Archivio del Tag ‘ricatto’
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Al-Qaeda non serve più, e gli Usa “licenziano” i sauditi
Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.Secondo Meyssan, se Riyadh non si adegua alla nuova linea di Obama, è a rischio la stessa sopravvivenza dell’Arabia Saudita come Stato: l’emirato petrolifero potrebbe facilmente essere smembrato in cinque unità. «È improbabile che Washington si lasci dettare la propria condotta da alcuni facoltosi beduini, mentre è prevedibile che li rimetterà a posto. Nel 1975, non esitarono a far assassinare il re Faysal. Questa volta, dovrebbero essere ancora più radicali». Lo conferma la presenza alla guida della Cia di un uomo come Brennan, «strenuo oppositore del sistema messo in atto dai suoi predecessori assieme a Riyadh: lo jihadismo internazionale». Secondo Meyssan, Brennan ritiene che, «ancorché questi combattenti abbiano svolto bene il loro compito, un tempo in Afghanistan, Jugoslavia e in Cecenia, siano nondimeno diventati troppo numerosi e troppo ingestibili». Quella che all’inizio era costituita da alcuni estremisti arabi partiti per sparare all’Armata Rossa, è poi diventata una costellazione di gruppi, presenti dal Marocco alla Cina, che si battono per far trionfare il modello saudita di società, più che per sconfiggere gli avversari degli Stati Uniti.Già nel 2001, continua Meyssan, gli Usa avevano pensato di eliminare Al-Qaeda «attribuendole la responsabilità degli attentati dell’11 Settembre». Tuttavia, «con l’assassinio ufficiale di Osama Bin Laden nel maggio 2011, hanno deciso di riabilitare questo sistema per farne ampio uso in Libia e in Siria: senza Al-Qaeda non si sarebbe mai potuto rovesciare Muhammar Gheddafi, come dimostra oggi la presenza di Abdelkader Belhaj, ex numero due dell’organizzazione, come governatore militare di Tripoli». Licenziare i terroristi e i loro gestori mediorientali? “Gettare i Saud fuori dall’Arabia” era il titolo di un powerpoint del 2002 presentato dal Pentagono allora diretto da Donald Rumsfeld. Sono i sauditi, oggi, a mettersi nei guai. Il principe Bandar Bin Sultan, capo dei servizi segreti, in pochi mesi si è messo contro il resto del mondo: ha minacciato la Russia (terrorismo sulle Olimpiadi di Soči), bocciato la politica dell’Onu sulla Siria (promossa anche dalla Cina, super-cliente saudita), rifiutato di parlare al Palazzo di Vetro e annunciato che non userà mai il seggio offerto all’Arabia Saudita al Consiglio di Sicurezza. Quindi ha accusato Israele e l’Iran di accumulare “armi di distruzione di massa”, e ha addirittura annunciato il ritiro dagli Usa degli investimenti sauditi. Gioco pericoloso. Riyadh non ha ancora capito che è terminata la fiction della dittatura medievale travestita da “alleato arabo moderato”, perché – oltre al petrolio – è finita in soffitta la sua arma migliore: il terrorismo “islamico” pilotato dall’intelligence occidentale.Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte su “Megachip” il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.
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Viale: lavoro e beni comuni, per un’opposizione europea
Da tempo non siamo più cittadini italiani, ma sudditi di un “sovrano” che si chiama governance europea: un’entità mai eletta, che risponde solo al “voto” dei “mercati”. E’ un governo di fatto, che impone la sua politica ai paesi dell’Ue che gli hanno ceduto la loro sovranità. Fino a concedere, con l’accordo Two-Packs, un controllo preventivo sui propri bilanci. Visto che siamo ridotti a questo, dice Guido Viale, per non rassegnarsi a continuare ad ascoltare all’infinito ritornelli come “ce lo chiede l’Europa”, c’è una sola cosa da fare: organizzare un’opposizione europea, in nome dei diritti calpestati – dignità e lavoro, reddito e casa, salute e istruzione, cultura, vecchiaia serena. Banco di prova: le elezioni europee del maggio 2014. Stop ai vincoli-capestro dell’austerity, che producono solo disoccupazione. Più spesa pubblica, dunque, per rilanciare il lavoro: non impieghi qualsiasi, ma quelli fondati sulla riconversione “green” dell’economia. Premessa: serve una nuova classe dirigente, che possa recepire le idee dei movimenti e innescare le procedure di salvezza.«La crisi in corso non dipende solo da politiche sbagliate», scrive Viale sul “Manifesto”, in un editoriale ripreso da “Micromega”. La grande depressione «è causata soprattutto dal deterioramento morale e culturale dell’establishment europeo: non solo quello politico, ma anche quelli manageriali, imprenditoriali e accademici». Problema: non solo manca un programma preciso, ma al momento non c’è neppure «la forza per metterlo in marcia». Dove trovarla? «Non si può contare sulle forze politiche esistenti, o su una loro svolta radicale». Unica bussola possibile, «una crescita quantitativa e qualitativa degli organismi e dei movimenti che alimentano il conflitto sociale giorno per giorno». Filo conduttore per raccogliere le energie attualmente disperse: «Una politica fondata sui beni comuni». Missione, salvare il sistema sociale dallo sfacelo, che ha due facce: lo smantellamento delle imprese e del lavoro, con tutte le competenze acquisite, e la mancanza di opportunità per giovani e precari, disoccupati di oggi e di domani.«Non si può continuare a intervenire sulle aziende in crisi delegando ai governi il compito di trovar loro un nuovo padrone: i nuovi padroni, quando si presentano, lo fanno solo – è esperienza quotidiana – per depredare l’azienda dei suoi capitali residui, del suo marchio, del suo know-how, delle sue attrezzature migliori, per poi lasciare i lavoratori sul lastrico». Nazionalizzazioni vecchio stile? Le vieta l’Europa, ma in passato «gli Stati hanno fatto disastri non meno gravi delle gestioni private o privatizzate». In più, dismesso l’Iri, «l’Italia non dispone più di manager in grado di gestire un’impresa». Le aziende in crisi «hanno bisogno di una nuova governance», fatta di maestranze e governi locali, territori, università e ricerca. Serve «un regime che le riconosca come “beni comuni”», a disposizione delle comunità di riferimento. Vale anche per «recuperare a una gestione condivisa i servizi pubblici locali: acqua, energia, trasporti, rifiuti, scuole, gestione del territorio», ovvero «le chiavi della conversione ecologica».Altro problema centrale: la quantità di energie, intelligenza, creatività e aspettative degli esclusi dal mondo del lavoro, che potrebbero contribuire alla rinascita culturale e produttiva dell’Europa, specie dei paesi più colpiti dall’austerity. «Per recuperare quelle energie bisogna sottrarle ai ricatti della miseria, della disoccupazione e del precariato, garantendo a tutti un reddito di base incondizionato: le risorse per realizzarlo sono molte meno di quelle che vengono dissipate in armamenti, grandi opere inutili, interessi sul debito pubblico, evasione fiscale, costi della politica». Una volta liberate e messe al lavoro nei settori oggi abbandonati alla privatizzazione – case, monumenti, beni culturali, suolo urbano, terre pubbliche o incolte, spiagge, biblioteche, teatri, fabbriche e capannoni – queste nuove forze lavorative farebbero miracoli, col supporto dei governi locali «ovviamente sottratti al giogo del patto di stabilità» e non più “inquinati” dalla fame di favori e business. Tutto questo, riassume Viale, si può fare solo con una nuova politica: elezioni. Nel frattempo, ben sapendo che «andiamo incontro a tempi difficili che richiederanno soluzioni estreme», è il caso di cominciare a mettere queste idee nell’agenda politico-elettorale.Da tempo non siamo più cittadini italiani, ma sudditi di un “sovrano” che si chiama governance europea: un’entità mai eletta, che risponde solo al “voto” dei “mercati”. E’ un governo di fatto, che impone la sua politica ai paesi dell’Ue che gli hanno ceduto la loro sovranità. Fino a concedere, con l’accordo Two-Packs, un controllo preventivo sui propri bilanci. Visto che siamo ridotti a questo, dice Guido Viale, per non rassegnarsi a continuare ad ascoltare all’infinito ritornelli come “ce lo chiede l’Europa”, c’è una sola cosa da fare: organizzare un’opposizione europea, in nome dei diritti calpestati – dignità e lavoro, reddito e casa, salute e istruzione, cultura, vecchiaia serena. Banco di prova: le elezioni europee del maggio 2014. Stop ai vincoli-capestro dell’austerity, che producono solo disoccupazione. Più spesa pubblica, dunque, per rilanciare il lavoro: non impieghi qualsiasi, ma quelli fondati sulla riconversione “green” dell’economia. Premessa: serve una nuova classe dirigente, che possa recepire le idee dei movimenti e innescare le procedure di salvezza.
