Archivio del Tag ‘razzismo’
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Veneziani: dementi, credete che Nero sia meglio di Negro?
Ieri mi ha fermato un africano per vendermi qualcosa e mi ha detto “Fratello bianco”. Io gli ho risposto: «Ma come ti permetti?». Lui è rimasto allibito, pensando che ce l’avessi col fratello, invece ho proseguito: «A me, bianco non me l’ha mai detto nessuno», alludendo alla mia carnagione scura. Lui ha sorriso e mi ha detto: «Io però sono n., tu sei solo scuro». Non posso pronunciare la parola perché è vietata dalla polizia culturale e l’algoritmo la censura e l’inquisizione poi sospende il blog. Detesto la retorica di dire nero anziché n., sapendo che l’insulto è nell’aggettivo che può accompagnarlo o nel tono, non certo nella parola n. E mi piace che sia stato lui a dirlo. Ma si rendono conto, i retori dell’integrazione, che nero è sempre stata – salvo per i fascisti, i preti e la nobiltà nera – una connotazione negativa? Nera è la morte, il lutto e la sfortuna. Nero anzi noir è l’horror, nera è la cronaca dei delitti, nero è il lavoro sfruttato e l’evasione (ma il rosso in bilancio è peggio). Nero è il buio, nero è l’uomo cattivo dell’infanzia, nera è la giornata disastrosa. Nero è il tempo brutto, il gatto che porta male, il corvo funesto e l’abito dello iettatore.Nero è il futuro negativo, nera è la maglia della vergogna, nero è il volto dell’incazzatura, nera è la minaccia: ti faccio nero. Nera è l’anima del malvagio. Possibile che con questi precedenti si celebri come un progresso la promozione del n. a nero? Peggio di nero, c’è solo la definizione di uomo di colore, come se lui fosse un pagliaccio variopinto e noi degli esseri incolori. Due offese in un colpo solo. Più rispetto per i n., i chiari e i chiaroscuri. Quanto al calcio, io ricordo da bambino i cori e le battute degli spalti. Si accanivano contro qualunque calciatore della squadra opposta avesse uno spiccato tratto distintivo: se era pelato, se era troppo alto o troppo basso, se aveva la barba o era grassottello, se parlava in campo o se si agitava, se era nero, mulatto o rosso di capelli. Di quei cori puerili e di quelle frasi cretine non se ne faceva però un titolo di telegiornale, una campagna antirazzismo, non si istituiva una commissione o un processo, non si denunciava allarmati il ritorno di Hitler…Un crimine, un furto, un’aggressione, lo spaccio di droga non destano reazioni così decise, sanzioni così drastiche e pubblico raccapriccio come una parola scema fuori posto pronunciata in tema di colore della pelle. Se fai un commento, una battuta sul tema ti giochi il lavoro, la tua reputazione, il tuo posto in squadra, molto più che se hai compiuto veri reatiBisogna saper distinguere le cose gravi dalle cose sciocche; è molto più nociva l’abitudine di criminalizzare chiunque dica una parola sconveniente adottando la teoria demente che si comincia così e poi si finisce ai campi di sterminio. Chi prende sul serio una stupidaggine è più stupido di chi la pronuncia, o peggio è in malafede perché vuole speculare sull’incidente per criminalizzare l’intera area di chi non la pensa come lui. Salvateci dal politicamente corretto, fa più danni dell’idiozia episodica di una battuta, che viene reiterata proprio perché ha una risonanza immeritata che la moltiplica e la rende importante, quando era solo una stupida battuta.(Marcello Veneziani, “Più rispetto per i n.”, da “La Verità” del 5 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ieri mi ha fermato un africano per vendermi qualcosa e mi ha detto: «Fratello bianco». Io gli ho risposto: «Ma come ti permetti?». Lui è rimasto allibito, pensando che ce l’avessi col fratello, invece ho proseguito: «A me, bianco non me l’ha mai detto nessuno», alludendo alla mia carnagione scura. Lui ha sorriso e mi ha detto: «Io però sono n., tu sei solo scuro». Non posso pronunciare la parola perché è vietata dalla polizia culturale e l’algoritmo la censura e l’inquisizione poi sospende il blog. Detesto la retorica di dire nero anziché n., sapendo che l’insulto è nell’aggettivo che può accompagnarlo o nel tono, non certo nella parola n. E mi piace che sia stato lui a dirlo. Ma si rendono conto, i retori dell’integrazione, che nero è sempre stata – salvo per i fascisti, i preti e la nobiltà nera – una connotazione negativa? Nera è la morte, il lutto e la sfortuna. Nero anzi noir è l’horror, nera è la cronaca dei delitti, nero è il lavoro sfruttato e l’evasione (ma il rosso in bilancio è peggio). Nero è il buio, nero è l’uomo cattivo dell’infanzia, nera è la giornata disastrosa. Nero è il tempo brutto, il gatto che porta male, il corvo funesto e l’abito dello iettatore.
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ControTv, in diretta: Chiesa e Mazzucco aggirano YouTube
Attenti a quei due: da anni sfidano il mainstream, smontando le sue leggende, e non hanno ancora smesso di impensierire il Grande Fratello. Tant’è vero che, non appena la nuova iniziativa è finita su una pagina Facebook con oltre 40.000 contatti, la segnalazione è stata trasmessa in automatico solo a 9.000 follower. Già si annusano guai in vista, ipotizza Massimo Mazzucco, titolare della pagina stranamente “filtrata”: il mitico algoritmo di Zuckerberg sospetta che il suo nome, unito a quello di Giulietto Chiesa, possa essere sinonimo di grane? Del resto, quello è il sistema che dispensa sonni tranquilli al cittadino, magari invitandolo a rifugiarsi nel politically correct come nel caso del polverone attorno alla commissione Liliana Segre. Sacrosanto condannare chi insulta i reduci della Shoah, beninteso: purché questo poi non venga usato per silenziare chiunque la pensi diversamente, sui temi più disparati. «Vale anche per il revisionismo: un conto è oltraggiare i reduci, un altro è avere idee differenti sulla storia. Proibirle non è forse contrario alla libertà di parola tutelata dalla Costituzione?». E poi: «Perché la versione ufficiale dovrebbe essere obbligatoria solo per la Shoah, di cui si stabilisce il numero di vittime senza mai interrogarsi sulle vere cause del nazismo e sui sostenitori occulti di Hitler?». A quel punto, dice Mazzucco, si emani una verità ufficiale su ogni altro tema, e buonanotte a tutti.
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L’evasore aiuta l’economia, le tasse non finanziano i servizi
L’Italia dal 1992 è in avanzo primario (a eccezione di un disavanzo dello 0,9% nel 2009). Questo significa che le entrate fiscali (tasse) sono superiori alla spesa pubblica (in soldoni, a noi cittadini torna indietro meno di quanto paghiamo). Al contrario di quanto racconta la vulgata ideologizzata “terrorista” e autorazzista del siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità, perciò, il nostro è un paese assai virtuoso da quasi 30 anni (nessuno al mondo ha fatto meglio nello stesso periodo). Fatta questa premessa passiamo ad analizzare le vere funzioni delle tasse (esse non servono infatti a pagare la spesa pubblica). Lo Stato impone tasse ai propri cittadini: 1. Per imporre la moneta a corso legale (obbligando di fatto i cittadini ad utilizzarla in quanto l’unica accettata per il pagamento, appunto, degli oneri fiscali); 2. Per controllare l’inflazione (tassando più o meno si riduce/aumenta la massa monetaria e si regolano i prezzi); 3. Per redistribuire la ricchezza. La spesa pubblica è fatta a monte del prelievo fiscale e si sostiene con l’emissione monetaria (fatta d’imperio e sovranamente dallo Stato, dal nulla). Prima si spende e si mette in circolazione la moneta, e solo poi si raccoglie tassando.
