Archivio del Tag ‘razzia’
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L’immigrazione: una vergogna, come la povertà da cui nasce
Rassegnarsi all’immigrazione-fiume: sarà la nuova normalità che ci attende? Niente affatto: l’esodo dei migranti è innanzitutto «una vergogna, esattamente come la povertà che spinge milioni di persone a lasciare le loro case, in gran parte per colpa dei nostri politici» che hanno letteralmente spolpato il cosiddetto terzo mondo, in combutta con i dittatori locali. Parola di Gianfranco Carpeoro, romanziere e saggista, irritato dai toni della polemica nostrana sulla tragedia dell’emigrazione. Dietro agli sbarchi c’è una voragine morale, una mostruosa ingiustizia sottaciuta e oggi coperta dall’ipocrisia buonista dell’accoglienza, che spaccia l’esodo come un fatto naturale, fisiologico. La presidente della Camera, Laura Boldrini, dice addirittura che gli immigrati «sono l’elemento umano, l’avanguardia di questa globalizzazione». Sostiene che sono «l’avanguardia di uno stile di vita che presto sarà lo stile di vita per moltissimi di noi». Carpeoro replica con un linguaggio esplicito: «L’immigrazione esiste perché questo mondo se n’è fottuto, di creare sacche enormi di povertà e degrado. Quindi la Boldrini, che è una querula signora che parla senza analisi, si limita a fare sponda ad un certo diffuso pietismo contemporaneo».Beninteso: «Io non sono favorevole all’idea di lasciar affondare i barconi nelle nostre acque», chiarisce Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Non sono favorevole a trattar male dei disperati, la cui unica colpa è quella di seguire solo la loro disperazione. E non sono neanche in grado – aggiunge – di ammettere come legittima una distinzione tra chi scappa per fame e chi scappa per guerra, perché la morte è morte: uno che muore di fame non è diverso da uno che muore di guerra». Fatta questa precisazione, continua Carpeoro, sarebbe meglio smetterla di affrontare il problema «senza capire che l’immigrazione è una vergogna, che va rimossa». Il guaio è a monte: «Non è colpa degli immigrati: è colpa degli Stati da cui vengono, degli Stati che hanno spogliato altri Stati, di un liberismo sfrenato che ha trattato gli esseri umani come se non contassero nulla». In altre parole: il problema va affrontato onestamente, alla radice, e quindi non dando per scontato che l’immigrazione «sarà sempre più frequente, come sento dire, che è un fenomeno di sistema, che l’immigrazione deve esserci e noi dobbiamo imparare a gestirla. No: io non la voglio, l’immigrazione».Insiste Carpeoro: «Io voglio che la gente stia bene a casa sua, perché non glieli ho rubati io, loro soldi». Ovvero: «Non ho corrotto i loro governanti per fare i miei affari», magari fingendo di inviare aiuti, «soldi che poi sono finiti in altre cose». Perché rassegnarsi a quella che sono gli stessi migranti a vivere come una tragedia? «Io non voglio l’immigrazione, come non voglio la povertà». E niente pietismo, per favore: «Non voglio i preti che mi vengono a dire che la prima cosa è aiutare i poveri: la prima cosa è eliminare la povertà». Bisogna impegnarsi a «ridurla ai minimi termini», intervenendo alle radici del problema, «e non continuando a dire “eh, ma è ineluttabile, vi dovete abiutare”». Abituarsi a cosa? «Da un lato vai a dire agli africani che si devono abituare a morire, se non scappano, e dall’altro vai a dire agli italiani che devono accettare frotte di africani perché è giusto così, e il fenomeno non è reversibile». Carpeoro si ribella: «Io lo voglio rendere reversibile, il fenomeno. Penso che ci sia un modo. E penso che questi politici debbano cominciare a occuparsene, visto che non se ne sono occupati per quarant’anni».Rassegnarsi all’immigrazione-fiume: sarà la nuova normalità che ci attende? Niente affatto: l’esodo dei migranti è innanzitutto «una vergogna, esattamente come la povertà che spinge milioni di persone a lasciare le loro case, in gran parte per colpa dei nostri politici» che hanno letteralmente spolpato il cosiddetto terzo mondo, in combutta con i dittatori locali. Parola di Gianfranco Carpeoro, romanziere e saggista, irritato dai toni della polemica nostrana sulla tragedia dell’emigrazione. Dietro agli sbarchi c’è una voragine morale, una mostruosa ingiustizia sottaciuta e oggi coperta dall’ipocrisia buonista dell’accoglienza, che spaccia l’esodo come un fatto naturale, fisiologico. La presidente della Camera, Laura Boldrini, dice addirittura che gli immigrati «sono l’elemento umano, l’avanguardia di questa globalizzazione». Sostiene che sono «l’avanguardia di uno stile di vita che presto sarà lo stile di vita per moltissimi di noi». Carpeoro replica con un linguaggio esplicito: «L’immigrazione esiste perché questo mondo se n’è fottuto, di creare sacche enormi di povertà e degrado. Quindi la Boldrini, che è una querula signora che parla senza analisi, si limita a fare sponda ad un certo diffuso pietismo contemporaneo».
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Magaldi: una rivoluzione, contro i falsari degli 11 Settembre
Samuel Huntington, chi era costui? Politologo americano, lo presenta Wikipedia. Analista geopolitico dell’amministrazione Usa dai tempi di Jimmy Carter, direttore degli studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di “Foreign Policy” e autore di una ventina di saggi che hanno fatto storia. Uno su tutti, quello sullo “scontro di civiltà”, di risonanza pari alla tesi sulla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama, insieme al quale nel 1975 firmò il saggio sulla “crisi della democrazia”, promosso dalla neonata Commissione Trilaterale, suprema istituzione del potere paramassonico. La tesi del volume, firmato da Huntington e Fukuyama insieme a Michel Crozier: troppa democrazia fa male, bisogna tagliarla e ridurre i cittadini all’apatia, alla passività. A sedici anni dall’attacco alle Torri Gemelle c’è ancora chi si interroga sui possibili, veri mandanti del più spettacolare attentato della storia? Non Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges internazionali nella cabina di regia dei destini del pianeta. Attenti alle date, avverte: il disastro delle Twin Towers il è “sequel” di un altro 11 Settembre, quello del 1973, quando in Cile fu abbattuto Allende dal golpe di Pinochet. Obiettivo strategico: piegare quel che restava del socialismo e avvelenare il mondo con l’ideologia neoliberista. Fine dello Stato sovrano e “dittatura” del capitale finanziario.Un personaggio sinistro, Samuel Huntington: così lo definisce Magaldi parlando ai microfoni di “Colors Radio”, nel ricostruire i retroscena dell’ecatombe newyorkese del 2001 destinata a innescare la “guerra infinita”, comiciata da Afghanistan e Iraq con l’improvvisa comparsa del fantomatico terrorismo globale “islamico”, incarnato da Al-Qaeda e dalla sua ultima filiazione, l’Isis. Uno “scontro di civiltà” solo presunto, quello evocato da Huntington, ma utilissimo a far marcire, a colpi di leggi securitarie, la “crisi della democrazia”, dal Patriot Act di Bush «fino a una legge italiana come quella sui vaccini, imposta in modo autoritario: lo afferma anche un magistrato del calibro di Ferdinando Imposimato». Magaldi articola la sua analisi partendo dal punto di vista esclusivo e privilegiato del retroterra massonico da cui proviene: già figura di spicco del Goi, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle superlogge internazionali alla radice del potere attuale, apolide e globalizzato. Da qui l’impegno civile nel Movimento Roosevelt, entità metapartitica che – anche attraverso figure come l’economista Nino Galloni – propone il risveglio democratico della politica italiana, sconfessando il dogma neoliberista: abbiamo bisogno di più Stato e più sovranità. Meglio archiviare Huntington: non è vero che la crisi della democrazia si “cura” riducendo la democrazia stessa, come oggi avviene grazie all’attuale mostro giuridico chiamato Unione Europea.Se siamo in questa situazione, sintetizza Magaldi, è anche perché la storia del secondo ‘900 ci è stata raccontata in modo spesso impreciso e incompleto: il grande progetto di riduzione della democrazia non è cominciato nel 2001 a New York, ma nel 1973 a Santiago del Cile, dove il massone Pinochet tradì il massone Allende, «un uomo forse troppo buono, un sincero socialista nutrito degli ideali filantropici della massoneria progressista». Dietro al complotto, c’era il gruppo allora rappresentato da Henry Kissinger, segretario di Stato sotto Gerald Ford ma soprattutto «esponente di punta della Ur-Lodge “Three Eyes”, massima espressione della destra reazionaria in ambito supermassonico». Forse Allende aveva nazionalizzato l’economia cilena in modo troppo esteso e precipitoso. Tuttavia, per i golpisti, la posta in palio non era il piccolo Cile, ma il resto del mondo. Da quel momento, continua Magaldi, l’élite supermassonica neo-feudale ha messo in atto, meticolosamente, il suo piano: progressivo smantellamento dell’economia mista (Italia compresa), erosione del protagonismo economico statale, dottrina neoliberista dello “Stato minimo”, fine della sinistra sindacale, crisi del welfare, privatizzazioni selvagge e deregulation della finanza: Reagan (e poi Clinton) negli Usa, la Thatcher in Europa.Henry Kissinger, David Rockefeller, Jacob Rothschild, Zbigniew Brzezinski: se gli strateghi della “Three Eyes” avevano scelto la modalità del “guanto di velluto”, lo stile in doppiopetto nell’imporre i vari “regime change” funzionali allo sviluppo neoliberista dell’economia, privatizzata e finanziarizzata, poi questa dinamica – inesorabile, ma relativamente lenta – ha subito un’accelerazione imprevedibile nel 2001, con la catastrofe delle Twin Towers, in realtà «preparata da lungo tempo» in un altro “santuario” supermassonico, la superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush all’inizio degli anni ‘80. Una struttura internazionale che secondo Magaldi ha poi reclutato personaggi come Tony Blair, l’inventore delle “armi di distuzione di massa” di Saddam, e come Nicolas Sarkozy, il liquidatore di Gheddafi (senza dimenticare il turco Erdogan, massimo padrino dell’Isis nella sanguinosa conquista della Siria). Le macerie della tragica geopolitica di oggi, fino ai recenti attentati in Europa, secondo Magaldi sono il risultato ultimo dello sciagurato progetto “Hathor Pentalpha”. Il terrorismo come mezzo principe per ottenere tutto e subito, in modo sbrigativo e spaventoso: alle peggiori stragi seguono colossali affari, carriere-lampo, razzie sistematiche di risorse strategiche, drastica centralizzazione del potere, leggi speciali e soppressione progressiva di libertà civili.E’ lo spettacolo dell’orrore, a cui i media ormai ci hanno abituato. Ma guai a pensare che sarà così per sempre, insiste Magaldi: «Questi poteri non sono affatto invincibili, il loro tragico successo dipende in larga parte dalla nostra inerzia». La passività civile, l’apatia raccomandata dal “sinistro” profeta Huntington. La rissa polemica sull’ultimo 11 Settembre? Errore ottico, dice Magaldi, frutto dello scontro tra negazionisti (scettici o bugiardi) e complottisti poco lucidi. «In realtà non servono chissà quante persone per propiziare una catastrofe come quella di Ground Zero: bastano pochi uomini nei posti giusti, che li limitino ad allargare le maglie della sicurezza e, sostanzialmente, a lasciar fare». Nessun dubbio, per Magaldi, sulla partenità massonica del super-attentato: le Twin Towers, «due torri gemelle, appunto», richiamano immediatamente «le due colonne che campeggiano in ogni tempo massonico», e per giunta a New York, cioè «in una delle città più massoniche al mondo». Oggi, poi, sarebbe in corso una guerra nella guerra: segmenti dell’impenetrabile mondo delle Ur-Lodges, quelli “progressisti”, sarebbero in rivolta contro gli abusi della filiera “reazionaria”, avviati in Cile dalla “Three Eyes” e completati con il terrificante cambio di passo imposto dalla “Hathor Pentalpha” a Manhattan, sedici anni fa. Da allora, stesso copione ovunque: guerra in Medio Oriente e terrorismo in Occidente. «Non durerà per sempre», insiste Magaldi. «Ma tocca a noi uscire dal letargo: serve una vera e propria rivoluzione, civile e politica, per rivendicare i diritti che ci sono stati confiscati e tornare a condizioni di sovranità democratica».Samuel Huntington, chi era costui? Politologo americano, lo presenta Wikipedia. Analista geopolitico dell’amministrazione Usa dai tempi di Jimmy Carter, direttore degli studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di “Foreign Policy” e autore di una ventina di saggi che hanno fatto storia. Uno su tutti, quello sullo “scontro di civiltà”, di risonanza pari alla tesi sulla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama. Nel 1975, Huntington produsse un altro saggio epocale, quello sulla “crisi della democrazia”, promosso dalla neonata Commissione Trilaterale, suprema istituzione del potere paramassonico. La tesi del volume, firmato da Huntington con Joji Watanuki e Michel Crozier: troppa democrazia fa male, bisogna tagliarla e ridurre i cittadini all’apatia, alla passività. A sedici anni dall’attacco alle Torri Gemelle c’è ancora chi si interroga sui possibili, veri mandanti del più spettacolare attentato della storia? Non Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges internazionali nella cabina di regia dei destini del pianeta. Attenti alle date, avverte: il disastro delle Twin Towers il è “sequel” di un altro 11 Settembre, quello del 1973, quando in Cile fu abbattuto Allende dal golpe di Pinochet. Obiettivo strategico: piegare quel che restava del socialismo e avvelenare il mondo con l’ideologia neoliberista. Fine dello Stato sovrano e “dittatura” del capitale finanziario.
