Archivio del Tag ‘ricatto’
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Fondi-fantasma, Ue: il bilanco del Sacro Romano Impero
Tutti sappiamo che l’Europa ci frega, ma non immaginiamo fino a che punto la truffa è raffinata. Oh, certo, sì… paghiamo con un euro di debito una banca, per la quale, se quella moneta vale 10 centesimi, è già tutto grasso che cola. Anche una banconota da 500 euro costa pressappoco qualche centesimo, ma il guadagno è maggiore: se poi è denaro elettronico… puf! Non costa niente. E ti sei indebitato per il valore nominale. Un sistema come questo, però, richiede che la gente ci creda, che non possa farne a meno, che abbia paura se taglia i legami con la banca strozzina. Per fare questo, ci vogliono fior di politici e di giornalisti: e chi paga? Sempre noi, paghiamo anche le fruste dei nostri aguzzini. Mai dato uno sguardo ai bilanci dell’Ue? L’Ue è “prodiga e trasparente”, quando si tratta di mostrare quanto sono buoni e onesti con noi, salvo che – come in ogni gioco di un prestigiatore – il trucco c’è, ma non si vede. E non parlo d’ingegneria finanziaria: è più semplice, ma efficientissimo. Vediamo, anzitutto, quanto versano e ricevono i vari paesi, annualmente, all/dall’Ue, considerando che una parte viene restituita sotto forma di finanziamenti. Ogni anno (dati 2015) la “tassa” che l’Italia paga per rimanere nell’Ue è di circa 14-15 miliardi di euro, mentre quelli che ci ritornano sono circa 12-13.Così, adesso abbiamo ben cinque livelli di tassazione: Europa, Stato italiano, Regioni, Province (ora “Enti di vasta area”) e Comuni: una bella zuppa, non c’è che dire. Perché, se l’Italia è un paese “in gravi difficoltà” per quanto riguarda il debito pubblico, non riceve più di quanto dà? La Grecia, difatti è nel novero dei “riceventi”, come del resto l’Estonia, che non ha praticamente debito pubblico. Mistero. Chissà poi perché la Spagna riceve parecchio di più rispetto a quanto versa… Insomma, è un guazzabuglio senza senso, dove sembra che più dei dati oggettivi – di bilancio o di bisogno – contino di più appoggi ed alleanze con paesi potenti. Un altro aspetto è che – con un paio di eccezioni – tutti i paesi dell’area euro sono a saldo negativo, mentre i paesi fuori dall’euro sono a saldo positivo: la Polonia, ad esempio, riceve 9 miliardi in più di quanto versa, (l’ammontare del RdC tanto contestato all’Italia), che insieme alla Grecia non ha mai avuto un serio assegno di disoccupazione, quale il RdC è. Si vede che il detto “se lo conosci lo eviti”, riferito all’euro, si è fatto strada e… devono far vedere che sono prodighi! Ci piacerebbe anche sapere come mai il signor Juncker s’arrabbia così tanto per l’Italia quando il suo paese – che è un paradiso fiscale nel bel mezzo dell’Europa – versa pochissimo: eh già, i lussemburghesi sono pochi e il Pil è scarso… in compenso, i bilanci delle banche sono astronomici.Tutti i paesi a forte penetrazione economica tedesca (soprattutto industriale) sono a saldo positivo: così è anche per la Spagna, dove i capitali germanici hanno investito in lungo ed in largo. Ma… ciò che riceviamo? Sono pur sempre una dozzina di miliarduzzi… Vediamo come l’Ue li ripartisce per aree economiche. L’Ue riceve, complessivamente, circa 155 miliardi l’anno dagli Stati membri, però i bilanci sono settennali. Perché? Forse un “ricordo” dei piani quinquennali sovietici? Mistero. Ciò che più è importante è notare la ripartizione del bilancio di previsione 2014-2020, che supera la fantasmagorica cifra di 1.000 miliardi di euro e che aumenta ogni anno di 4 miliardi. Beati loro: lo sanciscono per editto, come gli imperatori del Sacro Romano Impero. Curiosità (ma non troppo): l’Ue spende – ogni anno – circa 4 miliardi in compensi, cioè stipendi. Riteniamo che, nella cifra, ci siano sia i politici che i burocrati… oppure i secondi sono pagati con i 10 miliardi annui dell’amministrazione? E Global Europe, cos’è? Sono più di 9 miliardi annui spesi per l’immagine dell’Ue nel mondo e per le spese conseguenti: un bel mistero, visto che l’Ue non ha un’unica politica estera e non è nemmeno un’entità statuale, federale o confederale. E allora?Rimangono pochi spiccioli – circa 2,5 miliardi l’anno – per sicurezza e cittadinanza e ben 20 miliardi l’anno per crescita e lavoro. Ma veniamo alle due ripartizioni principali, che sono, rispettivamente, la prima più legata agli aspetti industriali (Coesione, ecc) e la seconda all’agricoltura, che si “beccano” la prima circa 50 miliardi l’anno e la seconda addirittura circa 60 miliardi tondi tondi l’anno. Cosa ci fanno? Beh, se notate la sfilza di finanziamenti a fondo perduto, capite subito che si tratta di soldi dati a soggetti pubblici o altri grandi investitori privati. L’Europa, ai piccoli imprenditori o, comunque, a qualcuno che non abbia dietro “consistenti” appoggi politici, non dà una mazza. Due brevi esempi. Due ragazze avevano deciso d’avviare un’attività legata al loro territorio (Langa), ossia una stalla dove allevare capre per fare formaggi caprini: ci sono riuscite – e adesso vendono le loro formaggette – ma le hanno aiutate le loro famiglie. Pur bussando più volte a molte porte, non hanno ottenuto nulla dalla “grande” Europa. Nella seconda fui coinvolto personalmente.L’idea, partita da una parrocchia, era quella di creare una cooperativa fra ex carcerati che si occupasse di restauro ligneo: fui interpellato come esperto del settore (provengo da una famiglia d’antiquari) insieme ad un amico restauratore. Credevamo, essendo le uniche persone esperte, di dirigere la struttura ma non era così: la direzione generale della struttura era affidata ad un “diacono” che nessuno conosceva. Incontrai questo “diacono”, m’offrì una grappa e mi disse: «Tanto è inutile che voi pretendiate la direzione, perché “noi” riceveremo i fondi europei, voi mai». Bevvi d’un sorso la grappa e lo salutai. A mai più. Quella enorme massa di denaro che viene elargita per vari “progetti” non è altro che una colossale regalia al potere politico di una nazione, allo scopo di garantirsi la fedeltà assoluta ai dettami europei. I mille capannoni abbandonati, cosa furono? Altrettante tangenti o, comunque, “provvigioni” ottenute da “progetti” che erano inconsistenti, privi d’utilità economico-sociale, buoni solo per finanziare questo o quello, europeisti convinti, ovvio.Infine, c’è la bella favola del Fondo Sociale Europeo – il quale, per sua definizione, potrebbe essere usato anche per il RdC – ma no, non s’ha da fare. Perché? Perché la gestione del Fse era delle Regioni, poi delle Province… e adesso? Sono i famigerati “centri per l’impiego”, ossia posti dove una miriade di burocrati s’affannano per farti credere che il lavoro si troverà… a patto di fare quel certo corso d’aggiornamento, tenuto dal luminare universitario, pagato profumatamente, mediante il quale magari ti daranno anche un punteggio. E tu mangiaci, col punteggio. Mentre loro sono i veri destinatari del Fse: erano la base elettorale dei partiti che prima erano al governo e che temono un’affermazione dei sovranisti alle prossime elezioni europee. Finisce la pacchia? Vedremo. Un bilancio europeo siffatto serve soltanto a un trasferimento di denaro, che passa dai fondi pubblici alle tasche private: difatti, l’Europa è il continente che più esporta capitali nei paradisi fiscali (Isole Cayman, ecc). Ben 2.600 miliardi di dollari! Pronti, all’evenienza, ad acquistare stock di debito pubblico di un certo paese, oppure a venderli: così si ottiene il controllo di un continente, mediante lo spread ed il tipico atteggiamento dei cravattari.Del resto, cosa ci si può aspettare da un uomo (Juncker) che ha promosso l’elusione fiscale per le grandi aziende, nel suo paese e nel resto d’Europa, documentata da un’inchiesta di ben 80 giornalisti di 26 paesi, e un processo nel quale i giudici (lussemburghesi) hanno condannato…i giornalisti che avevano indagato?! Ora, torniamo a noi ed a quel famoso 2,4% che ha fatto infuriare Juncker: una nazione, pesantemente indebitata (come quasi tutti i grandi paesi europei), decide – dopo anni d’inconcludenti restrizioni economiche – di provare la via keynesiana, ossia di fornire risorse alle fasce più deboli della popolazione affinché, visto che quei soldi finiranno spesi per necessità (e non alle Cayman!), si possa innalzare la crescita e, in questo modo, ridurre il rapporto debito-Pil. E’ un tentativo plausibile? L’alternativa? Continuare in ristrettezze con il debito che sempre aumenta? Crediamo che Juncker sia arrabbiato, perché loro campano proprio sul debito altrui, come gli usurai: se qual debito non ci fosse, si dovrebbe inventarlo! Però, c’è un però.Per la prima volta sono giunti al potere partiti anti-europeisti: non tanto per principio, quanto per la miseria che è diventata questa Europa, che va sempre peggio, nella quale l’Indice di Gini (la disuguaglianza sociale) è sempre in aumento, nella quale in ogni paese s’avvertono solo “necessità di tagliare”, via welfare, via scuole, via ospedali… Il guaio è che è capitato in un grande paese: l’Italia. Al punto che, se si dovesse giungere ad uno scontro veramente duro, quel paese potrebbe sottoporre ai suoi elettori un referendum consultivo (come per il referendum consultivo per l’adesione, nel 1989) e decidere, vista l’impossibilità di rimanere insieme, d’andarsene. E sarebbe la fine dell’Unione Europea. Alcuni burocrati europei l’hanno capito (Moscovici, ad esempio, più “morbido”) mentre Juncker – che non è un gran politico, la sua formazione è prevalentemente economica – sembra non volerlo capire. Alle prossime elezioni europee lo capirà: coraggio, Juncker, non è mai troppo tardi!(Carlo Bertani, “I bilanci del Sacro Romano Impero”, dal blog di Bertani del 2 ottobre 2018).Tutti sappiamo che l’Europa ci frega, ma non immaginiamo fino a che punto la truffa è raffinata. Oh, certo, sì… paghiamo con un euro di debito una banca, per la quale, se quella moneta vale 10 centesimi, è già tutto grasso che cola. Anche una banconota da 500 euro costa pressappoco qualche centesimo, ma il guadagno è maggiore: se poi è denaro elettronico… puf! Non costa niente. E ti sei indebitato per il valore nominale. Un sistema come questo, però, richiede che la gente ci creda, che non possa farne a meno, che abbia paura se taglia i legami con la banca strozzina. Per fare questo, ci vogliono fior di politici e di giornalisti: e chi paga? Sempre noi, paghiamo anche le fruste dei nostri aguzzini. Mai dato uno sguardo ai bilanci dell’Ue? L’Ue è “prodiga e trasparente”, quando si tratta di mostrare quanto sono buoni e onesti con noi, salvo che – come in ogni gioco di un prestigiatore – il trucco c’è, ma non si vede. E non parlo d’ingegneria finanziaria: è più semplice, ma efficientissimo. Vediamo, anzitutto, quanto versano e ricevono i vari paesi, annualmente, all/dall’Ue, considerando che una parte viene restituita sotto forma di finanziamenti. Ogni anno (dati 2015) la “tassa” che l’Italia paga per rimanere nell’Ue è di circa 14-15 miliardi di euro, mentre quelli che ci ritornano sono circa 12-13.
