Archivio del Tag ‘recessione’
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Debito, basta ricatti: Obama dichiara guerra a Wall Street
La Casa Bianca dichiara guerra alla finanza speculativa: clamorosa la decisione di Barack Obama, che chiederà 5 miliardi di dollari all’agenzia di rating “Standard & Poor’s” a titolo di risarcimento per i danni causati dalla crisi dei mutui subprime: secondo il governo, il colosso del rating avrebbe ampiamente “gonfiato” le valutazioni di alcuni mutui ipotecari, pur essendo a conoscenza dei rischi che di lì a poco avrebbero scatenato l’inferno della più profonda recessione dagli anni della Grande Depressione. Finora, gli unici politici ad aver messo alla berlina la finanza erano stati gli islandesi, giunti a spedire in galera 9 banchieri accusati del crack del 2008, mentre in Italia – contro le agenzie di rating – si sono mossi i giudici di Trani, secondo cui “Standard & Poor’s” e “Fitch” avrebbero provocato un danno all’Italia stimato in 120 miliardi di euro, generato da analisti finanziari incompetenti e notizie manipolate “a orologeria”, per arrivare alla “tempesta dello spread” che ha insediato il governo Monti su mandato di Bruxelles per conto della finanza internazionale.
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Crisi, nessuna soluzione? Elezioni inutili, vince il non-voto
«Distruggere l’Italia e assistere inerti alla sua rovina? Prego, fate pure. Ma, almeno, non contate su di me: il mio voto ve lo potete scordare». Sembra essere questa l’intenzione di almeno 20 milioni di italiani, alla vigilia delle elezioni di febbraio. Secondo i sondaggi, il primo partito sarà quello dell’astensionismo. Disertare le urne: è l’opzione che tenta soprattutto i più giovani, come rivela una recente rilevazione di “Mtv” tra i ragazzi. Quasi la metà di loro è decisa a non dare il voto a nessuno. Politici e candidati? «Corrotti, incapaci e incompetenti: una vera delusione». Ammesso che – come pare scontato – la campagna elettorale finisca col polarizzare il voto e motivare almeno in parte gli indecisi, arginando la valanga dei “renitenti”, proprio l’astensione sembra destinata a restare protagonista. Disaffezione: convinzione che il voto sia ormai assolutamente inutile, nonostante Grillo e Ingroia.
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Imprese agli operai: si può fare, se lo Stato li aiuta
Usare i beni dello Stato non per privatizzarli, ma come garanzia per le aziende che non vogliono chiudere. O meglio: per i lavoratori che intendono resistere alla chiusura, vedendo ancora spazi di mercato su cui collocare il prodotto del loro lavoro. Produzione a corto raggio, destinata al territorio. Tutto sarebbe risolto, a monte, se l’Italia disponesse di moneta sovrana: a salvare l’economia basterebbe lo Stato. Ma, dovendo sottostare al regime disastroso dell’Eurozona, l’emissione finanziaria statale è impraticabile. Arrendersi alla castastrofe? Al contrario: pur in queste difficilissime condizioni, è possibile trovare risorse alternative per risollevare l’economia. Lo sostiene Aldo Giannuli, dopo uno sguardo rassegnato all’offerta elettorale, una «fiera dell’ovvio» dove tutti promettono crescita, giustizia sociale, equità fiscale, efficienza e occupazione, ma senza uno straccio di idea. Zero assoluto: nessuna soluzione da Monti, Bersani e Berlusconi, ma neppure da Vendola, Ingroia e Grillo.
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Sta arrivando l’inferno, ma i candidati non lo vedono
Sull’Italia sta per scatenarsi l’inferno, ma nessuno lo dice chiaro e tondo: sia i politici che i grandi media non hanno ancora spiegato cosa significano, in concreto, il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio. Tagli sanguinosi: 40 miliardi di euro all’anno, per vent’anni. Traduce Luciano Gallino: vuol dire ridurre in miseria due o tre generazioni di italiani, e retrocedere la nostra economia in sedie D. E tutto questo, aggiunge Giorgio Cremaschi, sulla base di miseri calcoli tragicamente errati: la Merkel, Draghi e Monti hanno inaugurato le micidiali politiche di rigore credendo che un punto di taglio del deficit pubblico avrebbe ridotto la crescita di mezzo punto. Tutto sbagliato: un punto di tagli produce un punto e mezzo di danno economico, cioè tre volte le previsioni. A dirlo non è Cremaschi, ma il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, come riporta il “Sole 24 Ore”.
