Archivio del Tag ‘protesta’
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Zitto e taci, è la procedura: ma il dissenso non si fermerà
Non accade con frequenza che un conflitto radicato in un territorio circoscritto e incentrato su un oggetto ben determinato (un’opera infrastrutturale come la linea ad alta velocità Torino-Lione) si trasformi in una arena politica in cui emergono, mostrando tutte le tensioni e gli attriti che le attraversano, non poche “grandi questioni”. Prima Gianni Vattimo, poi Erri De Luca e Ascanio Celestini, infine Massimo Cacciari e Giovanni De Luna, una bella schiera di intellettuali si sentono chiamati a prendere posizione non solo su una delle lotte più lunghe, tenaci e partecipate degli ultimi vent’anni in Italia, ma sul suo significato generale quanto alle forme della politica, le prerogative di governanti e governati, le priorità economiche o ambientali e il rapporto tra la legalità vigente e queste priorità. Tutti sembrano comunque concordare sull’inutilità, o quantomeno la scarsa razionalità economica di questa grande opera, considerati i costi, gli effetti ambientali e l’ostilità popolare che la circonda. È già qualcosa.
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Mafia, misteri e affari: quelle strane amnesie sulla val Susa
Prendersela coi giornalisti italiani non è cosa di cui si possa andare fieri: prima di tutto perché è come sparare sulla croce rossa, poi perché si è in (assai) cattiva compagnia: da Cicchitto a Bondi alla Santanché ma passando per D’Alema che lo fanno un giorno sì e uno anche, tranne che nei confronti dei loro “biografi quotidiani” profumatamente pagati tramite finanziamento pubblico. Del resto non è colpa mia se in Italia non esistono gli “editori puri”, tranne poche lodevoli e circoscritte situazioni. Né posso farmi carico del percorso che ha portato ad approdi generalmente più confortevoli anche la maggior parte di coloro che nei primi anni aspiravano a dare attraverso il giornalismo il proprio personale contributo alla rivoluzione – che evidentemente ritenevano imminente. Nel caso di questi ultimi, alla perdita dell’indipendenza di giudizio va aggiunta anche una ulteriore tara che appesantisce non poco le loro cronache: il doversi rapportare con persone che per caso o per determinazione sono rimaste per quanto possibile più coerenti verso le idee che un tempo li accomunavano: persone spesso conosciute o addirittura frequentate negli anni della meglio gioventù.
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Strategia della tensione: l’ombra della violenza-fantasma
«Attorno alla Tav ci sono anche vicende torbide: siamo convinti che non tutti gli attacchi di questi mesi siano riconducibili a persone che fanno parte del movimento». Con queste parole è il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, a evocare il pericoloso clima della strategia della tensione, dopo i recenti incendi notturni che a Bussoleno, Salbertrand e Gravere hanno colpito aziende coinvolte nel cantiere di Chiomonte. Tra le “vicende torbide” a cui Durbiano fa riferimento, probabilmente, ci sono anche i 12 attentati incendiari e dinamitardi che già nella seconda metà degli anni ’90 scossero la valle di Susa, rivendicati da strane sigle come “Lupi grigi” che spinsero i media a parlare di “eco-terroristi”. In carcere finirono – e morirono – i due giovani anarchici “Sole e Baleno”, Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas, poi riconosciuti estranei agli attentati, sui quali peraltro non è mai stata fatta piena luce. Fantasmi che tornano tristemente d’attualità, nel clima di scontro che oppone i No-Tav e i promotori dell’opera, senza che la politica si sia ancora degnata di spiegare la presunta necessità di realizzare la contestatissima Torino-Lione.
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La catastrofe: loro fabbricano soldi, noi paghiamo il debito
Le guerre? Ottimo affare. Devono essere «dirette in modo tale» che le nazioni «sprofondino sempre di più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere». Parola del banchiere Amshel Mayer Rothschild, che visse a cavallo tra ‘700 e ‘800. Thomas Jefferson, il presidente americano raffigurato sulle banconote da due dollari, sapeva bene con che razza di banditi avesse a che fare: «Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti armati». Quella «aristocrazia facoltosa» può mettere in croce qualsiasi governo. Quindi: «Il potere di emissione dev’essere tolto alle banche e restituito al popolo». Chiosa il coevo Andrew Jefferson, settimo presidente degli Stati Uniti: «Se solo gli americani capissero la totale ingiustizia del nostro sistema monetario e bancario, ci sarebbe una rivoluzione prima di domani mattina». Sintetizza Giulietto Chiesa: se l’emissione di moneta non è più sovrana, ma appaltata alle banche, lo Stato ha le ore contate, e così i suoi cittadini. Ecco spiegata l’apocalisse finanziaria.
