Archivio del Tag ‘razzismo’
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Hezbollah è socialismo: magari l’avessimo noi, caro Salvini
Le reazioni più comuni alla parola “Hezbollah” mi fanno tornare alla memoria le parole che Mario Braga rivolge al figlio hippy Carlo Verdone nel film “Un sacco bello”: «ma che siete? Na tribbbù, ‘na setta, li carbonari, i mas(s)oni, ma che siete, ahò». Ed è meglio così, perchè quei pochi che ne dànno una definizione dimostrano ogni volta di non saperne una cippa. Non ultimo il ministro degli interni italiano che li ha definiti tra mille polemiche “terroristi”. Com’è noto, il fatto di commettere stragi, omicidi, sabotaggi viene definito “terrorismo” a seconda delle fazioni in lotta. Se Garibaldi avesse perso la sua battaglia verrebbe ricordato in tutti i libri di storia come un terrorista; siccome quella battaglia la vinse, allora è unanimamente riconosciuto come un patriota ed eletto deputato del Regno. Meglio allora specificare che l’epiteto “terrorista” non può essere conferito a cuor leggero e che esso va riferito più che altro al metodo di lotta impiegato. La comunità locale in Libano nel 1982 decise di darsi un’organizzazione per combattere lo Stato di Israele e ottemperare alle tante mancanze e inadempienze degli Stati mediorientali nati per volontà coloniale all’indomani della caduta dell’impero ottomano (che cadde nel 1922). Quell’organizzazione della comunità in Libano, ma con prospettive più ampie nell’area, si chiamò Hezbollah.Dunque, detto molto chiaramente, Hezbollah non è riconosciuto dalla comunità internazionale come uno Stato de iure, ma lo è de facto perchè racccoglie milioni di arabi del medioriente. Questa organizzazione non lavora solamente sotto il profilo ideologico, ma è strutturata anche territorialmente, con una sorta di guardia nazionale popolare, da un lato, e con la gestione di infrastrutture civili operative e funzionanti su tutto il territorio, dall’altro. Qualche sprovveduto potrebbe a questo punto pensare che, pur sotto questo profilo di “Stato nello Stato”, Hezbollah non sia poi così diversa dalla mafia in Sicilia o dall’Isis. Seguendo questa linea interpretativa, Hezbollah, mafia e Isis sarebbero strutture statali de facto, non de iure, e qualsiasi istituzione non riconosciuta a livello internazionale può essere considerata terroristica o comunque illegale. Se guardiamo al diritto internazionale il discorso pare ineccepibile, ma è sempre secondo i fatti che le cose non stanno per niente così. E’ impossibile, ad esempio, che un cittadino siciliano ammalato possa rivolgersi ad ospedali della mafia, dove il primario si presenta come un membro di Cosa Nostra e i medici sono picciotti laureatesi all’università del rettore Turi O’Sfreggiato.Hezbollah gestisce alla luce del sole. Ospedali, scuole e strutture rivolte al pubblico sostituendosi in parte a quella nazione ufficiale, il Libano, che nacque per volontà coloniale (accordo Sykes-Picot). Ancora oggi la lingua francese è ampiamente parlata e diffusa a Beirut e seconda solo all’arabo. Va detto, a scanso di equivoci, che Hezbollah si è ampliata nel tempo anche ad altre regioni limitrofe, soprattutto in Siria, e gode dell’appoggio dell’Iran. Tra i suoi obiettivi dichiarati vi è la guerra ad Israele, considerata istituzione illegale e usurpatrice del territorio mediorientale. Strutture con un’amministrazione e una gerarchia come Cosa Nostra, o l’Isis, ma direi perfino i guerriglieri centroamericani del subcomandante Marcos o i Tupac Amaru non giocano affatto a carte scoperte. Molti loro capi sono sconosciuti, indossano passamontagna e si nascondono. Hezbollah no. Hezbollah ha uffici, divise ed un capo riconosciuto – Nasrallah – che si trova al vertice dell’organizzazione da quando il fondatore – Musawi – venne ucciso a seguito di un attentato (ehm) israeliano nel 1992.Il metodo Hezbollah è un metodo esportabile? Vediamo. Riassumendo il tutto potremo dire che (1) Hezbollah ha un’ideologia, come sono ideologie il marxismo, il liberismo, il fascismo, l’Islam, ecc. L’ideologia di Hezbollah si propone di coniugare la religione di Maometto con il socialismo. (2) Possiede un esercito non riconosciuto a livello internazionale e di tipo paramilitare, come lo fu la guardia nazionale francese nata nel 1989 per iniziativa di Lafayette. (3) Opera anche, ma non esclusivamente, attraverso attentati, sabotaggi e rapimenti, esattamente come fanno tutti gli Stati ufficiali dell’area, seppur in misura minore di Israele e dell’Isis. Il caso della morte del leader di Hezbollah Musawi è emblematico: elicotteri israeliani uscirono dai loro confini, entrarono i Libano e spararono su un corteo uccidendo il segretario generale Musawi, sua moglie e 5 figli. (4) Infine, Hezbollah gestisce scuole, ospedali e trasporti, proprio come lo Stato italiano, ma forse meglio del Cardarelli di Napoli, della Salerno-Reggio Calabria e della Bocconi di Milano.Hezbollah gestisce anche un canale televisivo – “Al Manar”. Anche se a quel che so non trasmette il “Grande Fratello Vip” e nemmeno “Report”, non ho memoria di canali televisivi gestiti dalle Brigate Rosse italiane, dalla Mano Nera serba o dall’Eta dei baschi spagnoli. Questo modello è dunque replicabile anche in Italia? Be’, si potrebbe dire che se una cosa esiste essa è possibile ovunque. Gli unici gruppi che hanno provato qualcosa di vagamente simile, prima con le ronde e le monete padane, poi con l’assalto al campanile di San Marco, più recentemente con lo sforamento del deficit, hanno finora deluso. Chissà che prima o dopo qualcun altro non ci riprovi in maniera più efficace. Magari copiando da Hezbollah.(Massimo Bordin, “Metodo Hezbollah, ci vorrebbe anche qua”, dal blog “Micidial” del 13 dicembre 2018).Le reazioni più comuni alla parola “Hezbollah” mi fanno tornare alla memoria le parole che Mario Braga rivolge al figlio hippy Carlo Verdone nel film “Un sacco bello”: «ma che siete? Na tribbbù, ‘na setta, li carbonari, i mas(s)oni, ma che siete, ahò». Ed è meglio così, perchè quei pochi che ne dànno una definizione dimostrano ogni volta di non saperne una cippa. Non ultimo il ministro degli interni italiano che li ha definiti tra mille polemiche “terroristi”. Com’è noto, il fatto di commettere stragi, omicidi, sabotaggi viene definito “terrorismo” a seconda delle fazioni in lotta. Se Garibaldi avesse perso la sua battaglia verrebbe ricordato in tutti i libri di storia come un terrorista; siccome quella battaglia la vinse, allora è unanimemente riconosciuto come un patriota ed eletto deputato del Regno. Meglio allora specificare che l’epiteto “terrorista” non può essere conferito a cuor leggero e che esso va riferito più che altro al metodo di lotta impiegato. La comunità locale in Libano nel 1982 decise di darsi un’organizzazione per combattere lo Stato di Israele e ottemperare alle tante mancanze e inadempienze degli Stati mediorientali nati per volontà coloniale all’indomani della caduta dell’impero ottomano (che cadde nel 1922). Quell’organizzazione della comunità in Libano, ma con prospettive più ampie nell’area, si chiamò Hezbollah.
