione è spesso indefinibile quando si sfogliano i giornali, quello tra macellaio e carne da macello è chiaro.I governanti eletti e non eletti dello Stato sono i macellai, sono coloro che spediscono fuori dal paese i giovani a morire per compagnie di petrolio e trafficanti d’armi, coloro che impoveriscono il popolo attraverso l’inflazione e il controllo sulla moneta e allo stesso tempo si arricchiscono attraverso il completo controllo della politica, della finanza, della giustizia e dei sistemi economici. Questa classe dirigente, o governo invisibile come lo descrive Bernays, è dedito al proprio arricchimento e alla perpetuazione. Il suo scopo, le risorse finanziarie, e la ricchezza globale lo pongono di per sé dalla parte dei predatori. La gente comune rappresenta la carne da macello. Ci stanno tenendo buoni con un’incessante propaganda da parte dei media principali; i messaggi pubblicitari su Madison Avenue; siamo nutriti con dati economici filtrati, aggiustati, manipolati da parte delle agenzie statali; un infinito rifornimento di iGadgets e altre distrazioni elettroniche; l’educazione statale organizzata per mantenerci ignoranti; 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 di reality show su seicento canali diversi per tenerci occupati; cibo tossico e industriale per tenerci obesi e mansueti; e una scorta infinita sull’indebitamento di Wall Street per tenerci intrappolati nelle nostre stesse ali senza speranza di scappare. Lo Stato macellaio ha mantenuto il controllo per decadi, ma stiamo entrando in una nuova era.Il libro “The Fourth Turning” fa capire che i ruoli sono cambiati e questa volta tocca ai macellai. Un po’ di bestiame da macello si sta svegliando dallo stupore. Riescono a vedere il sangue delle scritte nelle mura del macello. Chiunque non stia vedendo un cambiamento drammatico nel proprio stato o è uno zombie senza coscienza o un funzionario dello Stato. Le bravate finanziarie della classe alta non si stanno rivelando altro che un schema Ponzi costruito sulle fondamenta del debito e sostenuto da delusione e ignoranza. Quando the House of Cards crollerà in futuro, il gioco cambierà. Quando le persone non avranno più niente da perdere, andranno fuori di testa. I macellai diventeranno la carne da macello. Non ci sarà riparo per questi uomini del male. Il loro regno del male verrà spazzato via in un turbinio di castigo morte e distruzione. Ciò potrebbe anche rendere “The Walking Dead” una passeggiata nel parco, a confronto.(“Benvenuti a Terminus”, intervento pubblicato il 16 ottobre 2014 da “The Burning Platform”, blog gestito da Jim Quinn, e tradotto da “Come Don Chisciotte”; ripetuti i riferimenti al libro “The Fourth Turning”, dei sociologi William Strauss e Neil Howe).Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.
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Il 2015? Peggiore del 2014 e purtroppo migliore del 2016
Una previsione facile facile: il 2015 sarà sicuramente peggiore del 2014. In compenso sarà migliore del 2016. Abbiamo finito l’anno sotto il segno del Patto di Stabilità. Che è quello che precede la stabilità definitiva, il rigor mortis, l’immobilità che accompagna la dipartita. Il paese è allo sfacelo: industriale, tecnologico, organizzativo, morale. Il Jobs Act è espressione misteriosa nei suoi dettagli esecutivi, ma chiarissima nel suo significato finale, nel “vettore di uscita”: licenziamenti sempre più facili, introduzione per legge del diritto dei padroni di licenziare i dipendenti. E, cosa ancora più strategicamente importante: eliminazione di fatto della contrattazione collettiva. Così ogni lavoratore è solo contro chi gli dovrebbe dare lavoro. Cioè impossibilitato a difendersi. In questo modo un’altra fetta importante del reddito nazionale sarà trasferita dai più poveri ai più ricchi. Ovvio che “crescere”, in questa prospettiva, sarà impossibile, poiché la massa di denaro che viene sottratta ai più poveri equivarrà a ridurre la massa di denaro destinata ai consumi (essendo evidente che i più ricchi non potranno, neanche se volessero, spendere il troppo che hanno a disposizione). Che equivale a tagliare il ramo su cui si è seduti.Ma aspettarsi da questi signori una visione strategica è come sperare nella Befana. Tutti potrebbero capirlo, ma il fatto è che la gente comune non ha letto Aristotele, e quindi non sa che è impossibile che chi è troppo ricco «segua i dettami della ragione». Chi è ricco vuole sempre essere «più ricco». Solo i poveri pensano che si accontenterebbero se fossero ricchi: appunto perché non sono ricchi! I dati lo dimostrano. Nell’ultimo decennio, il 10% del reddito nazionale è stato prelevato dalle tasche dei più poveri per andare ai più ricchi. E non basta, perché ne vogliono ancora di più. Una specie di bulimia invincibile. Renzi è il loro uomo. L’hanno portato al potere con il consenso del 40% degli italiani. Non è vero per niente, ma questo lo pensano tutti. In primo luogo i giornalisti e i commentatori. In realtà Renzi l’ha scelto meno del 20% degl’italiani. Ma, in virtù della legge elettorale, il suo potere è praticamente assoluto. Ecco perché il 2015 