Archivio del Tag ‘retroscena’
-
Pieczenik, il boia di Moro, gola profonda sull’11 Settembre
Basta attentati “false flag”, basta manipolazioni come l’11 Settembre. A dirlo è nientemeno che Steve Pieczenik, uno che se ne intende: «Pieczenik è un esponente dello “Stato profondo”, l’uomo che al tempo del rapimento Moro fu mandato in Italia dal Dipartimento di Stato per assicurarsi che Moro non tornasse a casa», scrive Maurizio Blondet. «A modo suo un servitore dello Stato, e di quegli apparati nazionali che i neocon hanno sbattuto fuori l’11 Settembre, prendendo a forza il comando della politica estera Usa nella “lotta al terrorismo islamico”, per il bene di Israele». E quindi, se oggi proclama “Mai più 11 Settembre”, «sta avvertendo: sappiamo che siete stati voi, possiamo riaprire l’inchiesta». In un video, nel quale si rallegra della vittoria di Trump, che attribuisce alla mobilitazione dei «16 servizi di intelligence», Pieczenik elenca “ciò che il popolo americano non vuole più”: «Non più false flag, non più 11 Settembre, non più Sandy Hook, sparatorie di Orlando o altri imbrogli, propaganda e stronzate! Quel che vogliamo oggi è la verità». Ciò significa che l’enorme rimescolamento di poteri causato dallo tsunami-Trump potrebbe scoperchiare tante verità sepolte?Sandy Hook è il massacro in una scuola elementare nel Connecticut, il 14 dicembre 2012, dove un folle ha ucciso 27 persone, bambini e insegnanti. A Orlando, la strage nella discoteca gay “Pulse”, giugno 2016, fu attribuita a un musulmano. Due casi denunciati sui blog come “false flag”, operazioni di auto-terrorismo. «Oggi Pieczenik, allusivamente, conferma: sappiamo che siete stati voi». Ma chi sono i “voi”? «Li vediamo affrettarsi ad infiltrare anche l’amministrazione Trump», scrive Blondet. C’è chi si precipita, infatti, a scrivere «articoli adulatori sul generale Michael Flynn», il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, «che tutti danno come suggeritore di Trump per il Medio Oriente e la pacificazione con Mosca». Quando era capo della Dia, l’intelligence militare, cioè fino al 2014, Flynn «ha raccontato come ha sabotato – insieme al capo degli stati maggiori di allora, ammiraglio Dempsey – il piano di Obama di armare i jihadisti in Siria per abbattere Assad». Flynn e Dempsey non eseguirono gli ordini di Obama, «collaborando sotto sotto coi russi». E adesso, improvvisamente, il potente mainstream – fino a ieri schierato con Obama e Hillary – presenta il generale Flynn come un eroe nazionale.Lo stesso Flynn ha appena scritto un libro, “Field of Fight”, che ha come sottotitolo “come possiamo vincere la guerra contro l’Islam radicale e i suoi alleati”, dove racconta gli “insabbiamenti e falsificazioni” di Obama a favore dell’Isis e di Al-Qaeda. Attenzione: il libro l’ha scritto con Michael Ledeen, vecchia conoscenza – purtroppo – della politica italiana, come Pieczenik. Temibile neocon, esponente dell’ultra-destra americana vicina alla lobby israeliana, Ledeen «è ricomparso in Italia a fianco di Marco Carrai, l’“intimo amico” di Renzi». Per Blondet, Carrai è «un evidente agente israeliano, a cui Renzi ha affidato l’incarico di suo consulente al Dis (l’organismo di coordinamento dei servizi segreti), il che equivale a consegnare la nostra intelligence al Mossad». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Uno Editori) indica proprio Ledeen come il grande manovratore occulto della “sovragestione” della politica italiana, dal caso Moro alla P2: «Sponsorizzò prima Craxi e poi Di Pietro, ora Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio».Oggi Ledeen sembra di nuovo in piena corsa, tra i neocon che sgomitano per condizionare la politica di Trump, attraverso la collaborazione con Michael Flynn. «Apparentemente, il generale Flynn non potrebbe aver niente da spartire con Ledeen, di cui non ignora certo le parti che ha giocato l’11 Settembre», scrive Blondet. «Il punto di contatto sembra essere nella volontà – ferocemente ebraica – di far sì che il presidente stracci il trattato sul nucleare con l’Iran». Da almeno dieci anni, aggiunge Blondet, gli israeliani «tentano di indurre Washington a bombardare per loro l’Iran, specie le sue centrali atomiche». Trump li asseconderà? Altre ombre si addensano su Rudolph Giuliani: la sua presenza nello staff presidenziale «sembra assicurare che non sarà aperta un’inchiesta sull’11 Settembre e i suoi veri mandanti». Giuliani, a quel tempo sindaco di New York, «fu pesantemente partecipe al piano della distruzione delle Twin Towers», sostiene Blondet. Per contro, nel team c’è anche Steve Bannon, il direttore di “Breitbart.com” (18 milioni di lettori: un’audience che il “New York Times” può solo sognarsi). Bannon è «un antisistema proclamato e quindi bollato ad altissima voce dai media come “antisemita”, oltre che anti-islamico e anti-gay». Bannon, quindi, «può rassicurare sul coraggio di Trump di non piegarsi alla nota lobby», confermando «la pulsione “rivoluzionaria” che l’ha portato alla vittoria elettorale».Squarci di verità, tra i retroscena “imperiali” degli ultimi 15 anni? Sul “Fatto Quotidiano”, Giulietto Chiesa mette le mani avanti: «Una delle fonti che io considero più attendibili, Paul Craig Roberts, sul suo blog ha commentato con molta prudenza queste fonti, limitandosi a dire che, in caso fossero reali le intenzioni di Trump di riaprire l’inchiesta sull’11 Settembre, difficilmente resterebbe vivo fino al momento del suo insediamento». Non ci sono solo Bannon e il generale Flynn, nella cerchia di Trump, ma anche John Bolton, «superfalco neocon ed ex rappresentante all’Onu», e Mike Pompeo, che sarà alla testa della Cia («uno che ha comunicato al mondo, via Twitter, la sua impazienza di cancellare il negoziato con l’Iran»). Tutto questo, scrive Chiesa, «fa pensare che l’11 Settembre resterà nei cassetti delle rivelazioni future ancora per qualche tempo». Il che, però, «non significa che tutto sia immobile». Impossibile sottovalutare le esternazioni di Steve Pieczenik: «Parole che non possono essere ignorate per molte ragioni». Pieczenik è stato «un fedele e abile servitore dello Stato Imperiale per molti anni e su scenari assolutamente decisivi per la politica statunitense: è stato al servizio di diversi presidenti, come agente dei servizi segreti, come diplomatico, come influencer di alto profilo».Basterebbe ricordare che Pieczenik «venne inviato da Washington in Italia per “assistere” l’allora ministro degl’interni Francesco Cossiga, poi divenuto presidente della Repubblica, nel non facile compito di gestire il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro». In qualche intervista, anni fa, Pieczenik «non fece mistero del suo compito di allora: liquidare definitivamente Aldo Moro». Non solo: «Alcune allusioni che egli stesso fece filtrare condussero molti, tra cui il sottoscritto, a ritenere che fosse proprio lui uno dei manovratori delle Brigate Rosse, dei servizi italiani “deviati”, e dei depistaggi che impedirono agli inquirenti italiani di giungere al carcere segreto dove Moro era rinchiuso prima che fosse ucciso». Adesso è in pensione, fuori servizio, ma fino a un certo punto: «In piena campagna elettorale americana se ne uscì parlando come se fosse parte del “contro-colpo di Stato” dell’Fbi contro (perdonate la reiterazione) il “colpo di Stato” della Clinton». È indubbio che Pieczenik ha accesso a fonti di prima mano. «E se oggi dice – e promette – “non più false flag”, “non più 11 Settembre”, “non più finte uccisioni di Osama bin Laden” si ha ragione di ritenere che nei meandri della lotta politica feroce che dilania l’establishment americano, questa questione si sta muovendo».Certo, resta da capire perché parla ora: lo fa «con il contagocce, ma parla, allude». Succede a molti di questi alti esecutori, di parlare quando vanno in pensione, di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. «Magari si rendono conto, in prossimità della fine, delle mostruosità che hanno contribuito a compiere», scrive Chiesa. «Oppure vogliono vendicarsi per i torti subiti da chi stava sopra di loro e li ha usati, magari senza neppure premiarli per il lavoro svolto». O ancora, semplicemente, «vogliono rendersi utili e rimediare, per quanto possibile, in ritardo, alle loro malefatte: in cerca, almeno, del Purgatorio». In ogni caso, «ben vengano le rivelazioni, anche postume». Se non altro, tutto questo «potrebbe venire utile anche a coloro che, qui da noi, si sono messi, in tutti questi anni, al servizio della menzogna e hanno cercato, in tutti i modi, di attaccare, ridicolizzare, emarginare, insultare coloro che la verità la videro, o la intuirono, o comunque la cercarono». Sembrano dunque aprirsi spiragli che lasciano intravedere meglio l’interno della “casa americana”, che appare «molto diversa da come ce l’hanno dipinta». Così, «quando si spalancherà la porta, saranno in molti a doversi nascondere», primi fra tutti i media mainstream, solerti custodi di verità rimaste sotto chiave: se fossero state denunciate per tempo – Watergate insegna – molti orrori non sarebbero neppure andati in scena, il Deep State non sarebbe arrivato a tanto.Basta attentati “false flag”, basta manipolazioni come l’11 Settembre. A dirlo è nientemeno che Steve Pieczenik, uno che se ne intende: «Pieczenik è un esponente dello “Stato profondo”, l’uomo che al tempo del rapimento Moro fu mandato in Italia dal Dipartimento di Stato per assicurarsi che Moro non tornasse a casa», scrive Maurizio Blondet. «A modo suo un servitore dello Stato, e di quegli apparati nazionali che i neocon hanno sbattuto fuori l’11 Settembre, prendendo a forza il comando della politica estera Usa nella “lotta al terrorismo islamico”, per il bene di Israele». E quindi, se oggi proclama “Mai più 11 Settembre”, «sta avvertendo: sappiamo che siete stati voi, possiamo riaprire l’inchiesta». In un video, nel quale si rallegra della vittoria di Trump, che attribuisce alla mobilitazione dei «16 servizi di intelligence», Pieczenik elenca “ciò che il popolo americano non vuole più”: «Non più false flag, non più 11 Settembre, non più Sandy Hook, sparatorie di Orlando o altri imbrogli, propaganda e stronzate! Quel che vogliamo oggi è la verità». Ciò significa che l’enorme rimescolamento di poteri causato dallo tsunami-Trump potrebbe scoperchiare tante verità sepolte?
-
Trump ha una pistola alla tempia, soccomberà anche lui?
