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Se al Popolo delle Mascherine resta il piacere di votare No
Il minimo che ci potesse capitare, dopo aver dato retta a Greta Thunberg, era di finire confinati in casa per mesi, e poi guardati a vista come pericolosi bricconi, irresponsabili diffusori del Virus della Paura. Milioni di sguardi imbambolati davanti all’epifania scandinava della minuscola fiammiferaia, venuta a raccontarci – insieme ai tecno-narratori dell’Onu – che siamo noi, proprio noi, a surriscaldare pericolosamente il globo. Per la cronaca: è lo stesso pianeta che, solo dodicimila anni fa, passò in un battibaleno dall’inferno dei vulcani alla notte artica dei ghiacci, superando il Grande Diluvio, per poi arrivare alle temperature – più alte di quelle di oggi – dell’epoca dell’Impero Romano, quando cioè non esistevano plastiche né carbone né acciaierie. Tutti a sentire i profetici ammonimenti della piccina, mentre la Terra si riempiva di strane antenne, i cieli erano rigati da strane scie, e dai laboratori fuggivano strani virus. Antenne, scie e virus: tre vocaboli complemanente assenti, nel lessico della maestrina svedese, i cui ricchissimi impresari (dalla Bank of England in giù) erano riusciti a distoglierci dal vero problema, l’avvelenamento ottuso e criminale del suolo, dell’aria e delle acque. E’ colpa vostra, cioè nostra: il Vangelo secondo Greta è lo stesso degli arconti che stabiliscono, da sempre, quanto e come crescere, quanto e come soffrire, e quando infine decrescere, impoverirsi, possibilmente sparire.Sono sempre loro a decidere quale canzone cantare, a seconda dei momenti: il guaio, semmai, è che poi la cantiamo tutti, o quasi tutti, lasciando che siano i medesimi sceneggiatori a scegliere per noi lo spartito del giorno. I pessimisti parlano apertamente di zootecnia, sia pure evolutissima e sapientemente truccata da politica, da informazione, da entertainment culturale. E’ ancora possibile cantare fuori dal coro, entro certi limiti; al momento giusto, però, non manca mai un Vasco Rossi che sappia richiamare all’ordine, da par suo, gli eventuali indisciplinati. Di tanto in tanto, al Popolo delle Mascherine è ancora concesso l’antico lusso della celebrazione democratica, elettorale, a condizione – beninteso – che dal voto non dipenda niente di importante. Bazzecole, piccole faide tra nano-leader, guerriglie tra clan. Da Greta Thunberg a Beppe Grillo, il passo è brevissimo: ci si ritrova con Luigi Di Maio ministro degli esteri, e Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. L’unico campionato vinto dal Fratello di Montalbano, per ora, è quello della vaccinazione obbligatoria più inutile del pianeta, il siero contro l’influenza, mentre i suoi fieri oppositori – il barbaro Salvini (l’energumeno al citofono) e la piccola Giorgia («sono italiana, sono cristiana») – si stringono attorno al redivivo Nonno Silvio, che spedisce in aula un fenomeno indimenticabile come Mariastella Gelmini ad aprire ufficialmente la stagione della Vaccinazione Universale Obbligatoria.Al Popolo delle Mascherine è consentito celebrare il rito solenne delle elezioni regionali, tra gossip e sondaggi, già pregustando l’esiziale bilancio che proporrà vincitori e vinti, come se davvero i cambi di casacca e di poltrona portassero in dote un qualche lume capace di rischiarare la lunga notte polare nella quale i sudditi sono stati abbandonati, costretti a subire eventi non spiegati, letteralmente incomprensibili, se non protetti dal segreto. «Questo governo non lavora col favore delle tenebre», ha detto l’umorista Conte, l’ometto che ha proibito la circolazione di ogni possibile notizia giungendo a imporre la supervisione di un Ministero della Verità, abilitato a vigilare e censurare, nemmeno fossimo in Corea del Nord. Un atto d’imperio madornale, scandaloso, contro il quale però non s’è levata alcuna voce, dalle redazioni: non un fiato, né dai telegiornali né dai sindacati; non una sillaba dal mitologico Ordine dei Giornalisti, sempre che esista ancora. Anzi, al contrario: tutti i cantori si sono esercitati nello stesso coro, giungendo a ostracizzare e ridicolizzare anche i Premi Nobel che avessero avuto l’impudenza di esprimere un loro libero pensiero. L’aria che tira è scurissima, nel paese delle Sardine e dei magistrati formato Palamara: forse persino Primo Levi, oggi, rischierebbe di beccarsi del negazionista.Si dirà che è scontato anche questo, presso i sudditi che vivono sui social e si muovono soltanto se hanno in tasca il dispositivo telefonico di tracciamento volontario personale. Tutto ovvio e normalissimo, per chi ha creduto che Barack Obama fosse una specie di Babbo Natale in versione gospel. Normale, per chi ha accolto con un bell’applauso il macellaio Mario Monti, per chi crede ancora che Romano Prodi sia una sorta di filantropo bonario, per chi pensa che la truce Angela Merkel sia meglio dell’aborrita Maggie Thatcher, la Strega del Nord (che almeno ha rovinato solo gli inglesi, lasciando in pace il resto dell’Europa). Normale, per chi ancora crede alla leggenda nera del Debito Pubblico, e pensa che la sbalorditiva solidità italiana – case, risparmi – possa andare benissimo per gli avvoltoi che sognano l’eterna patrimoniale, mentre non valga nulla per il rating dell’Ue (che tratta l’Italia come un pezzente da mettere alla porta, un povero paesucolo insolvente). Tutto normale, per chi riesce addirittura a fare il tifo per i nazi-terroristi prezzolati che portano la guerra nelle strade americane, usurpando senza ritegno persino il nome e le bandiere dell’antifascismo.E in fondo al tunnel, naturalmente, c’è pure un referendum. Anche questo è concesso, ai cittadini in libertà provvisoria: votare per tagliare quel poco di democrazia formale che ancora sopravvive. Massacrare il Parlamento, volontariamente: un harakiri magistrale. Poltrone oggi tristemente inutili, scavalcate da poteri decisivi, eppure ancora temute: per quello che potrebbero diventare, domani, se a occuparle fosse gente d’altra razza. Come – per dire – quel coraggioso Kennedy, capace di scuotere i dormienti con il suo appello berlinese al bene più prezioso, l’orgoglio di sentirsi liberi. I saggi dicono che non serve frugare tra i complotti, per fare l’inventario del disastro: basta e avanza lo spettacolo di un corpo elettorale rassegnato a votare ogni volta con odio, contro qualcuno, anziché per qualcosa. Accadde con Matteo Renzi, nell’improvvida chiamata alle urne che gli costò il posto. Votarono in massa, gli italiani, per zittire il fanfarone (ma nessuna alternativa era in cantiere: dopo di lui lo zombie Gentiloni, e ora addirittura Conte). Cosa farà, stavolta, il Popolo delle Mascherine? Assalterà i seggi, per punire il grottesco ducetto del Distanziamento, l’omino che ha imposto il bavaglio alla nazione? Oppure resterà a casa, davanti alla partita? O peggio: voterà convintamente per suicidare il Parlamento? L’elettore, oggi, sa di essere considerato meno di niente. Gli resta quel miniscolo potere, soltanto per un giorno: dire No. E’ poco, ma è qualcosa. La franchezza di un messaggio: non ci piace, quello che ci avete fatto.(Giorgio Cattaneo, “Al Popolo delle Mascherine resta una possibilità: il piacere di dire No”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 settembre 2020).Il minimo che ci potesse capitare, dopo aver dato retta a Greta Thunberg, era di finire confinati in casa per mesi, e poi guardati a vista come pericolosi bricconi, irresponsabili diffusori del Virus della Paura. Milioni di sguardi imbambolati davanti all’epifania scandinava della minuscola fiammiferaia, venuta a raccontarci – insieme ai tecno-narratori dell’Onu – che siamo noi, proprio noi, a surriscaldare pericolosamente il globo. Per la cronaca: è lo stesso pianeta che, solo dodicimila anni fa, passò in un battibaleno dall’inferno dei vulcani alla notte artica dei ghiacci, superando il Grande Diluvio, per poi arrivare alle temperature – più alte di quelle di oggi – dell’epoca dell’Impero Romano, quando cioè non esistevano plastiche né carbone né acciaierie. Tutti a sentire i profetici ammonimenti della piccina, mentre la Terra si riempiva di strane antenne, i cieli erano rigati da strane scie, e dai laboratori fuggivano strani virus. Antenne, scie e virus: tre vocaboli completamente assenti, nel lessico della maestrina svedese, i cui ricchissimi impresari (dalla Bank of England in giù) erano riusciti a distoglierci dal vero problema, l’avvelenamento ottuso e criminale del suolo, dell’aria e delle acque. E’ colpa vostra, cioè nostra: il Vangelo secondo Greta è lo stesso degli arconti che stabiliscono, da sempre, quanto e come crescere, quanto e come soffrire, e quando infine decrescere, impoverirsi, possibilmente sparire.
