Archivio del Tag ‘pubblicità’
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Idea: votare Renzi per affondare il Pd, e poi scegliere Grillo
Alle primarie voterò Renzi, ma alle elezioni (quelle vere) sceglierò Grillo: votare l’insopportabile Renzi è l’unico modo per affondare il Pd, e fare tabula rasa di questo centrosinistra-fantasma è l’unica speranza di rimettere in piedi l’Italia, costretta alla gogna dal tecno-governo Napolitano-Monti. Ragionamento ardito e non proprio lineare, sottoscritto dal direttore di “Micromega”, Paolo Flores d’Arcais, che lo anticipa sulle colonne del “Fatto Quotidiano”: «Il programma di Matteo Renzi è pessimo, il suo stile insopportabile. Il 25 novembre alle primarie voterò Matteo Renzi, firmando anche il “giuramento” per il centrosinistra alle elezioni di primavera. Nelle quali invece, hic stantibus rebus, voterò Grillo. Non mi sentirò in contraddizione e meno che mai disonesto».
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Guerra e clima: quello che Obama e Romney non dicono
Quando lo spettacolo quadriennale delle elezioni arriva al culmine, è utile chiedersi come le campagne di propaganda politica trattano dei problemi cruciali che dobbiamo affrontare. La risposta semplice è: male o per nulla. Se è così, sorgono alcune importanti domande; perché, e che cosa possiamo fare a riguardo? Ci sono due argomenti di importanza assoluta, perché è in gioco il destino della nostra specie: il disastro ambientale e la guerra nucleare. Il primo appare regolarmente sulle prime pagine dei giornali. Il 19 settembre, per esempio, Justin Gillis ha scritto sul “New York Times” che lo scioglimento del ghiaccio del Mare Artico si era fermato per un anno, «ma non prima di aver demolito il record precedente – e aver lanciato nuovi avvertimenti sul rapido ritmo dei cambiamento nella regione».
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Minacce a Grillo: gli faranno fare la stessa fine di Coluche?
«E dopo cosa verrà? Dal tiro al bersaglio metaforico, si passerà a quello reale?». Parola di Beppe Grillo, bersaglio di attacchi violentissimi mediatico-politici. «L’informazione sta sconfinando in molti casi in istigazione a delinquere, come avvenne negli anni di piombo: li diffami, li isoli e poi qualcuno li elimina». Una frase buttata là senza troppo peso, ma che ha scatenato una buriana di reazioni: «Grillo piagnone, vittimista, lo fa solo per farsi pubblicità». In realtà, Grillo non ha detto che vorrebbero accopparlo: ha solo lanciato l’ipotesi che la campagna contro di lui possa spingere qualcuno a passare ai fatti. Secondo Aldo Giannuli, c’è poco da scherzare: ricordate quello a che accadde a Coluche, l’esplosivo comico francese che tentò inutilmente di candidarsi all’Eliseo?
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Barnard: con Oscar Giannino, suicidio-Italia in 10 mosse
Oscar Giannino “scende in campo” come economista al servizio della politica, proponendo un decalogo per uscire dalla crisi? «Se quest’accozzaglia di ricette liberiste è economia, allora i messaggi dei Baci Perugina hanno fatto la storia della filosofia italiana», replica Paolo Barnard, che smonta pezzo per pezzo i dieci assunti del Giannino-pensiero, che poi sono gli stessi della famigerata Troika formata da Bce, Fmi e Unione Europea, che a colpi di diktat grazie al ricatto dello spread ha intanto insediato Mario Monti a Palazzo Chigi per “portarsi avanti col lavoro” e iniziare a “smontare l’Italia”, colpevole di essere un’economia da G8 e con un welfare avanzato, a tutela dei cittadini. Primo capitolo, lo spauracchio del debito pubblico: Giannino vorrebbe ridurlo sotto la soglia del 100% del Pil con «alienazioni del patrimonio pubblico», sia immobili che imprese di Stato, senza spiegare come mai il debito – storico motore del benessere diffuso – è diventato la tragedia nazionale che sta piegando l’Italia.
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Affari d’oro sulla nostra pelle: la dittatura dei super-ricchi
Il modello è morto, lunga vita al modello. I programmi d’austerità stanno prolungando la crisi che dovevano risolvere, tuttavia i governi si rifiutano di abbandonarli. La Gran Bretagna offre un esempio efficace. I tagli, prometteva la coalizione, sarebbero stati dolorosi ma avrebbero funzionato. Sono dolorosi, altroché, e ci hanno spinto in una doppia recessione. Il risultato era stato ampiamente previsto. Se si taglia la spesa governativa e il reddito dei poveri durante una crisi economica, è probabile che la si renda peggiore. Ma la settimana scorsa David Cameron ha insistito a dire che «andremo avanti e completeremo il lavoro», mentre il cancelliere ha sostenuto che il governo ha «un piano credibile e ci stiamo attenendo ad esso».
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Zuckerberg ammette: Facebook, falso un profilo su dieci
Parcheggio mondiale di solitudini? Network inefficiente ma comodissimo per gli 007 in caccia di report a costo zero sulle relazioni tra persone? Facebook stavolta rischia: il suo fondatore, Mark Zuckerberg, è costretto ad ammettere che almeno 10 “profili” su 100 sono falsi, gestiti da utenti-fantasma. L’inventore del social network più amato del pianeta rivela l’esito di una stima dettagliata degli account, quasi un miliardo di utenti. Degli oltre 955 milioni di utilizzatori attualmente iscritti a Facebook, più di 83 milioni sono “fake user”, cui si aggiungono i profili “duplicati” e quelli scorrettamente classificati. Motivo dell’imbarazzante “outing”: le regole tassative di controllo scattate dopo la quotazione in Borsa, avvenuta il 19 maggio scorso.
