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Trump rischia: fu l’unico a denunciare il falso 11 Settembre
Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:Signor presidente, i crimini dell’11 settembre 2001 non sono mai stati giudicati nel suo paese. Le scrivo da cittadino francese, il primo a denunciare le incongruenze della versione ufficiale e ad aprire il mondo al dibattito e alla ricerca dei veri esecutori. In un tribunale penale, in quanto giuria, dobbiamo determinare se il sospetto portatoci sia colpevole o meno, e, alla fine, decidere quale punizione dovrebbe ricevere. Quando abbiamo assistito agli eventi dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush Junior ci ha detto che il colpevole era Al-Qaïda, e la punizione che avrebbe dovuto ricevere era il rovesciamento di coloro che l’avevano aiutata: prima i Talebani afghani, poi il regime iracheno di Saddam Hussein. C’è tuttavia una serie di prove che attesta l’impossibilità di questa tesi. Se fossimo membri di una giuria, dovremmo oggettivamente dichiarare che i Talebani e il regime di Saddam non sono colpevoli di questo crimine. Questo da solo, naturalmente, non ci consentirebbe di indicare i veri colpevoli. Non potremmo però concepire di condannare parti innocenti sol perché non abbiamo saputo come trovare i colpevoli.Quando il segretario di Stato per la giustizia e il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, rivelarono i nomi dei 19 presunti dirottatori, capimmo tutti che stavano mentendo. Avevamo già di fronte a noi, infatti, le liste divulgate dalle compagnie aeree di tutti i passeggeri imbarcati – liste su cui nessuno dei sospettati era presente. Da lì, siamo diventati sospettosi della “Continuità del Governo”, l’istanza incaricata di subentrare alle autorità elette dovessero queste venire uccise durante uno scontro nucleare. Abbiamo avanzato l’ipotesi che questi attacchi mascherassero un colpo di Stato, in conformità col metodo Luttwak: mantenere l’apparenza dell’esecutivo, ma imponendo una politica diversa. Nei giorni successivi all’11 Settembre, l’amministrazione Bush prese diverse decisioni: la creazione dell’Ufficio di Sicurezza Nazionale e il voto per un voluminoso codice antiterrorismo elaborato molto tempo prima, il Patriot Act. Per questioni che l’amministrazione stessa definisce “terroristiche”, questo testo sospende la Carta dei Diritti, che era il vanto del vostro paese. Sbilancia le vostre istituzioni. Due secoli più tardi, sancisce il trionfo dei grandi proprietari terrieri, che scrissero la Costituzione, e la sconfitta degli eroi della Guerra d’Indipendenza, che chiedevano che venisse aggiunta la Carta dei Diritti.Il segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Office of Force Transformation, sotto il comando dell’ammiraglio Arthur Cebrowski. Quest’ultimo presentò immediatamente un programma, anch’esso pronto da tempo, che prevedeva il controllo dell’accesso alle risorse naturali dei paesi del sud geopolitico. Chiedeva la distruzione dello Stato e delle strutture sociali nella metà del mondo che non era ancora globalizzata. Il direttore della Cia lanciò contemporaneamente la “Worldwide Attack Matrix”, un pacchetto di operazioni segrete in 85 paesi, dei quali Rumsfeld e Cebrowski intendevano distruggere le strutture statali. Considerando che solo i paesi le cui economie erano globalizzate sarebbero rimasti stabili e che gli altri sarebbero stati distrutti, gli uomini dell’11 Settembre hanno dispiegato le forze armate statunitensi al servizio degli interessi finanziari transnazionali. Hanno tradito il suo paese e l’hanno trasformato nell’ala armata di questi predatori. Negli ultimi 17 anni, abbiamo assistito alle bugie che vengono date ai suoi compatrioti dai successori di coloro che redassero la Costituzione e che al tempo si opposero – senza successo – alla Carta dei Diritti. Questi ricchi sono diventati super-ricchi, mentre la classe media è stata ridotta di un quinto e la povertà è aumentata. Abbiamo anche assistito all’attuazione della strategia Rumsfeld-Cebrowski: quasi tutto il Grande Medio Oriente è stato devastato da “guerre civili”. Intere città sono state cancellate dalla mappa, dall’Afghanistan alla Libia, tramite Arabia Saudita e Turchia, che non erano esse stesse in guerra.Nel 2001, solo due cittadini statunitensi hanno denunciato l’incoerenza della versione di Bush, due promotori immobiliari – il democratico Jimmy Walter, poi costretto all’esilio, e lei stesso, poi entrato in politica ed eletto presidente. Nel 2011, abbiamo visto il comandante di AfriCom sollevato dalla propria posizione e sostituito dalla Nato, per essersi rifiutato di sostenere Al-Qaïda nella liquidazione della Libia. Abbiamo poi visto il LandCom della Nato organizzare il sostegno occidentale ai jihadisti in generale, e ad al-Qaïda in particolare, nel loro tentativo di rovesciare la Siria. I jihadisti, considerati “combattenti della libertà” contro i sovietici, poi come “terroristi” dopo l’11 Settembre, ancora una volta sono quindi diventati alleati del Deep State (cosa che, in realtà, sono sempre stati). Con immensa speranza, abbiamo quindi osservato le sue azioni per sopprimere, uno ad uno, tutti i loro sostenitori. È con la stessa speranza che vediamo oggi che sta parlando con la sua controparte russa per riportare vita nel devastato Medio Oriente. È però anche con analoga ansia che vediamo Robert Mueller, ora procuratore speciale, inseguire la distruzione della sua patria attaccando la sua posizione. Signor presidente, non solo lei ed i suoi connazionali soffrite della diarchia che è salita al potere dal colpo di Stato dell’11/9, ma il mondo intero ne è vittima. Signor presidente, l’11 Settembre non è storia antica. È il trionfo di quegli interessi transnazionali che stanno schiacciando non solo il suo popolo, ma tutta l’umanità che aspira alla libertà.(Thierry Meyssan, “Lettera a aperta a Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre”, pubblicata da “Voltaire Net” il 30 agosto 2018 e quindi tradotta da Hmg per “Come Come Chisciotte”).Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:
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Blair e Bannon: massoni reazionari da Salvini, ora indagato
Come leggere l’adesione di Salvini a “The Movement”, il movimento fondato da Steve Bannon? E’ conseguente all’incontro che Salvini ha avuto con Blair. Il capo di quella cosca massonica è Tony Blair – il referente europeo – e quindi Salvini ha aderito all’iniziativa di Bannon. Blair è il referente europeo di una delle più grosse Ur-Lodges. E’ interessato a Salvini perché questi sistemi sono sempre interessati a chi governa: Salvini in questo momento è al governo, e quindi Blair ha pensato di averlo come referente politico. Salvini è consapevole di cosa rappresenti, Blair? Be’, se ha letto un po’ di cose in giro, sì. Bannon viene associato al mondo della destra, mentre Blair ce lo ricordiamo sulla sponda opposta? Ma sono pessimi ricordi, perché Blair è colui che ha rovinato il socialismo europeo, scientemente. E’ un falso socialista, come ce ne sono tanti. L’iniziativa di Blair e Bannon è un modo per cooptare Salvini? “Cooptarlo” probabilmente no, ma averlo – finché è al governo – come referente politico, sì: è lo stesso motivo per cui gli americani hanno puntato su Di Maio. Michael Ledeen aveva puntato su Di Maio, mentre Steve Bannon e Tony Blair hanno puntato su Salvini. Non sono gruppi in competizione tra loro: sono aspetti, diversi, della massoneria reazionaria.Il problema è quello c’è dietro la massoneria reazionaria: è una falsa massoneria, che rappresenta interessi economici e politici rispetto a un certo tipo di disegno mondialista. Da qui il sospetto che gli intenti di cambiamento, di questo governo, di fatto non sarebbero attendibili? Non lo so, bisogna vedere se lo saranno ancora: se si accorgono di questo pericolo, se litigano – è difficile dirlo. Questo governo è partito con delle buone intenzioni. Poi, se queste buone intenzioni siano sincere o no, lo vedremo solo in futuro. Per intanto, un certo tipo di potere reazionario li sta corteggiando. Come reagiranno, i gialloverdi, a questo corteggiamento? Be’, sapete, le cose umane sono sempre in divenire, sono mobili. Salvini, sicuramente, non è un “cavallo” gestibile. Anche Trump pensavano di poterlo gestire, e poi non ci sono riusciti, o comunque non ci sono riusciti totalmente. Nel frattempo, certo, su Salvini incombono l’indagine sulla nave Diciotti e la conferma del sequestro dei fondi della Lega: tentativi di “accerchiare” il ministro dell’interno? Di solito, quando c’è un “accerchiamento” giudiziario, è perché – a monte – c’è una convergenza di interessi, di poteri, e quindi la magistratura diventa uno strumento di questo.Guardiamo le inchieste su Salvini: quella relativa alla Diciotti è una buffonata, dove i magistrati che l’hanno promossa fanno la figura dei buffoni. Mi riferisco soprattutto al magistrato di Agrigento, perché quello di Palermo, in realtà, ha fatto solo un atto formale: ha ricevuto le carte e ha mandato l’avviso di garanzia a Salvini, quindi ancora non possiamo giudicarlo. E’ comunque un’inchiesta per la quale a delle persone si impedisce di entrare nel nostro paese (ma non gli si impedisce di tornare nel loro). Se queste persone avessero detto “vogliamo tornare a casa”, la nave della Guardia Costiera le avrebbe riportate dov’erano partite. Quindi dov’è il sequestro di persona, tecnicamente? Altra cosa è il processo per i famosi 49 milioni, dove c’è ampia contestazione sulla cifra, perché i 49 milioni in realtà sarebbero la somma dei contributi che la Lega avrebbe incassato. Soldi di cui la magistratura ha ordinato la restituzione, dopo una sentenza di primo grado. Però non esiste la prova che quei milioni siano stati tutti utilizzati nella maniera che giustificherebbe la restituzione – prova anche difficile da fornire, ma che avrebbe dovuto essere inoppugnabile, prima di addivenire a un provvedimento cautelare come il sequestro esecutivo di primo grado.I leghisti in realtà dicono che i fondi male utilizzati sono 550.000 euro. Come vedete, la differenza fra 49 milioni e 550.000 euro è oceanica. Un sequestro così, fatto in questo modo, praticamente annulla qualunque possibilità di sopravvivenza politica della Lega, che è pur sempre un partito che ha preso dei voti e ha espresso dei rappresentati del popolo. Quindi, entrambe le inchieste hanno dei lati discutibili, quantomeno. L’inchiesta sulla Diciotti è un atto proditorio, ma bisognerà vedere cosa faranno la magistratura di Palermo e poi il Tribunale dei Ministri. Viene anche rimproverato a Salvini di aver reagito da ministro: ma lui è stato indagato proprio perché ministro. Gli atti per i quali è indagato li ha fatti da ministro, quindi ne risponde da ministro. Perché dovrebbe risponderne da persona fisica? Ovvero: Salvini risponde, sul versante della comunicazione, nella sua veste di ministro. Poi, se si accerterà che questi atti sono reato (cosa che mi sembra quasi impossibile), vedremo, perché la responsabilità penale è comunque personale. Ma, in questo momento, Salvini risponde per la sua responsabilità di ministro.Nel non far sbarcare migranti a bordo di una nave della Guardia Costiera (quindi italiana, e in un porto italiano) Salvini non ha fatto un’azione politicamente corretta. Non è un reato, ma non la approvo. Però considero questa reazione di Salvini non isolandola dal contesto, ma tenendo conto proprio del contesto, cioè di tutte le malefatte dei governi precedenti. Con la scusa dell’accoglienza, In Italia è sbarcato chiunque: navi che non si sapeva neanche che bandiera battessero. Salvini s’è impuntato nell’occasione sbagliata, diciamo, perché quella era una nave italiana, della Guardia Costiera. Ma in realtà è la pressione precedente, che è stata determinate per una reazione che possiamo definire politicamente sbagliata. Il problema è che, se porti le cose all’esasperazione, poi qualcuno fa a sua volta un gesto esasperato – e tutti a dire: che gesto esagerato! Già, ma cos’era avvenuto, prima? Io credo che sia sbagliata, la normativa europea che imporrebbe di accertare il diritto di asilo dei migranti una volta sbarcati. Io credo che il diritto d’asilo andrebbe accertato prima di far sbarcare le persone, non dopo.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta” del 9 settembre 2018, su YouTube. Avvocato e massone, simbologo e scrittore, Carpeoro è autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che ricostruisce la matrice massonica degli attentati “false flag” targati Isis, condotti in Europa negli anni scorsi e riconducibili a servizi segreti atlantici. Lo stesso Carpeoro è esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” presenta l’ex premier laburista britannico Tony Blair come affiliato alla potente Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, insieme ai Bush, al francese Sarkozy, al turco Erdogan. La “Hathor”, definita “loggia del sangue e della vendetta”, sarebbe all’origine del devastante attentato dell’11 Settembre alle Torri Gemelle, nonché della “fabbricazione” del sedicente Isis. Alla “Hathor”, sostiene Magaldi, sono stati affiliati sia Osama Bin Laden che Abu-Bakr Al-Baghdadi, presunto leader del cosiddetto Stato Islamico. Sempre alla superloggia “Hathor Pentalpha” è attribuita la decisione di imprimere una svolta violenta alla globalizzazione neoliberista e privatizzatrice, utilizzando nel modo più spregiudicato la guerra e l’auto-terrorismo, per innescare una sorta di strategia della tensione internazionale).Come leggere l’adesione di Salvini a “The Movement”, il movimento fondato da Steve Bannon? E’ conseguente all’incontro che Salvini ha avuto con Blair. Il capo di quella cosca massonica è Tony Blair – il referente europeo – e quindi Salvini ha aderito all’iniziativa di Bannon. Blair è il referente europeo di una delle più grosse Ur-Lodges. E’ interessato a Salvini perché questi sistemi sono sempre interessati a chi governa: Salvini in questo momento è al governo, e quindi Blair ha pensato di averlo come referente politico. Salvini è consapevole di cosa rappresenti, Blair? Be’, se ha letto un po’ di cose in giro, sì. Bannon viene associato al mondo della destra, mentre Blair ce lo ricordiamo sulla sponda opposta? Ma sono pessimi ricordi, perché Blair è colui che ha rovinato il socialismo europeo, scientemente. E’ un falso socialista, come ce ne sono tanti. L’iniziativa di Blair e Bannon è un modo per cooptare Salvini? “Cooptarlo” probabilmente no, ma averlo – finché è al governo – come referente politico, sì: è lo stesso motivo per cui gli americani hanno puntato su Di Maio. Michael Ledeen aveva puntato su Di Maio, mentre Steve Bannon e Tony Blair hanno puntato su Salvini. Non sono gruppi in competizione tra loro: sono aspetti, diversi, della massoneria reazionaria.