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Magaldi: Pompeo a Roma avvisa i ‘cinesi’ Conte e Bergoglio
«Benvenuto a Mike Pompeo, al “fratello” Mike Pompeo, segretario di Stato americano, che sta venendo in Italia anche a spiegare – al Vaticano e agli ambienti politici – che deve finire, la vicinanza al partito “cinese”, trasversale e sovranazionale, che in Italia si è allargato un po’ troppo». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista, usa parole più che esplicite per accogliere nel nostro paese il “ministro degli esteri” statunitense, atteso a Roma nei prossimi giorni. A Pompeo, Magaldi rivolge un benvenuto «sincero e affettuoso», nonché «fraterno», a rimarcare la comune identità massonica. Con questa visita, il braccio destro di Trump «segnerà una soluzione di continuità con tante cose sbagliate, che riguardano anche la politica vaticana verso la Cina ma soprattutto l’infiltrazione del partito “cinese” (orientale e occidentale), che purtroppo ha forti addentellati in diverse, cosiddette democrazie occidentali». Magaldi lo definisce «un partito trasversale che vuole proporci un nuovo paradigma politico-sociale, ed è un partito che va sconfitto: Mike Pompeo – sottolinea Magaldi – verrà a dirlo chiaro e tondo, a tutti i principali rappresentanti della classe dirigente italiana».Autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che svela il ruolo occulto delle superlogge mondiali nella sovragestione del potere, Magaldi ha ammesso che, nel 2016, le Ur-Lodges progressiste appoggiarono Trump, contribuendo al suo successo. «Uno dei grandi meriti della vittoria di Trump, anzitutto alle primarie repubblicane – dice oggi Magaldi – fu quello di aver impedito che Jeb Bush arrivasse alla nomination: già di questo, il mondo dovrebbe essere grato, a Trump». Nel suo saggio, Magaldi accusa i Bush di aver promosso – attraverso la superloggia “Hathor Pentalpha” – la strategia della tensione basata sul terrorismo internazionale avviata con gli attentati dell’11 Settembre contro le Torri Gemelle. «Una filiera dell’orrore che si è prolungata con l’Isis, che ha potuto seminare il terrore in Medio Oriente durante la presidenza Obama». Magaldi ricorda che lo fu lo stratega Zbigniew Brzezinski – “l’inventore” di Obama – a reclutare in Afghanistan un certo Osama Bin Laden, allora in funzione anti-sovietica. «Iniziato alla superloggia “Three Eyes”, poi Bin Laden passò coi Bush nella “Hathor”, tra lo sconcerto e la delusione dello stesso Brzezinski.Grandi giochi del passato, che probabilmente aiutano a leggere meglio quelli di oggi, che vedono in primissimo piano l’Oms “cinese” e personaggi come Bill Gates. I supermassoni della “Three Eyes” (come appunto Brzezinski e soprattutto Kissinger, patron della Trilaterale) diedero sostanza all’ideologia del neoliberismo, come motore dell’attuale globalizzazione finanziaria, scommettendo sulla Cina come possibile modello alternativo per un Occidente meno democratico e meno libero, in un futuro non lontano. A quanto pare, quel futuro è arrivato: solo che, sal 2001 in poi, è stato accelerato dal terrorismo internazionale promosso dalla “Hathor”, superloggia che ha reclutato – accanto ai Bush – politici di rango come Tony Blair, Nicolas Sarkozy e il turco Erdogan. «Il loro obiettivo – riassume Magaldi – era una progressione anche violenta del programma neoliberista, fondata sul ricorso alla guerra, alla strategia della tensione, allo svuotamento della democrazia, all’imposizione dell’austerity europea incarnata da personaggi come la “sorella” Angela Merkel». Nel frattempo, questa élite ha permesso alla Cina di crescere a dismisura, grazie a regole truccate: niente democrazia e zero libertà, nessun sindacato, niente norme anti-inquinamento. Risultato: la Cina è diventata la nuova manifattura del mondo, a basso costo, mettendo in crisi il lavoro – come da copione – in tutto l’Occidente.Poi, nel 2016, il programma ha subito un imprevisto di portata storica: l’inattesa vittoria, del tutto “accidentale”, di Donald Trump. Letteralmente: un alieno, rispetto al potere neoliberista. Che infatti ha saputo risollevare l’economia anche in modo “rooseveltiano”, cioè aumentando il deficit, per raggiungere la piena occupazione, restituendo fiducia e sicurezza ai lavoratori statunitensi precarizzati da decenni di delocalizzazioni selvagge. Sulle imminenti presidenziali di novembre, Magaldi è ottimista: «Io credo che gli americani sceglieranno ancora Trump. Non bisogna temere la vittoria di Biden: la sua sarebbe una presidenza debole, affidata a un uomo che non ha grandi capacità, ma attorno a Biden ci sarebbe comunque un collegio di amministratori che, in termini di geopolitica, proseguirebbe sulla scia tracciata da Trump». Vale a dire: mantenere l’impegno ad arginare l’espansione dell’influenza cinese in Occidente, almeno fin tanto che la Cina non accetterà di competere alla pari, adottando un regime democratico. «Io credo che Trump meriti una riconferma – sostiene Magaldi – perché ha fatto cose buone, con tutti i limiti del personaggio. E credo che gli americani andranno in questa direzione».Severo, invece, il giudizio di Magaldi su Giuseppe Conte, uomo vicinissimo al Vaticano. L’ex “avvocato del popolo” si è rivelato una sorta di docile strumento del partito “cinese”: lo si è visto nel modo in cui Palazzo Chigi e il Comitato Tecnico-Scientifico hanno imposto all’Italia un lockdown ultra-repressivo, modello Wuhan, ben sapendo che avrebbe fatto precipitare l’economia. Analoghe critiche a Bergoglio: imperdonabile, per Magaldi, la decisione di Papa Francesco di concedere al governo di Pechino il potere di designare i vescovi cattolici in Cina. Uno squillante avvertimento all’establishment italiano e vaticano – Conte e Bergoglio in primis – verrà ora direttamente da Pompeo, impegnato (con Trump) a preservare l’Italia dall’insidiosa influenza del “partito cinese”, cioè il gruppo di potere – largamente atlantico – che oggi avversa Trump negli Stati Uniti, e che negli anni ‘70, soprattutto attraverso un massone reazionario come Kissinger, sdoganò la Cina per farne un modello economico – di successo, ma non democratico – da proporre poi anche in Europa e in America. Magaldi (e lo stesso Pompeo) individuano l’ombra del partito “cinese” persino nell’attuale gestione “psico-terroristica” del coronavirus, emergenza gonfiata dai media e utilizzata per comprimere la libertà e rendere permanente la riduzione dei diritti sociali e civili.Dopo la visita di Pompeo – destinata a lasciare il segno – Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum” al governo Conte: un pacchetto di proposte per alleviare immediatamente le sofferenze economiche provocate dal lockdown. «Sarà anche calendarizzato l’esordio della Milizia Rooseveltiana», formazione che scenderà in piazza nel caso in cui l’esecutivo non dovesse rispondere, in modo adeguato, alle sollecitazioni “rooseveltiane”. «Finora, l’ultimatum a Conte non è stato ancora presentato, a causa della fluidità della situazione, molto complicata ma anche molto feconda», spiega Magaldi, riferendosi alla tornata elettorale del 20-21 settembre. La visita romana di Pompeo, ribadisce Magaldi, contribuirà a rimescolare ulteriormente le carte, in uno scenario dominato dal caos: governo fragilissimo e in fibrillazione per le elezioni regionali e il referendum, mentre il paese – fermato da Conte per quasi tre mesi – paga un prezzo altissimo, in termini di perdita economica, senza che l’esecutivo abbia saputo indicare una via d’uscita credibile.Il grande problema – l’emergenza sanitaria globale, declinata in modo catastrofico in Italia grazie a Conte – viene letto, da Magaldi, in termini geopolitici: e se è stato proprio il partito “cinese” a trasformare un virus in tragedia globale, esponendo l’Italia a pericoli gravissimi per la tenuta del suo sistema socio-economico, la risposta può venire oggi da Mike Pompeo (e domani da Mario Draghi, che ha proposto un Piano-B già a marzo, sul “Financial Times”: emissione illimitata di denaro, che non si trasformi in debito). Dando per probabile la riconferma di Trump, all’orizzonte il progressista Magaldi individua «quel Robert Francis Kennedy Junior, che col suo discorso a Berlino ci ha scaldato il cuore, ricordando che ogni vera soluzione, per l’umanità, non può prescindere dalla libera partecipazione democratica». Per Magaldi, il figlio di Bob Kennedy «rappresenta una speranza di un “upgrade” significativo, nei prossimi anni, anche nella conduzione della grande democrazia americana».«Benvenuto a Mike Pompeo, al “fratello” Mike Pompeo, segretario di Stato americano, che sta venendo in Italia anche a spiegare – al Vaticano e agli ambienti politici – che deve finire, la vicinanza al partito “cinese”, trasversale e sovranazionale, che in Italia si è allargato un po’ troppo». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista, usa parole più che esplicite per accogliere nel nostro paese il “ministro degli esteri” statunitense, atteso a Roma nei prossimi giorni. A Pompeo, Magaldi rivolge un benvenuto «sincero e affettuoso», nonché «fraterno», a rimarcare la comune identità massonica. Con questa visita, il braccio destro di Trump «segnerà una soluzione di continuità con tante cose sbagliate, che riguardano anche la politica vaticana verso la Cina ma soprattutto l’infiltrazione del partito “cinese” (orientale e occidentale), che purtroppo ha forti addentellati in diverse, cosiddette democrazie occidentali». Magaldi lo definisce «un partito trasversale che vuole proporci un nuovo paradigma politico-sociale, ed è un partito che va sconfitto: Mike Pompeo – sottolinea Magaldi – verrà a dirlo chiaro e tondo, a tutti i principali rappresentanti della classe dirigente italiana».
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Socialismo liberale, rooseveltiani al voto: Zagarolo e Varmo
«Il Movimento Roosevelt appoggia Marco Bonini come candidato sindaco di Zagarolo, grosso Comune alle porte di Roma, perché crede nella necessità di cambiare orizzonte». E’ esplicito, l’endorsement di Gioele Magaldi nei confronti di Bonini, già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd e ora candidato con il supporto di svariati partiti del fronte opposto, tra cui Lega e Fratelli d’Italia. «Io non ragiono in termini di etichette facili e di superficie», chiarisce Magaldi, che archivia volentieri le categorie destra-sinistra e la contrapposizione solo fittizia tra i due schieramenti, protagonisti entrambi – nella Seconda Repubblica – del progressivo pensionamento della democrazia sostanziale. «Quello che oggi distingue un politico, semmai, è la sua vicinanza (o lontananza) rispetto all’unica ideologia subdolamente imperante, quella del neoliberismo che ha privatizzato e malamente globalizzato il pianeta». Una ideologia sommaria e totalizzante, «che oggi ci propone un orrore come il taglio dei parlamentari, insignificante sul piano del risparmio economico ma tragicamente simbolico: voler ridurre ulteriormente la rappresentanza democratica vuol dire continuare a penalizzare i cittadini, allontanando ulteriormente gli elettori e rendendo gli eletti sempre più irraggiungibili, fedeli solo ai leader di partito».«Seguiremo con grande attenzione le elezioni comunali di Zagarolo», annuncia il presidente del Movimento Roosevelt, che in tutt’altra parte d’Italia (a Varmo, Udine) schiera direttamente un suo dirigente, Massimo Della Siega, candidato sindaco in una coalizione squisitamente civica. «Non è davvero più questione di etichette, sigle e schieramenti», conferma Della Siega: «Qui si tratta di riscrivere le regole del buon governo locale, dialogando con tutti e cercando di “fare rete”, su territori resi sempre più periferici». L’impegno nei Comuni, sottolinea Magaldi, nella deprecata Prima Repubblica era – giustamente – il primo passo, per elaborare quell’esperienza che, col tempo, avrebbe forgiato dirigenti politici capaci, e non improvvisati come quelli di oggi. «Intanto – riassume Pierluigi Winkler, uno dei vicepresidenti del Movimento Roosevelt – è necessario tornare ai valori del socialismo liberale che abbiamo appena sentito risuonare nelle parole pronunciate a Berlino da Robert Kennedy Junior, che ci hanno scaldato il cuore: ogni vera soluzione, per l’umanità, non può prescindere dalla libera partecipazione democratica».Socialismo liberale? «Un ossimoro, per un guru del neoliberismo come Friedrich von Hajek – dice Magaldi – che finse di non aver letto Carlo Rosselli». Quei valori sono perfettamente coniugabili: e devono tornare a esserlo, oggi più che mai, dice Winkler, «anche se il socialismo maggioritario che si affermò in Occidente non era democratico ma comunista, cioè a vocazione oligarchica». Questa distorsione, per Magaldi, spiega la delusione che la sinistra ha riservato a tanti suoi elettori: mentre i socialisti liberali come Craxi (al netto dei loro errori) furono liquidati dal nascente regime neoliberista, furono gli eredi della tradizione comunista a mettersi a disposizione degli oligarchi che, negli anni Novanta, privatizzarono l’Italia e cominciarono a ridurre gli spazi di democrazia, puntando solo sui diritti civili in cambio della svendita dei diritti sociali. Passo dopo passo, abbiamo ristretto ogni spazio civico, fino ad arrivare alla brutale riduzione del Parlamento. Magaldi parla di una «bruttissima pseudo-riforma della Costituzione», che ora rischia di essere confermata dal referendum del 20-21 settembre.«Credo che, alla fine, gli italiani saranno condizionati dalla pessima pedagogia antipolitica, antidemocratica e demagogica di questi anni: moltissimi italiani non hanno nemmeno capito perché votare Sì piuttosto che No», dice il presidente “rooseveltiano”, mettendo a fuoco il problema: «Non c’è più una formazione civica adeguata, né tantomeno l’hanno fatta i mezzi di informazione, in questi mesi». Per questo, Magaldi teme che vincerà il Sì confermativo. «Ma stiano tutti tranquilli», avverte: «Appena possibile rimedieremo a questo eventuale scempio della Costituzione, se dovesse esserci. Tuttavia – aggiunge lo stesso Magaldi – anche se il pessimismo della ragione mi induce a ritenere che prevarranno i Sì, io andrò comunque a votare No».Evidente, in ogni caso, la fibrillazione del governo: Pd e 5 Stelle temono per l’esito delle regionali, e non sono neppure sicurissimi che gli italiani voteranno Sì al referendum. Intanto, Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum” al governo Conte: un pacchetto di proposte per alleviare immediatamente le sofferenze economiche provocate dal lockdown. «Sarà anche calendarizzato l’esordio della Milizia Rooseveltiana», formazione che scenderà in piazza nel caso in cui l’esecutivo non dovesse rispondere, in modo adeguato, alle proposte avanzate. «Finora, l’ultimatum a Conte non è stato ancora presentato, a causa della fluidità della situazione, molto complicata ma anche molto feconda». Proprio in nome di un orizzonte nuovo, che sappia declinare il socialismo liberale nel terzo millennio, il Movimento Roosevelt sosterrà Massimo Della Siega a Varmo e Marco Bonini a Zagarolo, in questo caso nel segno della discontinuità: Bonini ritiene salutare un’alternanza, portando l’ex opposizione al governo di un Comune rimasto per vent’anni nelle mani del centrosinistra. Magaldi crede al lavoro nei Comuni, così come quello nelle Regioni, dove i “rooseveltiani” stanno sostenendo alcuni candidati. «Anche dai territori, grazie a uomini come Bonini e Della Siega – chiosa Magaldi – potrà crescere in modo laico e trasversale quella consapevolezza politica necessaria a sconfiggere la “teologia” neoliberista dell’austerity, per tornare a politiche autenticamente progressiste».«Il Movimento Roosevelt appoggia Marco Bonini come candidato sindaco di Zagarolo, grosso Comune alle porte di Roma, perché crede nella necessità di cambiare orizzonte». E’ esplicito, l’endorsement di Gioele Magaldi nei confronti di Bonini, già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd e ora candidato con il supporto di svariati partiti del fronte opposto, tra cui Lega e Fratelli d’Italia. «Io non ragiono in termini di etichette facili e di superficie», chiarisce Magaldi, che archivia volentieri le categorie destra-sinistra e la contrapposizione solo fittizia tra i due schieramenti, protagonisti entrambi – nella Seconda Repubblica – del progressivo pensionamento della democrazia sostanziale. «Quello che oggi distingue un politico, semmai, è la sua vicinanza (o lontananza) rispetto all’unica ideologia subdolamente imperante, quella del neoliberismo che ha privatizzato e malamente globalizzato il pianeta». Una ideologia sommaria e totalizzante, «che oggi ci propone un orrore come il taglio dei parlamentari, insignificante sul piano del risparmio economico ma tragicamente simbolico: voler ridurre ulteriormente la rappresentanza democratica vuol dire continuare a penalizzare i cittadini, allontanando ulteriormente gli elettori e rendendo gli eletti sempre più irraggiungibili, fedeli solo ai leader di partito».
