Archivio del Tag ‘propaganda’
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Violenta e totalitaria: la dittatura della religione monoteista
Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità, invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).Ovviamente, aggiunge Della Luna, per realizzare il loro progetto – l’uomo nuovo, il nuovo ordine mondiale – le regioni devono eliminare rapidamente il vecchio, vincendone le resistenze «con la violenza, che è sempre risultata indispensabile», perché il “vecchio”, il tradizionale, «è storicamente consolidato nell’animo della gente, nella sua sensibilità e nei mores come “fisiologia” del funzionamento culturale, sociale, politico, economico, spirituale». Che siano monoteiste (c’è un solo Dio), enoetistiche o monolatriche (gli dèi sono tanti, ma solo uno è prevalente), secondo Della Luna le religioni hanno la stessa impostazione delle ideologie politiche totalitarie: fascismo, nazismo, comunismo, maoismo. «Infatti sono tutte “species” di quella fallacia illuministica, costruttivistica, che con Karl Popper possiamo chiamare “utopismo”, ingegneria sociale “olistica”». Vale a dire: il convincimento che, in base a una nuova teoria o scoperta o rivelazione, sia possibile e doveroso ristrutturare l’uomo e la società come si ristruttura una casa – basta un buon progetto, molta buona volontà, la giusta forza e fermezza, e tutto funzionerà per il meglio: si realizzerà un ordine perfetto che durerà fino alla fine dei tempi.Puntualmente, invece, ogni tentativo di quel genere «manca la meta prefissa e causa immense sofferenze, immense stragi e persecuzioni, immensi danni civili e materiali, prima di cadere o di trasformarsi in qualcos’altro», dal momento che «un corpo sociale non è una casa, non è un corpo inerte che si possa modificare a piacimento, ma un corpo vivente, e vivente secondo un ordine, una fisiologia, sviluppatisi lentamente nel corso della sua storia, cioè di secoli». Mentre le religiosità politeistiche «esprimono e sostengono questi equilibri organici e assettati, rispettosi perlopiù delle varie componenti etniche, culturali, cultuali e censuarie del corpo sociale», essendo quindi «religiosità mature, includenti», al contrario, le religioni monoteiste – sempre per Della Luna – sorgono tutte, storicamente, «come progetti monomaniacali, rivoluzionari, escludenti, olistici e utopistici nel predetto senso, aggravati dal fatto di essere prescritti da un dio (o da una ‘scienza’ sentita come verbo divino, come è il caso del mercatismo), quindi dall’essere indiscutibili». Per questo, inevitabilmente, «generano violenza, così come le ideologie totalitarie», non solo perché «devono eliminare la religione già esistente per sostituire ad essa il loro modello», ma anche perché «promettono la soluzione rapida dei problemi esistenziali – la morte, il senso della vita, la giustizia».La religione usa la violenza per affermarsi, dice Della Luna, ma poi continua a usare la violenza anche per nascondere il fatto di non essere riuscita a mantenere le sue promesse: «Recentemente si è visto il fallimento pratico del governo dei Fratelli Musulmani in Egitto». I devoti sono scossi da onde di frustrazione: non potendo le religioni riconoscere il loro fallimento, questa frustrazione «deve essere scaricata all’esterno, affinché non crei lacerazione interna o dubbi – deve essere scaricata, cioè, su un capro espiatorio, che può essere interno (gli eretici) oppure esterno (gli infedeli, chi non si converte alla nuova religione): tutti questi capri espiatori vanno uccisi per volere di Dio». I primi cristiani, come si legge nel Nuovo