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Benessere sostenibile, togliendo la moneta ai banchieri
Banchieri padroni e governi-fantoccio: così, riassume Marco Della Luna, può finire in ginocchio persino il governo Usa, travolgendo il mondo intero nel suo volontario default. Tutto questo, mentre l’Italia affonda nella recessione e nella disoccupazione per mancanza di investimenti. Siamo soffocati dalle tasse, dal crollo della domanda e dai tagli del welfare. Ridurre il debito pubblico? Operazione velleitaria, che si scontra col calo costante di Pil e produttività. Intendiamoci: «Il debito pubblico di quasi tutti i grandi paesi è praticamente inestinguibile in quanto al capitale, e sempre meno sostenibile in quanto agli interessi». La Banca dei Regolamenti Internazionali lancia l’allarme sull’indebitamento mondiale e la bolla speculativa, che hanno prodotto condizioni ancora più esplosive di quelle del 2008.E i “quantitative easing” della Fed, della Bce e di altre banche centrali si sono tradotti in prestiti a basso interesse, che le banche reinvestono nella speculazione e non nell’economia reale. La bolla finanziaria è tale da provocare il global meltdown: titoli pubblici svalutati nei portafogli delle banche su scala mondiale, e istituti di credito senza più soldi.Tutti questi fattori, spiega Della Luna nel suo blog, sono dovuti alla scarsità di denaro: il governo Usa non ha i soldi per pagare le spese della pubblica amministrazione, l’Italia non ha il denaro né per gli investimenti, né per ridurre il cuneo fiscale e pressione tributaria. Inoltre, nessuno Stato ha i soldi per ridurre lo stock di debito pubblico e le banche non hanno denaro da prestare all’economia reale a tassi ragionevoli. «Riflettiamo: se lo Stato avesse i soldi per investimenti, riduzione di tasse e tributi, sostegno alle imprese, rimborso del proprio debito, allora le cose cambierebbero radicalmente: abbatteremo impoverimento, disoccupazione, sfiducia, sofferenza, insicurezza. Il default sarebbe scongiurato per sempre». Ma allora che cosa impedisce allo Stato di dotarsi del denaro necessario? In teoria, nulla: se fosse libero e sovrano, lo Stato potrebbe emettere moneta a costo zero. E se il denaro produce economia, non c’è neppure rischio di inflazione. Allora dove sta il problema? Nel monopolio improprio che grava sulla creazione monetaria, che «non è concessa agli Stati, ma è appannaggio, diritto esclusivo, del sistema bancario».Finita la sovranità monetaria democratica, sono quasi ovunque le banche a gestire il denaro fin dalla sua emissione, perché ormai «vige il principio dell’autonomia del sistema bancario dalla politica». Giustificazione: per compiacere gli elettori, attingendo moneta sovrana i politici potrebbero eccedere irresponsabilmente nella spesa pubblica, scatenando l’inflazione. Al contrario, i “virtuosi” banchieri devoti solo al mercato, «emetterebbero la giusta quantità di moneta, al giusto tasso di interesse, prestandolo ai soggetti meritevoli e più produttivi», migliorando il sistema. La realtà ovviamente è ben altra: in alcuni periodi, i banchieri «concedono prestiti a tutti e a bassi tassi, facendo crescere l’economia reale e quella speculativa», poi tirano i cordoni alzando i tassi e i requisiti di credito, e comprimendo i volumi: «Così creano fame di denaro e svalutazione degli asset», rastrellando sottocosto «il frutto del lavoro e del risparmio dell’economia produttiva». Stesso trattamento verso gli Stati: «Li indebitano analogamente, per poi mandarli in crisi finanziaria ed esigere», come contropartita per evitare il default, «ulteriori cessioni di sovranità e ulteriore indebitamento per colmare i loro buchi e rifinanziare le loro bolle speculative, sotto il ricatto non solo del default pubblico ma di un collasso finanziario generale».I grandi banchieri, continua Della Luna, impongono inoltre agli Stati «l’abolizione di ogni restrizione legale alla loro facoltà di giocare d’azzardo coi soldi dei risparmiatori», salvo poi farsi rifinanziare proprio dallo Stato, con denaro che non finisce all’economia reale ma, ancora una volta, al circuito speculativo. I politici? Complici, da Obama in giù: hanno rifinanziato le banche senza neppure pretendere che il credito commerciale, al servizio delle aziende e dei risparmiatori, venisse separato dalle banche d’azzardo. «Così, le banche centrali – da finanziatrici degli Stati e garanti della loro solvibilità – sono divenute compratrici in proprio, o finanziatrici di banche commerciali compratrici di titoli di debiti pubblici in difficoltà, quindi ad alto rendimento». Evidente: i debiti dei paesi in difficoltà, a rischio default, pagano interessi così elevati «proprio perché le banche centrali non svolgono più la loro naturale funzione di tutela degli interessi pubblici», ma si comportano come banche private, «a scopo di profitto».Senza contare che le bolle speculative – profitti facili e rapidi, nonché a rischio – distolgono liquidità dagli investimenti produttivi: sicché crolla l’industria, quindi il lavoro, e si va verso la catastrofe. Il sistema monetario odierno, conclude Della Luna, è perfetto solo per gli interessi dei monopolisti della moneta e del credito, che infatti lo dominano. E’ un sistema marcio, coperto da giustificazioni «false» e dalla «malafede» che accomuna «governi, capi di Stato, organi e autorità internazionali e sovranazionali, nonché il mainstream accademico», cioè tutti i soggetti che, a parole, «si propongono di risolvere la crisi e risanare l’economia». Coltivare il grande imbroglio sulla moneta – non più pubblica, ma divenuta strumento di «sfruttamento e dominazione» – ha portato il mondo «sull’orlo di una catastrofe tanto grande, che potrebbe non essere più governabile nemmeno dai detentori del monopolio monetario-bancario», mandando in pezzi il loro stesso gioco.Se il mondo vuole salvarsi, insiste Della Luna, riguardo al denaro deve riscrivere le regole partendo da zero. «In un utopico sistema monetario e creditizio efficiente e razionale rispetto agli interessi della popolazione generale, la moneta è emessa direttamente dallo Stato senza indebitarsi, esattamente come fa già ora col conio metallico; poiché la creazione-emissione di moneta non aurea e non convertibile non comporta un costo, non può comportare indebitamento, né contabilizzazione di debiti a carico dello Stato che la emette». L’emissione sovrana sarebbe quindi vincolata al pagamento graduale del debito capitale pregresso e ad investimenti produttivi e infrastrutturali, che però devono essere effettivamente utili. La libera emissione di denaro non deve venir usata per pagare spesa corrente improduttiva, né investimenti speculativi, evitando di “gonfiare” finanziariamente l’economia reale. Così, si farebbero razionalmente i conti «con i limiti posti allo sviluppo dai limiti delle risorse planetarie», usando la tecnologia per ridurre il peso dei limiti e creare nuovo benessere sostenibile, cioè compatibile col sistema-Terra.Banchieri padroni e governi-fantoccio: così, riassume Marco Della Luna, può finire in ginocchio persino il governo Usa, travolgendo il mondo intero nel suo volontario default. Tutto questo, mentre l’Italia affonda nella recessione e nella disoccupazione per mancanza di investimenti. Siamo soffocati dalle tasse, dal crollo della domanda e dai tagli del welfare. Ridurre il debito pubblico? Operazione velleitaria, che si scontra col calo costante di Pil e produttività. Intendiamoci: «Il debito pubblico di quasi tutti i grandi paesi è praticamente inestinguibile in quanto al capitale, e sempre meno sostenibile in quanto agli interessi». La Banca dei Regolamenti Internazionali lancia l’allarme sull’indebitamento mondiale e la bolla speculativa, che hanno prodotto condizioni ancora più esplosive di quelle del 2008. E i “quantitative easing” della Fed, della Bce e di altre banche centrali si sono tradotti in prestiti a basso interesse, che le banche reinvestono nella speculazione e non nell’economia reale. La bolla finanziaria è tale da provocare il global meltdown: titoli pubblici svalutati nei portafogli delle banche su scala mondiale, e istituti di credito senza più soldi.