«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?«Vedremo quanto Trump saprà resistere a questi “avvertimenti” nemmeno troppo velati», dichiara il regista Massimo Mazzucco, autore di importanti documentari sul maxi-attentato del 2001 che ha cambiato la storia del pianeta, proiettando le guerre americane in ogni continente. Intervenendo a “Border Nights”, trasmissione web-radio condotta da Fabio Frabetti, Mazzucco sostiene che l’elevata vocazione “criminale” di Hillary Clinton rivela la vera natura dei poteri che l’hanno sostenuta, gli stessi che oggi già assediano Trump. La vera colpa della Clinton, agli occhi degli elettori che alla fine si sono rassegnati a votare Trump? «Non solo ha usato il server di casa anziché quello del ministero degli esteri, ma ha anche cancellato 30.000 email per sottrarle all’Fbi, salvo poi andare in televisione a dire, mentendo, di aver messo tutte le email a disposizione delle indagini». Da quelle email, hackerate da Wikileaks, emergono retroscena imbarazzanti: milioni di dollari incamerati dalla Fondazione Clinton in cambio di favori a paesi arabi filo-Isis, concessi da Hillary quando era Segretario di Stato, e in più lo scandalo di Bengasi, con l’uccisione dell’ambasciatore americano, cioè dell’uomo che avrebbe potuto provare il traffico di armi che dalla Libia venivano fatte affluire in Siria, sotto copertura Usa, per rovesciare Assad.Bene per noi europei, se ha vinto Trump: in teoria, avremo meno tensioni e meno guerre. A favore del neoeletto depongono alcuni aspetti rilevanti: «E’ l’unico presidente americano, almeno negli ultimi 50 anni, ad aver vinto una campagna elettorale solamente con i suoi soldi», sottolinea Mazzucco. «Ha speso un centesimo, credo, di quello che ha speso la Clinton, e quindi ha vinto meritatamente, per quello che ha detto». Da qui in poi, però, è possibile che accada di tutto: «Temo che Trump sia talmente inesperto da circordarsi di gente dell’establishment». Sta già accadendo: come capo di gabinetto, posizione fondamentale nel governo americano, Trump ha scelto Reince Priebus, cioè il segretario nazionale del partito repubblicano, «lo stesso partito repubblicano che ha cercato in tutti i modi di far fuori Trump e che adesso cerca di controllarlo attraverso la scelta del suo capo di gabinetto». Altra scelta fondamentale, «passata inosservata ma che si dimosterà molto significativa nel corso del tempo», è il vicepresidente che «gli hanno messo di fianco», Mike Pence: «Non è affatto un governatorino di campagna come sembra, tranquillo e tradizionalista». Al contrario: «E’ un forsennato, feroce, fetente neocon della prima ora».Mike Pence, continua Mazzucco, è l’uomo che nel 2001, subito dopo l’11 Settembre, si occupò di inondare i media con la propaganda del caso-antrace, appena due mesi dopo l’attentato alle Torri. Con “lettere all’antrace” venivano minacciati diversi senatori, «stranamente tutti democratici, e stranamente tutti quelli che chiedevano di fare una commissione senatoriale sull’11 Settembre, che poi infatti non si fece». Fu proprio Pence ad alimentare la teoria che quell’antrace venisse da Saddam Hussein, «perché lui era mandato avanti da neocon come Cheney e Rumsfeld, che avevano bisogno di una scusa per portare la guerra in Iraq». E quando l’Fbi, «in uno strano gesto di onestà», dichiarò che l’antrace non veniva dall’Iraq ma era “scappato” da un laboratorio Usa, lo stesso Pence scrisse una lettera aprerta al ministro giustizia di allora, John Ashcroft, dicendo: “Lo sappiamo tutti che l’antrace è di Saddam”. «Questo – dice Mazzucco – dimostra che Mike Pence non è affatto un tranquillo governatore di campagna, è un mastino da guerra dei neocon. E sono convinto che l’abbiamo messo accanto a Trump proprio per cercare di condizionare la sua politica estera».Donald Trump è davvero isolazionista, «ha capito benissimo che il mondo sta in piedi fin che c’è un equilibrio e ognuno si fa gli affari suoi: Russia, Cina e Stati Uniti. Non si può continuare a andare a invadere dappertutto». Ma se Trump si rivelasse “troppo” isolazionista, cioè non-guerrafondaio, «Mike Pence cercherà sicuramente di condizionare la sua politica estera verso una strategia più aggressiva». Mazzucco è convinto che per Trump sarà durissima: «Se si dimostra sordo nel continuare le strategie imperialistiche in Medio Oriente, o gli sucede qualcosa (e diventa presidente Mike Pence), o comunque in qualche modo riusciranno a convincerlo. Un po’ come convinsero Bush nel 2000, che in campagna elettorale – prima dell’11 Settembre – diceva le stesse cose diTrump: smettere di fare “nation building”, cioè conquistare paesi». Oggi, a preoccupare il Deep State sono i rapporti con Putin: la distensione in programma con Mosca è nelle corde di Trump, a partire dalla Siria: la priorità «non è più abbattere Assad, come voleva Obama, ma abbattere l’Isis, in collaborazione con Putin». Glielo lasceranno fare?Quasi a rassicurare una parte di quei poteri-ombra, Trump lascia capire che – in cambio – abbandonerà i palestinesi al loro destino: ha dichiarato che Gerusalemme sarà proprietà esclusiva di Israele e che gli insediamenti nei Territori Occupati non sono un ostacolo per la pace in Medio Oriente. Un’evidente concessione tattica alla lobby israeliana, che è uno dei poteri schierati con Hillary. Trump sta provando a destreggiarsi, ben sapendo che «difficilmente i veri poteri Usa si rassegneranno a perdere l’egemonia completa sul mondo». Se così fosse, c’è già Bolton a ricordargli che dovrà guardarsi anche dal “terrorismo interno”. La questione è della massima serietà e pericolosità, insiste Mazzucco: «Anche Obama, appena eletto, pensava davvero di potersi ritirare dall’Afghanistan». Forse non sapeva ancora che «le decisioni non le prende il presidente». Ogni mattina, alla Casa Bianca, riceve il briefing del capo dell’Fbi, che lo informa di quello che succede all’interno del paese, e quello del capo della Cia, che gli racconta quello che succede nel resto del mondo. «Quindi è chi controlla quei briefing che, in realtà, fa fare le scelte al presidente».«Se vai da Obama e gli dici: guarda che qui, a meno di mettere 30.000 soldati in più, ci portano via tutto, gli oleodotti, le basi che li controllano e anche le coltivazioni di oppio da cui dipende il traffico mondiale di eroina, che avviene sotto il controllo statunitense, è chiaro che ti trovi un Obama che, dopo aver vinto il Premio Nobel, manda 30.000 soldati in più in Afghanistan a combattere». Ma, appunto, «dipende da quello che gli raccontano i veri poteri», cioè il complesso militare-industriale, il Pentagono, la Cia: «Sono loro che cercheranno di condizionare anche Trump». Aggiunge Mazzucco: «Io al posto di Obama avrei preteso le prove di quanto mi veniva detto, ma è anche vero che le prove si fabbricano in fretta: è facile condizionare un presidente». Non ci riuscirono solo in un caso: quello di Kennedy. Fu «l’ultimo, vero presidente della storia americana». E cercò di smantellare la Cia, «proprio perché aveva capito che era diventato un centro di potere molto più forte della presidenza». Kennedy aveva già avviato lo smantellamento dell’intelligence: «Ha iniziato licenziando il capo della Cia, Allen Dulles, per la storia della Baia dei Porci», lo sgangherato piano per rovesciare Fidel Castro con il disastroso tentativo di invasione di Cuba, affidato a mercenari.Come sappiamo, però, Kennedy «non ha fatto in tempo a finire il lavoro: è stato fatto fuori da un’alleanza tra la Cia e la mafia», ovvero: «La Cia l’ha deciso e la mafia ha fatto l’esecuzione». Curiosamente, aggiunge Mazzucco, nel ruolo più importante della Commissione Warren, incaricata delle indagini ufficiali, il nuovo presidente Lyndon Johnson «ha messo proprio Allen Dulles, cioè l’ex direttore della Cia licenziato da Kennedy». A giudicare chi è fosse stato a uccidere Kennedy misero proprio la principale vittima politica di Kennedy, il “pezzo da novanta” che Jfk era riuscito a far fuori durante la sua presidenza. «I due Kennedy sapevano che sarebbero morti, ma decisero di andare fino in fondo». Due casi più unici che rari: «Non credo ci siano state altre persone così testarde, di fronte agli “avvisi” ricevuti». Bush abbandonò il suo isolazionismo, Obama il suo pacifismo. Di che stoffa è fatto Donald Trump lo vedremo solo adesso. «Visti i precedenti, c’è da temere davvero un attentato “false flag”, un grande “avvertimento” al neopresidente che vorrebbe archiviare la guerra». Ottimismo? In una battuta: forse si può davvero “tifare” per Trump, «se non altro perché non gli hanno ancora dato il Nobel per la Pace».«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?
-
Nuovo 11 Settembre, prima che Trump possa insediarsi?
Nuovo 11 Settembre, se Trump non cede ai neocon? Già all’indomani del voto americano, a lanciare l’allarme è Massimo Mazzucco, autore di clamorosi documentari sugli opachi retroscena degli attentati contro le Twin Towers. Il pericolo, oggi? Evidente: l’oligarchia al potere ha perso la sua pedina di fiducia, Hillary Clinton, ma in compenso può contare su una maggioranza parlamentare “bulgara” dei repubblicani, tra cui si annidano molti insidiosi neocon, mentre Obama è sulla via del congedo e Donald Trump non controlla ancora le leve del comando. Due mesi ad alto rischio, per Mazzucco, da qui all’insediamento ufficiale, il 20 gennaio 2017. Riuscirà ad arrivarci, Trump? O invece la situazione precipiterà del caos, grazie all’ennesimo “provvidenziale” maxi-attentato, destinato a rimettere in sella gli uomini del potere-ombra che controlla e manipola la sicurezza? La minaccia è reale, insiste Mazzucco, anche perché il Deep State – Washington e Wall Street, Pentagono e intelligence – ha capito inequivocabilmente che l’americano medio è in rivolta: votando Trump e licenziando Hillary, ha voluto bocciare i santuari del potere imperiale, militare e finanziario.«Quando vinse Barack Obama scrivemmo che il segnale primario di quell’elezione era che l’America fosse finalmente pronta ad eleggere un nero alla Casa Bianca», ricorda Mazzucco sul blog “Luogo Comune”. Sembrava «un grande passo evolutivo, nella breve storia di questa nazione, indipendentemente da ciò che poi il nuovo presidente sarebbe o non sarebbe riuscito a fare». Otto anni dopo, la situazione è perfettamente speculare: «La vittoria odierna di Trump può essere letta con gli stessi parametri: ci dice sostanzialmente che l’America di oggi si ribella ad un sistema politico ormai palesemente marcio, indipendentemente da quello che poi farà o non farà Donald Trump dall’ufficio ovale della Casa Bianca». Quella di oggi, infatti, «non è tanto una vittoria di Trump, quanto piuttosto la sconfitta di un enorme apparato di gestione del potere, il cui strumento principale sono in media asserviti, e il cui scopo ultimo è quello di permettere ad una oligarchia di controllare un’intera nazione tramite il velo ingannevole della “democrazia”». Tutto questo «sembra vacillare di fronte ad una reazione di tipo istintivo e irrazionale nella parte più “ignorante”», il famoso “contadino dell’Oklahoma”, «che ha capito con la pancia che il sistema lo stava ingannando, e sempre con la pancia ha scelto di combatterlo con l’unica arma che aveva a disposizione: il candidato “antisistema”».Questo risultato travolgente, continua Mazzucco, è stato paradossalmente aiutato da una candidata, Hillary Clinton, che «è riuscita a concentrare sulla propria persona tutto il peggio dell’attuale sistema politico: corruzione, arroganza, prevaricazione, menzogna reiterata, prepotenza e collusione», il tutto «perpetrato pacchianamente alla luce del sole». Chiarita la psicologia dell’elettore, resta oscura l’altra faccia dell’America: già si sapeva che, nel caso di una vittoria di Trump, «il sistema politico si sarebbe immediatamente messo in moto per cercare di metabolizzalo e farlo diventare uno di loro. Già ci sono riusciti in parte, mettendogli accanto il fintamente pacato Mike Pence». E se questo non dovesse bastare, aggiunge Mazzucco, «potete stare certi che entro pochi mesi (e probabilmente prima ancora dell’insediamento effettivo del 20 gennaio) l’America si troverà a fronteggiare un evento di tipo “terroristico” molto simile a quello dell’11 Settembre». Per eventuali “golpisti”, infatti, l’occasione sembra favorevole: abbiamo davanti «due mesi di assoluto vuoto politico».Da qui in avanti, «Obama non ha più nemmeno l’autorità per incollare un francobollo, mentre lo stesso Parlamento si prepara a cedere la maggioranza assoluta al partito repubblicano». E con una “supermajority” come questa, c’è poco da scherzare: i repubblicani controllano contemporaneamente la presidenza e i due bracci del Parlamento, quindi possono far passare speditamente tutte le leggi che vogliono, senza dover temere una reale resistenza da parte dell’opposizione. «Non saranno certo i neoconservatori del complesso militare-industriale a farsi sfuggire l’occasione per lanciare definitivamente il loro sogno di “nuovo secolo americano” già dall’alba del 21 di gennaio prossimo». Gli uomini del Pnac, il disegno di supremazia imperiale a suon di bombe, emersero attorno a George W. Bush – Paul Wolfowitz, Donald Rumsfeld, Condoleezza Rice, Dick Cheney – ma non sono affatto scomparsi. «Teneteli d’occhio da vicino, i vari Bolton, Cheney, Rowe e tutti gli altri della vecchia guardia neocons, perchè qualunque cosa esca dalle loro bocche nelle prossime ore – profetizza Mazzucco – sarà destinato ad avverarsi, probabilmente in tempi molto brevi».Nuovo 11 Settembre, se Trump non cede ai neocon? Già all’indomani del voto americano, a lanciare l’allarme è Massimo Mazzucco, autore di clamorosi documentari sugli opachi retroscena degli attentati contro le Twin Towers. Il pericolo, oggi? Evidente: l’oligarchia al potere ha perso la sua pedina di fiducia, Hillary Clinton, ma in compenso può contare su una maggioranza parlamentare “bulgara” dei repubblicani, tra cui si annidano molti insidiosi neocon, mentre Obama è sulla via del congedo e Donald Trump non controlla ancora le leve del comando. Due mesi ad alto rischio, per Mazzucco, da qui all’insediamento ufficiale, il 20 gennaio 2017. Riuscirà ad arrivarci, Trump? O invece la situazione precipiterà del caos, grazie all’ennesimo “provvidenziale” maxi-attentato, destinato a rimettere in sella gli uomini del potere-ombra che controlla e manipola la sicurezza? La minaccia è reale, insiste Mazzucco, anche perché il Deep State – Washington e Wall Street, Pentagono e intelligence – ha capito inequivocabilmente che l’americano medio è in rivolta: votando Trump e licenziando Hillary, ha voluto bocciare i santuari del potere imperiale, militare e finanziario.