sarà peggiore del 2014: perché gl’italiani non hanno letto Aristotele (“La politica”), laddove dice che «le Costituzioni rette sono quelle che hanno di mira il bene comune».A parte l’espressione comica dell’“avere di mira”, che fa venire in mente un cecchino che sta sparando sul “bene comune”, è chiaro cosa Aristotele intendeva dire: tenetevi una Costituzione Retta, se già ce l’avete, altrimenti vi verrà data una Costituzione Storta, che è quella che ha di mira l’estensione della ricchezza e del potere dei più ricchi. E’ proprio quello che è accaduto: avevamo un Costituzione Retta, e ce la siamo fatta scippare. Non c’è già più, sostituita da una Costituzione Storta. Dove la gente non ha più non solo un reddito accettabile, ma nemmeno gli strumenti per difendersi. La gente, le masse, sono state trasformate in individui isolati, in monadi sole, che si specchiano nello schermo di un computer, o di un televisore. Epicuro, l’inventore dell’idea di monade, è morto da tempo e non c’è nessuno che spieghi alle genti che, se vogliono liberarsi, dovranno aprire una finestra e guardare fuori da se stessi.Sembra – stando a uno studio di Tullio De Mauro – che un discreto 40% di italiani (che sanno tutti leggere e scrivere) non sia più in grado di capire bene quello che legge e, soprattutto, quello che vede in tv. Così tu credi di comunicare, ma nessuno ti capisce. Altro che finestre da aprire! Che fare nel 2015? Cambiare il vocabolario odierno e tornare a quello di prima. Quello con cui fu scritta la Costituzione Retta del 1948. Per esempio, con quel vocabolario si potevano dire cose semplici e comprensibili. Come questa: i nani proprietari universali, cioè i banchieri, ci stanno portando in guerra. La gente ancora capisce cosa significa guerra. Banchiere è cosa nota. Nano è un po’ più difficile da capire, essendo una metafora. Ma s’intende qui “nano intellettuale”, cioè persona che capisce poco quello che fa e dice lui stesso. Questi vogliono fare la guerra perché sanno che il loro castello di carte si sta rompendo. E pensano che con la guerra, che tutto distrugge, noi non ci accorgeremo di niente. Cosa pensate a proposito del prezzo del petrolio? Che scenda perché lo dicono le leggi del mercato? Niente affatto. Non ci sono leggi di mercato in questo casino che affonda. Scende perché Washington vuole abbattere la Russia e l’Iran e poi andare all’assalto di Pechino. E’ una dichiarazione di guerra “di carta”, dove brucerà molta carta (i nostri risparmi), prima di trasformarsi in una guerra vera, con armi del tutto nuove che noi non conosciamo nemmeno.Loro pensano di salvarsi, perché sanno che saranno le genti, cioè noi, che ci romperemo per primi l’osso del collo. Il che è vero, verissimo. Ecco perché ci serve, urgentemente, il vecchio vocabolario dove le parole erano italiane e chiare. Dove se dicevi “fuori” voleva dire fuori. Ecco io propongo che il 2015 dica: «Fuori l’Italia dalla Nato e fuori la Nato dall’Europa». Cominciamo da qui. In guerra ci vadano loro. Noi non abbiamo nemici e abbiamo ancora qualche pezzo di una Costituzione Retta da difendere, per esempio l’articolo 11. Spendiamo 70 milioni di euro al giorno (ho scritto “al giorno”) per tenere in piedi una Difesa che non serve a nulla. Cioè che serve a “loro”. In caso di guerra non reggerebbe dieci minuti. Quei denari potremmo usarli per sviluppare l’agricoltura, e l’industria, e la scuola e moltiplicare i posti di lavoro. Magari non ci riusciamo, perché siamo monadi un po’ istupidite, ma non è che siamo – collettivamente intesi – peggio dei nani di cui sopra. In ogni caso, se aprissimo qualche finestra, almeno il giro sulla giostra attorno al sole sarebbe più bello, avrebbe un senso per noi e i nostri figli. Sarebbe un buon anno, invece che “il loro anno”.(Giulietto Chiesa, “Pane e al pane e vino al vino”, da “Il Fatto Quotidiano” del 1° gennaio 2015).Una previsione facile facile: il 2015 sarà sicuramente peggiore del 2014. In compenso sarà migliore del 2016. Abbiamo finito l’anno sotto il segno del Patto di Stabilità. Che è quello che precede la stabilità definitiva, il rigor mortis, l’immobilità che accompagna la dipartita. Il paese è allo sfacelo: industriale, tecnologico, organizzativo, morale. Il Jobs Act è espressione misteriosa nei suoi dettagli esecutivi, ma chiarissima nel suo significato finale, nel “vettore di uscita”: licenziamenti sempre più facili, introduzione per legge del diritto dei padroni di licenziare i dipendenti. E, cosa ancora più strategicamente importante: eliminazione di fatto della contrattazione collettiva. Così ogni lavoratore è solo contro chi gli dovrebbe dare lavoro. Cioè impossibilitato a difendersi. In questo modo un’altra fetta importante del reddito nazionale sarà trasferita dai più poveri ai più ricchi. Ovvio che “crescere”, in questa prospettiva, sarà impossibile, poiché la massa di denaro che viene sottratta ai più poveri equivarrà a ridurre la massa di denaro destinata ai consumi (essendo evidente che i più ricchi non potranno, neanche se volessero, spendere il troppo che hanno a disposizione). Che equivale a tagliare il ramo su cui si è seduti.