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Barbero: pessima idea, equiparare il comunismo al nazismo
Pessima idea, equiparare il simbolo del comunismo – falce e martello – alla svastica hitleriana. A lanciare l’allarme è lo storico Alessandro Barbero, ospite dell’edizione 2019 del Festival Logos di Roma, il 24 ottobre. La tesi: il fascismo è riconducibile al faccione di Mussolini in Italia e l’orrore nazista della Germania è indentificabile in un periodo storico altrettanto circoscritto nel tempo e nello spazio. Al contrario, l’ideale comunista (poi tradito dal regime criminale dell’Urss stalinista) aveva infiammato i cuori di milioni di persone. E’ accaduto in ogni parte del pianeta, nell’arco di 150 anni, da Marx in poi, sulla base di un sogno: un mondo più giusto e migliore, per tutti. Barbero prende così le distanze dall’insidioso documento approvato il 19 settembre dal Parlamento Europeo: il testo condanna il comunismo in quanto sistema politico “totalitario”, equiparandolo al nazifascismo. Con 535 voti a favore, 66 contrari e 52 astenuti, la controversa risoluzione sulla “memoria europea” getta nella spazzatura della storia l’intera esperienza comunista internazionale. Pericolo in vista: «Nella dimensione pratica – riassume “Radio Onda d’Urto – la risoluzione impegna a eliminare qualunque simbologia presente in Europa relativa al movimento comunista internazionale, dai monumenti ai nomi delle strade».Il documento propone una ricostruzione storica più che discutibile, che vede nel patto Molotov-Ribbentrop del 1939 (la spartizione della Polonia con cui Stalin cercò di guadagnare tempo, prima di subire l’invasione hitleriana) l’espressione di un progetto egemonico sull’Europa da parte della Germania nazista e dell’Unione Sovietica. In sostanza, accusando la Russia di non avere fatto i conti con il proprio passato, il Parlamento Europeo dimentica di ricordare che fu proprio l’Urss – a Stalingrado – a fermare l’esercito nazista, permettendo all’Europa occidentale di liberarsi dal terrore totalitario con il successivo aiuto militare degli Usa. A favore del testo, che condanna anche genericamente «tutte le organizzazioni politiche accusate di promuovere l’odio e la violenza politica», hanno votato a favore gli europarlamentari di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Pd. Nel sanzionare «gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari», si esprime «inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali», ricordando che «alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti».Attraverso il Parlamento Europeo sta dunque per calare sull’Europa una sorta di “post-verità orwelliana” destinata a mettere al bando, presto o tardi, il simbolo “falce e martello” clamorosamente equiparato alla svastica? A inquietare è il principio: la caccia alle streghe contro la simbologia comunista potrebbe essere l’antipasto di altre successive proibizioni. Vivaci, in Italia, le reazioni contrarie: lo storico dell’arte Tomaso Montanari parla di «squallore», perché è stato dimenticato il ruolo decisivo dell’Urss nella sconfitta del nazismo. Comunismo e nazismo posti sullo stesso piano? «Una falsificazione ignobile, quella della risoluzione votata dal Parlamento Europeo, come è ignobile che a votarla siano stati tanti sedicenti democratici nostrani», insorgono – come riporta “Repubblica” – Francesco Laforgia e Luca Pastorino, rispettivamente senatore e deputato di “Liberi e Uguali”. «Queste distorsioni – aggiungono – sono una pericolosa rilettura che finisce per sdoganare ideologie neo-fasciste». All’attacco anche il deputato Nicola Fratoianni, secondo cui siamo di fronte a «malafede, più che ignoranza».Protesta Massimiliano Smeriglio, eurodeputato Pd, a lungo braccio destro di Zingaretti: «Non si può costringere la storia dentro uno schema parlamentare al solo scopo di tirarla da tutte le parti, per poi finire in uno strano ecumenismo». Un altro eurodeputato Pd, Pierfrancesco Majorino, su Facebook parla di «banalizzazioni pericolose». L’equiparazione tra comunismo e nazismo «fa piangere, innanzitutto sul piano storico». Sulle barricate anche l’Anpi: «In un’unica riprovazione – afferma l’associazione partigiani – si accomunano oppressi e oppressori, vittime e carnefici, invasori e liberatori, per di più ignorando lo spaventoso tributo di sangue pagato dai popoli dell’Unione Sovietica (più di 22 milioni di morti) e persino il simbolico evento della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa». Secondo l’Anpi, «davanti al crescente pericolo di nazifascismi, razzismi e nazionalismi, si sceglie una strada di lacerante divisione invece che di responsabile e rigorosa unità».Chissà cosa ne direbbe Primo Levi, se fosse vivo: le pagine di un memoriale come “La tregua” propongono un vivido ritratto della prorompente, caotica vitalità delle truppe sovietiche, consapevoli – a ogni livello – si essersi sacrificate non solo per difendere il territorio russo, ma anche per liberare l’Europa dalla barbarie. Dovunque poi sia andato al governo – ammette lo stesso Barbero, storico popolarissimo in Italia grazie anche alla sua presenza televisiva – il comunismo ha agito in modo inaccettabile, deludendo i suoi stessi sostenitori. Chi tende a dichiararsi al tempo stesso antifascista e anticomunista (liberali e socialisti) sottolinea: esattamente come il nazifascismo, anche il comunismo ha finito sempre per sopprimere la democrazia e imporre un’oligarchia autoritaria e spesso violenta, se non addirittura totalitaria come nel caso dello stalinismo. Avverte però il professor Barbero: attenti, a maneggiare la storia in modo frettoloso. Falce e martello, per centinaia di milioni di esseri umani – in tutto il mondo, e per un secolo e mezzo – hanno rappresentato ideali di fraternità e dignità, pace e giustizia sociale. Per Hitler, al copntrario, l’obiettivo supremo era lo sterminio razzista degli ebrei. Sicuri che sia saggio, gettare tutto questo nello stessa fogna dove la storia ha provveduto a relegare l’aberrante nazismo tedesco?Pessima idea, equiparare il simbolo del comunismo – falce e martello – alla svastica hitleriana. A lanciare l’allarme è lo storico Alessandro Barbero, ospite dell’edizione 2019 del Festival Logos di Roma, il 24 ottobre. La tesi: il fascismo è riconducibile al faccione di Mussolini in Italia e l’orrore nazista della Germania è identificabile in un periodo storico altrettanto circoscritto nel tempo e nello spazio. Al contrario, l’ideale comunista (poi tradito dal regime criminale dell’Urss stalinista) aveva infiammato i cuori di milioni di persone. E’ accaduto in ogni parte del pianeta, nell’arco di 150 anni, da Marx in poi, sulla base di un sogno: un mondo più giusto e migliore, per tutti. Barbero prende così le distanze dall’insidioso documento approvato il 19 settembre dal Parlamento Europeo: il testo condanna il comunismo in quanto sistema politico “totalitario”, equiparandolo al nazifascismo. Con 535 voti a favore, 66 contrari e 52 astenuti, la controversa risoluzione sulla “memoria europea” getta nella spazzatura della storia l’intera esperienza comunista internazionale. Pericolo in vista: «Nella dimensione pratica – riassume “Radio Onda d’Urto” – la risoluzione impegna a eliminare qualunque simbologia presente in Europa relativa al movimento comunista internazionale, dai monumenti ai nomi delle strade».
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Tv e 5 Stelle all’assalto: addosso a Salvini, Maglie e Le Iene
Solo poltiglia italiana, dopo l’effimera stagione delle promesse gialloverdi tenute in vita dalle parole della Lega e smentite dai tradimenti a catena dei pentastellati. Impietoso il riflesso nell’acquario mediatico, dove si scivola ogni giorno più in basso. Tanto per non smentirsi, piuttosto che guardare in faccia la realtà, i 5 Stelle (dilaniati da dissidi interni dopo l’alleanza col Pd imposta da Grillo d’intesa con Renzi) se la prendono coi giornalisti non allineati, come Maria Giovanna Maglie. Su Twitter, in risposta a una critica a Virginia Raggi, l’attivista Marco Vaccari apostrofa l’ex corrispondente della Rai: «Ma che ca*** stai dicendo, giornalaia? Roma fa schifo per colpa degli idioti fannulloni imboscati incapaci ladri mafiosi collusi che hanno preceduto la Raggi». La risposta della Maglie: «Metodo 5 Stelle doc, nessuna responsabilità per il presente, quando tocca a loro: sempre colpa degli altri. E insulti a gogo, minacce di manette». Quindi, rivolta a Vaccari: «Ehi, fenomeno, la Raggi è sindaco da giugno 2016». In tre anni, non ha fatto praticamente niente. Eppure accende ancora i cuori degli hoolingan alla festa – mestissima – che i 5 Stelle hanno abborracciato a Napoli, attorno al fantasma di Di Maio. Solo che i fan hanno acceso un principio di rissa all’apparire di Filippo Roma, de “Le Iene”, accolto come un mascalzone provocatore.Tuona Vittorio Sgarbi: «Fascisti, pericolosi, minacciosi: una aggressione fisica che non ha precedenti». Aggiunge Sgarbi, «Si minimizza la violenza fascista dei 5 Stelle, mentre l’episodio d’intolleranza verso Gad Lerner a Pontida è stato stigmatizzato da chiunque». Prima ancora, «per giorni si era parlato del figlio di Matteo Salvini sulla moto d’acqua della polizia», gridando allo scandalo. Oggi, invece, «incredibilmente», si tace sulle intemperanze dei grillini a Napoli. Nel frattempo, migliaia di italiani hanno sottoscritto la protesta di Marco Moiso (Movimento