-
La Cina ricostruirà la Libia: colossali investimenti a Tobruk
“Aiutiamoli a casa loro”, è il refrain dei politici europei a corto di voti, di fronte all’esodo dei migranti. Di fronte all’incresciosa geopolitica dell’Occidente, che abbatte Gheddafi e poi arma l’Isis, la Cina risponde con un colossale piano di investimenti – 36 miliardi di dollari – in Cirenaica, mentre il governicchio di Fayez al Sarraj di stanza a Tripoli cerca di recitare una nuova unità nazionale ripartita in “cantoni”, secondo i desiderata dei padroni europei e americani. Secondo quanto riportato dai media locali, scrive “Nena News”, il gigante asiatico, secondo solo all’Italia come partner commerciale dell’import-export libico, ha scelto di finanziare un grande progetto infrastrutturale nell’area di Tobruk che prevede la costruzione del più grande porto del paese in acque profonde. La Cina si impegna inoltre a realizzare un aeroporto commerciale e una ferrovia lungo il confine con l’Egitto in direzione Sudan. E poi 10.000 case, un ospedale con 300 posti letto e un’università. A questo complesso progetto di rilancio infrastrutturale si dovrebbe aggiungere un piano per lo sviluppo dell’esportazione di energia solare verso la Grecia con la costruzione di una centrale energetica a Jaghbub, nel deserto libico orientale.Il primo ministro del governo di Tobruk, Abdullah Al-Thinni, in un’intervista all’emittente televisiva “Al-Hadath” riportata dal “Libya Herald”, ha dichiarato che l’ingente investimento, frutto di una cordata di investitori cinesi, dovrebbe portare al compimento delle opere in un periodo di soli tre anni, con un effettivo impatto sull’economia locale già nel breve periodo. Il progetto «potrebbe avere una significativa rilevanza anche per le relazioni commerciali libiche», scrive Francesca La Bella su “Nena News”, ricordando che dopo la caduta di Muhammar Gheddafi e l’inizio della guerra civile, sia le imprese sia i lavoratori cinesi impegnati in Libia lasciarono il paese e, negli anni successivi, il capitale cinese non riuscì a trovare canali d’accesso per il paese nordafricano. «Oggi, invece, in linea con un programma di penetrazione imponente in tutto il territorio africano, Pechino potrebbe dare nuova linfa alle relazioni commerciali sino-libiche». Di riflesso, questo rinnovato slancio economico della Cirenaica, unito al programma di esportazione del greggio dai porti della mezzaluna petrolifera, «renderebbe Tobruk sempre più centro nevralgico dell’economia del paese, con inevitabili ricadute dal punto di vista politico».La debolezza del governo Sarraj, aggiunge Francesca La Bella, si contrappone alla solidità e al radicamento delle forze di Tobruk. E i numerosi attori coinvolti nella contesa libica sembrano schierarsi sempre più a favore di una riconciliazione tra Tripoli e Tobruk per garantire la stabilità politica ed economica della Libia. Riflessi geopolitici: «A fronte di una produzione del petrolio in continua ascesa e di uno Stato Islamico in lento arretramento, la possibilità di una ripresa libica sembra essere ora plausibile». E se la Cina entra in campo gocando pesante, l’Occidente – che la Libia l’ha rasa al suolo – vede ora complicarsi le sue mire di rapina su quello che, con Gheddafi, per l’Onu era il primo paese, in Africa, per indice di sviluppo umano. «La guerra è in realtà un regolamento di conti e una spartizione della torta tra gli attori esterni e i due poli libici principali, Tripoli e Tobruk, che hanno due canali paralleli e concorrenti per l’export di petrolio», scrive Alberto Negri sul “Sole 24 Ore”. Il sottosuolo libico contiene il 38% del petrolio africano, pari all’11% dei consumi europei. «È un greggio di qualità, a basso costo, che fa gola alle compagnie in tempi di magra».In questo momento, scrive Negri, a estrarre barili e gas dalla Tripolitania è soltanto l’Eni: una posizione «conquistata manovrando tra fazioni e mercenari, che agli occhi dei nostri alleati deve finire e, se possibile, con il nostro contributo militare». L’Italia ha già perso in Libia 5 miliardi di commesse, aggiunge il “Sole”. «La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi». Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della banca centrale e del Fondo sovrano libico, che sta a Londra, «dove ha studiato per anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore nella Mezzaluna e il portafoglio nella City». Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica – dove peraltro ci sono consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi – gli inglesi hanno da difendere l’asset finanziario dei petrodollari. «Il bottino libico, nell’unico piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni dell’Egitto, e dell’Italia quello della Tripolitania. Agli americani la supervisione strategica».E dire che i libici «hanno fatto la guerra a Gheddafi e tra loro proprio per spartirsi la torta energetica senza elargire “cagnotte” agli stranieri e finire sotto tutela». Gli interessi occidentali, «mascherati da obiettivi comuni, sono divergenti dall’inizio», quando cioè il presidente francese Nicolas Sarkozy «attaccò Gheddafi senza neppure farci una telefonata», scrive ancora Neri. «Oggi sappiamo i retroscena. In una mail inviata a Hillary Clinton e datata 2 aprile 2011, il funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total». Finti amici, gli occidentali, in realtà concorrenti-rivali. Su cui ora irrompe la Cina, con il suo piano – gigantesco, storico – per lo sviluppo del paese, a comiciare da Tobruk.“Aiutiamoli a casa loro”, è il refrain dei politici europei a corto di voti, di fronte all’esodo dei migranti. Di fronte all’incresciosa geopolitica dell’Occidente, che abbatte Gheddafi e poi arma l’Isis, la Cina risponde con un colossale piano di investimenti – 36 miliardi di dollari – in Cirenaica, mentre il governicchio di Fayez al Sarraj di stanza a Tripoli cerca di recitare una nuova unità nazionale ripartita in “cantoni”, secondo i desiderata dei padroni europei e americani. Secondo quanto riportato dai media locali, scrive “Nena News”, il gigante asiatico, secondo solo all’Italia come partner commerciale dell’import-export libico, ha scelto di finanziare un grande progetto infrastrutturale nell’area di Tobruk che prevede la costruzione del più grande porto del paese in acque profonde. La Cina si impegna inoltre a realizzare un aeroporto commerciale e una ferrovia lungo il confine con l’Egitto in direzione Sudan. E poi 10.000 case, un ospedale con 300 posti letto e un’università. A questo complesso progetto di rilancio infrastrutturale si dovrebbe aggiungere un piano per lo sviluppo dell’esportazione di energia solare verso la Grecia con la costruzione di una centrale energetica a Jaghbub, nel deserto libico orientale.
-
Navi e missili, e se questa guerra ora ci esplode addosso?
