Archivio del Tag ‘pubblicità’
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Mediocrità e ipocrisia nell’Italia di Renzi alla Casa Bianca
Mi è capitata fra le mani una foto dei cosiddetti “italiani eccellenti” portati da Matteo Renzi la scorsa settimana alla Casa Bianca. Costoro, secondo la scelta del nostro primo ministro, dovrebbero rappresentare il meglio dell’Italia. Roberto Benigni: un traditore del cinema a doppia mandata. Prima volta traditore, perché ha rubato l’idea di “La vita è bella” ad un suo collega, il regista rumeno Radu Mihaileanu. Mihaileanu aveva mandato a Benigni la sceneggiatura del suo film, “Train de vie”, chiedendogli di fare il protagonista. Benigni finse di non essere interessato, solo per correre di nascosto a scrivere il suo film, “La vita è bella”, con il quale avrebbe vinto l’Oscar. Le trame dei due film sono diverse, ma l’idea di ambientare un film comico sullo sfondo dell’Olocausto è identica. Seconda volta traditore, perchè mentre il film di Mihaileanu finisce – giustamente – con il protagonista dietro al filo spinato di Auschwitz, quello di Benigni finisce in modo antistorico, con un happy end del tutto improbabile che strizza l’occhio ai poteri forti di Hollywood: quando mai un ragazzino esce vivo da una Auschwitz liberata dagli americani, solo per incontrare la sua mamma che lo aspetta sorridente sotto un albero?Nemmeno negli spot del Mulino Bianco succedono queste cose. Ma, lo sappiamo tutti, pur di vincere un Oscar c’è anche chi è disposto a stravolgere il senso della Storia. Beatrice Vio: lo sport paraolimpico è una triste invenzione dei tempi del politically correct: da una parte il mondo delle persone normali, che si ripuliscono dai sensi di colpa verso gli handicappati inventando delle Olimpiadi fatte su misura per loro. Dall’altra questi handicappati, vittime designate di questa catarsi collettiva, nella quale si finge di esaltarsi per imprese sportive che sono tali solo nei parametri del nostro relativismo sociale. Le paraolimpiadi sono il festival dell’ipocrisia collettiva, e i loro eroi non sono che il trofeo sociale di questa ipocrisia. Giusy Nicolini: il sindaco di Lampedusa è un esempio innegabile di altruismo, generosità e profondo senso civico. Ma Giusy Nicolini è soltanto la sottile foglia di fico che nasconde, proprio grazie alla sua generosità, una tragedia infinita sia dal punto di vista umano che da quello politico. La tragedia di un sistema – la cosiddetta civiltà occidentale – che da una parte porta guerre d’invasione in tutto il mondo, e dall’altra è assolutamente incapace di gestire i risultati catastrofici che queste guerre vengono a creare.Di Paolo Sorrentino so poco (“E ci sarà un motivo”, direbbero Aldo Giovanni e Giacomo). So solo che ha fatto un film mediocre, con il quale è riuscito inspiegabilmente a vincere un Oscar. Forse gli americani hanno creduto di trovarsi di fronte ad un nuovo “La dolce vita”, ma sta di fatto che nessun critico italiano, per quanto venduto possa essere, è riuscito a gridare al capolavoro. Sorrentino è il classico emblema della mediocrità elevata ad eccellenza per semplice mancanza di talenti reali. Raffaele Cantone: il famoso magistrato incaricato da Renzi di combattere corruzione, mafia e clientelismo nel nostro paese. Finge di beccare qualcuno ogni tanto, spara sentenze feroci (ma innocue) contro i corrotti, mentre in realtà si presta volentieri a fare da emblema di un’Italia che finge di combattere i propri mali, quando questi stessi mali vengono alimentati da scelte politiche decisamente ambigue, come ad esempio i continui condoni per gli evasori fiscali.Giorgio Armani: “Re Giorgio” è sicuramente un’eccellenza di valore assoluto. Ma eccellenza di che cosa, se non dell’effimero? Che cosa rappresenta l’alta moda, in un mondo di 6 miliardi di persone nel quale cinque e mezzo di loro fanno la fame, se non il trionfo dell’élite a discapito di tutti gli altri? Celebrare un uomo che ha costruito un impero basato sull’apparenza invece che sulla sostanza significa in fondo celebrare l’effimero al posto del reale, l’inutile al posto dell’utile, la stupidità al posto dell’intelligenza. Con questa squadra di persone (e pochi altri) il nostro premier ha pensato bene di andare a rappresentare l’Italia alla Casa Bianca. Qualcuno potrebbe domandarsi, a questo punto, perché non abbia scelto di portare invece un tornitore della Breda in cassa integrazione, un agricoltore del Salento che lavora sottocosto, o un disoccupato del Lodigiano costretto a dormire in macchina con tutta la famiglia perché non riesce più a pagare il mutuo della sua casa. Ma questo sarebbe stato troppo, perché si rischiava che di colpo la dura realtà di oggi facesse irruzione nel mondo da cartolina del nostro amatissimo Matteo Renzi.(Massimo Mazzucco, “Foto di gruppo alla Casa Bianca”, dal blog “Luogo Comune” del 24 ottobre 2016).Mi è capitata fra le mani una foto dei cosiddetti “italiani eccellenti” portati da Matteo Renzi la scorsa settimana alla Casa Bianca. Costoro, secondo la scelta del nostro primo ministro, dovrebbero rappresentare il meglio dell’Italia. Roberto Benigni: un traditore del cinema a doppia mandata. Prima volta traditore, perché ha rubato l’idea di “La vita è bella” ad un suo collega, il regista rumeno Radu Mihaileanu. Mihaileanu aveva mandato a Benigni la sceneggiatura del suo film, “Train de vie”, chiedendogli di fare il protagonista. Benigni finse di non essere interessato, solo per correre di nascosto a scrivere il suo film, “La vita è bella”, con il quale avrebbe vinto l’Oscar. Le trame dei due film sono diverse, ma l’idea di ambientare un film comico sullo sfondo dell’Olocausto è identica. Seconda volta traditore, perchè mentre il film di Mihaileanu finisce – giustamente – con il protagonista dietro al filo spinato di Auschwitz, quello di Benigni finisce in modo antistorico, con un happy end del tutto improbabile che strizza l’occhio ai poteri forti di Hollywood: quando mai un ragazzino esce vivo da una Auschwitz liberata dagli americani, solo per incontrare la sua mamma che lo aspetta sorridente sotto un albero?
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Allerta sul cibo industriale: rilevati troppi veleni invisibili
Corpi estranei in ritagli di ostie croccanti, salmonella nella soia e nella carne di pollo, livelli eccessivi di “escherichia coli” nei mitili, mercurio nel tonno, frammenti di vetro in ravioli ai funghi, aflatossine nel Grana Padano, couscous con muffe – e la lista è ancora lunga. Sono le anomalie e le irregolarità nei prodotti italiani che hanno preso la via dell’estero o del mercato interno e che sono state rilevate e segnalate, nelle ultime settimane, dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi. Il cibo sano pare, dunque, una chimera o almeno una equivalenza impossibile con il cibo industriale, sia prodotto in Italia che all’estero. Qualche altro esempio? Tra i lotti respinti alle frontiere o oggetto di informazione ci sono: migrazione di cromo e manganese da lame per elettrodomestici da cucina provenienti dagli Stati Uniti; mercurio in lombi di pescespada sottovuoto, scongelati dalla Spagna; residui di sostanza proibite (tau-fluvalinato e cloramfenicolo) in propoli crudo dalla ex jugoslava Repubblica di Macedonia; ocratossina A in miscela di caffè tostato da Italia.E ancora: colorante non autorizzato (Reactive Red 195) in concentrato di frutta dal Messico; infestazione da parassiti Anisakis in rana pescatrice refrigerata dalla Francia; presenza di Dna di ruminanti in materiali alimentari provenienti da Danimarca e destinati a mangime. Poi ci sono i ritiri di prodotti per questioni di potenziali allergie o presenza di sostanze estranee. Per esempio, a fine luglio Ikea ha esteso il richiamo delle due tavolette di cioccolato avviato un mese prima per la mancanza delle indicazioni in etichetta di due ad altri sei prodotti al cioccolato. Il motivo è sempre lo stesso: la mancanza dell’indicazione sull’etichetta della frase “può contenere mandorle e nocciole”. Si tratta di una dimenticanza che potrebbe procurare problemi alle persone allergiche o intolleranti. Il richiamo interessa tutti i mercati mondiali e tutti i lotti venduti. Ikea precisa che la presenza di mandorle e nocciole non è occasionale ma che è stata rilevata frequentemente.E ancora, di recente la catena di supermercati Coop ha annunciato il ritiro dagli scaffali dei supermercati delle confezioni di dessert Granarolo 100% vegetale di soia al gusto vaniglia, per possibile presenza di tracce di latte non dichiarate in etichetta. Il 15 luglio 2016 Barilla ha richiamato e ritirato dai punti vendita dieci tipi di pane in cassetta e due torte della Mulino Bianco oltre a un lotto di Maxi Burger Pavesi per sospetta presenza di corpi estranei nel sale utilizzato nelle preparazioni. Secondo il fornitore di sale olandese si tratta di pezzetti di metallo che possono arrivare sino a cinque centimetri. In rete sono apparse centinaia di notizie su questo ritiro e molti giornali cartacei hanno ripreso la notizia. La maggior parte dei supermercati che in teoria dovrebbero essere interessati ad avvisare la clientela, visto che probabilmente hanno venduto i lotti ritirati, ha dimenticato di rilanciare l’allerta e di informare i propri consumatori.Poi la querelle tra la Ferrero e l’associazione dei consumatori tedesca Foodwatch che ha analizzato venti marche di patatine fritte e snack, per verificare la presenza di oli minerali. In tre snack è stata rilevata la presenza di idrocarburi di oli minerali (Moh). Si tratta delle barrette di cioccolato Kinder Ferrero, dei cioccolatini alle nocciole Fioretto di Lindt e dei biscotti al cioccolato Sun Rice di Rübezahl. La maggior concentrazione di Moh è stata riscontrata nelle barrette Kinder, e per questo Foodwatch ha chiesto a Ferrero di ritirare il prodotto. In una mail inviata a “Il Fatto Alimentare”, Ferrero «garantisce che tutti i suoi prodotti sono sicuri per i consumatori. Essi sono infatti pienamente conformi ai requisiti di sicurezza alimentare previsti in tutti i paesi in cui sono commercializzati, spesso superandoli».Ferrero difende i suoi prodotti e ne garantisce la sicurezza: «Benché il tema recentemente sollevato relativo a tracce di oli minerali nei prodotti alimentari sia noto alle autorità competenti e all’industria alimentare già da diversi anni, non vi è ad oggi alcuna regolamentazione specifica in materia». Il problema concerne virtualmente tutti gli imballi alimentari: infatti, tracce minime di oli minerali si ritrovano ovunque nell’ambiente. «Tutti gli imballi Ferrero rispettano pienamente la normativa applicabile relativa ai materiali di contatto alimentare. Tuttavia, in linea con la sua tradizione di continuo miglioramento, dal 2013 Ferrero è impegnata in un processo di revisione di tutti i suoi materiali da imballaggio, al fine di garantire la più alta qualità ai propri consumatori». L’associazione dei consumatori tedesca ha però ricordato il parere emesso nel giugno 2012 e poi aggiornato nell’agosto 2013 dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).Il testo individua due tipi di Moh per quanto riguarda la sicurezza alimentare: gli idrocarburi saturi (Mosh), che possono accumularsi nei tessuti umani e provocare effetti avversi sul fegato, e quelli aromatici (Moah), che possono agire da cancerogeni genotossici, ovvero possono danneggiare il Dna e provocare il cancro. E quando si parla di cibo industriale, occhio agli ingredienti citati nella pubblicità. Vogliamo parlare dei gelati confezionati? Il “Fatto Alimentare” ha analizzato 104 prodotti scoprendo che la panna è solo uno specchietto per le allodole. L’alternativa c’è. Smetterla con i prodotti industriali acquistati a pacchi e carrelli, che durano un tempo infinito, infarciti di additivi di ogni genere. E riduzione drastica delle proteine animali, dal momento che gli animali sono allevati con abbondanza di antibiotici, ormoni e mangimi addizionati. Sì agli alimenti biologici, in larga parte vegetali, a un’alimentazione basata su cibi freschi cucinati al momento. La salute si guadagna e si mantiene a tavola.(“Cosa c’è dietro al cibo industriale”, da “Il Cambiamento” del 23 agosto 2016).Corpi estranei in ritagli di ostie croccanti, salmonella nella soia e nella carne di pollo, livelli eccessivi di “escherichia coli” nei mitili, mercurio nel tonno, frammenti di vetro in ravioli ai funghi, aflatossine nel Grana Padano, couscous con muffe – e la lista è ancora lunga. Sono le anomalie e le irregolarità nei prodotti italiani che hanno preso la via dell’estero o del mercato interno e che sono state rilevate e segnalate, nelle ultime settimane, dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi. Il cibo sano pare, dunque, una chimera o almeno una equivalenza impossibile con il cibo industriale, sia prodotto in Italia che all’estero. Qualche altro esempio? Tra i lotti respinti alle frontiere o oggetto di informazione ci sono: migrazione di cromo e manganese da lame per elettrodomestici da cucina provenienti dagli Stati Uniti; mercurio in lombi di pescespada sottovuoto, scongelati dalla Spagna; residui di sostanza proibite (tau-fluvalinato e cloramfenicolo) in propoli crudo dalla ex jugoslava Repubblica di Macedonia; ocratossina A in miscela di caffè tostato da Italia.