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Il paradiso di Severgnini, questo falso Occidente criminale
È ancora possibile, a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, ridurre i conflitti che agitano il mondo globale a una contrapposizione bipolare fra “il mondo libero” (appellativo classicamente riferito – ça va sans dire – all’Occidente) e un “impero del male” che (venuto a mancare lo spettro del comunismo) viene ora identificato con un variegato schieramento di “mostri” cui si tenta di attribuire un’improbabile identità comune? Sembrerebbe un’azzardata operazione retrò, ma ciò non ha impedito a Beppe Severgnini di provarci sulle pagine del “Corriere della Sera”. Vediamo in primo luogo come Severgnini – emulo del Dottor Frankenstein – cerca di costruire la figura di un grande Nemico assemblando pezzi eterogenei di movimenti e Stati “canaglia” (“i nuovi Erode”). In cima alla lista, prevedibilmente, i movimenti integralisti islamici sparsi per il mondo (Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, stranamente manca l’Afghanistan).E poco importa se questi movimenti hanno storie e radici socioculturali diverse nelle diverse situazioni, tanto ormai si può giocare sul luogo comune di un Islam radicale globalizzato e omologato che esiste solo nell’imaginario dei media del “mondo libero” (salvo poi dover fare i salti mortali come in Siria, dove il mostro Bashar al-Assad e i “terroristi” del Pkk curdo vengono ora considerati alleati nella lotta contro i super mostri dell’Isis). Subito dopo la “cleptocrazia” di Putin che tenta di “riesumare la Grande Russia” aggredendo l’Ucraina; e qui – a parte la faccia tosta di definire cleptocrazia il regime russo quando si è cittadini della nazione più corrotta del mondo, come hanno appena dimostrato gli scandali Mose, Expo e Roma Mafia – c’è una palese inversione della realtà storica, visto che ad assediare la Russia e a tentare di colonizzare i paesi ex comunisti dell’Est Europa è stato semmai, dopo il 1989, proprio il “mondo libero” occidentale.Infine l’eterno, ridicolo (per la sua irrilevanza geopolitica) bersaglio di Pyongyang, un regime da operetta che viene presentato come una terribile minaccia per la libertà, solo per avere orchestrato alcuni attacchi informatici contro la Sony, che ha prodotto un film satirico in cui si dileggia il regime nordcoreano (nel mondo libero non si censura: ci si limita a nascondere al pubblico la verità, come hanno dimostrato le rivelazioni di Assange e Snowden, i quali, per avere rovinato l’immacolata immagine dei campioni della libera informazione, sono ora costretti a vivere in esilio). Questi “nuovi Erode” possono farci paura, tuona Severgnini, ma non si illudano: essi non possono vincere; a vincere saremo noi, il mondo libero occidentale, e lo faremo con la forza delle idee e non con la violenza (peccato che sulla testa delle centinaia di migliaia di civili massacrati in Iraq e in Afghanistan, per tacere delle tante altre guerre combattute in nome della libertà, siano piovute bombe e non idee). Ma vediamo quali sono queste idee vincenti.Pace (abbiamo appena accennato ai virtuosi massacri spacciati per guerre umanitarie); benessere (la crisi iniziata nel 2008 ha svelato la realtà di un mondo in cui le disuguaglianze sono tornate ai livelli dell’800 e dove all’arricchimento smisurato di un pugno di esponenti dell’alta finanza corrisponde l’immiserimento di milioni di cittadini comuni); istruzione (vogliamo parlare dei costi di un’istruzione superiore che torna ad essere appannaggio di ristrette élite?); tolleranza (quella di un paese “libero” come gli Stati Uniti, dove migliaia di cittadini di colore disarmati vengono assassinati da poliziotti che non solo non rischiano di essere incriminati ma conservano anche il posto?), rispetto per le donne (anche se dietro la retorica del politically correct si nasconde la realtà di un lavoro femminile che continua a essere sottopagato, per tacere dei femminicidi perpetrati nelle normali famiglie borghesi).Che dire poi della presunta superiorità del mercato garante di libertà e democrazia: finché dovremo ancora ascoltare questa baggianata? È vero che è passato molto tempo da quando i regimi nazifascisti si sono dimostrati del tutto compatibili con il libero mercato, ma oggi, con la Cina totalitaria che si avvia a diventare la maggiore potenza capitalistica mondiale, siamo di fronte a una smentita ancora più clamorosa. Insomma, se questi sono i suoi “valori”, allora non solo è possibile che l’Occidente perda, ma si può dire che ha già perso, perché di quei valori non ne è rimasto in piedi nemmeno uno: a combattere i “nuovi Erode” non c’è Gesù, ma un vecchio Erode non meno feroce dei suoi nemici. Eppure, scrive Severgnini, i migranti rischiano ancora la vita in mare «per un pasto, un letto, un ospedale, una strada in cui non bisogna tremare di paura davanti a un poliziotto». Rischiano la vita perché a casa loro crepano di fame, ma qui, più che pasti, letti e ospedali, trovano squallidi ghetti assediati da folle razziste (do you remember Tor Sapienza?) e, se non subiscono passivamente qualsiasi angheria, o se sono “irregolari”, tremano eccome davanti a un poliziotto.Alla fine, quasi prevedendo le sarcastiche obiezioni avanzate in questo articolo, Severgnini le rintuzza con il solito refrain: «Eppure il mondo ci riconosce che, per adesso, non s’è inventato niente di meglio della democrazia e del mercato». È l’argomento con cui il pensiero unico neoliberista cerca di legittimare, sia pure con argomenti di basso profilo (“in fondo non abbiamo niente di meglio”), la propria egemonia culturale. Ed è proprio sul piano culturale, prima ancora che su quello politico, che occorre lavorare per smontarlo, come alcuni (non moltissimi purtroppo) cercano di fare. Uno di questi era Hosea Jaffe, un economista sudafricano morto qualche giorno fa in Italia, dove ha vissuto i suoi ultimi anni di vita. Marxista eretico (i marxisti ufficiali non gli perdonavano di avere rinfacciato alle sinistre occidentali la loro complicità con il colonialismo), iconoclasta fino ad accusare gli stessi Marx ed Engels di eurocentrismo non senza venature razziste, Jaffe è stato in prima fila nelle lotte contro diversi regimi coloniali e neocoloniali africani, e si è battuto perché partiti e sindacati occidentali riconoscessero che parte delle loro conquiste salariali e sociali erano finanziate dal supersfruttamento dei popoli del Terzo Mondo.Oggi le sue idee trovano una sia pure parziale applicazione nelle lotte di quei movimenti sudamericani, africani e asiatici che hanno cominciato a capire di doversi inventare un’alternativa globale al “mondo libero”. Possiamo solo sperare che lavorino abbastanza in fretta per impedire che la rabbia dei milioni di disperati esclusi dai nostri “paradisi” trovi rappresentanza solo da parte dei nuovi Erode di cui sopra. Senza dimenticare che quella rabbia inizia a montare anche qui e, in assenza di un’alternativa di sinistra credibile, rischia di imboccare la strada che aveva imboccato negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, una strada in fondo alla quale ci aspetterebbero orrori peggiori di quelli che oggi inquietano i sogni dei pacifici borghesi occidentali.(Carlo Formenti, “Severgnini e la vecchia retorica del mondo libero contro l’impero del male”, da “Micromega” del 22 dicembre 2014).È ancora possibile, a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, ridurre i conflitti che agitano il mondo globale a una contrapposizione bipolare fra “il mondo libero” (appellativo classicamente riferito – ça va sans dire – all’Occidente) e un “impero del male” che (venuto a mancare lo spettro del comunismo) viene ora identificato con un variegato schieramento di “mostri” cui si tenta di attribuire un’improbabile identità comune? Sembrerebbe un’azzardata operazione retrò, ma ciò non ha impedito a Beppe Severgnini di provarci sulle pagine del “Corriere della Sera”. Vediamo in primo luogo come Severgnini – emulo del Dottor Frankenstein – cerca di costruire la figura di un grande Nemico assemblando pezzi eterogenei di movimenti e Stati “canaglia” (“i nuovi Erode”). In cima alla lista, prevedibilmente, i movimenti integralisti islamici sparsi per il mondo (Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, stranamente manca l’Afghanistan).