Giochi di guerra, sempre più pericolosi, a cui il mondo sembra assistere in modo apatico e distratto. Alla vigilia delle elezioni presidenziali, Washington non fa che alzare la posta, contro Mosca, da quando Putin ha osato opporsi alla demolizione della Siria dopo aver assistito a quella della Libia. La situazione sembra stia rapidamente precipitando, in uno scenario in cui i media russi parlano apertamente del rischio di una guerra nucleare, la Casa Bianca minaccia di colpire la Russia anche con un attacco cibernetico e il Cremlino spedisce nel Mediterraneo la più potente flotta da guerra mai uscita in missione dai tempi dell’Urss. E un grande giornalista come Robert Fisk sospetta che l’improvvisa liberazione di Mosul decisa dagli americani “serva” a trasferire in Siria i miliziani jihadisti: «L’esercito siriano, Hezbollah e gli alleati iraniani si stanno preparando a una a massiccia invasione di migliaia di “Isis fighters” che saranno cacciati dall’Iraq dopo la caduta di Mosul», scrive Fisk sull’“Independent”. «Il sospetto dell’esercito siriano è che il vero scopo, dietro la tanto strombettata “liberazione” della città irachena programmata dagli Usa, sia quello di sommergere la Siria con orde di combattenti Isis che devono abbandonare le loro capitale irachena per raggiungere la loro “mini-capitale” Raqqa all’interno della Siria stessa».E’ come se si stesse rapidamente scivolando verso il baratro: lo si capisce dalla successione degli eventi che affollano la stampa mainstream, e meglio ancora dal preciso monitoraggio offerto dal blog “Come Don Chisciotte”, che presenta lo stesso reportage di Fisk insieme a molti altri retroscena. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden rivela che, secondo un diplomatico Nato, la Russia sta schierando nel Mediterraneo orientale la più grande forza navale dalla fine della guerra fredda, capitanata dalla portaerei Admiral Kuznetsov: oltre ai caccia Mig-29 e Sukhoi Su-33, secondo l’agenzia Tass l’ammiraglia imbarca midiciali elicotteri d’attacco come i Ka-52 Alligator, cioè la massima dotazione dell’armamento convenzionale russo, con il quale Putin proverà a chiudere la partita con l’Isis in Siria: «Vedremo un crescendo di attacchi aerei su Aleppo come parte di una strategia della Russia che vuol dichiarare vittoria», secondo la Nato. «Intensificare una campagna aerea su Aleppo orientale, dove sono intrappolate 275 mila persone, potrebbe ulteriormente peggiorare i legami tra Mosca e l’Occidente», secondo la fonte diplomatica. «Questo assalto dovrebbe essere sufficiente per consentire una strategia di uscita della Russia, se Mosca dovesse ritenere che Assad sia ormai abbastanza stabile per sopravvivere da solo».Proprio l’andamento della guerra in Siria, paese largamente riconquistato dalle forze governative dopo la discesa in campo di Mosca, sembra preoccupare i protettori occulti dell’Isis, cioè gli Stati Uniti, che hanno appoggiato sottobanco le milizie “islamiste” soprattutto attraverso l’Arabia Saudita, il Qatar e, fino a ieri, la Turchia. La Russia è sotto pressione, a partire dal golpe in Ucraina con la destabilizzazione dei confini e la rivolta del Donbass. Quello che Obama non perdona a Putin – da qui le sanzioni autolesionistiche che l’Ue è stata costretta ad adottare – è il fatto di aver osato reagire al colpo di Stato a Kiev riappropriandosi della Crimea, strategica per il controllo del Mar Nero. Una partita a scacchi: persa la Crimea, l’Occidente ha puntato tutto sull’Isis in Siria fino a minacciare la sopravvivenza di Assad. E il nuovo intervento difensivo russo, a sostegno di Damasco, è stato ancora una volta coronato dal successo. Nei piani del Cremlino, l’attacco finale su Aleppo dovrebbe disarticolare definitivamente le milizie dell’Isis, mandando all’aria i piani dei “signori della guerra” che, a partire dalla demolizione dell’Iraq, hanno continuamente gettato benzina sul fuoco in tutta la regione, sfruttando il conflitto tra sciiti e sunniti.Il pericolo cresce, quanto più si avvicina la possibile vittoria di Putin – inaccettabile, per Obama, specie alla vigilia delle elezioni, su cui incombe la “minaccia” di Trump, l’outsider che promette di porre fine alla “guerra permanente” in Medio Oriente. Così, “Nbc News” avverte che «la Cia si prepara a un possibile attacco cibernetico contro la Russia». Interrogato in proposito da Chuck Todd a “Meet the press”, il vicepresidente Joe Biden conferma: gli Usa colpiranno. «Ne abbiamo le capacità», ha detto. E l’attacco «avverrà nel momento che riteniamo opportuno e sotto le circostanze che giudichiamo garantire il maggiore impatto», come riferisce Michael Snyder su “The Economic Collapse”. In più, la “Reuters” afferma che Obama sta contemplando l’ipotesi di «un intervento militare americano diretto» contro obiettivi militari siriani, ben sapendo che i russi hanno già messo in chiaro che reagiranno coi loro missili a qualunque aggressione diretta contro le forze di Assad. Nelle televisioni moscovite, intanto, si ricomincia a parlare apertamente di rifugi antiatomici. E il Mediterrano si va riempiendo di navi da guerra, armate con testate di ogni tipo.Giochi di guerra, sempre più pericolosi, a cui il mondo sembra assistere in modo apatico e distratto. Alla vigilia delle elezioni presidenziali, Washington non fa che alzare la posta, contro Mosca, da quando Putin ha osato opporsi alla demolizione della Siria dopo aver assistito a quella della Libia. La situazione sembra stia rapidamente precipitando, in uno scenario in cui i media russi parlano apertamente del rischio di una guerra nucleare, la Casa Bianca minaccia di colpire la Russia anche con un attacco cibernetico e il Cremlino spedisce nel Mediterraneo la più potente flotta da guerra mai uscita in missione dai tempi dell’Urss. E un grande giornalista come Robert Fisk sospetta che l’improvvisa liberazione di Mosul decisa dagli americani “serva” a trasferire in Siria i miliziani jihadisti: «L’esercito siriano, Hezbollah e gli alleati iraniani si stanno preparando a una massiccia invasione di migliaia di “Isis fighters” che saranno cacciati dall’Iraq dopo la caduta di Mosul», scrive Fisk sull’“Independent”. «Il sospetto dell’esercito siriano è che il vero scopo, dietro la tanto strombettata “liberazione” della città irachena programmata dagli Usa, sia quello di sommergere la Siria con orde di combattenti Isis che devono abbandonare le loro capitale irachena per raggiungere la loro “mini-capitale” Raqqa all’interno della Siria stessa».
-
Usa-Russia, guerra in Siria per negare la vittoria a Trump?
Tamburi di guerra, dalla Siria al Baltico. Nelle ultime ore sta salendo la tensione tra Stati Uniti e Russia. In modo pericoloso: il generale Mark Milley, capo dell’esercito statunitense, avverte che Washington è pronta a «distruggere i nemici», cioè «Cina, Russia, Iran». Da Mosca, Putin sfida l’America: se vuole la pace, cessi «la politica ostile» contro il Cremlino. L’amministrazione Obama, rileva il ministro degli esteri Lavrov, «ha fatto di tutto per distruggere l’atmosfera di fiducia che avrebbe incoraggiato la cooperazione». Si dispiegano missili in Est Europa, ma il punto più rischioso resta la Siria, dove gli Usa non accettano che i russi stiano “smontando” l’Isis, la carta giocata dall’intelligence atlantica per rovesciare Assad: dopo il bombardamento americano che ha ucciso “per errore” un’ottantina di soldati di Damasco, Mosca ha avvertito che l’aviazione russa abbatterà qualsiasi velivolo minacci l’esercito siriano. Terza Guerra Mondiale? «E’ già in atto», sostiene il massone Gioele Magaldi, che però non crede allo scontro diretto, militare, tra Usa e Russia. Almeno, non prima delle presidenziali americane, il derby tra Donald Trump e Hillary Clinton. E se invece l’escalation in Siria “servisse” proprio a destabilizzare Trump, ripetutamente schieratosi per il dialogo con Putin?Nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), Magaldi svela precisi retroscena geopolitici che, attraverso il ruolo occulto di 36 Ur-Lodges, superlogge segrete internazionali, collegano eventi in apparenza lontani: da qualche decennio, il vertice super-massonico del potere mondiale globalizzato punta tutto, in Occidente, sulla demolizione del welfare, sull’azzeramento dello Stato come investitore pubblico e sociale, e mira a fare dell’ex terzo mondo un terreno di conquista da “rapinare” (materie prime) e a cui attingere forza lavoro sottopagata, da convogliare in Europa onde svalutare ulteriormente l’occupazione nostrana. Insieme a un altro massone, Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Uno Editori), lo stesso Magaldi ha avvertito che un’identica regia manovra guerre, crisi e attentati. L’Isis e l’austerity sono riconducibili alla medesima matrice neo-aristocratica dell’oligarchia massonica internazionale: in Siria si usano i missili e i tagliagole dell’Isis, in Europa la crisi economica provocata dal rigore imposto dalla Germania – ma, all’occorrenza, si ricorre anche alla manovalanza jihadista reclutata da settori dei servizi segreti, laddove “serva” utilizzare il terrore per paralizzare il possibile risveglio dell’opinione pubblica, come appunto in Francia: Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza.Non è un caso che la sequenza di morte abbia colpito Parigi, dove – a differenza dell’Italia – è forte la protesta sindacale contro la “Loi Travail”, il Jobs Act transalpino, che si unisce al radicale programma euroscettico del Front National di Marine Le Pen. Dopo l’inatteso esito del voto sul Brexit, la situazione sembra fibrillare: questo spiega i timori dell’élite rispetto allo stesso referendum italiano, con personaggi del calibro di Stiglitz che arrivano a paventare la fine dell’euro se Renzi dovesse perdere. Ma se in Francia il Front National è il primo partito e annuncia che, in caso di vittoria, chiederà la fine dell’euro-rigore pena l’uscita di Parigi dall’Ue, in Italia il Movimento 5 Stelle non sfiora neppure l’argomento: non c’è pericolo che chieda l’uscita dell’Italia né dall’Eurozona né tantomeno dall’Unione Europea. La situazione è in stallo. Anche per questo, forse, qualcuno potrebbe forzarla in Siria, facendo precipitare il clima della già surriscaldata campagna presidenziale americana, verso esiti imprevedibili? Di fronte ai fatti di sangue in Francia, contrassegnati da “firme” massoniche e da indagini opache (quelle su Charlie Hebdo sigillate dal segreto di Stato), Carpeoro avverte: aspettiamoci di tutto, perché quell’élite oggi ha paura di perdere potere, ha subito defezioni ed è pronta a farci veramente male. Con le bombe, e magari anche coi missili?Tamburi di guerra, dalla Siria al Baltico. Nelle ultime ore sta salendo la tensione tra Stati Uniti e Russia. In modo pericoloso: il generale Mark Milley, capo dell’esercito statunitense, avverte che Washington è pronta a «distruggere i nemici», cioè «Cina, Russia, Iran». Da Mosca, Putin sfida l’America: se vuole la pace, cessi «la politica ostile» contro il Cremlino. L’amministrazione Obama, rileva il ministro degli esteri Lavrov, «ha fatto di tutto per distruggere l’atmosfera di fiducia che avrebbe incoraggiato la cooperazione». Si dispiegano missili in Est Europa, ma il punto più rischioso resta la Siria, dove gli Usa non accettano che i russi stiano “smontando” l’Isis, la carta giocata dall’intelligence atlantica per rovesciare Assad: dopo il bombardamento americano che ha ucciso “per errore” un’ottantina di soldati di Damasco, Mosca ha avvertito che l’aviazione russa abbatterà qualsiasi velivolo minacci l’esercito siriano. Terza Guerra Mondiale? «E’ già in atto», sostiene il massone Gioele Magaldi, che però non crede allo scontro diretto, militare, tra Usa e Russia. Almeno, non prima delle presidenziali americane, il derby tra Donald Trump e Hillary Clinton. E se invece l’escalation in Siria “servisse” proprio a destabilizzare Trump, ripetutamente schieratosi per il dialogo con Putin?
-
Monica Maggioni (Rai) presidente italiana della Trilaterale?