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Vaccinare ragazzi e nonni, o niente più esenzioni sul ticket?
Si chiama “vaccinazione universale”, e ha un sapore sinistramente orwelliano: negli Usa, prevede che siano immunizzati i neonati – ad appena 6 ore di vita – dal virus dell’epatite B, che si può contrarre solo per via sessuale o attraverso aghi infetti. «E’ pieno, infatti, di neonati che ad appena 6 ore dal parto vanno in giro a fare sesso o a iniettarsi eroina». Una garanzia: «I piccoli incorporano veleni che possono danneggiargli il cervello in modo anche irriversibile, non avendo ancora un sistema immunitario bilanciato». Massimo Mazzucco, ovvero: viaggio – virtuale, ma non troppo – nell’incubo che ha invaso di colpo la mente di milioni di italiani, dopo l’adozione del decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale. «Prima, dei 4 vaccini obbligatori non parlava nessuno», ricorda Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Poi, all’improvviso, le vaccinazioni divenute improvvisamente obbligatorie (in prima battuta addirittura 12, e senza alcuna emergenza sanitaria in corso) sono state recepite come un fatto fisiologico, quasi naturale, al quale semplicemente arrendersi». Fino al delirio che ora sembra contagiare lo stesso governo gialloverde: lungi dall’abrogare la filosofia della legge Lorenzin, il grillino Stefano Patuanelli sta lavorando a un decreto legge che, si dice, potrebbe anche sfociare in qualcosa di persino peggiore: per esempio, l’obbligo vaccinale esteso agli anziani, pena la perdita dell’esenzione dai ticket sanitari.Niente di ufficiale, per ora (solo voci allarmate) sul testo a cui Patuanelli sta lavorando, insieme ai leghisti Massmiliano Romeo e Sonia Fregolent. Secondo indiscrezioni, il decreto legge potrebbe «estendere l’obbligo vaccinale ad adolescenti e anziani, ed escludere dalle scuole i bambini e e gli adolescenti non vaccinati», riferisce Frabetti. Gli anziani inadempienti verrebbero privati dell’esenzione sul ticket sanitario e, se poveri, “condannati” a morire di malattia? «Tale aborto giuridico, ben peggiore del decreto Lorenzin, dovrebbe essere pronto a breve», si legge da più parti sul web. Unico organismo con potere di veto, la commissione sanità. Mostruosità legislative a parte, «si punta in ogni caso a una promozione dei vaccini per raggiungere la massima copertura vaccinale e si istituisce l’anagrafe vaccinale nazionale, in atto». Esagerazioni? «Che ci sia ormai una spinta a livello mondiale per arrivare alla vaccinazione globale, obbligando tutti a vaccinarsi, è ormai evidente», premette Massimo Mazzucco, nella video-chat settimanale “Mazzucco Live”, con Frabetti. «Una volta stabilito che puoi imporre un obbligo, dopo devi solo decidere quali penalità infliggere a chi non lo rispetta: il ticket, appunto, o magari il mancato rinnovo della patente di guida».Secondo il video-reporter milanese, autore di clamorose denunce (dall’11 Settembre alle cure alternative per il tumore, fino alle immagini manipolate dello “sbarco sulla Luna”), abbiamo varcato il Rubicone: «Nel momento in cui accetti il principio che si può obbligare una popolazione intera a inserire qualche sostanza nel proprio corpo, per legge, hai abbattuto una barriera enorme: dopo di quella hai davanti delle praterie, perché a quel punto puoi obbligare tutti a fare di tutto. Teoricamente domattina potresti obbligare tutti a mandar giù 4 aspirine, pena il divieto di prendere l’autobus. Volendo, teoricamente, puoi arrivare a tutto». Tra l’altro, aggiunge Mazzucco, «siamo di fronte a un muro di ignoranza mostruosa». Mazzucco consiglia a tutti la lettura del saggio “Il vaccino non è un’opinione”, opera di Roberto Burioni, il medico esaltato dei media come nemico numero uno dei “Free Vax”. Per avere un’idea di quello che il libro contiene, dice Mazzucco, basta leggere la quarta di copertina. Testualmente: “La Terra è tonda, la benzina è infiammabile, i vaccini non provocano l’autismo”. Punto. «Ecco fin dove è scesa l’informazione ufficiale, su un tema più che controverso come quello dei rischi connessi all’abuso vaccinale, citato da tantissime autorevoli fonti sanitarie, statistiche alla mano».Una verità emersa in modo catastrofico anche dal lavoro della commissione difesa: quattromila militari italiani gravemente malati, e mille già morti (per colpa dell’esposizione a materiali tossici ma anche a causa di vaccini somministrati senza precauzioni, in assenza di test per verificare le capacità di tolleranza dell’organismo). Ma, se uno dà a retta a Burioni, è come se la “strage silenziosa” dei soldati non esistesse proprio. «Questa è la posizione della scienza ufficiale», sottolinea Mazzucco. «Capite che, se non si fa niente, prima di tutto per dimostrare a livello scientifico i danni da vaccino, non si può eliminare il concetto dell’obbligo. E se non lo elimini per i bambini, il rischio resta anche per gli adulti». Vaccinazione universale? Estensione dell’obbligo a ragazzi e pensionati? «Che ci riescano o meno con questo Ddl non lo so – dice Mazzucco – ma è tragico che la spinta sia comunque in questa direzione, ormai è evidente. Dal momento in cui abbatti il muro dell’obbligo, e lo Stato può imporre al cittadino di inserire nel suo corpo quello che vogliono loro, a quel punto è solo questione di capire quali misure possono usare per obbligarti a farlo. Diventa un ricatto».Nel pianeta-vaccini, che prima del decreto Lorenzin era come se non ci fosse, è comparsa all’improvviso anche la problematica dei bambini immunodepressi, presentata come insormontabile. «La storia degli immunodepressi è ridicola di per sé», sostiene Mazzucco. «Sono circa 10.000 in tutta Italia, e tu per 10.000 bambini vai a vaccinare obbligatoriamente non so quanti milioni di bambini? C’è già una sproporzione pazzesca tra rischio e beneficio. Ma poi – aggiunge Mazzucco – non dicono che l’immunodepresso può essere colpito da qualunque virus, trasportato da qualunque persona. Quindi, se fosse vero che tu vuoi difendere gli immunodepressi, dovresti far vaccinare anche insegnanti, bidelli, inservienti, operatori delle mense. Come mai se ne sono dimenticati? Semplice: perché il loro “target” non era affatto la protezione dell’immunodepresso, ma solo di usare la scusa dell’immunodepresso per arrivare all’obbligo vaccinale. Perché infatti non vaccinare anche gli adulti che lavorano nella scuola? Nessuno sa rispondere a questa domanda».Gli stessi docenti hanno protestato, di fronte all’ipotesi di essere vaccinati a loro volta. «Già, chissà perché. Loro sanno “leggere e scrivere”: molto più delle mamme, spesso sprovvedute, che cascano nella propaganda del nostro amico Burioni». Era successa la stessa cosa negli Usa, ricorda Mazzucco, quando c’era stata la famosa crisi dell’influenza “suina”. «Volevano immunizzare anche gli operatori sanitari negli ospedali. E invece, medici e infermieri si sono ribellati: non volevano saperne, di vaccinarsi. Erano perfettamente al corrente del fatto che il vaccino comporta dei rischi». Lo conferma la rivista “Focus”, che già nel 2017 documenta la “renitenza” dei sanitari di fronte alla prospettiva di vaccinarsi. «Ma “Focus” parla solo dell’efficacia dei vaccini messa in dubbio dai medici, si guarda bene dall’ammettere che i medici evitano i vaccini perché ne hanno paura». E’ lo stesso motivo, aggiunge Mazzucco, per cui – secondo recenti sondaggi – il 70-80% degli oncologi non si sottoporrebbero mai alla chemioterapia, se fossero malati di cancro. «Ai loro pazienti la impongono, nei protocolli, insieme alla radioterapia. Ma loro non se la somministrano, chissà perché». Curioso, no? «Se la gente fosse un po’ più attenta a queste notizie, capirebbe molte più cose, e in molto meno tempo».Si chiama “vaccinazione universale”, e ha un sapore sinistramente orwelliano: negli Usa, prevede che siano immunizzati i neonati – ad appena 6 ore di vita – dal virus dell’epatite B, che si può contrarre solo per via sessuale o attraverso aghi infetti. «E’ pieno, infatti, di neonati che ad appena 6 ore dal parto vanno in giro a fare sesso o a iniettarsi eroina». Una garanzia: «I piccoli incorporano veleni che possono danneggiargli il cervello in modo anche irriversibile, non avendo ancora un sistema immunitario bilanciato». Massimo Mazzucco, ovvero: viaggio – virtuale, ma non troppo – nell’incubo che ha invaso di colpo la mente di milioni di italiani, dopo l’adozione del decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale. «Prima, dei 4 vaccini obbligatori non parlava nessuno», ricorda Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Poi, all’improvviso, le vaccinazioni divenute improvvisamente obbligatorie (in prima battuta addirittura 12, e senza alcuna emergenza sanitaria in corso) sono state recepite come un fatto fisiologico, quasi naturale, al quale semplicemente arrendersi». Fino al delirio che ora sembra contagiare lo stesso governo gialloverde: lungi dall’abrogare la filosofia della legge Lorenzin, il grillino Stefano Patuanelli sta lavorando a un decreto legge che, si dice, potrebbe anche sfociare in qualcosa di persino peggiore: per esempio, l’obbligo vaccinale esteso agli anziani, pena la perdita dell’esenzione dai ticket sanitari.