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Amazon paga meno tasse di una bancarella di salsicce
Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.Apple ha detto che impugnerà la decisione, che l’amministratore delegato Tim Cook ha definito «una completa schifezza politica». Google, Facebook e altre multinazionali dichiarano di adeguarsi completamente alla normativa fiscale. Kern ha anche criticato gli stati membri dell’Unione Europea con regimi fiscali agevolati che hanno attirato le multinazionali – e sono stati messi sotto esame da Bruxelles. «Quello che stanno facendo Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Malta manca di solidarietà verso il resto dell’economia europea», ha detto. Si è astenuto dal chiedere che Facebook e Google pagassero più tasse, ma ha sottolineato le loro vendite significative in Austria, che ha stimato in oltre 100 milioni di euro ciascuno, e il loro numero di dipendenti relativamente piccolo – una «buona dozzina» per Google e «presumibilmente ancora meno» per Facebook. «Hanno massicciamente risucchiato il volume di pubblicità prodotta dall’economia, ma non pagano né l’imposta sulle società, né sulla pubblicità in Austria», ha detto Kern, che è diventato cancelliere nel mese di maggio.«Mentre si evidenzia su cosa si è basato il tanto decantato boom irlandese, vengono al pettine i nodi legati ai mitizzati investimenti esteri». In questo quadro, sottolinea “Voci dall’Estero”, «caos e disgregazione sono in ulteriore aumento in Europa». Lo dimostra una volta di più anche questa sentenza che chiede alla Apple di versare all’Irlanda 13 miliardi di euro di tasse arretrate. «Mentre Dublino, un po’ paradossalmente, ha già presentato ricorso contro la decisione dell’Ue, in Austria il premier accusa le multinazionali di pagare tasse in misura irrisoria anche nel suo paese». “Voci dall’Estero” rileva quindi come notevole l’atteggiamento del premier austriaco, che «attacca anche i diversi stati membri che praticano politiche fiscali troppo generose per attirare le grandi aziende, accusandoli di mancare di solidarietà verso il resto dell’Eurozona».Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.
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Chi ha scattato quella foto ha sgozzato bambini palestinesi
Come tutte le guerre, quella contro la Siria dà luogo a una valanga di propaganda. E l’argomento dei bambini è sempre in auge. Così, all’inizio della guerra, il Qatar voleva dimostrare che la repubblica siriana, lungi dal servire l’interesse generale, disprezzava il popolo. La petro-dittatura ha allora trasmesso sulla sua catena televisiva “Al-Jazeera” la leggenda dei bambini di Deraa, torturati dalla polizia. Per illustrare la crudeltà del suo avversario, il Qatar precisava che erano state loro strappate le unghie. Naturalmente, nonostante le proprie ricerche, nessun giornalista ha trovato traccia alcuna di questi bambini. La “Bbc” ha pur trasmesso l’intervista con due di loro, ma avevano ancora le unghie. Siccome il mito era inverificabile, il Qatar ha poi lanciato una nuova storia: quella di un bambino, Hamza Ali Al-Khateeb (13 anni), che sarebbe stato torturato e castrato dalla polizia del “regime”. Questa volta si disponeva un’immagine probante. Tutti potevano vedere un corpo senza sesso. Peccato: l’autopsia dimostrava che il corpo era stato conservato male, che si era fermentato e gonfiato. Il ventre nascondeva il sesso del bambino, che stava ancora lì.Alla fine del 2013, i britannici si son fatti carico della guerra di propaganda. Dispongono di una lunga esperienza in questo campo e sono considerati gli inventori della propaganda moderna, durante la Prima Guerra Mondiale, con l’Ufficio della propaganda di guerra. Una delle caratteristiche dei loro metodi consiste nel ricorrere sempre agli artisti, perché l’estetica neutralizza lo spirito critico. Nel 1914, reclutarono i grandi scrittori dell’epoca – come Arthur Conan Doyle, HG Wells o Rudyard Kipling – per pubblicare testi che attribuissero dei crimini immaginari al nemico tedesco. Poi, reclutarono i proprietari dei loro principali giornali affinché riprendessero le informazioni immaginarie dei loro scrittori. Quando gli statunitensi ripresero il metodo britannico nel 1917 con il Comitato dell’Informazione Pubblica, studiarono più precisamente i meccanismi di persuasione, con l’aiuto di una star del giornalismo come Walter Lippmann e dell’inventore della moderna pubblicità, Edward Bernays (il nipote di Sigmund Freud). Ma, persuasi dal potere della scienza, si scordarono l’estetica.All’inizio del 2014, l’Mi6 britannico ha creato la società Innovative Communications & Strategies (InCoStrat) [Comunicazione e strategie innovative] a cui dobbiamo per esempio i magnifici loghi dei gruppi armati, dal più “moderato” al più “estremista”. Questa società, che ha uffici a Washington e a Istanbul, ha organizzato la campagna per convincere gli europei a raccogliere 1 milione di profughi. Ha realizzato la fotografia del giovane Aylan Kurdi, annegato su una spiaggia turca, ed è riuscita in appena due giorni a farla riprendere unanimemente dai principali quotidiani atlantisti in tutti i paesi della Nato e del Consiglio di cooperazione del Golfo. Ogni anno, prima della guerra, un centinaio di persone morivano annegate sulle spiagge turche, me nessuno ne parlava. E soprattutto, solo i giornali scandalistici mostravano cadaveri. Ma quella fotografia era così ben fatta … Così come avevo fatto notare che un corpo non può essere rigettato dal mare perpendicolarmente alle onde, il fotografo ha in seguito spiegato di aver spostato il cadavere per le esigenze della fotografia.La foto del piccolo Omran Daqneesh (5 anni), in un’ambulanza di Aleppo-Est è dunque accompagnata da un video. I due supporti visivi consentono di raggiungere sia la stampa scritta sia le televisioni. La scena è così drammatica che una presentatrice della “Cnn” non ha potuto impedirsi di piangere, nel vederla. Naturalmente, una volta che si riflette, il bambino non è preso in carico da soccorritori che gli prestino primi soccorsi, bensì da dei figuranti (i cosuddetti “White Helmets”, caschi bianchi) che lo fanno adagiare di fronte all’obiettivo. Gli sceneggiatori britannici fanno del bambino solo quel che loro interessa per realizzare le proprie immagini. Secondo la “Associated Press”, la fotografia è stata scattata da Mahmud Raslan, che si vede anche nel video. Tuttavia, secondo il suo account di Facebook, Raslan risulta essere membro di Harakat Nur al-Din al-Zenki (gruppo sostenuto dalla Cia, che gli ha fornito missili anticarro Bgm-71 Tow). Sempre secondo il suo account di Facebook, confermato da un altro video, è stato lui personalmente – il 19 luglio 2016 – a sgozzare un bambino palestinese, Abdullah Tayseer Al Issa (12 anni). Tuttavia Mahmud Raslan non ha tenuto il coltello del carnefice, ma con Umar Salkho ha condannato a morte Abdullah Tayseer al-Issa e ha organizzato la sua esecuzione pubblica. Le leggi europee disciplinano rigorosamente il ruolo dei bambini nella pubblicità. Evidentemente, non si applicano alla propaganda di guerra.(Thierry Meyssan, “Per Londra, la propaganda è un’arte”, da “Megachip” del 22 agosto 2016).Come tutte le guerre, quella contro la Siria dà luogo a una valanga di propaganda. E l’argomento dei bambini è sempre in auge. Così, all’inizio della guerra, il Qatar voleva dimostrare che la repubblica siriana, lungi dal servire l’interesse generale, disprezzava il popolo. La petro-dittatura ha allora trasmesso sulla sua catena televisiva “Al-Jazeera” la leggenda dei bambini di Deraa, torturati dalla polizia. Per illustrare la crudeltà del suo avversario, il Qatar precisava che erano state loro strappate le unghie. Naturalmente, nonostante le proprie ricerche, nessun giornalista ha trovato traccia alcuna di questi bambini. La “Bbc” ha pur trasmesso l’intervista con due di loro, ma avevano ancora le unghie. Siccome il mito era inverificabile, il Qatar ha poi lanciato una nuova storia: quella di un bambino, Hamza Ali Al-Khateeb (13 anni), che sarebbe stato torturato e castrato dalla polizia del “regime”. Questa volta si disponeva un’immagine probante. Tutti potevano vedere un corpo senza sesso. Peccato: l’autopsia dimostrava che il corpo era stato conservato male, che si era fermentato e gonfiato. Il ventre nascondeva il sesso del bambino, che stava ancora lì.