«La notizia è di quelle da far saltare sulla sedia». Secondo quanto riportato da Lia Quilici su “L’Espresso”, la presidente della Rai Monica Maggioni il prossimo 8 ottobre sarà nominata presidente della Trilateral Italia. «Un incredibile cortocircuito di potere che metterebbe nelle stesse mani da una parte il controllo del servizio d’informazione radiotelevisivo pubblico e dall’altra la gestione della filiale italiana di una delle più importanti organizzazioni d’interessi privati nel mondo», scrive “Megachip”, che per illuminare i retroscena della Commissione Trilaterale, fondata nel 1973 negli Usa da David Rockefeller, ripropone una recente analisi di Stefania Elena Carnemolla. Il personaggio-chiave, oggi, in Italia? Itzhak Yoram Gutgeld, economista israeliano naturalizzato italiano e deputato Pd, “mente” economica del governo Renzi: «Nell’armadio di Gutgeld c’è lo scheletro della Trilaterale, centro di potere espressione dell’élite». Se Gutgeld è membro del gruppo italiano, dal 2011 il presidente europeo è Jean-Claude Trichet, ex governatore della Bce. «Star italiana della Trilaterale è Mario Monti». E al super-club «si onora di appartenere anche l’ex primo ministro e deputato Pd Enrico Letta, oggi accademico a Parigi».Insieme al Bilderberg, stra-chiacchierato “salotto” dell’élite finanziaria mondiale insieme al Forum di Davos, la Trilaterale – secondo Gioele Magaldi, autore di “Massoni, società a responsabilità illimitata” – fa parte del segmento strategico di “associazioni paramassoniche” destinare a fare da cinghia di trasmissione tra i “vertice esoterico” dell’oligarchia, rappresentato da 36 Ur-Lodges internazionali, e le classi dirigenti – banche, università, industria, politica. A differenza dei potentissimi think-tanks citati da Paolo Barnard nel saggio “Il più grande crimine” (tra questi la Ert, European Roundtable of Industrialists), la Trilaterale ospita ex capi di Stato e di governo, “dialogando” direttamente con le istituzioni del super-potere, dalla Fed alla Bce, dal Fmi alla Banca Mondiale. Fu proprio la Trilaterale, guidata da eminenze grige come Kissinger e Rockefeller, a “far applicare”, dagli anni ‘70, i micidiali dettami dello storico Memorandum che la Camera di Commercio Usa aveva commissionato all’avvocato d’affari Lewis Powell. Obiettivo: stroncare la sinistra democratica e sindacale negli Usa e in Europa, demolire il welfare, aprire il varco al neoliberismo globalizzato e al “totalitarismo finanziario”.«Chi sono gli italiani della Trilaterale?», si domanda Stefania Elena Carnemolla, su “Megachip”. «È gente che piace alla gente che piace, che passa da un incarico all’altro, che presiede fortini di potere. Ci sono renziani, banchieri, ex ministri, ex viceministri, ammiragli, ambasciatori, industriali, deputati, vertici Rai, ex presidenti del Consiglio, studiosi di politica internazionale. Nomi che s’intrecciano con il Bilderberg e con l’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. Personaggi da sliding door, che se non sono in un luogo, sono in un altro». La sede del gruppo italiano della Trilaterale è al civico 5 di via Clerici, a Milano, dove c’è l’omonimo palazzo che ospita l’Ispi. Tra i membri della Trilaterale «c’è il professore Carlo Secchi, che ne è il chairman – né è una coincidenza che Secchi sia vicepresidente dell’Ispi, oltre che suo consigliere di amministrazione». Altri membri della Trilaterale con ramificazioni nell’Ispi? «Sono Paolo Magri, segretario del gruppo italiano della Trilaterale, nonché vicepresidente esecutivo, direttore e consigliere di amministrazione Ispi; Patrizia Grieco, consigliere di amministrazione Ispi, nominata da Renzi presidente Enel».Nell’elenco, continua Carnemolla, figura anche la giornalista Monica Maggioni, presidente Rai e consigliere di amministrazione Ispi, «nonché ospite, nel 2014, della conferenza Bilderberg di Copenhagen, quand’ancora dirigeva “Rai News 24”». Insieme alla Maggioni figura Lia Quartapelle, che Renzi voleva ministro degli esteri: deputato Pd, è ricercatrice Ispi per l’Africa ed è alla Trilaterale «grazie al David Rockefeller Fellowship Program». Poi c’è Marco Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo e amministratore delegato Pirelli, senza contare le altre cariche, «da Mediobanca a Rcs, passando per la Bocconi, Confindustria, Assolombarda, l’Aspen Institute e altro ancora». E quindi Gianfelice Rocca, presidente di Techint, dell’Istituto Clinico Humanitas e di Assolombarda, oltre che consigliere di amministrazione Ispi. E Marcello Sala, vicepresidente vicario del consiglio di gestione Intesa SanPaolo e consigliere di amministrazione Ispi.Poi ci sono membri della Trilaterale non legati all’Ispi: fra i banchieri Maurizio Sella (presidente del Gruppo Banca Sella), quindi Giuseppe Vita (presidente Unicredit), Carlo Messina (ad di Intesa SanPaolo) e Andrea Moltrasio (presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca). Membro della Trilaterale, continua Stefania Elena Carnemolla, è anche l’ambasciatore Ferdinando Salleo, che ne è vicepresidente (ed è anche collaboratore di politica estera per la “Repubblica”, guidata da Mario Calabresi). Con lui Giuseppe Bono (Fincantieri), John Elkann (Fiat), l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (ex ministro della difesa del governo Monti, già dirigente Nato). E ancora: Marta Dassù, nominata da Renzi nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica. La Dassù è membro dell’advisory board della dalemiana Fondazione Italianieuropei, del comitato esecutivo dell’Aspen Institute, di quello scientifico di Confindustria, della Fondazione Italia-Usa, del direttivo dell’Istituto Affari Internazionali. Ha diretto il Centro Studi Politica Internazionale e le attività internazionali di Aspen Institute Italia, è stata consigliere per la politica estera dei governi D’Alema e del secondo governo Amato, e poi viceministro degli esteri nei governi Monti e Letta.Membro della Trilaterale, continua “Megachip”, è stata pure Federica Guidi, ex leader dei giovani di Confindustria e ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. «E lo è stato Stefano Silvestri, editorialista del quotidiano di Confindustria, “Il Sole 24 Ore”, ex presidente dell’Istituto Affari Internazionali, di cui è oggi consigliere scientifico». Secondo Stefania Elena Carnemolla, il sogno di molti è comunque il Bilderberg Group: «Ci sono passati in tanti e di nuovi ne entrano – come Claudio Costamagna, presidente di Cassa Depositi e Prestiti, una carriera in Goldman Sachs; Lilli Gruber, Franco Bernabè, Fulvio Conti, Enrico Letta, Mario Monti, gli Elkann e gli Agnelli, Alberto Nagel di Mediobanca, Romano Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa». Poi ci sono «quegli italiani che al Bilderberg sono andati ospiti, come Paolo Scaroni, allora a capo di Eni, e Giulio Tremonti, che vi andò, ministro economico del governo Berlusconi, nel 2011, quando la riunione fu ospitata a St. Moritz, in Svizzera, trovandovi Mario Monti. Mesi dopo, Monti, nominato senatore a vita da Giorgio Napolitano, sarebbe entrato, caduto il governo Berlusconi, a Palazzo Chigi». La Trilaterale, l’Ispi, il Gruppo Bilderberg e gli altri club esclusivi, «dove vanno e vengono i soliti: un gioco di società, dai tanti tentacoli, che non ha risparmiato l’Italia renziana». Fino all’annunciata nomina della Maggioni alla Trilaterale.«La notizia è di quelle da far saltare sulla sedia». Secondo quanto riportato da Lia Quilici su “L’Espresso”, la presidente della Rai Monica Maggioni il prossimo 8 ottobre sarà nominata presidente della Trilateral Italia. «Un incredibile cortocircuito di potere che metterebbe nelle stesse mani da una parte il controllo del servizio d’informazione radiotelevisivo pubblico e dall’altra la gestione della filiale italiana di una delle più importanti organizzazioni d’interessi privati nel mondo», scrive “Megachip”, che per illuminare i retroscena della Commissione Trilaterale, fondata nel 1973 negli Usa da David Rockefeller, ripropone una recente analisi di Stefania Elena Carnemolla. Il personaggio-chiave, oggi, in Italia? Itzhak Yoram Gutgeld, economista israeliano naturalizzato italiano e deputato Pd, “mente” economica del governo Renzi: «Nell’armadio di Gutgeld c’è lo scheletro della Trilaterale, centro di potere espressione dell’élite». Se Gutgeld è membro del gruppo italiano, dal 2011 il presidente europeo è Jean-Claude Trichet, ex governatore della Bce. «Star italiana della Trilaterale è Mario Monti». E al super-club «si onora di appartenere anche l’ex primo ministro e deputato Pd Enrico Letta, oggi accademico a Parigi».
-
Isis, cioè turchi e sauditi: guerra in Siria per un gasdotto
Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.Lo scrive Darius Shahtahmasebi, in un post ripreso da “Zero Hedge” e rilanciato da “Voci dall’Estero” per illuminare le clamorose falle della narrazione ufficiale sulla guerra in Siria. Una notizia decisamente irrintracciabile, su giornali e televisioni, è il tasso di popolarità di Bashar Assad: «Dall’inizio del conflitto nel 2011 – scrove Shahtahmasebi – Assad ha sempre mantenuto il sostegno della maggioranza del suo popolo. Le elezioni del 2014 – dove Assad ha ottenuto una vittoria schiacciante, e osservatori internazionali hanno dichiarato che non ci sono stati brogli – è la prova del fatto che, sebbene Assad sia stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani, continua a mantenere un’ampia popolarità presso il popolo siriano». Obama, dal canto suo, ha vinto le elezioni del 2012 con una maggioranza di appena il 53,6%, e con solo 129 milioni di cittadini recatisi alle urne. «Questo significa che circa 189,8 miliori di americani non hanno votato Obama». Il suo attuale tasso di approvazione è quindi attorno al 50%, inferiore a quello del “dittatore” Assad.Un’autentica barzelletta, continua Shahtahmasebi su “TheAntiMedia.org”, riguarda la famosa “opposizione moderata”: se mai c’è stata, non esiste più. «Il cosiddetto Libero Esercito Siriano sostenuto dall’Occidente è dominato da anni dalle forze estremiste. Gli Usa lo sanno già, eppure hanno continuato a sostenere l’opposizione siriana. Il “New York Times” nel 2012 ha riportato che la maggior parte degli armamenti spediti in Siria finivano nelle mani degli jihadisti». Un report riservato della Dia prediceva l’ascesa dell’Isis nel 2012: «Se la situazione si dipana – recitava testualmente il documento – è possibile che si stabilisca un principato Salafita, sia esso dichiarato o meno, nella Siria orientale. Questo è esattamente ciò che vogliono attualmente le forze dell’opposizione, per isolare il regime siriano». Inoltre, una testimonianza di un comandante del Libero Esercito Siriano mostra non solo l’ammissione che i suoi combattenti partecipano regolarmente ad azioni congiunte con al-Nusra (il braccio siriano di Al-Qaeda), ma anche che lui stesso spera di vedere la Siria governata dalla legge della Sharia.Altra super-montatura, quella dell’uso di armi chimiche da parte del regime nell’agosto 2013, che rischiò di innescare bombardamenti Nato: tra gli altri, un giornalista Premio Pulitzer come Seymour Hersh dimostrò che l’intelligence Usa era perfettamente al corrente dell’uso del gas Sarin da parte dei “ribelli”. Darius Shahtahmasebi ricorda che lo stesso generale Wesley Clark rivelò che, all’indomani dell’11 Settembre, il Pentagono aveva sviluppato un piano per rovesciare, in cinque anni, i governi di sette paesi: oltre alla Siria l’Iraq (invaso nel 2003), il Libano (attaccato da Israele nel 2006), la Libia (distrutta nel 2011), la Somalia (oggi sorvolata dai droni Usa) e il Sudan, smembrato nel 2011 al termine di una sanguinosa guerra civile. Nell’elenco degli Stati da abbattere era compreso anche l’Iran, che con la Siria ha un accordo di reciproca difesa stipulato nel 2005. Gioco pericoloso: con l’Iran sono schierate Russia e Cina. E l’intervento militare russo in Siria «dimostra che queste non sono vane minacce: il loro impegno ha seguito le loro parole».I media raccontano che l’Isis è nato in Siria? Sbagliato: il Califfato è nato come conseguenza dell’invasione statunitense in Iraq, dice Shahtahmasebi. Prima, l’Isis era noto come “Al-Qaeda in Iraq”, ed è diventato importante in seguito all’invasione Nato del 2003. «È ben noto che non c’era alcuna traccia tangibile di Al-Qaeda in Iraq prima di quella invasione, e per un motivo ben preciso: quando Paul Bremer ricevette il ruolo di inviato presidenziale in Iraq nel maggio 2003, dissolse le forze di polizia e l’esercito. Bremer licenziò quasi 400.000 uomini in servizio, tra cui ufficiali militari di alto rango che avevano combattuto nella guerra Iran-Iraq negli anni ’80. Questi ufficiali oggi detengono importanti posizioni all’interno dell’Isis. Se non fosse stato per l’azione statunitense, l’Isis probabilmente non sarebbe mai esistito». I suoi tagliagole oggi «sono diventati fondamentali nel programma occidentale di rovesciamento dei regimi in Libia e in Siria. Quando i vari gruppi iracheni e siriani affiliati ad al-Qaeda si sono uniti lungo il confine siriano nel 2014, ci siamo trovati con il gruppo terroristico che conosciamo oggi».Oltre al ruolo della Turchia di Erdogan nel fornire assistenza di ogni genere all’Isis in Siria, c’è poi un altro fondamentale retroscena: «Turchia, Qatar e Arabia Saudita volevano costruire un gasdotto lungo la Siria, ma Assad ha rifiutato». Ed ecco i guai. La storia comincia nel 2009, quando il Qatar propose di costruire una conduttura lungo la Siria e la Turchia per esportare il gas saudita, scrive Shahtahmasebi. «Assad rifiutò la proposta e formò al contrario un accordo con l’Iran e l’Iraq per costruire una conduttura verso il mercato europeo, che avrebbe tagliato fuori Turchia, Arabia Saudita e Qatar». Da allora, prosegue “TheAntiMedia.org”, questi paesi sono diventati forti sostenitori dell’opposizione siriana che voleva rovesciare Assad. «Complessivamente, hanno investito miliardi di dollari, prestato armamenti, incoraggiato la diffusione del fanatismo ideologico e hanno permesso il passaggio dei combattenti lungo i propri confini». Grazie alla resistenza di Assad sostenuto da Putin, la conduttura Iran-Iraq «rafforzerà l’influenza iraniana nella regione e minerà il suo rivale, l’Arabia Saudita, l’altro grande produttore Opec. Se avrà la capacità di trasportare gas verso l’Europa senza dover passare per gli alleati di Washington, l’Iran guadagnerà potere contrattuale e potrà negoziare accordi di escludano completamente gli Usa e il dollaro». Un mare di soldi: e questo, più di qualunque altro argomento, aiuta a capire meglio lo strano accanimento contro il governo di Damasco.Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.