Testamento, si aspettavano «il ritorno in gloria e potenza del Redentore entro pochi anni», letteralmente: prima che l’ultimo dei viventi al tempo di Gesù fosse morto. La tempistica è stata allungata e infine «proiettata su un orizzonte indefinito, solo poiché questa predizione non si avverava». Similmente, aggiunge Della Luna, i Testimoni di Geova «predicevano il Giudizio per il 1914, ma poi ovviamente hanno dovuto cambiare le loro pubblicazioni».L’islamismo è propriamente monoteista, annota Della Luna, perché afferma l’esistenza di un unico essere di natura divina – onnipotente, onnisciente, eterno, creatore di tutti gli altri esseri. «Le altre religioni non sono monoteiste». L’atonismo era monolatrico, ossia «tributava culto a un unico dio, pur ammettendo l’esistenza di altri dei». Il mazdeismo crede in due dei: Ahura Mazda, il bene, e Arei Manyu (Ahriman), il Male. Anche il giudaismo, dice Della Luna – presentando il libro di Nicola Bizzi “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina” (Aurora Boreale, 2018) – riconosce una pluralità di Elohim (parola di origine ignota, che noi traduciamo impropriamente come “dei”), di cui Jahvè è uno (gli altri sono Milkom, Kamosh, Baal Peor, El Elion). Inoltre, aggiunge Della Luna, nella Bibbia questi Elohim vengono descritti come esseri tangibili, materiali, simili agli dei greci e romani, mentre nella cultura ebraica antica «non esistono nemmeno i concetti di ente immateriale, di eternità, di onnipotenza, di creazione dal nulla – concetti tipicamente greci». Quindi anche il giudaismo – che adora l’Elohim Jahvè in mezzo a tanti altri Elohim – potrebbe essere classificato come «monolotria politeistica».E il cristianesimo? «Parte come monoteismo, mai in seguito, col Concilio di Nicea, viene ad affermare esplicitamente l’unità della sostanza divina e la pluralità (trinità) delle persone di Dio. Poi, nei secoli, assorbe – soprattutto nella sua confessione cattolica – il vissuto devozionale della pluralità dell’esperienza e della manifestazione divina attraverso la creazione di un esercito di figure intermedie, dagli angeli ai santi alla Madre divina». Oggi fa notizia il radicalismo islamico jihadista coltivato dall’imperialismo occidentale per frantumare la regione petrolifera, mentre il giudaismo – che si impose con la violenza (la tribù di Gioacobbe che stermina i consenguinei, tutti discendenti di Abramo) si riberbera nell’Israele armato fino ai denti, in guerra perenne coi vicini. Lo stesso Nicola Bizzi afferma che il cristianesimo, dopo essersi imposto con la massima ferocia, in tempi recenti si è “civilizzato”, prendendo le distanze da quella stessa violenza che aveva praticato per 17 secoli. Il cristianesimo moderno, secolarizzato e non più politicamente al potere, è stato «ridimensionato dalla critica epistemologica, storica, filologica». La frustrazione per la sua mancata promessa «è stemperata dallo stesso stemperarsi, assieme al senso del divino, dell’aspettativa di quella soluzione». Quel che ne resta si scarica perlopiù all’interno: il credente viene educato a imputare a se stesso – peccatore – la causa del malandare delle cose. «Quindi è ora facile per questa religione far dimenticare, presso le masse non istruite, il suo prevalente passato», cioè un millennio e mezzo di potere violento e totalitario.(Il libro: Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Aurola Boreale, 162 pagine, 15 euro).Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità sulla scorta dell’ultimo libro di Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Della Luna invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).