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Non cittadini di Google, ma sudditi dei ricattatori Nsa
«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».L’arma del ricatto: ti controllo, so chi hai parlato, quando, e di cosa. Se l’agenda del grande alleato riparlasse di guerra, sarebbe più difficile opporsi. «Vale per Enrico Letta, vale per la presidente brasiliana Dilma Rousseff, come sappiamo. Vale per Hollande, il burattino di Francia. Vale per l’ex presidente messicano Felipe Calderon e per l’attuale presidente messicano, Enrique Peña Nieto. Vale probabilmente anche per il Papa», aggiunge Chiesa, in un video-editoriale su “Megachip”. «Forse non vale per Xi-Jingping, il presidente cinese, e per il presidente russo Vladimir Putin, i quali – non essendo alleati degli Stati Uniti – hanno probabilmente pensato di tutelarsi, cioè di innalzare le misure difensive». Come scrive persino il “New York Times”, la questione non è certo quella della privacy dell’uomo della strada: «Il programma di sorveglianza ha investito la politica, il business, la diplomazia, le banche». Per prima cosa, spiano con molta attenzione le mosse dei partner. «Begli alleati, che abbiamo». Controllare il cellulare della Merkel: per proteggerla dai terroristi, come dice Obama? No: «Per ricattarla, all’occorrenza, nel caso decidesse di fare qualcosa che “non deve” decidere di fare».Non sugge nessuno: «Se Enrico Letta va a prostrarsi a Washington, pensate che lo faccia perché è un fedele seguace del dio dollaro? Forse, anche. Ma soprattutto: teme la punizione, se sgarrasse». Dunque: «Possiamo fidarci di un alleato di questo genere? Cioè di un’America che ci spia facendo i propri interessi, contro di noi?». Per questo, Chiesa insiste nel chiedere l’uscita dalla Nato: «Non è una questione ideologica, ma pratica: voglio salvare la pelle, la mia e quella dei nostri figli. E se questi signori decidono che per i loro interessi occorre fare la guerra, diranno ai loro servi – i nostri governanti – di portarci in guerra. E se non capiamo questo, noi in guerra ci andremo ancora, finché non ci lasceremo la pelle». Date un’occhiata al grande problema americano: la finanza. «Il loro debito in realtà è il nostro: tocca a noi pagarlo, attraverso la subordinazione dell’euro». Eppure, c’è ancora chi pensa che stiamo entrando nell’era della libertà digitale, in cui potremo decidere tutto premendo un pulsante sul computer e votare insieme ai cinesi e agli indiani su come si gestisce il mondo. «Non siate ingenui, il controllo di queste macchine non ce l’avete voi. Non facciamoci illusioni: non diventeremo cittadini di Google, ma della Nsa».«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».
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Ragnedda: condannati dall’euro, come Atene e Lisbona
Il Portogallo sprofonda come la Grecia e anticipa quello che potrebbe accadere all’Italia. Uno schema micidiale: gli Stati europei si indebitano, esattamente come tutti gli altri Stati al mondo, ma «non potendo emettere moneta (a differenza del Giappone, degli Usa, dell’Inghilterra e della Svizzera) chiedono aiuto alla Troika». Bce, Fmi e Unione Europea ben volentieri concedono prestiti, ovviamente a condizioni-capestro: indietro non vogliono solo i soldi che prestati (più gli interessi usurai) ma impongono anche un insieme di misure antisociali per “snellire” il welfare. Così, riassume Massimo Ragnedda, lo Stato non più sovrano è costretto a comportarsi come i cittadini «indebitati e disperati», che chiedono “aiuto” agli strozzini. Si accettano i vincoli e i tagli più drammatici alla spesa pubblica, pur sapendo che non faranno che aggravare la crisi. E’ tutto orribilmente semplice: «Gli Stati un tempo sovrani sono così costretti a vendere i gioielli di famiglia (come fanno gli strozzati dagli usurai), licenziare dipendenti pubblici, ridurre la sanità pubblica, tagliare i finanziamenti alla scuola e alla ricerca, ridurre le pensioni».La politica economica dell’Eurozona, scrive Ragnedda su “Tiscali” in un intervento ripreso da “Megachip”, è ordinata e imposta da oscuri burocrati e banchieri che vivono in un mondo dorato senza nessun contatto con quello che un tempo si sarebbe definito “il popolo”. «A noi rimane l’illusione che, votando, possiamo scegliere da chi essere governati». Ora, dopo aver schiacciato la Grecia, è il turno del Portogallo: in cambio del generoso piano di “salvataggio”, la Troika ha imposto al conservatore Passos Coelho di tagliare gli stipendi pubblici. Dal 2014 tutti i dipendenti pubblici portoghesi che guadagnano più di 600 euro si vedranno tagliare lo stipendio da un minimo del 2,5% ad un massimo del 12%, annota Ragnedda. Ma non basta: «La Troika ha imposto il licenziamento del 3% dei dipendenti pubblici, in un paese in cui la disoccupazione ha già superato quota 17,4%». In più, il super-potere europeo ha anche ordinato di aumentare l’orario settimanale dei lavoratori pubblici da 35 a 40 ore. Misure ora al vaglio della Corte Costituzionale di Lisbona: in mancanza di alternative, lo Stato sarà costretto ad applicarle.La Troika, continua Ragnedda, chiede anche che vengano privatizzate le aziende in attivo, come la Rete Energetica Nazionale. «Privatizzare significa vendere a prezzi di saldo, agli amici della Troika ovviamente, le aziende che producono. I soldi che si ricaveranno dalla vendita (un po’ come i nostri soldi dell’Imu che sono serviti a salvare il Monte Paschi di Siena) serviranno per salvare dal fallimento il quinto gruppo finanziario del paese, la Banif». Ma il debito non andrebbe pagato? Certo: quello di famiglie e aziende. Quanto al debito pubblico, quello dello Stato, dipende: se si tratta di un paese libero, come il Giappone che emette moneta sovrana, il debito può tranquillamente arrivare al 250% del Pil (più del doppio dell’esposizione italiana) senza che si scateni nessuna tempesta finanziaria. Motivo: gli speculatori sanno che lo Stato giapponese è in grado di ripianare il deficit in qualsiasi momento, ricorrendo all’emissione di valuta. L’Eurozona, senza più alcun potere di autodifesa monetaria, è invece in balia del ricatto finanziario: il deficit italiano è attualmente attorno al 3% del Pil, mentre quello nipponico è al 10%.In regime di moneta sovrana, debito pubblico significa, letteralmente: soldi che lo Stato anticipa ai cittadini, in termini di servizi, stipendi e infrastrutture, assicurando in tal modo il necessario supporto all’economia, in termini di fatturati e consumi, oltre che di stabilità sociale. Infatti, nonostante il suo elevatissimo debito virtuale, il Giappone non solo non ha tagliato la spesa pubblica (come invece la Grecia che ha dovuto chiudere ospedali e università, fabbriche e uffici) ma ha lanciato un ulteriore piano di espansione della spesa statale con un primo intervento da 85 miliardi di euro, con l’obiettivo di creare 600.000 nuovi posti di lavoro, secondo i piani keynesiani del premier Shinzo Abe. «Mentre in Grecia si registra un drastico aumento della povertà, casi di malnutrizione minorile, aumento dei reati legati alla “sopravvivenza”, sistema educativo e sanitario ridotto all’osso, in Giappone il tasso di disoccupazione è del 4.5%», precisa Ragnedda. Dopo la Grecia, ora tocca al Portogallo: il paese è costretto a licenziare i dipendenti pubblici, tagliare loro lo stipendio, ridurre la spesa pubblica elargendo meno servizi vitali per i cittadini.Dov’è il trucco? Nella moneta: a differenza di noi sventurati “sudditi” della Bce, i giapponesi sono proprietari del loro denaro, che può essere liberamente emesso dalla Bank of Japan, così come fanno la Federal Reserve statunitense, la Bank of England e la Banca centrale svizzera. Il