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Barnard: i buffoni che scoprono solo ora il bluff gialloverde
Italiani “buffoni”. Non quelli al governo, o quelli che l’esecutivo gialloverde l’hanno sempre e solo visto come un’epidemia di colera fascio-razzista in salsa populista. No, peggio: i veri buffoni, secondo Paolo Barnard, sono i connazionali che oggi – a fine 2018 – si stracciano le vesti, gridando al tradimento dei loro ex paladini. Lega e 5 Stelle: ieri bellicosi e polemici con la “dittatura” finto-europeista dell’Ue, e adesso già belanti e pronti a trattare, di fronte al muro di minacce e di ricatti innalzato da Bruxelles alle prime avvisaglie di deficit. E’ bastato poco: le provocazioni speculative dello spread, le intimidazioni di Moscovici e Juncker, la complicità mercenaria dell’eterno establishment italico “venduto allo straniero”. Fine del sogno irredentista: l’Italia si appresta a farsi rimettere in riga dai ragionieri dell’Unione Europea, tanto disonesti da accanirsi con noi – non tollerando neppure quel timido 2,4% di disavanzo – per poi affrettarsi a perdonare la Francia del “fratello” Macron, che per difendersi dalla rivolta dei Gilet Gialli annuncia che sforerà persino il mitologico 3% sancito da Maastricht sulla base di mere asserzioni “teologiche”, senza alcun rapporto con l’economia reale. O meglio: chi impose quel limite artificioso al deficit lo fece nella più clamorosa malafede, ben sapendo che tagliare le unghie agli Stati avrebbe terremotato i consumi e fatto sparire la classe media, deformando l’economia a esclusivo vantaggio dell’élite finanziaria.Il primo a raccontarlo, in Italia, fu proprio Paolo Barnard, solitario giornalista a tutto tondo (uno dei pochissimi in circolazione), capace di divorziare da “Report”, che aveva fondato insieme alla Gabanelli, per trasformarsi in un attivista d’avanguardia, impegnato a spiegare ai non-addetti le perverse alchimie della finanza e di una moneta, l’euro, fabbricata a scopo di dominazione, per confiscare la democrazia in Europa. Nel saggio “Il più grande crimine, uscito nel 2010, Barnard ricostruisce in termini addirittura criminologici la genesi dell’attuale Ue, imputandola all’azione (molto subdola) delle nuove oligarchie del denaro, vere e proprie eredi delle aristocrazie che furono. Missione: rimettere in piedi una sorta di Sacro Romano Impero governato da dogmi, da imporre agli ex-cittadini trasformati in neo-sudditi, cui infliggere crisi e disoccupazione, precarietà e insicurezza sociale, erosione dei risparmi, salari ridicoli e pensioni da fame. La scusa: non ci sono più soldi, il debito pubblico ci divora. La grande omissione: la moneta. Chi la controlla? Chi la detiene? Chi la emette? E’ lei, la moneta, la sola misura del debito. Un debito pubblico denominato in moneta sovrana non è un problema, in nessun caso. Usa, Cina e Russia non potranno fallire mai. Il Giappone ha il doppio del debito italiano, eppure non ne soffre. Solo in Europa – caso unico al mondo – mezzo miliardo di persone è in balia di macellai, come nel caso della Grecia, senza che nessuno si ribelli davvero.Potevano farlo Di Maio e Salvini? Dovevano farlo, stando alle rispettive campagne elettorali. In tanti li avevano presi sul serio: i loro avversari, Pd in testa, dichiaramente spaventati dal possibile nuovo corso, e poi ovviamente i loro sostenitori (almeno il 60% degli italiani, stando ai sondaggi), convinti di potersi fidare di questi due nuovissimi “salvatori della patria”. A storcere il naso fin dal principio, viaggiando come sempre “in direzione ostinata e contraria”, c’era lui: Paolo Barnard. Lo ricorda impietosamente, oggi, sul suo blog. Era il 31 maggio 2018 quando scriveva: «Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno inflitto agli elettori euroscettici italiani la più desolante umiliazione che chiunque potesse immaginare. Non male, per due “paladini” delle sovranità italiane. Ma molto peggio: hanno seppellito per sempre le speranze sovraniste italiane in un colpo solo». Nel senso: prima di sfidarlo, il nemico devi conoscerlo. E se è così potente, distruggendo te, scoraggerà chiunque altro vorrà provare a combatterlo. I gialloverdi? Pericolosamente velleitari, irresponsabili e cialtroni.«Esauriti i primi proclami di cosmesi, hanno già intrapreso il camino delle ceneri sul capo, verso le vie di Bruxelles e del Quirinale, precisamente come ogni altro fantoccio italiano dal 1993 in poi». Questo, aggiunge Barnard, accade «a tristissime spese dell’elettorato per l’impreparazione e la sprovvedutezza di Lega e 5 Stelle nell’aver grossolanamente sottovalutato l’avversario». Maggio 2018, e Barnard già scriveva: «Siamo infatti all’ennesima umiliazione nazionale, ora certa». Sei mesi dopo, qualche sassolino dalla scarpa se lo toglie, Barnard: «Chi fra i Socci, Fusaro, Becchi, e tutti ’sti delusi ragazzetti/e web che ora ragliano sui social “vi avevamo creduto! traditori!” condivise la mia previsione? Nessuno». E perché? «Perché ’sti personaggetti e i loro adoranti “ti metto 1 miliardo di like” tenevano i piedi in due staffe», scrive Barnard, che non perdona chi oggi – fuori tempo massimo – sta cambiando idea, giorno per giorno, di fronte al crollo della scommessa gialloverde. I supporter del “governo del cambiamento”? Piccoli opportunisti: «Sapete, non si sa mai: e se il carro dei vincitori vinceva? Comodo adesso saltar giù, buffoni».Italiani “buffoni”. Non quelli al governo, o quelli che l’esecutivo gialloverde l’hanno sempre e solo visto come un’epidemia di colera fascio-razzista in salsa populista. No, peggio: i veri buffoni, secondo Paolo Barnard, sono i connazionali che oggi – a fine 2018 – si stracciano le vesti, gridando al tradimento dei loro ex paladini. Lega e 5 Stelle: ieri bellicosi e polemici con la “dittatura” finto-europeista dell’Ue, e adesso già belanti e pronti a trattare, di fronte al muro di minacce e di ricatti innalzato da Bruxelles alle prime avvisaglie di deficit. E’ bastato poco: le provocazioni speculative dello spread, le intimidazioni di Moscovici e Juncker, la complicità mercenaria dell’eterno establishment italico “venduto allo straniero”. Fine del sogno irredentista: l’Italia si appresta a farsi rimettere in riga dai ragionieri dell’Unione Europea, tanto disonesti da accanirsi con noi – non tollerando neppure quel timido 2,4% di disavanzo – per poi affrettarsi a perdonare la Francia del “fratello” Macron, che per difendersi dalla rivolta dei Gilet Gialli annuncia che sforerà persino il mitologico 3% sancito da Maastricht sulla base di mere asserzioni “teologiche”, senza alcun rapporto con l’economia reale. O meglio: chi impose quel limite artificioso al deficit lo fece nella più clamorosa malafede, ben sapendo che tagliare le unghie agli Stati avrebbe terremotato i consumi e fatto sparire la classe media, deformando l’economia a esclusivo vantaggio dell’élite finanziaria.
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Cremaschi: Governo del Cedimento, pagheranno gli italiani
Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla Ue. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato ad stringere la corda. Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la Ue, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte anche la Commissione Ue ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli Stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno Stato sta rispettando e può rispettare. E inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti e i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel Parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.Salvini e Di Maio hanno subìto dai mercati, dal grande padronato, dalla Ue, una pressione ben più leggera di quanto toccò alla Grecia di Tsipras nel 2014. Ma è bastato solo alludere alla stessa medicina somministrata allora dalla Troika, lo ha fatto anche Monti che ne possiede adeguate conoscenze, e i due fieri sovranisti si sono piegati come fuscelli. Dopo la tragedia greca la farsa italiana. Oramai la trattativa governo Ue ha un solo vero scopo: permettere di salvare la faccia ai gialloverdi, almeno fino alle elezioni europee. Il deficit infatti sarà ridotto dal 2,4 al 2 o anche più in basso. Questo vuol dire che, rispetto alla sua stessa manovra, il governo dovrà tagliare dai 7 ai 9 miliardi le misure che intende fare, o altre spese su altre voci. Complessivamente la manovra si configurerà come quella più liberista e austera dai tempi di Monti. Verrà stretto ancora il cappio che da più di venti anni strangola l’economia del paese, quello dell’attivo primario di bilancio. Cioè lo Stato, alla fine di tutte le partite di giro, ancora una volta restituirà ai cittadini molto meno di quello che riscuoterà in tasse e contributi.Tria ha inoltre promesso 18 miliardi di privatizzazioni all’anno per abbassare il debito. Non c’è male per chi aveva commentato la strage del Ponte Morandi riproponendo la necessità delle privatizzazioni. Ma con la disinvoltura che lo distingue è stato proprio Di Maio a propagandare la nuova grande privatizzazione. Aggiungendo che non riguarderà aziende, ma solo edifici e terreni. Se fosse vero, considerato che dopo averla regalata alla Ue questa svendita di beni pubblici sarà sottoposta a obblighi brutali, saremmo alla più grande dismissione di suolo pubblico ai privati da cento anni in qua. Nel paese dei disastri idrogeologici questa sarebbe davvero una scelta criminale. Il governo Salvini Di Maio era partito come il contestatore delle regole Ue e ne diventerà uno dei più ligi esecutori, privatizzazioni ed austerità saranno la sua vera politica, il resto propaganda. È vero dunque che la finanziaria che concorderanno Conte e Moscovici aggraverà la crisi economica, visto che l’Italia, assieme alla Germania e ad altri paesi di Europa, sta entrando in recessione. Gli industriali se ne sono accorti e, come hanno sempre fatto quando i guadagni calavano, dopo aver appoggiato il governo hanno iniziati a criticarlo. Con il solo scopo di rafforzare le posizioni liberiste di Salvini e di portarlo alla fine a guidare da solo il paese.Ma cosa resterà allora della manovra del popolo festeggiata dal balcone, tra tagli, privatizzazioni, rinvii di spesa? Ben poco. Le due operazioni bandiera, il reddito di cittadinanza e l’abolizione della legge Fornero si sgonfieranno e si ridurranno a poche misure di facciata, dello stesso segno e dimensione degli 80 euro e delle varie mance elettorali del governo Renzi. Il reddito di cittadinanza da tempo non è più tale, ma è diventato una social card come quella di Tremonti, che si aggiunge al reddito di inclusione del governo Gentiloni. Sì darà qualche soldo in più, da spendere subito e bene col bancomat di Stato, ad una ristretta platea di poveri, ma soprattutto si finanzieranno con danaro pubblico le paghe di fame di chi lavora. Se il padrone dà 400 euro al mese, lo Stato contribuirà per arrivare a 780, ammesso che questa cifra finale resti. Quindi il reddito di cittadinanza diventerà il mezzo per introdurre in Italia il sottolavoro finanziato dallo Stato, come ha fatto la famigerata legge Hartz IV, che in Germania ha prodotto milioni di lavori sottopagati. Le aziende saranno incentivate ad assunzioni precarie con salari vergognosi, perché lo Stato ci metterà una parte della paga. Come ha preteso la lega alla fine il reddito di cittadinanza diventerà soprattutto un finanziamento alle imprese.Per quanto riguarda la legge Fornero, Salvini e Di Maio dovranno sottoscrivere con la Ue la rinuncia ad ogni sua reale abolizione. Era questa infatti la misura che più preoccupava i governi europei, tutti intenzionati ad innalzare l’età della pensione. Nessun governo farebbe invece vere obiezioni di fronte a prepensionamenti temporanei, perché questi avvengono in ogni paese. Quindi il governo dovrà giurare alla Ue che i 67 anni, a crescere, dell’età della pensione per tutte e tutti non verranno toccati. Poi potrà contrattare, ovviamente coprendo i costi con altri tagli, per quanti si allargheranno le maglie della gabbia. Le ultime proposte cancellano definitivamente quota 100 come diritto valido per sempre e promettono il pensionamento anticipato, naturalmente con le penalizzazioni di legge, solo a chi avrà maturato il requisito negli ultimi due o tre anni. Per chi ci arriva dopo ciccia. Centomila prepensionamenti da spendere in campagna elettorale e poi chi s’è visto s’è visto. Questo è il tradimento più sfacciato delle promesse elettorali di Salvini e Di Maio.Tuttavia nulla cambierà fino a che l’opposizione ufficiale al governo sarà rappresentata dai residui del centrosinistra e del centrodestra e fino a che Salvini riuscirà, grazie anche ai mass media, a distrarre l’opinione pubblica con la caccia ai migranti e con la libertà di sparare. Il governo del cambiamento diventerà il governò del cedimento, ma continuerà a servire i potenti e a spadroneggiare coi più deboli, fino a che avrà di fronte chi ha fatto le stesse politiche liberiste e ora lo accusa di non farle altrettanto bene. Per questo bisogna costruire ed estendere una opposizione sociale e politica diversa, che lotti sia contro gli imbrogli e la resa di Salvini e Di Maio, sia contro l’austerità, le regole liberiste e i diktat della Ue. La Francia, in rivolta contro quel Macron che aveva votato quasi al settanta per cento, conferma che le glorie politiche oggi sono molto effimere e che le politiche di austerità divorano chi le fa, ma anche chi finge di combatterle.(Giorgio Cremaschi, “Il governo del cedimento”, da “Micromega” del 7 dicembre 2018).Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla Ue. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato ad stringere la corda. Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la Ue, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte anche la Commissione Ue ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli Stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno Stato sta rispettando e può rispettare. E inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti e i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel Parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.