-
Magaldi: da Nizza ad Ankara, nessuno vi racconta la verità
Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra. E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.Primo capitolo, la Francia: il paese è chiaramente sotto attacco a partire dalla strage della redazione di Charlie Hebdo, le cui indagini sono state fermate dal governo Hollande con l’apposizione del segreto militare dopo la scoperta, da parte della magistratura parigina, della triangolazione che ha coinvolto la Dgse, cioè i servizi segreti francesi, nella fornitura di armi al commando-killer (armi slovacche, acquistate in Belgio sotto la copertura dell’intelligence). Il grande spauracchio dell’ultimo scorcio si chiama Isis? Si tratta di un paravento, sostiene Magaldi, nonché di una “firma”: Isis è anche il nome della dea egizia Iside, chiamata anche Hathor, e Hathor Pentalpha è il nome della “loggia del sangue e della vendetta” fondata nel 1980 da Bush padre quando fu battuto da Reagan alle primarie repubblicane. A quella cupola di potere, sempre secondo Magaldi, è ascrivibile la regia dell’11 Settembre, con annessa “fabbricazione del nemico”, da Al-Qaeda a Saddam Hussein: della Hathor Pentalpha, scrive Magaldi, hanno fatte parte sia Tony Blair, “l’inventore” delle armi di distruzione di massa irachene, sia Nicolas Sarkozy, il demolitore del regime di Gheddafi. E inoltre lo stesso Erdogan, il massimo padrino dell’Isis.«Da fonti riservate – racconta Magaldi a “Colors Radio” – sapevo con certezza che in Turchia si stesse preparando un golpe: non il maldestro tentativo cui abbiamo appena assistito, facilmente controllato da Erdogan, ma un golpe autentico, programmato per l’autunno». Niente di più facile che il “sultano” l’abbia semplicemente anticipato, in modo farsesco, provando a disinnescare la minaccia. Ma attenzione: «Erdogan sa benissimo che i suoi veri, potenti nemici non sono toccabili: la sua repressione, feroce e molto rumorosa, non li sfiorerà neppure. Nel caso di un golpe a tutti gli effetti, quindi con il coinvolgimento dei massimi vertici dell’esercito, della marina e dell’aviazione, oltre che con la partecipazione degli Usa e di Israele, Erdogan verrebbe liquidato in poche ore, arrestato o ucciso». Cosa manca, al puzzle? Il piatto forte: le elezioni Usa. Solo allora, cioè dopo novembre, è plausibile che il quadro geopolitico possa chiarirsi. A cominciare da Ankara: al di là del chiasso organizzato in queste ore da Erdogan, dice Magaldi, la Turchia non ha ancora deciso “cosa fare da grande”. E soprattutto: come chiudere la pratica Isis, di cui resta la principale azionista.Quanto alla strage di Nizza, si tratta della «ripetizione ormai stanca» di un copione già invecchiato, quello dei tagliatori di teste che hanno seminato il terrore – con sapiente regia hollywoodiana – tra Iraq e Siria. La dominante, oggi, si chiama caos. E nessuno – tantomeno Erdogan – sa esattamente cosa accadrà domani, ovvero: su quale configurazione di forze si baseranno i poteri forti, anche super-massonici, che finora hanno assegnato precisi spazi agli attori sul terreno, da Obama a Putin, dalla Merkel a Erdogan. Sempre secondo Magaldi, il network trasversale della super-massoneria progressista si è impegnato con successo nelle primarie Usa, da un lato lanciando Bernie Sanders per spostare a sinistra la politica della Clinton, e dall’altro utilizzando Donald Trump come cavallo di Troia per eliminare dalla corsa il pericolo numero uno, Jeb Bush, ultimo esemplare della filiera Hathor Pentalpha. Comunque vada a novembre, conclude Magaldi, gli “architetti del terrore” dovrebbero finalmente perdere terreno: la stessa Clinton si starebbe smarcando da certi legami pericolosi con i settori più opachi del potere di Washington, e Trump non sarebbe certo disponibile a coprire azioni di macelleria internazionale come quelle a cui stiamo assistendo.Una grande retromarcia, dopo 15 anni di orrori? Qualche segnale lo stiamo già avendo, dice un altro analista dal solido retroterra massonica come Gianfranco Carpeoro: a inquietare i gestori del massimo potere è proprio la recente “diserzione” di una parte del vertice planetario, non più disposto ad avallare la strategia della tensione (da Bin Laden al Califfato) promossa dall’élite neo-aristocratica, quella che ha cinicamente ideato e gestito l’austerity europea incarnata da Draghi e Merkel. Se cresce il bilancio di sangue, anche in Europa – questa la tesi – è perché il potere oligarchico si sta indebolendo e teme di perdere la sua presa. E’ di ieri lo strappo del Brexit, e la Francia resta sotto tiro anche per via del suo ruolo-cardine in una struttura antidemocratica come l’attuale Unione Europea. I tempi stanno per cambiare? Se sì, a quanto pare, non sarà una passeggiata: è saggio aspettarsi di tutto, in questa fase di incertissima transizione. Certo, dice ancora Magaldi, bisogna tenere gli occhi aperti: è impensabile che la sicurezza francese abbia potuto “dimenticarsi” di quel camion-killer, parcheggiato da giorni sul lungomare di Nizza. E forse il primo a cadere sarà proprio il capo della “democratura” turca: «Erdogan sembra forte, ma in realtà è fragilissimo». Un consiglio? Allacciare le cinture, in attesa delle elezioni Usa.Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra. E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.
-
Tutti a casa, aspettando che finiscano di sfasciare il mondo
Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.La “buona politica” di cui si avverte disperatamente il bisogno, semplicemente, non esiste: tutto il personale politico in campo, nonostante movimenti anche recenti, è sostanzialmente allineato al dogmatismo del mainstream neoliberale e neo-feudale, che – dopo le violente campagne anti-casta degli anni e decenni scorsi – predica l’erosione dell’interesse pubblico e la sparizione progressiva dello Stato come soggetto strategico, sociale ed economico. In Eurozona, il miglior governo che venisse eletto sarebbe di fatto impotente, costretto a limitare la propria spesa strategica al 3% del Pil. Impossibile utilizzare, come in passato, la leva monetaria: in un paese come l’Italia, il debito pubblico ha permesso di realizzare colossali investimenti sociali e infrastrutturali che hanno determinato il boom economico degli anni ‘60 e poi i mini-boom degli anni ‘80 e ‘90. Oggi, senza più sovranità statale, fiscale, economica, finanziaria e monetaria, questo scenario non è più ripetibile.A livello geopolitico, la situazione sta assumendo caratteristiche da incubo. Un crescendo di instabilità e orrori, a partire dal collasso dell’Urss: Jugoslavia, Somalia, Cecenia; poi, dopo l’11 Settembre, la drammatica accelerazione degli ultimi 15 anni, con le guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Ucraina, Siria. In tutti questi teatri, gli Usa sono passati all’offensiva, allo scopo di destabilizzare interi continenti, prima che la Cina potesse assumere una leadership pericolosa per il monopolio americano, anche l’attraverso l’asse con la Russia di Putin. L’Europa è travolta dalla tempesta profughi e terremotata dal terrorismo pilotato dall’intelligence occidentale, utilizzando la falsa bandiera dell’Isis, che ha preso il posto di Al-Qaeda. Uno dei principali obiettivi è proprio l’Europa: prima lo scandalo Volkwagen, poi il caso Bnp-Paribas, quindi l’attacco al segreto bancario svizzero, ora la vicenda Panama. Sul tappeto resta il trattato segreto Ttip, che trasferirà potere giuridico direttamente alle multinazionali, scavalcando leggi e Stati. Il trattato resta segreto, e nessuno ne parla. Il governo dell’Ue non tenta neppure di inscenare la ritualità di una democrazia formale.Il terrorismo è l’altra grande leva dell’operazione eversiva in corso. Sorretto da settori della Cia e del Pentagono, Daesh è finanziato da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi del Golfo. Proprio le stragi di Parigi, Charlie Hebdo e 13 novembre, e ora quella di Bruxelles, hanno spinto alcuni esponenti della massoneria ad effettuare denunce clamorose, rimaste escluse dal mainstream ma circolate sul web. La tesi riguarda l’ispirazione massonica degli attentati e il loro contenuto simbolico nascosto utilizzato come “firma”, a partire dallo stesso acronimo Isis, che corrisponde alla dea Iside, il cui secondo nome è Hathor – e Hathor Pentalpha, secondo Gioele Magaldi, è il nome della famigerata superloggia fondata dai Bush negli anni ‘80, cui avrebbero aderito Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan, cioè gli uomini che hanno promosso le guerre in Iraq, in Libia e in Siria, dopo aver ideato gli attentati dell’11 Settembre.Un’intera narrazione sta crollando, giorno per giorno, sotto i colpi delle rivelazioni che illuminano i retroscena della cronaca: il mainstream continua a proporla, l’informazione ufficiale, ma non riscuote più la fiducia della maggioranza dei cittadini, sempre più scettici, tentati dall’astensionismo (convinti che votare sia ormai inutile) e in ogni caso diffidenti di fronte alle notizie sfornate a ciclo continuo. In parallelo, si assiste a clamorose rivelazioni in serie: prima Julian Assange e Wikileaks, poi lo scandalo dello spionaggio di massa targato Nsa, denunciato da Edward Snowden. Sul piano culturale, in Italia e non solo, è parallelo il percorso di uno studioso isolato come Mauro Biglino, che propone la (sconcertante) traduzione letterale della Bibbia: lo Jahwè dell’Antico Testamento non è affatto una divinità, ma un feroce guerriero venuto da non si sa dove e impegnato – insieme ad alcuni “colleghi” – a instaurare un dominio di tipo coloniale in Palestina, peraltro sul Sapiens che, secondo la Genesi, sarebbe stato creato in laboratorio, mediante clonazione genetica. La teologia della creazione? Pura fantasia, di cui nella Bibbia non c’è traccia.Secondo l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore di contro-indagini clamorose su alcuni misteri della cronaca italiana, dalle Bestie di Satana al Mostro di Firenze (l’intuizione della spaventosa realtà dei delitti rituali compiuti da sette occulte, affollate da potentissimi insospettabili) il bicchiere mezzo pieno consiste nel fatto che, se certi orrori si sono sempre verificati, oggi finalmente se ne comincia a parlare. Un altro osservatore come Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, sostiene che la crescente violenza cui stiamo assistendo corrisponda all’inquietudine dell’élite al potere, che sa di aver perso il consenso di almeno il 20-30% della popolazione e quindi preme sull’acceleratore della paura per condizionare la parte restante, quella che ancora è facilmente manipolabile. Lo afferma anche un massone come Gianfranco Carpeoro, grande esperto di codici esoterici e simbolici: la strategia della tensione come arma estrema, da parte di chi pensa di non avere più altri strumenti per condizionare le masse.L’arma più antica – il terrore – per tentare di portare a compimento il grande disegno emerso negli ultimi decenni, ben illustrato da Paolo Barnard nel saggio “Il più grande crimine”: la riduzione in schiavitù del cittadino occidentale, affrancatosi dal feudalesimo con la Rivoluzione Francese, per farlo retrocedere al rango di suddito, senza più uno Stato democratico che lo tuteli. Il progetto della globalizzazione neoliberista è semplice, aggiunge Carpeoro: allineare tutti noi al livello degli abitanti del terzo mondo, cioè lavoratori pre-moderni e senza diritti. Il piano procede inesorabilmente: con le crisi finanziarie, le guerre, le bombe, le menzogne quotidiane sfornate dal “pensiero magico”, la suprema manipolazione cui ricorre il massimo potere, sempre impegnato a costruire nemici artificiali che il popolo dovrà odiare, evitando di farsi le domande giuste. Che può fare, il cittadino comune? Ricordarsi di esistere, risponde Erri De Luca: per esempio, la partecipazione al referendum contro le trivellazioni è un grido contro “l’anestesia delle coscienze”. Sapendo però che di ben altra “rianimazione” ci sarebbe bisogno, in un paese che ancora accetta l’euro, considera una sciagura il debito sovrano e pensa che, dopo Bruxelles, sarà bene avere meno libertà in cambio di più sicurezza.Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.