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Se vincerebbe il Sì: come non dare un dispiacere a Di Maio?
«Se vincerebbe il Sì», è riuscito a dire l’incorreggibile Di Maio nei giorni scorsi, parlando del referendum sul taglio dei parlamentari. Un voto a cui i 5 Stelle si aggrappano, per tentare di nascondere lo squallore assoluto in cui sta annegando il partito-caserma creato da Grillo, l’ex comico che nei giorni scorsi avrebbe mandato all’ospedale un giornalista di Mediaset, Francesco Selvi, che tentava di intervistarlo. «Se vincerebbe il Sì», ha osato dire l’ex vicepremier e attuale ministro (degli esteri). A proposito: l’Italia – ormai sparita persino dalla Libia – non ha più uno straccio di politica estera. Quanto alla politica interna, se la fa dettare per intero dall’Agenda Mondiale dell’Emergenza, elaborata da quella stessa “casta” che fece la fortuna dei grillini, nati come alternativa elettorale, giustizialista, agli abusi dei soliti noti. Non poteva trovare esecutori più docili, il peggior potere internazionale: nessuno, come i grillini, sa obbedire – all’istante – anche agli ordini più indecenti. E nessuno come i grillini ha saputo tradire in modo così atroce gli ingenui elettori, che avevano creduto alle favole sull’Ilva, sul gasdotto Tap, sulla Torino-Lione, sulle trivelle in Adriatico, sugli F-35. In altre parole: su tutto. La beffa più ignobile? La promessa di abolire l’obbligo vaccinale, imposto da Big Pharma tramite Beatrice Lorenzin, sapendo di poter fare dell’Italia un paese-cavia, data l’inconsistenza della sua classe politica.In questa catastrofe epocale, ancor prima che il mondo intero venisse declassato a reparto ospedaliero popolato di pazienti in libertà vigilata, la narrazione del grillismo riesce a deformare anche il grottesco, con le deprimenti sgrammaticature di Di Maio e le solennità tragicomiche ricamate attorno alla barzelletta del reddito di cittadinanza, grazie alla quale poi dichiarare «abbiamo sconfitto la povertà». Tutto questo, un minuto prima che il sistema-Italia si impoverisse per intero e in modo spaventoso, in un colpo solo, precipitando nel baratro del Pil (-15%) per effetto del lockdown “cinese” imposto dall’Oms al prestanome che siede a Palazzo Chigi. Anche lui, l’ex “avvocato del popolo” (in realtà, del potere vaticano amico della Cina), è un regalo del grillismo che ha ingannato il Belpaese, fuorviandolo, proprio mentre cresceva l’insofferenza verso la classe politica. L’ipnosi collettiva ha sdoganato scemenze come il mitico “uno vale uno”, nella caserma politica fondata dal padrone Casaleggio (con Enrico Sassoon) e capitanata dal demiurgo Grillo, che Alessandro Meluzzi definisce «un vecchio arnese del potere democristiano», trasformato in utile pedina dell’élite finanziaria mondiale. «Grillo era in quota alla sinistra Dc alleata dell’ex Pci, e fu chiamato a bordo del Britannia, al servizio dei poteri forti intenzionati a depredare l’Italia, per poi essere riciclato come finto rivoluzionario, allo scopo di depistare la rabbia di milioni di italiani e impantanarla su lidi innocui».Luigi Di Maio è un esemplare perfetto, dello zoo grillino. Prima con Salvini, poi contro. Prima coi Gilet Gialli, poi con Macron. Prima contro l’euro, poi in ginocchio di fronte alla Merkel («ce l’avessimo in Italia, un politico così). Se il mandante occulto è l’élite del Britannia – la “casta”, tradotto in grillese – è persino ovvio che l’ordine sia sempre lo stesso: tagliare l’Italia, rimpicciolendola. Viva la Cina, dunque: e se Pechino non ama la democrazia, tanto meglio. Del resto, dal lockdown in poi, è proprio la democrazia a esser stata tagliata, anche in Italia, e nel modo più brutale, nel silenzio-assenso degli zelanti grillini. Il Parlamento non piaceva granché a Mussolini, e nemmeno a Licio Gelli. Il taglio dei parlamentari era nei piani della P2, ma anche nell’orientamento politico dei magistrati di Mani Pulite, che rasero al suolo i partiti della Prima Repubblica proprio mentre i signori del Britannia allungavano le mani sull’Italia, ormai indifesa. Chiusa la parentesi Berlusconi, comparvero loro: i rivoluzionari all’amatriciana. In pochissimi anni, fino all’attuale apocalisse targata Giuseppe Conte, i grillini sono riusciti a distruggere anche l’ultimo barlume democratico: la fiducia nella possibilità di una politica degna. Scontato, oggi, che premano per tagliare il Parlamento: cosa che andrebbe in porto, «se vincerebbe il Sì». Come resistere, alla tentazione di dare un dipiacere a Di Maio?(Giorgio Cattaneo, 15 settembre 2020).«Se vincerebbe il Sì», è riuscito a dire l’incorreggibile Di Maio nei giorni scorsi, parlando del referendum sul taglio dei parlamentari. Un voto a cui i 5 Stelle si aggrappano, per tentare di nascondere lo squallore assoluto in cui sta annegando il partito-caserma creato da Grillo, l’ex comico che nei giorni scorsi avrebbe mandato all’ospedale un giornalista di Mediaset, Francesco Selvi, che tentava di intervistarlo. «Se vincerebbe il Sì», ha osato dire l’ex vicepremier e attuale ministro (degli esteri). A proposito: l’Italia – ormai sparita persino dalla Libia – non ha più uno straccio di politica estera. Quanto alla politica interna, se la fa dettare per intero dall’Agenda Mondiale dell’Emergenza, elaborata da quella stessa “casta” che fece la fortuna dei grillini, nati come alternativa elettorale (giustizialista) agli abusi dei soliti noti. Non poteva trovare esecutori più docili, il peggior potere internazionale: nessuno, come i grillini, sa obbedire – all’istante – anche agli ordini più indecenti. E nessuno come i grillini ha saputo tradire in modo così atroce gli ingenui elettori, che avevano creduto alle favole sull’Ilva, sul gasdotto Tap, sulla Torino-Lione, sulle trivelle in Adriatico, sugli F-35. In altre parole: su tutto. La beffa più ignobile? La promessa di abolire l’obbligo vaccinale, imposto da Big Pharma tramite Beatrice Lorenzin, sapendo di poter fare dell’Italia un paese-cavia, data l’inconsistenza della sua classe politica.