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Fausto Carotenuto: perché il potere ha fabbricato i 5 Stelle
Votate 5 Stelle, per ripulire la politica. Quanti italiani ci sono cascati? Tantissimi, a quanto pare: quasi un elettore su tre. «Un colossale equivoco». Le vittime? «Gli elettori stessi, ma anche moltissimi parlamentari grillini, che pure si impegnano con serietà. Senza capire che i loro vertici non gli consentiranno mai di affrontare, davvero, i problemi dell’Italia». Perché il format-Grillo non è stato creato per quello. «E’ stato fabbricato, come già la Lega di Bossi, solo per sostituire una classe dirigente corrotta con un ceto politico ancora più prono ai grandi poteri economici». E’ la ricostruzione di Fausto Carotenuto, analista internazionale di lungo corso, già consulente dell’intelligence Nato. Il suo riassunto: «Prima c’era una casta semi-ladra ma politicamente capace. Era corrotta, ma faceva anche gli interessi del paese. Quindi andava rimossa. Come? Facendo degenerare nel ridicolo il ventennio berlusconiano, fino a indurre nausea e rigetto nell’elettorato, al punto da esprimere un voto in apparenza anti-sistema». Stesso schema, ripetuto due volte: prima con Bossi, impegnato a “picconare” la Prima Repubblica, e poi con Grillo, per far piazza pulita di Berlusconi.Un’analisi che Carotenuto ripropone ai microfoni di “Border Nights”, trasmissione web-radio condotta da Fabro Frabetti. «State certi – dice Carotenuto – che non lo vedrete mai, un “grillino” puro, al ministero dell’interno – a meno che, appunto, non sia affatto puro». Uno come Di Battista, per dire, dalla sapiente mimica mediatica? «Appunto: si vede benissimo che è manipolato. Bisognerebbe scoprire da chi». Retroscena a parte, Carotenuto si concentra sulla sostanza: finora, i 5 Stelle non hanno affrontato un solo tema centrale, per esempio di politica economica: nulla, mai, che potesse anche solo lontamente impensierire il potere. «Attaccano Renzi, e certamente i parlamentari grillini sono in buona fede. Ma non capiscono – aggiunge Carotenuto – che in fondo fanno lo stesso mestiere: anziché produrre buona politica, si adoperano per togliere spazi alla politica. Chi taglia stipendi, chi Province. Cambiano i dettagli, non il succo: è il potere che ha interesse a sabotare la politica, verticalizzando i centri decisionali. E anche i 5 Stelle fanno parte di questo schema».Per Carotenuto, il potere è abilissimo nell’allestire «un teatrino raffinato e drammatico». Cambiano gli attori, ma gli sceneggiatori sono sempre gli stessi, «da alcune centinaia di anni». Due correnti: una conservatrice e l’altra sedicente progressista. «Quella conservatrice vuole concentrare gli egoismi umani, e sulla predazione costruisce imperi finanziari, politici, religiosi». Poi c’è l’altra corrente, «che è infilata negli stessi posti, nelle stesse nazioni, nelle stesse religioni e organizzazioni massoniche. Sempre per il potere, quindi in ossequio al suo lavoro anti-coscienza, questa corrente cerca di incamerare tutto il desiderio di solidarietà e di amore che c’è nella gente». Brutto spettacolo: «Da una parte gli sfruttatori dell’egoismo, e dall’altra gli sfruttatori dell’altruismo. Ma sempre sfruttatori sono. E non so cosa sia peggio», continua Carotenuto. «Quando dominano i poteri conservatori a me viene il mal di pancia. Quando invece finalmente arrivano a dominare i grandi poteri che sfruttano la voglia di bene della gente, mi viene il mal di fegato». I peggiori? Forse questi ultimi: «E’ più difficile accorgersi di loro, di quello che fanno veramente. Ti dicono: vieni, ti ho fatto un partito apposta, una nuova loggia massonica, una nuova forma di religione, t’ho fatto anche un nuovo modo di essere Papa. Ma poi ti portano sempre nello stesso posto, che è quello della non-crescita della coscienza».Votate 5 Stelle, per ripulire la politica. Quanti italiani ci sono cascati? Tantissimi, a quanto pare: quasi un elettore su tre. «Un colossale equivoco». Le vittime? «Gli elettori stessi, ma anche moltissimi parlamentari grillini, che pure si impegnano con serietà. Senza capire che i loro vertici non gli consentiranno mai di affrontare, davvero, i problemi dell’Italia». Perché il format-Grillo non è stato creato per quello. «E’ stato fabbricato, come già la Lega di Bossi, solo per sostituire una classe dirigente corrotta con un ceto politico ancora più prono ai grandi poteri economici». E’ la ricostruzione di Fausto Carotenuto, analista internazionale di lungo corso, già consulente dell’intelligence Nato. Il suo riassunto: «Prima c’era una casta semi-ladra ma politicamente capace. Era corrotta, ma faceva anche gli interessi del paese. Quindi andava rimossa. Come? Facendo degenerare nel ridicolo il ventennio berlusconiano, fino a indurre nausea e rigetto nell’elettorato, al punto da esprimere un voto in apparenza anti-sistema». Stesso schema, ripetuto due volte: prima con Bossi, impegnato a “picconare” la Prima Repubblica, e poi con Grillo, per far piazza pulita di Berlusconi.
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5 Stelle (e strisce), come la Lega: oggi Grillo, ieri Bossi
Ogni fase politica della Repubblica italiana è stata scandita da un partito “di protesta”, funzionale agli interessi dell’establishment atlantico: si comincia con L’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini per terminare col Movimento 5 Stelle di Gianroberto Casaleggio, passando per il Partito Radicale di Marco Pannella e la Lega Nord di Umberto Bossi. Fino alla recente svolta nazionalista, filorussa e anti-euro, il Carroccio è infatti stato uno dei tanti prodotti di Washington e Londra, schierato su posizioni “thatcheriane” ed europeiste. E’ la tesi di Federico Dezzani, analista geopolitico, impegnato in una ricostruzione “non convenzionale” della storia recente del nostro paese. Nei primi anni ‘90, ricorda, la Lega Nord avrebbe dovuto essere lo strumento per attuare un ambizioso disegno geopolitico: la frantumazione dello Stato unitario e la nascita di una confederazione di tre “macroregioni”, così da cancellare l’Italia come attore del Mar Mediterraneo. Questo, secondo Dezzani, il vero ruolo della Lega Nord durante Tangentopoli, a cominciare dalla figura, allora determinante, del suo ideologo, il professor Gianfranco Miglio.«Non si muove foglia che Washington non voglia: anche in Padania». In politica, sostiene Dezzani nel suo blog, ogni segmento della domanda deve essere coperto, come in ogni altro settore di mercato: l’offerta deve essere costantemente rinnovata e nuovi prodotti possono essere lanciati grazie a un’adeguata campagna pubblicitaria. Basta considerare i partiti alla stregua di ogni altro prodotto di consumo. «L’abilità di chi tira i fili della democrazia consiste nel rifornire gli scaffali dalla politica dei partiti giusti, al momento giusto: ad ogni tornata elettorale, i votanti acquisteranno i loro prodotti preferiti, con grande soddisfazione di chi controlla il grande supermercato della democrazia». Negli ultimi anni, va crescendo la “specialità” dei partiti di protesta. Ma la loro origine non è recente, ricorda Dezzani: «Risale agli albori della Repubblica Italiana, quando Washington e Londra foggiarono per l’Italia una singolare democrazia, dove la seconda forza politica del paese, il Pci, era esclusa “de iure” dal governo», ovviamente per ragioni geopolitiche (la sua contiguità con l’Urss, avversaria della Nato).«Per ovviare a questo opprimente immobilismo, che un po’ stona con le logiche del mercato», in 70 anni sono state immesse diverse sigle per intercettare il malcontento dell’elettorato e la domanda di cambiamento: «Si comincia, prima delle elezioni del 1948, con l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e si termina oggi con il Movimento 5 Stelle di Davide Casaleggio». Annota Dezzani: «Sia Giannini che Casaleggio sono, incidentalmente, inglesi da parte materna». Tra i due estremi, l’analista annovera anche il Partito Radicale di Marco Pannella, «che prestò non pochi servigi all’establishment atlantico: la campagna per le dimissioni del presidente Giovanni Leone, quella per l’aborto e il divorzio, i referendum del 1993 contro “la partitocrazia” e “lo Stato-Padrone”». E poi c’è anche il caso della Lega Nord, nata e cresciuta nei travagliati primi anni ‘90, nutrendosi dei voti in uscita dal Psi e soprattutto dalla Dc. Ma come? Anche il folkloristico Carroccio, i raduni di Pontida, il “dio Po” e il leggendario Alberto da Giussano, sarebbero un prodotto dell’establishment atlantico? Ebbene sì, scrive Dezzani: «È una verità che probabilmente spiazzerà molti leghisti della prima ora», ma è indispensabile per capire, ad esempio, «perché Umberto Bossi, padre-padrone della primigenia Lega Nord, contesti la recente svolta nazionalista, anti-euro e filorussa di Matteo Salvini».Salvini appare deciso a trasformare (con esiti incerti) il Carroccio nella versione italiana del Front National? Non a caso, il redivivo Bossi oggi gli si oppone, chiedendo un congresso. «Bruxelles è sempre stata ed è tuttora il faro di Umberto Bossi, sebbene il suo obiettivo fosse agganciarsi all’Unione Europea non attraverso l’Italia, ma tramite la “Padania”, in ossequio a quella “Europa della macroregioni” tanto cara all’establishment atlantico», sostiene Dezzani. Il progetto: «Smembrare gli Stati nazionali per sostituirli, al vertice, con un governo sovranazionale e, alla base, con una costellazione di cantoni, regioni e feudi: l’oligarchia libera di comandare indisturbata su 500 milioni di persone ed i paesani appagati delle loro effimere autonomie». La storia della Lega Nord, continua l’analista, è indissolubilmente legata al crollo del Pentapartito. Cioè alle manovre, iniziate con la firma del Trattato di Maastricht, per traghettare l’Italia verso la nascente Unione Europea a qualsiasi costo: vergognose privatizzazioni, saccheggi del risparmio privato, attentati terroristici e giustizialismo spiccio. «Studiare l’origine della Lega Nord significa quindi completare l’analisi dell’infamante biennio 1992-1993 che travolse la Prima Repubblica e forgiò la Seconda, dove Umberto Bossi ha giocato un ruolo di primo piano».La Lega Nord nasce ufficialmente nel febbraio del 1991, come federazione della Lega Lombarda, della Liga Veneta, di Piemont Autonomista e dell’Union Ligure: «Chi volesse indagare sul periodo proto-leghista, scoprirebbe quasi certamente che anche questi movimenti autonomisti nascono nel medesimo humus massonico-atlantista da cui germoglierà poi il Carroccio». La Liga Veneta, quella più radicata e “antica”, compie i primi passi presso l’istituto privato linguistico Bertrand Russell di Padova, dove nel 1978 è istituito un corso di storia, lingua e civiltà veneta. «Chi volesse scavare più indietro ancora – ipotizza Dezzani – potrebbe riallacciarsi alla lunga serie di attentati destabilizzanti, di matrice autonomista e secessionista, che colpiscono tra gli anni ‘50 e ‘60 il Nord-Est dove, è bene ricordarlo, la concentrazione delle forze armante angloamericane è più alta che in qualsiasi altra parte dell’Italia continentale», come nel caso della caserma Ederle di Vicenza e della base di Aviano, fuori Udine. «L’idea di superare le leghe su base “etnica” e di federarle in un’unica Lega allargata all’intero Nord, ribattezzato all’occorrenza come “Padania”, è comunque ufficialmente attribuita ad Umberto Bossi». Ma il “senatur” ne è stato l’unico padre o è stato “aiutato” da una regia più ampia, «sofisticata e altolocata», come quella che starebbe dietro ai 5 Stelle?