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Draghi a Mattarella: obbedite, o vi faremo morire di spread
Dallo spread ti può difendere la Bce, a una condizione: il commissariamento sostanziale dello Stato, non più libero di decidere come indirizzare la spesa pubblica. Secondo il “Fatto Quotidiano”, sarebbe questo il piano che Mario Draghi ha esposto a Sergio Mattarella, nei giorni scorsi, al Quirinale. «Si tratta dell’acquisto diretto da parte della Bce di titoli di Stato a breve termine emessi dallo Stato in difficoltà, che però per accedervi deve concordare una sorta di memorandum con il Meccanismo Europeo di Stabilità. Di fatto un commissariamento». Nella sostanza: la Banca Centrale Europea, che continua a non voler emettere “eurobond” a garanzia del debito pubblico dei paesi dell’Eurozona, si appresterebbe a esercitare indebite pressioni – modello Grecia – su un paese come l’Italia, di cui non si tollera la decisione di andare in controtendenza, rispetto al pensiero unico neoliberista di Bruxelles, espandendo il deficit. In una nota, la Commissione Europea “avverte” che la previsione del Def gialloverde (disavanzo al 2,4%) non sarà digerita dall’Ue, anche se Lega e 5 Stelle ritengono indispensabile, quel disavanzo, per cominciare a finanziare reddito di cittadinanza, pensioni più dignitose e taglio del carico fiscale. Misure che, secondo il governo, rilancerebbero il Pil già nel 2019.
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L’inverno nucleare che attende il Pd, con o senza Renzi
«Pensano di essersi liberati di me, ma hanno sbagliato» (Matteo Renzi). Come ha dimostrato chiaramente la reazione del Pd alla strage del ponte Morandi, dopo Renzi è ancora Renzi a dettare la linea. E come al solito punta dritta contro un muro. Se il Pd vuole scampare alla meritatissima estinzione, deve liberarsi immediatamente del Bomba. Speriamo che non lo faccia. Il Pd non è migliore di Renzi. Il Cazzaro non è mai stato, come molti raccontavano, un usurpatore, una metastasi berlusconiana. Renzi è un frutto dell’Ulivo. È la logica conseguenza della deriva strutturale che ha portato il Pci, da sempre verticista, opportunista, settario e securitario, a tradire tutti gli ideali e le speranze dei lavoratori e dei movimenti, inseguire il potere lungo la Terza Via globalista, fondersi coi resti della Democrazia Cristiana – un destino manifesto fin dal Compromesso Storico – e diventare il principale garante dell’establishment, e del capitale.L’Ulivo di Prodi ha svenduto agli squali le aziende di Stato, e col pacchetto Treu ha legalizzato il nuovo schiavismo del precariato. La “ditta” di Bersani, coi governi tecnici, ha smantellato lo Stato Sociale, e lo Statuto dei Lavoratori. Renzi ha finito il lavoro col Jobs Act e la Buona Scuola, mentre cercava di rottamare anche la Costituzione. “Liberi e Ipocriti”, in fuga da Renzi, si sono scelti come padri fondatori Bersani, e il boia di Belgrado. Il “sobrio” Gentiloni ha controfirmato la dottrina Minniti che finanzia i campi di concentramento libici. Tutto il cosiddetto centrosinistra condivide questa marcescenza, di cui il renzismo è solo lo stadio terminale. In Renzi però si vede più che in chiunque altro. Renzi è uno sprezzante, grassoccio principino che ancora si rifiuta di vedere quanta rabbia giustificata susciti il semplice apparire del suo stolido faccione in tutti quelli che la sua classe parassitaria ha depredato.Renzi è la pingue, querula personificazione stessa dell’arroganza del potere ereditario; e il cosiddetto centrosinistra, per avere qualche possibilità di sopravvivere al meritatissimo inverno nucleare che l’aspetta, dovrebbe liberarsi immediatamente di lui e dell’Esercito delle Dodici Sceme, le sue fedelissime che ancora infestano talk e social come uniche portavoce. Speriamo che non lo faccia. Renzi si ripete «il futuro prima o poi torna», o qualche altra stronzata motivazionale da meme di Facebook. Sogna di fondare un partito tutto suo. Che prenderebbe meno voti della Lorenzin. Pensa: «Sull’onda del prossimo spread, tornerà il mio momento». Si sbaglia. Non tornerà, come non è tornato quello del suo Yoda, Rutelli. O quello di Claudio Martelli. Era giovane, rampante e in camicia anche lui. Il Bomba è scoppiato. Per sopravvivere al fallout, il Pci/Pd tenterà l’ennesima mutazione. Facciamo che non gli riesca.(Alessandra Daniele, “Cronache del dopo Bomba”, da “Carmilla” del 23 settembre 2018).«Pensano di essersi liberati di me, ma hanno sbagliato» (Matteo Renzi). Come ha dimostrato chiaramente la reazione del Pd alla strage del ponte Morandi, dopo Renzi è ancora Renzi a dettare la linea. E come al solito punta dritta contro un muro. Se il Pd vuole scampare alla meritatissima estinzione, deve liberarsi immediatamente del Bomba. Speriamo che non lo faccia. Il Pd non è migliore di Renzi. Il Cazzaro non è mai stato, come molti raccontavano, un usurpatore, una metastasi berlusconiana. Renzi è un frutto dell’Ulivo. È la logica conseguenza della deriva strutturale che ha portato il Pci, da sempre verticista, opportunista, settario e securitario, a tradire tutti gli ideali e le speranze dei lavoratori e dei movimenti, inseguire il potere lungo la Terza Via globalista, fondersi coi resti della Democrazia Cristiana – un destino manifesto fin dal Compromesso Storico – e diventare il principale garante dell’establishment, e del capitale.
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Magaldi: Mattarella difende la Costituzione di Mario Monti?
Avete capito bene: il presidente della Repubblica è allarmato dal Def gialloverde che porta il deficit al 2,4%. Meglio dei governi Monti, Renzi, Letta e Gentiloni, ma pur sempre una miseria, ben al di sotto della soglia già di per sé “punitiva” del 3% (imposta da Maastricht solo sulla base della “teologia” neoliberista, senza alcun fondamento scientifico per la salute dell’economia). Fu allora che tutto cominciò: la favola dello Stato equiparato alla normale famiglia, per la quale il debito è un pericolo. Siamo in un film dell’orrore o piuttosto in un film comico, considerando che il più preoccupato degli attuali guardiani dell’establishment – l’ex ministro renziano Pier Carlo Padoan – era addirittura marxista con simpatie maoiste, e da giovane sognava di abbattere il capitalismo? Oggi invece canta nel coro dei Boeri, Monti, Draghi, Visco: guai a spendere soldi per il popolo, è severamente proibito. Da chi? «Da quelle stesse élite a cui questi signori devono le poltrone che occupano», dice Gioele Magaldi, keynesiano democratico-progressista, presidente del Movimento Roosevelt. Quanto a Mattarella, una domanda secca: «Quale Costituzione difende, quella democratica e sociale del 1948 o quella “stuprata” nel 2012 dal pareggio di bilancio imposto dai poteri oligarchici che spedirono Monti a Palazzo Chigi?».E’ sconcertante, aggiunge Magaldi in web-streaming su YouTube, che a scatenare il finto panico mediatico sia bastato il timido Def gialloverde con quell’esiguo 2,4% di deficit: «Lorsignori si stracciano le vesti a reti unificate, dichiarandosi preoccupati per il popolo italiano e per il futuro dei nostri giovani?». Non sono credibili: «L’unica cosa che li preoccupa è il futuro dei figli degli oligarchi che hanno ridotto l’Italia in questo stato, con le tasse alle stelle, la disoccupazione ovunque, i consumi crollati, le pensioni devastate dalla legge Fornero e i giovani italiani costretti a lavori precari, senza più la possibilità di progettare il loro futuro». Ed è proprio sui numeri, aggiunge Magaldi, che l’allarmismo mediatico scade nel ridicolo: Berlusconi – che oggi si unisce all’ipocrita moralismo dei cantori del rigore – teneva il deficit attrono al 4-5%. E lo stesso Renzi, fenomenale fanfarone, una volta perso Palazzo Chigi (dove si era attenuto alla consegna dell’austerity sorvegliata da Padoan) se ne uscì annunciando: possiamo sfidare Bruxelles, portando il deficit al 2,9%. E’ lo stesso Renzi che oggi accusa di irresponsabilità i gialloverdi, per via del loro 2,4? Ebbene, sì. Ma non è il solo.Gli fanno eco tutti gli economisti di corte, che affollano giornali e televisioni, senza mai uno straccio di contraddittorio giornalistico. Ma il guaio, sostiene Magaldi, è che il Quirinale non interviene nel modo che ci si aspetterebbe, per ristabilire la verità calpestata dai media. Anzi: si appella al mitico “equilibrio di bilancio”, inserito in Costituzione solo dall’Italia. Il pareggio di bilancio fu introdotto nel 2012 da Monti, insieme alla mannaia del Fiscal Compact, proprio mentre i poteri finanziari puntavano la pistola contro l’Italia, ricattata dallo spread. Sicuri, si domanda Magaldi, che Sergio Mattarella sia all’altezza della carica che ricopre? E’ duro, il presidente del Movimento Roosevelt, con il Capo dello Stato, che criticò aspramente, mesi fa – invitandolo alle dimissioni – dopo aver giudicato improprio, costituzionalmente, il rifiuto di ratificare la nomina di Paolo Savona come ministro dell’economia. Oggi dichiara: «Non ho ancora sentito un intervento di Sergio Mattarella che abbia contribuito in qualche misura al benessere del popolo italiano». Possibile, aggiunge, che Mattarella non si renda conto del pericolo gravissimo, per aziende e famiglie, costituito dal taglio del deficit? «Eppure Mattarella viene dalla sinistra democristiana, tradizionalmente attenta alle esigenze