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Arrivano i Buoni: filantropia finanziaria, business del dolore
Geldof, Bono Vox, Soros e compagnia filantropica cantante hanno scoperto cosa significa “investire 1 euro e ottenerne 2,74 euro in un anno”. Quale investimento vi garantisce oggi un rendimento del 174%? Conseguentemente hanno investito un bel po’ di soldi in quelle operazioni di “tanto cuore, poco cervello”. O forse sono operazioni di “tutto cervello e niente cuore”? Non so, fate voi. Non credo che la truffa di One (Bono) o di Band Aid sia molto diversa dalla truffa dell’Open Society (Soros). Fatto sta che venendo meno lo Stato di diritto, sostituito dallo Stato di dovere (ve ne eravate accorti?), al cittadino viene imposto l’obbligo morale di fare ciò che fino a prima lo Stato faceva, ovvero normare la perequazione e finanziare il diritto. L’imperativo morale che ci sovrasta è fornire montagne di soldi a carrozzoni che dovrebbero (notate il condizionale) aiutare le persone o i popoli in difficoltà, dando così la possibilità agli squali della finanza di lucrare quel 174% sulla nostra buona fede e sui nostri sensi di colpa. Eppure paghiamo già abbondanti tasse e balzelli, il nostro dovere lo facciamo ogni giorno.Forse avete già intuito che tutti quei soldi vanno a finire nel salvataggio delle banche, o giù di lì. La novità consiste nel donare alla filantropia per permettere guadagni scandalosi alla finanza. Da Tares, Tari, Tasi a Telethon o Band Aid, cosa cambia quindi? L’idea, selvaggia e perversa al tempo stesso, è che noi cittadini dobbiamo salvare il mondo: Stati, banksters e filantropi compresi. Siamo perseguitati dalla tv del dolore che non perde occasione per farci vedere un’umanità sofferente che necessita del nostro aiuto. Sono tempi bui, e, come diceva un utile idiota, «non chiederti cosa lo Stato può fare per te, chiediti cosa TU puoi fare per lo Stato». Era il New Deal, o giù di lì, il massimo dell’espansione dello Stato. Figuriamoci oggi, che lo Stato è in totale recessione: cosa dovremmo fare per soddisfare gli insaziabili appetiti di Ong, Onlus e associazioni umanitarie varie?Ma poi di chi sarebbe la colpa di tutta questa oscena morale? Sono «le regole che hanno permesso agli speculatori di fare quel che hanno fatto» (e che continueranno a fare) dice il buon Soros, aggiungendo che «non è colpa degli speculatori». E ci mancherebbe! Che colpa ne hanno se lo Stato “consiglia” di donare soldi alla speculazione filantropica? Eppoi non facciamone una questione personale: nessun miliardario che si rispetti evita la filantropia, neanche Gates, secondo cui investire in Africa contro malattie e povertà è del tutto simile all’innovazione tecnologica. E porta ai medesimi risultati. L’uomo più ricco del pianeta (66 miliardi di dollari) è convinto che non solo sia giusto interessarsi dei bisogni non recepiti dai mercati, ma anche economicamente interessante. Ecco la nuova frontiera della finantropia (acronimo tra finanza e filantropia): unisci le tecniche del venture capital agli obiettivi del non profit e avrai “venture philanthropy”. La nuova filantropia mette da parte il paternalismo e tenta la sfida degli investimenti finanziari.E’ tutto un proliferare di attività finantropiche, ve ne siete accorti? Il mondo ha bisogno della nostra collaborazione, perchè il mondo sta finalmente cambiando. In questo nuovo quadro che si va delineando il ruolo storico dell’intermediazione e della consulenza finanziaria deve essere ridisegnato. Lo scopo non può essere soltanto quello di massimizzare il rapporto rendimento/rischio del cliente, è invece imperativo un allargamento del processo di investimento che, dal binomio rischio-rendimento, deve estendersi al trinomio sostenibilità-rischio-rendimento. Sappiate che le prestazioni dotate di buon senso e che creano valori sostenibili conferiscono energia al denaro, così che questo genera altro denaro e benessere per tutti allo stesso modo: per i filantropi e per chi riceve il capitale investito o i doni, per le organizzazioni, i collaboratori in seno al progetto e per il fundraiser.Lo Stato di dovere ci impone l’obbligo di aiutare i paesi poveri, e al microcredito è andato addirittura un Nobel. Sapete perchè? Ma perchè dalla filantropia al business il passo è breve, ammesso che esista: il credito a breve – erogato ai piccolissimi imprenditori dei paesi in via di sviluppo – è remunerativo e sicuro. Capito? Come sono stati raccolti questi capitali? Per esempio da fondi pensione svizzeri interessati a diversificare il loro portafoglio cercando investimenti che da una parte offrono un rendimento superiore a quelli di mercato, dall’altra rispondono a requisiti di responsabilità sociale. «Possiamo dire che la trasformazione della microfinanza in asset class investibile è nata in Svizzera, soprattutto a Ginevra». Non vi piacciono i neutrali banchieri svizzeri? Tranquilli che Unicredit ha ciò che fa per voi: “il mio dono” ovvero la rete della solidarietà di Unicredit.Date un’occhiata, ci sono ben 105 pagine di organizzazioni non-profit da scegliere perchè è «giusto interessarsi dei bisogni non recepiti dai mercati», come dice Gates. Cioè il Mercato va allargato a ciò che non è tecnicamente Mercato, come la solidarietà. Insomma la finantropia. Li avete già dati i due osceni euro? Avete già fatto quel fetente Sms per collaborare con quell’importantissimo progetto che salverà migliaia di vite? State dando una mano a Soros e fratelli in affari per diffondere finalmente benessere, democrazia, salute e non ultima della sana felicità nel mondo? NO? FATE SCHIFO! Ps: adesso vi regalo anche un passatempo per le festività: provate a distinguere il mio sarcasmo da ciò che gli avvoltoi finantropici spacciano per verità. Se avete dubbi seguite i link, poi fatemi sapere. Buon Natale, e siate sempre più buoni, mi raccomando. Che loro ci tengono.(Tonguessey, “Finantropia”, da “Come Don Chisciotte” del 24 dicembre 2014)Geldof, Bono Vox, Soros e compagnia filantropica cantante hanno scoperto cosa significa “investire 1 euro e ottenerne 2,74 euro in un anno”. Quale investimento vi garantisce oggi un rendimento del 174%? Conseguentemente hanno investito un bel po’ di soldi in quelle operazioni di “tanto cuore, poco cervello”. O forse sono operazioni di “tutto cervello e niente cuore”? Non so, fate voi. Non credo che la truffa di One (Bono) o di Band Aid sia molto diversa dalla truffa dell’Open Society (Soros). Fatto sta che venendo meno lo Stato di diritto, sostituito dallo Stato di dovere (ve ne eravate accorti?), al cittadino viene imposto l’obbligo morale di fare ciò che fino a prima lo Stato faceva, ovvero normare la perequazione e finanziare il diritto. L’imperativo morale che ci sovrasta è fornire montagne di soldi a carrozzoni che dovrebbero (notate il condizionale) aiutare le persone o i popoli in difficoltà, dando così la possibilità agli squali della finanza di lucrare quel 174% sulla nostra buona fede e sui nostri sensi di colpa. Eppure paghiamo già abbondanti tasse e balzelli, il nostro dovere lo facciamo ogni giorno.