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E ora eccoci serviti, dopo settant’anni di quasi-democrazia
Il 2 agosto 1980 è la data che viene segnata dalla peggior strage avvenuta in Italia dal secondo dopoguerra. Alla stazione di Bologna morirono 85 persone dilaniate da un ordigno collocato nella sala di seconda classe e furono oltre 200 i feriti. A tutt’oggi è rimasta inascoltata la domanda di verità che i parenti delle vittime e un’intera città chiedono con forza a uno Stato sordo e volutamente reticente. E ogni anno si rinnova questa richiesta, ritorna in piazza una protesta sacrosanta verso le autorità del momento, che tanto parlano ma nulla fanno. Il segreto di Stato rimane la pietra tombale su questa e altre vicende. Molto è stato detto e scritto su quella maledetta mattina, e non è qui mia intenzione entrare nel merito di questo specifico evento. Questo mio contributo intende piuttosto delineare un quadro generale e una traiettoria dalla “democrazia” e della politica italiana, condizionata da sempre dall’azione legale e criminale di poteri forti del tutto interni e ai posti di comando nella società italiana e in un contesto internazionale.
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Esseri umani, non nemici: rifiutare la disciplina della paura
Io ho paura. Tre parole lapidarie, una confessione. Da quanti sottoscrivibile? Da milioni di persone, probabilmente, terremotate dalla precarietà e dallo spettro della povertà in arrivo, vero e proprio tradimento di decenni di promesse divenute dogma. Milioni di italiani, di spagnoli, di greci, portoghesi, irlandesi. Ma anche francesi, tedeschi, americani, russi, cinesi. Per non parlare degli africani, martiri endemici della paura, e dei loro “colleghi” asiatici, arabi e sudamericani, presi abitualmente a cannonate dalla storia, per secoli. Miliardi di persone. Ora, nel mondo crocifisso dalla globalizzazione, siamo tutti più vicini, o meno lontani: l’Internazionale della Paura. C’è una crescente violenza – subdola, psicologica, intimidatoria – che divora vite umane erodendo giorno per giorno la loro tranquillità, il loro diritto a quella proiezione mentale fisiologica che siamo abituati a chiamare futuro, a volte destinata a tradursi in qualcosa di pratico: mi sono innamorato e dunque mi sposo, compro casa, metto al mondo figli, mi attrezzo per aspirare alla mia ragionevole quota di felicità.
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Yes, we scan: così gli artisti puniscono lo spione Obama
La notte dell’8 luglio un fascio di luce ha attraversato Berlino, proiettando a caratteri cubitali su una facciata dell’ambasciata americana la scritta “United Stasi of America” e il volto dell’attivista web, nonché icona hacker, già magnate del sito di file sharing Megaupload e ora proprietario di Mega, Kim Dotcom, al secolo Kim Schmitz, un tedesco di Kiel che oggi vive in Nuova Zelanda. A Berlino, la notte dell’8 luglio, c’era il light artist tedesco Oliver Bienkowski, nato nel 1982 a Kassel, famoso per i suoi giochi di luce, in particolare con raggi laser, come quelli contro la Porta di Brandeburgo per la Dresdner Bank, il palazzo della società immobiliare Hypo Real Estate, le statue di Lipsia, i parchi, i ponti e gli antichi palazzi di Kassel, l’arcobaleno di luci sul ponte di Düsseldorf, le Torri Bismarck.
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No Tav, nemico pubblico: lupi, pecorelle e sciacalli
I valsusini sono abituati a rovinarsi pranzi e cene ascoltando i vari Tg, sicuramente un po’ masochisti; nel tempo hanno verificato una “professionalità” nel costruire servizi menzogneri, vere montature e tutta la gamma delle notizie farlocche. Il “caso pecorella” è davvero emblematico (febbraio 2012, occupazione dell’autostrada): Marco sfotte un poliziotto soprannominandolo “pecorella”. Per giorni e giorni quel video, postato sul sito del “Corriere della Sera” (debitamente tagliato nel punto in cui Marco conclude il suo ragionamento e si spinge a dire: «Comunque vi vogliamo bene lo stesso»), diventa un mantra, l’ossessione dei Tg. Non c’è guerra al mondo, emergenza umanitaria, crisi politica, disastro in grado di superare quella notizia che diventa: La notizia del giorno. E ancora nei giorni successivi. L’intento è chiaro: strappare di dosso al movimento NoTav quella simpatia istintiva che da qualche tempo l’avvolge e fa proseliti di ribellione in tutta Italia.