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Blondet: Salvini Ebbasta si è smarrito tra Berlino e Israele
«Chi vuole pace, sostiene il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele». E fin qui tutto bene (o quasi, visto che il binomio “pace” e “Israele” suona estremamente controverso). Ma il condottiero Matteo Salvini, in missione nello Stato ebraico (che ha appena riformato le sue leggi introducendo una norma “razziale” che pone gli ebrei al di sopra di chiunque altro), aggiunge, sul suo profilo Instagram: «Sono appena stato ai confini nord con il Libano, dove i terroristi di Hezbollah scavano tunnel e armano missili per attaccare il baluardo della democrazia in questa regione». I “terroristi” di Hezbollah? Replica Maurizio Blondet: non sa, Salvini, che Hezbollah «ha pagato un alto prezzo di sangue combattendo contro i terroristi veri, quelli dell’Isis, armati e addestrati e protetti da Israele e Usa? Non sa che sono alleati in Libano con i cristiani maroniti, e hanno difeso con le armi in pugno i cristiani d’Oriente, da tutti noi abbandonati? Non hanno spiegato, a Salvini, che proprio Hezbollah – insieme ai russi e agli iraniani – ha sostenuto la Siria, impedendo che cadesse nelle mani dei tagliagole jihadisti messi in campo, sottobanco, dall’intelligence occidentale con l’aiuto di Netanyahu e Erdogan, due notori campioni della democrazia e dalla pace nel mondo?«Non solo vicepremier, non solo ministro dell’interno». Adesso, scrive Blondet, Salvini «scavalca tutti e fa il ministro degli esteri. Insomma, fa tutto lui. E anche di più. Naturalmente raccogliendo enormi successi diplomatici». Blondet lo definisce il classico elefante nella cristalleria, che va a spasso in Israele «ignorando come gli israeliani lo abbiamo insultato sui giornali, dicendo che dovevano dichiararlo “persona non grata” perché neofascista, “populista, separatista, nazionalista”». E questo «lo dicono “loro”, unico stato razziale, a lui». “La visita di Salvini divide Israele”, scriveva l’Agi alla vigilia: «Il vicepremier incontrerà il premier Netanyahu ma non il presidente Rivlin (per motivi di agenda, spiega il portavoce). Il quotidiano di sinistra “Haaretz” lo dichiara “persona non gradita”». Perché la visita di Matteo Salvini in Israele sta facendo tanto discutere? Voci di protesta si alzano anche dai 5 Stelle, che sulla questione israelo-palestinese hanno posizioni ben diverse da quelle del leader della Lega.Già nel comizio di sabato, a Roma, secondo i media, Salvini si era proposto «come ministro per l’Europa e premier» indossando abiti non suoi annunciando di parlare «a nome di 60 milioni italiani», con questo obiettivo: «Datemi mandato per trattare con la Ue». Poi però ha proclamato che intende mettere in piedi «un nuovo asse Roma-Berlino», da opporre al morente asse franco-tedesco. «Se fosse cosciente dell’enormità di quel che dice – scrive Blondet – sarebbe sì fascista», ma invece «lui non sa». Aggiunge Blondet: «Per sua bocca, semplicemente, parla l’Italia di Sfera Ebbasta arrivata al governo. Quindi il commento giusto è quello di Osho: “Stavolta al Giappone non gli diciamo un cazzo”». Ma come, fino a ieri Salvini era per l’uscita dall’Ue e adesso vuole l’alleanza con la Germania, che ha messo ko l’Italia con l’austerity? Scrive l’analista Giovanni Zibordi: se il Piano-A era il 2,4% di deficit, il Piano-B sarebbe il 2%, al minimo accenno di contrarietà da parte di Bruxelles? «C’è caos totale sulla Brexit, le banche europee crollano in Borsa, Francia nel caos che ora sfonda l’austerità, recessione in arrivo… Gente con un minimo di competenza, a Roma, avrebbe dettato le condizioni alla Ue, infischiandosene della spread che è un bluff». Non pago, Salvini fa il messia in Israele. Chiosa Blondet: «Qualcuno è in grado di fermarlo, Sfesso Ebbasta? Sedarlo?».«Chi vuole pace, sostiene il diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele». E fin qui tutto bene (o quasi, visto che il binomio “pace” e “Israele” suona estremamente controverso). Ma il condottiero Matteo Salvini, in missione nello Stato ebraico (che ha appena riformato le sue leggi introducendo una norma “razziale” che pone gli ebrei al di sopra di chiunque altro), aggiunge, sul suo profilo Instagram: «Sono appena stato ai confini nord con il Libano, dove i terroristi di Hezbollah scavano tunnel e armano missili per attaccare il baluardo della democrazia in questa regione». I “terroristi” di Hezbollah? Replica Maurizio Blondet: non sa, Salvini, che Hezbollah «ha pagato un alto prezzo di sangue combattendo contro i terroristi veri, quelli dell’Isis, armati e addestrati e protetti da Israele e Usa? Non sa che sono alleati in Libano con i cristiani maroniti, e hanno difeso con le armi in pugno i cristiani d’Oriente, da tutti noi abbandonati? Non hanno spiegato, a Salvini, che proprio Hezbollah – insieme ai russi e agli iraniani – ha sostenuto la Siria, impedendo che cadesse nelle mani dei tagliagole jihadisti messi in campo, sottobanco, dall’intelligence occidentale con l’aiuto di Netanyahu e Erdogan, due notori campioni della democrazia e dalla pace nel mondo?