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Mes e Recovery, la trappola per svenderci a Parigi e Berlino
«Ci si balocca se accettare o no il Mes, mentre l’industria manifatturiera crolla». L’economista Giulio Sapelli lancia l’allarme: è a rischio il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole e medie imprese. Si salvano solo i big (pochissimi) e i comparti alimentare e farmaceutico: tutto il resto sta per collassare, dopo la catastrofe del lockdown. Sul “Sussidiario”, Sapelli cita la recente uscita – sullo stesso newsmagazine – di Domenico Lombardi, già consulente economico del Fmi, che segnala l’enorme budget oggi a disposizione della Tesoreria italiana: 98 miliardi di euro (frutto dell’acquisto massiccio di titoli di Stato, da parte della Bce presieduta da Christine Lagarde). «E allora la risposta del perché si faccia questo rito da avanspettacolo del Mes è tutta nel gioco di specchi in cui si è ormai trasformata la politica italiana ed europea», scrive Sapelli. «Si ripete insistentemente, nelle cancellerie europee e nelle ambasciate, che è da tempo iniziato un pressing sulla mucillaggine peristaltica governativa». Che tipo di pressing? Si vuole che l’Italia «giunga a essere ben disposta a cedere, a talune imprese francesi e tedesche (modello Fca-Psa), assets essenziali di ciò che rimane delle sue imprese di eccellenza medio-grandi».Tutto questo, «per compensare i grand commis de l’État d’oltralpe di aver appoggiato la nostra diplomazia in Europa» nelle trattative sul Recovery Fund. «Appoggio di cui non vi era nessun bisogno – scrive Sapelli – se non quello artatamente creato dalle molecole in movimento nella mucillaggine», molecole debitamente «eterodirette». Per Sapelli, finalmente «si disvela l’arcano»: per realizzarsi pienamente, aggiunge l’economista, la concentrazione capitalistica «dovrebbe integrare in forma subalterna, ossia tipica del capitalismo estrattivo (in questo caso di marca tedesca e francese) segmenti del capitalismo italiano». Attenzione: questo dominio capitalistico-coloniale «i francesi lo sperimentano ancora su larga scala in Africa, usando soprattutto la forza militare», mentre la Germania – priva di un esercito temibile – deve ricorrere a «forme di pressione che sono rese esplicite (e non volute) nel caso Navalny, ossia attraverso un lavorio di intelligence, contro-informazione e indebolimento degli Stati in cui sono localizzate le imprese da “estrarre”, sino a giungere alla corruzione su larga scala, come fu evidente già con il Dieselgate e ora con il caso Wirecard».Sapelli allude all’impresa di pagamenti che è stata prossima ad acquistare Deutsche Bank e che è al centro di uno scandalo finanziario di immani proporzioni, e il cui amministratore delegato «si è rifugiato o in Bielorussia o in Russia, protetto dai servizi segreti tedeschi e russi». Tornando all’Italia, «si capisce bene che ricevere i fondi a prestito del Mes o non riceverli diviene – in questa situazione – solo una sorta di scelta politica, perché di essi non vi è assolutamente nessuna necessità finanziaria». Il guaio? Al governo Conte, e ai partiti che lo sostengono, manca «una linea strategica riformista e produttivista rispetto all’Italia e all’Europa». E così, «la maggioranza mette in scena un dilemma che in realtà potrebbe non esistere: dilaniarsi tra lo scegliere se stare con i populisti di destra o con quelli di sinistra». Si tratta quindi di decidere se vogliamo «cadere nelle mani dei fanatici dell’ierocrazia europeista», oppure «nelle mani di coloro che sono contro l’Europa tout court, secondo i modelli della destra sociale più classica, spesso neonazista, antisemita e in ogni caso tipica di quello che intere biblioteche hanno classificato come “anticapitalismo di destra”».La vera tragedia, conclude Sapelli, è rappresentata dall’inconsistenza politica italiana: in pratica, siamo «una maionese», ma «senza chef». In giro si cono soltanto «cucine da campo improvvisate», ma purtroppo «inamovibili». E nessuno, nella “cucina da campo”, segue la vera questione. E cioè: «I fondi europei che giungeranno sono meno di quelli che si potrebbero raccogliere lanciando un prestito nazionale a lunga scadenza». Allora, ragiona Sapelli, «sarà inevitabile essere sottoposti in Italia alle procedure di controllo della Commissione Europea». Fatale corollario: la «conseguente imposizione delle controriforme fiscali e pensionistiche», cioè le misure ammazza-Italia che si riterranno più idonee «per procedere a quella centralizzazione capitalistica a cui si lavora alacremente, come si è detto, dietro quegli specchi che accecano elettori ed eletti, in par condicio», mentre il paese – cui si propone “l’avanspettacolo” del Mes – si accinge a votare stancamente per le regionali e per il referendum contro il Parlamento, in una situazione in cui il conto alla rovescia annunciato da Bankitalia – nei guai una famiglia su tre – è confermato dalle statistiche che indicano in zona pericolo non meno di 90.000 piccole imprese. E il governo – che ha in cassa quasi 100 miliardi di euro – anziché usare quelli, si prepara a cadere nella trappola del Mes?«Ci si balocca se accettare o no il Mes, mentre l’industria manifatturiera crolla». L’economista Giulio Sapelli lancia l’allarme: è a rischio il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole e medie imprese. Si salvano solo i big (pochissimi) e i comparti alimentare e farmaceutico: tutto il resto sta per collassare, dopo la catastrofe del lockdown. Sul “Sussidiario“, Sapelli cita la recente uscita – sullo stesso newsmagazine – di Domenico Lombardi, già consulente economico del Fmi, che segnala l’enorme budget oggi a disposizione della Tesoreria italiana: 98 miliardi di euro (frutto dell’acquisto massiccio di titoli di Stato, da parte della Bce presieduta da Christine Lagarde). «E allora la risposta del perché si faccia questo rito da avanspettacolo del Mes è tutta nel gioco di specchi in cui si è ormai trasformata la politica italiana ed europea», scrive Sapelli. «Si ripete insistentemente, nelle cancellerie europee e nelle ambasciate, che è da tempo iniziato un pressing sulla mucillaggine peristaltica governativa». Che tipo di pressing? Si vuole che l’Italia «giunga a essere ben disposta a cedere, a talune imprese francesi e tedesche (modello Fca-Psa), assets essenziali di ciò che rimane delle sue imprese di eccellenza medio-grandi».
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Magaldi: Sì al referendum? Un voto a Conte, cioè alla Cina
«Altro che taglio dei parlamentari: vorrei che deputati e senatori fossero il doppio degli attuali, e per giunta pagati il doppio. Non siamo ipocriti: se a pagarli adeguatamente non sarà lo Stato, provvederanno i privati (anche in modo illegale). E se le poltrone verranno tagliate, resteranno “sicure” solo quelle destinate a uomini che, anziché ai cittadini, risponderanno unicamente ai leader di partito». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, stronca la proposta referendaria di decurtazione della rappresentanza democratica, in Parlamento. «E’ triste che a volerla siano soprattutto i 5 Stelle, che un tempo caldeggiavano nobili forme di democrazia diretta come i referendum propositivi: un’idea ottima, a mio avviso, per integrare la democrazia rappresentativa. Peccato che i grillini se la siano completamente dimenticata». L’antipolitica dominante, che oggi gonfia i consensi del facile “sì” al taglio dei parlamentari, sotto la sferza della grande crisi innescata dal lockdown all’amatriciana, secondo Magaldi deriva dalla cocente delusione degli italiani per i leader che si sono succeduti negli ultimi anni: «Personaggi come Berlusconi e Renzi, bravissimi a chiacchiere quanto inconsistenti al lato pratico: stando alle riforme introdotte, il loro bilancio è davvero misero».Un caso addirittura grottesco è quello dei grillini: «Volevano “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, e oggi si ritrovano a puntellare un regime neoliberista che, da decenni, non chiede altro che tagliare ogni rappresentanza popolare: il referendum sulla riduzione dei parlamentari, demagogico e irrisorio sul piano del risparmio economico (vale un caffè offerto agli italiani, in un anno) piace molto ai signori dell’austerity, preoccupati di spegnere gli ultimi spazi di democrazia a disposizione dei cittadini». Non è un caso, aggiunge Magaldi, che i più accesi sostentori del “sì” – da Conte a Di Maio – siano anche «esponenti del partito “cinese”, trasversale alle istituzioni, che ha imposto una gestione dell’emergenza in stile Wuhan, agevolando in più occasioni la penetrazione di Pechino nel sistema-Italia». Lo si è visto anche con l’ultimo via libera concesso dal premier a Huawei (lontano dai riflettori) per sdoganare la tecnologia cinese per il 5G a disposizione di Telecom: un atto che ha irritato gli Usa, che avevano chiesto apertamente al governo italiano di non spalancare le porte del Belpaese a quello che ritegono sia il cavallo di Troia, tecnologico, dell’intelligence del gigante asiatico.Sferzante il giudizio di Magaldi su Conte, che ha raccontato di aver proposto Draghi come presidente della Commissione Ue: una dichiarazione patetica, dice il presidente “rooseveltiano”, da parte di un soggetto che – come tutti sanno, in Italia e in Europa – non ha mai avuto alcun titolo per “candidare”, in qualsivoglia sede immaginabile, un personaggio internazionale del calibro di Draghi. «L’avvocaticchio Conte, incidentalmente ancora primo ministro proprio grazie al Covid, presto tornerà al nulla dal quale è venuto», profetizza Magaldi. «Purtroppo per l’Italia – aggiunge – Conte ha avuto il tempo di disastrare la nostra economia: e se oggi si parla di Draghi, è perché il governo in carica non ha la minima idea di come sfruttare in modo adeguato i prestiti europei del Recovery Fund, non avendo uno straccio di idea su come rimettere in piedi il paese». I complottisti tremano, dopo la dichiarazione di Draghi secondo cui per uscire dal tunnel sarebbe necessario il tracciamento sanitario di massa? Non hanno capito bene, dice Magaldi: in questo modo – certificando lo stato di salute dei cittadini – Draghi toglierebbe dalla circolazione l’arma della paura, finora utilizzata come alibi per paralizzare all’infinito il paese.Autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che descrive il ruolo delle superlogge svranazionali nella sovragestione occulta del potere mondiale, Magaldi – leader del Grande Oriente Democratico e frontman italiano del circuito massonico progressista – fornisce una personalissima lettura degli eventi: la catastrofe planetaria del coronavirus sarebbe stata sfruttata in modo “terroristico” dalla medesima élite reazionaria, anche atlantica, che già negli anni ‘70 – con Kissinger – aveva scommesso sulla Cina neo-capitalista come modello (non democratico) da imporre un giorno a un Occidente senza più libertà né diritti. L’occasione, ghiottissima, si è presentata con il Covid, che ha permesso all’Oms – oggi largamente finanziata da Pechino e da Bill Gates – di trasformare la pandemia in un pretesto per imporre, al resto del mondo, una sorta di polizia sanitaria: l’alibi della paura, per spegnere ogni dissenso e cancellare lo stile vita occidentale.Mentre negli Usa lo stesso Donald Trump ha cercato di resistere all’imposizione dell’autoritarismo indotto con il lockdown (e in Russia persino Putin ha provato a sdrammatizzare, lanciando un vaccino scaccia-panico in anteprima mondiale), l’Italia si è rivelata l’epicentro della tragedia, in Europa. E il governo Conte – strettamente controllato proprio dall’Oms “cinese” – ha imposto il peggior coprifuoco che sia stato adottato nell’intero continente, mettendo in ginocchio l’economia nazionale e senza neppure la forza di contrattare a Bruxelles un adeguato piano di soccorsi finanziari. Magaldi tifa apertamente per Mario Draghi, e spiega: insieme a Christine Lagarde (e ad altri pezzi da novanta del potere mondiale, interamente massonico), l’ex numero uno della Bce ha abbandonato i vecchi sodali del fronte oligarchico per abbracciare una prospettiva rooseveltiana e keynesiana, fondata sul recupero della sovranità democratica dopo i decenni dell’austerity e della globalizzazione neoliberista. Per questo Draghi fa paura: non tanto all’irrilevante Conte, quanto ai suoi sponsor “cinesi”, ben lieti di imporre agli italiani – col referendum sul taglio del Parlamento – l’ennesima restrizione dei residui spazi democratici.«Altro che taglio dei parlamentari: vorrei che deputati e senatori fossero il doppio degli attuali, e per giunta pagati il doppio. Non siamo ipocriti: se a pagarli adeguatamente non sarà lo Stato, provvederanno i privati (anche in modo illegale). E se le poltrone verranno tagliate, resteranno “sicure” solo quelle destinate a uomini che, anziché ai cittadini, risponderanno unicamente ai leader di partito». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, stronca la proposta referendaria di decurtazione della rappresentanza democratica, in Parlamento. «E’ triste che a volerla siano soprattutto i 5 Stelle, che un tempo caldeggiavano nobili forme di democrazia diretta come i referendum propositivi: un’idea ottima, a mio avviso, per integrare la democrazia rappresentativa. Peccato che i grillini se la siano completamente dimenticata». L’antipolitica dominante, che oggi gonfia i consensi del facile “sì” al taglio dei parlamentari, sotto la sferza della grande crisi innescata dal lockdown all’amatriciana, secondo Magaldi deriva dalla cocente delusione degli italiani per i leader che si sono succeduti negli ultimi anni: «Personaggi come Berlusconi e Renzi, bravissimi a chiacchiere quanto inconsistenti al lato pratico: stando alle riforme introdotte, il loro bilancio è davvero misero».