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Financial Times: Monti il peggiore, sa solo sfasciare l’Italia
Mario Monti, chi? Ah sì, il fenomeno: quello che ha praticato il rigore dell’austerity senza minimamente calcolarne gli effetti. Economia italiana ko, aziende nel panico, lavoratori a spasso, risparmi intaccati, sicurezza sociale terremotata, futuro scomparso dai radar. Giudizio impietoso, quello del “Financial Times” affidato all’editorialista Wolfgang Munchau: il tecnocrate Monti è un incapace, assolutamente inadatto a guidare un paese come l’Italia senza devastarlo. «Monti aveva sostenuto che la sua “salita” in campo serviva a togliere l’Italia dalle mani degli incapaci – osserva il “Keynes Blog” in un intervento ripreso da “Megachip” – ma il “Financial Times” la pensa in modo diametralmente opposto: Monti ha sottovalutato gli effetti dei tagli, peggiorando gravemente la situazione italiana. L’unica crisi che si è affievolita è quella finanziaria: ma il merito non è suo, bensì di Draghi.
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Berlusconi recita a sinistra, mentre Bersani ci farà a pezzi
Caro Ingroia, non fate patti di desistenza con Bersani e colleghi: «Non dategli una mano, perché saranno quelli che faranno la peggiore macelleria sociale della storia del dopoguerra». Giulietto Chiesa non ha dubbi: «Si preannuncia una campagna elettorale molto inquinata, dove il centrosinistra – dopo aver solennemente dichiarato di voler sostenere l’agenda-Monti – dovrà recuperare affannosamente in senso esattamente opposto». E’ lo stesso Monti a fare retromarcia, sostenendo di esser stato “costretto” a varare misure impopolari per via degli “irresponsabili” che gli stanno attorno. Per non parlare del presidente dell’Eurogruppo, Juncker, che è arrivato a citare Marx e la classe operaia per ribadire che, di sola austerity, si muore. Cosa accadrà? «Sta già accadendo: l’agenda-Monti farà perdere voti a Bersani, addirittura più che a Monti – e questa è solo la prima comica».
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Bersani premier, Draghi al Quirinale e Monti a Bruxelles
Mario Draghi al Quirinale dopo Napolitano: l’abbandono anticipato della Bce da parte del super-banchiere italiano aprirebbe a Mario Monti la via di Bruxelles, col pieno sostegno del Pd, nel caso alle elezioni di febbraio – come probabile, visti i sondaggi – l’uomo della Bocconi non raggiungesse un risultato brillante. Sarebbe questa, secondo “Dagospia”, l’offerta avanzata da Pierluigi Bersani in un recente contatto riservato con Monti: convinto di uscire nettamente vincitore dalla tornata elettorale, il Pd si prepara a sostenere la candidatura del premier uscente al Consiglio d’Europa o addirittura alla presidenza della Commissione Europea, offrendo intanto a Monti la “prima scelta” su ministeri-chiave, come Economia ed Esteri, e puntando su Draghi per il Colle.
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Giannuli: dire no-Monti non basta, l’alternativa dov’è?
«Fra un delinquente capace e un onestissimo imbecille è sempre da preferire il primo, non fosse altro perché il delinquente, debitamente sorvegliato, può anche comportarsi correttamente, mentre l’imbecille non può fare altro che comportarsi da imbecille». Parola di Aldo Giannuli, che fotografa il desolante panorama elettorale italiano: gli unici gruppi estranei al disastro politico degli ultimi anni sono quelli di Grillo e Ingroia, e nessuno dei due ha finora detto una sola parola su come uscire dalla crisi che strangola gli italiani. Non guasterebbe «qualche contenuto che non sia proprio aria fritta», scrive Giannuli nel suo blog: «Non basta dirsi “contro Monti”, vorremmo anche sapere qualcosa di più su cosa significa questa proclamazione». Ovvero: cosa si pensa «sulla permanenza nell’euro, su come gestire il debito pubblico, sulla patrimoniale, sul fisco, sulle politiche occupazionali».
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Roubini: Pd e Monti alleati, fingeranno di allentare il rigore
La finanza internazionale, quella che scatenato e pilotato la crisi per sottrarre sovranità democratica e rafforzare il monopolio dei “proprietari universali”, punta sull’asse Pd-Monti per le elezioni italiane. Lo afferma Nouriel Roubini, guru della New York University, in vista delle consultazioni politiche di febbraio. L’analisi è la stessa di Monti e Draghi, a cui Roubini – esattamente come i media mainstream – attribuisce il famoso “risanamento” di cui, come sostengono i poteri forti, il nostro paese aveva bisogno. Una cura da cavallo, in grado di stroncare le economie come quella italiana, destabilizzando la società: proprio per paura delle conseguenze sociali del rigore a oltranza, Roubini enfatizza il ruolo della Bce (a favore delle banche), mentre il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, tuona da Bruxelles contro gli eccessi dell’austerity.