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Terrore e media: è nato il nuovo business della strage
«E’ nata una formidabile alleanza tra due conglomerati, quello della morte e quello dei media, che porta enormi profitti a entrambi». Lo sostiene Mauro Baldrati su “Carmilla online”, dopo la proliferazione di “terroristi fai-da-te” e presunti “lupi solitari”, che uccidono in varie parti del mondo prima di essere uccisi o di farsi saltare in aria. Pagine intere sui giornali, sterminate dirette televisive. E immagini-fiume: guerriglieri che agitano Kalashnikov e coltelli «forse sognando di decapitare qualcuno perché, ci informano i soliti media, le liste d’attesa dell’Isis sono piene di aspiranti tagliatori di teste». Frasi a effetto e video virali sui social, «come quel ragazzo di 17 anni che voleva “scannare” tutti i tedeschi, o l’omicida-suicida di Monaco, 18 anni, in cerca, pare, di riscatto e di gloria». L’episodio di Nizza, scrive Baldrati, ha scatenato «le menti febbricitanti dei giornalisti, dei ragazzi solitari che sognano la catarsi finale, in un bagno di sangue, e dei manager della multinazionale della morte». Secondo l’analista, «quella del terrore è un’impresa efficiente, un conglomerato che possiede tutti i moderni requisiti aziendali».Un network che dispone di finanziatori, sponsor, «un’organizzazione che si decentra a seconda della necessità», contando anche su reclutatori e corsi di formazione debitamente finanziati. «Se a qualcuno, sentendo parlare di “azienda” che produce terrore e morte, viene un sorriso amaro pensando a un macabro scherzo – scrive Baldrati – invitiamo a considerare la seguente, semplice riflessione: la morte – l’omicidio – non è un semplice incidente, ma è prevista nelle strategie aziendali. Spesso come effetto collaterale, ma anche come elemento strutturale della produzione». I manager di molte imprese «erano perfettamente a conoscenza, da decenni, degli effetti cancerogeni dell’amianto, eppure hanno continuato a sottoporre i lavoratori alle polveri, con premeditazione». Risultato: «Ogni anno in Italia muoiono dalle 3 alle 4.000 persone per l’amianto». E la giustizia? «Qualcuno, dopo lunghissimi processi, subisce una specie di condanna, che tuttavia non sconterà mai». A questo si aggiunge la delocalizzazione di molte imprese italiane, che ha creato povertà e disperazione e inoltre «genera sfruttamento nei paesi ospiti, e morti: sul lavoro, per la prevenzione inesistente, per le condizioni, le malattie».Tutti ricordiamo come a Dacca il crollo di un capannone ha causato la morte di 380 operai tessili, aggiunge Baldrati. Poi ci sono i morti per incidenti sul lavoro, che in Italia sono circa tre al giorno. «Ma il conglomerato della morte, come tutte le grandi aziende, ha un altro importante requisito: la pubblicità e il marketing». Sfruttando Internet, veicola filmati autoprodotti che rappresentano decapitazioni, torture e «omelie deliranti dei predicatori della strage». Tutte immagini che fanno il giro del mondo, «suscitando orrore, ma anche voyeurismo macabro, nonché una preziosa esaltazione di menti disturbate, giovani sparsi per il pianeta che accumulano rabbia, frustrazione, odio, per la loro condizione di emarginati in un mondo che considerano ostile». Giovani che «cercano di raggiungere i centri di addestramento, per combattere come “soldati” di una guerra senza fine, alcuni diventando kamikaze ansiosi di assassinare decine di persone prima di farsi saltare in aria o di essere abbattuti». Baldrati parla di una “sindrome di imitazione” che si traduce in una sorta di riscatto finale preparato con cura, con l’ausilio di psicologi-predicatori che usano la religione per introdurre nelle loro menti un pensiero unico che prevede lo sterminio di tutti gli “impuri”.Secondo l’analista, è forse questo l’aspetto più interessante dell’attività del “conglomerato della morte”: la natura e l’intensità del marketing, che non ha eguali in nessuna parte del mondo. «Ha una straordinaria potenza dirompente, e una diffusione capillare che tutti gli altri operatori ammirano. E invidiano, perché ha una caratteristica unica: è completamente gratuito. I titolari delle aziende – di qualsiasi produzione si occupino – spendono milioni di euro o di dollari per pagine pubblicitarie, o spot di pochi secondi. Invece questi assassini specializzati hanno sei pagine di giornale e servizi di ore e ore sulle maggiori televisioni. Gratis. Sempre». Così, gli aggressori proliferano. «E i manager della strage sono pronti a farne “cosa loro”, capitalizzandone l’operato, anche se non li hanno mai sentiti nominare. Generano comunque senso di minaccia, ansia, terrore, che è la materia prima della produzione aziendale. Soprattutto è manovalanza gratuita, che deriva da un marketing gigantesco, persuasivo, altrettanto gratuito». Il problema ovviamente non è la produzione di notizie, ma l’ossessiva spettacolarizzazione, «indugiando su dettagli che si giustificano solo con la propagazione di un gossip mortifero che ha l’unico fine di stimolare le menti già scosse dei lettori/spettatori». Terrore e media: il nuovo business del “conglomerato della morte”.«E’ nata una formidabile alleanza tra due conglomerati, quello della morte e quello dei media, che porta enormi profitti a entrambi». Lo sostiene Mauro Baldrati su “Carmilla online”, dopo la proliferazione di “terroristi fai-da-te” e presunti “lupi solitari”, che uccidono in varie parti del mondo prima di essere uccisi o di farsi saltare in aria. Pagine intere sui giornali, sterminate dirette televisive. E immagini-fiume: guerriglieri che agitano Kalashnikov e coltelli «forse sognando di decapitare qualcuno perché, ci informano i soliti media, le liste d’attesa dell’Isis sono piene di aspiranti tagliatori di teste». Frasi a effetto e video virali sui social, «come quel ragazzo di 17 anni che voleva “scannare” tutti i tedeschi, o l’omicida-suicida di Monaco, 18 anni, in cerca, pare, di riscatto e di gloria». L’episodio di Nizza, scrive Baldrati, ha scatenato «le menti febbricitanti dei giornalisti, dei ragazzi solitari che sognano la catarsi finale, in un bagno di sangue, e dei manager della multinazionale della morte». Secondo l’analista, «quella del terrore è un’impresa efficiente, un conglomerato che possiede tutti i moderni requisiti aziendali».
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Trump Show. In alternativa, la sinistra venduta alle banche
Dopo l’estate dell’umiliazione greca è arrivato l’autunno della migrazione respinta poi l’inverno della disgregazione europea e infine la primavera di Donald Trump. Non so se Trump vincerà le elezioni di novembre, non lo credo, anche se i sondaggi cominciano a dargli un vantaggio su Hillary Clinton. La sua ascesa trionfale va comunque interpretata. Partiamo da lontano. Agli operai tedeschi affamati e umiliati dall’aggressione finanziaria anglo-francese, Hitler disse: non siete operai sfruttati, ma ariani vincitori. Il nazionalsocialismo nacque da questo cambio di prospettiva. Non intendo dire che stia per ripresentarsi lo scenario degli anni ’30 (anche perché oggi le dimensioni di potenza sono ingigantite), ma intendo dire che la dinamica che portò il nazionalsocialismo al potere si ripresenta. Si ripresenta in contemporanea con un’esplosione dell’ordine che il bacino mediterraneo ha ereditato dal colonialismo. La coincidenza di stagnazione, impoverimento della classe operaia bianca euro-americana e deflagrazione dell’ordine geopolitico produce una forma inedita di nazionalismo aggressivo della razza bianca.La soggettività che si rappresenta in Trump, come nelle forze montanti della destra europea, è l’identità bianca che reagisce disperatamente al suo declino economico, demografico e geopolitico. Lo scenario rischia di divenire terrificante. Il 5 maggio, alle domande dei giornalisti sul trionfo di Trump alle primarie repubblicane, Obama ha risposto con la sua ironia intelligente di politico dell’età moderna: «Non stiamo parlando di entertainment, questo non è un reality show, è una gara per la presidenza degli Stati Uniti». Purtroppo Obama sbaglia, perché i confini tra politica e reality show non sono più quelli che conosceva la ragion politica moderna. La gara per la presidenza degli Stati Uniti è un reality show, e Obama è un personaggio dello show di cui Trump tende a diventare il regista.Gli italiani, che in fatto di anticipazione del potere autoritario hanno una lunga esperienza, hanno imparato a loro spese la lezione. Berlusconi si presentò con una campagna pubblicitaria fondata su due parole di origine calcistica: Forza Italia. I politici risposero che mica si trattava di entertainment, la politica non è uno spot pubblicitario. Il 27 marzo del 1994 Forza Italia vinse le elezioni e i confini della politica furono per sempre ridefiniti. I politici tradizionali pensano che la politica sia il discorso onnicomprensivo, e la pubblicità una dimensione discorsiva particolare. Berlusconi mostrò che la politica è divenuta una sottosfera, che dipende da una sfera pubblica mediatizzata. Il trionfo di Trump è politicamente inspiegabile perché coloro che sono andati a votare alle primarie e che andranno probabilmente a votare a novembre non appartengono al discorso politico ma alla media-sfera del reality show. Per questo molta più gente va a votare, e quella gente sa di trovarsi entro un reality show.Durante il suo viaggio asiatico, per rassicurare gli alleati giapponesi e riferendosi a opinioni espresse da Trump, Obama ha detto che «la persona che ha espresso queste opinioni non sa molto di politica estera o di politica nucleare e neppure del mondo in generale». Naturalmente Obama ha perfettamente ragione: Trump è totalmente ignorante sullo specifico storico, economico e antropologico delle questioni su cui si esprime. Ma quel che Obama sembra non (voler) capire è che l’ignoranza non è affatto un ostacolo sulla strada del potere contemporaneo. Gli americani hanno votato (due volte) un tizio che credeva che i Talebani fossero un gruppo rock prima di scoprire che volavano nel cielo americano in direzione delle torri di Manhattan. Quel tizio ha cambiato la storia del mondo iniziando una guerra infinita. Ciò che dobbiamo capire è che l’ignoranza è una potenza gigantesca, quando è guidata da umiliazione e disperazione.Le politiche neoliberiste hanno portato alla disperazione la grande maggioranza dei lavoratori bianchi occidentali. Questi non vogliono più sentirsi dire che sono operai sfruttati, da quando la sinistra si è messa al servizio delle banche. Come nel 1933 gli operai tedeschi votarono per chi li incitava a sentirsi bianchi ariani e purissimi, e indicava gli ebrei e i rom come nemici mortali – così oggi gli operai dell’Euro-America vogliono sentirsi dire quel che gli dicono Trump, Le Pen, Kazinski, Orban, Putin e Boris Johnson. Vogliono sentirsi dire che sono la razza superiore, e che per questo vinceranno chiudendo i migranti in un gulag di campi di concentramento diffusi lungo le coste sud. Oggi siamo tutti contenti perché in Austria i nazisti sono solo il 49.7%. E intanto l’agenzia finanziaria Morgan Stanley suggerisce ai governi europei di cambiare le loro leggi per rendere possibile una pieno funzionamento del mercato globale. Merkel Hollande, Renzi e Napolitano corrono ad eseguire il diktat delle banche. Aprono la strada al peggio. Lo sanno?(Franco “Bifo” Berardi, “Perché seduce il Trump Show”, da “Micromega” del 26 maggio 2016).Dopo l’estate dell’umiliazione greca è arrivato l’autunno della migrazione respinta poi l’inverno della disgregazione europea e infine la primavera di Donald Trump. Non so se Trump vincerà le elezioni di novembre, non lo credo, anche se i sondaggi cominciano a dargli un vantaggio su Hillary Clinton. La sua ascesa trionfale va comunque interpretata. Partiamo da lontano. Agli operai tedeschi affamati e umiliati dall’aggressione finanziaria anglo-francese, Hitler disse: non siete operai sfruttati, ma ariani vincitori. Il nazionalsocialismo nacque da questo cambio di prospettiva. Non intendo dire che stia per ripresentarsi lo scenario degli anni ’30 (anche perché oggi le dimensioni di potenza sono ingigantite), ma intendo dire che la dinamica che portò il nazionalsocialismo al potere si ripresenta. Si ripresenta in contemporanea con un’esplosione dell’ordine che il bacino mediterraneo ha ereditato dal colonialismo. La coincidenza di stagnazione, impoverimento della classe operaia bianca euro-americana e deflagrazione dell’ordine geopolitico produce una forma inedita di nazionalismo aggressivo della razza bianca.