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Cremaschi: ma che ci fa Salvini con quel criminale di Blair?
Che ci fa Matteo Salvini a braccetto con Tony Blair, tristissimo esponente della post-sinistra di regime che ha terremotato il pianeta a colpi di privatizzazioni selvagge e guerre devastanti, innescate da “fake news” come le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam? Se lo domanda Giorgio Cremaschi, già leader sindacale nella Fiom e ora esponente di “Potere al Popolo”. «Se il sistema mediatico non fosse quello che è – scrive Cremaschi su “Contropiano” – l’incontro tra Tony Blair e Matteo Salvini sarebbe stato la notizia di apertura su cui discutere e far discutere per giorni. Siccome invece il sistema mediatico deve rispondere agli interessi dei suoi padroni, allora la notizia è stata quasi censurata». Ma come, scrive Cremaschi: il leader della “destra populista”, che ha fatto le sue fortune urlando che la sinistra è contro il popolo e sta coi ricchi, incontra il più importante esponente della sinistra dei ricchi? Non solo: si fa la foto sorridente con lui e, in un post, esprime compiacimento e riconoscimento del comune pragmatismo? Tutto questo non meriterebbe titoli da prima pagina ben più che gli scontati incontri con Orban? «No, se chi guida i mass media ha da un lato interesse a che l’incontro si sia svolto, ma dall’altro che esso non offuschi l’immagine con la quale Salvini ha scalato il potere».L’ex premier britannico Tony Blair non è solo il principale esponente di quella “terza via”, seguendo la quale la sinistra occidentale e italiana «si è suicidata, sull’altare della sudditanza al mercato e al profitto». Oggi l’ex finto-laburista Blair «è un agente, “molto concreto” come ha scritto Salvini, lautamente retribuito da quel sistema finanziario multinazionale che si ostina a voler comandare il mondo, anche se per fortuna con crescenti difficoltà». Peggio ancora: nel saggio “Massoni”, uscito nel 2014, Gioele Magaldi scrive che Blair non è soltanto una pedina dell’élite neoliberale globalista, è anche un supermassone affiliato alla temibile “Hathor Pentalpha”, superloggia creata dai Bush per accelerare in modo violento la globalizzazione del pianeta, ricorrendo anche al terrorismo “false flag” come quello all’origine dell’11 Settembre, basato su manovalanza “islamista” (Al-Qaeda) ma direttamente controllato dal “fratello” Osama Bin Laden, affiliato alla “Hathor” come poi lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi, il brutale leader del sedicente Isis. Sono potentissimi, gli “amici” di Blair, che – proprio per questo – continua indisturbato ad aggirarsi, da padrone, nel mondo che ha contribuito a distruggere.Strano, che lo stesso Blair ora incontri quel “governo gialloverde” di cui i poteri forti europei sembrano avere così paura? Il potere pensa ancora che questo governo durerà poco, diceva qualche settimana fa Gianfranco Carpeoro, saggista ed esponente del Movimento Roosevelt: l’élite non ha ancora fatto nessun serio tentativo per “incorporarlo” nei suoi piani. In compenso, sono arrivate grandi bordate essenzialmente contro Salvini: la superloggia “Three Eyes” si è mossa con successo, sempre secondo Carpeoro, per bloccare la nomina di Marcello Foa a presidente della Rai: il candidato salviniano è stato bocciato da Berlusconi, costretto a rimangiarsi la parola data a Salvini, dopo le sollecitazioni di Antonio Tajani, a sua volta contattato – su consiglio di Giorgio Napolitano – da Jacques Attali, supermassone oligarchico che si considera il “padrino” di Macron, il presidente francese giunto a far definire “vomitevole” la politica di Salvini sui migranti. Come se non bastasse, ad appesantire la situazione ha provveduto la magistratura italiana: Salvini è indagato per sequestro di persona (30 anni di carcere) dopo la vicenda della nave Diciotti. E soprattutto: la Lega è stata condannata, anche senza una sentenza definitiva, a rifondere lo Stato di qualcosa come 49 milioni di euro, che i magistrati ritengono esser stati indebitamente sottratti durante la gestione Bossi.Nonostante ciò, Cremaschi diffida di Salvini: Blair, scrive, lo ha incontrato «prima di tutto in quanto lobbista delle multinazionali che sostengono il Tap, il gasdotto che devasterebbe la Puglia e altre parti del nostro paese». Quella grande opera, aggiunge Cremaschi su “Contropiano”, è stata voluta dal Pd è vero, però «ha il totale consenso della Lega». E i due partiti, Pd e Lega, «sulle questioni economico-sociali sono molto più vicini di quanto facciano credere», sostiene sempre Cremaschi, secondo cui Salvini non avrà avuto difficoltà a ribadire «nell’incontro con il suo nuovo amico britannico» che il famigerato Tap si farà, «alla faccia dei poveri Cinquestelle che in campagna elettorale si erano impegnati contro di esso». E naturalmente, secondo Cremaschi, «da quel consenso sugli affari ne saranno seguiti altri sulla politica e su tutto il resto», visto che «quel mondo funziona così», come dimostra la storia dello stesso Blair. Anni fa, l’ex premier inglese aveva incontrato e “benedetto” Matteo Renzi, ancor prima che arrivasse a Palazzo Chigi. All’epoca, continua Cremaschi, Blair operava soprattutto come consigliere politico della Jp Morgan, cioè «proprio quella banca che nel 2013 produsse quel documento contro le Costituzioni antifasciste europee, che i malevoli dicono abbia ispirato la controriforma costituzionale di Renzi».Da tempo, aggiunge Cremaschi, Tony Blair «lavora come cacciatore di teste politiche per conto dei poteri forti: e questo ruolo non solo gli dà potere e ricchezza, ma lo protegge anche dalla responsabilità di esser stato un criminale di guerra». Come capo del governo britannico, infatti, è stato complice di tutte le più sporche guerre che Usa e Nato hanno scatenato, all’alba del nuovo millennio, dopo il fatale 11 Settembre e la redazione del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano disegnato dai bellicosi “neocon”. «I milioni di profughi e disperati che soffrono e muoiono sulle coste del Mediterraneo – scrive Cremaschi – devono la loro sciagura anche a Tony Blair». Per le sue guerre e per le menzogne con cui le ha giustificate, l’ex premier britannico «oggi rischia di essere processato in patria e all’estero». Ragiona Cremaschi: «Un incontro tra un criminale lobbista delle multinazionali e un ministro non avviene mai per caso». Viene prima preparato con cura dai rispettivi “sherpa”, e viene realizzato «solo quando entrambi gli interlocutori sono sicuri che l’incontro possa servire a entrambi». E dunque: «Quali sono allora gli interessi comuni di Blair e Salvini?». Per capirlo, sostiene Cremaschi, basta dare uno sguardo alla grande stampa italiana.Da diverse settimane, sul “Corriere della Sera”, gli editoriali si rivolgono direttamente al ministro degli interni: «Nella sostanza, gli chiedono di mettere fine alle doppiezze del governo, in particolare su vincoli europei, grandi opere e privatizzazioni». L’incontro con Blair, conclude Cremaschi, può essere una risposta: «Quale migliore garanzia di continuare con grandi opere e privatizzazioni, che un incontro con il più importante rappresentante politico di esse in Europa? E sui vincoli dell’austerità Ue il leader della Lega, ex “no euro”, è stato diretto ed esplicito: li rispetteremo, ha detto, e lo spread ha subito applaudito». D’altra parte, aggiunge l’esponente di “Potere al Popolo”, in questi mesi il consenso del ministro degli interni non è cresciuto «per pronunciamenti contro banche, finanza, multinazionali», che semmai – con la Flat Tax – vederebbero incrementare il loro vantaggio fiscale. «Il consenso a Salvini è cresciuto non perché abbia aggredito i poteri forti dei ricchi – scrive Cremaschi – ma perché si è mostrato spietato con i più deboli dei poveri senza potere».Come nel passato, osserva il marxista Cremaschi, la grande borghesia liberale «prima disprezza la barbarie dei movimenti di estrema destra, ma poi si accorda con essi quando scopre che tutti i suoi interessi ne verranno garantiti». I conservatori, che insieme ai socialdemocratici hanno sinora guidato l’Ue, secondo Cremaschi «si stanno accordando con le destre xenofobe per conservare il potere». Salvini? «Non é più contro la Ue, perché la Ue non è più contro di lui». Per Cremaschi, «la conservazione delle politiche economiche liberiste può ben accordarsi con politiche autoritarie e violente contro i migranti e contro ogni dissenso sociale». Mai stato indulgente, Cremaschi, con la Lega: «Chi oggi pensa di contrapporre la Ue a Salvini è un illuso o un imbecille – scrive – e dovrebbe passare delle giornate a guardare la foto del leader leghista e di Blair sorridenti e soddisfatti». Conclusione: «Mentre la magistratura sequestra i fondi della vecchia Lega di Bossi, i poteri forti hanno scelto quella nuova di Salvini, che ha promesso loro che continuerà a fare ciò che ha sempre fatto: essere forte coi deboli e debole coi forti». Secondo Cremaschi «c’è solo da sperare che la benedizione di Blair, che poi ha portato Renzi alla rovina, alla fine abbia gli stessi effetti sul ministro degli interni». Nel frattempo, il Pd renziano si gode lo spettacolo dalla finestra: è stato infatti il centrosinistra (non Salvini) a terremotare il paese, al punto da spingerlo a votare in massa per la Lega e i 5 Stelle.Che ci fa Matteo Salvini a braccetto con Tony Blair, tristissimo esponente della post-sinistra di regime che ha terremotato il pianeta a colpi di privatizzazioni selvagge e guerre devastanti, innescate da “fake news” come le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam? Se lo domanda Giorgio Cremaschi, già leader sindacale nella Fiom e ora esponente di “Potere al Popolo”. «Se il sistema mediatico non fosse quello che è – scrive Cremaschi su “Contropiano” – l’incontro tra Tony Blair e Matteo Salvini sarebbe stato la notizia di apertura su cui discutere e far discutere per giorni. Siccome invece il sistema mediatico deve rispondere agli interessi dei suoi padroni, allora la notizia è stata quasi censurata». Ma come, scrive Cremaschi: il leader della “destra populista”, che ha fatto le sue fortune urlando che la sinistra è contro il popolo e sta coi ricchi, incontra il più importante esponente della sinistra dei ricchi? Non solo: si fa la foto sorridente con lui e, in un post, esprime compiacimento e riconoscimento del comune pragmatismo? Tutto questo non meriterebbe titoli da prima pagina ben più che gli scontati incontri con Orban? «No, se chi guida i mass media ha da un lato interesse a che l’incontro si sia svolto, ma dall’altro che esso non offuschi l’immagine con la quale Salvini ha scalato il potere».