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Meno democrazia: fa comodo ai 5 Stelle e ai boss di partito
Una riforma che per punire la politica punisce il Parlamento equivale a prendere a calci l’automobile perché il pilota è scarso. Il taglio peggiorerà il sistema politico italiano e suoi eventuali sviluppi ulteriori potrebbero essere ancora più gravi, se saranno quelli che vuole il Movimento 5 Stelle. L’unica riforma seria da fare sarebbe quella di sottrarre, alla maggioranza del momento, il potere di scriversi la legge elettorale che gli fa più comodo, imponendo il quorum dei due terzi. Dico No al taglio dei parlamentari, perché a favore del taglio stanno solo motivazioni di tattica politica dei singoli partiti, 5 Stelle compresi, i quali sono riusciti a portare sulle loro posizioni prima la Lega, in cambio dell’autonomia differenziata, e poi il Pd, in cambio del patto di governo del settembre 2019 e della promessa di una nuova legge elettorale. Nel merito, non c’è nessuna evidenza scientifica che il semplice taglio dei parlamentari migliori rappresentatività ed efficienza delle Camere. I risparmi? I 500 milioni a legislatura sono poi 100 milioni scarsi all’anno. E siccome quei 100 milioni sono lordi, si scopre che alla fine i risparmi sono, all’incirca, di 60 milioni all’anno. Che, in un paese di 60 milioni di abitanti, non mi pare proprio un grande argomento. Però lo si ripropone ancora: segno che non c’è molto di più.Chi vincerà? È chiaro che dopo trent’anni di delegittimazione della politica, la tentazione può essere quella di votare un Sì punitivo. È che, se delegittimi le forme tradizionali della politica, poi che cosa ti resta? Qualcuno che fa politica c’è sempre, solo che la fa in sedi diverse da quelle pubbliche. Il ruolo del M5S? Arrivare a questo referendum è stato un loro capolavoro. Da un sì guadagneranno ossigeno, visto che le previsioni sulle regionali non appaiono per loro troppo rosee. Non mi aspetto una grande affluenza ai seggi, in tempi di Covid, e non vedo nemmeno un grande interesse. È una riforma che rischia di passare in sordina e che, alla fine, porterà solo ad una riduzione dei gruppi parlamentari. Sarà più facile per i partiti – o meglio, per le segreterie di partito – controllare i rispettivi gruppi. E’ così da quando i partiti sono diventati partiti personali, che selezionano i loro rappresentanti sulla base di un criterio di fedeltà al capo. Ha ragione Giulio Sapelli, a dire che ormai la cifra del sistema politico italiano è diventato il “caciquismo” sudamericano. Oggi non abbiamo più partiti strutturati che formano e selezionano un personale politico.Tangentopoli ci ha lasciato compagnie di ventura guidate da cacicchi locali, che si affrontano senza strategie a lungo termine. E che devono mandare in Parlamento masse di manovra di fedeli. Gruppi più piccoli e compatti sono più facili da manovrare. Viene da qui l’ambiguità delle posizioni dei partiti sul referendum: in fin dei conti, gli fa comodo e gli semplifica la vita. Che poi questo, a lungo termine, significhi un grosso passo avanti verso lo smantellamento del sistema parlamentare, interessa poco: quel che importa sono gli effetti politici a breve. Si dice: la riduzione non ha senso, perché non è inserita in una riforma più ampia, ad esempio quella di un superamento del bicameralismo? È piuttosto vero. In sé il taglio non ha un gran senso. Ma ha senso se collocato all’interno di un triangolo fatto di taglio dei parlamentari, potenziamento della legislazione popolare ed eliminazione o revisione del libero mandato del parlamentare. Nel progetto originario del M5S stavano – e stanno ancora – proprio queste cose. Portare ogni anno i cittadini a votare in referendum su leggi popolari, tagliare i parlamentari e vincolare in Costituzione i parlamentari alle direttive di partito, una sua logica ce l’ha. È la logica della sostituzione della democrazia parlamentare con la democrazia diretta.In realtà questa è la versione pubblicamente spendibile del progetto, la cui diffusione è affidata ai vari Fraccaro e Di Maio. Alla base di questo discorso sta in realtà un pensiero diverso, a metà tra la futurologia e la cibernetica, per cui i Parlamenti sarebbero destinati alla soffitta, sostituiti dal plebiscito continuo di cittadini connessi dai palmari sui social. Basta vedersi certi filmati in rete su “Gaia” e su “Prometeus” (senza h), della Casaleggio e Associati, per rendersi conto che dietro a certe idee sta un nucleo che non può essere proposto direttamente senza essere confinati nell’ambito dell’irrilevanza visionaria. Ma quello è alla base di tutto. La Piattaforma Rousseau, ad esempio, viene da lì. Quanto al Pd, ufficializzerà la sua posizione sul referendum in una direzione nazionale il 7 settembre (aveva detto di essere per il Sì). Il Pd su questa riforma è in grave difficoltà, visto che la sua base è in larga misura parlamentarista, e ha avversato questa riforma nei mesi precedenti. Solo che da una parte sta l’accordo di governo, insieme alla promessa di una nuova legge elettorale, e dall’altra un bel pezzo del suo elettorato.Tant’è vero che il Pd, dopo esser stato per trent’anni maggioritario, ora vuole una legge elettorale proporzionale. E in contemporanea rispolvera certi vecchi discorsi, in cui il taglio dei parlamentari doveva accompagnarsi al maggioritario in una logica da democrazia d’investitura di tipo francese. È la seconda volta che il Parlamento vota per autolimitarsi: la riforma dell’immunità parlamentare nel 1993 e adesso il taglio dei parlamentari. Questa riforma è figlia di Tangentopoli e ne rappresenta in qualche modo il completamento. È da allora che si è risuscitata la tradizione dell’antiparlamentarismo italiano, sulla base dell’equazione tra classe politica e Parlamento. E i frutti di quella resurrezione sono ora sotto gli occhi di tutti. Il messaggio è che per punire la politica bisogna colpire il Parlamento: a questo siamo arrivati. In realtà questa è una riforma che, in mancanza di sviluppi ulteriori, ratificherà soltanto il “caciquismo” del sistema politico italiano e la riscrittura continua della legislazione elettorale, in perfetto stile sudamericano. Altro non produrrà.(Alessandro Mangia, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù nell’intervista “Il taglio dei parlamentari è solo la prima di tre riforme pericolose”, pubblicata dal “Sussidiario” il 1° settembre 2020. Il professor Mangia è ordinario di diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano).Una riforma che per punire la politica punisce il Parlamento equivale a prendere a calci l’automobile perché il pilota è scarso. Il taglio peggiorerà il sistema politico italiano e suoi eventuali sviluppi ulteriori potrebbero essere ancora più gravi, se saranno quelli che vuole il Movimento 5 Stelle. L’unica riforma seria da fare sarebbe quella di sottrarre, alla maggioranza del momento, il potere di scriversi la legge elettorale che gli fa più comodo, imponendo il quorum dei due terzi. Dico No al taglio dei parlamentari, perché a favore del taglio stanno solo motivazioni di tattica politica dei singoli partiti, 5 Stelle compresi, i quali sono riusciti a portare sulle loro posizioni prima la Lega, in cambio dell’autonomia differenziata, e poi il Pd, in cambio del patto di governo del settembre 2019 e della promessa di una nuova legge elettorale. Nel merito, non c’è nessuna evidenza scientifica che il semplice taglio dei parlamentari migliori rappresentatività ed efficienza delle Camere. I risparmi? I 500 milioni a legislatura sono poi 100 milioni scarsi all’anno. E siccome quei 100 milioni sono lordi, si scopre che alla fine i risparmi sono, all’incirca, di 60 milioni all’anno. Che, in un paese di 60 milioni di abitanti, non mi pare proprio un grande argomento. Però lo si ripropone ancora: segno che non c’è molto di più.
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Bizzi: la farsa Covid è finita, ora licenziano il golpista Conte
«La “pandemia” è finita, andate in pace». Lo annuncia lo storico Nicola Bizzi, editore di “Aurora Boreale”. «Dopo settimane di terrorismo psicologico alimentato ad arte dal governo Conte e dalla sua torbida corte di nani e ballerine, anche e soprattutto attraverso la grancassa di risonanza dei media compiacenti e le sparate televisive di personaggi di squallore come i sedicenti “virologi” Andrea Crisanti e Walter Ricciardi, pare proprio che il vento sia cambiato», scrive Bizzi su “Database Italia“. In altre parole: “qualcuno” ha deciso che dovesse cambiare, il vento. Basta leggere quello che scrive «il potentissimo gruppo “Espresso-Repubblica”, che rappresenta da oltre trent’anni un vero e proprio partito occulto, capace di manipolare l’opinione pubblica». E’ evidente che ha dichiarato guerra al governo Conte: nelle ultime settimane, «l’esecutivo golpista giallorosso è stato infatti bersaglio, da parte di questo “partito occulto”, di un intenso bombardamento mediatico che, in maniera chirurgica, si è accanito su tutti i suoi nervi scoperti». La netta presa di posizione di “Repubblica” per la campagna del No al referendum sul taglio dei parlamentari – osserva Bizzi – è stata inoltre interpretata come una vera e propria dichiarazione di guerra a Conte e ai suoi accoliti. «Non facciamoci facili illusioni: Barbapapà Scalfari, Carlo De Benedetti e i loro “nipotini” non sono certo rinsaviti di colpo».