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Solo neoliberismo, dai gialloverdi, contro il neoliberismo Ue
Il governo ha fieramente confermato la sua manovra di bilancio mentre le opposizioni tifano Ue: sembra uno scontro epocale, ma se si diradano le opposte propagande vediamo che siamo di fronte a due modi, (non tanto) diversi di intendere lo stesso liberismo. Lo afferma Giorgio Cremaschi, già dirigente di lungo corso della Fiom, ora esponente di “Potere al popolo”. «La Ue e i suoi fanatici, compresa la penosissima sinistra dello spread, rivendicano tutto l’impianto delle politiche di austerità, che in Grecia hanno distrutto il paese e in Italia, oltre ai danni sociali che viviamo, hanno fatto crescere enormemente il debito pubblico», scrive Cremaschi su “Micromega”. Da quando si è insediato Monti, che ha alzato le tasse e tagliato la spesa pubblica mutilando il welfare (pensioni in primis, legge Fornero) il debito pubblico italiano è aumentato di 400 miliardi di euro, ricorda Cremaschi: «Segno che le politiche di austerità per ridurre il debito lo fanno aumentare, e che la propaganda a loro favore si fonda sul nulla e sul falso». Giusto quindi abbandonarle e seguire altre vie, ovvero «ciò che la propaganda opposta del governo gialloverde rivendica». Solo che, anche qui, secondo Cremaschi «la realtà è ben diversa dagli annunci».Fieramente, il governo Conte scrive all’Ue che manterrà i provvedimenti a tutela dei poveri, il cosiddetto reddito di cittadinanza o quel che ne resta («ormai è chiaro che è solo un ampliamento delle misure del governo Gentiloni», il suo “reddito di inclusione”). L’esecutivo dice che allenterà le rigidità e i vincoli del sistema pensionistico? Invece «resta la Fornero con tutti i suoi vincoli», anche se «per alcuni saranno meno duri». Questa è la realtà, sottolinea Cremaschi. Poi ci sono i condoni fiscali, le promesse di investimenti e altre misure in base alle quali il governo contesta alla Ue le sue previsioni pessimiste e conferma invece che l’Italia crescerà e per quella via ridurrà il debito. Così alla fine «lo scontro tra governo e Ue sta diventando una sorta di ridicola contesa tra ottimisti e pessimisti, su previsioni che, la storia insegna, sono quasi sempre sbagliate, tutte». Ma il governo fa un passo in più, aggiunge l’ex sindacalista: di fronte alle contestazioni sui suoi numeri “ottimisti”, l’esecutivo aggiunge delle “garanzie”. «La prima è la privatizzazione dell’1% del patrimonio pubblico: sembra poco, ma la proprietà pubblica teoricamente viene valutata in ben 1.800 miliardi di euro. Quindi il governo prometterebbe 18 miliardi di ricavi da vendite di beni pubblici».Di Maio assicura che si metteranno all’asta solo proprietà demaniali di poco valore, non i “gioielli” finanziari e industriali? «Bene, ma se davvero fosse così – obietta Cremaschi – o saremmo di fronte a una bufala, o alla gigantesca privatizzazione di circa un terzo di suolo pubblico, visto che la proprietà demaniale da sola vale circa 60 miliardi: altro che gli ettari dati in concessione per il terzo figlio». Secondo Cremaschi, il governo cerca di rispondere alle accuse Ue con le privatizzazioni, «quindi al liberismo con più liberismo, seguendo pedissequamente ciò che fece Monti». Il super-tecnocrate «viene imitato anche nell’altra mossa del governo: l’impegno a non far salire in ogni caso il deficit oltre il 2,4%». Altra bufala, o «garanzia vera e pericolosa»? Nel secondo caso, «il governo dovrà alla fine definire clausole di riduzione del deficit, aumento dell’Iva e tagli di spesa pubblica, esattamente come hanno fatto Monti, Renzi e Gentiloni», e magari «lasciando quelle clausole velenose in eredità ai governi successivi, come hanno fatto tutti i predecessori».Insomma, il governo «alza la bandiera dell’orgoglio nazionale», ma poi «segue sempre di più la via liberista classica dell’Unione Europea». Se n’è accorto il ministro delle finanze della Germania, Olaf Scholz, l’unico ad avere espresso parole di comprensione sulla manovra italiana, affermando che in nostro paese ha diritto di aiutare i più poveri come si fa in tutta Europa. «Paradossalmente – aggiunge Cremaschi – se il governo Merkel fosse ancora il padrone assoluto della Ue, il compromesso sarebbe