degli strati meno abbienti della popolazione».Cos’è successo, in questi anni, al punto da accecare i radar dell’informazione e mettere la politica al guinzaglio dell’economia finanziarizzata? Lo tsunami del neoliberismo: la rivoluzione “teologica” che innalza il profitto al di sopra delle istituzioni democratiche. Chi paga il conto? Tutti noi. Meno lo Stato spende a deficit per l’economia reale, sintetizza Magaldi, e più crescono le fortune stellari di un’élite miliardaria e privatizzatrice, a scapito di tutti gli altri. La paura del disavanzo? Un mito, fabbricato ad arte: «Se distribuisco investimenti e abbasso le tasse, faccio crescere l’economia. Faccio salire i consumi, dunque il prodotto interno lordo, e quindi migliorerò il rapporto debito-Pil: in ultima analisi, risanerò i conti pubblici. Dal 2011 in poi, con Monti – continua Magaldi – è stato fatto esattamente il contrario: si è tagliato il deficit, alzando le tasse. Risultato finale: stiamo tutti peggio, e sono peggiorati anche i conti pubblici». Lo spread? Un altro mito: «Basterebbe che la Bce emettesse “eurobond”, e il problema sparirebbe. Ma anche ridotti come siamo, cioè senza più vere banche centrali – nazionali e non – un grande paese industriale come l’Italia ha mezzi enormi per finanziarsi, ad esempio emettendo titoli. Dire che lo Stato è come una famigliola costretta a risparmiare è semplicemente una menzogna».Per Magaldi, «siamo davvero alla follia orwelliana spacciata per saggezza e senso di responsabilità». Una cosa «davvero vergognosa, che suscita indignazione (e riso)». In fondo, aggiunge, Salvini e Di Maio «hanno imboccato la strada giusta, che come Movimento Roosevelt avevavamo consigliato loro anche pubblicamente». Potrebbe non farcela, il governo gialloverde? «Se devono cadere, provvisoriamente, che cadano eroicamente “con le armi in pugno”». In altre parole: se adesso, per colpa dell’irrisorio 2,4% si scatenano i soliti mercati “eterodiretti”, se si scatena «questa canea di falsi uomini di Stato che dicono di preoccuparsi del bene comune e di quello dei giovani», e se quindi a un certo punto il governo venisse “strangolato” e messo nelle condizioni di non operare, ebbene: «Lega e 5 Stelle chiedano di andare a nuove elezioni, e vedremo il popolo chi premierà», conclude Magaldi. Vedremo se l’elettorato italiano «premierà questi sepolcri imbiancati che si preoccupano del 2,4% e si fingono solleciti nell’interesse comune, mentre sono solleciti rispetto alle proprie poltrone e a chi ce li ha messi». Vedremo, chiosa Magaldi, se invece l’elettore «premierà chi, seppure in modo ancora imperfetto, sta cercando di portare un reale cambiamento nel paradigma della governance economica italiana».Avete capito bene: il presidente della Repubblica è allarmato dal Def gialloverde che porta il deficit al 2,4%. Meglio dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, ma pur sempre una miseria, ben al di sotto della soglia già di per sé “punitiva” del 3% imposta da Maastricht (solo sulla base della “teologia” neoliberista, senza alcun fondamento scientifico per la salute dell’economia). Fu allora che tutto cominciò: la favola dello Stato equiparato alla normale famiglia, per la quale il debito è un pericolo. Siamo in un film dell’orrore o piuttosto in un film comico, considerando che il più preoccupato degli attuali guardiani dell’establishment – l’ex ministro renziano Pier Carlo Padoan – era addirittura marxista con simpatie maoiste, e da giovane sognava di abbattere il capitalismo? Oggi invece canta nel coro dei Boeri, Monti, Draghi, Visco: guai a spendere soldi per il popolo, è severamente proibito. Da chi? «Da quelle stesse élite a cui questi signori devono le poltrone che occupano», dice Gioele Magaldi, keynesiano democratico-progressista, presidente del Movimento Roosevelt. Quanto a Mattarella, una domanda secca: «Quale Costituzione difende, quella democratica e sociale del 1948 o quella “stuprata” nel 2012 dal pareggio di bilancio imposto dai poteri oligarchici che spedirono Monti a Palazzo Chigi?».
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Foa in Rai: che succede quando un eretico sale al potere?
Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l’establishment se l’è già “comprato”: intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla “voce del padrone”, utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.C’è qualcosa di meta-politico, di profondamente eversivo, nella sola idea di aver pensato a un cavaliere solitario e coltissimo come Foa, giornalista di razza e gentiluomo, per la presidenza della televisione di Stato, vera e propria fabbrica del consenso, per decenni affidata il più delle volte a mani servili e mediocri. È antropologicamente eversiva, la figura del liberale Foa al vertice della Rai: è il bambino che non può fare a meno di svelare l’imbarazzante nudità del sovrano, del monarca che si gloria nel celebrare una pace apparente, mentre intorno infuria la peggiore delle guerre. La guerriglia di oggi, nella quale Marcello Foa si trova coinvolto – dopo aver dato la sua avventurosa disponibilità a quell’ipotesi democratica chiamata “governo gialloverde” – non è un conflitto come quelli che l’hanno preceduto: è un sordido massacro quotidiano perpetrato ovunque, senza frontiere, senza più neppure le bandiere di un tempo. È una guerra orwelliana, affidata a mercenari. Navi corsare, che combattono (per lo più in incognito) per conto di padroni potentissimi, protetti dall’anonimato. Non c’è più neppure il triste onore della battaglia: si viene sopraffatti in modo subdolo, sistematicamente sommersi da menzogne spacciate per verità di fede, che il sistema mediatico non si cura più di verificare. Ed è proprio per questo che l’attuale sistema mediatico italiano detesta, e teme, Marcello Foa.Ascoltando solo e sempre un’unica campana, il sistema mainstream ci ha raccontato in questi anni che le poderose, ciclopiche Torri Gemelle di Manhattan sono crollate su se stesse, come se fossero state di cartone anziché di acciaio, solo perché colpite – con una manovra proibitiva persino per i migliori “top gun” – da normalissimi e leggerissimi jet di linea fatti di alluminio, dirottati da apprendisti piloti arabi, di cui tuttora non si sa nulla: non un’immagine, al fatale imbarco, di nessuno dei 19 presunti dirottatori (salvo poi rintracciare i loro passaporti, nientemeno, nell’inferno fumante di Ground Zero). Finge di credere sempre e soltanto alla versione ufficiale, il mainstream media, anche quando dimentica di ricordare che furono gli Usa a incoraggiare Saddam Hussein a invadere il Kuwait, dopo averlo spinto a combattere contro l’Iran. Dà retta unicamente al super-governo universale, il club dei telegiornali, anche quando assicura che Saddam disponeva di micidiali armi di distruzione di massa. E tace, invece, quando l’Onu dimostra che quelle armi erano pura fantasia, come i gas siriani di Assad, le fosse comuni di Gheddafi, le violenze della polizia di Yanukovich in Ucraina. E poi applaude a reti unificate, la consorteria mediatica, quando in Italia appaiono i cosiddetti salvatori della patria – i Monti, i Cottarelli – armati del bisturi che useranno per amputare carne viva, risparmi e pensioni, economia italiana di aziende e famiglie, oscurando il futuro dei giovani.All’epoca in cui Marcello Foa lavorava al “Giornale” di Indro Montanelli, il mondo probabilmente appariva infinitamente più semplice – più chiaro, più visibile nei suoi errori e orrori: la guerra fredda, il Medio Oriente e gli sconquassi africani della decolonizzazione, la strategia della tensione organizzata per gambizzare l’Italia e impedirle di prendere il volo come autonoma potenza euromediterranea fondata sulla forza formidabile dell’economia mista, pubblico-privata. In quella redazione milanese, dove Foa è cresciuto professionalmente, su una parete c’era appesa una carta geografica di Israele che indicava come capitale Gerusalemme, già allora, anziché Tel Aviv. Se Enrico Berlinguer impiegò anni per ammettere che si sentiva più al sicuro sotto l’ombrello della Nato piuttosto che tra i carri armati del Patto di Varsavia, Marcello Foa e il suo maestro Montanelli non avevano mai avuto dubbi sul fatto che niente di buono potesse venire, per l’Occidente, da un’oligarchia sedicente comunista che aveva soppresso sul nascere i primi vagiti democratici della Russia, cambiando semplicemente look all’antico dispotismo zarista. L’eroico sacrificio dell’Unione Sovietica, decisivo nell’abbattere il nazifascismo, non poteva cancellare né i Gulag di Stalin né l’esilio di Aleksandr Solženicyn. Era fatto di certezze, il mondo di Foa e Montanelli: la libertà (inclusa quella d’impresa) come fondamento irrinunciabile di qualsiasi comunità civile degna di chiamarsi democratica.Ed è questo che rende Foa insopportabile al potere economico di oggi, dove la libertà d’impresa cede il passo al dominio di immensi oligopoli finanziari globalizzati, privilegiati da legislazioni truccate come quelle dell’Unione Europea ordoliberista. È tanto più sgradevole e insidioso, Foa, perché non proviene – come invece molti anchorman televisivi – dalla contestazione giovanile del capitalismo: credeva, Foa, negli stessi valori professati dall’élite economica di un tempo, orientata pur sempre alla promozione della mobilità sociale, in sostanziale accordo con le forze