Roosevelt) affidata a “Change.org”: la giornalista de “La7” è accusata di aver trasformato “Otto e mezzo” in un poligono di tiro nel quale esercitare la propria faziosità a senso unico, anche ricorrendo al bullismo del “body shaming” contro Salvini, cui è stato contestato il fisico non esattamente palestrato. Peggio: la Gruber permise a Mario Monti di mentire spudoratamente sulla massoneria (“non so nemmeno cosa sia”), evitando peraltro di citare la fonte della notizia, Gioele Magaldi, che aveva appena dichiarato l’identità massonica di Monti (superloggia reazionaria “Babel Tower”).La notizia della petizione contro la Gruber, invitata ad abbandonare la conduzione della trasmissione, è stata ripresa da “Affari Italiani”, da “Blasting News” e anche da “Libero”, il quotidiano di Vittorio Feltri. Basta comunque cambiare canale per scoprire che, Gruber o meno, la musica è la stessa: la suona, su “Rai 2”, il duetto composto da Fabio Fazio e Rula Jebreal. Nello studio di “Che tempo che fa” aleggia sempre lo stesso spettro, quello di Matteo Salvini. «Nessuno nasce razzista, bisogna imparare ad essere razzisti e ad odiare», premette la giornalista. Aggiunge: la crisi economica non aiuta le famiglie a essere generose coi migranti. Poi spara: «Purtroppo siamo ancora vittime della propaganda xenofoba di questi soggetti che utilizzano la retorica degli anni ‘20 e anni ‘30». A Napoli, i grillini insultano e minacciano l’inviato delle “Iene”, ma a tener banco da Fazio sono ancora le offese rivolte a Gad Lerner dai leghisti di Pontida. «Lui è un italiano ma di religione ebraica, quello che è successo – dice Rula – ti fa capire che la divisione non sarà solo contro l’immigrazione ma anche contro chi come te critica i sovranisti, contro chi come me ha la pelle diversa, magari contro omosessuali, handicappati e altro». Nientemeno.Quello che Fazio e la sua ospite si dimenticano di dire è che Lerner, come ricordato dallo stesso Salvini intervistato dalla Gruber, si augurò per iscritto la morte del leader leghista. Una battuta veramente infelice: peccato che Salvini non fosse nei paraggi, scrisse Lerner giorni fa, commentando l’esplosione incidentale di un missile russo. «Non è carino, che qualcuno si auguri la tua morte», ha scandito Salvini, dalla Gruber. «Chiederò scusa a Lerner per quello che è accaduto a Pontida dopo che Lerner avrà chiesto scusa a me per essersi augurato la mia morte». Questo è il tenore della narrazione giornalistica sulla politica italiana, mentre i carri armati di Erdogan marciano sul Kurdistan siriano e “l’Europa” fa scena muta, insieme alla Nato. Non solo: Bruxelles fa capire che, al di là delle promesse, non accetterà facilmente di accogliere migranti sbarcati in Italia. E mentre il governo giallorosso avvia l’ennesima, penosa lotteria per racimolare spiccioli e gestire il declino italiano a suon di tasse, Giuseppe Conte è nella bufera per il sospetto che abbia abusato dei servizi segreti per fare un favore a Trump. L’orizzonte epocale del nostro paese? Ovvio, le elezioni regionali in Umbria: Perugia, caput mundi.Solo poltiglia italiana, dopo l’effimera stagione delle promesse gialloverdi tenute in vita dalle parole della Lega e smentite dai tradimenti a catena dei pentastellati. Impietoso il riflesso nell’acquario mediatico, dove si scivola ogni giorno più in basso. Tanto per non smentirsi, piuttosto che guardare in faccia la realtà, i 5 Stelle (dilaniati da dissidi interni dopo l’alleanza col Pd imposta da Grillo d’intesa con Renzi) se la prendono coi giornalisti non allineati, come Maria Giovanna Maglie. Su Twitter, in risposta a una critica a Virginia Raggi, l’attivista Marco Vaccari apostrofa l’ex corrispondente della Rai: «Ma che ca*** stai dicendo, giornalaia? Roma fa schifo per colpa degli idioti fannulloni imboscati incapaci ladri mafiosi collusi che hanno preceduto la Raggi». La risposta della Maglie: «Metodo 5 Stelle doc, nessuna responsabilità per il presente, quando tocca a loro: sempre colpa degli altri. E insulti a gogo, minacce di manette». Quindi, rivolta a Vaccari: «Ehi, fenomeno, la Raggi è sindaco da giugno 2016». In tre anni, non ha fatto praticamente niente. Eppure accende ancora i cuori degli hoolingan alla festa – mestissima – che i 5 Stelle hanno abborracciato a Napoli, attorno al fantasma di Di Maio. Solo che i fan hanno acceso un principio di rissa all’apparire di Filippo Roma, de “Le Iene”, accolto come un mascalzone provocatore.
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Matteocrazia: Renzi e Salvini partner perfetti nel Circo Italia
Tu chiamala, se vuoi, Matteocrazia. Chi meglio di Salvini, per resuscitare Renzi? E chi meglio di Renzi, per aiutare Salvini ad allenarsi all’opposizione? Tramontato nonno Silvio, in giro non ci sono altri protagonisti: a meno che qualcuno non pensi, davvero, che sia qualcosa di diverso da una comparsa di lusso il professor-avvocato Giuseppe Conte, provvisoriamente miracolato dall’incerta lotteria dei sondaggi. L’altro vero protagonista, Beppe Grillo, gioca comodamente da casa, col telecomando con cui pilota la spaurita scolaresca grillina, fino a ieri guidata (in apparenza) dal capoclasse Di Maio, ora eclissato al ministero degli esteri, lasciando il mestiere diplomatico a Conte, Mattarella e Gentiloni. Altri? Non pervenuti, se non a spiccioli: il nano-liberismo all’italiana di Carlo Calenda, il mausoleo della fu sinistra di Bersani e Zingaretti, la piccola destra di complemento capitanata da Giorgia Meloni. Bipolarismo onomastico, Salvini e Renzi: coppia perfetta per reggere il palcoscenico. Il buono e il cattivo: intercambiabili, a seconda della platea. Il poeta e il contadino, il bizantino Machiavelli e il guerriero padano di Pontida.I due Mattei, in fondo, sono gli unici padroni della scena. Il fiorentino si gode la recentissima, spericolata conquista del ring. Ha letteralmente sfrattato Zingaretti, azzerato Di Maio, atterrito Conte. Un uno-due magistrale: prima il governo coi profughi grillini, poi il divorzio dal rottamificio. Uno spettacolo che deve aver letteralmente deliziato il competitore omonimo, impegnato nel facilissimo bombardamento quotidiano contro l’osceno partito trasversale delle poltrone. Che fortuna, per Salvini, scoprire in Renzi il partner ideale per recitare la commedia, in questa Italia in cui svettano giganti del pensiero politico come Marco Travaglio, Lilli Gruber e Corrado Formigli, per oltre un anno impegnati nel supremo cimento antifascista, antisovranista e antirazzista, ingaggiato con indomito coraggio per la salvezza morale, politica e spirituale della nazione. Come non chiamarli eroi, sentinelle della democrazia italiana? E’ grazie a loro, dopotutto, se il Belpaese è rimasto in Europa anziché essere annesso all’Impero Zarista, potendo oggi godere dell’immenso prestigio internazionale assicurato da statisti del calibro di Conte e Gentiloni, di cui parleranno per secoli i libri di storia.Questa coraggiosa battaglia per la libertà italiana è stata combattuta non esattamente in solitudine, certo: gli impavidi opliti della resistenza cartacea e radiotelevisiva hanno potuto beneficiare delle testate Rai, Mediaset e La7, del “Corriere” e di “Repubblica”, della “Stampa” e del “Fatto”. Giusta causa: cacciare l’usurpatore e impedire che il paese sprofondasse nella barbarie. Che meraviglia, oggi, ritrovare i vecchi amici dell’Italia, dalla Merkel a Macron, fino alla diletta Ursula, novella condottiera della gloriosa Unione Europea che tante gioie ha regalato agli italiani. Se però la festa ha un sapore imperfetto, con un che di beffardo, forse dipende proprio dall’inatteso avvento della nuovissima Matteocrazia. Si possono immaginare, le risate dei due Mattei, di fronte allo spettacolo di Salvini e Zingaretti alle prese con il terrore delle imminenti elezioni regionali, in cui si tenteranno alleanze elusive e mimetiche, deboli e perdenti. Il povero Conte già traballa: finito di negoziare ogni virgola col Matteo di ieri, gli tocca ricominciare col Matteo di oggi. Se non altro, il patetico avanspettacolo ha regalato al pubblico una verità: sono in pista gli unici due politici capaci di pensare, rischiare e decidere. E’ la Matteocrazia, appunto. E i vari Travaglio, Gruber e Formigli non possono davvero farci niente.Tu chiamala, se vuoi, Matteocrazia. Chi meglio di Salvini, per resuscitare Renzi? E chi meglio di Renzi, per aiutare Salvini ad allenarsi all’opposizione? Tramontato nonno Silvio, in giro non ci sono altri protagonisti: a meno che qualcuno non pensi, davvero, che sia qualcosa di diverso da una comparsa di lusso il professor-avvocato Giuseppe Conte, provvisoriamente miracolato dall’incerta lotteria dei sondaggi. L’altro vero protagonista, Beppe Grillo, gioca comodamente da casa, col telecomando con cui pilota la spaurita scolaresca grillina, fino a ieri guidata (in apparenza) dal capoclasse Di Maio, ora eclissato al ministero degli esteri, lasciando il mestiere diplomatico a Conte, Mattarella e Gentiloni. Altri? Non pervenuti, se non a spiccioli: il nano-liberismo all’italiana di Carlo Calenda, il mausoleo della fu sinistra di Bersani e Zingaretti, la piccola destra di complemento capitanata da Giorgia Meloni. Bipolarismo onomastico, Salvini e Renzi: coppia perfetta per reggere il palcoscenico. Il buono e il cattivo: intercambiabili, a seconda della platea. Il poeta e il contadino, il bizantino Machiavelli e il guerriero padano di Pontida.