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Ho smesso di fare l’avvocato perché la giustizia non esiste
Perché ho smesso di fare l’avvocato? Perché preferisco insegnare il diritto teorico, ovverosia un’utopia, piuttosto che praticarlo. Perché per secoli la giustizia ha sempre condannato povera gente, contadini, schiavi, poveri, e mai i ricchi, i nobili, i potenti. E oggi non è diverso. A essere condannati sono ragazzi tossicodipendenti, contadini, spazzini, casalinghe, senzatetto, malati di mente, al massimo qualche studente. Mai politici, magistrati, architetti, avvocati, notai, agenti dei servizi segreti, poliziotti, carabinieri. Quelli, al massimo, si “suicidano”. Perché mi hanno sempre offerto di più per non difendere alcuni clienti che per difenderli, ove normalmente non si ricava nulla. Perché la stragrande maggioranza degli avvocati e dei magistrati il diritto non lo conosce. E in fondo fa bene, perché il diritto non viene mai applicato veramente. Perché la difesa dei deboli non è mai stata possibile nei secoli scorsi, e non si poteva pensare che dopo millenni di soprusi il cambiamento di un sistema legislativo potesse comportare anche un cambiamento di mentalità.Perché non ci sarà mai una vera giustizia finché non verrà applicato quell’articolo del codice deontologico secondo cui l’avvocato ha il dovere di dire la verità e di collaborare col giudice per la ricerca della verità, ma questo presuppone: che i magistrati cerchino la verità e non il proprio interesse, cosa allo stadio attuale dell’evoluzione umana impossibile; che gli avvocati non colludano col cliente che delinque. Perché nessuno vuole che la giustizia funzioni veramente, e quindi ogni riforma non fa che peggiorare il sistema già traballante, in quanto tra le tante falle del sistema si insinuano e camminano spediti i corrotti, i criminali, i favoriti. Perché nelle cause più importanti ho sempre vinto dove avevo torto e perso dove avevo ragione. Perché in Italia (ma anche all’estero) non c’è mai stato un vero processo per strage, o per un delitto grave, in cui si sia saputa la verità. Perché le leggi sono fatte da chi commette i crimini più innominabili, e quindi sono già pensate in anticipo per mandare assolti i colpevoli.Perché volevo fare l’avvocato per difendere i più deboli, ma poi ho scoperto che spesso il debole non vuole comunque essere difeso veramente e che la vittima spesso collude senza saperlo con il suo persecutore. Perché molti avvocati sono molto più criminali dei criminali che difendono, e i giudici sono molto più criminali dei criminali che condannano. Perché la situazione, oggi, non è diversa da quella descritta da Khalil Gibran un secolo fa; ma del resto è la stessa situazione che esisteva millenni fa. Perché finché ogni giurista troverà normale che sia punito l’omicidio ma si possa andare in guerra a fare milioni morti, che sia punito il furto ma si possano depredare i cittadini di milioni di euro, nessun sistema giuridico potrà mai essere chiamato “giustizia”. Perché se non cambia la società è inutile cambiare il diritto.(Paolo Franceschetti, “Perché ho smesso di fare l’avvocato”, dal blog di Franceschetti del 14 novembre 2014).Perché ho smesso di fare l’avvocato? Perché preferisco insegnare il diritto teorico, ovverosia un’utopia, piuttosto che praticarlo. Perché per secoli la giustizia ha sempre condannato povera gente, contadini, schiavi, poveri, e mai i ricchi, i nobili, i potenti. E oggi non è diverso. A essere condannati sono ragazzi tossicodipendenti, contadini, spazzini, casalinghe, senzatetto, malati di mente, al massimo qualche studente. Mai politici, magistrati, architetti, avvocati, notai, agenti dei servizi segreti, poliziotti, carabinieri. Quelli, al massimo, si “suicidano”. Perché mi hanno sempre offerto di più per non difendere alcuni clienti che per difenderli, ove normalmente non si ricava nulla. Perché la stragrande maggioranza degli avvocati e dei magistrati il diritto non lo conosce. E in fondo fa bene, perché il diritto non viene mai applicato veramente. Perché la difesa dei deboli non è mai stata possibile nei secoli scorsi, e non si poteva pensare che dopo millenni di soprusi il cambiamento di un sistema legislativo potesse comportare anche un cambiamento di mentalità.