rischio è l’aumento dell’inflazione, continua Ragnedda, ma il vantaggio è che non si è costretti a chiedere prestiti usurai alla Troika e farsi dettare la politica economica e sociale da oscuri banchieri. Attenti poi a maneggiare lo spauracchio dell’inflazione, sempre agitato dal super-potere neoliberista che, dopo quarant’anni di guerra ideologico-economica, sta finendo di distruggere lo Stato democratico come “sindacato dei cittadini” e loro grande sponsor economico. Secondo Paolo Barnard e Warren Mosler, in base alla “teoria della moneta moderna” ci si cautela facilmente dell’iper-inflazione se lo Stato crea posti di lavoro produttivi, e non assistenziali, vincolando quindi la maggiore liquidità all’incremento del Pil, cioè dell’economia reale.Per un vero piano di piena occupazione, abbonderebbero gli spazi nei settori con elevato impiego di personale, dai servizi alla persona alle opere di ripristino del territorio. Senza contare i posti di lavoro – centinaia di migliaia, forse milioni – ricavabili da un grande piano nazionale di riconversione ecologica dell’economia, dalle fonti rinnovabili alla ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio pubblico e privato. Lo Stato, però, può tornare a tutelare la comunità nazionale a una sola condizione: rientrando in possesso della propria moneta sovrana. Giochino piuttosto semplice, conclude Ragnedda: «Il Giappone, l’Inghilterra e gli Usa possono finanziarie il loro debito direttamente, emettendo moneta. Noi no. E per poter pagare il debito siamo perciò costretti a chiedere i soldi alla Bce e aprirci alla speculazione internazionale». Se l’Italia è ancora sospesa nell’anticamera dell’inferno, la micidiale road map di Bruxelles – Atene, poi Lisbona – indica che sta per toccare a noi, perché nessun governo (senza moneta, e quindi senza potere di spesa pubblica) potrà fare nulla di importante per invertire la rotta e opporsi alla catastrofe. Domanda: c’è qualche forza politica che osi porre la questione, in Parlamento?Il Portogallo sprofonda come la Grecia e anticipa quello che potrebbe accadere all’Italia. Uno schema micidiale: gli Stati europei si indebitano, esattamente come tutti gli altri Stati al mondo, ma «non potendo emettere moneta (a differenza del Giappone, degli Usa, dell’Inghilterra e della Svizzera) chiedono aiuto alla Troika». Bce, Fmi e Unione Europea ben volentieri concedono prestiti, ovviamente a condizioni-capestro: indietro non vogliono solo i soldi che prestati (più gli interessi usurai) ma impongono anche un insieme di misure antisociali per “snellire” il welfare. Così, riassume Massimo Ragnedda, lo Stato non più sovrano è costretto a comportarsi come i cittadini «indebitati e disperati», che chiedono “aiuto” agli strozzini. Si accettano i vincoli e i tagli più drammatici alla spesa pubblica, pur sapendo che non faranno che aggravare la crisi. E’ tutto orribilmente semplice: «Gli Stati un tempo sovrani sono così costretti a vendere i gioielli di famiglia (come fanno gli strozzati dagli usurai), licenziare dipendenti pubblici, ridurre la sanità pubblica, tagliare i finanziamenti alla scuola e alla ricerca, ridurre le pensioni».
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Susan George: poteri occulti, la Terra è sotto scacco
Se avete a cuore il vostro cibo, la vostra salute e la stessa sicurezza finanziaria, la vostra e quella della vostra famiglia, così come le tasse che pagate, lo stato del pianeta e della stessa democrazia, ci sono pessime notizie: un gruppo di golpisti ha preso il potere e ormai domina il pianeta. Legalmente: perché le nuove leggi che imbrigliano i popoli, i governi e gli Stati se le sono fatte loro, per servire i loro smisurati interessi, piegando le democrazie con l’aiuto di “maggiordomi” travestiti da politici. La grande novità si chiama: “ascesa di autorità illegittima”. Parola di Susan George, notissima sociologa franco-statunitense, già impegnata nel movimento no-global e al vertice di associazioni mondiali come Greenpeace. I governi legali, quelli regolarmente eletti, ormai vengono di fatto «gradualmente soppiantati da un nuovo governo-ombra, in cui enormi imprese transnazionali (Tnc) sono onnipresenti e stanno prendendo decisioni che riguardano tutta la nostra vita quotidiana». L’Europa è già completamente nelle loro mani, tramite i tecnocrati di Bruxelles, i subdoli “inventori” dell’aberrante euro. Ma anche nel resto del mondo la libertà ha le ore contate.I nuovi oligarchi, spiega la George nell’intervento pronunciato al Festival Internazionale di Ferrara, ottobre 2013, possono agire attraverso le lobby o oscuri “comitati di esperti”, attraverso organismi ad hoc che ottengono riconoscimenti ufficiali. Talvolta operano «attraverso accordi negoziati in segreto e preparati con cura da “executive” delle imprese al più alto livello». Sono fortissimi, arrivano ovunque: «Lavorano a livello nazionale, europeo e sovranazionale, ma anche all’interno delle stesse Nazioni Unite, da una dozzina di anni nuovo campo di azione per le attività delle “corporate”». Attenzione, averte la George: «Non si tratta di una sorta di teoria paranoica della cospirazione: i segni sono tutti intorno a noi, ma per il cittadino medio sono difficili da riconoscere». Questo, in fondo, è il “loro” capolavoro: «Noi continuiamo a credere, almeno in Europa, di vivere in un sistema democratico». Non è così, naturalmente. Le sole lobby ordinarie, rimaste «ai margini dei governi per un paio di secoli», ormai «hanno migliorato le loro tecniche, sono pagate più che mai e ottengono risultati».Negli Stati Uniti, le lobby devono almeno dichiararsi al Congresso, dire quanto sono pagate e da chi. A Bruxelles, invece, «c’è solo un registro “volontario”, che è una presa in giro, mentre 10-15.000 lobbysti si interfacciano ogni giorno con la Commissione Europea e con gli europarlamentari». Che fanno? «Difendono il cibo-spazzatura, le coltivazioni geneticamente modificate, prodotti nocivi come il tabacco, sostanze chimiche pericolose o farmaci rischiosi». In più, «difendono i maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra», oltre naturalmente ai loro clienti più potenti: le grandi banche. Meno conosciuti delle lobby tradizionali, cioè quelle favorevoli a singole multinazionali, sono in forte crescita specie nel comparto industriale le lobby-fantasma, solitamente definite “istituti”, “fondazioni” o “consigli”, spesso con sede a Washington. Sono pericolose e subdole: pagano esperti per influenzare l’opinione pubblica, fino a negare l’evidenza scientifica, per convincere i consumatori del valore dei loro prodotti-spazzatura.A Bruxelles il loro dominio è totale: decine di “comitati di esperti” preparano regolamenti dettagliati in ogni possibile settore. «Dalla metà degli anni ’90 – accusa Susan George – le più grandi compagnie americane dei settori bancario, pensionistico, assicurativo e di revisione contabile hanno unito le forze e, impiegando tremila persone, hanno speso 5 miliardi dollari per sbarazzarsi di tutte le leggi del New Deal, approvate sotto l’amministrazione Roosevelt negli anni ’30», tutte leggi «che avevano protetto l’economia americana per sessant’anni». Un contagio: «Attraverso questa azione collettiva di lobbying, hanno guadagnato totale libertà per trasferire attività in perdita dai loro bilanci, verso istituti-ombra, non controllati». Queste compagnie hanno potuto immettere sul mercato e scambiare centinaia di miliardi di dollari di titoli tossici “derivati”, come i pacchetti di mutui subprime, senza alcuna regolamentazione. «Poco è stato fatto dopo la caduta di Lehman Brothers per regolamentare nuovamente la finanza. E nel frattempo, il commercio dei derivati ha raggiunto