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Consumo di suolo: ne abbiamo solo per altri 60 anni
Sembra incredibile. L’umanità ha coltivato la terra per migliaia di anni, e non c’è nulla che ci appaia più “infinito” della risorsa suolo coltivabile. Invece non è così: sembra che ne abbiamo solo per altri 60 anni, continuando con la tendenza in atto. E non sono catastrofisti svitati o decrescitisti allarmisti a dirlo, ma nientedimeno che il World Economic Forum. Trovate tutto qui sul “Time”, ecco una traduzione: «Un calcolo a spanne dell’attuale tendenza di degrado dei suoli suggerisce che abbiamo circa 60 anni di terra coltivabile rimasta. Il 40% delle terre agricole del mondo sono classificate come degradate o molto degradate – quest’ultima definizione significa che il 70% dello strato superficiale, quello che consente alle piante di crescere, è ormai andato».
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Cambiare si può? Non certo con queste regole europee
Cambiare si può? Lo assicurano gli antiberlusconiani, quelli veri. Mentre gli altri, dopo un anno di sostegno bulgaro al micidiale governo sfascia-Italia, di cambiamento non osano neppure parlare – a meno che non si tratti di pura e innocua cosmesi, alla Renzi. Di cambiamento parla invece volentieri Vendola, ma solo per scherzo: lo sparuto reduce delle primarie ormai sa benissimo di essere ridotto a recitare, sfogliando un libro di sogni che non potranno avverarsi mai. Perché le attuali regole del gioco sono truccate, e spietate: le elezioni sono pressoché inutili, dal momento che la sovranità italiana è finita, confiscata senza contropartite da un’élite finanziaria, la casta europea dei ricchissimi. Senza una ribellione, una aperta violazione dei trattati, l’Italia non ha alcuna possibilità di risollevarsi. Lo sanno tutti, ma non lo dice apertamente nessuno.No al Fiscal Compact: dovrebbe essere il primo punto nel programma elettorale. Invece, quando va bene, si parla di debito e, al massimo, di legalità. Beppe Grillo, il ciclone degli ultimi mesi – accreditato del maggior patrimonio elettorale vocato all’opposizione – non ha ancora chiarito la sua posizione in materia di sovranità nazionale; rivendica una battaglia radicale sulla trasparenza della politica, ma per il momento non va oltre. Più articolato l’approccio del possibile “quarto polo”, che si affaccia alla vigilia delle elezioni al riparo di figure come Ingroia e De Magistris, simboli di dignità e pulizia delle istituzioni; si denuncia l’iniquità della tassazione orizzontale imposta con l’alibi del debito nazionale e si invoca la Costituzione del 1946 come argine maestro contro il dilagare dell’arbitrio, dimenticando però che ben altro ordinamento – la sciagurata “costituzione materiale” dell’attuale Unione Europea antidemocratica – cancella di fatto ogni prerogativa legittima ed ogni possibile forma di equità sociale.La stampa anglosassone demolisce Monti e lo accusa di aver letteralmente devastato l’Italia dalle fondamenta, eppure il paese ancora non reagisce e non trova un’alternativa credibile, una vera via d’uscita – che non può che essere il recupero della sovranità economica nazionale, lo smarcamento dall’oligarchia dell’euro, il ripristino dell’autonomia di bilancio. Agli italiani si chiede un voto praticamente inutile, destinato a premiare ancora una volta le larve annidate in Parlamento e nei partiti, protette dall’establishment della finanza, della banche, delle dinastie industriali, dei media mainstream. Il paese è tramortito dal crollo dell’economia, ma la campagna elettorale ripropone tragiche barzellette. Per l’ennesima volta, nelle urne c’è in palio di tutto, tranne quello che conta: il futuro.Cambiare si può? Lo assicurano gli antiberlusconiani, quelli veri. Mentre gli altri, dopo un anno di sostegno bulgaro al micidiale governo sfascia-Italia, di cambiamento non osano neppure parlare – a meno che non si tratti di pura e innocua cosmesi, alla Renzi. Di cambiamento parla invece volentieri Vendola, ma solo per scherzo: lo sparuto reduce delle primarie ormai sa benissimo di essere ridotto a recitare, sfogliando un libro di sogni che non potranno avverarsi mai. Perché le attuali regole del gioco sono truccate, e spietate: le elezioni sono pressoché inutili, dal momento che la sovranità italiana è finita, confiscata senza contropartite da un’élite finanziaria, la casta europea dei ricchissimi. Senza una ribellione, una aperta violazione dei trattati, l’Italia non ha alcuna possibilità di risollevarsi. Lo sanno tutti, ma non lo dice apertamente nessuno.