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Magaldi: la paura (Conte, Monti) o il coraggio, cioè Draghi
La politica italiana sta platealmente corteggiando Mario Draghi, in veste di ipotetico salvatore della patria, dopo il disastro nel quale Giuseppe Conte ha sprofondato il paese. «Ma lo stesso Draghi – come peraltro richiestogli – sta ben attento a non cedere a nessun compromesso al ribasso: sarà spendibile solo per fare grandi cose, in grado di capovolgere la situazione». Ovvero: liberare l’Italia dalla doppia schiavitù della quale è prigioniera: il ricatto della paura costruito da Conte col pretesto della pandemia e la sudditanza rispetto a un’Ue che, «con i quattro baiocchi del Recovery Fund (neppure investiti in modo strategico, ma sprecati in maniera malamente assistenziale) ci costringerà a pagare il conto, salatissimo, dell’ennesimo “debito cattivo”, come spiegato al Meeting di Rimini proprio da quel Draghi che, a marzo, sul “Financial Times”, propose un ben diverso orizzonte: e cioè, fronteggiare la crisi planetaria innescata dal virus emettendo miliardi a fondo perduto, destinati a non trasformarsi affatto in debiti da ripagare». Gioele Magaldi fotografa così i giorni convulsi che stiamo vivendo, in bilico tra catastrofe e rinascita: da una parte il nuovo Draghi, conquistato alla causa progressista dopo i lunghi trascorsi nella peggiore élite reazionaria del neoliberismo, e dall’altra un irriducibile nemico della democrazia sostanziale come Mario Monti, sfacciatamente messo a capo delle politiche dell’Oms per l’Europa.«La nomina di Monti è un’autentica vergogna, che denunceremo in ogni sede – tuona Magaldi, massone progressista – fino a quando il “fratello” Mario non avrà rassegnato le dimissioni: è uno scandalo che si affidi l’indirizzo europeo della sanità proprio al personaggio che operò i tagli che, la scorsa primavera, hanno reso il sistema sanitario italiano più debole e vulnerabile di fronte all’esplosione pandemica». In web-streaming su “MrTv”, la web-tv aperta dal Movimento Roosevelt, Magaldi cita i versi di Fabrizio De Andrè: i “buoni consigli” di Monti sono quelli di chi, per raggiunti limiti di età, «non può più dare il cattivo esempio». Vale anche per Sergio Mattarella, sostiene Magaldi, rinfacciando al capo dello Stato la scelta di negare a Paolo Savona, nel 2018, l’accesso a una leva strategica come il ministero dell’economia, «che da Savona sarebbe stato gestito assai meglio, che non da Giovanni Tria». Fu proprio quella mossa, richiesta dalle potenti oligarchie massoniche reazionarie – dice Magaldi – a sabotare in partenza le ambizioni del governo gialloverde, certamente fragile ma capace di spaventare gli eurocrati come il tedesco Günther Oettinger, portavoce della massoneria “neoaristocratica” (la stessa di Monti), che si premurò subito di avvertire gli italiani che sarebbero stati “i mercati” a insegnare loro come votare.Da allora sembra passato un millennio: i 5 Stelle, che due anni fa erano alle prese con le loro rivoluzionarie promesse elettorali, ora fanno da ruota di scorta a un Pd ridotto in brandelli, che non vede l’ora di liberarsi di Conte ma intanto è impantanato dalla segreteria di Zingaretti, che – dopo aver sprecato 14 milioni di euro in mascherine mai arrivate alla Regione Lazio – ora vorrebbe imporre ai laziali over-65 (e ai sanitari) la vaccinazione antinfluenzale. «Il Movimento Roosevelt – precisa Magaldi, che ne è il presidente – è tra quanti hanno chiesto al Tar di sospendere l’esecutività dell’ordinanza di Zingaretti: l’istanza di sospensione non è stata accolta, ma la battaglia non è finita: a breve, il Tar dovrà pronunciarsi nel merito, valutando cioè l’inopportunità della somministrazione obbligatoria di un vaccino che secondo gli stessi medici non avrebbe efficacia nel quadro del contenimento del Covid». Per molti anziani, addirittura, la vaccinazione antinfluenzale potrebbe essere pericolosa per la loro salute: «Se davvero la si volesse imporre, limitando in caso contrario la loro libertà di movimento – avverte Magaldi – si aprirebbe un contenzioso di altro genere, rispetto al quale Zingaretti è bene che si prepari fin d’ora».Di vaccini inopportuni ha parlato – a Berlino – nientemeno che l’avvocato Robert Kennedy junior, nella giornata di protesta contro il “distanziamento universale” che ha radunato milioni di manifestanti (non solo nella capitale tedesca, ma anche in città come Londra, Zurigo e Madrid). «Robert Francis Kennedy milita nel nostro circuito sovranazionale, quello della massoneria progressista», precisa Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che svela il ruolo occulto delle superlogge nella sovragestione politica. Al netto di quella che Magaldi definisce «l’ossessione di Kennedy per i vaccini», e senza però sottovalutare «il ricorso troppo disinvolto a determinati vaccini, da parte di una sanità che tende a somministrarli depenalizzando i produttori e proponendo quindi l’immunizzazione piuttosto che la cura delle malattie», Magaldi sottolinea il valore simbolico dell’intervento di Kennedy a Berlino, che ha citato espressamente lo storico discorso di suo zio, John Kennedy, nel ‘61: se il Muro di Berlino era il simbolo del totalitarismo del dopoguerra (quello dell’Urss), oggi – per il nipote – la protesta dei berlinesi è una grande risposta alla nuova tentazione totalitaria, quello di chi sta cavalcando il Covid in modo forsennato, sfruttando la paura.Per Magaldi, il figlio di Bob Kennedy potrebbe – domani – diventare un player importante, negli Usa, se si volesse ricostruire una prospettiva rooseveltiana e keynesiana, concentrata sul pieno recupero della democrazia e dei diritti sociali che il neoliberismo ha eroso, scolorito e cancellato. Del resto, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, sono eminenti economisti ad ammettere, oggi, che la globalizzazione neoliberale – fatta di solo mercato – è praticamente fallita. L’aveva annunciato già negli anni ‘90 il grande antropologo svizzero Jean Ziegler nel saggio “La privatizzazione del mondo”, spiegando che lo smantellamento del welfare avrebbe impoverito le popolazioni e messo fuori uso i servizi, a cominciare da quello sanitario, in Italia letteralmente devastato da Mario Monti. Insieme a Elsa Fornero (tuttora interpellata in televisione, come se fosse un esempio di governatrice illuminata), lo stesso Monti ha terremotato anche il sistema pensionistico, rendendo più debole la società e aumentando l’insicurezza: problemi che oggi stanno letteralmente per esplodere di fronte alla crisi-Covid, rispetto a cui Giuseppe Conte non ha soluzioni: «Molte famiglie stanno esaurendo i soldi, e gli imprenditori – che temono di chiudere i battenti, o di dover vendere la loro casa per salvare l’azienda – sanno che gli spiccioli del Recovery Fund arriverebbero solo a rate e a piccolissime dosi: troppo poco, e troppo tardi».Al di là degli imbarazzanti proclami di Conte – sonoramente contestato a Catania, nei giorni scorsi, al grido di “buffone” – è infatti proprio la catastrofe incombente (90.000 imprese a rischio, non meno di 5 milioni di posti di lavoro secondo l’Istat) a spingere i nani della politica italiana verso il possibile salvatore Mario Draghi. Persino “Dagospia” ha segnalato «un codazzo di auto blu, sotto la casa romana dell’ex presidente della Bce». Il crollo del sistema-Italia è paventato dalla stessa banca centrale: una famiglia su tre – avverte Bankitalia – a ottobre potrebbe non sapere più come arrivare a fine mese. Se il governo giallorosso sembra quindi avere le ore contate, non è certo da questo Parlamento che potrebbe venire una soluzione: si pensa a un esecutivo di salvezza nazionale, come quello varato da Monti nel 2011 ma di segno diametralmente opposto. Ormai la recita è finita: di che pasta sia fatta, questa Unione Europea, lo hanno capito tutti. Serve una rivoluzione copernicana, come quella evocata da Draghi sul “Financial Times”: ossigeno illimitato, sotto forma di miliardi, fino a quando l’economia non si sarà ripresa. Succederà? Dipende: la partita è complessa, ammette Magaldi, che indica un altro ostacolo ingombrante, ovvero la Cina. Meglio ancora: il “partito cinese” che opera tra le quinte del governo Conte.«Nei giorni scorsi – dice Magaldi – ho letto su “La Verità” che stanno emergendo gravi responsabilità di Conte, nel ritardo con cui è stata gestita la fase iniziale dell’emergenza, senza contare l’invio – proprio in Cina – di materiali sanitari che, di lì a poco, sarebbero stati preziosi in Italia, dove invece scarseggiavano». Non solo: è di qualche giorno fa la forte irritazione degli Usa nei confronti di “Giuseppi”, che l’8 agosto – con un decreto mantenuto riservato – ha concesso a Telecom un primo via libera per utilizzare la tecnologia Huawei per il 5G, contravvenendo così alle esplicite richieste della Casa Bianca. Per Magaldi, in Italia il clan filo-cinese «include il massone reazionario Romano Prodi, che ambisce al Quirinale». L’ombra della Cina – che omai di fatto controlla l’Oms – si allunga anche sulla scandalosa nomina di Mario Monti, altro esemplare della massoneria oligarchica che ha messo in croce l’Italia utilizzando l’austerirty Ue per i propri inconfessabili scopi di natura privatistica. E’ lo stesso clan, insiste Magaldi, che – a partire dalla fine degli anni ‘70, con Kissinger – ha contribuito a creare la Cina di oggi, un “mostro” bifronte (benessere economico, ma niente democrazia), come modello per un futuro Occidente senza più diritti: come quello che gli strateghi del Covid stanno cercando di imporre, a colpi di restrizioni, ben sapendo che in questo modo si lasciano collassare intere economie, come quella italiana.Magaldi celebra «la grandezza di Mario Draghi», dimostrata dalla capacità di cambiare radicalmente i propri convincimenti, «arrivando così anche a farsi perdonare le tante colpe del passato», cioè gli anni in cui Super-Mario dirigeva dal Tesoro la svendita del Belpaese, e poi – dalla Bce – non muoveva un dito per salvare l’Italia dalla tempesta dello spread. Il ribaltamento dei ruoli è un clamoroso indicatore di quanto sta succedendo, in Italia e nel mondo: da un parte i big come Draghi, convertiti al socialismo liberale e all’economia keynesiana (citata e praticata dallo stesso Donald Trump), e dall’altra gli irriducibili oligarchi che manovrano Conte, in uno scenario in cui galleggiano il silenzioso Mattarella, il mai pentito Prodi e l’impresentabile Monti, legatissimo alla “sorella” Merkel e ora premiato – in spregio all’Italia – dagli oscuri burocrati dell’Oms finanziata da Pechino e da Bill Gates, l’uomo che sogna il microchip obbligatorio per l’umanità. Di fronte al collasso politico planetario imposto dalla gestione della Grande Paura, l’agenda elettorale italiana è risibile: le regionali del 20-21 settembre ripropongo la farsa del finto scontro tra centrodestra e centrosinistra, mentre alla vigilia del referendum che propone di tagliare anche l’ultimo pezzo di democrazia (il Parlamento) si indebolisce di giorno in giorno l’entusiasmo dei “tagliatori”. Se l’orizzonte che conta è quello delle presidenziali Usa del 5 novembre, con il finto progressista Biden opposto a un Trump sostenuto dai massoni progressisti, il paesaggio italiano – in attesa che l’increscioso Conte esca di scena – è dominato da due totem altrettanto contrapposti: da una parte il lugubre Monti, dall’altra l’irriconoscibile Mario Draghi.La politica italiana sta platealmente corteggiando Mario Draghi, in veste di ipotetico salvatore della patria, dopo il disastro nel quale Giuseppe Conte ha sprofondato il paese. «Ma lo stesso Draghi – come peraltro richiestogli – sta ben attento a non cedere a nessun compromesso al ribasso: sarà spendibile solo per fare grandi cose, in grado di capovolgere la situazione». Ovvero, liberare l’Italia dalla doppia schiavitù della quale è prigioniera: il ricatto della paura costruito da Conte col pretesto della pandemia e la sudditanza rispetto a un’Ue che, «con i quattro baiocchi del Recovery Fund (neppure investiti in modo strategico, ma sprecati in maniera malamente assistenziale) ci costringerà a pagare il conto, salatissimo, dell’ennesimo “debito cattivo”». Lo ha spiegato al Meeting di Rimini proprio quel Draghi che, a marzo, sul “Financial Times”, «propose un ben diverso orizzonte: e cioè, fronteggiare la crisi planetaria innescata dal virus emettendo miliardi a fondo perduto, destinati a non trasformarsi affatto in debiti da ripagare. Gioele Magaldi fotografa così i giorni convulsi che stiamo vivendo, in bilico tra catastrofe e rinascita: da una parte il nuovo Draghi, conquistato alla causa progressista dopo i lunghi trascorsi nella peggiore élite reazionaria del neoliberismo, e dall’altra un irriducibile nemico della democrazia sostanziale come Mario Monti, sfacciatamente messo a capo delle politiche dell’Oms per l’Europa.