«Diversi elementi fanno propendere per la seconda ipotesi», continua Dezzani, «declassando Umberto Bossi al ruolo di capo carismatico di facciata, di semplice tribuno e di arringatore: la stessa funzione, per intendersi, svolta da Beppe Grillo nel M5S». Siamo infatti nel febbraio 1991, il Muro di Berlino è crollato da due anni e l’Unione Sovietica collasserà entro pochi mesi: «L’oligarchia atlantica ha già stilato i suoi piani per il “Nuovo Ordine Mondiale” che, calati nella realtà italiana, significano l’abbattimento della Prima Repubblica, l’archiviazione della Dc e del Psi, lo smantellamento dell’economia mista e, se possibile, anche un nuovo assetto geopolitico per la penisola», da attuare attraverso i movimenti indipendentisti. Segnale importante: «L’accoglienza che la grande stampa anglosassone riserva al neonato Carroccio, simile a quella che il Movimento 5 Stelle riceverà a distanza di 15 anni, non lascia adito a dubbi circa l’interessamento che Londra e Washington nutrono per la neonata formazione nordista: il 4 ottobre 1991 il “Wall Street Journal” definisce la formazione di Umberto Bossi come “il più influente agente di cambiamento della scena politica italiana”».Poco dopo, nel gennaio 1992, il settimanale statunitense “Time” definisce Bossi come il leader più popolare e temuto della politica italiana. E il 28 marzo, il settimanale inglese “The Economist”, megafono della City, accomuna la Lega Nord al Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, definendolo come «l’unico fattore di rinnovamento nel decadente panorama politico italiano». Sono le stesse settimane in cui Mario Chiesa, esponente socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio, è arrestato a Milano per aver intascato una bustarella: è il primo atto di quell’inchiesta giudiziaria, Mani Pulite, destinata a travolgere il Pentapartito e la Prima Repubblica. «Non c’è dubbio che la Lega Nord debba “completare”, nei piani angloamericani, l’inchiesta di Tangentopoli», sostiene Dezzani: «Il pool di Mani Pulite è incaricato di smantellare la Dc ed il Psi, mentre il Carroccio ha lo scopo di intercettare i voti in fuga dai vecchi partiti prossimi al collasso». E il trait d’union tra il palazzo di giustizia milanese e la Lega Nord, sempre secondo Dezzani, è fisicamente incarnato dal console americano Peter Semler, cioè il funzionario statunitense che, alla fine del 1991, un paio di mesi prima dell’arresto di Mario Chiesa, “incontra” Antonio Di Pietro nei suoi uffici per discutere delle imminenti inchieste giudiziarie. E’ lo stesso funzionario che, «quasi contemporaneamente, “incontra” i dirigenti della Lega Nord».In una recente intervista a “La Stampa”, Semler ammette di aver pranzato con due dirigenti leghisti il 1° gennaio 1992: «Quello che mi colpì di più era un ex poliziotto, ex militare. Giocammo al golf club di Milano e mi dissero: “Cambierà tutto”». Rileva Dezzani: «C’è da scommettere che non siano stati i due leader della Lega Nord ad avvertire il console americano che tutto sarebbe cambiato, bensì l’opposto». Il Carroccio, infatti, all’epoca «è parte integrante della manovra angloamericana per smantellare il Psi e la Dc», con la sua corrosiva e talvolta violenta retorica contro la partitocrazia della Prima Repubblica, lo Stato clientelare ed assistenzialista (indimenticabile il cappio sventolato nel 1993 a Montecitorio, per “appendervi” i politici corrotti). Ma perché mai, continua Dezzani, l’attacco è sferrato “su base regionale”, attraverso una formazione che inneggia alla Padania onesta e laboriosa, contro la Roma corrotta e la ladrona, sede di “un Parlamento infetto”? Ovvero: perché la stessa funzione non è assolta da un partito di protesta “nazionale”, come è oggi il Movimento 5 Stelle?«Compito della Lega Nord – riprende Dezzani, parlano al presente storico – è anche quello di attuare il piano geopolitico che l’establishment atlantico ha in serbo per l’Italia in questa drammatica fase della vita nazionale: passare dall’Italia unita all’unione, o confederazione, di tre macroregioni», ovvero la Repubblica del Nord (o Padania), una repubblica del Centro e una del Sud: «E’ il periodo, infatti, delle “stragi mafiose” e Cosa Nostra ed il Carroccio sembrano lavorare all’unisono (d’altronde, la regia a monte è comune) per ritagliarsi ognuno il proprio feudo, cannibalizzando lo Stato nazionale». Da qui, Dezzani mette in luce l’entrata in scena di una figura-chiave del leghismo delle origini, il personaggio politico che avrebbe dovuto essere “la mente” del processo di secessione della Repubblica dal Nord: Gianfranco Miglio, classe 1918 (scomparso poi nel 2001). Allievo del filosofo liberale Alessandro Passerin d’Entrèves (a lungo docente all’Università di Oxford e quella di Yale) e del giurista Giorgio Balladore Pallieri (primo giudice italiano alla Corte europea dei diritti dell’uomo).Docente all’Università Cattolica di Milano, teorizzatore del decisionismo, studioso del federalismo e ascoltato consulente in materia di riforme costituzionali, vero e proprio “giacobino di destra”, Gianfranco Miglio è un intellettuale molto gettonato dai politici e dagli alti manager della Prima Repubblica in cerca di consigli. Miglio comincia coll’assistere l’uomo più potente d’Italia, Eugenio Cefis: presidente dell’Eni dal 1967, dopo la morte di Enrico Mattei, fino al 1971, e poi numero uno della Montedison dal 1971 al 1977. Secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, Cefis è stato il capo della Loggia P1, vero dominus delle strategie coperte per la manipolazione occulta dell’Italia. Carpeoro la chiama “sovragestione”: un intreccio di poteri fortissimi eterodiretti dagli Usa, reti massoniche e servizi segreti deviati. Un livello di potere assai più alto e protetto di quello rappresentato dalla P2 di Gelli, che infatti all’occorrenza fu sacrificato sull’altare dell’opinione pubblica, a differenza del potentissimo Cefis, che è anche l’uomo-ombra di “Petrolio”, il romanzo incompiuto sulla fine di Mattei che forse è costato la vita a Pasolini. Tornando alla ricostruzione di Dezzani sulle mosse di Miglio: dopo aver collaborato con Cefis, l’ideologo della Padania ha fatto anche da consulente al primo ministro Bettino Craxi.Nei tumultuosi anni che seguono la caduta del Muro di Berlino – scrive Dezzani – il professor Miglio compie una spettacolare e singolare metamorfosi: nel giugno del 1989, constata la precarietà delle finanze pubbliche e del panorama politico italiani, suggerisce nientemeno che «sospendere le prove elettorali per un certo periodo, dar vita a un lungo Parlamento, bloccare il ricambio parlamentare, che so, per 8-10 anni», affidando quindi poteri speciali al Pentapartito per fronteggiare le emergenze. Dopo nemmeno due anni, Miglio è invece diventato “l’ideologo” della costituenda Lega Nord, nonché il più severo e spietato censore della partitocrazia, dello Stato parassitario e della deriva mafiosa del Meridione: «E’ difficile spiegare questo repentino cambiamento e il suo “affiancamento” a Umberto Bossi, se non come un’operazione studiata a tavolino, concepita da quegli “ambienti liberali ed anglofoni” che Miglio frequenta sin dalla gioventù».Gianfranco Miglio, annota Dezzani, è l’architetto di quelle riforme costituzionali che dovrebbero scardinare l’assetto geopolitico dell’Italia, servendosi della Lega Nord e di Umberto Bossi come semplici grimaldelli. Esisterebbero, secondo il professore, due Italie: una europea, da agganciare alla nascente Unione Europea, e una mediterranea, da abbandonare alla deriva verso il Levante e il Nord Africa. Lo Stato unitario ha fatto il suo tempo e sulle sue macerie bisogna edificare uno Stato federale, o meglio ancora confederale, costruito da tre entità separate: una Repubblica del Nord, una del Centro e una del Sud. Al governo centrale della neo-costituita Unione Italiana, spetterebbero soltanto la difesa e parte della politica estera. «Il disegno sottostante alle ricette di Miglio è chiaro: sfruttare l’inchiesta di Tangentopoli che sta sconquassando la politica, il crollo del Pentapartito, la strategia della tensione e l’emergenza finanziaria, per cancellare l’Italia unitaria come soggetto geopolitico. Un’Italia che, con Enrico Mattei, Aldo Moro e le politiche filo-arabe di Bettino Craxi e Giulio Andreotti, ha dimostrato di poter infastidire gli angloamericani nello strategico bacino mediterraneo».Le elezioni politiche del 5 aprile 1992 vedono la Lega Nord raccogliere una discreta percentuale dei voti in uscita dalla Dc e dal Psi: in Lombardia il Carroccio raccoglie il 23% delle preferenze, ad un solo punto dai democristiani, ma si ferma all’8,65% a scala nazionale, mentre le varie leghe del Sud non decollano. «Non è andata così bene, dovevamo essere determinanti», ammette Bossi, ben sapendo che la secessione del Nord dal resto d’Italia implicherebbe una forza elettorale che la Lega dimostra di non avere. Bottino elettorale: 55 deputati e 25 senatori. Sono abbastanza, «per portare a compimento la demolizione della Prima Repubblica e il rapido smantellamento dell’economia mista, come auspicato dai croceristi del Britannia». Ecco il punto, per Dezzani: «Non c’è una singola mossa del Carroccio, infatti, che si discosti dall’agenda che l’establishment atlantico ha in serbo per l’Italia: la Lega è decisiva per bloccare l’elezione di Giulio Andreotti al Quirinale, si schiera contro l’ipotesi di una presidenza del Consiglio affidata a Bettino Craxi, è favorevole ad un aggressivo piano di privatizzazioni».«Gli economisti di Bossi credono nella Thatcher», titola la “Repubblica”, riportando che la Lega vuole «privatizzare tutte le imprese di Stato, dall’Iri all’Eni, all’Efim. Senza risparmiare le banche pubbliche come Bnl, Comit, Credito italiano, San Paolo di Torino. Largo ai privati anche per le Ferrovie, l’Enel e le Poste». La Lega di Bossi, aggiunge Dezzani, è fautrice di un “liberismo spinto” contrapposto allo Stato-padrone, definito ovviamente come «parassitario, bizantino, romano-centrico, corrotto, ladrone». Non solo, il Carroccio «gioca di sponda con le “menti raffinatissime” che stanno attuando una spietata strategia di destabilizzazione per meglio saccheggiare i risparmi degli italiani e l’industria pubblica: mentre i servizi segreti “deviati” piazzano bombe in tutt’Italia e gli squali dell’alta finanza si accaniscono sui Btp, la Lega Nord getta altra benzina sul fuoco, incitando allo sciopero fiscale, sconsigliando di comprare i titoli di Stato, evocando la separazione del Sud mafioso dal resto dell’Italia, gridando all’imminente secessione della Padania».