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Daily Mail: troppe medicine inutili e letali, migliaia i morti
L’ex medico personale della Regina ha chiesto che si faccia con urgenza un’inchiesta pubblica sulle “oscure” pratiche delle aziende farmaceutiche. Sir Richard Thompson, ex presidente del Royal College of Physicians, nonché medico personale della Regina per 21 anni, ha avvertito che molti farmaci potrebbero essere meno efficaci di quanto si pensi. Thompson è membro di un gruppo di sei noti medici che oggi hanno messo in guardia sull’influenza che le case farmaceutiche hanno nella prescrizione dei medicinali. Gli esperti, guidati dal cardiologo Aseem Malhotra, del sistema sanitario nazionale, sostengono che troppo spesso ai pazienti vengono date medicine inutili – e talvolta dannose – di cui possono fare a meno. Affermano che le case farmaceutiche sviluppano medicinali da cui trarre profitto più che medicinali che abbiano effettivamente il maggiore beneficio per i pazienti. I sei medici accusano inoltre il sistema sanitario nazionale per la sua incapacità di opporsi ai giganti dell’industria farmaceutica.«È venuto il tempo di fare un’inchiesta pubblica che sia ampia e trasparente sul modo in cui viene rilevata la reale efficacia dei medicinali», ha detto Thompson. «C’è il concreto pericolo che alcuni trattamenti farmaceutici siano molto meno efficaci di quanto si pensasse finora». Il medico ha aggiunto che questa campagna mette in luce «la base debole, e talvolta oscura, del modo in cui si valuta l’efficacia e l’uso dei medicinali, specialmente nel caso degli anziani». Scrivendo al “MailOnLine”, il dottor Malhotra ha detto che il conflitto d’interessi commerciale sta contribuendo a «un’epidemia di medici e pazienti disinformati e fuorviati, nel Regno Unito e non solo». Ha aggiunto anche che il sistema sanitario nazionale nel suo complesso sta somministrando un’eccessiva quantità di farmaci ai suoi pazienti, e che gli effetti collaterali dell’eccesso di medicine stiano causando una quantità innumerevole di morti.Malhotra sostiene inoltre che studi empirici sulle statine – farmaci contro il colesterolo somministrati a milioni di persone – non sono mai stati pubblicati, e che simili dubbi sorgono anche sul Tamiflu, un farmaco che è costato al sistema sanitario nazionale quasi 500 milioni di sterline. Il gruppo dei sei medici ha chiesto di essere convocato presso la Commissione parlamentare per l’audizione pubblica al fine di svolgere un’inchiesta indipendente sulla sicurezza delle medicine. Affermano che i finanziamenti pubblici vengono spesso forniti alla ricerca medica sulla base del fatto che questa potrà essere redditizia, non sul fatto che sarà utile ai pazienti. «Non c’è dubbio che alla base dell’assistenza sanitaria ci sia una cultura del tipo ‘più medicine è meglio’, il che è esacerbato dagli incentivi finanziari all’interno del sistema stesso, che portano a prescrivere sempre più farmaci e a mettere in atto sempre più procedure mediche», afferma il dottor Malhotra. «Ma c’è anche un altro inquietante ostacolo alla crescita di consapevolezza su – e dunque alla risoluzione di – questi problemi, ed è qualcosa di cui tutti dovremmo essere preoccupati. Si tratta dell’informazione che viene fornita ai medici e ai pazienti al fine di guidare le decisioni sul trattamento».Malhotra ha accusato le aziende farmaceutiche di «ingannare il sistema» spendendo in pubblicità e marketing il doppio di quanto spendano in ricerca medica. Ha dichiarato inoltre che la prescrizione di farmaci fa spesso più male che bene, e i rischi maggiori li sopportano gli anziani. Un ricovero ospedaliero su tre negli over-75 è dovuto alla reazione avversa a un farmaco, ha detto. Oltre che da Richard Thompson, il dottor Malhotra è sostenuto anche dal professor John Ashton, presidente della Facoltà di Scienze della Salute, dallo psichiatra J.S. Bamrah, presidente della British Association of Psysicians of Indian Origin, dal cardiologo Rita Redberg, editore della rivista medica “Jama Internal Medicine”, e infine dal professor James McCormack, scienziato farmaceutico. Il dottor Malhotra, che ha lanciato la campagna a titolo personale, è capo del think-tank per la salute del King’s Fund, membro dell’Academy of Medical Royal Colleges, e consigliere del Forum Nazionale sull’Obesità. Le sue critiche si rivolgono in particolare alla recente drammatica crescita delle prescrizioni di statine. Nice – l’ente del sistema sanitario nazionale deputato al razionamento dei farmaci – nel 2014 ha deciso di abbassare la soglia per la prescrizione di statine in modo da incoraggiare i medici a prescriverle a più persone.È poi emerso che sei dei dodici membri della commissione ricevevano finanziamenti da case farmaceutiche – in parte tramite pagamenti diretti in cambio di “consulenze” o seminari, e in parte tramite fondi di ricerca. Il dottor Malhotra sostiene che uno studio completo e definitivo sull’efficacia delle statine e sui loro effetti collaterali non è mai stato pubblicato. Lo stesso dice dell’efficacia del Tamiflu, un farmaco contro l’influenza per il quale il sistema sanitario ha già pagato 473 milioni di sterline. Un resoconto del 2014 di un gruppo di noti ricercatori ha concluso che il Tamiflu non risultava maggiormente efficace del comune paracetamolo [anche noto come Tachipirina, NdT].Il dottor Malhotra cita anche un’indagine della rivista medica “Bmj”, che all’inizio del mese ha suggerito che Rivaroxaban, importante farmaco anticoagulante, non è così sicuro e privo di rischi come gli studi pubblicati suggerivano, per quanto le autorità difendano l’uso del farmaco. Scrive: «Per amore della nostra futura salute e della sostenibilità del sistema sanitario nazionale, è tempo che si metta in campo una vera azione collettiva contro l’eccesso di medicine, iniziando dalla Commissione parlamentare per l’audizione pubblica, affinché lanci un’inchiesta indipendente sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci». Aggiunge il professor Ashton: «La salute pubblica dipende da un’ampia e accurata base di evidenza empirica che tenga conto anche della convenienza, al fine di garantire che vengano prese decisioni in base alla migliore ricerca disponibile, decisioni finalizzate a migliorare e proteggere la salute delle persone, nonché a stabilire nel modo migliore quale sia la priorità della cura per ciascun paziente».(Anna Hodgekiss e Ben Spencer, articolo apparso sul “Daily Mail” del 23 febbraio 2016, tradotto e ripreso da “Luogo Comune”: “Big Pharma sta uccidendo decide di migliaia di persone nel mondo”).L’ex medico personale della Regina ha chiesto che si faccia con urgenza un’inchiesta pubblica sulle “oscure” pratiche delle aziende farmaceutiche. Sir Richard Thompson, ex presidente del Royal College of Physicians, nonché medico personale della Regina per 21 anni, ha avvertito che molti farmaci potrebbero essere meno efficaci di quanto si pensi. Thompson è membro di un gruppo di sei noti medici che oggi hanno messo in guardia sull’influenza che le case farmaceutiche hanno nella prescrizione dei medicinali. Gli esperti, guidati dal cardiologo Aseem Malhotra, del sistema sanitario nazionale, sostengono che troppo spesso ai pazienti vengono date medicine inutili – e talvolta dannose – di cui possono fare a meno. Affermano che le case farmaceutiche sviluppano medicinali da cui trarre profitto più che medicinali che abbiano effettivamente il maggiore beneficio per i pazienti. I sei medici accusano inoltre il sistema sanitario nazionale per la sua incapacità di opporsi ai giganti dell’industria farmaceutica.