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Delusi da Facebook? Venti buone ragioni per abbandonarlo
Come consulente informatico ed esperto web, ho usato Facebook per circa un anno, sia come utente normale, sia come tecnico per integrarlo con siti terzi. Come utente finale non ho amato molto la piattaforma, ho notato molte cose che reputo personalmente del tutto deprecabili. Non mi piace la socialità narcisista e voyeuristica che lo permea. Non mi piace il mercato dei profili e lo scempio di privacy, di buon gusto, di buon senso e di pudore. Insomma non mi piace, ma è un’opinione come milioni d’altre, e non ha molta importanza. D’altro canto, ho anche maturato un’idea tecnica e più oggettiva dell’opportunità di integrare social network come Facebook nei nostri siti. Il risultato di misurazioni e riflessioni è che nel 95% dei casi non esiste un vantaggio ma bensì un effetto negativo osservabile e quantificabile. Di seguito, in venti punti, le ragioni tecniche di questa mia convinzione.
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Latouche: abbiamo bisogno che questo sistema crolli
«Sappiamo già che l’attuale sistema crollerà tra il 2030 e il 2070. Il vero esercizio di fantascienza è prevedere che cosa succederà tra cinque anni». Serge Latouche non ha dubbi: faremo la fine dell’Impero Romano, o del Sacro Romano Impero di Carlo Magno che fu travolto dai Barbari. «Purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico». Ed è solo l’inizio, nel bluff chiamato Europa. «La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore». Quanto all’Italia, «l’unica soluzione è la bancarotta: da Monti in giù, tutti sanno che il debito non potrà essere ripagato». Sono alcune delle affermazioni che l’ideologo francese della Decrescita ha rilasciato a Giovanna Faggionato per “Lettera 43”. Il sistema, dice Latouche, non ha mantenuto nessuna promessa: «Dicevano che la concorrenza ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, e invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti».
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Travaglio: l’antipolitica italiana sono loro, destra e sinistra
Oggi, la vera antipolitica è quello che noi chiamiamo politica. E’ scendere in campo salire, è fondare un partito per non andare in galera e non fallire per debiti, è far eleggere gli avvocati e i coimputati sennò poi parlano. E’ possedere aziende o dire “abbiamo una banca” o “ci facciamo un bel Tav”. E’ fare il sindaco di Torino due volte e poi diventare il capo di una fondazione bancaria. E’ stare in Parlamento trenta o quarant’anni pensando che il rinnovamento sia cambiare continuamente il nome al partito. E’ usare le Camere come alternativa al carcere, o alla latitanza, o alla comunità di recupero. E’ usare come ufficio di collocamento per amici, parenti e amanti il Parlamento, la Rai, i giornali, le autorità indipendenti, le Asl, gli ospedali, le aziende pubbliche, le banche, gli istituti culturali, il cinema, la fiction.
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Strage di schiavi cinesi: il New York Times smaschera Apple
Morti e feriti, disperazione, suicidi a catena: dietro l’iPhone, l’inferno. «Stay hungry, stay foolish», raccomandava il guru Steve Jobs. Detto fatto: il “New York Times” l’ha preso in parola e, con un’inchiesta già in odore di Premio Pulitzer, ha smascherato l’orrore: la Foxconn, succursale cinese della Apple, era un lager per lavoratori-schiavi. E ora, sotto la pressione dell’opinione pubblica, la “fabbrica della morte” ha riconosciuto le incredibili violazioni che in tutti questi anni hanno oppresso la salute e il portafoglio di più di un milione e duecentomila dipendenti, arricchendo Jobs e gli altri capitani dell’hi-tech: dalla Dell all’Hp. Tutto nasce dalla denuncia della Fair Labor Association, super-sindacato internazionale, che ha messo alle corde la compagnia statunitense: e ora Tim Cook, l’erede di Jobs, ha ammesso lo sfruttamento e si è fatto fotografare tra gli operai cinesi di Zhengzhou, promettendo di cancellare questa vergogna mondiale.
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Ciao euro, la Sardegna ora scommette sul Sardex
Se pensate che non si possa vivere senza l’euro, andate in Sardegna e provate a dire in giro che pagherete in Sardex. A parte benzina, farmaci ed energia elettrica, potrete comprare tutto, sia beni che servizi. E quindi alberghi, dentisti, falegnami, elettricisti, meccanici, consulenti di marketing. Ma anche sale congressi, corsi di lingua inglese, pubblicità sui giornali locali. E poi vestiti, mobili, ristoranti e persino la connessione Internet. Oltre a cibo, vino e carni, tutto rigorosamente sardo. Il Sardex è la “moneta a chilometro zero”. Solo che non è una moneta, nel senso che fisicamente non esiste. Non ne hanno stampato nemmeno una banconota: esiste solo su Internet.
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L’altra faccia di Obama, l’uomo che ha beffato il mondo
Boston, 27 luglio 2004: in quella calda sera d’estate tutta l’America si accorse del giovane e carismatico Barack Obama, un tizio semi-sconosciuto, dal nome difficile e dalle origini esotiche. Alla convention democratica che incoronò John Kerry come sfidante di Bush, Obama non era ancora neppure senatore, eppure gli fu affidato il “kenyote speech”, l’attesissimo discorso introduttivo. Già allora c’era chi aveva scommesso su di lui: la cupola finanziaria americana, il super-potere che domina ogni grande decisione planetaria. Per capire chi fosse davvero il neopresidente Obama, bastava la lista dei suoi finanziatori miliardari e quella del suo staff alla Casa Bianca. Barack Obama non era uno di loro: ma è stato scelto e promosso da loro. Ecco perché la sua politica oggi non è molto diversa da quella di Bush.