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La ricchezza non gocciola: sempre più ricchi, a nostre spese
La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti. Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo. Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della globalizzazione: fin dagli anni Settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; Fmi e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.Il termine trickle-down può essere tradotto con la parola “gocciolamento”. Un’espressione che evoca processi naturali, e che serve a dare alla dottrina un carattere di spontaneità irrefutabile.I neoliberisti sono bravi, in queste narrazioni: l’arbitrio che viene tradotto come libertà di decisione; la subordinazione del bene individuale a quello comune descritta come una prevaricazione indebita dello Stato; la tutela dei più deboli vista come incoraggiamento alle tendenze parassitarie; i meccanismi di previdenza accusati di essere de-responsabilizzanti.(Esempi recenti li troviamo nella retorica della compagine governativa, in particolare quella del nostro caro leader, il facondo Renzi. L’ultimo che mi ha colpito è stata quando a proposito dell’idea di mettere il Tfr in busta paga ha affermato, più o meno, che doveva finire l’epoca dello “Stato-mamma”). In rete mi sono imbattuto in una vignetta che illustra molto bene il concetto di Trickle-down, come ce lo raccontano e come funziona veramente. Molto carina, vero?, ma restava una metafora senza supporto scientifico.Manco a farlo apposta, leggo sul “Washington Post” un articolo di Christopher Ingram a commento del grafico costruito da Pavlina Tcherneva sulla base di dati ricavati dal recente lavoro di Piketty. Il titolo dell’articolo è significativo: “Il deprimente grafico che segue dimostra che i ricchi non si stanno impossessando della fetta di torta più grande: si stanno prendendo tutta la torta”. Il grafico lo trovate qui sotto: rappresenta la distribuzione dell’incremento dei redditi dal secondo dopoguerra a oggi, fra il 10% più ricco della popolazione (in rosso) e il restante 90% (in blu), e dimostra che una quota sempre maggiore di ricchezza prodotta finisce nelle tasche dei più facoltosi. Notare l’inesorabile declino della quota blu a beneficio di quella rossa, culminato con il crollo degli anni ’80 grazie agli effetti della reaganomics e della pretestuosa trickle-down theory. Notare anche come la quota blu non solo è andata diminuendo, ma negli ultimi anni è diventata in termini reali addirittura negativa. Il grafico non dice nulla che non sapessimo o sospettassimo già, ma lo dice in maniera molto eloquente. Va ricordato però che sono dati riferiti alla realtà statunitense. Dati europei, ne sono convinto, mostrerebbero una distribuzione molto più equilibrata. O no?(Mauro Poggi, “Tricke-up, la ricchezza non gocciola”, da “Appello al Popolo” del 1° novembre 2014).La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti. Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo. Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della globalizzazione: fin dagli anni Settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; Fmi e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.
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Monbiot: stiamo tutti male, rassegnati all’era della solitudine
Come possiamo definire questo nostro tempo? Non è il tempo dell’informazione: la sconfitta dei movimenti di educazione popolare ha lasciato un vuoto che ora viene colmato da teorie di marketing e ipotesi di complotti. Come l’età della pietra, quella del ferro e quella dello spazio, l’era digitale ci dice molto sui prodotti, ma poco sulla società. L’antropocene, in cui gli esseri umani producono il maggior impatto sulla biosfera, non basta a differenziare questo secolo dai precedenti venti. Qual’ è l’evidente trasformazione sociale che contrassegna il nostro tempo distinguendolo da quelli che lo hanno preceduto? A me appare ovvio: questa è l’Era della Solitudine. Quando Thomas Hobbes sostenne che nello stato di natura, prima che emergesse un’autorità che esercitasse un controllo, eravamo tutti in guerra “l’uno contro l’altro”, non avrebbe potuto fare un errore più grande. Fin dall’inizio eravamo creature sociali, una sorta di api mammifere, che dipendevano completamente le une dalle altre.Gli ominidi dell’Africa orientale non avrebbero potuto sopravvivere da soli neanche una notte. Siamo costituiti, in misura maggiore rispetto a quasi tutte le altre specie, dalla relazione con gli altri. L’epoca in cui stiamo entrando, in cui viviamo separati, non è simile a nessun’altra epoca precedente. Tre mesi fa abbiamo letto che la solitudine è diventata un’epidemia tra i giovani adulti. Ora veniamo a sapere che è un disagio altrettanto grave nelle persone più anziane. Uno studio dell’“Independent Age” rileva che il disturbo grave da solitudine affligge 700.000 uomini e 1 milione 100.000 donne oltre i 50 anni, e si sta sviluppando ad una velocità impressionante. E’ improbabile che l’Ebola uccida così tante persone quante vengono colpite da questo malessere. L’isolamento sociale è una causa di morte precoce potente quanto il fumo di 15 sigarette al giorno; la ricerca rileva che la solitudine è doppiamente mortale dell’obesità. Le forme di demenza, la pressione alta, l’alcolismo e gli infortuni – come anche la depressione, la paranoia, l’ansia e il suicidio – si presentano più frequentemente quando vengono interrotte le relazioni. Non siamo in grado di stare soli.Certo, le fabbriche hanno chiuso, la gente si sposta in auto invece che con i mezzi pubblici, si collega a YouTube invece di andare al cinema. Ma questi cambiamenti non sono sufficienti, da soli, a spiegare la velocità del nostro collasso sociale. A questi cambiamenti strutturali si è accompagnata una sorta di ideologia di negazione della vita, che rafforza ed esalta il nostro isolamento sociale. La guerra dell’uomo contro l’uomo – in altri termini la competizione e l’individualismo – è la religione del nostro tempo, giustificata da una mitologia che inneggia ai combattenti solitari, agli operatori in proprio, agli uomini e donne che si fanno da soli, e vanno avanti da soli. Per la più sociale delle creature, che non può prosperare senza amore, non è disponibile ora