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Salvini assediato, ha tutti contro: perfetto, così stravincerà
Chissà quanti popcorn si sta mangiando, Matteo Salvini, al pensiero che altrove stiano sbocciando champagne per festeggiare la sentenza del tribunale del riesame, quella per cui la Lega dovrà restituire i 49 milioni di rimborsi elettorali fittizi risalenti alla gestione Bossi-Belsito. Perché basterebbe scorrere le cronache a ritroso per capire come è dal 2013 che la Lega e Salvini si stanno preparando a questo momento. E che la strategia politica stessa del partito di Via Bellerio è figlia di questa consapevolezza: allargare la base del consenso e proiettarsi su scala nazionale per dar vita, qualora le condizioni lo richiederanno, a un nuovo movimento autonomo rispetto al passato leghista. Attenzione: non stiamo dicendo che la svolta sovranista della Lega sia esclusivamente figlia della necessità di salvare il partito dallo tsunami giudiziario. Stiamo dicendo che la strategia del leader della Lega è stata contemporaneamente di attacco a uno spazio politico da riempire, e di difesa della sopravvivenza del partito stesso e della sua sostenibilità finanziaria.A Salvini va riconosciuto di aver intuito che ci fosse una domanda di nazionalismo inevasa, che in Italia e in Europa, mentre Renzi veleggiava al 40% e Tsipras e Podemos sembravano le uniche alternative possibili, stesse iniziando a soffiare vento da destra, e dall’Est, che negli Stati Uniti di Obama e nel Regno Unito saldamente tra le mani di David Cameron vi fosse aria di rivoluzione. Nessuno ci credeva, lui sì. Un po’ per virtù, un po’ per necessità. Un po’ perché aveva capito che i voti di Berlusconi in Meridione erano in libera uscita, un po’ perché allargare la propria base elettorale al di fuori del perimetro settentrionale – con tanti saluti alla Padania e al Sole delle Alpi – gli avrebbe consentito di tentare il colpo gobbo: il sorpasso ai danni di Forza Italia e la presa di tutto il centrodestra, nel giorno del tramonto definitivo della stella di Re Silvio, attraverso la creazione di un soggetto politico nuovo. È stato un lavoro lungo e faticoso che Salvini ha intrapreso con una costanza e una tenacia da applausi. Un giorno andava a prendersi sputi e insulti a Napoli, il giorno dopo era ai cancelli dell’Ilva di Taranto, quello dopo ancora in giro sui treni regionali per la campagna elettorale in Sicilia.Nel frattempo, gli antichi feticci della Lega Nord che fu cadevano come petali di un fiore. Prima il simbolo della Padania, poi il colore verde, sostituito dal blu, quindi gli slogan, da “Prima il Nord” a “Prima gli italiani”, lui che nemmeno tifava la nazionale di calcio. Infine il nome stesso del partito, Lega, senza più alcun riferimento al settentrione. Se la strategia ha avuto successo, è perché tutti gli altri gli hanno concesso spazio e libertà per portarla avanti. Né Forza Italia, né il Movimento Cinque Stelle, né il Partito Democratico, ognuno con le proprie responsabilità, sono riusciti a togliere alla Lega e a Salvini mezzo elettore lombardo o veneto, nonostante federalismo e autonomia – al netto della burla dei referendum – siano state messe in soffitta, nonostante gli scandali bancari, nonostante i guai giudiziari. E nessuno, nel contempo, è riuscito a contrapporsi a Salvini nel centrosud, dove oggi, stando ai sondaggi, veleggia attorno al 20%, cinque punti sopra al Partito Democratico, quasi quindici più di Berlusconi.Contemporaneamente, il leader leghista le ha provate tutte per mettere al sicuro i soldi del partito. Ci ha provato col nuovo movimento “Noi con Salvini”, senza successo. E, ancora, con la mossa a sorpresa di Roberto Calderoli, che sul finire della scorsa legislatura è uscito dal gruppo della Lega Nord per fondare quello della Lega e basta. Nessuna scissione: solo la dimostrazione che quello che oggi governa è un nuovo soggetto politico, del tutto indipendente da quello che si era intascato illegalmente i rimborsi elettorali. Se oggi la Lega fosse identica a cinque anni fa sarebbe praticamente spacciata. Oggi, senza Nord, senza Padania, senza felpe e bandane verdi, non lo è. Non sappiamo cosa succederà domani. Se effettivamente la nuova Lega (senza Nord) dovrà sborsare 49 milioni sino all’ultimo centesimo, o se sarà necessario un’ulteriore allontanamento dalle radici della vecchia Lega (col Nord) attraverso la nascita di un nuovo soggetto politico unitario di centrodestra, del tutto alieno, almeno formalmente, alla vicenda giudiziaria che fu.Quel che sappiamo è che Salvini ci è arrivato nelle migliori condizioni possibili in cui ci poteva arrivare: al governo, da ministro dell’interno, con un consenso popolare stellare, con una linea politica completamente diversa da quella del Carroccio di cinque anni fa, con una marea di deputati e senatori di Forza Italia e Fratelli d’Italia che non vedono l’ora di saltare il fossato e di passare armi e bagagli sotto le insegne della Lega. E con la possibilità di guadagnarsi il centro della scena invocando un nuovo complotto, quello della magistratura ai suoi danni, e un nuovo nemico da abbattere. In altre parole, pronto a ogni evenienza. «Io non mollo e lavoro ancora più duro. Sorridente e incazzato», ha scritto sui suoi canali social. Avete capito, adesso, perché sorride?(Francesco Cancellato, “Se sperate che Salvini cada sui 49 milioni, state andando a sbattere contro a un muro”, da “Linkiesta” del 7 settembre 2018).Chissà quanti popcorn si sta mangiando, Matteo Salvini, al pensiero che altrove stiano sbocciando champagne per festeggiare la sentenza del tribunale del riesame, quella per cui la Lega dovrà restituire i 49 milioni di rimborsi elettorali fittizi risalenti alla gestione Bossi-Belsito. Perché basterebbe scorrere le cronache a ritroso per capire come è dal 2013 che la Lega e Salvini si stanno preparando a questo momento. E che la strategia politica stessa del partito di Via Bellerio è figlia di questa consapevolezza: allargare la base del consenso e proiettarsi su scala nazionale per dar vita, qualora le condizioni lo richiederanno, a un nuovo movimento autonomo rispetto al passato leghista. Attenzione: non stiamo dicendo che la svolta sovranista della Lega sia esclusivamente figlia della necessità di salvare il partito dallo tsunami giudiziario. Stiamo dicendo che la strategia del leader della Lega è stata contemporaneamente di attacco a uno spazio politico da riempire, e di difesa della sopravvivenza del partito stesso e della sua sostenibilità finanziaria.
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Ecco i nomi dei massoni golpisti che hanno creato la crisi
Puoi chiamarli neoliberisti. Monopolisti. Privatizzatori. C’è chi li ha definiti, anche, golpisti bianchi. Ma sono essenzialmente massoni. Attenzione: le obbedienze nazionali non c’entrano. Si tratta di supermassoni in quota alle Ur-Lodes, le oscure superlogge sovranazionali. Precisamente: quelle di segno neo-aristocratico, che detestano la democrazia e confiscano il potere dei cittadini, rimettendolo nelle mani di un’élite pre-moderna, pre-sindacale, ultra-padronale. E’ così che hanno costruito il nuovo medioevo in cui viviamo, il neo-feudalesimo regolato dall’Ue e dalla sua Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza e geopolitica, citando banche centrali e governi, si omette sempre di scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare l’attuale governance europea finto-democratica, dopo la clamorosa denuncia contenuta nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Una rivelazione: dietro ai principali tornanti della nostra storia recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i viadotti autostradali.