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Grillopardi e mercenari franco-tedeschi governano l’Italia
Giuseppe Conte, l’uomo che visse due volte, la prima a destra, la seconda a sinistra, l’uomo che sussurrava alla Merkel le sue ricette per far fuori Matteo Salvini e aprire i porti, l’uomo mai votato da nessuno, se non dalle cancellerie europeiste e globaliste, e dalla massoneria vaticana, lavorava da tempo alla riammissione della prodiga Italia a pieno titolo tra i paesi europeisti. Le trame del novello Andreotti sono state candidamente rivelate dal ministro all’agricoltura Teresa Bellanova, quando ha detto apertamente chez madame Gruber che l’accordo tra 5S e Dem è stato tessuto a Bruxelles per «dare a questo paese un presidente della Repubblica che non sia ostile all’Europa». Una gigantesca operazione di trasformismo ad opera di due partiti che si sono odiati fino al giorno prima, e si ritrovano in un governo dove il presidente del Consiglio è lo stesso del governo precedente, ma che dice che sarà in discontinuità con se stesso. Non solo per scongiurare le politiche “razziste e fasciste” della Lega, quanto per poter manovrare la prossima elezione del presidente della Repubblica, in programma per il 2022, l’anno in cui scadrà il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale.Nulla di particolarmente oscuro quindi, visto che al ribaltone hanno partecipato i Dem, augurandosi di poter conquistare lo scranno del Colle, cui non potrebbero certo rinunciare per quel diritto egemonico di appartenenza al sistema di potere cattocomunista erede della Resistenza, che però strada facendo ha perso di vista le istanze popolari e si è sempre più asservito agli interessi oligarchici della finanza apolide. La fine del governo gialloverde è stata segnata da accordi segreti presi in Europa da Giuseppe Conte, che appare sempre più chiaramente un emissario della massoneria vaticana, la crisi infatti è letteralmente esplosa con il cosiddetto Russiagate, quando contro Salvini si è prontamente scatenata al momento opportuno la stampa mainstream, dall’“Espresso” al “Fatto Quotidiano”. Ha fatto male Salvini a negare il tutto, ma restano oscure le dinamiche ed appare risibile il fatto che la tangente avrebbe dovuto passare per Eni, che è controllata dal Pd di Renzi. E comunque l’avvocato democristiano venuto dal nulla, indicato da Grillo e stimato da De Mita nonché dal Vaticano, alla nascita del governo gialloverde aveva tenuto per sé la delega ai servizi (Aise, Aisi e Dis), che negli esecutivi precedenti (Renzi e Gentiloni) era stata affidata come di consueto al ministro dell’interno (Minniti).Probabilmente gli azionisti occulti del governo gialloverde non si fidavano di Salvini e non intendevano lasciare nelle sue mani l’arma dell’intelligence. Questo spiegherebbe anche l’intransigenza di Salvini nel voler liquidare ad ogni costo l’avvocato venuto in apparenza dal nulla, ma in realtà solidamente pilotato dai veri responsabili della crisi, pronti a schierare i grillini con la Merkel per far eleggere Ursula von del Leyen alla Commissione Ue, contro Salvini e contro gli interessi nazionali italiani. Il nuovo governo giallorosso è nato quindi in Europa, ben prima delle elezioni europee, che hanno solo drasticamente rimarcato l’ascesa inarrestabile della Lega e la vorticosa perdita di consensi del M5S. Trattative che portarono allo scambio tra David Sassoli e Fabio M. Castaldo e all’elezione, per soli 9 voti dei 5S, di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, già membro della Cdu, e ministra per vari portafogli in tutti i governi presieduti da Angela Merkel. Una Commissione che è il risultato dell’alleanza obbligata di quei partiti che hanno visto ridursi notevolmente i loro consensi, così come è avvenuto per il ribaltone italiano.Infatti proprio le europee hanno registrato la tenuta del Partito popolare, la crescita dei sovranisti (pur divisi tra di loro), il boom del Brexit Party, e la virata a destra di molte correnti interne ai moderati, ma in pratica non hanno sortito alcuna novità se non quella di conservare l’Ue nelle mani del Ppe, più i socialisti di Pse, con l’appoggio dei liberali di Alde e i conservatori di Ecr. La spartizione delle deleghe nella Commissione di Ursula Von der Leyen è stato solo un tragico tentativo di serrare le file per scongiurare ogni forma di cambiamento. L’asse franco-tedesco non avrebbe certo permesso che la trasformazione dell’Italia a paese più euroscettico dell’Ue potesse proseguire oltre, i rischi sarebbero stati troppo consistenti per gli oligarchi mondialisti, interessati a scongiurare ogni tentativo di resistenza nei confronti della demolizione degli Dtati nazionali, ultimo baluardo democratico contro lo strapotere elitario che tutela i poteri forti a scapito dei popoli. Unica soluzione il superamento degli Stati nazionali, la cancellazione delle frontiere e la moneta unica.In particolare si sta cercando di realizzare un sistema giuridico sovranazionale al quale gli Stati-nazione democratici sono chiamati a sottomettersi, un modo simulato per esautorare le democrazie nazionali sostituendole con una non-democrazia sovranazionale. Quindi non può esistere nessun potere dei popoli in Eurozona, visto che governano i capitali, che trovano qui i più compiacenti paradisi fiscali. Le masse, come strumenti di produzione di potere e ricchezza per le oligarchie, ormai sono divenute superflue, ridondanti ed eliminabili (Marco Della Luna). Esiste anche la possibilità tecnologica di gestirle come mandrie al pascolo, ridotte completamente a strumento, merce, file formattabile, usa e getta. E intanto in Italia il Conte Zio, proveniente dai corridoi vaticani (Silvestrini, Parolin), si è rivelato il grimaldello che doveva far saltare il governo giallo verde, un breve intermezzo durato appena 14 mesi, una parvenza di sovranismo, marcato stretto dal Quirinale e dal sistema europeista, poi tutto è tornato come prima, nessuna volontà di cambiamento, archiviato in fretta il populismo, asfaltato rapidamente il sovranismo.Ha vinto il CamaleConte democristiano, duttile, multitasking e paraculista, servitore di mille padroni, esponente occulto del partito-sistema, il partito-apparato, il partito-deepstate, il partito di Mafia Capitale, quello del Jobs Act, di Mps, del prelievo forzoso agli obbligazionisti, della Pessima Scuola… previo naturalmente bacio della morte all’Ue col voto a Ursula, ed endorsement internazionali di tutto il gotha neoliberista globalizzato: Merkel, Macron, Vaticano, Trump. Da trent’anni il Deep State, il Potere Profondo, il Sistema, ha sempre avuto la meglio. L’Europa franco-tedesca si è compattata con il recente patto di Aquisgrana proprio per contrastare e schiacciare i tanti nazionalismi sorti in Europa.Mentre i grillopardi, sostenuti da numerosi androidi fanatizzati e autoproclamatisi dei missionari della San Francesco Associati, finti giacobini di una finta rivoluzione, che vivono di pane amore e sacrificio per il bene dell’Italia, ora l’hanno svenduta ai poteri forti italiani ed europei, che possono tornare speditamente all’assalto del benessere degli italiani. Il Sì di Rousseau fa volare MpS a +13%, e le Ong tornano all’assalto dei porti aperti. I simulacri di Philip Dick vivono tra noi…(Rosanna Spadini, “I mercenari del trasformismo vivono tra noi”, da “Come Don Chisciotte” del 15 settembre 2019).Giuseppe Conte, l’uomo che visse due volte, la prima a destra, la seconda a sinistra, l’uomo che sussurrava alla Merkel le sue ricette per far fuori Matteo Salvini e aprire i porti, l’uomo mai votato da nessuno, se non dalle cancellerie europeiste e globaliste, e dalla massoneria vaticana, lavorava da tempo alla riammissione della prodiga Italia a pieno titolo tra i paesi europeisti. Le trame del novello Andreotti sono state candidamente rivelate dal ministro all’agricoltura Teresa Bellanova, quando ha detto apertamente chez madame Gruber che l’accordo tra 5S e Dem è stato tessuto a Bruxelles per «dare a questo paese un presidente della Repubblica che non sia ostile all’Europa». Una gigantesca operazione di trasformismo ad opera di due partiti che si sono odiati fino al giorno prima, e si ritrovano in un governo dove il presidente del Consiglio è lo stesso del governo precedente, ma che dice che sarà in discontinuità con se stesso. Non solo per scongiurare le politiche “razziste e fasciste” della Lega, quanto per poter manovrare la prossima elezione del presidente della Repubblica, in programma per il 2022, l’anno in cui scadrà il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale.