qualcosa di simile alla società, ma solo un eroico individualismo. Ciò che conta è vincere. Il resto sono danni collaterali.I ragazzi inglesi non aspirano più a diventare ferrovieri o infermiere, più di un quinto di loro adesso afferma di “volere soltanto diventare ricchi”: per il 40% del campione considerato, le uniche ambizioni sono la ricchezza e la fama. Un’indagine governativa in giugno ha rivelato che la Gran Bretagna è la capitale europea della solitudine. Siamo meno portati degli altri popoli europei ad avere strette amicizie o relazioni con i nostri vicini. Perché sorprenderci, quando siamo pressati da ogni parte a lottare come cani randagi intorno alla spazzatura? Il riflesso di questo cambiamento è la modificazione del nostro linguaggio. Il nostro più feroce insulto è quello di perdente. Non parliamo più di popolo. Ora parliamo di individui. Questo termine così alienante e atomizzante è diventato talmente pervasivo, che persino le organizzazioni assistenziali che cercano di combattere la solitudine lo utilizzano per descrivere quei bipedi che prima erano conosciuti come esseri umani.Raramente completiamo una frase senza usare il termine personale. “Parlando personalmente (per distinguermi dal pupazzo di un ventriloquo), preferisco amici personali piuttosto che la moltitudine impersonale e coloro che personalmente appartengono al genere che non è il mio. Anche se questa è solo una mia personale preferenza, altrimenti detta la mia preferenza”. Una delle tragiche conseguenze della solitudine è che la gente si consola con la televisione: due quinti delle persone anziane affermano che il dio con un solo occhio (il televisore) è la loro principale compagnia. Questa cura fai-da-te peggiora la malattia. Una ricerca di economisti dell’università di Milano indica che la televisione incentiva le aspirazioni competitive. Questo corrobora fortemente il paradosso reddito-felicità: il fatto che, quando i redditi della nazione aumentano, la felicità non aumenta con essi. L’ambizione, che aumenta con il reddito, fa sì che la meta, la completa soddisfazione, retroceda davanti a noi.I ricercatori hanno rilevato che chi guarda a lungo la televisione ricava meno soddisfazione da un certo livello di reddito rispetto a coloro che la guardano poco. La televisione accelera la giostra dell’edonismo, spingendoci a prodigarci ancor di più per poter mantenere lo stesso livello di soddisfazione. Per rendervi conto del perché questo può accadere, dovete solo pensare alle pervasive vendite all’asta che ci sono ogni giorno in Tv, “Dragon’s Den”, “The Apprentice” e le innumerevoli forme di competizione carrieristica che la televisione propone, l’ossessione generalizzata per la fama e la ricchezza, la pervasiva sensazione, nel vedere tutto questo, che la vita sia altrove diversa da dove siete voi. Allora qual’ è la questione? Che cosa ci guadagnamo da questa guerra di tutti contro tutti? La competizione spinge la crescita, ma la crescita alla lunga non ci fa diventare più ricchi. Le cifre rese note in questa settimana mostrano che, mentre le entrate dei direttori di società sono cresciute di oltre un quinto, i salari della forza lavoro complessivamente sono diminuite in termini reali rispetto allo scorso anno.I capi oggi guadagnano – scusate, voglio dire prendono – 120 volte di più della media dei lavoratori a tempo pieno (nel 2000, il rapporto era di 47 volte). E anche se la competizione ci rendesse più ricchi, non ci renderebbe più felici, poiché la soddisfazione prodotta da un aumento del reddito verrebbe pregiudicata dagli effetti della competizione in termini di ambizione. Oggi l’1% al livello più alto possiede il 48% della ricchezza globale, ma nemmeno queste persone sono felici. Un’indagine del Boston College su persone con una ricchezza media di 78 milioni di dollari ha riscontrato che anche loro sono affette da ansia, insoddisfazione e solitudine. Molti di loro hanno confessato di sentirsi finanziariamente insicuri: per sentirsi al sicuro ritenevano di aver bisogno, mediamente, di circa il 25% in più di denaro. (E se lo ottenessero? Senza alcun dubbio avrebbero bisogno di un ulteriore 25%). Una persona dichiarò che non sarebbe stata tranquilla finché non avesse avuto un miliardo di dollari in banca.Per questo abbiamo distrutto la natura, degradato il nostro modo di vivere, sottomesso la nostra libertà e le nostre prospettive di soddisfazione a un edonismo compulsivo, atomizzante e triste, nel quale, dopo aver consumato tutto il resto, incominciamo a depredare noi stessi. Per questo abbiamo distrutto l’essenza dell’umanità: la capacità di relazionarsi. Certo esistono dei palliativi, programmi brillanti e attraenti come “Men in sheds” e “Walking Football”, creati da enti assistenziali per persone anziane e sole. Ma se vogliamo rompere questo cerchio e tornare a stare insieme dobbiamo affrontare il sistema divoratore del mondo e delle persone, in cui ci siamo cacciati. La condizione pre-sociale di Hobbes era un mito. Ma adesso stiamo entrando in una condizione post-sociale che i nostri predecessori non avrebbero creduto possibile. Le nostre vite stanno diventando orribili, brutali e lunghe.(George Monbiot, “L’era della solitudine”, dal blog di Monbiot del 14 dicembre 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Come possiamo definire questo nostro tempo? Non è il tempo dell’informazione: la sconfitta dei movimenti di educazione popolare ha lasciato un vuoto che ora viene colmato da teorie di marketing e ipotesi di complotti. Come l’età della pietra, quella del ferro e quella dello spazio, l’era digitale ci dice molto sui prodotti, ma poco sulla società. L’antropocene, in cui gli esseri umani producono il maggior impatto sulla biosfera, non basta a differenziare questo secolo dai precedenti venti. Qual’ è l’evidente trasformazione sociale che contrassegna il nostro tempo distinguendolo da quelli che lo hanno preceduto? A me appare ovvio: questa è l’Era della Solitudine. Quando Thomas Hobbes sostenne che nello stato di natura, prima che emergesse un’autorità che esercitasse un controllo, eravamo tutti in guerra “l’uno contro l’altro”, non avrebbe potuto fare un errore più grande. Fin dall’inizio eravamo creature sociali, una sorta di api mammifere, che dipendevano completamente le une dalle altre.