sindacali dell’allora sinistra. Una dialettica anche aspra, ma vocata in ogni caso al miglioramento complessivo del sistema-paese. E mediata – sempre – dalla politica, letteralmente scomparsa dai radar italiani per 25 lunghissimi anni. Solo oggi, alla distanza, ci si mette le mani tra i capelli nel rivedere il film dell’euforia generale con la quale i cittadini avevano accolto il Trattato di Maastricht e, dieci anni dopo, l’ingresso nell’Eurozona disegnata dalle banche e governata dalla Bce con modalità feudali, imperiali, senza la supervisione di alcun controllo democratico. Succedeva negli anni cui, con la caduta del Muro di Berlino benedetta da Gorbaciov, l’umanità si era illusa che il fantasma della guerra sarebbe stato semplicemente cancellato dalla storia del pianeta.Magari fosse un comune complottista, Marcello Foa: sarebbe più comodo liquidarlo, come velleitario chiacchierone. Chi oggi gli promette guerra, invece, sa benissimo che l’ex caporedattore del “Giornale”, nonché docente universitario, nonché feroce critico del sub-giornalismo odierno, è un vero e proprio disertore. Non era un eretico: lo è diventato negli ultimi anni, disgustato dallo spettacolo al quale è stato costretto ad assistere. Per questo, al di là del reale potere che gli conferisce la carica di presidente Rai, Marcello Foa rappresenta un vero pericolo, per i malintenzionati che oggi gli danno del traditore. Nell’Italia corporativa delle caste, ha osato “sparare” contro la sua – quella dei giornalisti – definendoli “stregoni della notizia”, bugiardi e omertosi spacciatori di “fake news” di regime. E non c’è niente di peggio, per i servi, che l’ex schiavo che si libera delle catene: la sua rivolta personale, intellettuale, suona umiliante per chi si ostina a raccontare che la Terra è piatta, e che è il Sole a orbitarle attorno.Chi l’avrebbe detto? Oggi l’Italia riesce incredibilmente a piazzare una persona autorevole, onesta e competente, alla guida della televisione pubblica. Marcello Foa non è infallibile: ma quando ha sbagliato – anche di recente, prendendo per buona la notizia di presunte istruzioni che il governo tedesco avrebbe impartito alla polizia, per enfatizzare il terrorismo “casereccio” targato Isis – non ha esitato ad ammetterlo, tempestivamente. Quanti, al suo posto, avrebbero avuto lo stesso coraggio? E ora, questo volto pulito del nostro giornalismo è alle prese con una sfida estremamente impegnativa. È davvero impossibile fare molta strada, in politica, se non si è almeno in parte ricattabili, e quindi controllabili, in quanto complici dell’apparato da cui si è stati promossi? Così almeno ebbe a dire un protagonista della vita pubblica italiana come Giuliano Ferrara. Qualcuno – sincero o meno – obietterà che questa regola non vale necessariamente per tutti. Ma è sicuro che, una volta entrati in cabina di regia, le proprie virtù possono trasformarsi in problemi: in un ambiente non esattamente cristallino, le qualità naturali dell’eretico diventano un’enorme seccatura, se non un ostacolo da rimuovere prima che possa mettere in pericolo la sopravvivenza del sistema stesso.Questa è la sfida di Marcello Foa, nella quale è in gioco l’Italia intera: restare fedeli alla propria coscienza significa contribuire a riaccendere la luce sulle notizie. Senza un’informazione trasparente, lo sappiamo, non c’è neppure vera democrazia. Lo sostiene con vigore, Marcello Foa, che resta innanzitutto un uomo leale e garbato – anche quando si permette di dissentire in modo netto sull’operato del presidente della Repubblica: chi oggi lo accusa di aver addirittura insolentito Sergio Mattarella, dopo la bocciatura di Paolo Savona al ministero dell’economia, più che il prestigio del capo dello Stato sembra aver a cuore la disciplina sociale dell’ossequio, da imporre al popolo nei confronti di chiunque rivesta funzioni di potere. Non è questa la democrazia per la quale il giovane liberale Foa tifava, quando polemizzava con quel comunismo da cui provengono moltissimi dei suoi attuali, smemorati detrattori. Non sappiamo come si svilupperà, la sua avventura negli uffici della Rai. Ma sappiamo che – contro ogni previsione – è tornata sotto i riflettori, in Italia, un’antropologia che si credeva estinta. Quella delle persone per bene, a cui il governo in carica affida addirittura la guida della televisione.(Giorgio Cattaneo, “Marcello Foa alla guida della Rai: che succede quando un eretico sale al potere?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 settembre 201).Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l’establishment se l’è già “comprato”: intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla “voce del padrone”, utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.
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Magaldi: democrazia, non “sovranismo”. O rivince l’élite
Sovranista a chi? Se accettate di lasciarvi chiamare in quel modo, fate un favore proprio a quei poteri oligarchici che vorreste combattere. Parola di Gioele Magaldi, che avverte: c’è un equivoco, “sovranismo” non è affatto sinonimo di “sovranità”. Che senso avrebbe, ad esempio, tornare alla lira, se la moneta nazionale fosse gestita nel modo sciagurato che fu introdotto nel 1981 dai massoni Ciampi e Andreatta ben prima dell’avvento dell’euro? Un avviso a Giorgia Meloni: va bene restituire dignità all’Italia, ma senza «nostalgie “conservatrici” per chissà quale buon tempo andato». L’ex guru di Trump, Steve Bannon? «Un personaggio folkloristico e anche simpatico», il promotore di “The Movement”, network che si propone di coordinare la carica “sovranista” alle prossime europee. Ma siamo sicuri che, dietro certe manovre, non ci sia lo zampino dei soliti noti? In fondo è comodo, il recinto del sovranismo. Molto più scomodo – e più utile per tutti – sarebbe invece costringere un oligarca come Mario Draghi a usare finalmente l’euro a beneficio del popolo, non delle banche. Se c’è una cosa di cui quell’establishment marcio ha davvero paura, sottolinea Magaldi, non è l’ambiguo sovranismo, ma la cara, vecchia sovranità democratica: che pure avevamo, e che ci è stata confiscata dall’élite neoliberista, dominata dai massoni neo-aristocratici che negli ultimi trent’anni hanno cancellato l’idea stessa di Europa unita.Autore del bestseller “Massoni”, che rivela il grande potere di 36 superlogge sovranazionali nella cabina di regia della globalizzazione imposta “a mano armata”, senza diritti, Magaldi – massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt – fornisce la sua personale lettura dell’attualità ai microfoni di “Colors Radio”: lo stesso Isis, sostiene, è un progetto criminale coltivato dalla parte peggiore di quei cenacoli occulti, pronti a ricorrere persino all’orrore del terrorismo stragista per alimentare la guerra globale cui stiamo assistendo, gestita da interessi economici che si riparano dietro il paravento delle nazioni. Supermassoni reazionari, che sono riusciti a far rimangiare, all’Occidente, le conquiste inaugurate proprio da Roosevelt – l’economia espansiva fondata sul deficit positivo, secondo la ricetta del massone progressista Keynes – e la “Great Society” dello stesso Lyndon Johnson, alimentata dalle idee e dal coraggio di Bob Kennedy e Martin Luther King. L’Unione Europea? Capolavoro dell’élite neo-aristocratica, il più subdolo dei poteri: finto-progressista e finto-democratico. Pronto, oggi, anche a liquidare la nascente opposizione con la più comoda delle etichette, il “sovranismo”, che di fatto «è una falsa moneta», liberamente circolante – anche nell’Italia gialloverde – grazie a quegli stessi democratici che accettano di farsi chiamare “sovranisti”.«E a proposito di false monete», Magaldi ricorda di esser stato il primo, in tempi non sospetti, ad anticipare la “profezia” oggi rilanciata da Steve Bannon: l’Italia come unico punto di partenza possibile, in Europa, per una grande riscossa popolare. «Ma la riscossa che ha in mente Bannon – precisa Magaldi – non è quella di cui parlo io e di cui parlano i massoni limpidamente democratici: quella che abbiamo in mente noi è una rivoluzione democratica che vada a risvegliare la democrazia sostanziale, non soltanto in un paese ma in istituzioni sovranazionali che devono essere funzionanti per contrastare poteri privati altrettanto sovranazionali». Attenti alle “monete fasulle”, insiste Magaldi: in fondo, fanno comodo «a quelle élite apolidi e post-democratiche, anzi antidemocratiche, che poi sono le élite di natura massonica contro-iniziatica che si dicono europeiste ma invece hanno distrutto il sogno degli Stati Uniti d’Europa». Equivoci a reti unificate, sui media mainstream: «Adesso sembra che la contrapposizione sia, da una parte, tra tutti coloro che amano i valori democratici e progressisti, liberali, “politically correct”, e dall’altra i “sovranisti”, che sarebbero dei nazionalisti un po’ beceri e un po’ xenofobi, ripiegati su se stessi e incapaci di cogliere l’importanza delle costruzioni sovranazionali».