«Ma se la casa crolla, il Nord deve andarsene», è un sintomatico titolo della “Repubblica” del 31 dicembre 1992. Nell’articolo, il professor Miglio dipinge un futuro a tinte fosche per l’Italia. E pronostica un imminente, drammatico peggioramento della situazione economica, anticamera della secessione della Repubblica del Nord: «Se si arrivasse a non riuscire a controllare più niente, se non si riuscisse più ad avere i servizi, se la sicurezza e le garanzie crollassero, è evidente che ciascuno penserebbe a se stesso. Probabilmente anche il Sud se ne andrebbe per conto suo». Bingo: per Dezzani, «le parole dell’ideologo del Carroccio sono musica per chi, a Washington e Londra, lavora per tenere l’Italia in costante fibrillazione». Poco dopo, nel 1993, l’inchiesta di Mani Pulite ha sortito gli effetti sperati: Dc e Psi, che l’analista definisce «i vincitori morali della Guerra Fredda», sono stati spazzati via dal pool di Milano. «L’unico grande partito risparmiato dalle inchieste giudiziarie è stato il Pci, riverniciato ora come Pds, cui gli angloamericani contano di affidare il governo facendo affidamento sulla sua ricattabilità», dato che «nella Russia allo sfascio si comprano gli archivi del Kgb a prezzo di saldo».Se dalle successive elezioni uscisse un Nord saldamente in mano al Carroccio e un Centro-Sud in mano alla sinistra, «si concretizzerebbe lo scenario di una secessione “de facto” della Padania dal resto dell’Italia». Per la Lega Nord non che resta, a questo punto, che «ricevere la benedizione “ufficiale” da parte dell’establishment atlantico, dopo lunghi rapporti reconditi ed opachi». Così, il 18 ottobre 1993 una delegazione del Carroccio si reca in visita al quartier generale della Nato a Bruxelles. E il 23 ottobre è la volta degli Stati Uniti: una prima tappa a New York, per incontrare il milieu dell’alta finanza e di Wall Street, e una seconda tappa a Washington, dove sono in programma pranzi di lavoro con deputati e senatori repubblicani ed esponenti della National Italian American Foundation. Ma ecco che accade qualcosa di inatteso: «La “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, annunciata nell’autunno del 1993, è un evento non previsto dall’establishment atlantico», che secondo Dezzani puntava sulla bipartizione Lega (Nord) e sinistra (Centro-Sud). In più, il Cavaliere vince: «La neonata Forza Italia si impone alle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994, drenando buona parte dei voti in uscita dal Psi e dalla Dc e imponendosi come primo partito del Nord Italia».La Lega, ferma all’8% delle preferenze su scala nazionale, dimostra ancora di non avere una forza sufficiente per strappare la secessione della Padania e attuare gli ambiziosi cambiamenti costituzionali sognati da Gianfranco Miglio. Forte di 122 deputati e 59 senatori, il Carroccio dispone però di un manipolo di parlamentari sufficienti per staccare la spina al primo governo Berlusconi, di cui è entrata a far parte nella cornice del Popolo della Libertà. Per Dezzani, riemerge quindi la vera natura della Lega Nord «come strumento politico nelle mani di Londra e Washington». E quando Berlusconi, durante la conferenza mondiale dell’Onu contro la criminalità organizzata, riceve un invito a comparire dal pool di Milano, Umberto Bossi «completa l’operazione per disarcionare il Cavaliere, togliendogli la fiducia e avvallando il “ribaltone” che insedia l’ex-Bankitalia Lamberto Dini a Palazzo Chigi». Si marcia così rapidamente verso nuove elezioni, e «ancora una volta il Carroccio agisce in perfetta sintonia con l’establishment atlantico: scegliendo di correre da solo e di non rinnovare l’alleanza col Popolo della Libertà, spiana la strada ai governi di Romano Prodi e Massimo D’Alema: seguirà “il contributo straordinario per l’Europa”, la scandalosa privatizzazione della Telecom, “la marchant bank” di Palazzo Chigi, la liquidazione finale dell’Iri, il vergognoso cambio di 2.000 lire per ogni nuovo euro, l’avvallo alle operazioni militari della Nato contro la Serbia».E così, mentre «quel che rimane dell’economia mista è smantellato a prezzi di saldo e i risparmi degli italiani sono immolati sull’altare della moneta unica», Umberto Bossi continua a blaterare di secessione, di camice verdi, di milizie armate del Nord, di rivolta fiscale. Dezzani lo definisce «utile idiota manovrato dall’oligarchia atlantica». La Lega tornerà al governo solo dopo le elezioni del 2001, quando i giochi “europei” saranno ormai fatti. Morale: «Le vicende della Lega Nord, di Gianfranco Miglio e di Umberto Bossi sono legate a doppio filo alla nascita Seconda Repubblica, alla perdita di qualsiasi sovranità nazionale e all’avvento della moneta unica». Secondo Dezzani, il Senatùr ne è perfettamente cosciente. Intervistato recentemente dal “Corriere della Sera”, dichiara: «Se venisse giù l’euro, verrebbe giù tutto, una situazione che nessuno saprebbe gestire. Tra l’altro, pagheremmo di più le materie prime, cosa che per un paese di trasformazione come l’Italia sarebbe un disastro. Berlusconi parla di doppia moneta, il che è una presa per il culo. Ma non è che Berlusconi non sia in grado di capire le cose». Per Dezzani, «sono le ultime battute dell’ennesima “stampella del potere”», sia pure in camicia verde.Ogni fase politica della Repubblica italiana è stata scandita da un partito “di protesta”, funzionale agli interessi dell’establishment atlantico: si comincia con L’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini per terminare col Movimento 5 Stelle di Gianroberto Casaleggio, passando per il Partito Radicale di Marco Pannella e la Lega Nord di Umberto Bossi. Fino alla recente svolta nazionalista, filorussa e anti-euro, il Carroccio è infatti stato uno dei tanti prodotti di Washington e Londra, schierato su posizioni “thatcheriane” ed europeiste. E’ la tesi di Federico Dezzani, analista geopolitico, impegnato in una ricostruzione “non convenzionale” della storia recente del nostro paese. Nei primi anni ‘90, ricorda, la Lega Nord avrebbe dovuto essere lo strumento per attuare un ambizioso disegno geopolitico: la frantumazione dello Stato unitario e la nascita di una confederazione di tre “macroregioni”, così da cancellare l’Italia come attore del Mar Mediterraneo. Questo, secondo Dezzani, il vero ruolo della Lega Nord durante Tangentopoli, a cominciare dalla figura, allora determinante, del suo ideologo, il professor Gianfranco Miglio.
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Bonnal: caos e paura, perché il sistema tifa Marine Le Pen
La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».In un post su “Defensa”, tradotto da “Come Don Chisciotte”, Bonnal spiega che quello in vista alle elezioni francesi è uno schema classico, ben delinato addirittura da Aristotele, nella “Politica”, quando il grande filosofo scriveva: «Nella democrazia, le rivoluzioni nascono prima di tutto dalla turbolenza dei demagoghi. Per quel che riguarda gli individui, costringono con le loro continue denunce gli stessi ricchi a riunirsi per cospirare; poiché la comunanza di paure avvicina le persone più ostili». E il più grande filosofo dell’antichità puntualizza freddamente, come se avesse previsto la fine del nefasto film: «Per le loro ingiustizie, i demagoghi e i loro complici hanno costretto i cittadini potenti a lasciare la città; ma gli esuli si sono riuniti, e, rivoltandosi contro il popolo, lo spoglieranno del loro potere». Tra i candidati, quello del Front National è «il peggiore, per l’oligarchia mondiale». Ma, proprio per questo, potrebbe diventare “il migliore”, il più utile – a piegare il popolo con le cattive, dopo aver fatto deragliare il lepenismo. «Il carattere pseudo-rivoluzionario della Francia (vedi la presa della Bastiglia) qui sarà usato in pieno: sottomettiamo la Francia e il resto seguirà presto».Per questo, Nicolas Bonnal insiste: «Il sistema ha interesse a far eleggere Marine Le Pen. Il “Bataclan”, se verrà eletta, sarà tale che lei si sottometterà ancora più velocemente del suo modello Trump. Il sistema – continua Bonnal – potrà allora imporre più velocemente la propria agenda terrorista e totalitaria: guerra contro la Russia ribelle, invasione del Sud, abolizione del denaro contante, controllo biometrico, divieto dell’oro, censura della rete». Secondo lo scrittore, «il caos dell’elezione del Fn sarà tale che lo tsunami (che, come si sa, è un metodo di controllo a freddo, come gli attentati, l’effetto serra, i rifugiati) sarà imparabile». Quindi, ragiona Bonnal, «il sistema farà eleggere Marine, la quale ha già dato delle garanzie licenziando suo padre». Questo sarebbe l’obiettivo dell’establishment: «Far scoppiare l’ascesso populista una volta per tutte». Nel suo libro su Trump, pubblicato prima della sua elezione (“Donald Trump, le candidat du chaos”), Bonnal annunciava già la piega che avrebbe preso: «Tutto ci sembra esagerato, falso, quasi squallido. I suoi affari, la sua stessa fortuna sembra gonfiata. Le sue proposte sono nulle, scadenti o neppure degne di nota. Qualche frase interessante e coraggiosa è subito contraddetta. La sua politica è inapplicabile ed è meglio così. Suscita inoltre una tale ostilità all’estero e nei luoghi importanti (televisioni, economia) che rischia di essere rovinato anche prima dell’elezione».Scriveva Bonnal: «Sembra che l’affaire Trump serva come operazione psicologica a livello mondiale». Motivo: «Il sistema ha paura delle folle, e ha bisogno di fare un esempio – mostrando il male». E quindi: «L’accusa di razzismo, di nazismo, di fascismo, di machismo da parte dei media, l’eccesso o il cosiddetto eccesso di Trump, porteranno i loro frutti». Al che, «tutto il piccolo mondo del piccolo bianco frustrato rientrerà nella sua nicchia, come in Francia: sarà “agitato” un’ultima volta prima di “asservirsi” per niente». Bonnal, nel libro, cita il film “Network”, del 1976, sugli anni difficili Nixon-Ford, «più difficili del 2017, poiché c’era un residuo di marxismo e i militanti erano ancora disposti a sacrificarsi per imporlo – oggi invece cliccano!». Scriveva: «Il presentatore televisivo Howard Beale invita i telespettatori a ribellarsi e urlare dalla finestra – cosa che anche lui si affretta a fare. Poi, per far piacere al suo capo, che parla di marchi, di dollari, di rubli, di sicli, di mercato, di capitale, di cifre, di sistema olistico, di natura (il capitale la adora), d’investimenti, della fine dei popoli, di denaro, di “movimenti autonomi dei non-viventi”, predica un vangelo della rassegnazione – e alla fine si fa ammazzare per l’abbassamento dell’indice di ascolto». Quel film «segna il passaggio dalla ribellione alla sottomissione».«Può anche essere che Trump serva anche come esorcismo finale per calmare il risentimento generale americano e organizzare con più calma la bancarotta del paese che è già cominciata, anche se viene descritta raramente», scriveva Bonnal nel suo libro su Trump. «Il fascismo e la militarizzazione degli Stati Uniti descritte da Paul Craig Roberts serviranno a prevenire o schiacciare completamente tutte le ribellioni, da qualunque parte provengano. Sembra proprio che anche in Francia si stia prendendo la stessa strada». Oggi, lo scrittore conferma: «Sì, far montare il pericolo Fronte Nazionale e anche far eleggere Marine è la cosa migliore che possa succedere al sistema. La finanza e il mercato immobiliare crollati in tempi brevi serviranno ai malvagi. Sappiamo dove conduce l’ottimismo dell’antisistema (Cuba? Caracas?)». Bonnal, citando Aristotele, la definisce una tattica, «una semplice operazione di compattazione», che non mai è cambiata in migliaia di anni. Il popolo ne ha abbastanza dell’élite? Giusto. Solo che le élite «lasciano che un populista arrivi al potere, poi lo liquidano – a meno che non lo assecondino, come nel caso ben noto del caporale boemo». E conclude: «Ridiamo, siamo in buona compagnia».La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».