la cifra di 2 trilioni e 300 miliardi di dollari al giorno, un terzo in più di sei anni fa».Quello illustrato da Susan George, nell’intervento tenuto a Ferrara e ripreso da “Come Don Chisciotte”, è un viaggio nell’occulto. «Ci sono organismi come l’International Accounting Standards Board, sicuramente sconosciuto al 99% della popolazione europea». E’ una struttura di importanza decisiva, di cui non parla mai nessuno. Nacque con l’allargamento a Est dell’Unione Europea, per affrontare «l’incubo di 27 diversi mercati azionari, con diversi insiemi di regole e norme contabili». Ed ecco, prontamente, l’arrivo dei soliti super-consulenti, provenienti dalle quattro maggiori società mondiali di revisione contabile. In pochi anni, il gruppo «è stato silenziosamente trasformato in un organismo ufficiale, lo Iasb». E’ ancora formato dagli esperti delle quattro grandi società, ma adesso sta elaborando regolamenti per 66 paesi membri, tra cui l’intera Europa. Attenzione: «Lo Iasb è diventato “ufficiale” grazie agli sforzi di un commissario Ue, il neoliberista irlandese Charlie MacCreevy». Commissario dell’Ue, cioè: “ministro” europeo, non-eletto da nessuno. E per di più, egli stesso esperto contabile. Naturalmente, ha potuto agire sotto la protezione di Bruxelles, cioè «senza alcun controllo parlamentare». L’alibi? Il solito: la Iasb è stato presentato come un’agenzia «puramente tecnica». La sua vera missione? Organizzare, legalmente, l’evasione fiscale dei miliardari.«Fino a quando non potremo chiedere alle imprese di adottare bilanci dettagliati paese per paese, queste continueranno a pagare – abbastanza legalmente – pochissime tasse nella maggior parte dei paesi in cui hanno attività». Le aziende, aggiunge la sociologa, possono collocare i loro profitti in paesi con bassa o nessuna tassazione, e le loro perdite in quelli ad alta fiscalità. Per tassare in maniera efficace, le autorità fiscali hanno bisogno di sapere quali vendite, profitti e imposte sono effettivamente di competenza di ciascuna giurisdizione. «Oggi questo non è possibile, perché le regole sono fatte su misura per evitare la trasparenza». E quindi: «Le piccole imprese nazionali o famigliari, con un indirizzo nazionale fisso, continueranno a sopportare la maggior parte del carico fiscale». Susan George ha contattato direttamente lo Iasb per chiedere se una rendicontazione dettagliata, paese per paese, fosse nella loro agenda. Risposta: no, ovviamente. «Non c’è di che stupirsi. Le quattro grandi agenzie i cui amici e colleghi fanno le regole, perderebbero milioni di fatturato, se non potessero più consigliare i loro clienti sul modo migliore per evitare la tassazione».L’altro colossale iceberg che ci sta venendo addosso, dal luglio 2013, si chiama Ttip, cioè Transatlantic Trade and Investment Partnership. In italiano: protocollo euro-atlantico su commercio e investimenti. «Questi accordi definiranno le norme che regolamenteranno la metà del Pil mondiale – gli Stati Uniti e l’Europa». Notizia: le nuove regole di cooperazione euro-atlantica «sono in preparazione dal 1995», da quando cioè «le più grandi multinazionali da entrambi i lati dell’oceano si sono riunite nel Trans-Atlantic Business Dialogue», la maggiore lobby dell’Occidente, impegnata a «lavorare su tutti gli aspetti delle pratiche regolamentari, settore per settore». Il commercio transatlantico ammonta a circa 1.500 miliardi di dollari all’anno. Dov’è il trucco? In apparenza, si negozierà sulle tariffe: ma è un aspetto irrilevante, perché pesano appena il 3%. Il vero obiettivo: «Privatizzare il maggior numero possibile di servizi pubblici ed eliminare le barriere non tariffarie, come per esempio i regolamenti e ciò che le multinazionali chiamano “ostacoli commerciali”». Al centro di tutti i trattati commerciali e di investimento, c’è «la clausola che consente alle aziende di citare in giudizio i governi sovrani, se la società ritiene che un provvedimento del governo danneggi il suo presente, o anche i suoi profitti “attesi”». Governi sotto ricatto: comandano loro, i Masters of Universe.Il Trans-Atlantic Business Dialogue, la super-lobby che ha incubato il trattato euro-atlantico, ora ha cambiato nome: si chiama Consiglio Economico Transatlantico. E non si nasconde neppure più. Ammette qual è la sua missione: abbattere le regole e piegare il potere pubblico, a beneficio delle multinazionali. Si definisce apertamente «un organo politico», e il suo direttore afferma con orgoglio che è la prima volta che «il settore privato ha ottenuto un ruolo ufficiale nella determinazione della politica pubblica Ue-Usa». Questo trattato, se approvato secondo le intenzioni delle Tnc, includerà modifiche decisive sui regolamenti che proteggono i consumatori in ogni settore: sicurezza alimentare, prodotti farmaceutici e chimici. Altro obiettivo, la “stabilità finanziaria”. Tradotto: la libertà per gli investitori di trasferire i loro capitali senza preavviso. «I governi – aggiunge la George – non potranno più privilegiare operatori nazionali in rapporto a quelli stranieri per i contratti di appalto», e il processo negoziale «si terrà a porte chiuse, senza il controllo dei cittadini».E come se non bastasse l’infiltrazione nel potere esecutivo, in quello legislativo e persino nel potere giudiziario, le multinazionali ora puntano direttamente anche alle Nazioni Unite. Già nel 2012, alla conferenza Rio + 20 sull’ambiente, i super-padroni formavano la più grande delegazione, capace di allestire un evento spettacolare come il “Business Day”. «Siamo la più grande delegazione d’affari che mai abbia partecipato a una conferenza delle Nazioni Unite», disse il rappresentante permanente della Camera di Commercio Internazionale presso l’Onu. Parole chiarissime: «Le imprese hanno bisogno di prendere la guida e noi lo stiamo facendo». Oggi, conclude Susan George, le multinazionali arrivano a chiedere un ruolo formale nei negoziati mondiali sul clima. «Non sono solo le dimensioni, gli enormi profitti e i patrimoni che rendono le Tnc pericolose per le democrazie. È anche la loro concentrazione, la loro capacità di influenzare (spesso dall’interno) i governi e la loro abilità a operare come una vera e propria classe sociale che difende i propri interessi economici, anche contro il bene comune». E’ un super-clan, coi suoi tentacoli e i suoi boss: «Condividono linguaggi, ideologie e obiettivi che riguardano ciascuno di noi». Meglio che i cittadini lo sappiano. E i politici che dovrebbero tutelarli? Non pervenuti, ovviamente.Se avete a cuore il vostro cibo, la vostra salute e la stessa sicurezza finanziaria, la vostra e quella della vostra famiglia, così come le tasse che pagate, lo stato del pianeta e della stessa democrazia, ci sono pessime notizie: un gruppo di golpisti ha preso il potere e ormai domina il pianeta. Legalmente: perché le nuove leggi che imbrigliano i popoli, i governi e gli Stati se le sono fatte loro, per servire i loro smisurati interessi, piegando le democrazie con l’aiuto di “maggiordomi” travestiti da politici. La grande novità si chiama: “ascesa di autorità illegittima”. Parola di Susan George, notissima sociologa franco-statunitense, già impegnata nel movimento no-global e al vertice di associazioni mondiali come Greenpeace. I governi legali, quelli regolarmente eletti, ormai vengono di fatto «gradualmente soppiantati da un nuovo governo-ombra, in cui enormi imprese transnazionali (Tnc) sono onnipresenti e stanno prendendo decisioni che riguardano tutta la nostra vita quotidiana». L’Europa è già completamente nelle loro mani, tramite i tecnocrati di Bruxelles, i subdoli “inventori” dell’aberrante euro. Ma anche nel resto del mondo la libertà ha le ore contate.