«Quando in tanti accettano di farsi definire “sovranisti” sembra che le cose stiano così, ma non è vero», sostiene Magaldi: «Ciò che conta è la sovranità del popolo, che significa democrazia. E si può declinare tanto a livello nazionale quanto a livello internazionale o sovranazionale. Anzi: per contrastare questo tipo di globalizzazione, di segno post-democratico e neo-aristocratico, servono strutture pubbliche, politiche, legittimate dal popolo». Strutture di caratura anche sovranazionale, ribadisce Magaldi, «perché a chi possiede le armi atomiche non si fa la guerra con archi e frecce, da un avamposto locale o nazionale», per di più «in un contesto nel quale si muovono forze che penetrano le nazioni e riescono addirittura, dentro le nazioni, a creare dei cavalli di Troia o delle quinte colonne che poi ti levano la sedia da sotto il sedere». La parola da usare, oggi, è un’altra – sovranità popolare – declinata in Italia e nel resto del mondo, senza frontiere. «E a tutti coloro che tacciano i loro nemici di “sovranismo”, chiederei: ma perché, voi non siete per la sovranità popolare? Siete per la sovranità di gruppi oligarchici apolidi e sovranazionali?».Meglio essere chiari, dice sempre Magaldi: «Chi si schiera tra i conservatori e contro la sovranità popolare evidentemente ha in mente una idea di governance (locale, globale, nazionale) di tipo neo-aristocratico: ed è proprio nel passato conservatore, tradizionalista, che le pulsioni democratiche si sono dovute affermare con fatica». D’ora in avanti, annuncia l’autore di “Massoni”, il Movimento Roosevelt «farà una campagna politico-pedagogica proprio su questi temi, e anche sul termine “sovranista”». E insiste: «È un equivoco, il sovranismo: il rispetto per la sovranità popolare dovrebbe essere patrimonio condiviso di tutti». La prima a calpestarla, la nostra sovranità, è proprio l’antidemocratica Unione Europea, «gestita da personaggi impresentabili come frontman delle istituzioni: personaggi screditati e davvero indegni di rappresentare il grande sogno europeo». Punto primo: bocciare un’Europa «dove la Bce è l’organo più potente di comando», e dove il Parlamento Europeo non conta quasi niente eppure «si esprime in modo vergognoso, come ha appena fatto nel caso della legge sul copyright, la censura sul web». Il punto di svolta? «Una Costituzione politica europea, che imponga di usare l’euro per favorire il benessere collettivo». Sarebbe la fine della speculazione contro gli Stati, la fine del ricatto dello spread. Ora più che mai, servirebbe «una coesione europea in grado di avere anche una politica estera comune», e invece «oggi non c’è nessuna Europa».Il recupero della democrazia, riconosce Magadi, passa certamente per il ritorno alla sovranità monetaria: «La moneta – europea o nazionale, non importa – deve essere amministrata dai rappresentanti del popolo». Le banche centrali? Già prima dell’Eurozona erano «degenerate in un potere autonomo, un potere che poi è diventato sovraordinato addirittura a quello delle istituzioni politiche democratiche». Così le banche centrali hanno tradito il loro mandato: «Dovevano invece, in ultima istanza, rispondere alle esigenze dei popoli sovrani». Rivendicare un ritorno alla lira? Inutile, se poi la moneta nazionale non viene gestita in termini democratici. Magaldi ricorda «il famigerato divorzio tra Bankitalia e ministero del Tesoro del 1981, favorito dai massoni Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, che agivano per conto di circuiti massonici non progressisti bensì neo-aristocratici». Quello strappo determinò già negli anni ‘80 «un aggravio enorme per le casse dello Stato, in termini di interessi sul debito pubblico», visto che la banca centrale «smetteva, in fondo, di garantire l’acquisto dei titoli di Stato italiani». Già quello, osserva Magaldi, era un modo per mettere la lira in difficoltà.Quindi, più che tornare alla valuta nazionale, «bisognerebbe preoccuparsi di rendere l’euro una moneta che dipenda da un potere politico democraticamente legittimato». E cioè: bisogna smettere di avere un euro «che viene gestito a discrezione della Bce, senza che nessun potere politico democraticamente legittimato possa intervenire». La Banca Cebntrale Europea? Lo sappiamo: «Pur essendo un istituto di diritto pubblico è proprietà anche di privati e risponde a logiche del tutto apolidi, sovranazionali, sganciate da qualunque livello politico democratico: questo è il problema. Finora, l’euro è stato governato da «quel funesto personaggio di Mario Draghi, che ha utilizzato la moneta europea per favorire sostanzialmente banche e interessi finanziari». Ha grandi colpe, il “venerabile” Draghi, spesso spacciato come paladino dell’Italia. Niente di più falso. Non c’era affatto il benessere del Balpaese, nella “mission” del super-tecnocrate di Francoforte, “regista” delle privatizzazioni italiane dall’epoca del Britannia, poi passato dal Tesoro a Bankitalia, alla Goldman Sachs, alla Bce. «Draghi non ha mai pensato di fare in modo che da questa moneta potesse venire un rilancio economico sociale del continente stesso. E allora, poi, si capisce perché la gente abbia vagheggiato il ritorno alla lira».La moneta, però, resta un mezzo. Il problema vero? E’ il timone politico: «Una Costituzione europea democratica, e un Parlamento Europeo che emani democraticamente un Consiglio dei ministri, mettendo fine a queste farlocche Commissioni Europee, che sono degli ibridi che non dicono nulla». Il vero obiettivo, chiarisce Magaldi, è un governo europeo finalmente legittimato dal voto popolare. Un euro-governo democratico, «che abbia il potere di indirizzare le strategie della Bce e di utilizzare la moneta euro a favore dei popoli, e non contro i popoli». Come arrivarci? Magaldi, nonostante tutto, si mostra fiducioso nelle piccole crepe che il governo gialloverde sta aprendo, nel Muro di Bruxelles. E saluta con favore il possibile avvento di Marcello Foa alla presidenza della Rai: «Non condivido alcune sue idee, ma mi risulta che sia un uomo libero: come presidente Rai sarebbe di gran lunga migliore dei suoi predecessori». Da giornalista indipendente, Foa è stato tra i primi a dare il benvenuto alla speranza gialloverde, intesa come possibile recupero di sovranità democratica. Tutto giusto, secondo Magaldi, a patto che si abbia ben chiaro il fatto che l’establishment italiano ha adottato gli stessi metodi dell’aborrita oligarchia europea: «Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, si permette il lusso di dire che non bisogna sforare i parametri di spesa, del tutto irrazionali e vessatori, stabiliti dagli euro-burocrati. La Banca d’Italia che detta le regole al governo? Deve accadere esattamente il contrario».Sovranista a chi? Se accettate di lasciarvi chiamare in quel modo, fate un favore proprio a quei poteri oligarchici che vorreste combattere. Parola di Gioele Magaldi, che avverte: c’è un equivoco, “sovranismo” non è affatto sinonimo di “sovranità”. Che senso avrebbe, ad esempio, tornare alla lira, se la moneta nazionale fosse gestita nel modo sciagurato che fu introdotto nel 1981 dai massoni Ciampi e Andreatta ben prima dell’avvento dell’euro? Un avviso a Giorgia Meloni: va bene restituire dignità all’Italia, ma senza «nostalgie “conservatrici” per chissà quale buon tempo andato». L’ex guru di Trump, Steve Bannon? «Un personaggio folkloristico e anche simpatico», il promotore di “The Movement”, network che si propone di coordinare la carica “sovranista” alle prossime europee. Ma siamo sicuri che, dietro certe manovre, non ci sia lo zampino dei soliti noti? In fondo è comodo, il recinto del sovranismo. Molto più scomodo – e più utile per tutti – sarebbe invece costringere un oligarca come Mario Draghi a usare finalmente l’euro a beneficio del popolo, non delle banche. Se c’è una cosa di cui quell’establishment marcio ha davvero paura, sottolinea Magaldi, non è l’ambiguo sovranismo, ma la cara, vecchia sovranità democratica: che pure avevamo, e che ci è stata confiscata dall’élite neoliberista, dominata dai massoni neo-aristocratici che negli ultimi trent’anni hanno cancellato l’idea stessa di Europa unita.
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La rivoluzione gialloverde si ferma alla rissa interna sul 2%
«Non ci impiccheremo agli zero virgola», dice Matteo Salvini. Eppure, sottolinea Stefano Cingolani, editorialista del “Foglio”, si litigherà fino all’ultimo proprio sulle virgole e sui decimali. Il disavanzo pubblico, ad esempio: sarà l’1,6% del Pil, come vuole Giovanni Tria, o attorno al 2% come preferisce Salvini? O addirittura del 2,6%, come spera Luigi Di Maio? «Stando a Giancarlo Giorgetti, plenipotenziario della Lega, saranno rispettati i vincoli europei, quindi non verrà sfondata la barriera del 2%». Il ministro dell’economia sa che dovrà mediare, osserva Cingolani sul “Sussidiario”, ma gioca al ribasso dando retta a Mario Draghi. E cominciano le scommesse: se anche si fermasse sotto il 2%, la spesa 2019 sarebbe «più del doppio rispetto a quello che aveva scritto Pier Carlo Padoan nel Documento di economia e finanza presentato a primavera, prima delle elezioni». La situazione non è allegra: Istat e Ocse dicono che il tasso di crescita frena, 1,2% per il 2018 e poco più dell’1% l’anno prossimo. Peggiora anche il rappoto deficit-Pil: «Il deficit tendenziale previsto nel Def di Padoan per quest’anno è pari allo 0,8% nel 2019, ma il ministro Tria ha indicato che per il 2019 è già all’1,2%, mentre il debito quest’anno migliorerà solo dello 0,1%. E l’aggiornamento del Def non potrà che accettare il ribasso della crescita». Da qui le tensioni nell’alleanza gialloverde, che potrebbero spingere Salvini a rompere con Di Maio?