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Aiutare l’Africa nel solo modo possibile: andandocene via
«Il debito è la nuova forma di colonialismo. I vecchi colonizzatori si sono trasformati in tecnici dell’aiuto umanitario, ma sarebbe meglio chiamarli tecnici dell’assassinio. Sono stati loro a proporci i canali di finanziamento, i finanziatori, dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro paese, la crescita del nostro popolo e il suo benessere… Hanno fatto in modo che l’Africa, il suo sviluppo e la sua crescita obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranee. Hanno fatto in modo che ciascuno di noi sia, oggi e domani, uno schiavo finanziario». Questo discorso fu tenuto nel 1987 da Thomas Sankara all’“assemblea dei paesi non allineati”, Oua. Fu assassinato due mesi dopo. Debbo la conoscenza di questo straordinario discorso, ampiamente dimenticato, a un mio giovane amico, Matteo Carta, che lo aveva ripreso da un servizio di Silvestro Montanaro per il programma di Rai3 “C’era una volta” andato in onda alle undici di sera il 18 gennaio 2013. E questa fu anche l’ultima puntata di quel programma. Thomas Sankara arrivò al potere con un colpo di Stato che rovesciò la pseudo e corrottissima democrazia.Nei quattro anni del suo governo fece parecchie cose positive per il Burkina: si impegnò molto per eliminare la povertà attraverso il taglio degli sprechi statali e la soppressione dei privilegi delle classi agiate, finanziò un ampio sistema di riforme sociali incentrato sulla costruzione di scuole, ospedali e case per la popolazione estremamente povera, fece un’importante lotta alla desertificazione con il piantamento di milioni di alberi nel Sahel, cercò di svincolare il paese dalle importazioni forzate. Inoltre si rifiutò di pagare i debiti coloniali. Ma non fu questo rifiuto a perderlo, Francia e Inghilterra sapevano benissimo che quei debiti non potevano essere pagati. A perderlo fu il contenuto sociale della sua opera che i paesi occidentali non potevano tollerare. Tanto è vero che nel controcolpo di Stato che portò all’assassinio di Sankara, all’età di 38 anni come il Che, furono coinvolti oltre a Francia e Inghilterra anche gli Stati Uniti che ‘coloniali’ in senso stretto non erano stati.Sankara doveva quindi morire. Non approfittò mai del suo potere. Alla sua morte gli unici beni in suo possesso erano un piccolo conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e la casa in cui era cresciuto. Questo discorso di Sankara è più importante di quello che Gheddafi avrebbe tenuto all’Onu nel settembre del 2009 e che gli sarebbe costato a sua volta la pelle. Gheddafi, in un linguaggio assolutamente laico, come laico era quello di Sankara, si limitò, in buona sostanza, a denunciare le sperequazioni istituzionali e legislative fra i paesi del Primo e del cosiddetto ‘Terzo Mondo’ (questa immonda e razzista definizione ha un’origine abbastanza recente, fu coniata dall’economista Alfred Sauvy nel 1952 – Poca terra – nel 2000). Sankara, a differenza di Gheddafi, centra l’autentico nocciolo della questione: le devastazioni economiche, sociali, ambientali provocate dall’introduzione in Africa Nera, spesso con il pretesto di aiutarla, del nostro modello di sviluppo. Ecco perché bisogna stare molto attenti quando, con parole pietistiche, si parla di “aiuti all’Africa”. Non per nulla parecchi anni fa durante un summit del G7 i sette paesi più poveri del mondo, con alla testa l’africano Benin (Sankara era già stato ucciso) organizzarono un controsummit al grido di “Per favore non aiutateci più!” (mi pareva una notizia ma si guadagnò solo un trafiletto su “Repubblica”).Per questo tutti i discorsi che girano intorno al “aiutiamoli a casa loro”, che non appartengono solo a Salvini, sono pelosi. Noi questi paesi con la nostra presenza, anche qualora, raramente, sia in buonafede, non li aiutiamo affatto. Li aiutiamo a strangolarsi meglio, a nostro uso e consumo. Il solo modo per aiutare l’Africa Nera è che noi ci togliamo dai piedi. E dai piedi devono levarsi anche quelle Onlus come l’Africa Milele per cui lavora, o lavorava, Silvia Romano, attualmente prigioniera nelle boscaglie del Kenya, formate da pericolosi ‘dilettanti allo sbaraglio’. Pericolosi perché – e almeno questo dovrebbe far rizzare le orecchie al nostro governo – sono facili obbiettivi di ogni sorta di banditi o di islamisti radicali a cui poi lo Stato italiano, per ottenerne la liberazione, deve pagare cospicui riscatti. E’ stato il caso, vergognoso, delle “due Simone” e dell’inviata dilettante del Manifesto Giuliana Sgrena la cui liberazione costò, oltre al denaro che abbiamo sborsato, la vita a Nicola Calipari. In quest’ultimo caso il soldato americano Lozano, del tutto legittimamente perché avevamo fatto le cose di soppiatto senza avvertire la filiera militare statunitense, a un check-point sparò alla macchina che si avvicinava e uccise uno dei nostri migliori agenti segreti.(Massimo Fini, “Aiutiamo l’Africa andandocene via” dal “Fatto Quotidiano” del 29 novembre 2018; articolo ripreso sul blog di Fini).«Il debito è la nuova forma di colonialismo. I vecchi colonizzatori si sono trasformati in tecnici dell’aiuto umanitario, ma sarebbe meglio chiamarli tecnici dell’assassinio. Sono stati loro a proporci i canali di finanziamento, i finanziatori, dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro paese, la crescita del nostro popolo e il suo benessere… Hanno fatto in modo che l’Africa, il suo sviluppo e la sua crescita obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranee. Hanno fatto in modo che ciascuno di noi sia, oggi e domani, uno schiavo finanziario». Questo discorso fu tenuto nel 1987 da Thomas Sankara all’“assemblea dei paesi non allineati”, Oua. Fu assassinato due mesi dopo. Debbo la conoscenza di questo straordinario discorso, ampiamente dimenticato, a un mio giovane amico, Matteo Carta, che lo aveva ripreso da un servizio di Silvestro Montanaro per il programma di Rai3 “C’era una volta” andato in onda alle undici di sera il 18 gennaio 2013. E questa fu anche l’ultima puntata di quel programma.
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La lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta
La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvolti turpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne veniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà”. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.
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Fracchia contro Dracula: gli eroi gialloverdi e i vampiri Ue
«Non si può votare per abolire la legge di mercato, come non si può votare per abolire la legge di gravità» (Carlo Alberto Carnevale Maffè, Università Bocconi). Dopo aver giurato e spergiurato che non avrebbero mai ceduto, i Grilloverdi naturalmente hanno ceduto, stralciando sia quel che resta del miserrimo Reddito di cittadinanza, che la fantomatica Quota 100 pensionistica dalla manovra finanziaria, per renderla più digeribile ai vampiri dell’Ue. Come Fracchia, minacciano sfracelli davanti ai colleghi, per poi cagarsi sotto all’arrivo del capoufficio. In particolare non c’è promessa solenne o valore fondante che la maggioranza dei grillini non sia disposta a rimangiarsi fino all’ultima briciola, pur di restare aggrappata alla posizione di potere che ha raggiunto, e che si restringe e diventa sempre più scivolosa, come una lastra di ghiaccio in un mare in tempesta, circondata dai pescecani, soprattutto leghisti. Tutta la fantascientifica rivoluzione del M5S s’è ridotta al bisogno disperato di riuscire a distribuire qualche buono spesa ai suoi elettori, prima che Salvini glieli porti via tutti. Mentre l’Unione Europea continua a spedire lettere minatorie a raffica come uno spam bot.Questo match truccato fra cazzari e sanguisughe è avvilente. La nostra unica speranza è il loro annientamento reciproco. Purtroppo però hanno più volte dimostrato d’avere la resilienza degli scarafaggi, specialmente la Lega, che si trova bene in entrambe le categorie, e quando si sarà sgonfiata la bolla populista, conta di tornare fra i “moderati”, i borghesi (post) berlusconiani i cui interessi in realtà non ha mai smesso di tutelare in via prioritaria, alla faccia del popolo. La democrazia occidentale s’è rivelata la peggiore truffa a schema piramidale del millennio. Votare è inutile, nella migliore delle ipotesi. Perché non c’è nessun vero cambiamento politico e sociale possibile senza cambiamento del modello economico. Questa pantomima è l’unica “democrazia” consentita dal capitalismo. Intanto il cadavere del Pd aspetta d’essere rianimato dal morso di Minniti. Le conduttrici “progressiste” lo adorano, Gruber, Panella, Merlino, Berlinguer, lo intervistano con occhi sognanti, lo supplicano di salvare la nazione dai fascisti impresentabili. E riconsegnarla a quelli beneducati.(Alessandra Daniele, “Fracchia contro Dracula”, da “Carmilla” del 4 novembre 2018. Blogger disillusa sul menù politico italiano e curatrice della rurbica “Schegge taglienti” proprio su “Carmilla”, Alessandra Daniele ha collaborato a tre antologie cartacee, due progetti collettivi Creative Commons che ha contribuito a ideare, “Sorci Verdi” (Alegre, 2011), “Scorrete lacrime, disse lo sceriffo” (Crash, 2008) e l’antologia urban horror “Sinistre Presenze” (Bietti, 2013). Ha pubblicato due diverse raccolte dei suoi testi “carmilliani”: “Schegge Taglienti” (Agenzia X, 2014) e l’ebook gratuito “L’Era del Cazzaro” (Carmilla, 2016). C’è un suo racconto anche nella raccolta fotografica “Banditi dell’alta felicità”, edita dal movimento NoTav. Il suo spazio su “Carmilla” lo chiama “bloggino”, definendolo «uno spinoff per testi (ancora) più brevi». Precisa: «Non sono né su Facebook né su Twitter. Sono su “Carmilla”. E qualche volta al mare»).«Non si può votare per abolire la legge di mercato, come non si può votare per abolire la legge di gravità» (Carlo Alberto Carnevale Maffè, Università Bocconi). Dopo aver giurato e spergiurato che non avrebbero mai ceduto, i Grilloverdi naturalmente hanno ceduto, stralciando sia quel che resta del miserrimo Reddito di cittadinanza, che la fantomatica Quota 100 pensionistica dalla manovra finanziaria, per renderla più digeribile ai vampiri dell’Ue. Come Fracchia, minacciano sfracelli davanti ai colleghi, per poi cagarsi sotto all’arrivo del capoufficio. In particolare non c’è promessa solenne o valore fondante che la maggioranza dei grillini non sia disposta a rimangiarsi fino all’ultima briciola, pur di restare aggrappata alla posizione di potere che ha raggiunto, e che si restringe e diventa sempre più scivolosa, come una lastra di ghiaccio in un mare in tempesta, circondata dai pescecani, soprattutto leghisti. Tutta la fantascientifica rivoluzione del M5S s’è ridotta al bisogno disperato di riuscire a distribuire qualche buono spesa ai suoi elettori, prima che Salvini glieli porti via tutti. Mentre l’Unione Europea continua a spedire lettere minatorie a raffica come uno spam bot.
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L’antifascismo dei cretini: puro odio, in assenza di fascismo
Abbiamo sempre avuto pazienza con i cretini non cattivi e con i cattivi ma intelligenti. Non riusciamo però ad averne con i cretini cattivi, magari in origine solo cretini poi incattiviti oppure solo cattivi poi rincretiniti. Ma sono cresciuti a dismisura e si sono aggravati. Sto parlando del nuovo antifascismo, collezione autunno-inverno, che si alimenta di fascistometri per misurare il grado di fascismo che è in ciascuno di noi e di istruzioni per (non) diventare fascisti, di Anpi posticce che sventolano l’antifascismo anche il 4 Novembre, non più costituite da partigiani ma da militanti dell’odio perenne; e poi di mobilitazioni, manifestazioni e mascalzonate, veicolate da giornaloni, telegiornaloni, talk show e da tante figurine istituzionali. Come quel Figo che alterna dichiarazioni d’antifascismo a dichiarazioni surreali d’amore a proposito degli stupri e i massacri tossico-migranti. Per lui le violenze si combattono con l’amore, come dicevano i più sfigati figli dei fiori mezzo secolo fa. Lui ci arriva adesso, cinquant’anni dopo e a proposito di un fatto così terribile come uno stupro mortale a una ragazzina.