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Bugie mondiali: Shell, Samsung e Gdf-Suez come Pinocchio
Ricchissimi, potentissimi. E soprattutto bugiardi. Al punto da meritarsi il “Premio Pinocchio”, attribuito da una platea di 61.000 persone. A guidare la lista sono tre grandi multinazionali planetarie: Shell, Gdf Suez e Samsung. L’accusa: devastazione ambientale, falsa immagine “verde”, sfruttamento degli operai, lavoro minorile. A “processarle”, a Parigi, sono decine di migliaia di cittadini: un record di partecipazione, che testimonia «la crescente indignazione dei cittadini verso i gravi impatti sociali e ambientali delle attività delle multinazionali», scrivono su “Comune-info” gli attivisti francesi di “Amici della Terra”, organizzatori del premio insieme a “Popoli Solidali – Action Aid France” e al Crid, Centro di ricerca e informazione per lo sviluppo. «Shell – scrivono – ha alzato le mani al cielo con il “Premio Pinocchio” nella categoria “Una per tutti, tutto per me” con il 43% dei voti, per la moltiplicazione dei suoi progetti di estrazione del gas di scisto in tutto il mondo, salvo che in Olanda, suo paese di origine, dove è sottoposta ad una moratoria».Mentre si vanta di svolgere le sue attività rispettando “principi ambiziosi”, scrivono gli “Amici della Terra”, questa multinazionale, come le altre grandi imprese petrolifere, dimostra che il suo comportamento, specie in Argentina e in Ucraina, è ben diverso: «Assenza di consultazioni delle popolazioni, pozzi scavati in zone naturali protette e su terreni agricoli, bacini all’aria aperta per le acque utilizzate per le perforazioni e quindi tossiche, opacità delle operazioni finanziarie». Alla Shell fa compagnia la francese Gdf Suez, “premiata” col 42% dei voti nella categoria “Più verde del verde”, a causa delle sue sbandierate “obbligazioni verdi”. «Lo scorso maggio scorso, questo gigante energetico aveva annunciato con fierezza di aver emesso la più importante “obbligazione verde” che fosse mai stata realizzata da un’impresa privata, raccogliendo due miliardi e mezzo di euro presso degli investitori privati per realizzare i suoi cosiddetti progetti energetici. Ma, osservando con maggiore attenzione l’iniziativa, si poteva rilevare che nessun criterio sociale o ambientale chiaro era associato a queste obbligazioni “verdi” e che inoltre l’impresa non aveva mai reso nota la lista dei progetti finanziati».Gli organizzatori del “premio” sospettano che le “obbligazioni verdi” possano essere serviti anche a finanziare «progetti distruttivi, come ad esempio le dighe di grandi dimensioni, come quella di Jirau in Brasile», che Gdf Suez cita come esempio, «mentre d’altra parte continua a investire massicciamente nelle energie fossili». Primeggia invece nella categoria “Mani sporche, tasche piene”, col 40% dei voti, la coreana Samsung, «per le indegne condizioni di lavoro negli impianti che fabbricano prodotti in Cina: ore di lavoro eccessive, salari da miseria, lavoro infantile». Nonostante ripetute inchieste, appelli della società civile e una denuncia depositata in Francia, «questa impresa leader dell’alta tecnologia si intestardisce a negare tutte queste accuse». Denunciando numerose violazioni dei diritti dei popoli e dell’ambiente, il “Premio Pinocchio” istituito nel 2008 è diventato sempre più importante, per premere sulle imprese chiedendo il rispetto dei diritti umani, dell’ambiente e delle popolazioni. Una strada comunque in salita, ammette Juliette Renaud, degli “Amici della Terra”: «Le pressioni esercitate dalle lobby costringono i governi all’inazione».In Francia, una proposta di legge contro gli abusi delle multinazionali, «non è stata ancora messa in votazione e non è nemmeno iniziata la discussione». Se non altro, agginge la Renaud, «contrapponendo fatti concreti ai bei discorsi delle imprese», il “Premio Pinocchio” mostra che i vuoti giuridici permettono alle imprese di agire in completa impunità, in Francia e nel resto del mondo. Per Fanny Gallois, responsabile delle campagne di “Popoli Solidali – Action Aid France”, «ovunque nel mondo, uomini e donne si mobilitano per far rispettare i loro diritti e per ottenere delle condizioni degne di vita e di lavoro». Il “premio” funge da mefagono, premendo sui governanti: «E’ giunto il momento di considerare le multinazionali responsabili dei danni che causano». Secondo Pascale Quivy, del Crid, i decisori politici europei non dovrebbero sottovalutare la crescente popolarità del “Premio Pinocchio”, «emanando delle norme vincolanti per le imprese in materia di responsabilità sociale, ambientale e fiscale», da far applicare sia in Europa che nel resto del mondo. Illusioni? Con la probabile ratifica del Ttip da parte dell’Ue, attraverso il Trattato Transaltantico le multinazionali non solo continueranno a fare quello che vogliono, ma potranno addirittura dettare legge e punire, con pesanti sanzioni, gli Stati che oseranno ostacolarle in nome dei diritti per i quali si batte il “Premio Pinocchio”, gloriosa bandiera culturale di un’Europa civile che probabilmente sta per smettere di esistere.Ricchissimi, potentissimi. E soprattutto bugiardi. Al punto da meritarsi il “Premio Pinocchio”, attribuito da una platea di 61.000 persone. A guidare la lista sono tre grandi multinazionali planetarie: Shell, Gdf Suez e Samsung. L’accusa: devastazione ambientale, falsa immagine “verde”, sfruttamento degli operai, lavoro minorile. A “processarle”, a Parigi, sono decine di migliaia di cittadini: un record di partecipazione, che testimonia «la crescente indignazione dei cittadini verso i gravi impatti sociali e ambientali delle attività delle multinazionali», scrivono su “Comune-info” gli attivisti francesi di “Amici della Terra”, organizzatori del premio insieme a “Popoli Solidali – Action Aid France” e al Crid, Centro di ricerca e informazione per lo sviluppo. «Shell – scrivono – ha alzato le mani al cielo con il “Premio Pinocchio” nella categoria “Una per tutti, tutto per me” con il 43% dei voti, per la moltiplicazione dei suoi progetti di estrazione del gas di scisto in tutto il mondo, salvo che in Olanda, suo paese di origine, dove è sottoposta ad una moratoria».