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Casalino e il Deep State. Mazzucco: che ingenui, i 5 Stelle
«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».Mazzucco è un abile demistificatore: ben attento a non finire nel variopinto girone del complottismo “gridato”, si dedica da anni a studiare meticolosamente i complotti veri. E’ stato tra i primi a dimostrare che la versione ufficiale sull’11 Settembre fa acqua da tutte le parti. E nell’ultimo film, “American Moon”, certifica che le storiche immagini dell’allunaggio, purtroppo, non sono state affatto realizzate sulla Luna, ma in studi cinematografici o in teatri di posa. Fa sempre notizia il lavoro di Mazzucco, sia che si tratti della “nuova Peral Harbor” scatenata a Manhattan e comodamente attribuita ad Al-Qaeda, sia che sul monitor compaia una seria indagine sulle cure alternative per il cancro. E a proposito di salute: non certo ostile ai 5 Stelle, Mazzucco ha aspramente criticato il clamoroso voltafaccia sui vaccini, coi pentastellati prima tiepidi sul decreto Lorenzin e poi in confusione assoluta, ora che – con Giulia Grillo – avrebbero in mano le leve ministeriali del governo della sanità. Solo che, tra il dire e il fare, c’è appunto di mezzo la politica: «Me ne sono sempre tenuto alla larga, proprio perché temo quell’ambiente», confessa Mazzucco: «In passato ho anche rifiutato di impegnarmi personalmente, quando mi è stato chiesto di candidarmi, perché so che, per come sono fatto, essere costretto a confrontarmi con certe dinamiche mi farebbe perdere il sonno. Non fa per me, ecco tutto».Se però stiamo parlando di un soggetto politico come i 5 Stelle, aggiunge Mazzucco, le cose cambiano: «Nel momento in cui ti candidi a rivoluzionare l’Italia, non puoi non sapere che tipo di ostacoli incontrerai. I tuoi elettori, per primi, si aspettano che tu sappia perfettamente come muoverti. Bel guaio, se adesso scoprono che non sai bene che pesci pigliare». Un intero ministero che “rema contro” ostacolando lo stesso ministro, come nel caso di Tria, secondo la versione di Casalino? «Ma è ovvio, scusate», protesta Mazzucco: «Funziona così persino negli Usa», dove pure c’è un forte spoil-system e un robusto ricambio di funzionari, scelti dal politico che ha vinto le elezioni. «Il fatto è che puoi cambiare il ministro della difesa, non i generali: quelli restano. E se vogliono fare una guerra, prima o poi il ministro lo tirano dalla loro parte». Si chiama Deep State, ed è il potere che avrebbe bypassato lo stesso Bush durante la crisi dell’11 Settembre, per poi bivaccare alla Casa Bianca con Obama. Un potere, sempre lo stesso, che sta cercando di mettere in croce l’imprevedibile Donald Trump, finora sfuggito al suo controllo (e quindi braccato dal fantasma dell’impeachment). Come si può pensare che in Italia, a maggior ragione, non valgano le stesse regole? Come sperare che il Deep State euro-italico ceda docilmente il timone del dicastero dell’economia, teleguidato da Bruxelles?Appena quattro mesi fa, a fine maggio, Luigi Di Maio giunse ad annunciare ben altre dimissioni: non voleva mettere in stato di accusa oscuri funzionari, ma addirittura il capo dello Stato. La “colpa” di Mattarella? Aver impedito alla nascente alleanza gialloverde di insediare al ministero dell’economia Paolo Savona, fortemente avversato da Mario Draghi tramite il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Proprio da Visco, irritualmente, Mattarella “spedì” in udienza l’allora premier incaricato, Conte, perché prendesse nota delle raccomandazioni della banca centrale: guai a sforare il tetto (più che esiguo) imposto alla spesa pubblica dai super-poteri europei, pena lo tsunami dello spread. Nel giro di ventiquattr’ore, Di Maio ingoiò il rospo: rinunciare a Savona, pur di far nascere il governo. Giovanni Tria? Lo stesso Savona fu tra quanti ne approvarono la designazione, rivela Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: «Massone, Tria si dichiarò di opinioni progressiste, disponibile a infrangere – dopo inziali rassicurazioni – l’assurdo vincolo di spesa imposto dall’élite neoliberista che manovra le sedicenti istituzioni europee». Ora però lo stesso Magaldi è perplesso, su Tria: «Si decida a operare nel senso inizialmente concordato, viceversa i gialloverdi dovranno scegliere: o lui, o gli italiani (a cui hanno promesso Flat Tax, reddito di cittadinanza e pensioni dignitose, cancellando la legge Fornero)».Il guaio? Lo scomodissimo endorsement che l’euro-tecnocrate numero uno, «il gran maestro Mario Draghi, supermassone neo-aristocratico», ha tributato a Tria: apertamente elogiato, dal presidente della Bce, per la prudenza sui conti pubblici, ancora una volta improntati alla linea di rigore pretesa da Bruxelles. La battaglia è proibitiva: a “remare contro” il cambio di paradigma – più spesa pubblica, per rianimare l’economia – non sono solo Draghi, Visco e i fantomatici funzionari del ministero di Tria: tutto il mainstream giornalistico sta sparando ad alzo zero contro il nuovo governo. Ogni scusa è buona, a cominciare dall’intransigenza di Salvini sull’allegro “caos all’italiana” nella non-gestione dei migranti. E in questo pozzo di veleni, l’audio di Casalino irrompe come un petardo, per la gioia di telegiornali e talkshow. Tutto fa brodo, pur di continuare a non ragionare. Personaggi come Ferruccio De Bortoli (assistito nientemeno che da Piero Angela, su “Rai News 24”) arriva a rimpiangere la formidabile “ripresa” assicurata all’Italia dai compianti governi Renzi e Gentiloni, con all’economia Pier Carlo Padoan, ennesimo yesman di quel potere europeo che predica le virtù metafisiche del digiuno (altrui). Brutta bestia, il neoliberismo. Il suo capolavoro letterario, basato su conti truccati? La teoria – genere fantasy – della “austerity espansiva”, spacciata da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, da Harvard: fategli saltare i pasti, e l’affamato guarirà miracolosamente.L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e allievo del keynsiano Federico Caffè, interviene spesso nel dibattito pubblico per correggere le “fake news” immesse nel sistema da Carlo Cottarelli, tecnocrate di scuola Fmi e venerato dal Deep State (e dai media) come una sorta di vestale dei conti pubblici. Lo stesso Mattarella sventolò la “nomination” di Cottarelli a Palazzo Chigi per indurre a più miti consigli i gialloverdi, che all’economia volevano Savona. E’ semplicissimo, il ragionamento di Galloni, suffragato da prove incontrovertibili: ogni euro ben speso sotto forma di deficit “renderà” 3 o 4 volte tanto, l’anno seguente, in termini di lavoro, fatturato, assunzioni, gettito fiscale. E dato che la spesa pubblica produttiva fa crescere il Pil, il risultato è automatico: il debito pubblico, di colpo, farà meno paura (proprio perché supportato dalla famosa crescita, quella che forse – durante i governi Renzi e Gentiloni – De Bortoli avrà al massimo intravisto, lontana anni luce dall’Italia, solo grazie al potente telescopio di Piero Angela). Lo scomposto, imbarazzante Casalino? Perfetto, per permettere ai media di continuare – come sempre – a guardare il dito, anziché la Luna (quella vera, non la “American Moon” del film di Mazzucco). Tradotto: fino a quando un signore come Mario Draghi darà bei voti al nostro ministro dell’economia, per gli italiani saranno rogne. Meno soldi per tutti. “Austerity espansiva”: uno strano Ramadan, imposto da oligarchi che nessuno ha mai eletto. Una piovra tenace, con tentacoli ovunque – a partire dai ministeri economici. Appunto: possibile che i 5 Stelle non lo sapessero fin dall’inizio?«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».
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Magaldi: i gialloverdi scelgano, Tria (e Draghi) o gli italiani
«Il massone Giovanni Tria scelga chi servire: il popolo italiano o l’élite neoliberista incarnata dal pessimo Mario Draghi, il demolitore dell’Italia, che ora si complimenta con lui». Non usa mezzi termini, Gioele Magaldi, nel sollecitare il governo gialloverde a diffidare dall’atteggiamento “frenante” del ministro dell’economia: «I gialloverdi avevano promesso agli elettori reddito di cittadinanza, meno tasse e pensioni dignitose. Se non manterranno la parola data saranno loro a pagare, non certo Tria e le altre figure tecniche dell’esecutivo». Dove trovare le coperture? Semplice: occorre sfondare il famoso tetto di spesa del 3%, stabilito da Maastricht in modo ideologico, senza alcun fondamento economico-scientifico: più deficit significa far volare il Pil e creare lavoro. «Si tratta di smascherare Bruxelles e ingaggiare una dura battaglia, in Europa: solo l’Italia può farlo. E se Tria “frena”, preferendo ascoltare Draghi, Visco e Mattarella, allora è meglio che Salvini e Di Maio lo licenzino, perché a pagare il conto alla fine saranno loro, per la gioia del redivivo Renzi, che infatti già accusa il governo gialloverde di parlare molto e combinare poco». La ricetta di Magaldi? «Non temere il ricatto dello spread e sfoderare con l’Unione Europea, per il bilancio 2019, la stessa fierezza mostrata da Salvini nel denunciare l’ipocrisia dell’Ue che lascia ricadere solo sull’Italia il problema degli sbarchi di migranti».