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Salvini-mania, come conquistare l’Italia con quattro tweet
Ci sarebbe molto da dire sulle immense migrazioni umane dei nostri tempi: la prima è che sono solo sotto un sottoflusso del vorticoso Flusso Globale. I salmoni abituati per milioni di anni a fare il giretto da vivi di un angolino del Pacifico, da morti invece vanno dall’Alaska in Cina e tornano negli Stati Uniti, mentre il CO2 che le navi dispensano per fare questo giro finiscono (semplifico) per riscaldare il clima da noi e bruciare i nostri boschi. Qualunque discorso sulle migrazioni deve partire da qui, o è una perdita di tempo. Ma resto affascinato dalla maniera in cui Salvini è riuscito a trasformare la questione in un meccanismo da cui lui personalmente può solo uscire vincente. Un piccolo racconto immaginario. Facciamo conto che un giorno, un ghanese uccida una ragazza italiana. Nello stesso giorno, due mariti italiani hanno ammazzato le proprie mogli, ma poco importa. Salvini fa subito un tweet, “buttiamo fuori gli stranieri che uccidono!”. Ora, noi sappiamo tutti che nel Grande Cimitero dei Tweet, miliardi e miliardi di chiacchiere inutili dormono ignorate, come è giusto. Invece, a stretto giro di clic, arriva un’ondata di protesta per il tweet di Salvini. In un crescendo che funziona più o meno così: “Salvini dice ‘buttiamo fuori gli stranieri!’”. “Il ministro degli interni sta buttando fuori gli stranieri!”. “Salvini ha buttato fuori gli stranieri dall’Italia!”.Innanzitutto, la questione delle Migrazioni (che come dicevo è solo un sottoflusso, per quanto importante) diventa la questione centrale del paese, esattamente come voleva Salvini. Posto in questi termini, l’esito dello scontro è inevitabile. La maggior parte dei ghanesi si schiererà da una parte, la maggior parte degli italiani dall’altra, con la piccola precisazione che i ghanesi in Italia non votano. Ma soprattutto, succederà un’altra cosa. In Italia, tutti pensano che i politici siano fanfaroni. Li votiamo per fare i miracoli, poi non combinano niente e ci arrabbiamo. Pensate al mago Renzi, che ancora gli ridono dietro. Ma con Salvini, è diverso. Poniamo che io abbia votato per Salvini perché mi sta antipatico il gruppetto di quattro spacciatori tunisini dal coltello facile che bighellona in piazza (e non conosco i cento tunisini che fanno i muratori e tornano stanchi morti la sera). Incredibile… leggo che Salvini è riusciti a buttare fuori gli stranieri, e non lo dice lui: lo dicono persino i suoi avversari! All’inizio diffidavo, ma adesso ci credo sul serio! Cercavo i fatti concreti e li ho avuti. Il giorno dopo, gli spacciatori tunisini stanno sempre lì, ma questo non lo fa notare nessuno, anche se per smontare Salvini e mandarlo a casa, sarebbe bastato dire, “il cretino fa il duro alla tastiera, ma gli spacciatori stanno sempre lì!”.Questo non lo dice nessuno, perché quelli che se la prendono con Salvini, hanno bisogno di avere paura di lui. Se non esistono i draghi, che gusto c’è a salvare le vergini e sentirsi San Giorgio? Tutta la retorica della parte avversa è drammatica, “mai sottovalutare, il mostro può risvegliarsi in ogni momento, siamo nell’agosto del 1939!”. Quindi l’ipotesi che Salvini sia un fanfarone, non è nemmeno contemplabile. Mentre Salvini Fa i Fatti (con tanto di certificazione avversaria), i suoi nemici si crogiolano in un brodo emotivo, che da una parte è fatto di buoni sentimenti (buoni davvero, non è ironia), dall’altra di rabbia incontrollata. E i Fatti vincono facilmente sulle Emozioni. Anche quando non esistono, ma tutt’e due le parti concordano che sono reali. Ora, qualcuno potrebbe anche sottrarsi a questo gioco, ricordando che esistono questioni molto più importanti (come il fatto che tra poco dovremo stare tutti con l’aria condizionata accesa a dicembre, solo che non essendoci più il lavoro, non avremo come pagarcela). Ma anche se lo fa, ci sarà sempre un numero sufficiente di gente che ci cascherà e manterrà in vita il meccanismo. Come conquistare l’Italia con quattro tweet.(Miguel Martinez, “Salvini, Salvini e ancora Salvini!”, da “Kelebek Blog” del 15 ottobre 2018).Ci sarebbe molto da dire sulle immense migrazioni umane dei nostri tempi: la prima è che sono solo sotto un sottoflusso del vorticoso Flusso Globale. I salmoni abituati per milioni di anni a fare il giretto da vivi di un angolino del Pacifico, da morti invece vanno dall’Alaska in Cina e tornano negli Stati Uniti, mentre il CO2 che le navi dispensano per fare questo giro finiscono (semplifico) per riscaldare il clima da noi e bruciare i nostri boschi. Qualunque discorso sulle migrazioni deve partire da qui, o è una perdita di tempo. Ma resto affascinato dalla maniera in cui Salvini è riuscito a trasformare la questione in un meccanismo da cui lui personalmente può solo uscire vincente. Un piccolo racconto immaginario. Facciamo conto che un giorno, un ghanese uccida una ragazza italiana. Nello stesso giorno, due mariti italiani hanno ammazzato le proprie mogli, ma poco importa. Salvini fa subito un tweet, “buttiamo fuori gli stranieri che uccidono!”. Ora, noi sappiamo tutti che nel Grande Cimitero dei Tweet, miliardi e miliardi di chiacchiere inutili dormono ignorate, come è giusto. Invece, a stretto giro di clic, arriva un’ondata di protesta per il tweet di Salvini. In un crescendo che funziona più o meno così: “Salvini dice ‘buttiamo fuori gli stranieri!’”. “Il ministro degli interni sta buttando fuori gli stranieri!”. “Salvini ha buttato fuori gli stranieri dall’Italia!”.
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L’Italia vera e quella (indecente) di Moody’s e Cottarelli
Ci sarebbe da ridere, non fosse per i brutti ceffi in circolazione e le loro cattive intenzioni verso il sistema-Italia, ancora solido nonostante l’impegno che gli eurocrati hanno profuso per azzopparlo. Prima comica: azzannano il timido governo gialloverde, che si è limitato al 2,4% di deficit (contro il 3% ammesso da Maastricht), neanche fosse un esecutivo rivoluzionario. Seconda comica: gli stregoni di Moody’s declassano l’Italia, regina del risparmio europeo, in combutta coi loro azionisti bancari, che speculeranno sul ribasso del rating. Terza comica: a strapparsi i capelli sono l’infimo Martina, candidato a guidare il Pd verso l’estinzione, e Antonio Tajani, «decadente e grottesco presidente del Parlamento Europeo, figura modestissima e nuovo frontman di Berlusconi per le prossime europee, anche lui impegnato a spiegarci che andiamo verso la rovina». A mettersi le mani nei capelli semmai, è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: costretto a vedere la televisione di Stato che strapaga l’oligarca Cottarelli perché ripeta, nel salotto di Fazio, che la visione economica del mondo è una sola: la sua. Il primo a denunciare «la presa per i fondelli a spese degli italiani» è stato Gianluigi Paragone: non è curioso che a spillare quattrini alla Rai sia proprio Cottarelli, cioè il massimo censore della spesa pubblica? «Quello sarebbe il primo spreco da tagliare», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube.Stiamo vivendo agitazioni surreali, esordisce l’autore del bestseller “Massoni”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La storia delle “manine” che secondo Di Maio avrebbero manipolato il decreto fiscale? «Fa un po’ ridere i polli», così come il proditorio declassamento di Moody’s. «Siamo alla farsa finale: il sistema è talmente in crisi, e anche tremebondo, che mette in atto meccanismi spudorati, e quindi anche facilmente smascherabili». Le agenzie di rating? Non sono imparziali: «Sono aziende che perseguono profitto in pieno conflitto d’interessi, perché i loro azionisti hanno interessi di tipo speculativo e possono trarre vantaggio proprio dai declassamenti delle agenzie di cui detengono i pacchetti azionari. Possono cioè trarre profitto da quello che le agenzie di rating promettono o minacciano, e dal panico che il giudizio di queste agenzie può indurre». Questo, aggiunge Magaldi, è un sistema malato, al quale Moody’s dà un ulteriore colpo. «Da un lato la Bce non fa il suo mestiere di banca centrale e non garantisce il debito in titoli di Stato dell’Italia, come dovrebbe, per mantenere basso il famigerato spread. Dall’altro, le sedicenti istituzioni europee mandano i “pizzini” e disapprovano la manovra del governo, mostrando il loro cipiglio».Poi ci sono i pupazzi del teatrino italiano – i Martina, i Tajani – che suonano l’allarme. E quali sarebbero queste grandi e radicali manovre del governo Conte, che tanto preoccupano costoro? L’aver ipotizzato qualche spesa per lenire le condizioni di indigenza, senza neppure istituire un vero reddito di cittadinanza? Qualche spesa per migliorare la situazione fiscale? «Tutte cose che noi del Movimento Roosevelt salutiamo come un inizio, l’aurora di un possibile nuovo scenario, ma siamo sicuramente al di sotto delle proclamazioni solenni degli uni e degli altri», chiarisce Magaldi. «Dal punto di vista del governo c’è poco da strombazzare un New Deal, che non è ancora iniziato. Per contro, chi contesta il fatto che queste misure portino al 2,4% del rappoto deficit-Pil, ripete che, per questo motivo, il governo italiano andrebbe ricondotto alla ragione a forza di bastonate – attraverso le agenzie di rating, le dichiarazioni dei tecnocrati europei e le giaculatorie di questi personaggi decadenti del centrodestra e del centrosinistra. Mi sembra un teatro dell’assurdo, perché purtroppo non abbiamo ancora un governo che dichiari chiaramente di voler mettere in discussione, in quanto infondati scientificamente, i parametri di Maastricht, nei quali peraltro l’Italia rientra perfettamente».Perché non si ragiona mai sulla vera natura del debito pubblico, come ha fatto recentemente Guido Grossi anche su “ByoBlu”? Ci sono economisti, intellettuali e politici che offrono soluzioni concrete, già oggi, per gestire il debito pubblico così com’è. Ma poi, bisognerebbe inquadrare il debito per quello che è, ovvero «un elemento di economia spiegato male e utilizzato in modo improprio». Ma il governo gialloverde non ha messo seriamente in discussione i parametri di Maastricht, sul piano economico. E su quello politico, continua a giurare che non è vero, che vorrebbe “uscire dall’Europa”. «Ma il problema non è questo: bisognerebbe dire, invece, che