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Genova e i complottisti che non vedono l’agguato all’Italia
E’ già stata programmata la prossima aggressione americana alla Siria? Se lo domanda “The Saker”, pensando all’imperialismo yankee oggi più che mai ostile all’Iran, mentre a Washington l’impeccabile Barack Obama e l’assai meno impeccabile George W. Bush piangono la dipartita del vecchio leone John McMcain, presentato come eroe di guerra – quella del Vietnam, però (non quella siriana, dove celebri fotografie immortalano lo stesso McCain, dalle parti di Damasco, a colloquio con un’illustre congrega di tagliagole, tra cui l’oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, nome d’arte del futuro capo-macelleria del sedicente Isis). Si fa presto a dire “l’America”, quando è palese che neppure un americano su cento ha idea di come siano andate davvero le cose, in Siria, cioè nel paese dei bombardamenti immaginari con gas nervino sulla popolazione inerme, disposti dal feroce regime di Assad sul quale proprio l’elegantissimo Obama stava per scatenare l’Armageddon missilistico. Lo schema è classico, ormai datato ma sempre formidabile: la fanfara mediatica suona la sua canzone, che poi a casa – davanti al televisore – fischiettano tutti. E quelli che si rifiutano (non più così pochi, ormai) spesso cadono nel tranello del festival opposto, che poi è l’altra faccia della stessa medaglia. Complottismo militante: caccia al Colpevole Unico, al reprobo di turno. Uno sport che, secondo Gianfranco Carpeoro, finisce sempre per assolvere il solo, vero responsabile: il sistema.Lo spiega benissimo anche uno specialista come Massimo Mazzucco, in diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”, addentrandosi nel presunto giallo del viadotto Morandi a Genova, che si vocifera sia stato segretamente minato per scatenare la strage di ferragosto. L’ingegnere veneto che rilancia la testi del complotto, adombrando l’ipotesi dell’attentato, ordito magari per colpire Autostrade per l’Italia, che ormai è un gestore internazionale di infrastrutture viarie? Sfortunatamente, quel tecnico è stato ingaggiato proprio da Atlantia, la società dei Benetton: cioè i soggetti che più trarrebbero vantaggio dall’accreditare il sospetto dell’ipotetico attentato, visto che metterebbe in ombra le loro eventuali responsabilità sul mancato controllo della sicurezza del ponte genovese. Piuttosto, dice Mazzucco nella sua attenta ricostruzione, l’unica cosa che non torna è la decisione degli inquirenti di non rendere pubblici alcuni filmati-chiave sul crollo. Forse rivelano indizi sulla grave incuria che, alla fine, ha determinato il collasso del viadotto? Quelle immagini, si dice, restano riservate per non condizionare i testimoni oculari che gli inquirenti devono ancora ascoltare. Ma non ha senso, protesta Mazzucco: se già si dispone di immagini incontrovertibili, infatti, a cosa serve il racconto (fatalmente frammentario e impreciso) di semplici testimoni? Ovvero: qualcuno sta esercitando pressioni “mostruose”, sui magistrati di Genova, per tentare di nascondere le evidenze dell’omessa manutenzione dell’infrastruttura?Citando il saggio “Massoni” di Gioele Magaldi, e attingendo al proprio patrimonio personale di contatti e informazioni, l’avvocato e saggista Carpeoro, autore di scomode pagine sul terrorismo targato Isis ma in realtà “fatto in casa” da servizi segreti agli ordini dei peggiori network supermassonici, sul caso genovese è illuminante: non scordate, dice, che i Benetton fanno parte di una cerchia paramassonica internazionale vicina ai Clinton e a Obama. Un club più che esclusivo, dominato dalla celeberrima superloggia “Three Eyes”, a lungo ispirata dai massimi strateghi del potere politico statunitense, a cominciare da Kissinger. Non solo: nella composizione azionaria di Atlantia figura anche il maggiore “hedge fund” del pianeta, quel BlackRock a cui – a proposito di privatizzazioni “ad personam” – il giovane Matteo Renzi regalò una bella fetta di Poste Italiane, azienda in ottima salute che fruttava allo Stato, ogni anno, quasi mezzo miliardo di euro. Il patron di BlackRock, cioè la star della finanza americana Larry Fink, secondo Magaldi avrebbe gravitato nell’orbita di un’altra Ur-Lodge, quasi “sorella” della “Three Eyes” ma se possile molto peggiore, avendo reclutato tra i suoi affiliati un certo Osama Bin Laden (l’autore del film “11 Settembre”) e lo stesso Al-Baghdadi (aiuto-regista dell’ultimo kolossal horror, quello siglato Isis).Che crolli un ponte in Italia o franino grattacieli negli Usa – minati, quelli sì – il risultato è lo stesso: l’uomo della strada ci rimette la pelle, oltre che un sacco di soldi, mentre i responsabili non pagano mai, prevedibilmente protetti da tonnellate di menzogne, depistaggi e insabbiamenti. Colpa loro, si domanda Carpeoro, o piuttosto di un sistema incapace di giustizia? L’avvocato ricorre a un esempio: «E’ stata sgominata, la mafia, dopo l’arresto di Riina? Ma no, c’era Provenzano. Preso anche lui, ecco Matteo Messina Denaro. Il giorno che arrestassero pure quello, qualcuno dubita che, nel giro di una notte, i boss troverebbero un nuovo capo?». Beninteso: spesso i criminali poi finiscono, giustamente, in galera. Ma il potere giudiziario non è in grado di fare davvero giustizia: può solo limitare i danni. Infatti, per statuto, interviene soltanto a cose fatte, quando cioè il reato è già stato commesso. Perché il sistema cambi, nel senso della vera giustizia, è necessario che, a monte, certi reati non si commettano più. Solo così sarebbe possibile evitare disastri, stragi, truffe e rapine colossali. Migliorare il sistema, dunque. Già, ma come?Missione impossibile, se restiamo quasi sempre al buio: troppo spesso, infatti, non disponiamo delle informazioni-chiave. Nessuno sa, davvero, ciò che sta accadendo. A proposito: quanti italiani sapevano che le loro autostrade, pagate con provvidenziale debito pubblico strategico negli anni d’oro, erano state interamente privatizzate? Quanti sapevano che la famiglia Benetton è poco più che il paravento italiano di un mega-affare, essenzialmente internazionale, pensato lontano dall’Italia e dato in gestione, per la sua esecuzione formale, a Massimo D’Alema? E dov’erano, gli elettori italiani, mentre tutto questo accadeva? Tutti a fare il tifo: pro o contro il Cavaliere di Arcore, “domato” da Romano Prodi e poi, appunto, da D’Alema. Idem i giornalisti italiani: tutti presi anche loro dall’insignificante derby politico, anziché dall’anomalia – sostanziale – che consiste nel regalare a colossi privati un pezzo di paese come la rete autostradale, che oggi frutta profitti per 6 miliardi di euro all’anno, cioè 12.000 miliardi di lire. La scusa, storica? C’era il debito pubblico da “risanare”.Era la fiaba degli italiani spreconi e spendaccioni, che ha fatto la fortuna politica di personaggi come Antonio Di Pietro. Poi è arrivato il Risanatore, quello vero: Mario Monti, paracadutato a Palazzo Chigi da Mario Draghi e Giorgio Napolitano. E tutti hanno cominciato a capire cosa indendono, uomini come quelli, con la parola “risanamento”. In un attimo l’Italia ha visto crollare il Pil, ha perso il 25% del suo potenziale industriale e ha accusato la peggior crisi dal dopoguerra, con una disoccupazione record. Ora qualcuno ha imparato che il debito pubblico, per definizione, non è da “risanare” come quello di una famiglia o di un’azienda, perché lo Stato (se è sovrano nella moneta) non deve restituire a nessuno il denaro emesso direttamente dal governo, attraverso la banca centrale. In tanti, ormai, sanno che dal 1980 – prima ancora dell’euro – la banca centrale ha cessato di emettere denaro in modo illimitato, a disposizione del governo: è da allora, infatti, che il debito pubblico è diventato una tragedia nazionale (fino a trasformarsi, con l’euro, in un dramma internazionale).Chi ha messo il dito nella piaga, durante l’ultima campagna elettorale? Matteo Salvini. Chi ha candidato, al Senato? Alberto Bagnai, eminente economista di scuola sovranista. E dov’è, adesso, Salvini? Nel mirino: tutti i poteri forti (stampa, finanza, industria) gli sparano addosso, col pretesto della sua ruvida intransigenza sui migranti. Gli spara addosso Macron, a capo di un paese che ogni anno, in virtù dell’eredità coloniale, “rapina” 500 miliardi di euro a 14 paesi africani. E a Salvini spara a man salva persino l’ormai disperato Pd, cioè il partito che – fin che è vissuto – non ha fatto altro che eseguire gli ordini dei poteri forti, così come il decano D’Alema all’epoca dei maxi-regali, le autostrade poi lasciate crollare, fino al novello Renzi, il “regalatore” di Poste Italiane. Tutta colpa del Pd, dunque, come suggerisce il tifo odierno che vede nel governo gialloverde la prima, vera speranza, per un paese dominato per 25 anni da poteri stranieri? Stando al ragionamento di Carpeoro su Cosa Nostra, la risposta è scontata: puoi anche sanzionare un manovale del crimine, persino un boss, ma dai guai non esci fino a quando vivi in un sistema che prevede l’impunità sostanziale per certi reati.La parte dal cattivo travestito da buono – ormai si sa – è toccata, storicamente, al centrosinistra. Ovvio: mai l’elettorato di sinistra avrebbe tollerato le stesse leggi, se a promulgarle fosse stato Berlusconi. Non hanno fatto una piega, i sindacati, quando invece a contrarre i diritti del lavoro è stato il centrosinistra. Ma, tralasciando gli attori in commedia, sarebbe cambiato qualcosa che se questa storia fosse stata recitata da tutt’altro cast? Dov’è il problema, negli attori o piuttosto nel copione? E’ irrilevante che oggi gli zombie del Pd fingano ancora di esistere: e sanno che, se non fosse comparso il provvidenziale “mostro” Salvini, non saprebbero neppure cosa dire, di fronte alle telecamere. Intanto i ponti crollano, insieme al resto del paese. E c’è chi pensa agli immancabili, fantomatici bombaroli, come se non bastasse lo spettacolo dell’auto-sabotaggio realizzato da un intero paese, a cui i maghi dell’informazione hanno raccontato, indisturbati, che tutto va bene, e che il padrone ha sempre ragione. Quello, semmai, era il vero complotto. E sta venendo alla luce oggi, lentamente, attraverso l’inaudita violenza verbale che l’establishment riserva all’attuale governo: il primo, dopo 25 anni, non partorito direttamente dal potere “complottista”. L’unico governo, per ora, largamente sostenuto dagli elettori.E’ già stata programmata la prossima aggressione americana alla Siria? Se lo domanda “The Saker”, pensando all’imperialismo yankee oggi più che mai ostile all’Iran, mentre a Washington l’impeccabile Barack Obama e l’assai meno impeccabile George W. Bush piangono la dipartita del vecchio leone John McMcain, presentato come eroe di guerra – quella del Vietnam, però (non quella siriana, dove celebri fotografie immortalano lo stesso McCain, dalle parti di Damasco, a colloquio con un’illustre congrega di tagliagole, tra cui l’oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, nome d’arte del futuro capo della premiata macelleria mediorientale, il sedicente Isis). Si fa presto a dire “l’America”, quando è palese che neppure un americano su cento ha idea di come siano andate davvero le cose, in Siria, cioè nel paese dei bombardamenti immaginari con gas nervino sulla popolazione inerme, disposti dal feroce regime di Assad sul quale proprio l’elegantissimo Obama stava per scatenare l’Armageddon missilistico. Lo schema è classico, ormai datato ma sempre formidabile: la fanfara mediatica suona la sua canzone, che poi a casa – davanti al televisore – fischiettano tutti. E quelli che si rifiutano (non più così pochi, ormai) spesso cadono nel tranello del festival opposto, che poi è l’altra faccia della stessa medaglia. Complottismo militante: caccia al Colpevole Unico, al reprobo di turno. Uno sport che, secondo Gianfranco Carpeoro, finisce sempre per assolvere il solo, vero responsabile: il sistema.