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Sciiti e sunniti, colpa loro. Noi occidentali? Innocenti, ovvio
“Se Allah avesse voluto una sola religione, al mondo, quella soltanto ci sarebbe”. Nel suo saggio sulle principali confessioni del pianeta, Paolo Franceschetti ricorda lo straordinario ecumenismo presente nel Corano, secondo cui “tutte le religioni sono mezzi che conducono alla stessa meta”. «Lo stesso Maometto, pur “prescelto da Dio”, aggiungeva: non compio miracoli, non servirebbe. Nonostante i suoi miracoli, nemmeno Cristo, il più grande dei profeti, è stato riconosciuto per ciò che era, ed è stato crocifisso». Ora torna in voga il refrain sullo “scontro di civiltà”, inaugurato nel 1996 da un esponente dell’élite come Samuel Huntington (“Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale”) e reso tristemente celebre da Oriana Fallaci dopo l’11 Settembre. E oggi, nella narrazione mainstream frastornata da attentati e guerre a catena (Libia e Siria, Charlie Hebdo, Yemen, strage di Parigi del 13 novembre), lentamente affiora anche nei talkshow un nuovo capitolo, quello della guerra inter-islamica tra sciiti e sunniti. «Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale», scriveva Huntington. «Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro», anche perché «le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura».Superiorità occidentale? Sì, ma a mano armata: «L’Occidente – ammette ancora Huntington – non ha conquistato il mondo con la superiorità delle sue idee, dei suoi valori o della sua religione, ma attraverso la sua superiorità nell’uso della violenza organizzata, il potere militare». E attenzione: «Gli occidentali lo dimenticano spesso, i non occidentali mai». Lo sottolinea Paolo Barnard nel suo saggio “Perché ci odiano”, in cui intervista anche l’allora “numero tre” di Al-Qaeda: il mondo islamico ha ormai incorporato un rancore smisurato e più che giustificato verso l’Occidente, dopo aver subito – senza interruzione – un genocidio dopo l’altro, lo stupro di interi paesi e la razzia delle risorse (petrolifere, e non solo) grazie alla complicità di élite locali, i “raìs” che rinnegarono le istanze della decolonizzazione, restando al potere – dittature e monarchie – col granitico supporto occidentale. Una stagione di piombo, dopo la fine delle speranze accese dai leader terzomondisti arabi e africani sistematicamente uccisi o fatti uccidere dagli occidentali, perché scomodi: da Patrice Lumumba in Congo, liquidato dal Belgio per insediare Mobutu, fino a Thomas Sankara, in Burkina Faso (l’uomo che voleva azzerare il debito per i paesi poveri), assassinato col solito sistema, sicari locali armati da mandanti occidentali, francesi e americani.Il maggiore leader della storia egiziana moderna, Nasser, trascinò il mondo sull’orlo della guerra nel fatidico 1956: nazionalizzò il Canale di Suez per protesta contro la Banca Mondiale che rifiutava di finanziare una grande diga sul Nilo; per rovesciarlo manu militari, inglesi e francesi sbarcarono in forze a Port Said, ma furono fermati dall’Urss che intimò loro il ritiro immediato, pena l’impiego delle armi atomiche. Proprio il crollo dell’Unione Sovietica ruppe equilibri decennali, congelando al potere i vecchi autocrati, ancora sul trono o travolti solo ora dalle “primavere arabe”. Sempre in Egitto, il “faraone” Mubarak era stato il vicepresidente di Anwar Sadat, l’uomo della storica pace separata con Israele. Pagò con la vita, Sadat, e la sua fine mise sotto i riflettori, per la prima volta, la “jihad islamica”: Sadat fu ucciso nel 1981 da un killer jihadista. Meno di dieci anni dopo, l’Algeria schierò i carri armati nelle strade per annullare i risultati delle elezioni, che avevano clamorosamente incoronato il Fis, Fronte Islamico di Salvezza. Ma l’unico grande paese in cui l’Islam andò letteralmente al potere fu l’Iran, con la travolgente rivoluzione di Khomeini del 1979, guidata dal carismatico ayatollah (sciita) esiliato dal feroce regime dello “scià” Reza Pahlavi, a cui l’Occidente aveva imposto di eliminare il premier Mohammad Mossadeq, che aveva osato nazionalizzare il petrolio iraniano, saldamente in mano agli inglesi dal lontano 1908.Con Khomeini, l’identità religiosa si è trasformata anche in arma politica di autodifesa, da parte di paesi storicamente brutalizzati e rapinati dall’Occidente, che non ha mai neppure provato a sanare la devastante piaga della Palestina, martoriata fino al genocidio delle bombe al fosforo bianco sganciate anche sui bambini, dopo che a Gaza si è imposta (democraticamente, per via elettorale) la fazione sciita di Hamas. Appena più a nord, altri sciiti, quelli del partito armato di Hezbollah insediato in Libano, sono ora impegnati accanto ai russi nel sostegno militare del regime di Assad, esponente della componente sciita (alawyta) della Siria. Mentre nell’altro paese raso al suolo dalle bombe, l’Iraq, a maggioranza sciita, sono stati gli americani a emarginare, con la fine di Saddam, la componente sunnita, da cui si racconta sia partita l’ultima ondata jihadista che sta insanguinando il Medio Oriente e terrorizzando la Francia. Religione o potere? Secondo un eminente studioso come Francesco Saba Sardi, biografo di Picasso e traduttore di Simenon, Pessoa, Borges e Garcia Marquez, religione e potere compaiono insieme, nella storia della civiltà, insieme al terzo elemento: la guerra. Accade nel passaggio cruciale tra il paleolitico, abitato da cacciatori e raccoglitori, al neolitico, in cui l’uomo scopre l’agricoltura e quindi il bisogno di conquistare e difendere la terra. Nel saggio “Dominio”, Saba Sardi sostiene che proprio la religione nacque per conferire autorità al primo capo politico e militare della storia dell’umanità, il re-sacerdote.Se la “guida suprema” dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei, potrebbe essere classificato (come il Papa-re) nella categoria dei re-sacerdoti, è pur vero però che i “nemici” dei paesi islamici non professano, di fatto, alcuna religione: il biglietto da visita dell’Occidente “cristiano” non è il crocifisso, ma una valigia di dollari e una flotta di droni che sganciano missili. Tre milioni di vittime, fra i musulmani, solo negli ultimi anni. E’ sempre l’Occidente – l’ha ricordato un comico, Maurizio Crozza, citando Hillary Clinton – ad aver “fabbricato”, in Afghanistan, il fondamentalismo islamico da cui poi nacquero i Talebani e il loro profeta, l’ex uomo Cia più famoso del mondo, Osama Bin Laden. Eppure, di fronte ai fallimenti catastrofici in Medio Oriente e alla recente paura quotidiana per gli attentati, un’Europa smemorata e incerta, guidata dall’evanescente Obama, resta tra le nebbie di una politica reticente e disonesta: preferisce tacere sul ruolo di Usa, Francia e Turchia nella progettazione a tavolino della “guerra civile” in Siria, per parlare piuttosto di scontro inter-islamico tra sciiti e sunniti, come se si trattasse di una lite di famiglia tra parenti lontani, stravaganti e fanatici, fingendo di non sapere come mai, molti di loro, ce l’hanno tanto con noi.Posto che nessuno potrebbe mai farsi saltare in aria senza essere imbottito di anfetamine o debitamente manipolato con tecniche psicologiche potentissime, come quelle messe a punto nel programma Mk-Ultra della Cia, non occorre un Premio Nobel per riconoscere le ragioni di un risentimento vastissimo, motivato da decenni di mostruose sofferenze inflitte. «La differenza tra noi e voi è semplice: noi non abbiamo paura di morire», dice un jihadista. Può succedere, sostiene Marco Travaglio, se scopri di non avere più niente da perdere, perché qualcuno ti ha condotto alla disperazione, privandoti di tutto. «Aiutiamoli a casa loro», dicono – senza ridere – leader come Salvini, come se non sapessero in che modo li stiamo già “aiutando”, a casa loro, da decenni. Enrico Mattei, che alla parola “aiuto” dava un significato diverso (non rapina, ma scambio equo) fu fatto esplodere in aria, sul suo aereo. Ma era tanto tempo fa. Troppo, per ricordare. Meglio allora i pettegolezzi sulla lite di famiglia tra i sunniti, cioè gli eredi di Abu Bakr, amico e suocero di Maometto, e gli sciiti, seguaci dell’imam Alì, cugino e genero del Profeta. La divisione religiosa risale al VII secolo dopo Cristo, ma è “esplosa” soltanto adesso, da quando i paesi islamici del Vicino Oriente si sono accorti, definitivamente, della natura dell’“aiuto a casa loro” fornito dal potere occidentale.Il nostro è un potere non certo religioso, ma finanziario e militare, come ricorda Huntington, peraltro co-autore dello storico saggio “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale e utilizzato come Vangelo dall’oligarchia mondialista, quella che ha messo fine alla sovranità nazionale anche archiviando la sinistra dei diritti, quella che – per inciso – sosteneva le cause del terzo mondo, inclusa quella palestinese, che sta a cuore tanto ai sunniti quanto agli sciiti. Ma attenzione: buttarla in politica non risolve sempre tutto. Lo sostiene un osservatore speciale come Fausto Carotenuto, già analista di primo piano dei servizi segreti, ora animatore del network “Coscienze in rete”: conta anche, e moltissimo, la dimensione “invisibile”, quella dei pensieri. Angoscia, paura e rabbia, oppure speranza e fiducia: il “potere” della preghiera. I musulmani sono un miliardo e mezzo, nel mondo, e pregano Allah cinque volte al giorno, tutti i giorni, a ore fisse. «Ogni fedele – dice Paolo Franceschetti – sa che, mentre sta pregando, lo sta facendo insieme a tutti gli altri, in ogni parte del mondo. Questo dona una grande forza interiore, demolisce la solitudine».Per il massone Gianfranco Carpeoro, l’errore fatale dei cattolici fu quello di attaccare gli arabi con le Crociate. San Francesco d’Assisi viaggiò fino a Damietta, sul Nilo, per fare la pace coi musulmani. Che, all’imperatore esoterista Federico II, regalarono una scorta d’onore: la guarda armata del capo del Sacro Romano Impero era composta da guerrieri musulmani. Emblematico, sotto questo aspetto, il ruolo-ponte dei Sufi, confraternita iniziatica di origini antichissime, pre-islamiche, capace di sviluppare una particolarissima forma di sincretismo, oltre che una sorta di diplomazia di pace. «Sapendo che tutto è Dio, cerco Dio per trovare il tutto», sintetizzava Gabriele Mandel, eminente studioso e leader dei “dervisci” italiani, per tutta la vita impegnato nel dialogo interreligioso. Dagli islamici abbiamo molto da imparare, aggiunge Franceschetti: «Per loro la carità è un obbligo, vivono una straordinaria solidarietà quotidiana. Da sempre, nei paesi islamici, il fisco è progressivo: i ricchi pagano più tasse. E la finanzia islamica non è speculativa come la nostra, l’etica la impone il Corano: se non riesci più a a pagare il muto, la banca si riprende la casa ma si ferma lì, non ti perseguita con gli interessi. Non a caso, da noi non si vedono banche islamiche». Discorsi che portano lontano, certo. Molto più lontano dei missili sulla Siria, e di quelli sparati ogni giorno dal circo mediatico con le sue mediocri comparse senza memoria.“Se Allah avesse voluto una sola religione, al mondo, quella soltanto ci sarebbe”. Nel suo saggio sulle principali confessioni del pianeta, Paolo Franceschetti ricorda lo straordinario ecumenismo presente nel Corano, secondo cui “tutte le religioni sono mezzi che conducono alla stessa meta”. «Lo stesso Maometto, pur “prescelto da Dio”, aggiungeva: non compio miracoli, non servirebbe. Nonostante i suoi miracoli, nemmeno Cristo, il più grande dei profeti, è stato riconosciuto per ciò che era, ed è stato crocifisso». Ora torna in voga il refrain sullo “scontro di civiltà”, inaugurato nel 1996 da un esponente dell’élite come Samuel Huntington (“Lo scontro di civiltà e il nuovo ordine mondiale”) e reso tristemente celebre da Oriana Fallaci dopo l’11 Settembre. E oggi, nella narrazione mainstream frastornata da attentati e guerre a catena (Libia e Siria, Charlie Hebdo, Yemen, strage di Parigi del 13 novembre), lentamente affiora anche nei talkshow un nuovo capitolo, quello della guerra inter-islamica tra sciiti e sunniti. «Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale», scriveva Huntington. «Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro», anche perché «le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura».