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Stampa-Repubblica, pensiero unico in guerra contro di noi
La sinistra comprata all’asta per smantellare i suoi valori e correre fra le braccia del business euro-atlantico. Pensiero unico, ora anche grazie al futuro super-giornale unico, la fabbrica centralizzata di “notizie” che usciranno dal matrimonio tra Fiat e De Benedetti, “Stampa” e “Gruppo Espresso”: con 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di affezionati utenti del web e 750 milioni di ricavi annuali, «il nuovo colosso potrà assicurarsi il controllo essenziale sulle menti di una decisiva fetta di “decision makers”, assicurandosi inoltre una fetta assolutamente maggioritaria degli afflussi pubblicitari», sostiene Giulietto Chiesa. La posta in palio? Cementare ancora di più il consenso, che è sempre di più «la componente essenziale del grande business di convincere le grandi masse ad essere spennate dal potere». In controluce, si vede «una riformattazione dell’élite dirigente del paese», che archivi in soffitta le frange “superate dagli eventi”, quelle che “si attardano” sulla sovranità nazionale, sugli interessi dell’Italia, e che dunque «non vogliono il conflitto con la Russia».In una nota su “Sputink News”, Chiesa ricorda un recente passaggio dell’ex direttore di “Repubblica”, Ezio Mauro che evoca la “logica della Fiat”, ovvero «perdere quote di sovranità pur di acquisire quella forza e quella superficie che è la miglior difesa del business e del lavoro in tempi di crisi». Dove la “superficie” metaforica di cui si parla «non è solo quella della dimensione di scala italiana, ma è quella dell’Alleanza Atlantica nel suo insieme». Torino e Roma contro Milano e il Nord-est (e anche contro il Sud del paese). «Qui c’è una parte della verità che sta sotto il tappeto. Di cui la vittima cartacea è il povero Corriere della Sera (con la moribonda Rcs abbandonata dalla Fiat, che la lascia nelle mani di Diego della Valle). Ma questi sono dettagli secondari. Come dettagli secondari sono la permanenza dei giornali della destra più o meno berlusconiana, e del solitario “Il Fatto Quotidiano”. Non è con queste forze che si potrà contrastare la marcia trionfale dei corifei unici del pensiero unico».Conclude Chiesa: «Sale in cattedra, con le sue falangi, e con il coro dei canali Rai al completo, la squadra comunicativa che tirerà la voltata di Matteo Renzi per il referendum decisivo che deciderà l’abbandono (se gli riesce, e non è ancora detto) della Costituzione Repubblicana nel corso del 2016». È la stessa squadra che in questi ultimi trent’anni ha in sostanza imposto al paese la «mappa dei valori liberal-democratici» (ancora Ezio Mauro), «stimolando la sinistra a evolversi in questa direzione». Qui, sottolinea Chiesa, “Repubblica” ha giocato il ruolo decisivo, prendendo in mano l’ex Pci «per traghettarlo, armi e bagagli, da sinistra a destra e per mettere i suoi rimasugli, mescolati a quelli della Democrazia Cristiana, nelle mani di Matteo Renzi». Unica “pecca”, di questa parabola, «il non piccolo dettaglio che, lungo la strada discendente, i valori liberaldemocratici sono stati abbandonati da qualche parte sul ciglio. Per essere sostituiti dal business e dalla guerra (che di questo gruppo editoriale nascente sarà senza alcun dubbio la doppia bandiera)».Il maxi-accordo editoriale tra i grandi giornali è perfettamente in linea con la situazione editoriale degli Usa, dove secondo Paul Craig Roberts i maggiori network mediatici della superpotenza sono ormai nelle mani di 5-6 soggetti. Idem, in Italia, il risvolto librario, con l’analogo matrimonio fra Mondadori e Rizzoli, che aumenta l’isolamento (e la debolezza, sul mercato) delle voci indipendenti. In compenso, rilevano diversi analisti, una quota sempre più importante di opinione pubblica ha smesso di fidarsi dei media mainstream, televisivi e cartacei: nessuna persona avveduta e consapevole, secondo lo stesso Craig Roberts, è più disposta a prendere sul serio la narrazione mainstream, preferendo informarsi sui blog. Per Fausto Carotenuto, già operatore strategico dei servizi segreti italiani ora militante nel network “Coscienze in Rete” che produce controinformazione, il super-potere sa di aver perso irrimediabilmente la fiducia del 20-30% della popolazione. Per questo si concentra sulla parte restante, cercando il consenso per la guerra globale in corso: contro i cittadini (perdita di diritti e quote di sovranità) e contro il resto del mondo, devastato da crisi, conflitti e terrorismi pilotati.La sinistra comprata all’asta per smantellare i suoi valori e correre fra le braccia del business euro-atlantico. Pensiero unico, ora anche grazie al futuro super-giornale unico, la fabbrica centralizzata di “notizie” che usciranno dal matrimonio tra Fiat e De Benedetti, “Stampa” e “Gruppo Espresso”: con 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di affezionati utenti del web e 750 milioni di ricavi annuali, «il nuovo colosso potrà assicurarsi il controllo essenziale sulle menti di una decisiva fetta di “decision makers”, assicurandosi inoltre una fetta assolutamente maggioritaria degli afflussi pubblicitari», sostiene Giulietto Chiesa. La posta in palio? Cementare ancora di più il consenso, che è sempre di più «la componente essenziale del grande business di convincere le grandi masse ad essere spennate dal potere». In controluce, si vede «una riformattazione dell’élite dirigente del paese», che archivi in soffitta le frange “superate dagli eventi”, quelle che “si attardano” sulla sovranità nazionale, sugli interessi dell’Italia, e che dunque «non vogliono il conflitto con la Russia».
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Usa, elezioni e soldi: chi si compra il futuro presidente
Chi più spende, meno spende. Il totale farà 5 miliardi di dollari, e in palio c’è la Casa Bianca. A chi dovrà dire grazie, portafoglio alla mano, il futuro presidente? Per puntare sul cavallo vincente non si bada a spese: a questo punto della gara siamo già a quota 25 milioni di dollari, cioè 5 volte l’importo versato, nello stesso periodo, durante il ciclo elettorale del 2012. A fare i conti in tasca ai candidati è Jake Anderson, quando mancano dieci mesi al traguardo, fissato per l’8 novembre 2016. Se il denaro è (quasi) tutto, nelle presidenziali Usa, è saldamente al comando Jeb Bush con oltre 114 milioni finora raccolti. Staccatissima Hillary Clinton, a quota 45 milioni, eppure data per super-favorita nonostante l’enorme divario di budget. Un’incognita assoluta è rappresentata da Donald Trump: dichiara che spenderà 100 milioni ma tutti suoi, senza richiedere un dollaro né ai cittadini né alle lobby che scommettono (e investono) sui concorrenti. Nelle immediate retrovie, intanto, tra i repubblicani si fanno largo Marco Rubio e Ted Cruz, con 30 milioni di dollari raccolti, seguiti dal democratico Bernie Sanders (26) e dal repubblicano Ben Carson (20). A seguire, altri 5 candidati, con un bilancio molto inferiore (tra il milione e mezzo e gli 11 milioni di dollari, per ora). Chi vincerà, il candidato migliore o quello più foraggiato?In un’analisi pubblicata da “The AntiMedia” e tradotta da “Come Don Chisciotte”, Anderson denuncia la pratica dilagante del ricorso ai “Super-Pac”, i nuovissimi “comitati di azione politica” costituiti da singoli, aziende e cartelli, con capacità di spesa praticamente illimitata e assolutamente non-trasparente: il candidato non è tenuto a tracciare pubblicamente il denaro ricevuto. «Inutile dire che si tratta di un’elezione in cui la maggior parte dei candidati sono alla ricerca di sostegno da parte dei donatori ricchi invece che dai cittadini che sarebbero chiamati a rappresentare», scrive Anderson. «Ci si sorprenderà nello scoprire chi è stato a donare soldi per il vostro candidato, e come tale contributo possa influenzare le posizioni politiche future». Guida la classifica Jeb Bush, che i sondaggi danno in calo perché “troppo moderato” per gli elettori repubblicani. L’ultimo rampollo della famigerata dinastia presidenziale super-guerrafondaia ha incassato 161 milioni di dollari dalla Golman Sachs, 65 da Neuberger Berman Llc, quasi 44 da Bank of America, 41,5 da Citigroup e quasi 40 da Tenet Healthcare.Secondo i reporter investigativi della Florida, per sostenere Jeb Bush si stanno attivando «signori texani del petrolio, banchieri d’investimento di New York, titolari di aziende sanitarie di Miami e perfino tre ex ambasciatori – due dei quali hanno servito sotto il fratello, l’ex presidente George W. Bush». Totale, 25 contributi da 1 milione di dollari ciascuno. Tre milioni invece sono arrivati da Mike Fernandez, miliardario cubano-americano fondatore di Coral Gables Mbf Healthcare Partners. Poi c’è Hushang Ansary, ambasciatore iraniano negli Stati Uniti dal 1967 al 1969, quindi Richard Kinder, boss della società di oleodotti e gasdotti Kinder Morgan. E Alfred Hoffman, ambasciatore statunitense in Portogallo dal 2005 al 2007, fondatore in Florida della società immobiliare Wci Community. Quindi NextEra Energy, società madre della Florida Power & Light, che fornisce il servizio elettrico a quasi la metà dello Stato. E Julian Robertson Jr., di New York, manager di fondi d’investimento (patrimonio personale di 3,4 miliardi, «ha fatto la sua fortuna investendo in campi da golf e vigneti in Nuova Zelanda»).A parte il corposo sostegno a Jeb, Wall Street pare schierata massicciamente dalla parte di Hillary, finora sempre sostenuta da Citigroup, Goldman Sachs, Dla Piper, Jp Morgan e Morgan Stanley. «Molti dicono che tali alleanze irrevocabilmente la incatenino a suddette istituzioni, rendendola incapace di regnare sopra la corruzione finanziaria di Wall Street», scrive Anderson. Tra gli attuali finanziatori figurano anche Morgan & Morgan, Sullivan & Cromwell, Akin, Gump, Yale University, Latham & Watkins. «E’ anche importante sottolineare che lo studio legale lobbista Akin, Gump, Strauss, Hauer & Feld, che impiega molti dipendenti di Hillary, ha preso le donazioni da due dei più grandi imprenditori delle carceri private, Corrections Corporation of America e Geo Group, con tasse incluse, per un totale di quasi 300.000 dollari». Si chiama “Priority Usa Action” il nuovissimo “Super-Pac” creato per sostenere la Clinton: 25 milioni di dollari in soli tre mesi. I più importanti super-donatori Pac sono George Soros e Steven Spielberg, ma la lista comprende 31 singoli donatori che hanno contribuito più di 200.000 dollari ciascuno. I progressisti contestano alla Clinton il ricorso ai miliardari, ma i sostenitori replicano che non c’è altra strada. Di recente, Hillary ha fatto notizia «abbracciando una tattica per rivelare pubblicamente – cosa che la nuova legge non richiede – i grandi donatori aziendali».Il terzo incomodo, Donald Trump, fa gara a sé: ha ribadito che sarà l’unico finanziatore della sua campagna elettorale e non accetterà donazioni. Secondo “Forbes”, il suo patrimonio ammonta a 4,5 miliardi. Trump assicura che si priverà di 100 milioni per auto-finanziarsi la campagna. Dovrà vedersela innanzitutto col super-finanziato Jeb Bush e gli altri due grandi sfidanti delle primarie, Marco Rubio e Ted Cruz, i cui cognomi ammiccano direttamente all’elettorato “latino”. Sostenuto dai “cubani”, Rubio ha finora raccolto quasi 32 milioni di dollari. Deve ringraziare Goldman Sachs, Steward Health Care, Titan Farms, Florida Cristalli e Oracle. Tra i supporter