in Europa non ci siamo mai entrati», sottolinea Magaldi. «Il governo dovrebbe dire: vogliamo una Costituzione Europea, politica». Di Maio, Salvini, Savona e gli altri insistono nel dire di voler restare nell’Eurozona, non mettendo in discussione neppure la valuta euro? «Bene, ma come vogliamo starci? Vogliamo restare in quest’Europa così com’è? In questa strana struttura sovranazionale senza Costituzione, senza meccanismi democratici e senza una vera partecipazione popolare alle decisioni più importanti?».Se finalmente il governo parlasse chiaro, pretendendo un’Europa democratica, allora sì che si potrebbe capire, «l’alzata di scudi da parte dei veri nemici del progetto dell’Europa unita, cioè quelli che oggi occupano indebitamente le maggiori poltrone delle istituzioni sedicenti europee». Se Lega e 5 Stelle dicessero che vogliono una Costituzione Europea, il loro «sarebbe un attacco al cuore del sistema, per renderlo più democratico». Vorrebbe dire «ridiscutere il concetto stesso di deficit, di debito pubblico, e “sforare” con percentuali ben più importanti, ma con spese in investimenti». Gli oppositori lo dicono in malafede, ma hanno ragione: nella manovra gialloverde non ci sono grandi spese in investimenti. «Ma lo si può capire: è solo l’inizio, al governo bisogna dare credito e fiducia, perché l’esecutivo Conte, quantomeno, sta cercando di fare qualcosina, laddove negli ultimi 25 anni non si è fatto nulla – o meglio, si è agito solo contro l’interesse del popolo italiano». Mancano investimenti adeguati, certo, come si è visto dopo il disastro di Genova. Ma il governo gialloverde è a metà strada fra il Paolo Savona che in Senato si appella al New Deal e il ministro Tria (scelta di ripiego, imposta dal Quirinale) che «non sa deve dar retta a Visco, a Draghi, a Mattarella, oppurre alla maggioranza che sostiene il governo di cui lui è parte».Per Magaldi «siamo, di nuovo, alla commedia dell’assurdo: si parla del nulla, il discorso politico è surreale». Quello economico, invece, è aggravato dal clamoroso declassamento di Moody’s, totalmente infondato: «L’Italia ha un grandissimo risparmio privato e ha dei “fondamentali” di economia eccellenti. L’Italia è un paese ricco, sotto molti aspetti: in Nord Europa ci sono paesi con i conti pubblici in apparenza migliori dei nostri, ma con un indebitamento privato molto più grave, quindi sono in una situazione più fragile». Perciò non si capisce (o meglio, si capisce anche troppo bene) perché Moody’s vada a declassare l’Italia. L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, suggerisce di creare un’agenzia di rating di respiro europeo, che – partendo dall’Italia – guardi le cose con occhi diversi, e valuti quindi la solidità di entità pubbliche e private con altri parametri. Mossa indispensabile, conferma Magaldi, «per evitare di essere ricattati da masnadieri in costante conflitto d’interessi». E dall’altro, aggiunge, bisogna creare un’agenzia che si preoccupi di valutare il sistema economico-sociale in base all’effettiva qualità della vita, oltre il semplice Pil.Lo disse Bob Kennedy già nel 1968, «pagando con la vita il suo tentativo di rappresentare la speranza di un’evoluzione diversa dell’Occidente e del mondo». Il Pil non può essere l’unico metro di misura delle nostre vite. Anche dal punto di vista meramente economico, aggiunge Magaldi, il solo Pil non funziona: «Questi numeri non raccontano davvero la prosperità e la ricchezza dell’Italia, pur con tutti i suoi limiti e tutta la decadenza che in questi anni è stata rovesciata sul nostro sistema. Si è tentato di deindustrializzarlo e impoverirlo, ma non ci si è riusciti: perché l’Italia è un grande paese, con capacità industriali e commerciali, grande attitudine al risparmio privato». L’Italia non può essere impunemente declassata, come giustamente rilevato dalla stessa magistratura di Trani, intervenuta in passato contro alcune agenzie di rating, in occasione del famigerato “golpe bianco” attuato con l’avvento del governo Monti: «Forse, oggi – ipotizza Magaldi – proprio la magistratura dovrebbe rimettersi in moto, analizzando le molte opacità di questo giudizio di Moody’s».Quanto al presunto sabotaggio del documento fiscale indicato da Di Maio, secondo Magaldi si può parlare anche di “manine” «ascrivibili a filiere massoniche neo-aristocratiche, e perciò contro-iniziatiche, come quelle che hanno demonizzato Rocco Casalino», scelto dai 5 Stelle come portavoce del premier. Volevano incastrarlo con il celebre fuori-onda nel quale prometteva sfracelli contro i sabotatori nascosti nei ministeri? «Intanto è riuscito nell’intento di denunciare i tecnici del ministero dell’economia che “remano contro”, e il fenomeno non riguarda certo solo quel dicastero». Se in Italia ci fossero ancora veri giornalisti, dice Magaldi, una bella inchiesta svelerebbe che nei ministeri e negli apparati burocratici circolano da decenni sempre le stesse persone: si ritiene abbiano competenze imprescindibili, galleggiano da un governo all’altro (centrodestra o centrosinistra non importa) e si sono riciclati anche con questo governo gialloverde. «Credo sia giunto il momento di un bel cambio: non è vero che questi siano professionisti insostituibili, credo occorra puntare su una rigenerazione della scuola della pubblica amministrazione, anche nell’individuazione di nuovi parametri».L’orizzonte è vasto: «Dobbiamo cambiare i termini di insegnamento dell’economia e della finanza, che in questi decenni hanno creato dei mostri», sostiene Magaldi. Spesso, «quelli che hanno studiato economia l’hanno fatto come asini, istruiti da altri asini, grazie a qualche “padrone degli asini” che, a monte, scientemente, ha voluto questa “asinità” diffusa». Seriamente: «L’economia dovrebbe essere un sapere critico, dialogico, scientifico e perciò aperto al confronto critico, e invece è stata insegnata come una sorta di catechismo, con dei principi di fede da seguire». Non mancano le ribellioni anche famose, contro il “lavaggio del cervello” subito in università anche prestigiose: lo conferma un caso come quello dell’economista Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, mostrando (dal di dentro) tutte le storture della narrazione economica neoliberista. «Discorso che vale anche per capi di gabinetto, dirigenti e consulenti: una casta di mandarini riciclati e inamovibili, che obbediscono a chi – come loro – abita stanze del potere non sottoposte al vaglio delle elezioni». Ha ragione Casalino: c’è da fare un bel repulisti. «E a proposito: non scordiamo quello che abbiamo appreso su Carlo Cottarelli, personaggio appartenente ai peggiori circuiti della contro-iniziazione massonica neo-aristocratica».Cottarelli viene dal Fmi, potente istituito che ha contribuito alla catastrofe della Grecia. Come giustamente fatto notare da Gianluigi Paragone, proprio Cottarelli incarna un madornale paradosso: «Un signore che da anni invoca “spending review”, revisione della spesa e grandi tagli, oggi per le sue comparsate televisive (dove sciorina le sue personalissime idee, intonate all’austerity montiana più becera) è strapagato con moltissimo denaro pubblico. Sono cose vergognose». Spreco di denaro pubblico, insiste Magaldi, è riempire di soldi il neoliberista Cottarelli per parlare per 40 minuti, senza un regolare contraddittorio con un economista post-keynesiano: giornalismo (e servizio pubblico) imporrebbero di ascoltare due voci distinte e contrapposte, peraltro non remunerate, ma presenti in televisione a titolo gratuito. «Ci sono personaggi italiani che avrebbero tante cose da dire, e che non vengono mai interpellati, dai media. E gli altri, che hanno tutto lo spazio per dire la loro, sono pure strapagati. Anche questo fa parte del teatro dell’assurdo che stiamo vivendo: il nostro è un paese che ha perso il senso del ridicolo. Ecco perché dobbiamo lavorare, tutti, per far ritrovare il senso della decenza».La realtà, aggiunge Magaldi, è che va ripensato l’intero sistema, partendo proprio dall’economia. «Forse è arrivato il momento storico in cui si può immaginare l’emissione di una moneta non “a debito”, cioè non ottenuta attraverso l’oferta di titoli di Stato. Forse dobbiamo pensare anche a monete complementari. Soprattutto: come di tutte le cose, in una società aperta, democratica e pluralistica, dobbiamo immaginare di poter parlare laicamente anche della moneta e dell’economia». Non è possibile, aggiunge Magaldi, che l’economia sia diventata una fede, «con sacerdoti che comminano scomuniche, lanciano anatemi e condannano al rogo». E’ inaccettabile l’impossibilità di essere eretici: anche perché «il mondo contemporaneo, scientifico e progressista, liberale, che tanti accigliati difensori vorrebbero difendere dalla “barbarie” dei populisti, è un mondo libero, democratico e pluralista fondato proprio sul libero confronto tra le diverse posizioni». E invece oggi «abbiamo questa surreale situazione, per cui da un lato si denunciano le pulsioni autoritarie, xenofobe, razziste e fascistoidi dei populisti, dei barbari che assaltano l’Olimpo della democrazia italiana, della convivenza pacifica tra le nazioni garantita dalle isitituzioni europee, e dall’altro questi signori sono fideisti, devoti a visioni monolitiche e indiscutibili».Non ammettono, gli oligarchi, che le loro convinzioni siano sottoposte alla discussione pubblica, «come non fu ammesso alla discussione il grande tema dell’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione», che ha consentito a Mattarella di “difendere” una Carta costituzionale gravemente lesionata, rispetto al dettato democratico del 1948. Sul fronte opposto, intanto, il leghista Giancarlo Giorgetti sostiene che il futuro sia del sovranismo populista? «Sbaglia, Giorgetti, se l’ha detto davvero, perché questo – replica Magaldi – consente agli avversari di spacciare per reale il presunto assalto alla democrazia, alle istituzioni liberali, all’equilibrio faticosamente raggiunto da una società avanzata». Molto meglio «stanare gli autori di questa immensa ipocrisia: qui non è questione di sovranismo o di populismo, qui è questione di sovranità del popolo, di democrazia sostanziale». Per il presidente del Movimento Roosevelt «bisogna che sia chiaro c’è una incongruenza grande come una casa, nell’atteggiamento dell’Europa che guarda all’Italia in modo arcigno: da un lato si rivendica la