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Barnard: il futuro è l’agri-business, e la mafia salverà l’Italia
Il celeberrimo economista del ‘700 Adam Smith (che tutti hanno travisato oggi) si trovò di fronte a una scelta di realismo: doveva scegliere fra un male abominevole, e cioè il dominio assoluto di Re e nobili parassiti, autoritari, succhiasangue di tutti senza far nulla, e un male assai minore, cioè il Libero Mercato nascente all’epoca della nuova borghesia commerciale. Fu REALISTA realista. Non era certo una “bella anima” deficiente come quelle che qui oggi predicano peace&love fuori dal capitalismo senza capire un cazzo della realtà. Adam Smith sapeva che la scelta era quella, e realisticamente scelse il Libero Mercato solo perché gli altri erano troppo orribili da contemplare. Oggi siamo allo stesso punto. Piacerebbe avere il mondo della giustizia e delle violette, ma non ci è concesso. La scelta oggi è di nuovo fra il Neofeudalesimo orripilante della politica tecnocratica europea, fra le Mafie pressoché medievali che abbiamo, e la più moderabile realtà del Mercato. Qui per ora dobbiamo scegliere. Per ora. Chi mi conosce sa il curriculum che ho. Gli altri pazienza.A questo punto dell’apocalisse in Eurozona, quando siamo alla fase forse più terribile del progetto di Friedrich Von Hayek (1899-1992) di distruzione di 250 anni di costruzioni democratiche, progetto pienamente avviato dalle tecnocrazie europee (fra cui quelle italiane di Andreatta, Padoa Schioppa, D’Alema, Bersani, De Benedetti, Prodi, Renzi ecc.), ho in mente quella che è l’unica via d’uscita. Ho in mente qualcosa un secolo avanti. Siamo quindi rimasti fra noi, le persone. Io, con mia madre cieca e 91enne che ha un badante che le succhia (meritevolmente) più di mezza pensione, e sempre io che devo vivere con mia madre con l’altra mezza pensione. Tu che lavori per una miseria, tu che sei un ‘flessibile’, tu che dopo la laurea hai nulla, tu che hai avuto il tuo primo contratto indeterminato a 50 anni, tu che sei cassintegrato, tu che bestemmi come regola ogni giorno, tu pensionato esodato indebitato, voi gente vera. Stiamo con l’Italia della disoccupazione fuori controllo che passa scoreggiando davanti al Job Act di Renzi (meno di 130.000 posti di lavoro creati dal fiorentino, con 285.000 posti persi solo per il sì del fiorentino alle sanzioni alla Russia, poi il resto della débacle).Stiamo con le Piccole Medie Imprese i cui marchi se li stanno comprando per spiccioli i cinesi e russi e tedeschi, a causa del deprezzamento indotto dall’Eurozona sui paesi del Sud Europa, a un ritmo di 350 marchi di prestigio che perdiamo all’anno. Stiamo col fatto che oggi un laureato in giurisprudenza o medicina se non emigra va a lavorare nei pub, anche con famiglia che appoggia. Ok. Sono anni che listo i disastri italiani. Soluzione via d’uscita di Realismo N.1, prima di arrivare alle Mafie: A) Tornare alla Lira, cioè alla moneta sovrana, e applicare le politiche economiche chiamate Mosler Economics. Le potete leggere QUI APPIENO qui appieno. Cosa significano in soldoni? Significano una cosa importantissima fra le tante benefiche per l’Italia, e leggete: “Che l’Italia torna ad avere la sovranità di emettere la propria moneta senza limiti, come fanno Usa e Giappone e Inghilterra. Quindi i mercati sapranno che qualsiasi cosa investano sullo Stato italiano, questo Stato in possesso di moneta sovrana emessa senza limiti sarà sempre in grado di ripagarla in pieno e puntuale. La famosa “ability to pay”, cioè capacità di pagare sempre, che è l’unica cosa che interessa i mercati”.“Oggi non l’abbiamo perché usiamo l’euro, che è moneta non italiana e che dobbiamo prensdere in prestito dalla Bce per pagare i mercati, che per questo motivo diffidano di noi. Ripresa la moneta sovrana in Italia, i mercati tornerano a investire a man bassa sull’Italia ricca (perché lo siamo), sull’Italia sicura nei ripagamenti, e sull’Italia con la piccola media impresa migliore del mondo”. I Mercati sono amorali, sono liberi, vanno dove si sentono sicuri, e se saranno sicuri della ABILITY TO PAY ability to pay dell’Italia con moneta sovrana illimitata, noi li avremo in massa a investire su questo paese geniale che ha saputo passare dalle rovine a livello kosovaro della II Guerra Mondiale alla 5a potenza del mondo in soli 35 anni. I Mercati questo lo sanno, sanno di che fibra siamo fatti, sanno che un tintore di pelli di Reggio Emilia sa battere la concorrenza di tutto il pianeta e diventare un mostro multimiliardario per Ferré, Dolce & Gabbana, Gucci e Krizia. Lo sanno i Mercati di che pasta siamo fatti sul lavoro, e da noi verranno in massa. Sui nostri titoli di Stato investiranno tranquilli (facendoci crollare i tassi d’interesse che Roma paga su di essi), ma, ripeto, solo se avremo quella “ability to pay” che viene dall’essere sovrani nella moneta come Usa, Gb e Giappone.E qui siamo alle Mafie. Salveranno il Sud Italia. Ora, voi, fermi. Quanto guadagnano in stime approssimative le 3 maggiori Mafie italiane all’anno, assommate? Le stime ci dicono circa 100 miliardi di dollari lordi (il riciclaggio gliene mangia enormi fette, quindi il netto è molto meno). Ora attenzione: quanto guadagna una singola megabanca d’investimento, UNA SINGOLA una singola, all’anno lordi? Prendiamo Jp Morgan di Ny: sono 101 miliardi di dollari nel 2014. E questa è una singola banca d’investimento, UNA SOLA una sola, che guadagna poco più delle tre maggiori Mafie del mondo. Quante megabanche esistono nel mondo e quanto guadagnano, quindi? Mafie, fatevi una pippa. Quando le Mafie si sbarazzeranno, e ACCADRA’ e accadrà, dei pecorari cervelli di culo di cane che ancora le dominano, capiranno che il loro futuro di ricchezza sta nel mega-banking in Sud Italia. Le Mafie lasceranno perdere gli investimenti puzzoni in puttane, armi, droga, racket, pizzi, omicidi, ed edificheranno le Istituzioni Finanziarie più avanzate del Sud Mediterraneo. Perché?Perché siamo in attesa del BOOOOM boooom, e lo scrivo appositamente così, della più grande industria planetaria del futuro: l’AGRIBUSINESS agribusiness per il cibo, in sviluppo nell’Africa sub-sahariana. E chi si trova in Occidente ma vicino a quell’Africa? Questo dovete CAPIRLO, CAPIRLO capirlo, capirlo!! Cristo: il Sud Italia è posizionato come nessuna terra al mondo all’incrocio dei traffici più lucrosi dei prossimi 500 anni, quelli del…. CIBO cibo! No, non è il petrolio che manca. Non è il cobalto. Non sono cotone e computer. E’… IL CIBO il cibo. In Africa, la Cina, i Sauditi, la Korea e altri stanno comprando appezzamenti da dedicare all’Agribusiness con altissime tecnologie che sono grandi come mezza Francia o come l’intero Belgio. E mica sono scemi. E’ il cibo che scarseggia al mondo, e questa scarsità diverrà insostenibile quando 1 miliardo e 400 milioni di cinesi, quasi 1 miliardo d’indiani, poi i brasiliani e indonesiani ecc. arriveranno alla classe media. Sarà allora che l’Agribusiness per cibo spazzerà via qualsiasi concorrente in affari.E chi, ditemi chi, avrebbe la capacità di smistare gli affari richiesti da Cina, India, Brasile, Indonesia, come super-banche a pochi chilometri dal Sudan, dalla Tunisia, dall’Egitto? IL SUD ITALIA! Il Sud Italia! Le Mafie abbandoneranno la criminalità miserabile, apriranno super-banche e ci porteranno miliardi in parcelle, investimenti e intermediazioni sull’Agribusiness africano, e molto altro in finanza. Fine famiglie di puzzoni psicopatici di Napoli, Sorrento, Catania, Palermo, Reggio, trogloditi taglieggiatori & puttanieri, fine riciclaggio di rifiuti tossici o armi, fine di un’epoca. Ora, realismo. Adam Smith vienici in aiuto. Non è il mondo peace&love di John Lennon. Ma è di certo un mondo assai migliore di quello di oggi. Cosa avremo?Di fatto avremo due cose: LA SOVRANITA’ POLITICA ED ECONOMICA DEL LEGISLATORE ITALIANO. E LE EX-MAFIE DIVENUTE COLLETTI BIANCHI NEI GRATTACIELI DI POZZUOLI O MESSINA A FAR AFFARI SOTTO I REGOLATORI PARLAMENTARI, COME A WALL STREET. La sovranità politica ed economica del legislatore italiano. E le ex-Mafie divenute colletti bianchi nei grattacieli di Pozzuoli o Messina a far affari sotto i regolatori parlamentari, come a Wall Street. Non c’è paragone con lo sfacelo italiano di oggi. Non esiste paragone. Poi da lì i nostri figli ripartiranno con un’altra battaglia, quella che oggi si combatte in Usa: come portare i secondi pienamente sotto il controllo dei primi per l’Interesse Pubblico. Ma questa è un’altra storia. Realismo: inutile sognare. Già oggi ci leccheremmo i baffi se avessimo uno Stato pienamente sovrano e benestante, e non più le 3 maggiori Mafie di assassini pecorari ricatta-vedove spacciatori trafficanti in droga e armi e puttanieri internazionali. Ecco tutto. Ecco come potrebbe accadere. Realisticamente.(Paolo Barnard, “Ci salveranno i Mercati e le Mafie, per ora. Grazie, Adam Smith”, dal blog di Barnard del 13 settembre 2015).Il celeberrimo economista del ‘700 Adam Smith (che tutti hanno travisato oggi) si trovò di fronte a una scelta di realismo: doveva scegliere fra un male abominevole, e cioè il dominio assoluto di Re e nobili parassiti, autoritari, succhiasangue di tutti senza far nulla, e un male assai minore, cioè il Libero Mercato nascente all’epoca della nuova borghesia commerciale. Fu realista. Non era certo una “bella anima” deficiente come quelle che qui oggi predicano peace&love fuori dal capitalismo senza capire un cazzo della realtà. Adam Smith sapeva che la scelta era quella, e realisticamente scelse il Libero Mercato solo perché gli altri erano troppo orribili da contemplare. Oggi siamo allo stesso punto. Piacerebbe avere il mondo della giustizia e delle violette, ma non ci è concesso. La scelta oggi è di nuovo fra il Neofeudalesimo orripilante della politica tecnocratica europea, fra le Mafie pressoché medievali che abbiamo, e la più moderabile realtà del Mercato. Qui per ora dobbiamo scegliere. Per ora. Chi mi conosce sa il curriculum che ho. Gli altri pazienza.