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Pd-M5S: messaggio all’Ue per sacrificare il disastroso Conte
Questo governo è nato l’anno scorso con l’unica motivazione di bloccare Salvini. Non ha mai avuto un progetto, ma soltanto uno scopo negativo. Anche per questo, dopo un anno di vita, ha prodotto risultati disastrosi. In più ha creato un piedistallo a Conte. Il capo del governo si è imposto su Di Maio e Zingaretti perché dalla mancanza di una visione politica dei partiti di maggioranza ha ricavato un grande spazio di manovra, che la pandemia di Covid-19 ha aumentato. Per “risultati disastrosi” mi riferisco all’incapacità del governo in materia economica, che è davanti a tutti. Il punto è che questi risultati così carenti non interessano né al Pd né ai 5 Stelle. Li infastidisce piuttosto il fatto che Conte sia diventato il dominus della maggioranza. Da qui il “patto di ferragosto” tra Pd e 5 Stelle, che va visto come il tentativo da parte di M5S e Pd di superare la loro debolezza, tentando di stipulare alleanze locali. Diventeranno un solo partito? Impossibile dirlo, adesso: pur essendo da un anno insieme al governo, non hanno elaborato una visione. Essenzialmente per un motivo: il M5S è nato come forza di contestazione della “casta”; ma la casta, intesa come principale forza di governo, è sempre stata il Pd.I Cinquestelle sono arrivati in Parlamento nel 2013, quando c’era il governo Monti e il Pd dava la linea, poi si sono susseguiti vari governi ispirati dal Pd fino al 2018. Tra le due forze, M5s e Pd, l’opposizione era totale. Nel 2019 si sono messi insieme senza uno straccio di riflessione. Ora cercano di creare le condizioni per fare un’alleanza, ma ciò implica che il M5S cambi pelle. Cosa dovrà diventare? Una specie di partito di estrema sinistra, disposto ad allearsi con il partito della sinistra di governo. Non è una peculiarità italiana: mi viene in mente l’esempio di Podemos in Spagna, che ha una consistenza non molto lontana dai 5 Stelle e governa con i socialisti. Ora l’obiettivo di M5S e Pd è dare una base politica all’alleanza. Una prima indicazione verrà dalle elezioni regionali prossime venture. Poi c’è il dato strategico: l’Italia attraversa la più grave crisi dal dopoguerra. Sembra che M5S e Pd vogliano farcelo dimenticare, ma non è possibile nascondere a lungo la polvere sotto il tappeto. Dove sta la questione? Avere una strategia vuol dire capire cosa fare, davanti a un cumulo di problemi enormi. Il Pil registra una caduta dell’11-12%, il debito pubblico lieviterà al 180% del Pil. Intorno a noi la situazione internazionale diventa sempre più complessa e difficile, dalla Libia al Libano, dal Mediterraneo orientale ai rapporti con la Cina.Siamo al centro di una grande area di crisi e non abbiamo una linea di difesa degli interessi nazionali. A settembre, quando riprenderà la vita politica, questi nodi faranno tutt’uno con l’emergenza economica. Affrontare problemi di tale gravità con un’alleanza che non è un’alleanza è veramente un azzardo. In questo patto per sopravvivere: qual è l’elemento più debole, M5s o il Pd? Finora i sacrifici principali li ha fatti il Pd, perché per tenere insieme l’alleanza di governo ha dimenticato la propria storia. È nato come partito a vocazione maggioritaria, adesso vuole il proporzionale e non riesce a ottenerlo. Aveva una vocazione produttivista e vi ha rinunciato. Ha sempre difeso la centralità del Parlamento, dai tempi del Pci a quelli di Berlusconi, e adesso vota il taglio dei parlamentari sulla base di motivazioni anti-casta. Sarà il Pd a diventare grillino? Ci sono fattori strutturali, a impedirlo. Il Pd è un partito organizzato ed è il riferimento primario di forti interessi internazionali. La cosa più rilevante che ha fatto questo governo è stata quella di presentarsi con il cappello in mano in Europa per chiedere più soldi possibili. Li ha ottenuti, peraltro a debito.Ma adesso l’establishment europeo, che secondo me è stato l’artefice vero della nascita del governo Conte 2, è molto preoccupato: perché vede che in Italia c’è un gran pullulare di spese che fanno salire il debito. I bonus non aiutano l’economia, e la cassa integrazione non può durare in eterno. È evidente che, in vista dei passaggi gravi e difficili dell’autunno 2020 e di tutto il 2021, fino all’elezione del presidente della Repubblica, va costruita una guida più salda. Altrimenti l’Italia creerà problemi a tutti. Vuol dire mandare a casa Conte? In Europa viene vista con favore ogni operazione che possa favorire un consolidamento politico, e il rafforzamento – sulla carta – dell’alleanza M5S-Pd è considerato un fatto positivo. Dopodiché, che questa maggioranza continui a essere guidata da Conte o che i due partner preferiscano un altro assetto, è una cosa che decideranno le circostanze. Dunque Conte è sacrificabile. È quasi una legge fisica: più sono deboli i partiti che lo sostengono, più si rafforza il premier in apparenza non politico. Più i partiti si rafforzano, meno determinante diventa il leader non politico. Che cosa potrebbe guastare l’ordito di questo quadro? Alla fine ciò che decide è la gravità della crisi economica.(Antonio Pilati, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Zingaretti-Di Maio, messaggio all’Ue per sacrificare Conte”, pubblicata sul “Sussidiario” il 16 agosto 2020. Saggista, già commissario dell’Agcom, Pilati è stato presidente della Fondazione Rosselli).Questo governo è nato l’anno scorso con l’unica motivazione di bloccare Salvini. Non ha mai avuto un progetto, ma soltanto uno scopo negativo. Anche per questo, dopo un anno di vita, ha prodotto risultati disastrosi. In più ha creato un piedistallo a Conte. Il capo del governo si è imposto su Di Maio e Zingaretti perché dalla mancanza di una visione politica dei partiti di maggioranza ha ricavato un grande spazio di manovra, che la pandemia di Covid-19 ha aumentato. Per “risultati disastrosi” mi riferisco all’incapacità del governo in materia economica, che è davanti a tutti. Il punto è che questi risultati così carenti non interessano né al Pd né ai 5 Stelle. Li infastidisce piuttosto il fatto che Conte sia diventato il dominus della maggioranza. Da qui il “patto di ferragosto” tra Pd e 5 Stelle, che va visto come il tentativo da parte di M5S e Pd di superare la loro debolezza, tentando di stipulare alleanze locali. Diventeranno un solo partito? Impossibile dirlo, adesso: pur essendo da un anno insieme al governo, non hanno elaborato una visione. Essenzialmente per un motivo: il M5S è nato come forza di contestazione della “casta”; ma la casta, intesa come principale forza di governo, è sempre stata il Pd.
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Caccia ai ladri di polli, in un pollaio già venduto alle volpi
Grande scandalo e caccia all’uomo, per i 5 polli (o ladri di polli) che hanno richiesto i mitici 600 euro in aggiunta ai quasi 13.000 dell’emolumento parlamentare, in un’aula dove, appena eletto – ricordano Nicola Bizzi e Marco Della Luna – ogni deputato viene assediato da lobbisti di ogni risma, pronti a strapagarlo sottobanco perché favorisca ogni tipo di business, con leggi e leggine, pareri, emendamenti e “suggerimenti” in sede di commissione. Lo tsunami contro i 5 sconsiderati arraffoni si scatena tempestivamente, alla vigilia di un referendum in cui si vorrebbe dimezzare l’intero pollaio in nome della moralità pubblica, in un paese che non decide più niente ma si limita a ratificare decisioni prese altrove, e dove si impedisce persino all’ultimo baluardo civico rimasto, i Comuni, di avere voce in capitolo su materie come il 5G. Tanto varrebbe abolirlo anche di nome, un Parlamento già soppresso (di fatto) dai signori che hanno imposto a Giuseppe Conte di sprangare l’Italia, riducendola in bolletta. Del resto a che serve, ormai, un’aula sorda e grigia dove la maggioranza silenziosa applaude un governo telecomandato da poteri anti-italiani, e la stessa opposizione non osa contrastarne la traiettoria deliberatamente suicida per il sistema-paese?Contro i cinque impresentabili tuona persino il fantasma di Di Maio, forse in memoria delle sue vite precedenti, mentre a fregarsi le mani sono i soliti sovragestori delle vicende italiane: tanto meglio, per loro, se i rappresentanti del popolo perdono anche l’ultima briciola di onorabilità. Quando il copione fu allestito per la prima volta, all’inizio degli anni Novanta, la criminalizzazione della politica ci sprofondò nelle acque in cui si nuota tuttora, con le buche nelle strade e il bilancio italiano scritto direttamente da Angela Merkel. Un piano perfezionato dalla seconda ondata, quella contro l’inguardabile Berlusconi, che propriziò il colpo mortale all’economia del Belpaese e l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, cioè la morte civile dello Stato (inclusi i viadotti che crollano) firmata anche dal giulivo Bersani. Ora a quanto pare siamo all’atto finale: la richiesta, anche formale, di “terminare” l’Italia come potenza industriale e come residuo sistema democratico. Supremi demiurghi dell’illusionismo, i 5 Stelle: strepitarono contro la micro-casta delle auto blu per meglio tacere di fronte alla maxi-casta dell’obbligo vaccinale, fino a estrarre dal cilindro “l’avvocato del popolo”, giunto da lontano sotto mentite spoglie per poi incarcerarlo, il popolo, consegnando la chiave della prigione a menti raffinatissime che non parlano italiano.Il topos umoristico – la volpe a guardia del pollaio – racconta bene gli ultimi tre decenni, dominati da figure sovrastanti come Prodi e Draghi, al servizio dei grandi privatizzatori, fino alla stagione di Grillo e di Colao, della “sindrome cinese” e dei soliti noti che dall’affare-coronavirus pensano di trarre vantaggi definitivi, epocali, in termini di soppressione della sovranità sociale, politica, economica. Quando ancora esistevano i partiti ideologici – quindi, virtualmente, i progetti per il futuro – certo non mancavano i “mariuoli”, ma nemmeno gli statisti. Oggi, le elezioni sono diventate completamente irrilevanti, così come il Parlamento stesso: amputarlo ulteriomente, con il più ipocrita dei referendum (rispamiare due spiccioli per meglio occultare la razzia, la svendita di un intero paese) significa impedire al morto di resuscitare, un giorno, nel caso dovesse ricomparire un brandello di dignità democratica sotto forma di politica. Il popolo delle mascherine correrà in massa a votare per tagliare ulteriormente la rappresentanza, lasciando che siano eletti solo i candidati più lontani dai territori e più fedeli ai leader di cartapesta? Stavolta non servirà nemmeno il quorum, curioso residuato di tempi migliori, in cui il potere politico doveva tener conto almeno degli umori del cosiddetto popolo sovrano.(Giorgio Cattaneo, 12 agosto 2020).Grande scandalo e caccia all’uomo, per i 5 polli (o ladri di polli) che hanno richiesto i mitici 600 euro in aggiunta ai quasi 13.000 dell’emolumento parlamentare, in un’aula dove, appena eletto – ricordano Nicola Bizzi e Marco Della Luna – ogni deputato viene assediato da lobbisti di ogni risma, pronti a strapagarlo sottobanco perché favorisca qualunque tipo di business, con leggi e leggine, pareri, emendamenti e “suggerimenti” in sede di commissione. Lo tsunami contro i 5 sconsiderati arraffoni si scatena tempestivamente, alla vigilia di un referendum in cui si vorrebbe dimezzare l’intero pollaio in nome della moralità pubblica, in un paese che non decide più niente ma si limita a ratificare decisioni prese altrove, e dove si impedisce persino all’ultimo baluardo civico rimasto, i Comuni, di avere voce in capitolo su materie come il 5G. Tanto varrebbe abolirlo anche di nome, un Parlamento già soppresso (di fatto) dai signori che hanno imposto a Giuseppe Conte di sprangare l’Italia, riducendola in bolletta. Del resto a che serve, ormai, un’aula sorda e grigia dove la maggioranza silenziosa applaude un governo telecomandato da poteri anti-italiani, e la stessa opposizione non osa contrastarne la traiettoria deliberatamente suicida per il sistema-paese?