difesa della tenuta democratica di fronte all’assalto populista xenofobo, e dall’altro al popolo bue (trattato in modo veramente demagogico e manipolatorio) si propinano delle fedi, cioè l’esatto contrario di ciò che ha costruito le democrazie».I moderni regimi democratici, aggiunge Magaldi, con l’occhio dello storico, sono stati edificati «con metodo massonico, dunque progressista», basandosi cioè «sul dubbio critico e sulla messa in discussione dei dogmi». Uno su tutti: il dogma per il quale «il potere venisse da Dio e fosse amministrato da monarchi, da aristocrazie laiche per diritto di sangue e da aristocrazie ecclesiastiche per diritto d’ispirazione divina». Questi dogmi, sottolinea Magadi, hanno regnato per secoli: «E con questi dogmi, per secoli, i molti hanno asservito i pochi». Quello massonico, continua Magaldi, è stato un metodo di liberazione, di democrazia e di parlamentarizzazione della vita politica: «Ha creato quelle Costituzioni di cui avremmo bisogno in Europa, dove invece è stato istituito un sistema neo-feudale, non c’è Costituzione: ci sono altrettanti vassalli, valvassori, valvassini e cavalieri, che difendono una sorta di impero collegiale, oggi in mano a oligarchie apolidi e sovranazionali, le quali trattano il popolo come una massa di neo-sudditi». Queste cose bisogna pur iniziale a discuterle: «Io andrei volentieri a spiegarle in televisione, ovviamente gratis, insieme a tanti altri: non ho verità in tasca – precisa Magaldi – ma vorrei che ci fosse un confronto critico tra diverse visioni del mondo». Invece paghiamo, profumatamente, Cottarelli e soci: «Sacerdoti, che ci vengono a fare le loro prediche». E hanno a disposizione tutti i pulpiti, «offerti dai pennivendoli di regime, davvero spregevoli alla vista e all’udito, che infestano i media mainstream di questo paese».Ci sarebbe da ridere, non fosse per i brutti ceffi in circolazione e le loro cattive intenzioni verso il sistema-Italia, ancora solido nonostante l’impegno che gli eurocrati hanno profuso per azzopparlo. Prima comica: azzannano il timido governo gialloverde, che si è limitato al 2,4% di deficit (contro il 3% ammesso da Maastricht), neanche fosse un esecutivo rivoluzionario. Seconda comica: gli stregoni di Moody’s declassano l’Italia, regina del risparmio europeo, in combutta coi loro azionisti bancari, che speculeranno sul ribasso del rating. Terza comica: a strapparsi i capelli sono l’infimo Martina, candidato a guidare il Pd verso l’estinzione, e Antonio Tajani, «decadente e grottesco presidente del Parlamento Europeo, figura modestissima e nuovo frontman di Berlusconi per le prossime europee, anche lui impegnato a spiegarci che andiamo verso la rovina». A mettersi le mani nei capelli, semmai, è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: costretto a vedere la televisione di Stato che strapaga l’oligarca Cottarelli perché ripeta, nel salotto di Fazio, che la visione economica del mondo è una sola: la sua. Il primo a denunciare «la presa per i fondelli a spese degli italiani» è stato Gianluigi Paragone: non è curioso che a spillare quattrini alla Rai sia proprio Cottarelli, cioè il massimo censore della spesa pubblica? «Quello sarebbe il primo spreco da tagliare», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube.
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Magaldi: New Deal, grande Savona. Ma alzi il deficit al 10%
Ma la sinistra non era quella parte politica che un tempo si batteva per far avere più soldi alle fasce deboli della popolazione? Da che pulpito predicano, oggi, gli smarriti replicanti post-renziani alla Martina, che sparano sul governo gialloverde per il misero 2,4% di deficit inserito nel Def per il 2019? C’è posto per un qualche pensiero politico, nel cervello piatto di costoro? Rischia di ripetersi, Gioele Magaldi, come chiunque provi a demistificare la desolante narrazione del mainstream, di fronte allo strano spettacolo di un governo che ha contro il potere che conta. Non tutto, certo: ma se Jp Morgan non si unisce allo strepito allarmistico dell’establishment euro-italiano (giornali, Quirinale, Bankitalia, Ue e Bce), sostenendo che la manovra gialloverde non è poi da buttare (anche noi stiamo facendo “deficit spending”, conferma Steve Mnuchin, segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump) non significa che “l’America” o “la massoneria internazionale finanziaria” giochino nella stessa squadra del governo Conte. Semmai, avverte Magaldi, la sfida – più che mai attuale – è un’altra: spetta a noi, ai cittadini e alla politica, tornare a “mettere in riga” quella finanza neoliberista che ha smesso di servire l’economia facendo solo speculazione a spese di interi paesi, potendo contare in Europa su «potenti supermassoni come Draghi e servizievoli paramassoni come Mattarella».Tutt’altra musica, per fortuna, è stata quella suonata – in Senato – da quel Paolo Savona al quale, per via del veto imposto da Draghi, il presidente della Repubblica ha impedito di rivestire il ruolo di ministro dell’economia. Nonostante ciò, dopo aver lui stesso indicato Giovanni Tria per quel dicastero, Savona (oggi agli affari europei) appare il vero regista della manovra finanziaria gialloverde. Per ben due volte, sottolinea Magaldi (in web-streaming su YouTube con Marco Moiso e poi con Fabio Frabetti di “Border Nights”), Savona ha citato «l’archetipo rooseveltiano del New Deal», nominando sia il presidente americano Franklin Delano Roosevelt che il suo economista di riferimento, il britannico John Maynard Keynes (per inciso, massoni progressisti entrambi). La formula? Espandere la spesa pubblica, a deficit, per creare piena occupazione. Storia: l’America uscì dalla Grande Depressione e divenne la prima superpotenza del pianeta. Un modello tradotto in Europa, successivamente, prima con il Piano Marshall – che cambiò volto al continente, guidandone la resurrezione nel dopoguerra – e poi con il welfare più avanzato al mondo, di fatto “inventato” dal teorico inglese William Beveridge, massone progressista come lo stesso George Marshall.Autore del bestseller “Massoni”, che rivela le trame delle Ur-Lodges neo-aristocratiche che hanno progettato l’attuale globalizzazione, non è per fare il “gioco delle figurine” che Magaldi cita spesso – in modo puntiglioso – l’identità massonica di tanti grandi del Novecento (da Nelson Mandela a Martin Luther King, da Olof Palme a Yitzhak Rabin). Quel che gli preme è denunciare pubblicamente la «ignobile campagna massonofobica strisciante», reiterata oggi dall’inaudita iniziativa di Claudio Fava, che ha imposto ai massoni dell’assemblea regionale siciliana di svelare pubblicamente la loro appartenenza, come se solo gli aderenti alle logge (e non ad altre associazioni) fossero in dovere di rinunciare alla privacy garantita dalla Costituzione. Una volta di più, il presidente del Movimento Roosevelt sottolinea il ruolo avanguardistico svolto dalla massoneria che contribuì ad abbattere l’Ancien Régime “fabbricando” lo Stato democratico e la democrazia fondata sul suffragio universale. Se poi un’altra massoneria (apolide, mercenaria e rinnegata) ha agito in modo reazionario e neo-feudale, il primo a denunciarla, nero su bianco, è stato proprio Magaldi, nel silenzio imbarazzato dei politici italiani – compreso Renzi, «che bussò invano a quella supermassoneria e oggi ripiega su una seconda vita, rassegnandosi al ruolo di conferenziere a gettone».E’ lo stesso Renzi che critica il reddito di cittadinanza dopo aver sparso a pioggia i suoi famosi 80 euro alla vigilia delle elezioni. E’ il Renzi incorreggibile, dice Magaldi, che probabilmente non sarebbe neppure “morto”, al referendum del 2016, se solo avesse inserito – tra i quesiti – anche l’abrogazione del pareggio di bilancio. Un gesto indispensabile, a maggior ragione oggi, nel momento in cui Paolo Savona – da economista e da statista – evoca apertamente il New Deal, cioè il coraggio del “deficit spending” per rimettere in piedi l’economia, tenendo conto che la spesa pubblica fa crescere il Pil, alleggerendo il peso del debito pubblico. Sono i “fondamentali” di Keynes, che nessun Cottarelli è mai riuscito a smentire. Ripartire da quelli, insiste Magaldi, è la via maestra: non solo per restituire dignità all’Italia, anche per estendere la sovranità democratica al resto d’Europa e del mondo, tutelando anche i diritti altrui, onde evitare un replay “sovranista” della Pace di Westfalia del 1648 (che pose fine alla Guerra dei Trent’anni, senza però impegnare minimanente i contraenti a lavorare per il benessere dei sudditi). E in attesa che il Pd esca dal coma, magari riconoscendo come “di sinistra” la politica gialloverde («meglio di niente, il reddito di cittadinanza, per chi non ha ancora un lavoro»), il messaggio per il governo Conte è esplicito: «Perché limitarsi al 2,4% di deficit, quando con più coraggio – per esempio, un 10% di spesa pubblica – l’economia italiana potrebbe volare?».Ma la sinistra non era quella parte politica che un tempo si batteva per far avere più soldi alle fasce deboli della popolazione? Da che pulpito predicano, oggi, gli smarriti replicanti post-renziani alla Martina, che sparano sul governo gialloverde per il misero 2,4% di deficit inserito nel Def per il 2019? C’è posto per un qualche pensiero politico, nel cervello piatto di costoro? Rischia di ripetersi, Gioele Magaldi, come chiunque provi a demistificare la desolante narrazione del mainstream, di fronte allo strano spettacolo di un governo che ha contro il potere che conta. Non tutto, certo: ma se Jp Morgan non si unisce allo strepito allarmistico dell’establishment euro-italiano (giornali, Quirinale, Bankitalia, Ue e Bce), sostenendo che la manovra gialloverde non è poi da buttare (anche noi stiamo facendo “deficit spending”, conferma Steve Mnuchin, segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump) non significa che “l’America” o “la massoneria internazionale finanziaria” giochino nella stessa squadra del governo Conte. Semmai, avverte Magaldi, la sfida – più che mai attuale – è un’altra: spetta a noi, ai cittadini e alla politica, tornare a “mettere in riga” quella finanza neoliberista che ha smesso di servire l’economia facendo solo speculazione a spese di interi paesi, potendo contare in Europa su «potenti supermassoni come Draghi e servizievoli paramassoni come Mattarella».