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Foa: il tedesco chiagne e fotte (e intanto si pappa la Grecia)
La notizia della vendita di 14 aeroporti greci a una società tedesca, la Fraport, sta suscitando indignazione; eppure non dovrebbe stupire. Noi siamo abituati a mitizzare i tedeschi, a farci intimidire dal loro rigore morale e – da quando il senso di colpa per l’Olocausto è evaporato – anche dal loro senso di superiorità. In realtà sbagliamo e dovremmo cominciare a giudicare le élites tedesche – perché il popolo, come sempre, c’entra poco – per quello che sono. E soprattutto per i loro difetti. Il primo è la superbia: quando il tedesco di successo (e di potere) troppo spesso diventa sprezzante e non sa darsi il senso della misura. L’empatia, il senso delle proporzioni e dell’equilibrio, quel buon senso che induce gli uomini di successo più avveduti a non esagerare, riflettendo i principi di Sun Tzu, scompare. Il tedesco non si accontenta di vincere, deve stravincere e possibilmente schiacciare l’avversario; non concepisce alcuna attenuante né comprensione umana ma soltanto il raggiungimento dei propri obiettivi, in sintonia con la propria concezione morale, che naturalmente coincide con i propri interessi e non contempla né gli interessi né le spiegazioni degli altri, per quanto possano essere fondati.La relatività morale delle élite tedesche è una costante storica, e tra l’altro spiega molti crimini dei tedeschi ai tempi dei nazisti. Ma non solo. Se analizziamo la storia recente ci accorgiamo che questo atteggiamento è ricorrente. Nel suo splendido saggio “Anschluss – L’annessione”, Vladimiro Giacché dimostra come l’unificazione tedesca non abbia condotto al salvataggio della ex Ddr da parte della Repubblica federale tedesca, bensì a una spoliazione del tessuto industriale ed economico della Germania dell’est da parte delle aziende dell’Ovest in sintonia con il sistema bancario e la classe politica, secondo modalità che definire immorali è persino riduttivo. Allora andò in scena un grande furto collettivo, roba da Casta all’ennesima potenza (altro che Italia!), che di fatto trasformò in un insuccesso economico e sociale quello che avrebbe dovuto essere un processo di integrazione economica. La grande ruberia, naturalmente, non fu denunciata dalla stampa e non fu oggetto di commissioni di inchiesta.Il costo sociale fu scaricato sui länder dell’est, che da allora non si sono più ripresi, e quello economico sui conti dello Stato e, indirettamente su tutta l’Europa, che a causa di quella pessima gestione sprofondò, all’inizio degli anni Novanta, in una lunga recessione. Le élites tedesche non hanno mai pagato alla Grecia i debiti di guerra, sostenendo per oltre 50 anni che “non era il momento”. I tedeschi che con tanta irruenza hanno giudicato la Grecia di oggi, dipingendola come corrotta, inaffidabile, indolente, sono gli stessi che le hanno venduto armamenti per miliardi e che coprono, per legge, la corruzione delle proprie aziende all’estero, inclusa Atene (vedi lo scandalo Siemens); sono coloro che un paio di anni fa hanno permesso alle proprie banche di liberarsi del debito pubblico greco, scaricandolo sui contribuenti europei, con un’operazione che ancora una volta fu presentata come un salvataggio naturalmente del popolo greco.I tedeschi non hanno mai messo la Grecia nelle condizioni di risollevarsi veramente ma, d’accordo con la Troika, l’hanno caricata di tasse, balzelli, “riforme” che hanno avuto come unico effetto quello di far crollare del 25% il Pil greco. Le hanno cavato un paio di litri di sangue e poi le hanno detto: non sei abbastanza in forma, devi correre più veloce. Non ti dai abbastanza da fare, devi dare altro sangue. Naturalmente avanzando pretese morali e continuando a incolpare il popolo greco nel suo insieme. A Napoli direbbero che la Germania “chiagne e fotte”. Il fottuto oggi è la Grecia. Oggi. E domani?(Marcello Foa, “Il tedesco chiagne e fotte, e intanto si compra la Grecia”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 19 agosto 2015).La notizia della vendita di 14 aeroporti greci a una società tedesca, la Fraport, sta suscitando indignazione; eppure non dovrebbe stupire. Noi siamo abituati a mitizzare i tedeschi, a farci intimidire dal loro rigore morale e – da quando il senso di colpa per l’Olocausto è evaporato – anche dal loro senso di superiorità. In realtà sbagliamo e dovremmo cominciare a giudicare le élites tedesche – perché il popolo, come sempre, c’entra poco – per quello che sono. E soprattutto per i loro difetti. Il primo è la superbia: quando il tedesco di successo (e di potere) troppo spesso diventa sprezzante e non sa darsi il senso della misura. L’empatia, il senso delle proporzioni e dell’equilibrio, quel buon senso che induce gli uomini di successo più avveduti a non esagerare, riflettendo i principi di Sun Tzu, scompare. Il tedesco non si accontenta di vincere, deve stravincere e possibilmente schiacciare l’avversario; non concepisce alcuna attenuante né comprensione umana ma soltanto il raggiungimento dei propri obiettivi, in sintonia con la propria concezione morale, che naturalmente coincide con i propri interessi e non contempla né gli interessi né le spiegazioni degli altri, per quanto possano essere fondati.
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Un Cln per la libertà della Grecia, tradita dall’infame Tsipras
Alexis Tsipras è un farabutto ipocrita. Dopo avere vinto le elezioni di gennaio al grido “mai più Troika”, questa specie di Matteo Renzi ellenico si è completamente consegnato nelle mani dei tecno-nazisti Draghi, Merkel e Schaeuble, adducendo scuse false e risibili degne dei suoi nuovi compari Samaras e Venizelos. L’ex leader di Syriza, oramai ridottosi a patetica macchietta, ha tradito la sua gente, sterilizzando di fatto la straordinaria prova di forza e democrazia offerta al mondo dai greci il 5 luglio scorso. Come molti di voi ricorderanno, infatti, in Grecia è stato recentemente indetto, proprio da Tsipras, un paradossale referendum contenente un semplice quanto decisivo quesito: “Siete voi disposti a proseguire sul sentiero dell’austerita’?” Oxi o Nai? Il popolo ha detto “Oxi” e Tsipras ha fatto come se avesse detto “Nai”. Bella coerenza! Con quale faccia questo damerino infingardo possa ora ripresentarsi di fronte al corpo elettorale resta un mistero difficile da comprendere. Cosa dirà ai suoi concittadini Tsipras? Probabilmente le stesse menzogne che, prima di lui, recitavano su dettatura i suoi predecessori, bravissimi nel tentare di carpire consenso veicolando paure buone per intontire e raggirare i deboli e gli ingenui.
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Il Guardian: l’ignobile Schäuble già rovinò la Germania Est
Per capire le richieste di Wolfgang Schäuble nei colloqui di salvataggio, dovete guardare a ciò che ha inflitto al suo paese quando si è riunificato. Ogni dramma ha bisogno di un grande cattivo, e nell’ultimo atto della crisi greca Wolfgang Schäuble, il 72-enne ministro delle finanze tedesco, è emerso come straordinario villain: i critici lo vedono come un tecnocrate spietato che ha usato modi pesanti su un intero paese e ora ha intenzione di spogliarlo del suo patrimonio. Una parte dell’accordo di salvataggio, in particolare, ha scandalizzato molti europei: la proposta di creazione di un fondo progettato per selezionare accuratamente beni pubblici greci del valore di 50 miliardi di euro e privatizzarli per pagare i debiti del paese. Ma la chiave per comprendere la strategia della Germania è che per Schäuble non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Venticinque anni fa, durante l’estate del 1990, Schäuble guidava la delegazione della Germania Ovest che stava negoziando i termini dell’unificazione con la Germania Est ex-comunista.Dottore in legge, era ministro degli interni della Germania Ovest e uno dei più stretti consiglieri del Cancelliere Helmut Kohl, il ragazzo a cui rivolgersi ogni volta che le cose diventavano difficili. La situazione nella ex Rdt non era troppo dissimile da quella della Grecia quando Syriza è salita al potere: i tedeschi dell’est avevano appena tenuto le prime elezioni libere nella loro storia, solo pochi mesi dopo la caduta del Muro di Berlino, e alcuni dei delegati di Berlino Est sognavano un nuovo sistema politico, una “terza via” tra l’economia di mercato dell’ovest e il sistema socialista dell’est – nel frattempo non avevano più alcuna idea di come pagare le bollette. I tedeschi occidentali, dall’altra parte del tavolo, avevano slancio, denaro e un piano: tutto quanto di proprietà dello stato della Germania Est doveva essere assorbito dal sistema tedesco-occidentale e poi rapidamente venduto ad investitori privati per recuperare una parte dei soldi di cui la Germania orientale avrebbe avuto bisogno negli anni a venire. In altre parole: Schäuble e la sua squadra volevano garanzie.A quel tempo quasi tutte le società, i negozi o le stazioni di benzina ex-comuniste erano di proprietà della Treuhand, un’agenzia di fiducia – un’istituzione originariamente pensata da un gruppo di dissidenti della Germania Est per fermare la vendita delle imprese statali alle banche e alle società della Germania Ovest da parte di quadri comunisti corrotti. La missione della Treuhand: trasformare tutti i grandi conglomerati, le aziende e i piccoli negozi in aziende private, in modo che potessero essere parte di un’economia di mercato. A Schäuble e alla sua squadra non interessava che i dissidenti avessero pianificato di distribuire azioni di queste società, emesse dalla Treuhand, ai tedeschi dell’Est – un concetto che per inciso ha portato alla nascita degli oligarchi in Russia. Ma piaceva loro l’idea di un fondo di garanzia, perché operava al di fuori del governo: sebbene tecnicamente supervisionato dal ministero delle finanze, la Treuhand era percepita dall’opinione pubblica come un organismo indipendente. Anche prima che la Germania si fondesse in un unico Stato nell’ottobre 1990, la Treuhand era saldamente nelle mani della Germania Ovest.Lo scopo dei negoziatori della Germania Ovest era privatizzare quante più aziende possibili, il più presto possibile – e se oggi si chiedesse della Treuhand alla maggior parte dei tedeschi, direbbero che ha raggiunto tale obiettivo. Non lo ha fatto in un modo che è piaciuto al popolo della Germania orientale, dove la Treuhand venne rapidamente conosciuta come la faccia violenta del capitalismo. Nello spiegare la trasformazione dell’economia ai traumatizzati tedeschi orientali, che si sentivano sopraffatti da questa strana nuova agenzia, fece un lavoro tremendo. A peggiorare le cose, la Treuhand divenne un ricettacolo di corruzione. L’agenzia si è presa tutta la colpa per la situazione desolante nella Germania dell’Est. Kohl e il partito di Schäuble, il conservatore Cdu, sono stati rieletti per gli anni a venire, mentre altri hanno pagato il prezzo: uno dei presidenti della Treuhand, Detlev Karsten Rohwedder, fu assassinato da terroristi di sinistra. (Anche Schäuble è stato vittima di un attentato che lo ha lasciato permanentemente su una sedia a rotelle, dopo solo pochi giorni dalla riunificazione tedesca – ma le motivazioni del suo aggressore paranoico erano estranee agli eventi politici). Ma la realtà di ciò che ha fatto la Treuhand è diversa dalla percezione popolare – e questo dovrebbe essere un monito sia per Schäuble che per il resto d’Europa.La vendita del patrimonio della Germania Est per il massimo profitto si è rivelata più difficile di quanto immaginato. Quasi tutti i beni di valore reale – le banche, il settore energetico – erano già state accaparrate dalle società tedesco-occidentale. Pochi giorni dopo l’introduzione del marco tedesco-occidentale, l’economia dell’est collassò. Come la Grecia, essa richiese un massiccio programma di salvataggio organizzato dal governo di Schäuble, ma in segreto: si misero da parte 100 miliardi di marchi per mantenere l’economia della vecchia Germania orientale a galla, una cifra che è diventato pubblica solo anni dopo. Con il costo del lavoro e delle forniture che sfondarono il soffitto [a causa della parità decisa a tavolino tra marco-orientale e marco-occidentale per l’unione monetaria tra le due Germanie, entrata in vigore il 1 luglio 1990, NdT], la già stressata economia della Germania Est andò in caduta libera