-
Carpeoro: l’élite ricorre alle bombe perché adesso ha paura
Siamo in pericolo, e lo saremo sempre di più. Motivo: l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura. Teme, per la prima volta, di perdere il potere assoluto che ha esercitato, negli ultimi decenni, in modo incontrastato. A inquietare le super-oligarchie mondiali non è solo il progressivo risveglio democratico di una parte dell’opinione pubblica, sempre più scettica di fronte alla narrazione ufficiale degli eventi. Pesa, soprattutto, la clamorosa diserzione di una parte consistente di quello stesso vertice di potere, spaventato dalle rovinose conseguenze, su scala mondiale, della “dittatura” neoliberista, il cui obiettivo è chiaro: confiscarci ogni diritto e retrocedere tutti noi a livelli di sfruttamento da terzo mondo. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, giornalista e scrittore, acuto osservatore dei retroscena internazionali anche in virtù della sua lunga militanza nella massoneria indipendente. Già avvocato, eminente studioso della cultura simbolica esoterica, Carpeoro è oggi schierato con Gioele Magaldi nella denuncia degli abusi sempre più devastanti che costellano la deriva autoritaria della leadership globale. Qualcuno, lassù, ha cominciato a sfilarsi. E il massimo potere si è spaventato a morte, al punto da pianificare stragi, affidate alla manovalanza dell’Isis.Questa la sintesi della posizione di Carpeoro, espressa durante un lungo intervento alla trasmissione web-radio “Border Nights” del 29 marzo, condotta da Fabio Frabetti con la partecipazione di Paolo Franceschetti, indagatore di molti misteri irrisolti della cronaca italiana. Sul tappeto, l’analisi della situazione internazionale all’indomani dell’ultima ondata di attentati terroristici, da Bruxelles al Pakistan. «E’ evidente che il problema non è l’Isis, ma chi lo manovra», premette Carpeoro, che peraltro denuncia come “deliranti” le tante fantasie complottiste che inondano il web: «Assurdo perdere tempo a domandarsi se è autentico o meno il video di un attentato trasmesso in televisione: i morti sono reali, e nessuno si sforza di capire cosa c’è dietro all’organizzazione stragistica». Certo la colpa non è dell’Islam: «Per secoli, i musulmani hanno protetto ogni minoranza perseguitata, compresi gli ebrei». Siamo noi, colonialisti occidentali, che nell’ultimo scorcio storico abbiamo represso e depresso i popoli arabi, “coltivando” deliberatamente la disperazione di massa che oggi può produrre anche il fenomeno dei kamikaze. Ma bisogna sapere che si tratta di dinamiche accuratamente pilotate: non dal Califfo, ma da chi detiene il potere reale, economico e finanziario, in Occidente.Nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi denuncia apertamente – per la prima volta – il ruolo criminoso di alcune superlogge segrete del vertice occulto internazionale, come ha “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, cui avrebbero aderito anche personaggi come Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan. Una macchina perfetta per attuare la strategia della tensione a livello geopolitico, dall’11 Settembre fino alla creazione dell’Isis per destabilizzare il Medio Oriente e imporre ovunque la logica della guerra. Dal canto suo, Carpeoro cita spesso un grande intellettuale come Francesco Saba Sardi, che nel saggio “Dominio” condanna la natura oppressiva del potere sorto all’epoca della prima civilizzazione: con la scoperta dell’agricoltura nasce la guerra per il possesso della terra, quindi lo sfruttamento del lavoro e l’istituzione religiosa per la manipolazione psicologica di soldati e lavoratori. Carpeoro segnala il progressivo e fatale deterioramento delle condizioni sociali, imposto da un potere che ricorre ad un pensiero di tipo “magico”: fa’ quello che ti dico e avrai un premio, l’importante è non ti chieda mai il vero perché delle cose.«Per sua natura, il potere tende sempre a degradarsi col passare del tempo: un vecchio boss mafioso non avrebbe mai seppellito scorie tossiche nel prato dove giocano i suoi figli». Un ragionamento che prende in prestito da Noam Chomsky una celebre riflessione sulla comunicazione mainstream, ispirata dal potere: il pubblico viene “astratto” dalla percezione del reale e rinchiuso in un “cerchio magico”, in cui vigono le regole del “mago”, il persuasore di massa, il cui obiettivo è sempre la manipolazione, quindi la neutralizzazione della coscienza critica di chi ascolta. «A questo scopo, viene regolarmente fabbricato un nemico da detestare». Quando questo nemico tramonta – esempio, Al-Qaeda – c’è già pronto il nuovo nemico, l’Isis. «L’importante è che noi odiamo il nemico di turno, senza collegare le cose e senza mai domandarci chi vi sta dietro, a chi serve tutto il male che viene creato a suon di bombe». E’ la legge della paura, per paralizzare la società: strategia della tensione, appunto.«L’intensità del terrorismo sta crescendo – sottolinea Carpeoro – perché, evidentemente, chi lo organizza pensa di non avere più altre chances per dominarci». A preoccupare i registi occulti del terrore, sempre secondo Carpeoro, sono le importanti defezioni che ormai si registrano in tutto l’Occidente, dall’Europa agli Usa, anche nel mondo massonico e finanziario, ma non solo: «Alle primarie americane un “socialista” dichiarato come Bernie Sanders si è imposto nello Stato di Washington: un segnale inequivocabile». Qualcosa si è incrinato, nell’élite di potere, e i vecchi “dominus” non si sentono più così al sicuro: temono di perdere l’attuale onnipotenza, che consente loro – attraverso la finanza – di fare e disfare popoli, guerre, crisi, esodi (e affari colossali, nell’impunità più assoluta). Ed ecco allora il crescere dell’instabilità, il ricorso sistematico al terrore. I grandi assenti? Manco a dirlo, siamo noi: serve una contro-politica, per imporre un nuovo sistema di valori, capace di farci uscire dal delirio crisi-guerra. Se scoppiano più bombe, dice Carpeoro, è perché chi comanda ha paura che si possa arrivare a un rovesciamento dell’attuale governance. Problema: «Ci vorrà molto tempo, e intanto la situazione peggiorerà ancora. Non possiamo restare a guardare, bisognerà pur fare qualcosa». E cioè: spingere la società a risvegliarsi, per rompere l’assedio dell’orrore, ormai sistematico e quotidiano.Siamo in pericolo, e lo saremo sempre di più. Motivo: l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura. Teme, per la prima volta, di perdere il potere assoluto che ha esercitato, negli ultimi decenni, in modo incontrastato. A inquietare le super-oligarchie mondiali non è solo il progressivo risveglio democratico di una parte dell’opinione pubblica, sempre più scettica di fronte alla narrazione ufficiale degli eventi. Pesa, soprattutto, la clamorosa diserzione di una parte consistente di quello stesso vertice di potere, spaventato dalle rovinose conseguenze, su scala mondiale, della “dittatura” neoliberista, il cui obiettivo è chiaro: confiscarci ogni diritto e retrocedere tutti noi a livelli di sfruttamento da terzo mondo. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, giornalista e scrittore, acuto osservatore dei retroscena internazionali anche in virtù della sua lunga militanza nella massoneria indipendente. Già avvocato, eminente studioso della cultura simbolica esoterica, Carpeoro è oggi schierato con Gioele Magaldi nella denuncia degli abusi sempre più devastanti che costellano la deriva autoritaria della leadership globale. Qualcuno, lassù, ha cominciato a sfilarsi. E il massimo potere si è spaventato a morte, al punto da pianificare stragi, affidate alla manovalanza dell’Isis.
-
Non credete a quelle bombe: sanno quando esploderanno
«Se sentite parlare di un’esercitazione antiterrorismo, fate come dice Crozza: portate via i coglioni, e alla svelta!». Parola di Massimo Mazzucco. «Attenzione: i terroristi esistono, le bombe esplodono davvero e le vittime muoiono. Il problema è chi li crea, i terroristi, chi li manipola: capire quello che c’è dietro. Abbiamo un problema, sì. Ed è l’informazione, che da molti anni non fa più il suo dovere». Non vede, non sente, non parla. Soprattutto, non ricorda. Finge di non accorgersi che il copione è sempre lo stesso: esercitazione “antiterrorismo” e attentato concomitante, guardacaso, proprio lì, a quell’ora. A seguire: cattura immediata del “patsy”, il colpevole di comodo, regolarmente incastrato a tempo di record e col medesimo sistema: l’ingenuo aveva portato con sé il passaporto e, combinazione, l’aveva dimenticato proprio sul luogo dell’attentato. Succede da decenni, dice Mazzucco, e nessuno ci fa caso. Teoria e pratica del “terrorismo fatto in casa”, da Jfk in poi, fino alle Torri Gemelle, agli attentati di Londra e a quelli di Parigi. Succede sempre. E nessuno lo denuncia, perché «è più comodo, per la carriera di tutti».Strategia della tensione, istruzioni per l’uso: Mazzucco, giornalista e regista di importanti documentari sull’11 Settembre (“Inganno globale”, “La nuova Pearl Harbor”) fornisce una sintesi sconcertante, in una recente conferenza in Friuli ripresa sul blog “Luogo Comune”. Tema: le modalità sistematiche con cui si ripetono i più recenti attentati, destinati – sempre – a impressionare profondamente il pubblico, diffondendo un senso generale di paura e insicurezza. «Pazienza se il pubblico non si accorge di essere preso in giro: il guaio è che sono i giornalisti a far finta di niente, come se non si accorgessero della ripetitività della trama», a partire dai primi due aspetti che saltano immediatamente all’occhio, l’esercitazione concomitante e la comparsa del “patsy”. Primo: «Quando c’è un attentato, c’è sempre la presenza contemporanea di esercitazioni di forze speciali che fanno esattamente, per finta, quello che poi succede davvero». Secondo: in brevissimo tempo, anche solo poche ore, viene individuato il “colpevole presunto”, perfetto per distrarre i media dalla scena del crimine: da quel momento, giornali e televisioni si occuperanno solo della biografia dell’arrestato, tralasciando di analizzare la dinamica reale degli eventi.Fa scuola, naturalmente, l’11 Settembre, con una decina di esercitazioni dell’aviazione programmate quella mattina, nonostante i ripetuti allarmi ricevuti dai servizi segreti di mezzo mondo, che da mesi parlavano di possibili attentati negli Usa, per giunta proprio con aerei di linea dirottati. Sicché, alcune di quelle esercitazioni prevedevano esattamente l’intervento dei caccia contro voli dirottati – ma nei cieli del Canada e dell’Alaska: a difendere il quadrante nord-est degli Stati Uniti, quello di New York e Washington, c’erano solo 4 intercettori. Troppo pochi, per districarsi nel caos che faceva impazzire i radar: «C’era in volo almeno il triplo dei velivoli, e gli addetti alla sicurezza non sapevano quali fossero quelli dirottati e quali no». Oltre ad allontanare i caccia e a creare confusione, secondo il giornalista investigativo Webster Tarpley le esercitazioni aeree programmate proprio quel giorno servivano anche a controllare dall’interno i computer della sicurezza, depistando le operazioni, grazie all’accesso diretto ai