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Che sollievo, scoprire la dinamite nel viadotto di Genova
Che meraviglia, se il viadotto Morandi fosse stato davvero abbattuto, magari da terroristi, con una bella carica esplosiva. Staremmo tutti più tranquilli – tutti o, comunque, i tantissimi di noi che, ormai, hanno sempre bisogno di immaginare un complotto, per ridurre tutti i problemi all’azione di un nemico: il comodissimo Uomo Nero, unico colpevole delle nostre sciagure. Fabbricare ogni volta un nemico, dice Gianfranco Carpeoro, fa molto comodo, al potere: ci aiuta infatti a non vedere mai la verità. E cioè che l’unico, vero “nemico” che ci minaccia, purtroppo, è lo stesso sistema nel quale viviamo: sempre meno equo e democratico, sempre meno accettabile, responsabile e sostenibile. Non capire che è ora di finirla con la “supercazzola” dell’ipotesi-bomba, per tentare di spiegare il disastro di Genova, significa non voler vedere che è tutta l’Italia che sta ormai crollando: «Crollano i ponti, crollano le chiese, crollano le scuole: è già successo, e magari tra un po’ crollerà un altro istituto scolastico, ammazzando un altro po’ di bambini», dichiara Carpeoro, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Cosa aspettiamo a dedurre che, così, non si può andare avanti? Quando finirà di crollare anche il lavoro, finalmente, capiremo che l’Italia è un paese nel quale è sempre più difficile vivere, se non invertiamo radicalmente la rotta».Tanti gli interrogativi sulla catastrofe di Genova, da parte del pubblico della diretta “Carpeoro Racconta” del 1° settembre: molti insistono – ancora – sulla evidente presenza di “bagliori” poco prima del drammatico schianto, preceduto da un rombo chiaramente udibile. Clamorose le dichiarazioni dell’ingegnere padovano Enzo Siviero, già docente universitario a Venezia: a “Reteveneta” ha detto che le modalità del crollo lasciano aperta, almeno al 50%, la possibilità (teorica) di un attentato. Ipotesi che la magistratura di Genova liquida con le parole del procuratore Francesco Cozzi: «Puro delirio». Già, ma la storia delle immagini scomparse causa “guasto” delle webcam di Autostrade per l’Italia? Carpeoro taglia corto: «Non sono un tecnico e non mi intendo di ponti – premette – ma sono certo che gli inquirenti siano in possesso di tutte le immagini inerenti il crollo, peraltro riproposte continuamente anche in televisione». Bagliori? «Appunto: la presenza di un bagliore non significa automaticamente “esplosione”». Il botto? Idem: «Ogni crollo è preceduto da un cedimento, da un collasso strutturale evidentemente anche rumoroso. In ogni caso: di che siamo parlando? La magistratura è al lavoro, sta indagando. Scoprirà quello che è successo. Tenendo conto del fatto, ormai accertato, che non sono state rinvenute tracce di esplosivo: e le esplosioni ne lasciano sempre».Massone, esoterista, studioso di simbologia e autore di “Summa Symbolica”, opera in più volumi sul significato dei simboli che ci circondano e che il più delle volte subiamo passivamente, non sapendoli “leggere”, Carpeoro – esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi – invita spesso il suo pubblico a stare in guardia, rispetto al “pensiero magico” di cui è imbevuta la società, e del quale il potere si serve sempre per depistarci, ogni volta, dal vero obiettivo. «Seriamente: riguardo a Genova, l’unico vero beneficiario teorico dell’ipotesi complottista chi sarebbe? Lei, la società autostradale oggi sotto accusa: sarebbe comodissimo, per Autostrade, potersi assolvere grazie all’ombra di un attentato. Ma evidentemente non c’è il minimo presupposto per poter sfruttare questa possibilità». Si parla di ponti, dopotutto: «E’ ormai appurato che le attuali infrastrutture hanno una durata media di cinquant’anni: dopodiché occorre mettervi mano, pena il rischio che vengano meno gli standard di sicurezza. Ed è quello che, in tutta Italia, non sta più succedendo: per questo crollano ponti, viadotti, scuole e persino le chiese antiche, che avrebbero a loro volta bisogno di frequenti interventi di restauro e consolidamento».Il vero complotto, dice Carpeoro, è consistito nell’aver “regalato” la nostra rete autostradale, all’epoca delle privatizzazioni “allegre” varate dal centrosinistra, con il patrimonio nazionale elargito a imprenditori “amici”, non vincolati a rigorosi obblighi. Il dramma di Genova? «Dovuto, evidentemente, a incuria criminosa». Da parte dei Benetton? Attenzione, avverte sempre Carpeoro: nel gruppo Atlantia, che controlla Autostrade, sono presenti grandi poteri internazionali, anche massonici: dalla superloggia neoliberista “Three Eyes”, «cui fa riferimento l’ambiente paramassonico frequentato dai Benetton, notoriamente finanziatori dei Clinton», all’altra famigerata superloggia ultra-reazionaria, la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, a cui – secondo Magaldi – è collegato Larry Fink, il patron dell’immenso fondo d’investimento BlackRock, azionista di Atlantia. Non sarà facile togliere a questa gente la gallina dalle uova d’oro rappresentata dalle autostrade italiane: «Vedrete che arriverà una telefonata dall’America e la concessione non verrà affatto revocata, o magari si farà un’altra gara, aperta allo stesso gruppo».Questa è la sostanza, ribadisce Carpeoro, e le leggende sulla demolizione controllata del viadotto genovese – con fantomatiche cariche esplosive – servono proprio a non vedere la tragica realtà dei fatti: è sempre l’Uomo Nero a far sparire la verità, mettendo al riparo – ancora una volta – il sistema, che è marcio. In questo caso, l’esasperazione complottistica rischia di lasciae in ombra uno scandalo storico e colossale, come quello delle privatizzazioni-omaggio fatte sulla pelle degli italiani. Siamo infatti prigionieri di un paese che (grazie all’euro e al rigore imposto da Bruxelles) sta letteralmente crollando, non potendo più ricorrere alla spesa pubblica. Non bastassero i censori della Commissione Europea è pronta la minaccia dello spread alle prime avvisaglie di aumento del debito, teoricamente pubblico ma ormai di fatto privatizzato anche quello, essendo denominato in euro anziché in moneta sovrana. Magari la colpa fosse dell’Uomo Nero, in questo caso travestito da bombarolo: sarebbe un sollievo, scoprire che la colpa è di un unico delinquente. «In realtà, a questo ci ha portato l’evoluzione spirituale degli ultimi anni», ripete Carpeoro: «Ci serve sempre un nemico immaginario, che in fondo è rassicurante. Fa molta più paura scoprire che l’unico vero nemico è proprio il sistema».Che meraviglia, se il viadotto Morandi fosse stato davvero abbattuto, magari da terroristi, con una bella carica esplosiva. Staremmo tutti più tranquilli – tutti o, comunque, i tantissimi di noi che, ormai, hanno sempre bisogno di immaginare un complotto, per ridurre tutti i problemi all’azione di un nemico: il provvidenziale Uomo Nero, unico colpevole delle nostre sciagure. Fabbricare ogni volta un nemico, dice Gianfranco Carpeoro, fa molto comodo, al potere: ci aiuta infatti a non vedere mai la verità. E cioè che l’unico, vero “nemico” che ci minaccia, purtroppo, è lo stesso sistema nel quale viviamo: sempre meno equo e democratico, sempre meno accettabile, responsabile e sostenibile. Non capire che è ora di finirla con la “supercazzola” dell’ipotesi-bomba, per tentare di spiegare il disastro di Genova, significa non voler vedere che è tutta l’Italia che sta ormai crollando: «Crollano i ponti, crollano le chiese, crollano le scuole: è già successo, e magari tra un po’ crollerà un altro istituto scolastico, ammazzando un altro po’ di bambini», dichiara Carpeoro, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Cosa aspettiamo a dedurre che, così, non si può andare avanti? Quando finirà di crollare anche il lavoro, finalmente, capiremo che l’Italia è un paese nel quale è sempre più difficile vivere, se non invertiamo radicalmente la rotta».
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Maggiani: peggio la Flat Tax o l’estinzione dei progressisti?
Prendendo in parola le promesse elettorali e le conseguenti pubbliche dichiarazioni del nuovo governo, abbiamo trascorso una lieta serata in famiglia provando a calcolare quanto ci guadagneremo con il nuovo sistema di tassazione, la famosa flat tax che ridurrà il carico fiscale sui redditi più alti. Non siamo ricchi, ma non ce la passiamo male, e se le cose andranno come per quest’anno il fisco ci omaggerà di circa ottomila euro; non male, non male, è poco meno di quanto hanno a disposizione per vivere, per non morire, i cinque milioni di famiglie italiane con il reddito più basso, più di quanto guadagna in un anno il mio amico Cesare, che non ha una casa, non ha una famiglia che lo sostiene, non ha che poche ore di lavoro precario e faticoso e guadagna ancora troppo per aver assegnato un sussidio o una casa, anche solo una stanza, popolare. Fatti i conti, ci siamo piacevolmente interrogati sul che fare di tanta inaspettata fortuna, e siccome siamo famiglia eticamente propensa al bene collettivo, ci siamo risolti a farli sgocciolare sul popolo, sui meno abbienti, sui morti di fame che dir si voglia.Sappiamo che il nostro sarà anche un gesto di responsabilità nei confronti del nuovo governo, il quale sostiene la flat tax aderendo alla teoria economica detta del tricke down, dello sgocciolamento appunto. Tale teoria frutto del rinomato pensiero ultra liberista recita cos: più i ricchi sono ricchi e più i poveri possono aspettarsi di veder sgocciolare dalle loro tasche, dalle loro mense, dalle loro crociere, dalle loro auto di lusso, dai loro rifacimenti estetici, un po’ del loro bengodi sotto forma di più lavoro e più elemosine. Sì, faremo anche noi sgocciolare la nostra ricchezza seppur modesta sui poveri e, se devo dirlo, la cosa mi fa proprio schifo. Mi fa schifo il suono della ricchezza di chi sta in alto che gocciola giù sulla miseria di chi sta in basso con la bocca aperta pronta a inghiottire il gemizio, mi fa ribrezzo l’idea stessa che la vita, e la morte, della gran parte degli umani dipenda da quello che avanza dai pochi, mi fa orrore l’assoluta mancanza di dignità che assegna agli umani questa trovata.No, non c’è dignità, non c’è giustizia, non c’è nemmeno l’ombra di Dio in tutto questo, ed è proprio per questo che posso in coscienza definirmi un progressista. Un progressista che rinuncerebbe volentieri ai privilegi che gli offre il nuovo governo fortemente voluto dal popolo, il quale popolo tutto quello che ci guadagnerà, se la teoria del gocciolamento dovesse funzionare, e non ha mai funzionato, saranno i miei avanzi. Ma il popolo è lì con la bocca spalancata ad aspettare perché nessuno gli ha mai palesato un’alternativa, perché i progressisti come me non gli hanno fin qui offerto un’attendibile alternativa di dignità.(Maurizio Maggiani, “Flat Tax”, articolo pubblicato dal “Secolo XIX” il 10 giugno 2018 e ripreso sul sito ufficiale dello scrittore).Prendendo in parola le promesse elettorali e le conseguenti pubbliche dichiarazioni del nuovo governo, abbiamo trascorso una lieta serata in famiglia provando a calcolare quanto ci guadagneremo con il nuovo sistema di tassazione, la famosa flat tax che ridurrà il carico fiscale sui redditi più alti. Non siamo ricchi, ma non ce la passiamo male, e se le cose andranno come per quest’anno il fisco ci omaggerà di circa ottomila euro; non male, non male, è poco meno di quanto hanno a disposizione per vivere, per non morire, i cinque milioni di famiglie italiane con il reddito più basso, più di quanto guadagna in un anno il mio amico Cesare, che non ha una casa, non ha una famiglia che lo sostiene, non ha che poche ore di lavoro precario e faticoso e guadagna ancora troppo per aver assegnato un sussidio o una casa, anche solo una stanza, popolare. Fatti i conti, ci siamo piacevolmente interrogati sul che fare di tanta inaspettata fortuna, e siccome siamo famiglia eticamente propensa al bene collettivo, ci siamo risolti a farli sgocciolare sul popolo, sui meno abbienti, sui morti di fame che dir si voglia.