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Prima i migranti: così Pd e Leu suicideranno il Conte-bis
Se la sinistra è crollata nei consensi negli ultimi anni non è perché Renzi è antipatico, come vogliono far credere i suoi nemici nel Pd e quanti li sostengono. I dem sono precipitati perché nei sette anni in cui hanno governato si sono fatti travolgere dalla crisi economica e dall’invasione degli immigrati. Anziché provare a gestire le due questioni, la sinistra si è consegnata all’Europa, dalla quale si è fatta dirigere. Naturalmente, gli Stati Ue che contano, Germania e Francia, hanno pensato ai propri interessi e non ai nostri; quindi, da una parte hanno salvato le loro banche, lasciando fallire quelle italiane e girando il conto ai risparmiatori truffati, dall’altra ci hanno abbandonati nella gestione dei profughi, arrivando perfino a sospendere il Trattato di Schenghen affinché nessun migrante potesse uscire dal Bel Paese. Questo ha fatto sì che in Italia montasse un profondo risentimento verso le classi dirigenti della sinistra, genericamente ed erroneamente definito odio anti-casta. Era più semplicemente la sensazione di inadeguatezza e distanza dalla realtà che la sinistra ha ha suscitato nei cittadini, i quali hanno cominciato a realizzare che i governi dem avevano arricchito i ricchi e lasciato indietro tutti gli altri, dando in più la sensazione di occuparsi più dei poveri immigrati che dei poveri italiani, che intanto aumentavano.Le persone erano terrorizzate dalla crisi, dalla mancanza di lavoro e dall’enorme flusso di disperati dal mare e la sinistra provava a convincerle che gli immigrati fossero delle risorse e ci avrebbero salvato e che gli arrivi non fossero arginabili. Come a dire: meglio gli africani di voi. Inevitabilmente il 4 marzo 2018 gli elettori hanno punito il Pd votando M5S per bocciare la casta e tornare allo Stato assistenziale e Lega per fermare gli immigrati e avere meno tasse. Subito si è capito che i grillini non erano all’altezza del compito e pertanto i consensi si sono spostati su Salvini. Matteo ha avuto il merito di scegliere per sé il ministero dell’Interno e di imbroccare la politica migratoria, riducendo sbarchi e morti in mare, combattendo Ong e scafisti e dando la sensazione che al governo ci fosse finalmente qualcuno intenzionato a fermare gli ingressi di clandestini. Pd e Leu non hanno capito la lezione e per 14 mesi hanno insultato il leader leghista, dandogli del razzista, mentre l’89% degli italiani ne condivide la linea. Una volta tornata al governo nel modo in cui tutti sappiamo, la sinistra ha iniziato a ripetere gli errori che l’hanno affossata.Zingaretti, Veltroni, Bersani e Letta hanno dichiarato di voler aprire tutti i porti, introdurre lo ius soli e riavviare la macchina dell’accoglienza che piace alla Chiesa, alle Ong e alle cooperative che fanno affari con i migranti, nonché agli scafisti. A parole il Pd riconosce – e come potrebbe fare diversamente? – che la sua gestione dell’immigrazione è stata un fallimento. Però, anziché scusarsi e farsi umilmente da parte, la sinistra la rivendica nuovamente per sé, per di più con arroganza. L’effetto immediato è stato che la Lega, dopo un piccolo calo dovuto alla difficoltà di Salvini nello spiegare perché era uscito dal governo senza riuscire a ottenere nuove elezioni, è risalita nei sondaggi. Prevedibile: non c’è come lasciar governare M5S e Pd per suscitare nei più la nostalgia per il leader leghista. Delirante la proposta dell’ex premier Enrico Letta, quello che ha trasformato Lampedusa in un campo profughi a cielo aperto. Egli auspica di sottoscrivere, proprio sull’isola simbolo dell’abbandono dell’Italia da parte della Ue, un trattato europeo per la distribuzione degli arrivi.Il prode piddino non si preoccupa di arginare il flusso di arrivi, creare le condizioni perché gli africani non abbandonino e lascino morire il loro continente, che è grande tre volte l’Europa, e ospitare, come fanno tutte le nazioni civili, solo una quota selezionata di immigrati l’anno, quella necessaria all’economia degli Stati. No; lui è impegnato a lanciare un nuovo spot delle frontiere aperte a tutti i disgraziati del mondo: «Venite in Europa, in qualche modo vi distribuiamo tutti, un po’di qua, un po’di là». Enrico sta sereno dopo la sua pensata, ma lui ci è abituato. Noi no, e non vorremmo lasciare il posto a qualcun altro come ha fatto lui. Dopo anni di studi e lezioni a Parigi, Letta si sente non più pisano, ma international. Si è anche scagliato contro la Commissione per la Difesa dello stile di vita europeo, voluta dalla Von der Leyen. «Questo proprio no», ha twittato come fosse il demonio. Ma senza uno stile di vita, e quindi una cultura comune, l’Europa resterà sempre un’unione economica di Paesi sull’orlo del fallimento che si fanno concorrenza tra loro mentre il resto del mondo fa i soldi. Con il più forte che picchia il più debole. Imbevuti di multiculturalismo, Letta e il Pd queste cose non le capiscono più. Sognano un’Europa dalle frontiere ininterrottamente aperte e senza identità, dove tutti sono diversi e quindi uguali. Stanno facendo i conti senza l’oste: le persone non vogliono questo, e i primi a non votarli sono proprio gli extracomunitari riusciti a diventare cittadini.(Pietro Senaldi, “Pd e Leu si suicidano sui migranti”, da “Libero” del 14 settembre 2019).Se la sinistra è crollata nei consensi negli ultimi anni non è perché Renzi è antipatico, come vogliono far credere i suoi nemici nel Pd e quanti li sostengono. I dem sono precipitati perché nei sette anni in cui hanno governato si sono fatti travolgere dalla crisi economica e dall’invasione degli immigrati. Anziché provare a gestire le due questioni, la sinistra si è consegnata all’Europa, dalla quale si è fatta dirigere. Naturalmente, gli Stati Ue che contano, Germania e Francia, hanno pensato ai propri interessi e non ai nostri; quindi, da una parte hanno salvato le loro banche, lasciando fallire quelle italiane e girando il conto ai risparmiatori truffati, dall’altra ci hanno abbandonati nella gestione dei profughi, arrivando perfino a sospendere il Trattato di Schenghen affinché nessun migrante potesse uscire dal Bel Paese. Questo ha fatto sì che in Italia montasse un profondo risentimento verso le classi dirigenti della sinistra, genericamente ed erroneamente definito odio anti-casta. Era più semplicemente la sensazione di inadeguatezza e distanza dalla realtà che la sinistra ha ha suscitato nei cittadini, i quali hanno cominciato a realizzare che i governi dem avevano arricchito i ricchi e lasciato indietro tutti gli altri, dando in più la sensazione di occuparsi più dei poveri immigrati che dei poveri italiani, che intanto aumentavano.
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Al potere la sinistra dei mascalzoni: è una cupola mafiosa
“La sinistra è una cupola”. Titolo ed incipit dell’articolo di Marcello Veneziani sulla “Verità” sono da antologia. «La sinistra è un’associazione di stampo mafioso che detiene stabilmente il potere e lo esercita forzando la sovranità popolare, la realtà della vita e gli interessi della gente. Usa metodi mafiosi per eliminare con la rituale accusa di nazifascismo (o in subordine di corruzione) chiunque si opponga al suo potere. Si costituisce in cupola per decidere la spartizione del potere ed eliminare gli avversari, tutti regolarmente ricondotti a Male Assoluto da sradicare e da affidare alle patrie galere o alla gogna del pubblico disprezzo». Lo scrittore, filosofo ed editorialista va giù duro. La sua lettura di questa pagina deteriore di storia politica che stiamo vivendo si collega a un testo illuminante e dimenticato di Panfilo Gentile intitolato “Democrazie mafiose”: libro che, edito dalle Edizioni Volpe, ebbe poi una diffusione capillare dopo che Montanelli lo elogiò sul “Corriere della Sera”. Il giornalista e polemista Panfilo Gentile circa mezzo secolo fa anticipò con lucidità l’involuzione del sistema democratico e la trasformazione dei partiti in circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso.Se avesse visto quanto sta accadendo oggi – con l’esproprio del voto fino al disprezzo per la volontà popolare – si sarebbe ancora più convinto delle sue analisi. Per Veneziani la sinistra è una «cupola» perché «si serve delle camorre mediatico-giudiziarie e intellettuali per imporre i suoi codici ideologici per far saltare i verdetti elettorali, per forzare il sentire comune e il senso della realtà, per cancellare e togliere di mezzo chi la pensa in modo differente. E si accorda con altri poteri tecnocratici e finanziari, per garantirsi sostegni e accessi in cambio di servitù e cedimenti: Mafia & Capitale. Metodi incruenti, ma di stampo mafioso – specifica nell’articolo – e tramite forme paradossali: perché calpesta la democrazia e si definisce democratica, viola le leggi, perfino la Costituzione – sulla tutela della famiglia, sulla difesa dei confini, sul rispetto del popolo sovrano – ma nel nome della legalità e della Costituzione». Il termine “cupola” è forte, indubbiamente, ma Veneziani spiega che il lessico politico disinvolto e fuori misura non è un’invenzione sua, tutt’altro. E’ la sinistra che lo usa come una clava. Per cui l’unico metodo per fronteggare «in modo adeguato la violenza ideologica e propagandistica della sinistra» è rispondere col suo stesso lessico.Del resto, basta leggere come vengono definiti i sovranisti, chi ha a cuore la difesa dei confini, della famiglia, della religione: «È trattato alla stregua di nipotino di Hitler, di nazista, di razzista. Accuse criminali, ma da parte di chi le rivolge, a vanvera, stabilendo un nesso infame e automatico tra amor patrio e xenofobia, difesa della civiltà e razzismo, amore della famiglia e omofobia», scrive Veneziani sulla “Verità”. E non dovremmo neanche difenderci di fronte a questi attacchi?, si chiede lo scrittore. E fa l’esempio dell’«uso mascalzone dell’antifascismo che serve per isolare e interdire il nemico e poi nel nome della democrazia in pericolo per l’incombente minaccia della Bestia Nera, sono consentite le alleanze più ibride, senza limiti…». Sì, per tutto questo è giusto usare l’espressione «la sinistra è ua cupola», Veneziani è convinto: «E’ giusto alzare il tiro e accusare la sinistra tornata ancora una volta al governo senza passare dalle urne, di essere un’associazione di stampo mafioso, di pensare e agire come una cupola, di calpestare la gente e gli avversari con l’arroganza e la presunzione di essere dalla parte del Giusto da ricordare i più fanatici regimi comunisti… Dal Soviet alla Cupola». Applausi.(Adriana De Conto, “Marcello Veneziani: vi spiego perché la sinistra è una cupola”, dal “Secolo d’Italia” del 7 settembre 2019).“La sinistra è una cupola”. Titolo ed incipit dell’articolo di Marcello Veneziani sulla “Verità” sono da antologia. «La sinistra è un’associazione di stampo mafioso che detiene stabilmente il potere e lo esercita forzando la sovranità popolare, la realtà della vita e gli interessi della gente. Usa metodi mafiosi per eliminare con la rituale accusa di nazifascismo (o in subordine di corruzione) chiunque si opponga al suo potere. Si costituisce in cupola per decidere la spartizione del potere ed eliminare gli avversari, tutti regolarmente ricondotti a Male Assoluto da sradicare e da affidare alle patrie galere o alla gogna del pubblico disprezzo». Lo scrittore, filosofo ed editorialista va giù duro. La sua lettura di questa pagina deteriore di storia politica che stiamo vivendo si collega a un testo illuminante e dimenticato di Panfilo Gentile intitolato “Democrazie mafiose”: libro che, edito dalle Edizioni Volpe, ebbe poi una diffusione capillare dopo che Montanelli lo elogiò sul “Corriere della Sera”. Il giornalista e polemista Panfilo Gentile circa mezzo secolo fa anticipò con lucidità l’involuzione del sistema democratico e la trasformazione dei partiti in circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso.