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Berlusconi ha vinto: addio sinistra, c’è solo lo spread
«Il codardo oltraggio dopo il servo encomio, ci ricorda Manzoni, fa parte della storia della fine di ogni regime», e ora che il ventennio berlusconiano starebbe finendo, dice Giorgio Cremaschi, è bene ricordare che non tutto ciò che si è opposto a Berlusconi era davvero diverso da lui. Vent’anni, dice Letta? Ma in tutto questo tempo, il Cavaliere ha effettivamente governato per poco più di otto. Il centrosinistra lo ha fatto per sette, il resto son stati governi di larghe intese, tecnici e di unità nazionale. Era “berlusconismo” anche quando governavano Prodi e tutti gli altri leader del centrosinistra, «i cui governi non hanno mai cambiato le leggi della destra, neppure la Bossi Fini». Di che cosa ci si libera, oggi, grazie alla magistratura? «Del liberismo e delle spinte autoritarie, della flessibilità del lavoro e della disoccupazione di massa, dell’ideologia del mercato e della globalizzazione? No di certo».La fine politica di Berlusconi, scrive Cremaschi su “Micromega”, non è cominciata oggi, ma quando Marchionne ha mostrato che si poteva distruggere il sindacato in fabbrica senza ricorrere a Sacconi, e soprattutto quando la Bce ha scritto il programma che dovevano attuare i governi del nostro paese. «Berlusconi è stato destituito da quella che una volta avremmo chiamato la destra economica, italiana ed europea, che non sapeva più che farsene di un leader impresentabile». Chi è cambiato in profondità è il popolo della sinistra, rassegnatosi al pensiero liberale. Sicché, «onesti conservatori che in altri paesi sarebbero tranquillamente schierati con la destra», in Italia sono targati centrosinistra. E le politiche del rigore, contro cui scendono in piazza le folle di tutta Europa, sono diventate «la bandiera di chi non voleva cedere ai ricatti del populista di Arcore». E ora che il governo sopravvive a Berlusconi, «si potrà finalmente fare quella riforma della Costituzione che tutti i poteri forti chiedono e che il presidente Napolitano da tempo rivendica e promuove».Una controriforma, aggiunge Cremaschi, che ha già avuto una premessa fondamentale nell’approvazione dell’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio. Il vero risultato del berlusconismo? «E’ quello di aver ottenuto, tramite un certo antiberlusconismo, la distruzione a livello di massa del pensare e dell’agire di una vera sinistra». L’ex leader della Fiom cita ancora Manzoni: “Il forte si mesce col vinto nemico, col novo signore rimane l’antico”. Al nostro «confuso mondo progressista» bisogna ricordare che «non c’è nulla da gioire di una vittoria che non è nostra e che proprio per questo verrà usata dai veri vincitori per continuare la politica economica e sociale di questi venti anni. Per liberarsi della eredità berlusconiana che tuttora governa – conclude Cremaschi – bisogna ricostruire una vera sinistra, che voglia cambiare la società e non amministrarla in nome dello spread».«Il codardo oltraggio dopo il servo encomio, ci ricorda Manzoni, fa parte della storia della fine di ogni regime», e ora che il ventennio berlusconiano starebbe finendo, dice Giorgio Cremaschi, è bene ricordare che non tutto ciò che si è opposto a Berlusconi era davvero diverso da lui. Vent’anni, dice Letta? Ma in tutto questo tempo, il Cavaliere ha effettivamente governato per poco più di otto. Il centrosinistra lo ha fatto per sette, il resto son stati governi di larghe intese, tecnici e di unità nazionale. Era “berlusconismo” anche quando governavano Prodi e tutti gli altri leader del centrosinistra, «i cui governi non hanno mai cambiato le leggi della destra, neppure la Bossi Fini». Di che cosa ci si libera, oggi, grazie alla magistratura? «Del liberismo e delle spinte autoritarie, della flessibilità del lavoro e della disoccupazione di massa, dell’ideologia del mercato e della globalizzazione? No di certo».
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Revelli: larghe intese per manomettere la democrazia
Siamo alla manomissione bipartisan della Costituzione. Pd e Pdl hanno tradito la saggezza dei nostri Padri costituenti facendo saltare quella fondamentale clausola di salvaguardia, vorrebbero cambiare decine di articoli della Carta e la stessa forma di governo: dalla democrazia parlamentare a un qualche tipo di presidenzialismo, d’altra parte già anticipato nei fatti dal presidente Napolitano. Il sistema politico è stato inchiodato sulla figura criminale di Silvio Berlusconi e ai suoi ricatti. Prima la minaccia di Aventino, poi il videomessaggio, infine l’ultima disperata mossa imposta ai ministri rappresentano tutti segni eversivi, di fronte ad una sentenza fondata su ragioni e prove di colpevolezza fortissime. Ma bisogna dire che tutta l’esperienza del governo Letta, ex origine, rappresentava un modo per istituzionalizzare quella selvaggia anomalia italiana che è la figura politica e insieme criminale di Berlusconi, facendone addirittura un partner legittimato di una nuova Costituente.In una condizione economica di assoluta emergenza, di spoliazione del patrimonio produttivo, di conti in disordine, l’Europa aveva intimato le larghe intese nel cui programma, fin dall’origine, stava la sospensione del nostro assetto istituzionale – manomettendo la Costituzione – in nome di emergenze peraltro non affrontate, ma costantemente dilazionate. Le scelte intraprese da Berlusconi e dalla sua corte di servitori – il Pdl non è un partito – in tutti questi mesi di partnership, prima ancora dei terremoti istituzionali che vediamo in diretta, hanno provocato danni gravissimi e irreversibili allo stato mentale del paese e alla sua classe politica. Per mesi al Cavaliere in precario equilibrio sul suo cavallo è stata data una “golden share” governativa che ha costantemente usato per ricattare e minacciare, e far apparire come normale l’inaccettabile. E che ora continua a usare, vedremo se per far saltare tutto, o per tentare di prolungare ancora il proprio gioco personale.Un governo di scopo – capeggiato da una figura di alto profilo giuridico-morale ed esterna all’attuale scenario politico – che ci conduca a nuove elezioni in pochi mesi, andava già fatto a maggio scorso. Un esecutivo con due-tre punti chiave: nuova legge elettorale, in primis, e provvedimenti per tamponare il dramma dei cassintegrati e la crisi sociale nel paese. Chi ipotizzerei a capo di questo governo di cambiamento? Rodotà andrebbe benissimo. Con le larghe intese, andiamo peggio di 150 giorni fa. E bisognava pensarci allora. Vero, anche la Germania va verso le larghe intese, ma in Germania non esiste una figura come Berlusconi né un partito come il Pdl: sono larghe intese ben differenti dalle nostre. Detto questo, bisogna aggiungere che quello delle larghe intese è, per l’Europa, un paradigma totalizzante che caratterizza gli attuali assetti e non tollera deviazioni: le loro ricette aumentano le disuguaglianze, impoveriscono le fasce popolari ed erodono la coesione sociale.C’è un’estrema e disperata domanda di rappresentanza. Sarebbe cieco ridurre tutto agli orfani della sinistra radicale. Esistono milioni di esodati dalla politica indecisi su chi votare e se votare. L’astensionismo è in crescita, molti si rifugiano nel M5S, altri nei frammenti della sinistra radicale. C’è ancora chi – turandosi il naso – dà la preferenza al Pd. Tra poco lo scenario sarà molto diverso. Avremo una nuova Forza Italia trasformata in lugubre macchina da guerra del suo capo, una formazione eversiva in rivolta contro l’ordinamento giudiziario. Il Pd avrà presumibilmente come leader Matteo Renzi, il quale ha tessuto pubblicamente l’elogio della disuguaglianza e le cui idee sul lavoro sono vicine al più radicale neoliberismo (alla Ichino, per intenderci). Il M5S, intorno al 20-25 per cento, non sarà in grado di imprimere un sostanziale cambiamento. Dobbiamo capire fin da subito come porci in questo futuro scenario. C’è il rischio concreto che la cultura democratica radicale e costituzionale sia fuori dalla scena, con danni enormi per la democrazia.