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Magaldi: cade il governo? Tanto meglio per Lega e 5 Stelle
Cade il governo Conte, in autunno? Non reggerà alla prova del fuoco rappresentata dal bilancio 2019 da sottoporre a Bruxelles? Tanto meglio: Lega e 5 Stelle farebbero il pieno di voti, nel caso di elezioni anticipate. Facile profezia: l’eventuale nuovo esecutivo avrebbe un programma meno timido e sarebbe pronto a rompere in modo ancora più netto con l’attuale governance europea, fondata sulla grande menzogna del rigore ammazza-Stati spacciato per amara medicina. Gioele Magaldi non ha dubbi: se l’esecutivo gialloverde dovesse davvero cadere, l’establishment politico-mediatico violentemente ostile a leghisti e pentastellati avrà ben poco di cui rallegrarsi, perché gli elettori premieranno Salvini e Di Maio con un autentico plebiscito, come ben si è visto dagli applausi dei genovesi scrosciati all’arrivo dei due vicepremier ai funerali delle vittime del viadotto Morandi. Tutto si tiene, nei drammi estivi che hanno scosso l’Italia: la responsabilità politica del disastro di Genova ricade sulla stessa élite che ha privatizzato la penisola, regalandola agli “amici degli amici”, salvo poi imporre a un paese impoverito di accogliere senza fiatare i migranti (quasi un milione, negli ultimi tre anni) che l’Europa vorrebbe che restassero interamente a carico nostro.«Ecco perché applaudo Salvini: per una volta, il ministro dell’interno ha “tenuto il punto”, rinunciando a piegarsi ai diktat dell’oligarchia europea», dice Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio”. Troppo comodo – e ipocrita – il moralismo di chi accusa il leader della Lega di mancanza di umanità, specie se l’attacco proviene dal potere neoliberista che ha razziato l’Africa e imposto, ai lavoratori italiani, il “dumping” salariale dei neo-schiavi, costretti a fare concorrenza sleale alla nostra forza lavoro, accettando condizioni disumane di sfruttamento. Dov’era, il centrosinistra che oggi si scaglia con inaudita violenza contro Salvini, quando si trattava di gestire l’economia in modo equo, evitando di far sprofondare il paese nella crisi più nera? Bersani “impiccava” lo Stato al nodo scorsoio del pareggio di bilancio, insieme al cappio della legge Fornero sulle pensioni, prima ancora che Renzi facesse piazza pulita – con il Jobs Act – degli ultimi diritti sindacali. Ed ecco oggi la “guerra tra poveri”, che oppone lavoratori italiani e stranieri, vittime – tutti – della stessa catastrofe macroeconomica: lo Stato in bolletta, impossibilitato a investire denaro per produrre lavoro grazie a una gestione privatistica dell’euro, senza neppure il paracadute degli eurobond a garantire il necessario debito pubblico.Nel lucido ragionamento di Magaldi, la tragedia di Genova e la rissa mediatica sui naufraghi a bordo della nave Diciotti («con le accuse surreali rivolte a Salvini dalla magistratura») sono due facce, drammatiche, della stessa medaglia: da una parte la vecchia élite che ha prodotto solo macerie (infrastrutturali e sociali) e dall’altra il primo governo “sovranista”, da 25 anni a questa parte, che cerca di rimediare allo sfacelo. «Per fortuna – insiste Magaldi – Salvini ha inaugurato la linea necessaria, quella della fermezza: che non ha certo per bersaglio i migranti, ma l’ipocrisia con cui Bruxelles vorrebbe continuare a non-gestire un fenomeno vergognoso come l’esodo da paesi africani letteralmente depredati dell’élite europea». Azione necessaria, quella del governo Conte, ma non sufficiente: «Sarà meglio che, anche sui provvedimenti econonici, Salvini e Di Maio comincino a passare dalle parole ai fatti, cercando di attuare quello che hanno promesso agli italiani. Nel caso non ce la dovessero fare, però – aggiunge Magaldi – non sarebbe affatto un male». Già, perché dopo eventuali elezioni anticipate, aggiunge, la coalizione “gialloverde”, ormai strategicamente coesa, farebbe l’en plein e ripartirebbe con maggiore slancio, per abbattere il Muro di Bruxelles fondato sulla “teologia” dell’austerity.Keynesiano e progressista, Magaldi non ha dubbi: tutta l’Europa è in crisi, perché negli ultimi decenni il continente è caduto, letteralmente, nelle mani di una ristretta cerchia di oligarchi. Hanno contrabbandato per virtù l’ideologia del rigore di bilancio, con trattati-capestro che hanno amputato gli Stati del potere sovrano di investire nell’economia. Risultato: classe media in via di estinzione, popoli impoveriti, democrazie svuotate ed élite divenute improvvisamente miliardarie, padrone di tutto ciò che prima era pubblico – acqua, energia, trasporti, telefonia e Poste, persino le autostrade. Nel bestseller “Massoni”, Magaldi ha fornito nomi e cognomi della cabina di regia – supermassonica – che ha pilotato questa globalizzazione selvaggia e senza diritti, a beneficio esclusivo delle multinazionali finanziarie. Il complottismo degli ultimi anni punta il dito contro le malefatte della Trilaterale? «Ma quella è solo una emanazione, peraltro piuttosto trasparente, della Ur-Lodge “Three Eyes”», a lungo ispirata da personaggi come Kissinger, Rockefeller e Brzezisnki.I blogger più esasperati, come Daniel Estulin, se la prendono con il Bilderberg e i suoi invitati, da Lilli Gruber al segretario di Stato vaticano Pietro Parolin? «Aprite gli occhi: le notizie che lo stesso Bilderberg lascia filtrare servono solo a produrre il gossip necessario a distogliere l’attenzione dai veri manovratori, i “fratelli controiniziati” delle Ur-Lodges reazionarie: personaggi che, certo, non finiscono sui giornali». Che fare, dunque? Esattamente quello che sta facendo il governo Conte, ribadisce Magaldi, fautore di un risveglio democratico europeo, di cui l’Italia “gialloverde” sembra destinata a fare da apripista. Una “profezia” che il presidente del Movimento Roosevelt (“metapartito” nato proprio per rianimare lo scenario politico italiano in senso progressista) aveva formulato in tempi non sospetti: vedrete, aveva annunciato, che alla fine sarà proprio questa scassatissima Italia a invertire il corso della storia, mettendo in campo forze politiche in grado di smascherare la grande impostura neoliberista che ha impoverito l’Europa spolpando Stati e popoli.Quelle a cui stiamo assistendo oggi, in fondo, sono le prove generali di una rivoluzione culturale: verrà il giorno in cui la parola “spread” perderà ogni significato, perché la finanza pubblica sarà tornata a garantire pienamente tutto il deficit necessario a rimettere in piedi il paese, cominciando dalla ricostruzione delle troppe infrastrutture fatiscenti, lasciate agonizzare da governi costretti a elemosinare “a strozzo” gli euro della Bce. «A proposito: spero che i familiari delle vittime di Genova non si rivalgano solo sugli eventuali responsabili della società autostradale, ma chiedano di essere risarciti anche dai governi precedenti, che hanno creato le premesse del disastro». In ogni caso, Magaldi è ottimista: «Che il governo Conte regga o meno alla prova d’autunno, è irrilevante: indietro non si torna. La destrutturazione politica della Seconda Repubblica è ormai nei fatti». Gli italiani sembrano aver capito che centrodestra e centrosinistra fingevano soltanto di essere alternativi. Nella realtà non hanno fatto altro che obbedire ai diktat dei grandi privatizzatori neoliberisti: quelli che oggi sparano su Salvini, temendo che l’Italia si stia davvero risvegliando.Cade il governo Conte, in autunno? Non reggerà alla prova del fuoco rappresentata dal bilancio 2019 da sottoporre a Bruxelles? Tanto meglio: Lega e 5 Stelle farebbero il pieno di voti, nel caso di elezioni anticipate. Facile profezia: l’eventuale nuovo esecutivo avrebbe un programma meno timido e sarebbe pronto a rompere in modo ancora più netto con l’attuale governance europea, fondata sulla grande menzogna del rigore ammazza-Stati spacciato per amara medicina. Gioele Magaldi non ha dubbi: se l’esecutivo gialloverde dovesse davvero cadere, l’establishment politico-mediatico violentemente ostile a leghisti e pentastellati avrà ben poco di cui rallegrarsi, perché gli elettori premieranno Salvini e Di Maio con un autentico plebiscito, come ben si è visto dagli applausi dei genovesi scrosciati all’arrivo dei due vicepremier ai funerali delle vittime del viadotto Morandi. Tutto si tiene, nei drammi estivi che hanno scosso l’Italia: la responsabilità politica del disastro di Genova ricade sulla stessa élite che ha privatizzato la penisola, regalandola agli “amici degli amici”, salvo poi imporre a un paese impoverito di accogliere senza fiatare i migranti (quasi un milione, negli ultimi tre anni) che l’Europa vorrebbe che restassero interamente a carico nostro.