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Le fiabe di Don Marco (Travaglio) per incantare Rousseau
Si prova quasi tenerezza di fronte all’ingenuità delle frottole sciorinate da Marco Travaglio nel tentativo di orientare il voto della cosiddetta “base grillina” sulla fantomatica piattaforma Rousseau. Un tempo icona del giornalismo “con la schiena diritta”, celebrato nel santuario televisivo del collega Michele Santoro, il giustizialista Travaglio rimediò una tiepida figura nel 2013, quando l’Orribile Cavaliere – spintosi nella tana dei leoni – se la cavò benissimo di fronte alle domanducce dell’inquistore del “Fatto”. Ora, seppellito nonno Silvio, Travaglio ha semplicemente sostituito il Nemico. Il nuovo Uomo Nero, va da sé, si chiama Matteo Salvini. Pregustando il delitto eccellente, Travaglio riesce a digerire di tutto: dall’indecente grillismo “di lotta e di governo”, che ha fatto ridere l’Italia, all’eroico Renzi, riabilitato a tempo di record come geniale stratega. «Non avendo mai avuto tessere – pigola Travaglio, lindo come un giglio – non ho il problema del voto su Rousseau. Ma – aggiunge – se fossi iscritto, non avrei dubbi sul Sì al Conte-2». Nobile, il Cavaliere della Giustizia: il giornalista più sfacciatamente politico d’Italia non si sporca con la politica, ci mancherebbe; ma in questo caso si può ben fare un’eccezione. Ed ecco allora, sul “Fatto”, i dieci motivi per votare Sì al “governo dei prestanome”.Primo: i 5 Stelle (anche se non lo sanno) nacquero come «coscienza critica del centrosinistra». Nel 2007, scrive Travaglio, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio «sfidarono il Pd a opporsi davvero al berlusco-leghismo e a cambiare registro, cancellando le leggi-vergogna e sposando legalità e ambiente». Le loro proposte le portarono a Prodi, non a Berlusoni e Bossi. «E Grillo si iscrisse al Pd per candidarsi alle primarie, non a FI o alla Lega». Vero: quello che gli interessava, infatti, era sfasciare subito il neonato partito di Veltroni, Fassino e D’Alema, che infatti lo mandarono a stendere. «Ora, 12 anni dopo, il Pd cambia idea e tende la mano. Grillo l’ha subito afferrata. Perché i 5 Stelle dovrebbero respingerla?». E certo, sarebbe un peccato. L’oligarca Grillo, peraltro, non ha solo “teso la mano” al nemico storico: ha anche gambizzato Di Maio e imposto il suo potere monarchico ai sudditi, i parlamentari terrorizzati dalle elezioni anticipate. Ma queste sono quisquilie, per Marco Travaglio, che preferisce sfoderare il violino per dedicare una bella serenata ai votanti di Rousseau. «Il programma del Conte-2 include le bandiere storiche M5S», che diamine. Infatti: «Alt a nuovi inceneritori e trivelle, revisione delle concessioni autostradali, infrastrutture eco-compatibili, investimenti in green economy, riforma Bonafede della giustizia, pene più alte agli evasori, salario minimo, taglia-parlamentari. Bandiere stracciate da Salvini e accettate dal Pd. Perché dire No a se stessi e alla propria storia?».Qui Travaglio tocca il culmine della comicità involontaria. Si è già dimenticato delle altre “bandiere storiche” dell’armata grillina? Trivelle e Tap, Ilva e Tav, vaccini, Muos, F-35. Tutte “stracciate da Salvini”? Ridicolo. Ma il travaglismo “prestato alla politica” non si ferma qui: «Conte può restare premier solo con il governo M5S-centrosinistra. E merita di restarci». Ma certo: altrimenti come farebbero a brindare, gli amiconi dell’Italia? Sono già pronti col calice in mano: Macron e Merkel, il maxi-criminale Juncker (recordman dell’elusione fiscale in Lussemburgo ai danni del Belpaese), e perfino quel simpaticone di Günther Oettinger, quello che “saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare”. Vogliamo deluderli, tutti questi Conte-Boys? Ma non si esaurisce qui, la predica di Don Marco: «Salvini e B. vedono il governo giallo-rosa come il fumo negli occhi: due ottime ragioni per farglielo trovare subito». Buona, questa: lo sanno anche i sassi, che Salvini si sta fregando le mani all’idea che Renzi & Grillo estinguano il Pd e i 5 Stelle, riversando altri milioni di voti sulla Lega grazie al governo patibolare del professor-avvocato di Volturara Apula, il compare dell’euro-brigata coalizzata contro gli italiani.Poi, Travaglio scende senza paura nell’officina inguardabile delle trattative: «Zinga non voleva Conte premier né Di Maio ministro e chiedeva un solo vicepremier Pd, poi ha ceduto su tutti e tre i punti». Vero, ma in cambio di cosa? Quale meravigliosa sorpresa è stata riservata all’ex elettore italiano? Ma attenzione: «Di Maio ha rinunciato a Palazzo Chigi, ricompattando un movimento in rotta e a rischio di estinzione. E recuperando Grillo in prima linea». Bum! Di Maio – preso a calci da Grillo, a reti unificate – avrebbe “ricompattato” i parlamentari? E il valletto avrebbe addirittira “recuperato” l’imperatore, spingendolo – lui, Giggino – a muovere il fondoschiena, ai suoi ordini, per schierarsi in prima linea? Siamo ormai nel regno del surreale. «Se vincesse il No – piange Travaglio – i gruppi parlamentari si spaccherebbero», finalmente. «Conte andrebbe a casa», ma magari!, «e Salvini avrebbe ciò che vuole». E cioè: «Voto, vittoria e “pieni poteri”». Brr, che paura. Si sono visti, i pieni poteri di Salvini: sberle rimediate sul deficit, gogna mediatica, ostracismo squadristico. Salvini ha dovuto assistere alla lapidazione di Armando Siri, l’inventore della Flat Tax, per un semplice avviso di garanzia. E’ stato inoltre accusato di sequestro di persona (in italiano: privare qualcuno della libertà di andare dove vuole) per aver impedito a stranieri di sbarcare in Sicilia (non di dirigersi altrove). Toglie il sonno, in effetti, l’idea che un simile mostro possa tornare in auge.«Le due alternative al governo Conte-2 sono peggiori», svela l’illuminato maestro Travaglio: «Elezioni, cioè governo Salvini-Meloni-B., che cancellerebbe Reddito, dl Dignità, Anticorruzione, blocca-prescrizione e reato di abuso d’ufficio e ripartirebbe con inceneritori e trivelle; nuovo Salvimaio, che coprirebbe i 5 Stelle di ridicolo e servirebbe a Salvini per tradirli di nuovo e/o per finire di mangiarseli». Finge di non vedere, Travaglio – reticente coi grillini e con i suoi lettori – che Salvini sta facendo di tutto per evitarlo, il “governo Salvini-Meloni-B”. Quanto al tesoro nazionale che l’ipotetico esecutivo “neofascista, razzista e xenofobo” comprometterebbe, c’è da mettersi le mani nei capelli: il reddito di cittadinanza – unica misura percepibile, del grillismo di governo – è una bazzecola, a fronte del super-tradimento dei 5 Stelle, al seguito dei domatori Grillo e Conte, in favore del feroce rigore eurocratico di Ursula von der Leyen. Una coltellata all’alleato Salvini, concepita per costingere il leghista a staccare la spina e chiudere la breve e ambigua stagione di semi-libertà che gli italiani si erano conquistati con il voto del 2018. Il Belpaese deve tornare una semplice espressione