vicino». Ma sono proprio i governi e i partiti “fratelli” della Lega di Salvini i più duri contro l’Italia. «E siccome questi governi e questi partiti di destra hanno un peso sempre maggiore nella Ue, e il loro avversario Macron compete con loro sul loro stesso terreno, ecco che dare una lezione all’Italia diventa un terreno ove mostrare chi è più forte», sostiene Cremaschi. Così come fermare i migranti, anche dire stop alle “spese folli” degli italiani «è diventato un vanto, ove ogni governante mostra quanto sia più duro degli altri».Per una sorta di legge del contrappasso, conclude l’ex sindacalista, «il governo gialloverde paga nella Ue l’affermarsi delle idee e dei comportamenti di cui va più fiero Salvini». A questo punto, «è difficile prevedere se lo scontro governo italiano-Ue continuerà, o se alla fine ci sarà un compromesso nel nome della continuità delle politiche liberiste che entrambi i contendenti praticano». In ogni caso, secondo Cremaschi «siamo di fronte allo scontro tra due diverse destre economiche e politiche, che configgono nel nome degli stessi valori di fondo e degli stessi programmi di privatizzazioni e tagli allo stato sociale». Per rompere la gabbia del liberismo, nel nome della giustizia e dell’eguaglianza sociale, per Cremaschi «è più che mai necessario essere contro il governo e contro la Ue».Il governo ha fieramente confermato la sua manovra di bilancio mentre le opposizioni tifano Ue: sembra uno scontro epocale, ma se si diradano le opposte propagande vediamo che siamo di fronte a due modi, (non tanto) diversi di intendere lo stesso liberismo. Lo afferma Giorgio Cremaschi, già dirigente di lungo corso della Fiom, ora esponente di “Potere al popolo”. «La Ue e i suoi fanatici, compresa la penosissima sinistra dello spread, rivendicano tutto l’impianto delle politiche di austerità, che in Grecia hanno distrutto il paese e in Italia, oltre ai danni sociali che viviamo, hanno fatto crescere enormemente il debito pubblico», scrive Cremaschi su “Micromega”. Da quando si è insediato Monti, che ha alzato le tasse e tagliato la spesa pubblica mutilando il welfare (pensioni in primis, legge Fornero) il debito pubblico italiano è aumentato di 400 miliardi di euro, ricorda Cremaschi: «Segno che le politiche di austerità per ridurre il debito lo fanno aumentare, e che la propaganda a loro favore si fonda sul nulla e sul falso». Giusto quindi abbandonarle e seguire altre vie, ovvero «ciò che la propaganda opposta del governo gialloverde rivendica». Solo che, anche qui, secondo Cremaschi «la realtà è ben diversa dagli annunci».
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Fracchia contro Dracula: gli eroi gialloverdi e i vampiri Ue
«Non si può votare per abolire la legge di mercato, come non si può votare per abolire la legge di gravità» (Carlo Alberto Carnevale Maffè, Università Bocconi). Dopo aver giurato e spergiurato che non avrebbero mai ceduto, i Grilloverdi naturalmente hanno ceduto, stralciando sia quel che resta del miserrimo Reddito di cittadinanza, che la fantomatica Quota 100 pensionistica dalla manovra finanziaria, per renderla più digeribile ai vampiri dell’Ue. Come Fracchia, minacciano sfracelli davanti ai colleghi, per poi cagarsi sotto all’arrivo del capoufficio. In particolare non c’è promessa solenne o valore fondante che la maggioranza dei grillini non sia disposta a rimangiarsi fino all’ultima briciola, pur di restare aggrappata alla posizione di potere che ha raggiunto, e che si restringe e diventa sempre più scivolosa, come una lastra di ghiaccio in un mare in tempesta, circondata dai pescecani, soprattutto leghisti. Tutta la fantascientifica rivoluzione del M5S s’è ridotta al bisogno disperato di riuscire a distribuire qualche buono spesa ai suoi elettori, prima che Salvini glieli porti via tutti. Mentre l’Unione Europea continua a spedire lettere minatorie a raffica come uno spam bot.Questo match truccato fra cazzari e sanguisughe è avvilente. La nostra unica speranza è il loro annientamento reciproco. Purtroppo però hanno più volte dimostrato d’avere la resilienza degli scarafaggi, specialmente la Lega, che si trova bene in entrambe le categorie, e quando si sarà sgonfiata la bolla populista, conta di tornare fra i “moderati”, i