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E’ andata a casa con il negro, la troia. Al rogo pure Vasco?
Chissà cosa direbbe oggi la cosiddetta società civile se un Tiziano Ferro qualunque o Laura Pausini usassero lo stesso frasario di Vasco Rossi nella sua celebre canzone “Colpa d’Alfredo”: «L’ho vista uscire mano nella mano con quell’africano che non parla neanche bene l’italiano». Urlava così, Vasco Rossi, al live Modena Park del 2017. E i giovani di oggi – italiani bianchi, neri, omosessuali, eterosessuali, cattolici, musulmani e atei – erano sotto il palco a braccia tese verso il loro idolo, pronti a cantare a squarciagola col Blasco e a spellarsi le mani dagli applausi. Nessuno ha pensato che ad un certo punto Vasco dice che «è andata a casa con il negro, la troia»: roba che se ti provi a scriverla oggi su Facebook il sistema ti banna fino all’età della pensione (cioè per sempre). E’ il politicamente corretto, bellezza. Peccato che il moralismo mainstream il razzismo non solo non lo distrugga affatto, ma che addirittura lo crei. In che senso, il politicamente corretto crea razzismo?Leggiamo su Wikipedia (sì, lo so, abbiate pazienza) che «l’espressione “politicamente corretto” designa una linea di opinione e un atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto generale, soprattutto nel rifuggire l’offesa verso determinate categorie di persone. L’opinione, comunque espressa, che voglia aspirare alla correttezza politica dovrà perciò apparire chiaramente libera, nella forma e nella sostanza, da ogni tipo di pregiudizio razziale etnico, religioso, ecc». Qui siamo alle semplici definizioni online, e a prima vista sembra tutto ok. Assolutamente condivisibile. Però a ben pensarci, anche nella mera definizione, c’è qualcosa che stride, dato che si parla di pregiudizio, cioè di un giudizio espresso verso una persona o una categoria di persone prima di conoscerle. Già in questo assunto c’è qualcosa che non torna. Se in ufficio volessi dire che quell’ascensore è troppo stretto per la sedia a rotelle del mio amico disabile, non lo potrei oggi fare perchè il politicamente corrretto vuole l’espressione “diversamente abile”. Anzi, meglio sarebbe non dire proprio niente: l’ideale sarebbe far riferimento a un amico impossibilitato a salire in ascensore a causa della sua sedia a rotelle. Punto.Il che, però, non aiuta alla piena comprensione dei miei interlocutori, perchè potrebbe trattarsi di una situazione momentanea (un amico che ha appena subito un intervento chirurgico e che starà sulla sedia a rotelle per qualche giorno, ad esempio). Mentre io, nel far riferimento all’handicap, chiarisco meglio con la parola “disabile” o “handicappato”: cosa c’entra il pregiudizio? Non è forse vero che l’amico cui faccio riferimento si trova in una situazione di menomazione fisica? Nel caso del razzismo, i danni del politicamente corretto sono ancora più evidenti. Se, ad esempio, un passante di origine subsahariana assiste a un incidente stradale, e la polizia che sta eseguendo i rilievi chiede se ci sono dei testimoni, gli interessati si possono trovare in imbarazzo a dire: «Sì, un negro ha visto tutto» (ma anche solo un “nero”, o persino un “signore di colore”). Il politicamente corretto impone che si dica “un signore”, ma questo impedisce in gran parte la comprensione, e impedirebbe persino ai poliziotti di rintracciare il testimone, se egli si trovasse tra una folla di curiosi “bianchi” che assistono alla scena dopo l’intervento della polizia.Il razzismo nasce oggi quando, obbligati dal linguaggio imposto, noi contraddiciamo l’evidenza empirica (un nero per il senso della vista è nero, un disabile è disabile, ecc. ecc.). Da qui la necessità – vietata socialmente – di marcare la distinzione si rafforza a livello inconscio. In altri termini se, di fronte a persone di colore devo stare attento a come parlo, questo finisce per rimarcare, inconsciamente, che quelle persone sono diverse. Nella canzone di Vasco, noi ragazzini degli anni Ottanta ci riconoscevamo perché, chi più chi meno, tutti soffrivavamo di un certo provincialismo. Ne facevamo parte, ma non lo amavamo. Vasco cantava in modo arrabbiato e triste le delusioni d’amore e la superficialità dei coetanei (in questo caso, di una coetanea) che apprezzavano solo chi aveva un determinato stile di vita (la bella macchina). C’entrava un beato beeep il fatto che l’antagonista fosse “nero”; ehm, anzi no, “di colore”, anzi no, “afroitaliano”. Urca: che ho detto? “Un signore”.Secondo il filosofo e psicologo sloveno Slavoj Zizek, se qui in Occidente volessimo davvero sconfiggere il razzismo, il primo passo sarebbe farla finita con questo processo politicamente corretto di auto-colpevolizzazione. L’Occidente ha una tendenza a colpevolizzarsi: dopo essere stati i dominatori del terzo mondo, oggi possiamo ancora esserne i padri moralisti. Se un paese del terzo mondo si macchia di terribili crimini, non è mai pienamente sua responsabilità: sta soltanto imitando quello che faceva il padrone coloniale, ecc. La logica del politicamente corretto attiva quei meccanismi che possiamo chiamare di “sensibilità delegata”, spesso secondo questa linea di argomentazione: «Non mi urtano i discorsi sessisti o razzisti o di odio, o chi si prende gioco delle minoranze, ma io parlo a nome di quelli che potrebbero essere offesi da quelle parole».Il punto di vista è quindi quello di questi “altri” che, viene dato per scontato, sono così ingenui e indifesi da aver bisogno di protezione perché non capiscono l’ironia o non sono in condizione di rispondere agli attacchi. Detto in modo ancora diverso, secondo Zizek noi abbiamo maturato una sensibilità da preti e la proiettiamo su un “altro” ingenuo, producendo così una sua infantilizzazione. Il che è come dire che ci riteniamo ancora superiori e che dobbiamo proteggere i nostri concittadini, amici, compagni, mogli, mariti, figli adottivi e non adottivi, colleghi di lavoro che, magari, sono neri perchè da soli non ce la farebbero. E perchè non ce la farebbero? Perché non sono bianchi.(Massimo Bordin, “E’ andata a casa con il negro, la troia”, dal blog “Micidial” del 4 ottobre 2018).Chissà cosa direbbe oggi la cosiddetta società civile se un Tiziano Ferro qualunque o Laura Pausini usassero lo stesso frasario di Vasco Rossi nella sua celebre canzone “Colpa d’Alfredo”: «L’ho vista uscire mano nella mano con quell’africano che non parla neanche bene l’italiano». Urlava così, Vasco Rossi, al live Modena Park del 2017. E i giovani di oggi – italiani bianchi, neri, omosessuali, eterosessuali, cattolici, musulmani e atei – erano sotto il palco a braccia tese verso il loro idolo, pronti a cantare a squarciagola col Blasco e a spellarsi le mani dagli applausi. Nessuno ha pensato che ad un certo punto Vasco dice che «è andata a casa con il negro, la troia»: roba che se ti provi a scriverla oggi su Facebook il sistema ti banna fino all’età della pensione (cioè per sempre). E’ il politicamente corretto, bellezza. Peccato che il moralismo mainstream il razzismo non solo non lo distrugga affatto, ma che addirittura lo crei. In che senso, il politicamente corretto crea razzismo?