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La stampa internazionale: così Monti ha sfasciato l’Italia
A tutti si concede la frase: «Ha fatto almeno questo». L’onore delle armi. Anche il critico più feroce riconosce alla sua vittima un piccolo, insignificante merito. Mussolini ha almeno prosciugato le paludi pontine. Nerone ha almeno costruito la Domus Aurea. Brunetta almeno conosce la ricetta originale della pasta e fagioli. Berlusconi ha almeno evitato il carcere. Fassino aveva almeno una banca, D’Alema ha almeno una barca. Scalfari ha almeno scassato i cosiddetti per quarant’anni filati con i suoi editoriali. Mastella ha almeno una piscina a forma di cozza. Tutti hanno un almeno, anche i più sfigati. Un “almeno” nel proprio curriculum serve per evitare la “damnatio memoriae”, la cancellazione dalla memoria collettiva e la distruzione di ogni traccia che possa essere tramandata ai posteri.Mi sono chiesto quale fosse l’almeno di Rigor Montis, il dimissionario extraparlamentare. Ho pensato allo spread, il suo unico alibi governativo, ma lo spread non si è turbato più che tanto dalla sua prossima dipartita e neppure i titoli di Stato che anzi chiudono in rialzo. Certo, lo ammetto, sono leggermente prevenuto dopo una débacle degna di Caporetto, con disoccupazione, debito, tassazione alle stelle e aziende che muoiono come le mosche d’inverno e il Pil che sprofonda. Ho pensato quindi che l’almeno di Monti fosse la sua reputazione internazionale, nessuno è profeta in patria. Vederlo abbracciato spesso alla Merkel e a Hollande come a due salvagenti personali era più che un indizio di almeno. Ho letto per conferma il “Financial Times”, a firma Wolfgang Munchau: «L’anno di Monti è stato una bolla, buona per gli investitori finché è durata. E probabilmente gli italiani e gli investitori stranieri non ci metteranno molto a capire che ben poco è cambiato nel corso dell’ultimo anno, ad eccezione che l’economia è caduta in una profonda depressione. Due cose devono essere sistemate in Italia: la prima è invertire immediatamente l’austerità, in sostanza smantellare il lavoro di Monti, e la seconda è scendere in campo contro Angela Merkel».Forse il “Ft” è di parte, troppo di sinistra. Ho dato una scorsa al “New York Times”, un articolo di Paul Krugman: «Tecnocrati “responsabili” costringono le nazioni ad accettare la medicina amara dell’austerità; l’ultimo caso è l’Italia, dove Monti lascia in anticipo, fondamentalmente per aver portato l’Italia in depressione economica». Il “Nyt” deve essere comunista. Sono passato a sfogliare il “Daily Telegraph”: «Monti ha portato l’inasprimento fiscale al 3,2% del Pil quest’anno: tre volte la dose terapeutica. Non vi è alcuna ragione economica per farlo. L’Italia ha avuto infatti un budget vicino al saldo primario nel corso degli ultimi sei anni». Maoista! Forse però un almeno lo ha anche Monti. Almeno si toglie dalle balle. Ci vediamo in Parlamento. O fuori o dentro. Sarà un piacere.(Beppe Grillo, “Ha fallo almeno questo”, dal blog di Grillo del 13 dicembre 2012).A tutti si concede la frase: «Ha fatto almeno questo». L’onore delle armi. Anche il critico più feroce riconosce alla sua vittima un piccolo, insignificante merito. Mussolini ha almeno prosciugato le paludi pontine. Nerone ha almeno costruito la Domus Aurea. Brunetta almeno conosce la ricetta originale della pasta e fagioli. Berlusconi ha almeno evitato il carcere. Fassino aveva almeno una banca, D’Alema ha almeno una barca. Scalfari ha almeno scassato i cosiddetti per quarant’anni filati con i suoi editoriali. Mastella ha almeno una piscina a forma di cozza. Tutti hanno un almeno, anche i più sfigati. Un “almeno” nel proprio curriculum serve per evitare la “damnatio memoriae”, la cancellazione dalla memoria collettiva e la distruzione di ogni traccia che possa essere tramandata ai posteri.