anche il miliardario Norman Braman e Laura Perlmutter, moglie di Isacco Perlmutter, Ceo di Marvel Entertainment. «La campagna gestita da Rubio è anche dotata di una notevole quantità di “denaro oscuro”», racconta Anderson. «La fonte è una norma su fondi senza scopo di lucro denominata Soluzioni Progettuali Conservatrici, che ha raccolto 15,8 milioni di dollari. Il no-profit, che naturalmente non è tenuto a rivelare i suoi donatori, ha lanciato una massiccia campagna pubblicitaria per attaccare l’accordo coll’Iran del presidente Obama».Altro outsider temibile, anche Ted Cruz ha contestato a Obama l’accordo con l’Iran. In più, si batte per tagliare i fondi a “Planned Parenthood”, i pro-abortisti ufficiali. Tra i suoi sponsor figurano la banca nazionale Woodforest, Morgan Lewis Llp, poi Gibson, Dunn & Crutcher, Pachulski e Stang, la Jennmar Corporation. «La campagna di Ted Cruz ha in realtà quattro “Super-Pac”, tutti finanziati da Robert Mercer, un magnate di Long Island (fondi d’investimento), negazionista del cambiamento climatico», spiega Anderson. «Insieme, hanno raccolto 31 milioni nelle prime quattro settimane della sua campagna». Hanno contribuito la rete politica dei fratelli Koch nonché i miliardari Farris e Dan Wilks, che devono la loro ricchezza al boom del fracking in Texas. Si rivolge invece agli elettori afroamericani il neurochirurgo Ben Carson, l’uomo nuovo dei repubblicani: «Ha sorpreso tutti suggerendo che se George W. Bush avesse iniziato un abbandono del petrolio sulla scia dell’11 Settembre, prendendo l’iniziativa diplomatica piuttosto che quella degli attacchi militari, la nazione poteva essersi evitata una guerra incredibilmente costosa contro il terrore».Con i suoi numeri da sondaggio in aumento, scrive Anderson, molti esperti si chiedono ora se Carson possa essere sfruttato come vicepresidente (di Jeb Bush, ovviamente). Carson è sostenuto da Coca-Cola, West Coast Venture Capital, Trailiner Corp, Ankom Tecnologia, Jea Senior Living. Il “dark money” proviene da “OneVote”, un “Super-Pac” guidato dallo stratega repubblicano Andy Yates, e da un altro cartello, “Run Ben Run”. Recentemente, Carson «ha raddoppiato la retorica anti-musulmana, che sembra aver portato le sue cifre raccolte ancora più in alto, innalzandole a 20 milioni in questo trimestre». Zero trasparenza sui fondi, ma non mancano informazioni indicative: pare che l’84% dei finanziamenti provenga da una folla di micro-donatori, assegni sotto i 500 dollari. Molto differenziato – ed estramamente “etico”, se paragonato agli altri – è il finanziamento di Bernie Sanders, l’unico democratico finora sceso in campo contro la Clinton. Socialista, capace di infiammare i progressisti, è finanziato quasi solo da sindacati, lavoratori, associazioni di categoria. Gli scettici temono che, come Obama, non avrebbe i muscoli necessari a opporsi al vero potere, Wall Street e il complesso militare-industriale.Oltre al libertario indipendente Rand Paul, con appena 3 milioni di dollari in tasca (e quindi ritenuto in procinto di abbandonare la gara), nelle retrovie repubblicane si muovo candidati minori, ancora in corsa, come Chris Christie, data all’1% nei sondaggi eppure forte di un budget di 11 milioni di dollari. Tra i suoi sostenitori figura la Winecup-Gamble, società del Nevada di proprietà dell’ex Ceo di Reebok, Paul Fireman, che ha dato al gruppo un milione di dollari. «Fireman, che vive vicino Boston, prevede un fantasmagorico profitto di 4,6 miliardi dai casinò a Jersey City se gli elettori dello Stato approveranno un emendamento costituzionale per permettere il gioco d’azzardo anche fuori Atlantic City». Altri supporter di Chris Christie sono Stephen Wynn, magnate dei casinò di Las Vegas, Steve Cohen (maganer di hedge funds), l’imperatrice del wrestlig Linda McMahon e la numero uno di Hewlett-Packard, Meg Whitman. Stesso budget (11 milioni) per John Kasich, governatore dell’Ohio, mentre è più povero il portafoglio di Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas (3 milioni), così come quello di Carly Fiorina (1,6 milioni); presidente di Hp ed esponente dell’ultra-destra, la Fiorina è sostenuta dall’ex finanziere d’assalto Tom Perkins nonché da vari campioni della Silicon Valley, come Paul Otellini (già Intel) e Jerry Perenchio (ex Ceo di Univision).«Come potete vedere – conclude Jake Anderson – le elezioni presidenziali 2016 sono, per la maggior parte, una guerra tra donatori aziendali a tutto campo». Secondo l’analista, è importante ricordare che molti di questi “totali” sono già obsoleti, giacchè i team dei candidati possono strategicamente nascondere le quantità donate, grazie alle nuove disposizioni di legge per proteggere la raccolta fondi da qualsiasi legittima curiosità. «Insomma, noi non conosciamo la reale portata del “denaro oscuro”», derivante dal cosiddetto “non profit” e da associazioni imprenditoriali. «Quello che sappiamo è che questa sarà l’elezione più costosa della storia. I fratelli Koch da soli hanno un budget di 889 milioni di dollari. Una volta aggiunto alla spesa prevista dai democratici e dai repubblicani, stiamo parlando di un ticket totale di circa 5 miliardi di dollari».Chi più spende, meno spende. Il totale farà 5 miliardi di dollari, e in palio c’è la Casa Bianca. A chi dovrà dire grazie, portafoglio alla mano, il futuro presidente? Per puntare sul cavallo vincente non si bada a spese: a questo punto della gara siamo già a quota 25 milioni di dollari, cioè 5 volte l’importo versato, nello stesso periodo, durante il ciclo elettorale del 2012. A fare i conti in tasca ai candidati è Jake Anderson, quando mancano dieci mesi al traguardo, fissato per l’8 novembre 2016. Se il denaro è (quasi) tutto, nelle presidenziali Usa, è saldamente al comando Jeb Bush con oltre 114 milioni finora raccolti. Staccatissima Hillary Clinton, a quota 45 milioni, eppure data per super-favorita nonostante l’enorme divario di budget. Un’incognita assoluta è rappresentata da Donald Trump: dichiara che spenderà 100 milioni ma tutti suoi, senza richiedere un dollaro né ai cittadini né alle lobby che scommettono (e investono) sui concorrenti. Nelle immediate retrovie, intanto, tra i repubblicani si fanno largo Marco Rubio e Ted Cruz, con 30 milioni di dollari raccolti, seguiti dal democratico Bernie Sanders (26) e dal repubblicano Ben Carson (20). A seguire, altri 5 candidati, con un bilancio molto inferiore (tra il milione e mezzo e gli 11 milioni di dollari, per ora). Chi vincerà, il candidato migliore o quello più foraggiato?
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Banche, truffa e ipocrisia. E i morti della strage per la crisi?
Immaginiamo che in una città siano stati tolti i limiti di velocità per le automobili, che siano stati aboliti gli stop agli incroci e messi sul giallo tutto i semafori e che, in nome della velocità di scorrimento del traffico, si diano premi agli automobilisti che corrono di più. In un tale ambiente di pazzi suonerebbe un poco ipocrita il compianto per le vittime degli inevitabili catastrofici incidenti stradali. È ipocrita allo stesso modo il compianto ufficiale per il povero pensionato che si è suicidato, perché derubato dei propri risparmi investiti in obbligazioni subordinate cancellate dal decreto salvabanche. L’ipocrisia per questo suicidio è doppia. In primo luogo perché sembra ignorare le centinaia di piccoli imprenditori, lavoratori, debitori che si sono uccisi in questi anni di crisi e di politiche di austerità. In Italia abbiamo statistiche per tutto, ma pare manchi un dato sulla strage per crisi economica e non è un caso.Si vuole far passare il massacro di persone che non hanno retto al disastro economico e alla precarizzazione delle loro vite e di quelle dei loro cari come una serie di casi individuali. Invece la strage per suicidio economico è un evento collettivo, è il prodotto di una politica frutto di precise scelte e responsabilità, che ne dovrebbero sopportare tutto il peso criminale. In secondo luogo è ipocrita far credere che il povero pensionato sia stato travolto da una scheggia impazzita del sistema. No, è tutto il sistema che è impazzito come la città folle di cui abbiamo scritto all’inizio. Pochi giorni fa il ministro Poletti ha spiegato che sarebbe ora di farla finita con gli orari di lavoro e che sarebbe giusto retribuire i dipendenti a prestazione. Il suo ragionamento, applicato a chi lavora per un istituto di credito, vorrebbe dire che un impiegato per mangiare dovrebbe vendere più obbligazioni insicure che può. E in realtà il sistema sta proprio andando in quella direzione.In questi anni i dipendenti degli istituti di credito son stati sottoposti alla cura della competitività estrema. Molti son stati licenziati e sostituiti con giovani precari e sottopagati. Il Jobs Act ha oliato tutto il nuovo meccanismo. Nelle retribuzione si riduce sempre più la paga fissa, quella che con 16 mensilità faceva del bancario il dipendente più invidiato, mentre si estende quella a cottimo. Cioè prendi i soldi se la tua banca fa tanti contratti speculativi e tu contribuisci con la tua opera al suo successo. Consiglio di leggere cosa scrive un lavoratore bancario, anonimo perché a dire la verità si rischia il posto, sul sito di “clashcityworkers”. I dipendenti delle banche sono soldati della guerra per il profitto e guai a loro se perdono un affare, se un risparmiatore viene preso dai dubbi e rinuncia ad investire i suoi soldi. E anche sui risparmiatori la pressione non è certo piccola.Avete visto le ultime pubblicità delle banche? Su “Radio24” addirittura sono i soldi che parlano e protestano con il loro proprietario perché li tiene congelati in un cassetto, versione neoliberale della parabola dei talenti. Cosa volete che faccia, il pensionato, quando un sorridente impiegato gli sottopone un contratto di 50 pagine in più copie scritte in piccolo piccolo. Si pensa che dica come nei film americani: fermi tutti, voglio il mio avvocato? No, il sistema funziona sulla sottomissione di dipendenti e risparmiatori. E il sistema bancario impone ai dipendenti di vendere prodotti a rischio ai risparmiatori e ai risparmiatori di acquistarli. Le banche sono diventate parte del casinò globale della finanza speculativa, son già passati oltre vent’anni da quando il presidente Clinton cancellò la legge Glass Steagal che separava le banche d’affari dai normali istituti di credito. Oggi i risparmi dei cittadini servono alle banche per partecipare alla speculazione finanziaria globale e quindi i risparmiatori son sempre più destinati a finire come il parco buoi della Borsa.Se va bene a tutti, forse va bene anche a loro, se va male, va male solo a loro. Il sistema funziona così. In Europa 4000 miliardi di euro di danaro pubblico son stati spesi per salvare le banche, che hanno ricominciato a speculare su derivati e porcherie varie come e più di prima. Ora un legge bancaria europea, testata come altre iniquità con i memorandum imposti alla Grecia, impone che i salvataggi delle banche avvengano anche con i soldi dei risparmiatori che di quelle banche si sono fidati. Gli unici che non debbono mai pagare nulla sono i banchieri, ai quali anzi deve essere garantita la possibilità di tornare agli affari come e più di prima. Così i poveri risparmiatori, come i primi cassaintegrati di Pomigliano, finiscono in una società programmaticamente definita “bad company”. Cioè un cattiva compagnia senza futuro dove finiscono i poveri ed i perdenti. Mentre i vincenti, cioè i banchieri e i loro protetti e protettori, van tutti nella nuova società per ricominciare ad attrarre risparmio. Con gli stessi scopi di prima.Immaginatevi se sui contratti di investimento fosse stampato in caratteri giganti: Nuoce gravemente alla salute dei tuoi soldi. Immaginatevi se i dipendenti delle banche non ricevessero più bonus o premi di risultato, ma solo il vecchio salario fisso e soprattutto immaginativi se non rischiassero più il posto per insufficiente vendita di contratti. Immaginatevi poi il controllo o addirittura la proprietà pubblici sul sistema bancario e la separazione degli istituti che giocano al casinò finanziario da quelli ove si mettono i risparmi di una vita e si ricevono i prestiti per la casa. Immaginate insomma un sistema con limiti, controlli divieti veri. Non sentireste subito urlare che si attenta alla libertà dei mercati, che si limita la corsa alla prosperità e si colpisce l’Europa, che si vuole tornare allo statalismo o peggio ancora al socialismo? Così, dopo il pianto per l’ultima, il sistema riprende a macinare vittime come e più di prima, al massimo concedendosi le riflessioni sofferte di qualche banchiere temporaneamente riluttante. Ps: non ho voluto parlare delle famiglie Boschi e Renzi, non perché non pensi grave il loro conflitto d’interessi, ma perché considero anche questo un prodotto (scadente) del sistema impazzito.