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Giù le mani dalla valle di Susa, è il Gezi Park italiano
Tutta la grande informazione ha seguito con trepidazione e simpatia la mobilitazione popolare in Turchia. Quel grande movimento democratico è esploso attorno alla protesta di centinaia di giovani che volevano impedire l’abbattimento di alcuni alberi in Gezi Park, un parco di Istanbul destinato ad essere cancellato per far posto a qualche grande opera. In Valle Susa sinora sono stati abbattuti oltre 5000 alberi, molti secolari, in uno scempio di cui ho personalmente potuto rendermi conto prima che tutta quell’area venisse chiusa al mondo diventando così una zona rossa, un altro di quei buchi neri che da Genova in poi ingoiano la nostra democrazia. Contro quella devastazione, e contro l’opera che la ispira, ancora una volta si sono mobilitati i militanti del movimento No Tav, cercando giustamente di provare a fermarle, come i giovani turchi di Gezi Park. Ma nella grande informazione sono apparsi subito come violenti, fiancheggiatori del terrorismo, nemici del bene comune.
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Alternativa: assediamo i traditori della nostra democrazia
«C’è un Rubicone da varcare: ora si deve decidere se si sta da una parte o dall’altra, con il popolo o contro di esso». L’appello parte da “Alternativa”, laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa. Obiettivo: mobilitazione generale contro la «fantasiosa procedura d’urgenza per la modifica della Costituzione», che il presidente Napolitano – fautore del “governissimo” – sta avallando per «aprire la strada allo smantellamento, un pezzo alla volta, della Carta Costituzionale, il fondamento del nostro vivere comune». Presidenzialismo, diktat, soluzioni sbrigative. Anche se in questi decenni i dettami costituzionali sono «rimasti in larga parte non attuati o addirittura palesemente traditi», ora si vuole anche cancellarli dalla lettera della Carta, perché «il carattere sociale e popolare» dei valori della Costituzione antifascista «è d’intralcio alla definitiva affermazione dei padroni dell’universo della finanza, delle tecnocrazie europee», e anche delle cricche parassitarie di casa nostra: economiche, criminali e politiche.
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Cremaschi: l’Italia verso la catastrofe, grazie al Quirinale
Il 23 giugno del 2011 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un indirizzo all’assemblea della Confcommercio, poneva come priorità la riduzione del debito pubblico e a tal fine la rigorosa applicazione dei vincoli europei. Allora il debito era pari a circa il 120% del Pil. Dopo due anni di politiche di austerità in applicazione dei vincoli europei, attuate da governi promossi e sostenuti dal presidente della Repubblica, il debito pubblico è al 130% del Pil, quasi 150 miliardi in più. Questo dato è accompagnato da un milione e mezzo di disoccupati in più, dal calo brutale dei redditi e dei consumi, da una crisi che non accenna minimamente a finire, contrariamente alle chiacchiere di Visco e Saccomanni. La stessa caduta dello spread e degli interessi perde effetto di fronte alla crescita complessiva del debito. Unico dato positivo la Borsa, dove la speculazione ha fatto plusvalenze del 30%, nonostante la caduta della economia reale, creando così le premesse per una nuova bolla pronta ad esplodere.
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La lezione dei greci: l’umanità è più forte dello spread
«I greci, uomini e donne, hanno vissuto sotto due imperi per 15 secoli. La precarietà non li spaventa, ci convivono da sempre. Supereranno anche questa. Stanno soffrendo tanto, ma credo stiano dando una lezione a tutta l’Europa. L’ennesima lezione ellenica: le persone, i popoli, contano più dello spread o delle rigide regole di Bruxelles». Parola di Giuseppe Ciulla, giornalista Rai, reduce da un viaggio di quattromila chilometri nel corpo vivo della Grecia martoriata a sangue dalla spietata crudeltà finanziaria della Troika europea, gli ideologi del rigore al servizio dell’élite mondiale che ha fatto del popolo Atene un gigantesco test per un esperimento mostruoso: verificare fino a che punto può sopravvivere un popolo depredato dei suoi diritti e spogliato di tutto. Sorpresa: secondo Ciulla, i greci sono più forti dei loro “aguzzini”, e alla fine vinceranno.