geografica, una colonia periferica e depredabile dal Sacro Romano Impero, tra gli applausi del post-giornalismo nazionale.Il seguito del sermone di Travaglio è un piccolo capolavoro letterario che oscilla tra il cabaret e la metafisica. «L’unica opzione migliore, per un iscritto, è un monocolore M5S. Mission impossible: dovrebbe superare il 40%. Questo Parlamento è grillino al 33%: il prossimo mi sa di no». Così scrive – senza ridere – il direttore del “Fatto Quotidiano”. «Un Pd così sbiadito e diviso, senza leader né slogan forti – aggiunge – è un alleato meno insidioso e concorrenziale del monolite Salvini». E avanti di questo passo: «Le coalizioni tra diversi sono sempre rischiose. Ma forse, dopo la cura Salvini, il M5S ha comprato mutande di ghisa per non farsi fregare». Prego? Chi ha votato a tradimento per Macron e Merkel in Europa, la Lega o i 5 Stelle? La decima e ultima tappa dell’orazione travagliesca suona persino puerile: «Fino a un mese fa Salvini era sempre tra i piedi e in prima pagina. Ora sfugge ai radar. Chi lo rivuole in copertina?». Nel 2011, un giornalista di ben altra caratura – Paolo Barnard – accusò Travaglio di depistare i lettori su falsi bersagli, proprio come i 5 Stelle hanno fatto con gli elettori. Valgono una crociata i decretucci come lo “spazzacorrotti” o il demenziale taglio dei parlamentari, mentre i veri lestofanti – Juncker e i compari di Ursula – si allontanano indisturbati col bottino, centinaia di miliardi di euro. I tempi cambiano, comunque: da quando è diventato l’organo di stampa del grillismo governativo, il “Fatto Quotidiano” vende meno di 30.000 copie al giorno. Ne ha perse diecimila solo nell’ultimo anno.Si prova quasi tenerezza di fronte all’ingenuità delle frottole sciorinate da Marco Travaglio nel tentativo di orientare il voto della cosiddetta “base grillina” sulla fantomatica piattaforma Rousseau. Un tempo icona del giornalismo “con la schiena diritta”, celebrato nel santuario televisivo del collega Michele Santoro, il giustizialista Travaglio rimediò una tiepida figura nel 2013, quando l’Orribile Cavaliere – spintosi nella tana dei leoni – se la cavò benissimo di fronte alle domanducce dell’inquistore del “Fatto”. Ora, seppellito nonno Silvio, Travaglio ha semplicemente sostituito il Nemico. Il nuovo Uomo Nero, va da sé, si chiama Matteo Salvini. Pregustando il delitto eccellente, Travaglio riesce a digerire di tutto: dall’indecente grillismo “di lotta e di governo”, che ha fatto ridere l’Italia, all’eroico Renzi, riabilitato a tempo di record come geniale stratega. «Non avendo mai avuto tessere – pigola Travaglio, lindo come un giglio – non ho il problema del voto su Rousseau. Ma – aggiunge – se fossi iscritto, non avrei dubbi sul Sì al Conte-2». Nobile, il Cavaliere della Giustizia: il giornalista più sfacciatamente politico d’Italia non si sporca con la politica, ci mancherebbe; ma in questo caso si può ben fare un’eccezione. Ed ecco allora, sul “Fatto”, i dieci motivi per votare Sì al “governo dei prestanome”.
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Davvero gli italiani accetteranno il Governo dei Prestanome?
Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso dai mercenari arruolati nel governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza degli cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, non resterà più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico pagliaccio Beppe Grillo, come uno dei maggiori traditori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo del Conte-bis perché non aveva alternative, se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla cricca di potere che porta il nome di Partito Democratico).Il governo dello spread, caro all’oligarchia che ha fatto carne di porco del Belpaese, sarà accolto nel modo più benevolo del regime euro-italico, di cui è al servizio, contro l’interesse nazionale. Una speciale plastica facciale proteggerà i suoi ministri-camerieri e i suoi servili mandanti, presto in passerella in tutte le televisioni, a reti unificate, a spiegare che l’orrore è bellissimo, che la sottomissione è nobile, e che prendere a calci in faccia gli elettori, derubandoli, è un’arte civilissima, antifascista e antirazzista, politicamente corretta. Resta da capire come lo accoglieranno, gli italiani, il Governo dei Mascalzoni. Tutte le dittature, quando sono alla canna del gas, si comportano allo stesso modo: prima di sparare sulla folla tentano un’ultima mossa, la manovra di palazzo fondata sulla frode. Il potenziale di fuoco di cui gode l’establishment italiano al servizio del potere straniero è tuttora molto rilevate, virtualmente schiacciante. Per ora ha disarmato la popolazione, sottraendole l’arma democratica a sua disposizione: il voto. E si prepara a punire l’elettorato con una lunghissima astinenza: gli italiani potranno tornare a votare solo dopo che il Governo dei Traditori avrà consegnato in mani anti-italiane i maggiori asset rimasti al paese, dall’Eni a Leonardo, e poi la presidenza della Repubblica.Il Governo dei Ladri di Democrazia cercherà in ogni modo di indorare la pillola, con l’aiuto dei suoi padroni europei: premierà il rating della finanza pubblica italiana, abbasserà il differenziale coi Bund, concederà l’elemosina di una piccola dose di flessibilità, in termini di bilancio e di deficit. Purché il cane continui a leccare la mano del padrone, anziché azzannarla. Purché gli italiani, soprattutto, continuino a non contare niente. E purché l’Italia, come nazione, arrivi rapidamente a contare meno di zero, integralmente svenduta, sottomessa, ridotta al silenzio e all’irrilevanza assoluta anche sul piano geopolitico, mediterraneo e africano. Ma loro, gli italiani? Sette su dieci volevano tornare alle urne. Il 70% del popolo italiano non accetta il Governo dei Cialtroni, e prova disgusto davanti alla sfrontata, ignobile disonestà dei burattini manovrati dal potere straniero, i 5 Stelle e gli zombie del Pd. Il Governo dei Buffoni lo stravince, il campionato mondiale dei fischi. E ogni giorno umilierà l’Italia, ne danneggerà l’immagine, distruggerà il residuo prestigio internazionale del paese: suggerirà l’idea che gli italiani sono dei poveri scemi, che si fanno mettere nel sacco da una congrega di imbroglioni disprezzati dal popolo. Può un paese democratico farsi rappresentare, seriamente, da una simile accozzaglia di miserabili?Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso da mercenari arruolati in un governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza dei cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, potrebbe non restare più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico giullare Beppe Grillo, come uno dei maggiori turlupinatori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo dell’ipotesi Conte-bis perché non aveva alternative; se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla congrega di potere che porta il nome di Partito Democratico).