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Fascismo? Ci vuole orecchio, per smontare chi odia Salvini
«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?Dal Quirinale a Confindustria, dalla magistratura a Bankitalia, da Macron a Juncker: ha solo nemici, quello che Montanari definisce il “ministro della paura”. Nemici così potenti da riuscire a impedire – in modo rocambolesco, grazie al solito Berlusconi alleatosi col Pd – l’elezione di un giornalista di razza come Marcello Foa alla presidenza della Rai, bloccata (secondo il massone Gianfranco Carpeoro) da una triangolazione telefonica tra il francese Jacques Attali (mentore di Macron), Giorgio Napolitano (membro della stessa superloggia, la “Three Eyes”, secondo Gioele Magaldi) e Antonio Tajani, massone anche lui. Dov’è il monopolio della forza di cui parla Montanari? Abbagli colossali, sia pure da un eminente intellettuale innamorato del patrimonio artistico italiano? «Ho indicato proprio in Saviano – scrive sempre Montanari su “Micromega” – uno dei non molti intellettuali liberi, e disposti a schierarsi». Salviano chi? L’autore di “Gomorra”, condannato a vita a recitare la parte della vittima sotto scorta, per la gioia del suo marketing editoriale? Allude, Montanari, allo stesso Saviano che in Italia spara a man salva sul leader della Lega ma, appena si volge verso il Medio Oriente, si schiera con Israele senza mai una parola sulle brutalità che lo Stato ebraico guidato da Netanyahu infligge ai “negri” della situazione, cioè ipalestinesi?Affacciandosi sul Paese delle Meraviglie, Tomaso Montanari è comunque capace di stupirsi: evidentemente, per lui, il “ministro della paura” non è l’unico imputato. «Come si fa a chiedere agli italiani sommersi e sfruttati – scrive – di stringersi intorno ai valori della Costituzione proprio mentre Sergio Mattarella, massimo garante della Carta e del suo primo articolo, si genuflette di fronte a un Sergio Marchionne?». Già. Ma dov’era, Montanari, quando Mattarella faceva il ministro nel governo D’Alema, l’esecutivo che “regalava” la rete autostradale italiana ai Benetton? Se ne riparla oggi, dopo l’immane tragedia del crollo a Genova del viadotto Morandi, con il governo Conte deciso a imporre ad Autostrade per l’Italia la revoca della concessione. Non vede come stanno realmente le cose, il professor Montanari? «Come possiamo pensare che gli italiani in difficoltà ascoltino i nostri appelli antifascisti se essi sono sostenuti dallo stesso establishment che esalta Marchionne, il quale non ha voluto restituire all’Italia, e a ciò che resta del suo stato sociale, nemmeno i soldi delle tasse sul proprio gigantesco patrimonio?». Le domande di Montanari, che appare sinceramente disorientato, sembrano rivolte all’interlocutore sbagliato. Cosa si aspetta, Montanari, da un potere-ombra così ipocrita e marcio da usare all’occorrenza le bandiere della sinstra per varare, in Italia, il neoliberismo più selvaggio?Equivoci, probabilmente figli della “santa alleanza” contro il falso bersaglio – Berlusconi – che ha permesso ai veri dominus di agire indisturbati per vent’anni, graniticamente supportati (senza chiasso, né olgettine) dal centrosinistra dei Prodi e dei D’Alema, degli Amato e dei Padoa Schioppa. L’impegno civile di Tomaso Montanari è cristallino: nel marzo 2017 è diventato presidente del cartello “Libertà e Giustizia”, succedendo a Nadia Urbinati. Nel giugno 2017, con Anna Falcone, è stato fra i promotori di “Alleanza Popolare per la Democrazia e l’Uguaglianza”, giornalisticamente ribattezzata come “percorso del Brancaccio”, dal nome dell’omonimo teatro romano dove si riunirono le prime 1.500 persone. Obiettivo: creare una lista civica nazionale della sinistra. Progetto poi naufragato a meno di sei mesi dalle elezioni, visto anche lo stato confusionale della sinistra stessa, reduce da due decenni di antiberlusconismo militante spacciato per progressismo. Si tratta della stessa sinistra che preferì sparare sul Cavaliere piuttosto che sul pareggio di bilancio inserito da Monti nella Costituzione con l’appoggio di Bersani, così come oggi – pur con i suoi dubbi – Montanari preferisce colpire Salvini, piuttosto che un establishment che aveva ridotto l’Italia a Cenerentola politica d’Europa, prona a qualsiasi diktat, incluso quello di tenersi i migranti salvati nel Mediterraneo dalla marina tricolore.Montanari è uno di quegli intellettuali italiani che non esitano a utilizzare la parola “fascismo” per connotare l’azione di Salvini, cioè del leader più rappresentativo del primo e unico governo – dopo tanti anni – formatosi a furor di popolo, sotto la spinta squisitamente democratica degli elettori, ansiosi di metter fine a una lunga sequela di “governi dell’orrore”, pronti a precipitare il paese (loro sì) nella paura: la paura di perdere tutto e di sprofondare in un’Italia senza futuro. «Tutto l’establishment che chiama al conflitto contro Salvini – riconosce Montanari – è quello che diceva e dice che non è possibile alcun conflitto sociale: che è invece lo strumento per creare giustizia sociale, ed è stato disinnescato proprio dal Partito Democratico e dai suoi sostenitori». Quando Salvini dice “prima gli italiani”, per il professore «nessuna risposta è credibile se non afferma la necessità di un conflitto invece “tra gli italiani”», ovvero tra i poveri e i ricchi, che notoriamente «non vogliono le stesse cose», per citare lo storico britannico Tony Judt. Quand’anche: perché Montanari spara su Salvini, che non ha alcuna responsabilità nella catastrofe della Seconda Repubblica, evitando di usare il termine “fascismo” per i decisivi collaborazionisti del “nazismo tecnocratico”, ai cui “successi” si deve, oggi, la vasta popolarità del leader della Lega?«Alla sinistra dei politici, professori, giornalisti paghi di appartenere alla ristretta cerchia dei salvati, disinteressati a cambiare il mondo e capaci solo di parlare di “austerità” e “responsabilità” – aggiunge Montanari – è subentrata una destra con una visione terribile e propagandistica, sanguinosa e fasulla». Sempre secondo il professore, «Salvini sa benissimo che non potrà cambiare in meglio la vita degli italiani: ed è per questo che accende la miccia della caccia al nero». C’è un che di vertiginoso, nel ricorrente abuso dei termini: il fascismo si impose in modo strisciante con le violenze delle camicie nere, incoraggiato dall’élite e ignobilmente tollerato dallo Stato liberale, monarchia in primis. Crede davvero, il professor Montanari, che l’ex anarchico ed ex socialista Mussolini abbia potuto marciare su Roma in solitudine, senza l’appoggio dei poteri forti attraverso il network discreto della massoneria? Crede che abbia potuto guidare svariati governi senza il sostegno decisivo del Vaticano, accanto a quello dei latifondisti e della grande industria?E perché mai spendere ancora, impunemente, nel 2018, la parola “fascismo”? Non vede, Montanari, da quale pulpito democratico vengono le lezioncine impartite all’Italia sui diritti umani? Non sa, Montanari, da quale scuola proviene l’illustre burattino francese Macron? Non vede quali onori gli sono stati tributati, in Vaticano, dall’uomo che la dottrina cattolica considera il vicario di Dio in terra? Conosce un altro fascismo, Montanari, che oggi sia più feroce di quello con cui la Germania e la Bce hanno ridotto la Grecia come un paese del terzo mondo? «Bisogna saper vedere, e saper dire, che Salvini è il sintomo terribile, e finale, della malattia che ha devastato questo paese anche “grazie” a ciò che chiamavamo “sinistra”», sostiene Montanari. Ma, anziché attaccare a testa bassa il tumore, lo storico dell’arte si accanisce su quello che considera il sintomo, come se i buoi non fossero già scappati dalla stalla. E questa incredibile miopia, probabilmente, mette fuori gioco molta parte dell’intellettualità italiana: se Salvini sarà sempre di più il nuovo leader del paese, con i suoi toni spesso così indigesti, lo si dovrà anche e soprattutto a chi vede l’autoritarismo dove non c’è, senza averlo visto – in tempo utile – là dove c’era, e dove sta tuttora, esercitando il suo immenso potere, ogni giorno, contro l’Italia e l’avvenire degli italiani.«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?
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La Stampa: lampi sul ponte prima del crollo, video oscurato
Attentato, sì – ma “alla sicurezza dei trasporti”. Niente terrorismo, dunque, ma “solo” negligenza, per quanto criminale. E’ una delle ipotesi di reato che, secondo “Rai News”, la procura di Genova sarebbe pronta a contestare per il drammatico crollo del viadotto Morandi il 14 agosto. Attentato alla sicurezza dei trasporti, oltre a omicidio colposo plurimo e disastro colposo, per una strage costata 41 morti, 8 feriti e (per ora) una decina di dispersi, insieme a oltre 600 sfollati. «Non è stata una fatalità, ma un errore umano», sottolinea il procuratore genovese Francesco Cozzi, che coordina le indagini con i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. Milioni di italiani hanno visionato, sul web, le drammatiche immagini del crollo, riprese in diretta con lo smartphone da Davide Di Giorgio: mostrano due bagliori che illuminano il ponte un istante prima del rombo che annuncia il collasso della mastodontica infrastruttura autostradale. “La Stampa” pubblica addirittura un video poi rimosso da Autostrade: quei lampi si vedono benissimo. Tanto basta per dare fiato anche agli immancabili sospetti: e se la catastrofe di Genova fosse stata causata da un oscuro attentato terroristico di tipo stragista, come quelli che hanno insanguinato il resto d’Europa a partire dalla mattanza di Charlie Hebdo?Non sono in pochi, nei mesi scorsi, ad aver parlato di massima allerta: come se ci fosse il fondato timore di un “Big One”, un maxi-attentato per colpire finalmente anche l’Italia, finora rimasta al riparo dalle stragi dolose grazie a quello che viene considerato il miglior dispositivo antiterrorismo del mondo. «Al posto di Salvini mi guarderei bene dal sostituire gli attuali vertici dei servizi segreti e degli apparati di sicurezza che hanno finora sventato decine di attentati, nel nostro paese», ha dichiarato tempo fa l’avvocato Gianfranco Pecoraro, meglio noto con lo pseudonimo di Carpeoro, con il quale ha firmato romanzi e saggi come “Dalla massoneria al terrorismo”. Nel libro, l’autore svela gli inquietanti retroscena degli attentati compiuti in Francia e in Belgio: manovalanza islamista, ma simbologia tipicamente massonica e di ispirazione templare. Più volte, specie dopo l’orrenda strage di Nizza del 14 luglio 2016, lo stesso Carpeoro ha ammonito: c’è il rischio che le stesse “menti raffinatissime” possano colpire anche l’Italia, paese a cui sembra alludere scelta di organizzare proprio a Nizza il massacro compiuto nel giorno dell’anniversario della Presa della Bastiglia, data-simbolo per la massoneria progressista impegnata a contrastare la supermassoneria reazionaria responsabile dell’austerity europea.C’entra qualcosa, tutto questo, anche con la sciagura di Genova? Lo stesso Carpeoro ne parlerà domenica 19 agosto in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” insieme a un altro analista non-allineato come Massimo Mazzucco, autore di documentari che hanno fatto epoca, nei quali si dimostra completamene infondata la verità ufficiale sul maxi-attentato dell’11 Settembre negli Usa. A gettare acqua sul fuoco dei possibili complottismi, per ora, provvedono siti come “Next”, secondo cui i due bagliori ben visibili nel filmato circolato sul web «in tutta evidenza sono lampi, visto che prima del crollo su Genova si era scatenato un nubifragio di grandi dimensioni (c’era l’allerta arancione della protezione civile)». Il primo ad adombrare l’ipotetica presenza di circostanze anomale è stato Valerio Staffelli, uno dei mattatori di “Striscia la notizia”, autore del seguente tweet: «Scusate, ho visto immagini crollo ponte a Genova, per caso avete notato due bagliori prima del crollo? Ero lontano dal monitor ma sembravano una coppia di bagliori». Fa effetto, ovviamente, a neanche due settimane dal disastro sull’A14 a Bologna.Alcuni degli automobilisti che appena dopo il crollo erano corsi al riparo nella vicina galleria, aggiunge “Next”, hanno raccontato di aver visto cedere uno degli “stralli”, i tiranti che reggevano il viadotto. Altri testimoni che si trovavano in auto nelle vicinanze hanno invece visto «un fulmine colpire il ponte». L’ipotesi che il viadotto Morandi sia crollato a causa di un fulmine «non è stata confermata né accertata», spiega Angelo Borrelli, dirigente della protezione civile. “Next” aggiunge che l’ingegner Antonio Brencich, professore associato di costruzioni in cemento armato all’università di Genova, esclude la possibilità che un fulmine abbia causato il crollo del ponte. Per contro, è il quotidiano “La Stampa” a scrivere che un altro video, quello delle telecamere di sicurezza dell’autostrada A10, è stato stranamente rimosso appena dopo il disastro. Il giornale lo ripropone. Ore 11, 36 minuti e 28 secondi: quei lampi, sotto la pioggia battente, sono evidentissimi, proprio al momento del crollo. Inutile affrettare conclusioni, ovviamente, così come sarebbe demenziale scartare pregiudizialmente le ipotesi più scomode.Basti ricordare che la verità su Charlie Hebdo non si saprà mai, avendo la Francia seppellito l’inchiesta col segreto di Stato (segreto militare) dopo che la magistratura di Parigi aveva scoperto un’imbarazzante triangolazione: i Kalashnikov impiegati dal commando dell’Isis erano stati acquistati da un armaiolo belga grazie ai buoni uffici di un funzionario dei servizi segreti francesi, risultato in contatto con la fidanzata di uno degli attentatori. «A volte il complottismo raggiunge l’idiozia pura», avverte Carpeoro: «C’è chi è arrivato a dire che nel teatro Bataclan non sia morto nessuno: e questo genere di “sport” è utilissimo per screditare chiunque si impegni a cercare una verità diversa da quella ufficiale». E’ noto che il terrorismo è un abominevole strumento politico: in Francia, ad esempio, è servito a intimidire Hollande spianando la strada a Macron, già banchiere Rothschild e pupillo dell’oligarchia supermassonica più pericolosamente reazionaria. E’ lo stesso Macron che oggi ha dichiarato guerra all’Italia, definendo “vomitevole” la politica di Salvini e del governo gialloverde, sostenuto da oltre il 60% degli italiani ma fermamente osteggiato dall’élite europeista artefice del rigore (e, secondo Carpeoro, anche della strategia della tensione a colpi di attentati stragistici “false flag”, comodamente targati Isis).Attentato, sì – ma “alla sicurezza dei trasporti”. Niente terrorismo, dunque, ma “solo” negligenza, per quanto criminale. E’ una delle ipotesi di reato che, secondo “Rai News”, la procura di Genova sarebbe pronta a contestare per il drammatico crollo del viadotto Morandi il 14 agosto. Attentato alla sicurezza dei trasporti, oltre a omicidio colposo plurimo e disastro colposo, per una strage costata 41 morti, 8 feriti e (per ora) una decina di dispersi, insieme a oltre 600 sfollati. «Non è stata una fatalità, ma un errore umano», sottolinea il procuratore genovese Francesco Cozzi, che coordina le indagini con i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. E quegli strani lampi? Milioni di italiani hanno visionato, sul web, le drammatiche immagini del crollo, riprese in diretta con lo smartphone da Davide Di Giorgio: mostrano due bagliori che illuminano il ponte un istante prima del rombo che annuncia il collasso della mastodontica infrastruttura autostradale. “La Stampa” pubblica addirittura un video poi rimosso da Autostrade: quei lampi si vedono benissimo. Tanto basta per dare fiato anche agli immancabili sospetti: e se la catastrofe di Genova fosse stata causata da un oscuro attentato terroristico di tipo stragista, come quelli che hanno insanguinato il resto d’Europa a partire dalla mattanza di Charlie Hebdo?