monitor della difesa, dietro a cui stavano ignare sentinelle. In più, quella mattina – stranamente – il grado di allerta era stato declassato a “normale”, il livello più basso. «Coincidenze o barzellette».Poi ci sono gli attentati a terra, i più diffusi. «Immancabile, la simultanea esercitazione antiterrorismo». Comodissima, peraltro: «Intanto perché qualcuno deve piazzarla, la bomba: se per caso viene colto in flagrante, può sempre dire che fa parte dell’esercitazione. Poi la bomba scoppia davvero, e un minuto dopo si sprecano le dichiarazioni di stupore: che combinazione, dicono tutti, è successo proprio mentre eravamo lì. E infine, proprio perché erano già lì – forze di sicurezza, soccorritori, ambulanze – si fa anche bella figura, soccorsi immediati e rapidissima cattura del “colpevole”». Sempre secondo Mazzucco, un caso da manuale è quello dei devastanti attentati dinamitardi di Londra, 7 luglio 2005: colpiti tre convogli della metropolitana e un autobus, 56 morti e 700 feriti. «In tutte e quattro le situazioni erano in corso esercitazioni anti-bomba. Dai responsabili della sicurezza, ovviamente “meravigliati” per la straordinaria coincidenza, giunse anche un’excusatio non petita: dissero che i loro uomini erano presenti in quei luoghi non a caso, ma per proteggere la City finanziaria». E attenzione: «In quelle ore, a Edimburgo, era in corso il G8: quale prefetto autorizzerebbe mai una esercitazione antiterrorismo nello stesso giorno in cui nel tuo paese è in corso un G8? Impensabile».Stessa dinamica negli Usa dieci anni prima, il 19 aprile ‘95. Oklahoma City: camion-bomba contro un edificio federale, il Murrah Building. Secondo la versione ufficiale, il veicolo era stato imbottito con oltre 2.300 chili di fertilizzante. Una strage: 168 morti, tra cui 19 bambini, e 680 feriti. Il più sanguinoso attentato terroristico entro i confini degli Stati Uniti prima dell’11 Settembre. «Mai, fino ad allora, gli americani si erano sentiti così vulnerabili», annota Mazzucco. «Furono le prove generali, per testare l’opinione pubblica prima del super-attentato delle Twin Towers?». Quella volta niente arabi, ma un estremista di destra, Timothy McVeigh, veterano della guerra del Golfo, arrestato e poi giustiziato sei anni dopo con iniezione letale. E l’esercitazione concomitante? C’era, naturalmente: Alex Jones, titolare dell’importante sito web “Prison Planet”, spiega che a Oklahoma City, nello stesso momento, erano in corso esercitazioni anti-bomba della polizia federale. Un’altra straordinaria coincidenza.Idem alla maratona di Boston, 15 aprile 2013: «Proprio sulla linea del traguardo – ricorda Mazzucco – si stava svolgendo un’esercitazione con cani anti-bomba». Gli altoparlanti ripetono l’annuncio, per il pubblico in apprensione che osserva le squadre di sicurezza: «Non preoccupatevi, è solo un’esercitazione». Tre secondi dopo l’ultimo annuncio, scoppia la bomba: 3 morti e 264 feriti. Dagli Stati Uniti alla Francia: Parigi, 13 novembre 2015, la carneficina del teatro Bataclan, 137 morti e 368 feriti. «L’indomani – rileva Mazzucco – il capo della protezione civile va in televisione e dice: ma tu guarda, proprio ieri mattina stavamo facendo un’esercitazione negli stessi posti. Una fortuna, per l’efficienza dei soccorsi». Ultimo capitolo, la mattanza di San Bernardino, California, 2 dicembre 2015. Marito e moglie sparano su un centro per disabili: 14 morti e 13 feriti. «E cos’era in corso, proprio lì, un attimo prima dell’attentato? L’esercitazione “Active Shooter”», sottolinea Mazzucco. «Non solo ci prendono in giro, ma contano sul fatto che non abbiamo memoria, capacità di collegare i fatti. Noi pazienza, ma i giornalisti dovrebbero farlo per mestiere: invece tacciono, guardano da un’altra parte, altrimenti perdono il lavoro».E’ successo ad Andrew “Judge” Napolitano, conduttore di una famosa trasmissione a “Fox News”: licenziato, dopo aver denunciato il ruolo dell’Fbi nella formazione e nell’assistenza dei terroristi di Oklahoma City. Stranamente, dopo aver fatto quel servizio, è stato liquidato. Napolitano parlava anche di 17 casi apparentemente sventati dall’Fbi, dove – diceva – era stata la stessa Fbi a infiltrare aspiranti terroristi, convincendoli: «Hanno reclutato islamici, giovani incazzati, e li hanno covinti ad agire, spiegando loro che avrebbero potuto cambiare il mondo ammazzando degli americani, per poi presentarli come “arabi dalla mentalità anti-americana”». Altre volte, «l’Fbi ha usato intermediari con precedenti penali, disponibili a collaborare in cambio di sconti di pena». Tra le illustri vittime del mainstream anche un grande giornalista come Dan Rather, prestigioso reporter della “Cbs”: «E’ stato liquidato con una “polpetta avvelenata” (una notizia falsa, fornitagli appositamente), per bruciargli trent’anni di grande giornalismo. La sua colpa? Aveva rivelato e denunciato lo scandalo di Abu Ghraib, il lager iracheno dove si infliggevano le peggiori torture ai soldati di Saddam».Non se ne esce, dice Mazzucco, se la stragrande maggioranza dei giornalisti si ostina a “non vedere”. Eppure, nell’attentato del 1993 al Wto – un camion-bomba nel parcheggio sotterraneo della Torre 1 – fu la stessa Fbi ad ammettere di essere implicata: stava infiltrando aspiranti terroristi e aveva fornito loro l’esplosivo, tramite l’ex militare egiziano Emad Salem, il quale confermò che il tutto avvenne addirittura con la supervisione del procuratore distrettuale. «L’Fbi sapeva, poteva evitare l’attentato», conclusero le televisioni americane. Perché la situazione “sfuggì di mano”? Forse lo si può dedurre da quanto dichiarò, poco dopo, l’ex direttore dell’Fbi di New York, Jim Kallstrom: «Quella bomba ha fatto tremare il nostro concetto di sicurezza nazionale, la convinzione di essere invulnerabili al terrorismo. Le crepe nella fiducia non potranno essere riparate. E’ successo una volta: potrà succedere ancora? E’ quello che ci domandiamo». Stesso retroscena nelle indagini dopo l’attentato di Boston, per il quale furono incolpati i giovani fratelli Dzokhar e Tamerlan Tsarnaev, di origine cecena. In piena caccia all’uomo, la madre dichiarò: «Perché fingono di non sapere dove siano? Da più di tre anni l’Fbi vive qui a casa nostra e segue i miei ragazzi».Proprio la fulminea cattura del “patsy” è l’ultimo capitolo di quella che, per Mazzucco, è chiaramente una farsa: «Nell’infernale caos dell’11 Settembre, già nelle prime ore, l’unica notizia data per certa era la responsabilità di Bin Laden». E qual è il modo più semplice per arrivare subito al “colpevole”? «Ovvio: trovi il suo passaporto. E’ noto, infatti, che tutti quelli che vanno a fare attentati se lo portano dietro». Nell’apocalisse di fuoco, fumo e macerie di Ground Zero, gli unici reperti intatti erano quelli: «Passaporti solo bruciacchiati un po’ ai lati con l’accendino, ma con foto e nomi sempre ben visibili: nemmeno un documento annerito o strappato». Il primo, trovato il giorno dopo il crollo delle Torri, a quattro isolati: apparteneva ad Abdul Aziz Alomari, quello che insieme a Mohamed Atta avrebbe dirottato il primo aereo. E nella “Buca di Shanksville”, in Pennsylvania, niente rottami di aereo (solo un cratere con ferraglia fumante) e 2 passaporti intatti, una bandana rossa (indumento “appartenente a un dirottatore”, secondo le presunte telefonate dei passeggeri di uno degli aerei), più la carta d’identità di un terzo terrorista, più la ricevuta di una lavanderia, con tanto di nome e cognome del quarto presunto attentatore.Ancora più clamoroso il ritrovamento all’aeroporto di Boston, dove viene ritrovata una valigia “dimenticata” da due dei presunti dirottatori del volo per San Francisco. Contenuto: il Corano, tute dell’American Airlines, manuali di volo del Boeing 767 e, addirittura, la lista completa dei terroristi. Passaporti provvidenziali anche in tasca ai terroristi di Londra, quattro pakistani, inizialmente dichiarati “membri di Al-Qaeda” (notizia poi smentita, nel silenzio dei media). Fondamentali, i documenti, per collegarli alle immagini filmate dalle telecamere del metrò. «Niente passaporti, niente identificazione». Stessa situazione per Charlie Hebdo: «Indossavano passamontagna per non farsi riconoscere, salvo poi “dimenticare” un passaporto in bella vista sul cruscotto dell’auto». Il caso più tragicomico? Quello di Oklahoma City, dove «la famosa “bomba al letame” avrebbe tirato quasi giù un intero edificio in cemento armato». E come venne arrestato, Timonthy McVeigh? Mezz’ora dopo l’esplosione, viene fermato alla guida di un’auto senza targa, lanciata al doppio della velocità consentita. Poi il poliziotto nota che ha la maglietta “macchiata di letame”, quindi si insospettisce, e nel baule scova – indovinate – un manuale per fabbricare le bombe col letame.Il copione non cambia, dice Mazzucco, e il primo della storia fu Lee Harvey Oswald, presentato al mondo come l’assassino di John Fitzgerald Kennedy. «Non sono stato io», protestò, «io sono soltanto un “patsy”», cioè il diversivo perfetto per allontanare l’attenzione dalla dinamica del crimine, con tutte le sue incredibili incongruenze. Il caso è noto. Dopo la morte di Jfk, l’abitato di Dallas viene passato al setaccio. Ma Oswald, anziché sparire, prende con sé una pistola e se ne va in giro, armato, per la città. Lo ferma un poliziotto, l’agente Tippit, che gli chiede i documenti. Oswald estrae l’arma e gli spara. Poi si rifugia in un cinema, dove però si fa notare, perché entra senza pagare. Al che, la cassiera chiama la polizia, che lo arresta. Ma come lo collega a Tippit? Elementare: mentre estraeva la pistola gli è cascato il portafoglio, con dentro la patente. L’hanno trovato a terra, accanto al corpo dell’agente colpito. «Quindi – riassume Mazzucco – Oswald era andato ad ammazzare Kennedy pensando bene, anche lui, di portare con sé il documento di identità». Che altro aggiungere? «Siamo di fronte a una manipolazione totale. Ed è impossibile credere che i giornalisti non se ne rendano conto».«Se sentite parlare di un’esercitazione antiterrorismo, fate come dice Crozza: portate via i coglioni, e alla svelta!». Parola di Massimo Mazzucco. «Attenzione: i terroristi esistono, le bombe esplodono davvero e le vittime muoiono. Il problema è chi li crea, i terroristi, chi li manipola: capire quello che c’è dietro. Abbiamo un problema, sì. Ed è l’informazione, che da molti anni non fa più il suo dovere». Non vede, non sente, non parla. Soprattutto, non ricorda. Finge di non accorgersi che il copione è sempre lo stesso: esercitazione “antiterrorismo” e attentato concomitante, guardacaso, proprio lì, a quell’ora. A seguire: cattura immediata del “patsy”, il colpevole di comodo, regolarmente incastrato a tempo di record e col medesimo sistema: l’ingenuo aveva portato con sé il passaporto e, combinazione, l’aveva dimenticato proprio sul luogo dell’attentato. Succede da decenni, dice Mazzucco, e nessuno ci fa caso. Teoria e pratica del “terrorismo fatto in casa”, da Jfk in poi, fino alle Torri Gemelle, agli attentati di Londra e a quelli di Parigi. Succede sempre. E nessuno lo denuncia, perché «è più comodo, per la carriera di tutti».