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Ci sfruttiamo l’un l’altro: questa civiltà è destinata a crollare
La nostra civiltà scomparirà. Come l’impero egiziano, con le sue monumentali piramidi, i suoi faraoni, il suo commercio, la sua cultura, la sua religione millenaria.Come l’impero babilonese con le sue imponenti ziqqurat, i suoi re, le sue tradizioni, le sue biblioteche e il suo commercio. Come l’impero fenicio, le sue invenzioni, la sua arte raffinata, le sue filosofie. Insomma, la nostra civiltà scomparirà. Anzi sta già scomparendo. Perché le civiltà sono come gli organismi: nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. E poi perché le nazioni, le civiltà, le culture sono in realtà delle invenzioni. Invenzioni per cui la gente uccide, sogna, si dispera, combatte, ma pure sempre invenzioni. E sono irrazionali. Un po’ come il tifo calcistico: non c’è un motivo razionale per tifare Inter, Milan, Roma, Lazio, Juve… Eppure si è disposti a menare, a litigare, a spendere molti soldi, perfino a uccidere (o vi siete già dimenticati di Genny ‘a Carogna?). I confini tra Italia e Francia sono invenzioni. I confini tra Belgio e Germania sono invenzioni. I confini tra Usa e Canada sono invenzioni. I confini tra qualsiasi nazione e qualsiasi altra nazione sono invenzioni. Lo si vede con chiarezza guardando la cartina geografica dell’Africa: linee tirate giù con il righello. Non si presero neppure la briga di seguire il profilo idrogeologico.Oggi chi nasce a Roma è italiano. Fino a qualche decennio fa era cittadino vaticano. Oggi chi nasce in Corsica è francese. Prima era piemontese. Prima ancora era fenicio… I confini sono un’invenzione. E noi uccidiamo per quell’invenzione. Uccidiamo per la Patria. Uccidiamo per la Religione. Uccidiamo per l’Ideologia. La nostra civiltà – intendo la civiltà a livello mondiale, la civiltà umana – è al collasso. Perché ci sono dei circuiti perversi che accettiamo passivamente, dandoli per scontati, senza rifletterci. Pensateci: gente che si vende, tradisce, si abbrutisce, uccide per delle entità irreali. I numeri della Borsa – i milioni di miliardi che si muovono nei “mercati” ogni giorno – non corrispondono a niente. Il denaro stesso – che un tempo era il corrispettivo delle riserve auree – non corrisponde più a niente. Ma già l’oro in sé non corrispondeva a niente di veramente prezioso. Cos’è l’oro? Si mangia? Si beve? Ci si ripara? Gli Aztechi e i Maya pensavano che gli spagnoli se ne nutrissero, non capivano tanta avidità per un metallo.Pensateci: per questa concezione perversa dell’economia ci ritroviamo con vaste aree del globo terrestre ricchissime di tutto ciò che è prezioso (acqua, terreno, colture, clima, minerali…) che sono in miseria. E ci sono invece posti in mezzo al deserto, dove non cresce nulla e si vive a stento, in cui costruiscono piste da sci tra la sabbia, in cui fontane d’acqua dolce zampillano in ogni angolo e in cui la gente muore per il colesterolo alto. Vi sembra normale, questo? Pensateci: intere classi sociali, anche in Italia, si fanno a guerra per i pochi beni a disposizione. «Non c’è lavoro per tutti», si dice. «Non ci sono risorse per tutti», si dice. «È una guerra tra poveri», si dice. Ogni giorno i bar, le pasticcerie, i supermercati, le pizzerie, i ristoranti buttano via tonnellate di cibo. Ogni giorno. Tonnellate di cibo ogni giorno. Non ci sono risorse per tutti? Ogni stagione vengono lasciati marcire o schiacciati con i trattori tonnellate di pomodori, arance, zucchine, mele… Ettolitri di latte versato nel terreno. Non ci sono risorse per tutti? È una guerra tra poveri? Ma siamo davvero così poveri? Pensateci: non c’è lavoro per tutti. No. Siamo nel 2016.Un tempo per coltivare un campo che rendeva 100 dci volevano 20 persone. Oggi bastano 3 persone e un trattore. E il campo rende 300, grazie alle biotecnologie. Ci sono 19 persone di troppo. Certo, alcuni di quei contadini di troppo andranno a costruire i trattori. Ma sono comunque troppi. Ma il punto non è questo. Il punto è che il salario per il lavoro è un’invenzione. Se fossimo davvero nel 2016 e se fossimo davvero avanzati come civiltà, non ci sarebbe una cosa come “il salario”. Le ore di lavoro non sarebbero per la sopravvivenza – quella dovrebbe essere garantita dal fatto che sei un essere umano e hai diritto di vivere. Le ore di lavoro sarebbero il tuo contributo alla comunità nella quale sei nato. Perché lavorare non è una condanna ma un’opportunità di senso, di crescita personale, di identità. È diventato una schiavitù perché l’attuale lavoro è un ricatto e le condizioni di lavoro sono spesso da schiavitù. Lavoreremmo tutti, 4-5 ore al giorno. E il resto del tempo? Lo vivremmo. Lo passeremmo a coltivare le amicizie, a occuparci degli affetti, all’arte, alla crescita personale, al progresso della civiltà.Lo scriveva già quasi un secolo fa Bertrand Russell. Ma questo presupporrebbe, oltre a un radicale cambiamento di prospettiva, un controllo delle nascite. Le società animali lo fanno in modo naturale: dove c’è abbondanza di risorse si moltiplicano, dove c’è scarsità di risorse diminuiscono. Anche gli esseri umani lo fanno in modo naturale: dove le risorse sono distribuite e c’è un buon livello di benessere le comunità umane hanno meno figli. O meglio, fanno il numero di bambini proporzionato alle risorse. Nei paesi in cui l’aspettativa di vita è scarsa si fanno molti più figli perché il “gene egoista” cerca di sopravvivere dandosi più chance. Come le tartarughine: sono tantissime ma solo poche testuggini raggiungono il mare e sopravvivono. Per questo fanno tante uova. Il controllo delle nascite (come il controllo della sessualità, dell’alimentazione, etc.) negli uomini è regolato non dall’istinto ma dalla cultura. Infatti tutte le religioni controllano sessualità, cibo e desideri. E tutte le “culture” hanno norme su cosa è giusto o sbagliato in campo di sessualità, cibo e desideri.Il collasso della civiltà quindi non è solo una questione di “corsi e ricorsi storici” ma una questione di cultura. Ma secondo voi la nostra cultura ha fatto molti progressi? Sì, non c’è più la schiavitù. E le baraccopoli di braccianti africani in Puglia che raccolgono le tue cicorie bio? Non c’è più la schiavitù. E i capannoni alla periferia di Prato e di Roma in cui donne incinte e bambini cinesi cuciono la maglietta che indossi? Non c’è più la schiavitù. E i contratti precari con cui i lavoratori di oggi vengono tenuti sotto ricatto? Non c’è più la schiavitù. E le migliaia di ragazze deportate sulle nostre strade costrette a farsi violentare ogni giorno per qualche decina di euro “di divertimento”? Guardando la civiltà ateniese del III secolo ac, siete proprio sicuri che la nostra cultura ha fatto così tanti progressi? Guardando le comunità di nativi americani, siete proprio sicuri che la nostra cultura ha fatto molti progressi?(Chistian Giordano, “Il collasso della civiltà”, dal blog di Giordano del 14 luglio 2016).La nostra civiltà scomparirà. Come l’impero egiziano, con le sue monumentali piramidi, i suoi faraoni, il suo commercio, la sua cultura, la sua religione millenaria. Come l’impero babilonese con le sue imponenti ziqqurat, i suoi re, le sue tradizioni, le sue biblioteche e il suo commercio. Come l’impero fenicio, le sue invenzioni, la sua arte raffinata, le sue filosofie. Insomma, la nostra civiltà scomparirà. Anzi sta già scomparendo. Perché le civiltà sono come gli organismi: nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. E poi perché le nazioni, le civiltà, le culture sono in realtà delle invenzioni. Invenzioni per cui la gente uccide, sogna, si dispera, combatte, ma pure sempre invenzioni. E sono irrazionali. Un po’ come il tifo calcistico: non c’è un motivo razionale per tifare Inter, Milan, Roma, Lazio, Juve… Eppure si è disposti a menare, a litigare, a spendere molti soldi, perfino a uccidere (o vi siete già dimenticati di Genny ‘a Carogna?). I confini tra Italia e Francia sono invenzioni. I confini tra Belgio e Germania sono invenzioni. I confini tra Usa e Canada sono invenzioni. I confini tra qualsiasi nazione e qualsiasi altra nazione sono invenzioni. Lo si vede con chiarezza guardando la cartina geografica dell’Africa: linee tirate giù con il righello. Non si presero neppure la briga di seguire il profilo idrogeologico.
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Lo sfascio targato Pd obbliga Salvini a bloccare i migranti
Che Salvini reciti una parte, nel mantenere la linea dura sui migranti, questo è poco ma è sicuro. Salvini si sta facendo propaganda per colmare il “gap” elettorale che c’è tra il suo partito e i 5 Stelle, perché vuole stare su un piano di parità. Non penso che creda nell’utopia di governare da solo, ma immagino voglia avere un rapporto paritario con i pentastellati. E credo che ormai l’alleanza di questo governo, da “tattica”, si sia evoluta in “strategica”: anzi, è diventata strategico-competitiva, nel senso che i due partiti ormai sanno di essere probabilmente costretti a governare a lungo, insieme, però ovviamente lo vogliono fare nella posizione migliore per ognuno dei due. Di Maio e Salvini cercano di avere la posizione più privilegiata possibile. Quindi Salvini sta facendo campagna elettorale in maniera molto più “hard” di quanto non stia facendo Di Maio. Questo però non mi porta a dire che Salvini stia assumendo delle posizioni assolutamente inaccettabili: le posizioni che Salvini assume sono la conseguenza obbligatoria di quello che è successo prima. La politica di Salvini, cioè, è la conseguenza della “mala gestione” del problema immigrazione, in Europa.E anche se allo scontro non ci si arrivava con la nave Diciotti, ci si poteva arrivare ugualmente quattro navi dopo; ci si poteva arrivare magari perché il porto dove attraccano è pieno di gente incazzata che urla, ci si poteva arrivare comunque perché c’erano le condizioni perché ci si arrivasse. Il fatto che Salvini lo voglia sfruttare per i propri scopi è un dettaglio, perché poi Salvini fa ciò che è inevitabile, ed è qualcosa che il popolo sente, che è entrato nella testa di tutti. Ecco perché non ho trovato per niente “lunare” la posizione di Salvini, nel dire che quella nave non li doveva scaricare, i migranti. Si parla di sequestro di persona? Ma se quei migranti dicevano “riportateci da dove veniamo”, Salvini glielo pagava di tasca sua, il viaggio. Quindi non erano sequestrati: è che pretendevano di sbarcare. Non so se mi spiego: Salvini ha respinto una pretesa, non ha esercitato una coercizione. Ora, se questo sia stato legittimo o no lo valuterà la magistratura – il cui intervento, peraltro, trovo che sia l’ennesimo caso di scontro tra politica e giurisdizione, e mi lascia un po’ perplesso (ma per carità, la cosa è ancora al vaglio dei magistrati).Però a me sembra che se questi migranti avessero detto “vabbè, a questo punto visto che non ci volete torniamo a casa”, dov’era il problema? Dov’è il sequestro di persona? Perché il ricatto non lo fa Salvini: Salvini semmai lo subisce, il ricatto, insieme all’Italia e tutti gli altri paesi europei. La posizione del Pd, ormai isolato dall’opinione pubblica italiana? Ormai il Pd non è più neppure un partito. E’ un posto dove ognuno lavora per sé. Renzi, D’Alema, Letta, Martina: è solo una guerra per bande. E quindi la linea politica del Pd rimane quella, scontata, di lasciare le cose come stanno. Attualmente il Pd non è più un partito in grado esprimere proposte politiche, anche perché non è in grado neanche di fare congiuntamente valutazioni politiche.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube il 1° settembre 2018).Che Salvini reciti una parte, nel mantenere la linea dura sui migranti, questo è poco ma è sicuro. Salvini si sta facendo propaganda per colmare il “gap” elettorale che c’è tra il suo partito e i 5 Stelle, perché vuole stare su un piano di parità. Non penso che creda nell’utopia di governare da solo, ma immagino voglia avere un rapporto paritario con i pentastellati. E credo che ormai l’alleanza di questo governo, da “tattica”, si sia evoluta in “strategica”: anzi, è diventata strategico-competitiva, nel senso che i due partiti ormai sanno di essere probabilmente costretti a governare a lungo, insieme, però ovviamente lo vogliono fare nella posizione migliore per ognuno dei due. Di Maio e Salvini cercano di avere la posizione più privilegiata possibile. Quindi Salvini sta facendo campagna elettorale in maniera molto più “hard” di quanto non stia facendo Di Maio. Questo però non mi porta a dire che Salvini stia assumendo delle posizioni assolutamente inaccettabili: le posizioni che Salvini assume sono la conseguenza obbligatoria di quello che è successo prima. La politica di Salvini, cioè, è la conseguenza della “mala gestione” del problema immigrazione, in Europa.