(Giorgio Cremaschi, “Decreto salvabanche e suicidi economici, quanta ipocrisia!”, da “Micromega” del 14 dicembre 2015).Immaginiamo che in una città siano stati tolti i limiti di velocità per le automobili, che siano stati aboliti gli stop agli incroci e messi sul giallo tutto i semafori e che, in nome della velocità di scorrimento del traffico, si diano premi agli automobilisti che corrono di più. In un tale ambiente di pazzi suonerebbe un poco ipocrita il compianto per le vittime degli inevitabili catastrofici incidenti stradali. È ipocrita allo stesso modo il compianto ufficiale per il povero pensionato che si è suicidato, perché derubato dei propri risparmi investiti in obbligazioni subordinate cancellate dal decreto salvabanche. L’ipocrisia per questo suicidio è doppia. In primo luogo perché sembra ignorare le centinaia di piccoli imprenditori, lavoratori, debitori che si sono uccisi in questi anni di crisi e di politiche di austerità. In Italia abbiamo statistiche per tutto, ma pare manchi un dato sulla strage per crisi economica e non è un caso.
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Expo, fiasco segreto: affari loro, e indovinate chi pagherà?
L’Expo? Un affarone per tanti, a cominciare da Pd e Compagnia delle Opere. Molto meno per gli italiani, che dovranno pagare per la voragine (oscurata dai media) dei mancati introiti: biglietti venduti a 20 euro e poi a 10 anziché a 30, a una ventina di milioni di visitatori, contro i 29 previsti. La grande kermesse è stata di un terzo al di sotto delle aspettative, accusa Mario Vitiello su “Comune-Info”, sottolineando «le innumerevoli ferite che si devono ancora rimarginare», dopo la maxi-speculazione organizzata alla periferia di Milano. La proprietà delle aree è di Arexpo Spa, la società che ha comperato il milione di metri quadri su cui si è svolto l’evento: «Li ha acquistati da Cabassi, da Fondazione Fiera e da Poste Italiane, pagandoli uno sproposito (grazie ad una speculazione tipo “mani sulla città” garantita dalla giunta Moratti), indebitandosi con le banche (principalmente Intesa San Paolo per circa 160 milioni) e con la stessa Fondazione Fiera (per circa 50 milioni di euro)». E ora? «La gara indetta negli scorsi mesi per trovare un compratore per le aree del sito è andata deserta, e in molti stanno pensando a cosa fare di queste aree, che per il momento sembrano interessare a tutti ma che nessuno vuole».Expo Spa è la società che ha costruito la maxi-installazione per gestire lo show. I suoi compiti? Organizzare e gestire l’evento, redigere il piano finanziario delle opere essenziali, gestire i finanziamenti pubblici degli enti finanziatori, stipulare i contratti relativi alla gestione operativa dell’evento e acquisirne i proventi. Expo Spa ha realizzato il sito, stipulato i contratti con i paesi ospiti, gestito il management, incassato i proventi di pubblicità e merchandising nonché quelli dei biglietti. «Ad oggi non è chiaro a nessuno quale sia il bilancio definitivo di Expo Spa», scrive Vitiello. «Certo è che erano attesi 29 milioni di visitatori, e forse si arriverà a 20 milioni», nella conta finale. «Il masterplan prevedeva che l’accesso costasse 30-32 euro, mentre fin dal mese di aprile erano sul mercato biglietti a 20 euro, che diventavano 10 euro per le scuole». In più, dal mese di giugno i visitatori serali (comunque contati nel conto complessivo) sono entrati pagando solo 5 euro. «Molti paesi non stanno pagando i creditori, tra cui gli Stati Uniti». Morale: «Si può affermare, senza timore di grosse smentite, che Expo produrrà un importante passivo che dovrà essere ripagato dall’unico soggetto capace di una operazione di questo genere e portata: il ministero dell’economia, cioè lo Stato, tramite Cassa Depositi e Prestiti».Questa voragine, aggiunge Vitiello, avrà sicuramente ripercussioni sul bilancio del Comune di Milano, sull’economia dell’intera regione e, in generale, sul “sistema paese”. «Sul piano politico (e delle politiche) Expo è una specie di buco nero», continua Vitiello. «Tutti si sono improvvisamente scoperti “expottimisti”, a partire ovviamente dal Pd e dalla giunta del sindaco Pisapia, che ha ereditato l’Expo quando ne avrebbe volentieri fatto a meno ma che non ha saputo dire l’unico “no” che avrebbe dato un senso al suo mandato». L’euforia da Expo «è stata venduta con gran dispiegamento di forze», e alla fine il mantra che ripete ossessivamente “Expo è un successo” «si è affermato con modalità orwelliane». Attenzione: «La saldatura tra Comunione e Liberazione e Pd nella gestione di tutta l’area metropolitana è oramai definitiva». Sotto i profilo culturale, poi, l’Expo si è rivelato «esattamente quello che molti avevano sempre temuto: la materializzazione di una specie di Disneyland in versione padana, con una dose rilevante di kitch e una enorme capacità di imporre il pensiero unico dell’”Expo felice”».Non è un caso che il grande evento sia stato accolto dai media col tappeto rosso: «Ha dato una grossa mano il contribuito di (pare) circa 50 milioni elargito da Expo alle maggiori testate e giustificato sotto la voce “comunicazione istituzionale”», scrive Vitiello. Boom turistico? Sì, certo: ma solo per l’Expo, non per Milano. Weekend intasati e code chilometriche, ma soltanto a Rho. A Milano città, «molti ristoratori lamentano un calo delle presenze in centro, molti esercizi commerciali fuori dalle rotte-Expo non hanno registrato alcun incremento di clientela». In compenso, «sul piano della legalità Expo ha avuto il pregio di far emergere il peggio del peggio della corruzione, della connivenza tra settori dello Stato, con manager incaricati di gestire la cosa pubblica, e criminalità organizzata». Soprattutto ha dimostrato, per quanto fosse già chiaro, che «la macchina del “grande evento”, così come è pensata, genera un diffuso agire criminale». Ormai è chiaro: «Non esiste una “grande opera” sana e pulita, le grandi opere per definizione sono un precipitato di criminalità e di connivenza tra impresa, Stato e organizzazioni malavitose, tanto da rendere difficile distinguere i confini tre questi soggetti».Il dopo-Expo? «Per ora assomiglia a qualcosa a metà tra un film con Fantozzi e un film di Fellini», continua Vitiello. «Sicuramente subiremo con violenza la narrazione del successo di Expo, e si userà il numero di visitatori per giustificarlo. Invece i numeri reali del bilancio verranno tenuti nascosti almeno per tutta la campagna elettorale, che si svolgerà nella prossima primavera». L’unico soggetto che ne uscirà bene sarà Ffm, Fondazione Fiera Milano, «che venderà la sua quota in Arexpo allo Stato, incasserà le plusvalenze e non dovrà nemmeno preoccuparsi delle bonifiche, delle dismissioni e di qualsiasi cosa riserverà il dopo-sito». L’area di Expo, infatti, «rischia di rimanere abbandonata a se stessa per i prossimi mesi e forse per i prossimi anni», perché «tutti resteranno fermi in attesa che vengano definiti gli accordi tra i poteri forti», che per l’area milanese in questa fase significano l’intreccio tra Fondazione Fiera, Ferrovie dello Stato (che «sta per trasformare gli ex scali ferroviari in nuove speculazioni edilizie»), Aler (che «procederà con la svendita del patrimonio immobiliare pubblico») e l’università, che «tenterà di diventare l’ennesimo agente del Real Estate».Uno scenario ad elevato rischio di bolla speculativa, insiste Vitiello, perché «a Milano non esiste nessun bisogno reale, cioè capace di suscitare mercato, di nuove edificazioni o di nuovi interventi, che finiranno per moltiplicare i fallimenti di Santa Giulia o di City Life». Infine si devono considerare i progetti infrastrutturali, che trovano nuova forza dallo “Sblocca Italia” e incombono sull’area metropolitana (in particolare sul Parco Sud: trivelle, discariche e stoccaggi di idrocarburi). Questi progetti «confermano la gigantesca menzogna di Expo rispetto al tema dell’esposizione: cibo, filiera corta, alimenti a km zero, agricoltura sostenibile e periurbana», e dimostrano «l’inutilità della Carta di Milano, spacciata come “High Agreement” quando in realtà nessuno sa cosa ci sia scritto e finirà dimenticata». Expo? «E’ stato e sarà un furto alla collettività. È stato realizzato con risorse pubbliche che hanno drenato le casse del Comune, della Regione e domani anche dello Stato». Il maxi-evento, inoltre, «non ha ridistribuito ricchezza». Ha generato «limitatissimi ritorni economici diffusi», mentre ha prodotto «enormi plusvalenze per pochi soggetti, collocati in posizione strategica». Per Vitiello, quella di Milano 2015 «è stata la vittoria della logica emergenziale, violenta e privatistica di concepire l’economia e più in generale i rapporti sociali in questa fase di crisi», dove tutto è stato “blindato” da Fiera e Compagnia delle Opere.L’Expo? Un affarone per tanti, a cominciare da Pd e Compagnia delle Opere. Molto meno per gli italiani, che dovranno pagare per la voragine (oscurata dai media) dei mancati introiti: biglietti venduti a 20 euro e poi a 10 anziché a 30, a una ventina di milioni di visitatori, contro i 29 previsti. La grande kermesse è stata di un terzo al di sotto delle aspettative, accusa Mario Vitiello su “Comune-Info”, sottolineando «le innumerevoli ferite che si devono ancora rimarginare», dopo la maxi-speculazione organizzata alla periferia di Milano. La proprietà delle aree è di Arexpo Spa, la società che ha comperato il milione di metri quadri su cui si è svolto l’evento: «Li ha acquistati da Cabassi, da Fondazione Fiera e da Poste Italiane, pagandoli uno sproposito (grazie ad una speculazione tipo “mani sulla città” garantita dalla giunta Moratti), indebitandosi con le banche (principalmente Intesa San Paolo per circa 160 milioni) e con la stessa Fondazione Fiera (per circa 50 milioni di euro)». E ora? «La gara indetta negli scorsi mesi per trovare un compratore per le aree del sito è andata deserta, e in molti stanno pensando a cosa fare di queste aree, che per il momento sembrano interessare a tutti ma che nessuno vuole».