e la Treuhand non ebbe alcuna possibilità di vendere molte delle sue imprese. Dopo un paio di mesi cominciò a chiudere intere aziende, licenziando migliaia di lavoratori. Alla fine la Treuhand non generò affatto alcun provento per il governo tedesco: raggranellò a malapena 34 miliardi di euro per tutte le società dell’est messe insieme, perdendo 105 miliardi di euro.In realtà, la Treuhand non è diventata soltanto uno strumento per la privatizzazione, ma una holding quasi-socialista. Perse miliardi di marchi, perché continuò a pagare i salari di molti lavoratori dell’est e tenne in vita alcune fabbriche non redditizie – un aspetto positivo di solito annegato nella denigrazione dell’agenzia [la denigrazione della Treuhand nasce anche dal fatto che, in aggiunta ai molteplici episodi di corruzione e alla brutale liquidazione dell’economia tedesco-orientale, l’agenzia chiuse, liquidò o svendette ad aziende tedesco-occidentali anche aziende tedesco-orientali che erano più competitive o di dimensioni ben maggiori rispetto alle controparti occidentali, nell’intento di uccidere sul nascere la potenziale concorrenza delle aziende tedesco-orientali per assicurare al capitale tedesco-occidentale lo sbocco sui mercati dei paesi ex-comunisti legati alla Germania Est – si veda il già citato “Anschluss, l’annessione” di Vladimiro Giacchè, NdT]. Poiché Kohl e, durante l’estate del 1990, Schäuble, non erano economisti di Chicago appassionati di esperimenti radicali, ma politici che volevano essere rieletti, hanno pompato milioni in un’economia in fallimento. Questo è il punto dove finisce il parallelo con la Grecia: c’erano dei limiti politici all’austerità che un governo poteva imporre al suo stesso popolo.La lezione appresa da Schäuble – che adesso è in grado di influenzare le sue decisioni – è che se si recita la parte del neoliberista puro di cuore si può ancora avere una via di fuga con decisioni che dal punto di vista economico non hanno del tutto senso. Se Schäuble sta agendo duramente con la Grecia in questo momento, è perché il suo elettorato vuole che agisca a quel modo; non è tanto che non si preoccupa per il popolo greco, è che lui vuole far credere alla gente che non gli importa, perché ne vede il vantaggio politico. Ma Schäuble dovrebbe aver imparato dalla storia che il gioco d’azzardo della Treuhand ha avuto conseguenze psicologiche catastrofiche. Anche se l’agenzia è stata gestita da tedeschi, che parlavano tedesco, è stata tuttavia vista da molti nell’est come una forza di occupazione. L’idea di Schäuble di paesi stranieri che controllano il patrimonio greco e lo trasferiscono all’estero è un concetto ancora più umiliante per qualsiasi paese. Schäuble si presenta come un ragioniere duro e sobrio. In realtà è soltanto un politico ordinario che ripete vecchi errori.(Dirk Laabs, “Per capire la durezza della Germania verso la Grecia, bisogna guardare a 25 anni fa”, dal “Guardian” del 17 luglio 2015, tradotto da “Voci dall’Estero”).Per capire le richieste di Wolfgang Schäuble nei colloqui di salvataggio, dovete guardare a ciò che ha inflitto al suo paese quando si è riunificato. Ogni dramma ha bisogno di un grande cattivo, e nell’ultimo atto della crisi greca Wolfgang Schäuble, il 72-enne ministro delle finanze tedesco, è emerso come straordinario villain: i critici lo vedono come un tecnocrate spietato che ha usato modi pesanti su un intero paese e ora ha intenzione di spogliarlo del suo patrimonio. Una parte dell’accordo di salvataggio, in particolare, ha scandalizzato molti europei: la proposta di creazione di un fondo progettato per selezionare accuratamente beni pubblici greci del valore di 50 miliardi di euro e privatizzarli per pagare i debiti del paese. Ma la chiave per comprendere la strategia della Germania è che per Schäuble non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Venticinque anni fa, durante l’estate del 1990, Schäuble guidava la delegazione della Germania Ovest che stava negoziando i termini dell’unificazione con la Germania Est ex-comunista.
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Della Luna: Germania criminale, utile idiota dello Zio Sam
“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.Tsipras, il doppiogiochista bifronte, ha tradito sia il mandato elettorale che quello referendario del suo popolo, finendo per imporgli condizioni addirittura più schiaccianti di quelle inizialmente richieste dalla Germania, per fare lo sporco gioco di questa, condannando la Grecia a misure incompatibili col risanamento, perché aumentare le tasse sui redditi e l’Iva a un’industria già agonizzante significa voler ammazzare l’economia e peggiorare quindi il rapporto deficit/Pil. E licenziamenti massicci con una disoccupazione al 25% sono un suicidio sociale. L’insostenibilità del debito pubblico greco si ripresenterà entro l’anno, aggravata dal calo della produzione e dell’occupazione. Qual è dunque l’obiettivo di Berlino (e quindi del governo fantoccio di Bruxelles)? Disastrare la Grecia per impadronirsi, o far sì che i capitalisti finanziari franco-tedeschi si impadroniscano dei beni pubblici che il traditore Tsipras col suo Parlamento di nominati (come quello italiano) metterà nel fondo di garanzia da 50 miliardi. E far man bassa nelle privatizzazioni che Atene sarà forzata ad eseguire col peggiorare programmato della sua crisi debitoria.La Grecia ha avuto diversi traditori prima di Alexis Tsipras, a cominciare dal famoso Efialte, che insegnò ai persiani di Serse un sentiero segreto attraverso i monti per prendere alle spalle i difensori delle Termopili. I difensori delle Termopili sono sempre giustamente commemorati e celebrati, mentre Efialte è passato come lo sterco dei muli di Serse. Il governo Merkel, venendo alla luce come il padrone incontrastato e il vero manovratore delle istituzioni europee, ha distrutto l’Europa, o meglio l’illusione del processo di unificazione europea. Ormai il re è nudo, cioè tutti vedono che l’apparato detto “Unione Europea” è una macchina di sottomissione in mano al governo e alla finanza germanici, che non ci sono né democrazia né eguaglianza né solidarietà né giustizia né sane ricette economiche né un progetto costruttivo, ma solo il progetto tedesco di indebitare, indebolire e spadroneggiare in una Lebensraum in via di conquista. Razziare gli assets pregiati e far lavorare la gente in condizione di servitù, senza garanzie e senza progetti di vita, solo per pagare interessi su pretesi debiti contratti in cambio di denaro contabile, generato a costo zero da bancari-usurai.L’opinione pubblica tedesca se ne frega, se la mortalità infantile in Grecia sale del 45%. L’imperialismo genocida tipicamente tedesco riemerge periodicamente per guidare alla vittoria i cancellieri “forti”. I quali sinora hanno poi sempre perso, perché si sono messi contro il mondo. Il problema è però chi sta dietro Berlino e la sua campagna di conquiste: quale potenza consente alla Germania di imporre tutto ciò che vuole senza nemmeno negoziare, ma piegando e umiliando chi osa opporsi? Necessariamente una potenza che dispone di superiori forze non solo economiche, ma anche militari: gli Usa, o meglio la power élite che governa Washington, ai cui disegni globali la Germania, con le sue caratteristiche di efficienza e amoralità, è strumentale. Fu grazie alla I Guerra Mondiale scatenata dalla Germania, alle distruzioni e ai debiti che essa produsse, che gli Usa soppiantarono l’Impero britannico e le potenze europee. Fu grazie ai finanziamenti delle banche e della grande industria americana, che Hitler ricostruì e riarmò la Germania. E fu grazie alla II Guerra Mondiale, che Wall Street impose al mondo il suo ordine monetario, anche col Piano Marshall e la ricostruzione.Storicamente, la Germania è uno strumento con cui lo zio Sam sottomette l’Europa. Anche in questi giorni, dietro il bailamme della crisi greca, sta ottenendo il voto favorevole del Parlamento Europeo al Ttip. Già l’Italia, come la Grecia, ha avuto ed ha governi imposti da Berlino, ma guidati da personaggi della banca americana Goldman Sachs, per fare gli interessi stranieri. Governi che hanno massacrato questo paese, i cui conti reggono oggi solo perché il Qe di Draghi li sostiene, abbassando lo spread; ma quando il Qe finirà, il debito italiano rischia seriamente una crisi di sostenibilità come quello greco. Oggi Brunetta dice «io e Forza Italia non cederemo mai la sovranità a Schaeuble», ma fino a due anni fa hanno votato tutto quello che serviva per cederla!(Marco Della Luna, estratti da “Merkel e Serse, conquistare la Grecia”, dal blog di Della Luna del 14 luglio 2015).“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.
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Hanno ucciso la Grecia, non esiste più. Poi toccherà a noi?
Ma cosa ha a che fare il cosiddetto accordo per la Grecia con l’Europa dei popoli? Cosa ha a che fare il massacro della Grecia e del suo popolo con l’integrazione e l’unità politica europee? Cosa ha a che fare questa Ue con quella prospettiva di crescita, solidarietà, democrazia che milioni di europei hanno creduto e auspicato in questi decenni? Il presunto accordo è soltanto la garanzia perché i creditori e le banche siano soddisfatti. La Grecia è già al default e quelle condizioni servono soltanto a costringere il Parlamento greco a rendere legittime le scorrerie predatorie sui beni pubblici. Un intero paese privatizzato. Beni culturali, paesaggistici, risorse naturali, costituiranno il fondo di garanzia di 52 miliardi di euro per i creditori. Non hanno mai voluto davvero un esito ‘Grexit’: né i tedeschi per i loro maledettissimi interessi né gli americani preoccupati di non regalare la Grecia, che resta strategica nello scacchiere mediterraneo, alla Russia di Putin.È invece quello dell’appropriazione dei beni comuni il tema principale, e senza entrare nel merito delle altre micidiali condizioni come la riforma delle pensioni e del codice civile. Ogni Paese ha delle risorse che non vengono calcolate in termine di ricchezza e Pil: musei, opere d’arte, storiche, monumentali, collezioni, patrimonio librario, isole, coste. Su queste pregiatissime risorse pubbliche stanno orientando i loro artigli le potentissime lobby economico-finanziarie internazionali. E credo che questo sia un rischio assai concreto anche per l’Italia la cui ricchezza in materia è davvero inestimabile. Se il Peloponneso o il Partenone rischiano così in un futuro prossimo di diventare patrimonio privato, lo stesso potrebbe accadere all’Italia. Qualcuno direbbe “ma la Costituzione tutela questi beni”; vero, però i signori della finanza hanno costretto alla costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio: un vero e proprio monstrum giuridico.Vedremo, se una volta chiuso il capitolo ellenico, si riaprirà quello italiano con i licenziamenti nelle Pa e un’ulteriore riforma delle pensioni, preludio all’aggressione ai nostri beni comuni rispetto ai quali, purtroppo dimentichiamo sempre troppo in fretta, un referendum stravinto è rimasto inapplicato! Se davvero dopo la Grecia toccherà all’Italia, i mastini che condurranno l’Eurosummit non dovranno neppure reggere la fatica di sottoporre il premier di turno al massiccio ‘waterboarding mentale’ riservato a Tsipras: temo che cederà subito…(Orazio Licandro, “Grecia, come si privatizza un paese”, dal “Fatto Quotidiano” del 14 luglio 2015).Ma cosa ha a che fare il cosiddetto accordo per la Grecia con l’Europa dei popoli? Cosa ha a che fare il massacro della Grecia e del suo popolo con l’integrazione e l’unità politica europee? Cosa ha a che fare questa Ue con quella prospettiva di crescita, solidarietà, democrazia che milioni di europei hanno creduto e auspicato in questi decenni? Il presunto accordo è soltanto la garanzia perché i creditori e le banche siano soddisfatti. La Grecia è già al default e quelle condizioni servono soltanto a costringere il Parlamento greco a rendere legittime le scorrerie predatorie sui beni pubblici. Un intero paese privatizzato. Beni culturali, paesaggistici, risorse naturali, costituiranno il fondo di garanzia di 52 miliardi di euro per i creditori. Non hanno mai voluto davvero un esito ‘Grexit’: né i tedeschi per i loro maledettissimi interessi né gli americani preoccupati di non regalare la Grecia, che resta strategica nello scacchiere mediterraneo, alla Russia di Putin.