(Marco Revelli, dichiarazione rilasciate a Giacomo Russa Spena per l’intervista “12 ottobre, una piazza aperta alle voci sofferenti della società”, pubblicata da “Micromega” il 30 settembre 2013).Siamo alla manomissione bipartisan della Costituzione. Pd e Pdl hanno tradito la saggezza dei nostri Padri costituenti facendo saltare quella fondamentale clausola di salvaguardia, vorrebbero cambiare decine di articoli della Carta e la stessa forma di governo: dalla democrazia parlamentare a un qualche tipo di presidenzialismo, d’altra parte già anticipato nei fatti dal presidente Napolitano. Il sistema politico è stato inchiodato sulla figura criminale di Silvio Berlusconi e ai suoi ricatti. Prima la minaccia di Aventino, poi il videomessaggio, infine l’ultima disperata mossa imposta ai ministri rappresentano tutti segni eversivi, di fronte ad una sentenza fondata su ragioni e prove di colpevolezza fortissime. Ma bisogna dire che tutta l’esperienza del governo Letta, ex origine, rappresentava un modo per istituzionalizzare quella selvaggia anomalia italiana che è la figura politica e insieme criminale di Berlusconi, facendone addirittura un partner legittimato di una nuova Costituente.
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Whitney: gli Usa sono la più grande piaga del mondo
Gli Stati Uniti sono la più grande piaga del mondo. Non importa dove vivi o cosa fai, gli Stati Uniti troveranno sempre qualche scusa per ficcare il naso negli affari tuoi e per renderti la vita infelice. Ecco perché gli Stati Uniti hanno tanti nemici, perché si mettono sempre in mezzo, in qualsiasi impiccio che capiti, in qualsiasi parte del mondo. Quelli di Washington proprio non riescono a sopportare l’idea che ci sia qualcuno, non importa dove, che potrebbe vivere una vita normale e felice senza doversi aspettare di essere bombardato per un attacco di “drone” o di essere sbattuto dentro qualche buco nero, dove la Cia può strapparti le unghie o farti diventare nero e blu. Questo è tutto quello che ha prodotto questa guerra globale al terrorismo – solo questo.
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La cena segreta: Draghi da Scalfari con Letta e Napolitano
«Mancava soltanto Francesco, il Papa. Lo aspettavano per il caffè ma poi ha dato buca. Tutti gli altri erano lì», racconta Paolo Guzzanti sul “Giornale”. Metti una sera a cena: con Napolitano, Letta e nientemeno che sua maestà Mario Draghi. Dove? A casa di Eugenio Scalfari, il fondatore di “Repubblica”. Che, tra un colloquio e l’altro col Pontefice, trova anche il tempo di occuparsi del destino della nazione. Non in qualità di giornalista, come forse ci si aspetterebbe, e neppure di “consigliere del principe”. Anche perché in questo caso i principi sono addirittura tre. E il consigliato è lui, che riceve precise istruzioni da trasmettere alla plebe dei lettori. Loro, gli italiani incorreggibili che dimostrano «l’incapacità della massa di fare progressi» e cedono di fronte all’altro grande male che affligge il paese, «la caparbietà di Berlusconi nel privilegiare se stesso». Un racconto lunare, quello che offre “Dapospia” attingendo al “Fatto Quotidiano”, sulla famosa cena (ovviamente informale, dunque top secret) del 20 settembre: la folla di agenti in borghese e l’inattesa processione di auto blu in piazza della Minerva, nel cuore di Roma, alla vigilia del tremebondo ricatto berlusconiano contro il governo Letta.«Non sapremo mai cosa si sono detti», ma possiamo desumerlo dall’articolo in cui Scalfari, due giorni dopo, “spiega” che il governo Letta, così come l’esecutivo Monti, non è stato una scelta, ma solo «il prodotto necessario d’una situazione priva di alternative». Napolitano, Letta e Draghi? Sono «lo scudo Italia-Europa». Cioè «i nostri tre punti di forza, che hanno l’Europa come obiettivo preminente per l’avvenire di tutti». Ben più drastica, e di segno diametralmente opposto, l’interpretazione di “Movisol”, il movimento internazionale per i diritti civili presieduto da Liliana Gorini: «L’Ue trama un altro golpe in Italia per prorogare lo “stato di necessità”». Enrico Letta, sostiene “Movisol” nel suo sito, ha superato il voto di fiducia alle Camere anche grazie ai meccanismi di “stabilizzazione” politica messi in atto da Bruxelles per «assicurare che saranno prese decisioni conformi allo “stato di necessità”» decretato dall’Unione Europea. Traduzione: «Le elezioni vanno evitate a tutti i costi e il golpe avviato con la nomina di Mario Monti deve proseguire, per assicurare che gli italiani si immolino per salvare l’euro».“Movisol”, che si richiama all’economista statunitense Lyndon LaRouche, più volte candidato alla presidenza Usa e autore di una proposta per la ristrutturazione democratica del sistema finanziario mondiale, attribuisce grande importanza al vertice informale del 20 settembre, nel quale include anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, eletta in Parlamento dal partito di Vendola. Scalfari e i suoi commensali? «Tutti membri della corrente spinelliana del “partito britannico”». Chiari i riferimenti al padre nobile del federalismo europeo, l’intellettuale antifascista Altiero Spinelli, e ad un’altra famosa cena, tristemente nota: quella del ’92 in cui, a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, l’allora direttore del Tesoro, Mario Draghi, fu messo a parte del primo grande piano di privatizzazioni selvagge ai danni del patrimonio pubblico italiano. Sul vascello dei reali inglesi, insieme a Draghi, il gotha della finanza anglosassone: è lo stesso super-clan planetario – oggi Gruppo dei Trenta, Bilderberg, Goldman Sachs – di cui allora l’opinione pubblica non aveva praticamente mai sentito parlare.«Ciò che il partito britannico teme – scrive “Movisol” – è che il sentimento anti-austerità nella popolazione italiana (che Berlusconi sicuramente sfrutta per salvarsi, ma questo è solo una complicazione per gli smarriti) possa sfociare in un definitivo voto anti-euro in caso di nuove elezioni». Attenzione: il fronte anti-euro si sta finalmente organizzando su scala pan-europea. Il 23 settembre a Roma si è tenuto il primo incontro degli euroscettici del nord e del sud del continente. Presenze importanti: da Hans-Olaf Henkel dell’università di Mannheim, già capo della Confindustria tedesca, a Brigitte Granville, economista della Queen Mary University di Londra. Fra gli italiani, oltre a Carlo Borghi e Alberto Bagnai, anche l’ex ministro Giuseppe Guarino, secondo cui la politica “zero deficit” dell’Ue non solo è sbagliata, ingiusta e suicida, ma è pure illegale persino per la stessa normativa comunitaria.