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Scordatevi sicurezza e privacy, Facebook è in ascolto
Una cosa alla quale siamo diventati tutti troppo abituati è il fatto che la nostra realtà possa venire manipolata per assomigliare a qualcosa di totalmente diverso. Invadere un’altra nazione è un atto di difesa, elezioni corrotte vengono spacciate come democrazia in azione, un numero maggiore di pistole (o armi nucleari) assicurano la pace, il commercio e gli investimenti stranieri aumentano i posti di lavoro a casa. La logica orwelliana è diventata una cosa normale. Ciò che voglio affrontare qui è un altro tipo di manipolazione: il modo in cui Facebook e gli altri social media usano le informazioni che, per la maggior parte inconsapevolmente, gli forniamo – incluse le conversazioni che facciamo nella privacy della nostre case – per pubblicizzare prodotti che non abbiamo richiesto e che quasi certamente non vogliamo, e passare dati al governo. Non sono di sicuro il primo a scoprire questa capacità straordinaria: molti si sono dichiarati sbalorditi e arrabbiati quando si sono resi conto che parole usate nelle conversazioni su Facebook e Twitter, messaggi, location, status, così come quelle usate nelle conversazioni private fra le mura delle proprie case, venivano quasi immediatamente captate e convertite in annunci pubblicitari.Nomini un certo sport, ed ecco che appare la pubblicità di un’agenzia di prenotazione biglietti. Dici che ti piacerebbe guidare una Lexus ed ecco che compare una pubblicità sulla Lexus. Parli di una vacanza e una pubblicità su Facebook ti raccomanda una spiaggia Hawaiana o un piccolo hotel a Parigi che – guarda caso! – avevi appunto nominato ieri! E’ paranoia? Facebook (o Instagram, Google, o Yahoo) è in grado di origliare le nostre conversazioni? Facebook ammette senza tanti problemi che il suo modello di business si basa sui dati che inseriamo o trasmettiamo on-line, che una volta che ci siamo iscritti i dati sostanzialmente diventano proprietà di Facebook, e che – come ha affermato Mark Zuckerberg, Ceo di Facebook – alla maggior parte delle persone non interessa poi così tanto davvero, della loro privacy. Chiaramente, Facebook & Co. si difendono dicendo che stanno semplicemente rispondendo ai tuoi bisogni e che, se lo desideri, puoi sempre ridurre (ma non eliminare) la quantità di pubblicità, semplicemente selezionando una lista nelle impostazioni di programma. Ma per quanto riguarda il fatto dell’ascolto, Facebook sostiene che l’utente sia l’unico a controllare il microfono, e che, secondo il capo della sicurezza di Facebook, si debba autorizzare Facebook ad attivarlo. Per caso qualcuno si ricorda di una richiesta di autorizzazione?Sembra che si possa disattivare la funzione microfono in Windows o nell’applicazione mobile Facebook sullo smartphone o sul tablet. Ma “off”, significa davvero del tutto “off”? Sembrerebbe di no. L’esperienza mia e di mia moglie dopo aver disattivato il microfono sul suo computer, afferma il contrario. Da notare che le pubblicità sono apparse pochi secondi dopo la nostra conversazione. * Jodi ha fatto un commento sull’attrice Robin Wright Penn. Subito, sono comparse pubblicità su film di Sean Penn.* Abbiammo discusso di magliette per i nipoti. Ecco comparire pubblicità proprio per quelle magliette. * Jodi ha parlato della nostra sfida a Scarabeo, lasciata in sospeso. La pubblicità del gioco Yahtzee è comparsa all’istante. * Jodi stava descrivendo il suo aspetto in relazione alla sua età, per esempio le linee di espressione ed i capelli bianchi, ed è comparsa una pubblicità per la linea “Age Rewind” di Maybelline. E allora uno si chiede, ok, ma spiare non è illegale, un’invasione della privacy?Ci sono state proteste sul larga scala circa lo spionaggio di Facebook sugli smartphone, ma nessuno cambio di policy da parte di Facebook, a quanto ne so. A livello legale, uno studio belga – e tra l’altro, gli europei sono molto più infastiditi e attenti alle manovre sospette di Facebook di quanto non lo siano gli americani – mette in evidenza che il “ritirarsi” dalla pubblicità non è lo stesso che dare consenso informato e diretto. Inoltre, Facebook non chiede il nostro consenso per acquisire dati da altre fonti, per raccogliere dati di localizzazione forniti dagli smartphone, per usare foto o altri dati (come il “like”) inseriti dall’utente. Penso che una corretta interpretazione del report belga e dei chiarimenti più recenti di Facebook sulla sua politica (2015), sia che Facebook può raccogliere ed usare ogni tipo di informazione risultante dall’uso di Facebook da parte dell’utente e dallo strumento utilizzato per accedervi. “Ogni tipo di informazione” significa assolutamente ogni dato l’utente abbia inserito, sia su se stesso che su persone terze, sia comunicato per scritto, a voce, o attraverso immagini. Anche se si decide di chiudere l’account Facebook, tutti i dati forniti restano in suo possesso.E c’è un’ulteriore questione, ancora più dannosa: la raccolta e l’uso dei dati provenienti dai social media da parte delle agenzie governative, in particolare l’ Agenzia per la Sicurezza Nazionale (Nsa). Questa pratica, portata allo scoperto da Edward Snowden, include la partecipazione di Facebook, Apple e numerose altre aziende tecnologiche nel programma Prism della Nsa, per raccogliere dati direttamente dalle aziende piuttosto che semplicemente tramite Internet. L’Unione Europea sta ora contestando questa invasione della privacy. Nel 2000, l’Ue ha accettato la proposta americana di istituire un programma di “Safe Harbor” – Porto Sicuro – per il trasferimento agli Stati Uniti dei dati personali raccolti in Europa da Facebook, Google e Amazon. Quell’accordo è stato rivalutato dall’avvocato generale della Corte di giustizia europea, che ha concluso che esso viola i diritti fondamentali degli europei. L’avvocato generale ritiene che i dati possano «venire utilizzati dalla Nsa e da altre agenzie di sicurezza degli Stati Uniti nel corso di una sorveglianza indiscriminata di massa».La Corte di giustizia europea ha appena confermato tale opinione, e dichiarato non valido il programma “Safe Harbor”. La decisione della Corte di giustizia è che il Safe Harbor «debba essere considerato come qualcosa che compromette l’essenza stessa del diritto fondamentale al rispetto della vita privata». E’ un colpo duro, sebbene non fatale, per Facebook e per gli altri soggetti coinvolti nel trasferimento di dati in Europa. Gli europei hanno fatto pressioni a queste aziende, in particolare a Google e Amazon, anche circa altre questioni, come nel caso della legislazione antitrust. Idealmente, la decisione della Corte di giustizia e la altre azioni europee incoraggeranno gli americani ad organizzare le loro battaglie per una maggiore tutela della privacy ed una maggior trasparenza sul modo in cui i giganti della tecnologia conducono i loro affari. L’invasione della privacy sui social media vi preoccupa, o considerate la perdita della privacy come il prezzo della socializzazione? Come avete gestito la vostra privacy sul vostro computer, smartphone, o tablet? Avete avuto esperienze di “spionaggio” come quelle che ho nominato?(Mel Gurtov, “La distorsione della realtà: Facebook è in ascolto”, da “Counterpunch” del 13 ottobre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Professore emerito di scienze politiche alla Portland State University, Gurtov è editorialista di “Asian Perspective”, trimestrale di politica internazionale, e scrive sul blog “In the Human Interest”).Una cosa alla quale siamo diventati tutti troppo abituati è il fatto che la nostra realtà possa venire manipolata per assomigliare a qualcosa di totalmente diverso. Invadere un’altra nazione è un atto di difesa, elezioni corrotte vengono spacciate come democrazia in azione, un numero maggiore di pistole (o armi nucleari) assicurano la pace, il commercio e gli investimenti stranieri aumentano i posti di lavoro a casa. La logica orwelliana è diventata una cosa normale. Ciò che voglio affrontare qui è un altro tipo di manipolazione: il modo in cui Facebook e gli altri social media usano le informazioni che, per la maggior parte inconsapevolmente, gli forniamo – incluse le conversazioni che facciamo nella privacy della nostre case – per pubblicizzare prodotti che non abbiamo richiesto e che quasi certamente non vogliamo, e passare dati al governo. Non sono di sicuro il primo a scoprire questa capacità straordinaria: molti si sono dichiarati sbalorditi e arrabbiati quando si sono resi conto che parole usate nelle conversazioni su Facebook e Twitter, messaggi, location, status, così come quelle usate nelle conversazioni private fra le mura delle proprie case, venivano quasi immediatamente captate e convertite in annunci pubblicitari.