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Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende
Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?Lo scorso 26 aprile l’Italia ha perso uno dei suoi osservatori più scomodi, Giulietto Chiesa: emarginato come complottista, quasi che i complotti non esistessero. Davvero? La Guerra del Vietnam esplose dopo l’incidente del Golfo del Tonchino; nel 1964, gli Usa accusarono la marina nordvietnamita di aver attaccato l’incrociatore statunitense Uss Maddox. Ci ha messo quarant’anni, la verità, a emergere: nel 2005, tramite la Nsa, l’intelligence di Washington ha finalmente ammesso che quello scontro navale non era mai avvenuto: era solo una fake news, per inscenare il casus belli. Molto più recentemente, siamo stati capaci di invadere l’Iraq, disastrando un’area che poi sarebbe diventata il brodo di coltura del cosiddetto terrorismo “islamico”, grazie alla maxi-bufala mondiale delle inesistenti armi di distruzione di massa in dotazione a Saddam Hussein. Era anche quella un’invenzione, rilanciata in mondovisione dalla “fialetta di antrace” agitata all’Onu da Colin Powell.La preparazione della realtà virtuale da somministrare al pubblico era stata accuratissima, come sempre. Il britannico Tony Blair, in primis, si era dato da fare per accreditare la bufala, in collaborazione con l’intelligence (anche italiana) che fabbricò la falsa pista del Nigergate, in base alla quale il regime di Baghdad – già armato dagli Usa contro l’Iran, anni prima – avrebbe cercato di approvvigionarsi di uranio in quel paese africano. Non che qualcuno possa rimpiangere (a parte molti iracheni, forse) un regime dispotico come quello di Saddam. Ma possibile che loro, i “padroni del discorso”, debbano ricorrere in modo sistematico alla manipolazione, fondata su clamorose menzogne, per ottenere il consenso necessario a supportare grandi cambiamenti? Non potrebbero autorizzare i nostri governanti a dire semplicemente la verità, ancorché sgradevole? Gliene manca il coraggio?Retropensiero: se tanto impegno viene profuso per raccontare il contrario del vero, non viene il sospetto che la nostra opinione in fondo conti parecchio, nonostante si cerchi di declassarla a fenomeno irrilevante? Certo, votiamo inutilmente: i partiti – tutti – poi si piegano sempre a direttive sovrastanti. Parla da sola la vicenda incresciosa dei 5 Stelle, che hanno tradito per intero le loro promesse elettorali. Idem, la storia tutta italiana dei recenti referendum: regolarmente celebrati, ma poi ignorati; il risultato quasi mai applicato, spesso annacquato se non aggirato e sostanzialmente azzerato. Eppure: se il cosiddetto potere ormai scavalca impunemente la democrazia, mortificandola e sterilizzandola nei suoi effetti, perché si affanna così tanto a imporci la sua narrazione disonesta? Non sarà che teme, nonostante tutto, che prima o poi possa insorgere una reazione, da parte del pubblico?Negli anni Ottanta, agli italiani è stato raccontato che era meglio che Bankitalia smettesse di finanziare direttamente lo Stato, a costo zero: era più trendy avvalersi della finanza privata speculativa, pagandole i salatissimi interessi che fecero esplodere di colpo il famoso debito pubblico. Negli anni Novanta, i medesimi narratori hanno cantato le magnifiche sorti e progressive della sottospecie deforme di Unione Europea fabbricata a Maastricht, quella che oggi impedisce all’Italia – devastata dalle conseguenze del lockdown – di rimettere in piedi le aziende che non riescono a riaprire o che chiuderanno tra poco, quelle che licenzieranno i dipendenti in autunno, quelle che scapperanno all’estero o, meglio ancora, si svenderanno agli attuali committenti esteri, specie tedeschi, prima di cedere il timone al capitale cinese o alla mafia nostrana, che già pregusta il banchetto.Tutti a ridere, nel 2020, quando Giulietto Chiesa scrisse – per primo – che non era possibile credere alla versione ufficiale dell’11 Settembre. Ora la voglia di ridere è passata, dopo che i pompieri di New York hanno cercato di far riaprire le indagini, in base alle loro testimonianze personali e alle evidenze scientifiche schiaccianti fornite dai tremila ingegneri e architetti americani del comitato “Verità sull’11 Settembre”: le torri di Manhattan non potevano crollare in quel modo, su se stesse e in pochi secondi, se non fossero state “minate” ben prima dell’impatto degli aerei. Una cosa però è la verità, e un’altra il suo sdoganamento. Tanto per cominciare, certe verità sono troppo indigeste: se anche venissimo scoperti, dicevano i nazisti, nessuno crederà mai che siamo stati capaci di inventarci una cosa come Auschwitz. E’ un fatto che la mente umana, semplicemente, non accetta. La prima risposta è invariabile: non può essere vero, mi rifiuto di crederlo.Il tempo è galantuomo, si dice; solo che se la prende comoda. Caso classico: John Kennedy, assassinato a Dallas nel 1963. Tuttora, le fonti manistream – da Wikipedia in giù – seguitano a incolpare Lee Harvey Oswald, presentato come una specie di squilibrato solitario, confinando nelle “ipotesi cospirazionistiche” la nuda verità dei fatti, fiutata da subito ma emersa solo quando l’allora numero due della Cia, Howard Hunt, scomparso nel 2007, ha confessato in punto di morte che quello di Dallas fu un complotto del Deep State, attuato attraverso varie complicità: la Cia, l’Fbi, la manovalanza della mafia di Chicago e ben tre futuri presidenti degli Stati Uniti (Lyndon Johnson, Richard Nixon e George Bush). A sparare a Kennedy non fu Oswald, ma il mafioso Chuck Nicoletti. Ma a far saltare il cervello al presidente della New Frontier fu il killer di riserva, James Files: reo confesso, tuttora detenuto per altri reati e mai interrogato, su quei fatti, da nessun magistrato.Di Kennedy ha riparlato due mesi fa il grande Bob Dylan, con l’epico brano “Murder Most Foul”. L’omicidio di Dallas messo in relazione addirittura con il coronavirus: come se la pandemia che ha paralizzato il mondo nascesse da una regia occulta, direttamente ispirata dagli eredi dei criminali al potere che organizzarono il complotto costato la vita a Jfk. Il 19 giugno è finalmente uscito “Rough and Rowdy Ways”, il disco che contiene la denuncia kennedyana: non si contano gli elogi che la grande stampa profonde per quest’opera musicale del 79enne Premio Nobel per la Letteratura, ma nessun giornalista s’è peritato di scavare tra le righe per decifrare il codice esoterico attraverso cui Dylan lancia un’accusa esplicita, accennando al 33esimo grado che contrassegnava i massoni oligarchici e reazionari che vollero spegnere il sogno di un mondo libero, giusto mezzo secolo fa.Quanto ci vorrà, ancora, prima che un nuovo Howard Hunt confessi il suo ruolo nella strage dell’11 Settembre? Meno di quanto si pensi, forse, calcolando la velocità della crisi in corso e il prestigio dei personaggi che, in vario modo – da Dylan a Mario Draghi, fino a Christine Lagarde e Joseph Stiglitz – si stanno mettendo di traverso, rispetto al copione (emergenza, dunque crisi) messo in scena a livello planetario con la presunta pandemia frettolosamente dichiarata da una strana Oms, supportata dalla Cina. Proprio l’Oms ha provato a imporre ovunque il modello Wuhan, lockdown e coprifuoco, anche a paesi come l’Italia: non avendo più sovrantià finanziaria, a differenza di Pechino, noi non ce lo possiamo proprio permettere, un blocco di tre mesi che già quest’anno costerà 15 punti di Pil e chissà quanti milioni di disoccupati. Questo, almeno, è quello che sta finalmente emergendo, giorno per giorno, agli occhi di tutti: non è stato un affare, rinunciare a Bankitalia. E non era d’oro, la promessa europea che i super-privatizzatori come Prodi avevano fatto luccicare.Unire i puntini? Non è mai facilissimo, specie in mezzo al frastuono assordante di un mainstream che tace l’essenziale e ridonda di gossip politico irrilevante. In primo e piano, ora e sempre, la superficie epidermica della realtà: viene esibita la rozzezza retorica e spesso inaccettabile di Donald Trump, mettendo in ombra il cuore del fenomeno. Un vero e proprio incidente della storia, che ha proiettato alla Casa Bianca un outsider incontrollabile, capace di imporre uno stop alla super-globalizzazione che ha schiantato i lavoratori americani. Istrionico, ambiguo, già aggregato ai democratici, nel 2016 Trump s’è travestito da repubblicano sui generis, riuscendo a fermare il pericolo pubblico numero uno, Hillary Clinton, grande sponsor della nuova guerra fredda contro la Russia. Poi Trump – teoricamente, “di destra” – ha fatto cose che la sinistra (americana ed europea) si poteva solo sognare, negli ultimi decenni: ha dimezzato le tasse e raddoppiato il deficit. Risultato: disoccupazione azzerata. Infine, ha imposto uno storico stop – con i dazi – alla creatura preferita dei globalizzatori atlantici più reazionari e guerrafondai: la Cina.Manco a dirlo, l’emergenza Covid è esplosa a Wuhan un minuto dopo il “niet” inflitto da Trump a Xi Jinping, facendo dilagare la crisi giusto alla vigilia delle presidenziali americane. Come dire: è in gioco qualcosa di enorme, due versioni del mondo. La prima ce l’hanno fatta intravedere anche i prestanome italiani del governo Conte, peraltro non ostacolati minimamente dall’altrettanto farsesca opposizione: lockdown e niente aiuti, repressione orwelliana, distanziamento, mascherine, panico amplificato (bare sui camion militari) e cure efficaci contro il Covid regolarmente oscurate, emarginando i medici che per primi erano riusciti a sconfiggere il nuovo morbo, trasformandolo in malattia normalmente curabile. La seconda ipotesi di mondo – quella per la quale morì Kennedy – è tutta da difendere e da ricostruire, dopo il “golpe” mondiale della finanza neoliberista che s’è inventata persino l’eurocrazia stracciona che impoverisce i popoli e oggi li avvelena, mettendoli l’uno contro l’altro. Di Nuova Frontiera, probabilmente, si può riparlare solo se rivince Trump: se invece perde, prepariamoci a farci spiegare da Bill Gates come sarà la nostra vita domani.(Giorgio Cattaneo, “Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 giugno 2020).Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?