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Benetton, pedaggio italiano al feroce buonismo globalista
I Benetton non hanno prodotto solo maglioni e gestito autostrade ma sono stati la prima fabbrica nostrana dell’ideologia global. Sono stati non solo sponsor ma anche precursori dell’alfabeto ideologico, simbolico e sentimentale della sinistra. Sono stati il ponte, è il caso di dirlo, tra gli interessi multinazionali del capitalismo global e dell’americanizzazione del pianeta, coi loro profitti e il loro marketing e i messaggi contro il razzismo, contro il sessismo, a favore della società senza frontiere, lgbt, trasgressiva e progressista. Le loro campagne, affidate a Oliviero Toscani, hanno cercato di unire il lato choc, che spesso sconfinava nel cattivo gusto e nel pugno allo stomaco, col messaggio progressista umanitario: società multirazziale, senza confini, senza distinzioni di sessi, di religioni, di etnie e di popoli, con speciale attenzione ai minori. Via le barriere ovunque, eccetto ai caselli, dove si tratta di prendere pedaggi. Di recente la Benetton ha fatto anche campagne umanitarie sui barconi d’immigrati e ha lanciato un video “contro tutti i razzismi risorgenti”. Misterioso il nesso tra le prediche sulla pelle dei disperati e il vendere maglioni o far pagare pedaggi alle auto.Dietro la facciata “progressista” di Benetton c’è però la realtà di Maletton, il lato B. È il caso, ad esempio del milione d’ettari della Benetton in Patagonia, sottratto alle popolazioni locali come le comunità Mapuche, vanamente insorte e sanguinosamente represse. O lo sfruttamento senza scrupoli dell’Amazzonia, ammantato dietro campagne in difesa dell’ambiente. O la storia dei maglioni prodotti a costi stracciati presso aziende che sfruttavano lavoratori, donne e minori a salari da fame e condizioni penose, come accadde in Bangladesh a Dacca, dove morirono un migliaio di sfruttati che lavoravano in un’azienda che produceva anche per Benetton. Le loro facce non le abbiamo mai viste negli spot umanitari di Benetton, così come non vedremo nessuna maglietta rossa, nessun cappellino rosso sponsorizzato da Benetton o promosso da Toscani per le vittime di Genova. A questo si aggiunge per la Benetton l’affarone di gestire prima gli autogrill e poi interamente le Autostrade, dopo che lo Stato italiano ha investito per decenni miliardi per far nascere la rete autostradale. Un “regalo” del pubblico al privato, come succede solo in Italia.Il capitalismo italiano ha sempre avuto questo lato parassitario e rapace: non investe, non rischia di suo ma campa a ridosso del settore pubblico o delle sue commesse. A volte socializza le perdite e privatizza i profitti, come spesso faceva per esempio la Fiat, o piazza i suoi prodotti scartati dal mercato allo Stato, come faceva ad esempio De Benedetti accollando materiali un po’ vecchiotti dell’Olivetti alla pubblica ammministrazione. Aziende che si scoprivano nazionaliste quando si trattava di mungere dallo Stato italiano e poi si facevano globalità quando si trattava di andarsene all’estero per ragioni di produzione, fisco o costi minori. O si rileva la gestione delle Autostrade come i Benetton e i loro soci, con sontuosi profitti ma poi è tutto da verificare se si siano curati di investire adeguatamente per ammodernare la rete e fare manutenzione efficace. La tragedia di Genova pende come un gigantesco punto interrogativo tra i cavi sospesi sulla città.Di tutto questo, naturalmente, si parla poco nei media italiani, soprattutto nei grandi; non dimentichiamo che Benetton, oltre che importante cliente pubblicitario nei media, è azionista nel gruppo de “La Repubblica-L’Espesso-La Stampa”, dove si sono incrociati – ma guarda un po’ – i sullodati Agnelli e De Benedetti. In miniatura, segue lo stesso modello ideologico e d’affari alla Benetton, anche Oscar Farinetti, il patron di Eataly. Il capitalismo nostrano da un verso sostiene battaglie “progressiste” appoggiando forze politiche pendenti a sinistra e finanziando campagne global e antirazziste; poi dall’altro si trova invischiato in storie coloniali di espropriazione delle terre alle popolazioni indigene, di sfruttamento delle risorse e di uomini per produrre a costi minimi e senza sicurezza, ottenendo il massimo profitto. Poi vi chiedete perché in Italia certe opinioni politically correct sono dominanti: si è cementato un blocco tra un ceto ideologico-politico progressista, radical, di sinistra che fornisce il certificato di buona coscienza a un ceto affaristico di capitalisti marpioni. Un ceto che è viceversa adottato, tenuto a libro paga, dal medesimo. In questa saldatura d’interessi si formano i potentati e contro quest’intreccio ha preso piede il populismo.Però alle volte insorge la realtà. Drammaticamente, come è stato il caso di Genova. Dove ci sono da appurare le responsabilità, i gradi e i livelli. Inutile aggiungere che con ogni probabilità non ci sarà un solo colpevole, ci saranno differenti piani di responsabilità, anche a livello di amministratori locali, di governi centrali e ministeri dei trasporti che avrebbero dovuto vigilare e imporre alla società autostrade di spendere di più in sicurezza, pena la decadenza della concessione. Col senno di poi è facile dire che se gli azionisti della società autostrade avessero speso la metà dei loro utili (oltre un miliardo di euro l’anno) per ulteriore manutenzione, sicurezza e rifacimento di strutture a rischio, come era notoriamente il ponte Morandi a Genova, oggi probabilmente non staremmo a piangere i morti e una città stravolta, sventrata. Ma richiamare altre responsabilità non vuol dire buttarla sulla solita prassi del tutti colpevoli nessun condannato; no, ci sono gradi e livelli di responsabilità diversi, e qualcuno dovrà pagare per quel che è successo, ciascuno secondo il suo grado di colpa effettivamente accertata.A questo punto rivedere le concessioni è necessario. Ma non può essere la sola risposta. C’è da ripensare al modello italiano che non funziona più da anni, vive di rendita sul passato e manda in malora il suo patrimonio. Bisogna ripensare alla nostra scassata modernità, al nostro obsoleto repertorio strutturale, vecchio come i capannoni di archeologia industriale e le cattedrali nel deserto che spesso deturpano il nostro paesaggio e ricordano il nostro passato, quando l’industria era il radioso futuro. Un paese che non sa più pensare in grande, investire, intraprendere, far nascere, pensare al futuro. Resistono i ponti dei romani, resistono i ponti di epoca fascista, opere “aere perennius”, ma scricchiolano o crollano le opere recenti, perché non c’è stata vera manutenzione, perché c’è stato sovraccarico, o perché furono fatte in origine con materiali inadeguati, con permessi ottenuti in modo obliquo, perché qualcuno vi speculò, e non solo le imprese di costruzione.In tutto questo, purtroppo, la linea grillina del non fare, del tagliare, del risparmiare sulle grandi opere o sui grandi rifacimenti non è una risposta adeguata ai problemi e alle urgenze. Non dimentichiamo che per i grillini fino a ieri era una “favoletta” il rischio di crollo del ponte Morandi di Genova, era solo un modo per mungere soldi; e dunque pur di frenare eventuali corrotti e corruttori, per loro è meglio tenersi strade scassate e ponti insicuri. Intanto è necessario rimettere in discussione il modello imperante, con un residuo di statalismo incapace e impotente, che si accompagna a un capitalismo vorace e parassitario sotto le vesti progressiste e umanitarie, con tutte le sue connivenze politiche denunciate da Di Maio. Quelle aziende che mettevano in cerchio i bambini del mondo, salvo vederli sfruttare nelle aziende del Terzo mondo o espropriare delle loro terre. Quelle aziende che volevano abbattere muri e frontiere nel mondo e nel frattempo crollavano i ponti di casa…(Marcello Veneziani, “Benetton Maletton”, dal “Tempo” del 17 agosto 2018; articolo ripreso sul blog di Veneziani).I Benetton non hanno prodotto solo maglioni e gestito autostrade ma sono stati la prima fabbrica nostrana dell’ideologia global. Sono stati non solo sponsor ma anche precursori dell’alfabeto ideologico, simbolico e sentimentale della sinistra. Sono stati il ponte, è il caso di dirlo, tra gli interessi multinazionali del capitalismo global e dell’americanizzazione del pianeta, coi loro profitti e il loro marketing e i messaggi contro il razzismo, contro il sessismo, a favore della società senza frontiere, lgbt, trasgressiva e progressista. Le loro campagne, affidate a Oliviero Toscani, hanno cercato di unire il lato choc, che spesso sconfinava nel cattivo gusto e nel pugno allo stomaco, col messaggio progressista umanitario: società multirazziale, senza confini, senza distinzioni di sessi, di religioni, di etnie e di popoli, con speciale attenzione ai minori. Via le barriere ovunque, eccetto ai caselli, dove si tratta di prendere pedaggi. Di recente la Benetton ha fatto anche campagne umanitarie sui barconi d’immigrati e ha lanciato un video “contro tutti i razzismi risorgenti”. Misterioso il nesso tra le prediche sulla pelle dei disperati e il vendere maglioni o far pagare pedaggi alle auto.