«Per giustificare l’illegalità – sostiene “Movisol” – l’Ue ha costantemente usato l’argomentazione dello “stato di necessità”, che secondo Karl Schmitt autorizza a sospendere la Costituzione». In realtà, «lo stato di necessità è dettato dall’imperativo di salvare il sistema oligarchico», e nell’estate 2011 Bruxelles lo ha imposto all’Italia «manipolando il valore dei suoi titoli di Stato: la Bce ha prima lasciato cadere i titoli, ed è intervenuta successivamente ad acquistarli per sostenere il governo Monti». Si ripeterà il giochetto con Letta? Altra domanda: è questo che Draghi ha discusso nella “cena delle trame”? E il suo annuncio al Parlamento Europeo che la Bce è pronta ad un’altra mega-iniezione di liquidità per le banche (Ltro) ha a che fare con questo? Ma soprattutto: Draghi cosa avrebbe chiesto, in cambio, ai suoi illustri commensali? «Il Financial Stability Assessment del Fmi per l’Italia, rilasciato il 27 settembre – conclude “Movisol” – raccomanda l’applicazione del bail-in (prelievo forzoso) per soccorrere le banche italiane. È quanto ha chiesto Draghi? O si è limitato a sollecitare le privatizzazioni, in consueto “stile Britannia”?». Magari lo si potrebbe chiedere a Scalfari, se solo facesse ancora il giornalista.«Mancava soltanto Francesco, il Papa. Lo aspettavano per il caffè ma poi ha dato buca. Tutti gli altri erano lì», racconta Paolo Guzzanti sul “Giornale”. Metti una sera a cena: con Napolitano, Letta e nientemeno che sua maestà Mario Draghi. Dove? A casa di Eugenio Scalfari, il fondatore di “Repubblica”. Che, tra un colloquio e l’altro col Pontefice, trova anche il tempo di occuparsi del destino della nazione. Non in qualità di giornalista, come forse ci si aspetterebbe, e neppure di “consigliere del principe”. Anche perché in questo caso i principi sono addirittura tre. E il consigliato è lui, che riceve precise istruzioni da trasmettere alla plebe dei lettori. Loro, gli italiani incorreggibili che dimostrano «l’incapacità della massa di fare progressi» e cedono di fronte all’altro grande male che affligge il paese, «la caparbietà di Berlusconi nel privilegiare se stesso». Un racconto lunare, quello che offre “Dapospia” attingendo al “Fatto Quotidiano”, sulla famosa cena (ovviamente informale, dunque top secret) del 20 settembre: la folla di agenti in borghese e l’inattesa processione di auto blu in piazza della Minerva, nel cuore di Roma, alla vigilia del tremebondo ricatto berlusconiano contro il governo Letta.
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Rodotà: e invece di governare, insidiano la Costituzione
Giù le mani dalla Costituzione. Piuttosto, abbiano la decenza di cestinare il Porcellum e cambiare la legge elettorale. E dimostrino che non sono soltanto marionette agli ordini dei boss della finanza e della grande industria. Stefano Rodotà vota contro le larghe intese: «Stiamo vivendo il grado zero della politica, e in questo vuoto di politica rischia di precipitare l’intera società italiana». Il governo Letta? «Un azzardo politico, e ora ne stiamo pagando il prezzo, prevedibile e elevatissimo». L’esecutivo era nato «fin dall’inizio prigioniero delle smanie di un autocrate», Berlusconi, che l’ha paralizzato con lo stallo infinito sull’Imu, senza contare la speranza di avere uno sconto sulla giustizia, fonte di «fibrillazioni continue». Ricatti incrociati per una partita truccata, «fino a giungere alle indegne vicende dell’ultima fase», col suicidio del Cavaliere e l’evaporazione del Pd, appiattito sulla pura sopravvivenza del governo, «considerando come unico e supremo bene il solo fatto che il governo riuscisse a durare».
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I morti di Lampedusa e la festa dei politici mascalzoni
Nel Canale di Sicilia centinaia di migranti «sono morti affogati dalla legge Bossi-Fini e da una classe politica di mascalzoni», accusa Franco “Bifo” Berardi. Coincidenze: Lampedusa precipita l’Italia nel lutto proprio mentre «Letta, Alfano e Napolitano festeggiano la sconfitta di Berlusconi». Ma quei politici dimenticando un particolare: «Il programma con cui Berlusconi venne sulla scena politica nel 1993 si è integralmente realizzato». Il Cavaliere «voleva che dopo Tangentopoli i democristiani continuassero a governare» e, non trovando un “moderato” capace di realizzare il suo progetto, se ne dovette occupare personalmente. Missione compiuta: vent’anni dopo, sulla scena politica sono rimasti solo democristiani. «Ma soprattutto l’uomo di Mediaset e della P2 voleva distruggere la forza dei lavoratori, ridurre i salari alla metà e costringere i lavoratori a sottomettersi al ricatto infinito della precarietà».Obiettivo pienamente raggiunto, sostiene Berardi su “Micromega”, «grazie ai governi di centrosinistra e a quelli di centrodestra che si sono succeduti in perfetta coerenza e continuità». L’analista traccia un drammatrico parallelo tra Lampedusa e il resto d’Italia: «Nel Canale di Sicilia c’è una fossa comune nella quale per sempre giacciono migliaia di uomini, donne e bambini che le guerre armate dalla follia economica e religiosa cacciano dalle loro case a cercare lavoro e a trovare morte», mentre nelle varie regioni della penisola «decine di migliaia di migranti soffrono in campi di concentramento nazisti inventati dai democratici Turco e Napolitano e rinforzati dai non meno democratici Bossi e Fini con l’istigazione all’omicidio che si chiama “respingimento”». La caduta del Cavaliere sfidato da Alfano? «Un giorno di festa per una classe politica di mascalzoni e di servi».Per Berardi, gli inaffondabili esponenti del Palazzo «festeggiano la ritrovata forza di governo che permetterà loro di distruggere definitivamente la società italiana e di generalizzare a tutta la forza lavoro il decreto schiavista firmato per i lavoratori dell’Expo, che prevede l’imposizione di lavoro gratuito. Festeggiano l’unità che permetterà loro di eseguire i dettati degli speculatori che hanno sottomesso il progetto europeo agli interessi delle grandi banche, e passo passo stanno conducendo l’Europa verso la guerra civile». Intanto, dalle acque di Lampedusa si ripescano cadaveri, che finiscono dentro buste di plastica azzurra. «Quanti altri migranti devono uccidere ancora gli assassini in festa – conclude Berardi – prima che qualcuno cancelli l’infamia della loro legge?Nel Canale di Sicilia centinaia di migranti «sono morti affogati dalla legge Bossi-Fini e da una classe politica di mascalzoni», accusa Franco “Bifo” Berardi. Coincidenze: Lampedusa precipita l’Italia nel lutto proprio mentre «Letta, Alfano e Napolitano festeggiano la sconfitta di Berlusconi». Ma quei politici dimenticando un particolare: «Il programma con cui Berlusconi venne sulla scena politica nel 1993 si è integralmente realizzato». Il Cavaliere «voleva che dopo Tangentopoli i democristiani continuassero a governare» e, non trovando un “moderato” capace di realizzare il suo progetto, se ne dovette occupare personalmente. Missione compiuta: vent’anni dopo, sulla scena politica sono rimasti solo democristiani. «Ma soprattutto l’uomo di Mediaset e della P2 voleva distruggere la forza dei lavoratori, ridurre i salari alla metà e costringere i lavoratori a sottomettersi al ricatto infinito della precarietà».