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Terrore e menzogne: tutto, purché l’Italia non rialzi la testa
Qualunque cosa accada o non accada all’Italia, ombelico fragile e vittima predestinata dell’ordoliberismo post-democratico europeo, non si può prescindere dal ricordare la grande menzogna che ammorba il pianeta dall’11 settembre 2001, il maxi-attentato alle Torri Gemelle di Manhattan. L’impensabile era già in marcia da molti anni, certo: il Memorandum Powell per la riscossa storica delle oligarchie, la “crisi della democrazia” promossa dalla Trilaterale, la liquidazione di Allende e Sankara, Olof Palme e Aldo Moro, l’ipocrita “terza via” battuta da Blair e Clinton per rottamare la sinistra classica e lanciare la post-sinistra mercantilista dei Prodi, degli Schroeder, dei Renzi. Ma fu il fatidico 2001 a metter fine nel modo più brutale al breve sogno del globalismo mite vagheggiato da Gorbaciov dieci anni prima, che aveva dato al pianeta una meravigliosa e breve illusione: poter finalmente vivere un disgelo universale, con la fine della guerra fredda, cominciando a rimettere insieme i cocci di un mondo devastato dall’ingiustizia. Oggi sono i vigili del fuoco di New York a invocare la riapertura del caso 11 Settembre, sostenendo che le Twin Towers sarebbero state minate con esplosivi.Dopo 18 anni, tuttavia, a tener banco è ancora la verità ufficiale: aerei dirottati da fanatici islamisti ispirati da Osama Bin Laden, l’ex socio dei Bush ed ex fiduciario della Cia che poi il signor Obama ha raccontato al mondo di aver fatto assassinare il 2 maggio 2011 ad Abbottabad, in Pakistan, da un reparto speciale di Navy Seals poi stranamente morti a loro volta, abbattuti da fuoco amico a Kabul. Spesso si evita di mettere in relazione l’11 Settembre, e quindi la conseguente devastazione del mondo tuttora in corso a suon di guerre, con l’evento quasi altrettanto simbolico che lo precedette: l’inaudito delirio di violenza esploso al G8 di Genova, due mesi prima. A indicare la connessione è Wayne Madsen, all’epoca dirigente della Nsa: Madsen sostiene che la strategia della tensione affidata ai misteriosi black bloc, accuratamente preparata dalla National Security Agency, doveva servire a stroncare una volta per tutte il caotico movimento NoGlobal, di cui l’élite finanziaria pare avesse una gran paura.Fu casuale la scelta di provocare quella mattanza proprio in Italia? Il nostro paese era già stato durissimamente colpito dal terrorismo, incluso quello delle stragi nelle piazze, fino all’epilogo del sequestro Moro: fu allora immolato un politico grigio ma tenace, che in fondo incarnava l’irriducibile diversità italiana, inconciliabile con il progetto turbo-mercantile in cantiere, truccato da europeismo. Non doveva sopravvivere, l’anomalia italiana, con la sua economia-boom sorretta dal decisivo volano pubblico dell’Iri, il complesso industriale più grande d’Europa. Nel romanzo “Nel nome di Ishmael”, per il quale Francesco Cossiga si complimentò con l’autore, Giuseppe Genna, si mette in luce un dettaglio inquietante: il nesso tra i “sacrifici rituali di bambini” e l’omicidio politico. Oscura “firma” di sapore occulto, contro-iniziatico, a marcare il ricorso al terrorismo come “instrumentum regni”, in particolare contro l’Italia, dai tempi di Enrico Mattei.Quella dell’11 Settembre fu una strage immane: 3.000 morti nel crollo delle torri, più altre 12.000 vittime accertate nei giorni e mesi seguenti, a causa della nube d’amianto che avvolse i quartieri circostanti. E’ umanamente concepibile, un ipotetico auto-attentato di quelle proporzioni? Purtroppo sì, dicono i dietrologi: viceversa, il clan Bush non sarebbe mai riuscito a mobilitare l’opinione pubblica americana a supporto della “guerra infinita” scatenata in Afghanistan e in Iraq, che ha aperto le porte dell’attuale inferno quotidiano, estesosi in paesi come la Libia e la Siria. A Palazzo Chigi, dal 2001, si sono alternati Berlusconi e Prodi, quindi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte. Tutti governi che si sono mossi al di sotto della politica, all’ombra di tabù intoccabili: l’insindacabilità del Sacro Romano Impero franco-tedesco e l’altrettanto indicibile verità-ombra che sembra annidarsi dietro i sinistri eventi che aprirono il millennio, la follia di Genova e la mostruosa carneficina andata in scena a New York.Oggi l’Italia è alle prese con le consuete, deprimenti cronachette politiche, affidate all’estro di statisti del calibro di Matteo Renzi e Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti. Nelle retrovie della tifoseria svettano Giorgia Meloni e Alessandro Di Battista, mentre a Matteo Salvini viene imputato l’assurdo crimine di aver aperto una crisi politica insensata, tale da mandare a casa il glorioso, formidabile governo gialloverde. Eppure, anche se sembra impossibile, tutta l’Europa guarda all’Italia. L’Europa e non solo: se la Russia di Putin è stata tirata in ballo in modo tragicomico dall’improbabilissimo Russiagate, proprio il Belpaese è conteso da Usa e Cina, ad esempio per le implicazioni anche geo-strategiche dell’affare Huawei inerente la rete wireless 5G. Più in generale, l’Italia politica aveva comunque fatto notizia, a livello internazionale, un anno fa, varando l’unico governo europeo teoricamente all’opposizione di Bruxelles, dopo l’opaco terrorismo casalingo dell’Isis nel vecchio continente, e prima ancora della quasi-insurrezione francese dei Gilet Gialli.Tanta preoccupazione per gli sviluppi nazionali italiani suggerisce l’idea, solo in apparenza stravagante, che il nostro disastrato e meraviglioso paese sia in qualche mondo centrale, per il futuro del mondo, secondo una drastica linea di discrimine: la verità, una volta per tutte, oppure la menzogna, ancora e sempre. Quando l’Italia era diventata la quarta potenza industriale del pianeta, con Craxi a Palazzo Chigi, lo Stato era ancora sostanzialmente catto-consociativo, governato largamente dalla Dc ma co-gestito dal Pci. Forte della maggior presenza industriale pubblica del continente, il nostro era il paese più strano d’Europa: prospero e risparmiatore, politicamente stabile nonostante l’enorme instabilità dei singoli governi, lealmente atlantista ma non ostile all’Urss, apertamente filo-arabo senza però mai essere anti-israeliano. Il paese dei record, nonostante le sue piaghe storiche: divario Nord-Sud, elevata corruzione, mafia, dilagante evasione fiscale. Un paese pericoloso, per i concorrenti: resiliente, pieno di contraddizioni e di eccellenze, virtualmente indistruttibile. Dunque una nazione da piegare, da sottomettere, possibilmente con l’immancabile complicità dell’establishment nazionale.C’era quasi riuscito Mario Monti: iper-tassazione, Fiscal Compact, tagli al welfare, legge Fornero sulle pensioni e pareggio di bilancio in Costituzione. Tutte norme ammazza-Italia, scrupolosamente votate dal Pd di Pierluigi Bersani, che oggi – come se niente fosse accaduto, in questi anni – cinguetta soavemente, sostenendo che i mali italici si risolverebbero semplicemente debellando l’evasione, come se (a monte) non esistessero il macigno chiamato Unione Europea e il suo braccio armato, l’Eurozona, cui la Germania aderì su pressione della Francia solo a patto di ottenere in cambio lo scalpo industriale dell’Italia. In questi mesi turbolenti e mediocri, gli estimatori dei tanti Bersani d’Italia (i Saviano, i Fazio, gli Scalfari) non hanno trovano di meglio che dare del fascista a Salvini, tifando per il nemico di turno dell’Italia (Macron) nella speranza che riuscisse a disarcionare il puzzone, l’orco, l’usurpatore del potere regio. Nemmeno Salvini si è elevato, peraltro: agitando crocifissi nei comizi non è riuscito a sovrastare gli infimi avversari, l’ipocrita congrega finto-buonista che friggeva all’idea di aver perso le antiche poltrone, regalate (al barbarico leghista e all’indecente scolaresca dei grillini) da elettori semplicemente esasperati, traditi e abbandonati a se stessi, nauseati dalla sedicente sinistra.Campioni del mondo nell’arte della truffa, i 5 Stelle hanno evitato accuratamente di indicare la causa del problema-Italia. Salvini l’ha fatto, fermandosi però alle parole: questo è bastato, comunque, a trasformarlo in un bersaglio. Il capo della Lega è l’unico a non aver barato: Berlusconi aveva solo finto di voler avviare una grande riforma liberale, e Prodi – peggio ancora – aveva venduto agli italiani le meravigliose sorti e progressive di Eurolandia, cioè la condanna al rigore eterno. Salvini almeno evita di raccontare bugie, ma non è sufficiente. E la verità – tutta la verità – richiede una statura speciale, perché non può che passare per gli infami snodi irrisolti che stanno alla base dell’infausto esordio del terzo millennio: a partire dalla madre di tutte le menzogne, la versione ufficiale sull’11 Settembre. In parte, gli economisti progressisti reclutati dalla Lega – Bagnai, Rinaldi – hanno sdoganato intere parti della verità più imbarazzante, come il divorzio Tesoro-Bankitalia che trasformò di colpo il virtuoso debito pubblico italiano in tragedia nazionale. Ma è come se all’Italia, oggi, si chiedesse altro: la capacità di rialzare la testa, con un atto di coraggio che smonti l’unica vera arma – la paura – su cui si basano le oscure forze che hanno progettato l’11 Settembre e le sue guerre, l’Isis e la cosiddetta crisi, ben orchestrata dall’attuale regime finanziario e antisociale che si nasconde dietro il profilo istituzionale dell’Unione Europea.(Giorgio Cattaneo, “Terrore, ricatti e menzogne: purché l’Italia non rialzi la testa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 agosto 2019).Qualunque cosa accada o non accada all’Italia, ombelico fragile e vittima predestinata dell’ordoliberismo post-democratico europeo, non si può prescindere dal ricordare la grande menzogna che ammorba il pianeta dall’11 settembre 2001, il maxi-attentato alle Torri Gemelle di Manhattan. L’impensabile era già in marcia da molti anni, certo: il Memorandum Powell per la riscossa storica delle oligarchie, la “crisi della democrazia” promossa dalla Trilaterale, la liquidazione di Allende e Sankara, Olof Palme e Aldo Moro, l’ipocrita “terza via” battuta da Blair e Clinton per rottamare la sinistra classica e lanciare la post-sinistra mercantilista dei Prodi, degli Schroeder, dei Renzi. Ma fu il fatidico 2001 a metter fine nel modo più brutale al breve sogno del globalismo mite vagheggiato da Gorbaciov dieci anni prima, che aveva dato al pianeta una meravigliosa e breve illusione: poter finalmente vivere un disgelo universale, con la fine della guerra fredda, cominciando a rimettere insieme i cocci di un mondo devastato dall’ingiustizia. Oggi sono i vigili del fuoco di New York a invocare la riapertura del caso 11 Settembre, sostenendo che le Twin Towers sarebbero state minate con esplosivi.