borghesi (post) berlusconiani i cui interessi in realtà non ha mai smesso di tutelare in via prioritaria, alla faccia del popolo. La democrazia occidentale s’è rivelata la peggiore truffa a schema piramidale del millennio. Votare è inutile, nella migliore delle ipotesi. Perché non c’è nessun vero cambiamento politico e sociale possibile senza cambiamento del modello economico. Questa pantomima è l’unica “democrazia” consentita dal capitalismo. Intanto il cadavere del Pd aspetta d’essere rianimato dal morso di Minniti. Le conduttrici “progressiste” lo adorano, Gruber, Panella, Merlino, Berlinguer, lo intervistano con occhi sognanti, lo supplicano di salvare la nazione dai fascisti impresentabili. E riconsegnarla a quelli beneducati.(Alessandra Daniele, “Fracchia contro Dracula”, da “Carmilla” del 4 novembre 2018. Blogger disillusa sul menù politico italiano e curatrice della rurbica “Schegge taglienti” proprio su “Carmilla”, Alessandra Daniele ha collaborato a tre antologie cartacee, due progetti collettivi Creative Commons che ha contribuito a ideare, “Sorci Verdi” (Alegre, 2011), “Scorrete lacrime, disse lo sceriffo” (Crash, 2008) e l’antologia urban horror “Sinistre Presenze” (Bietti, 2013). Ha pubblicato due diverse raccolte dei suoi testi “carmilliani”: “Schegge Taglienti” (Agenzia X, 2014) e l’ebook gratuito “L’Era del Cazzaro” (Carmilla, 2016). C’è un suo racconto anche nella raccolta fotografica “Banditi dell’alta felicità”, edita dal movimento NoTav. Il suo spazio su “Carmilla” lo chiama “bloggino”, definendolo «uno spinoff per testi (ancora) più brevi». Precisa: «Non sono né su Facebook né su Twitter. Sono su “Carmilla”. E qualche volta al mare»).«Non si può votare per abolire la legge di mercato, come non si può votare per abolire la legge di gravità» (Carlo Alberto Carnevale Maffè, Università Bocconi). Dopo aver giurato e spergiurato che non avrebbero mai ceduto, i Grilloverdi naturalmente hanno ceduto, stralciando sia quel che resta del miserrimo Reddito di cittadinanza, che la fantomatica Quota 100 pensionistica dalla manovra finanziaria, per renderla più digeribile ai vampiri dell’Ue. Come Fracchia, minacciano sfracelli davanti ai colleghi, per poi cagarsi sotto all’arrivo del capoufficio. In particolare non c’è promessa solenne o valore fondante che la maggioranza dei grillini non sia disposta a rimangiarsi fino all’ultima briciola, pur di restare aggrappata alla posizione di potere che ha raggiunto, e che si restringe e diventa sempre più scivolosa, come una lastra di ghiaccio in un mare in tempesta, circondata dai pescecani, soprattutto leghisti. Tutta la fantascientifica rivoluzione del M5S s’è ridotta al bisogno disperato di riuscire a distribuire qualche buono spesa ai suoi elettori, prima che Salvini glieli porti via tutti. Mentre l’Unione Europea continua a spedire lettere minatorie a raffica come uno spam bot.
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L’antifascismo dei cretini: puro odio, in assenza di fascismo
Abbiamo sempre avuto pazienza con i cretini non cattivi e con i cattivi ma intelligenti. Non riusciamo però ad averne con i cretini cattivi, magari in origine solo cretini poi incattiviti oppure solo cattivi poi rincretiniti. Ma sono cresciuti a dismisura e si sono aggravati. Sto parlando del nuovo antifascismo, collezione autunno-inverno, che si alimenta di fascistometri per misurare il grado di fascismo che è in ciascuno di noi e di istruzioni per (non) diventare fascisti, di Anpi posticce che sventolano l’antifascismo anche il 4 Novembre, non più costituite da partigiani ma da militanti dell’odio perenne; e poi di mobilitazioni, manifestazioni e mascalzonate, veicolate da giornaloni, telegiornaloni, talk show e da tante figurine istituzionali. Come quel Figo che alterna dichiarazioni d’antifascismo a dichiarazioni surreali d’amore a proposito degli stupri e i massacri tossico-migranti. Per lui le violenze si combattono con l’amore, come dicevano i più sfigati figli dei fiori mezzo secolo fa. Lui ci arriva adesso, cinquant’anni dopo e a proposito di un fatto così terribile come uno stupro mortale a una ragazzina.
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Livigni: ci governa la cupola che liquidò Kennedy e Mattei
Vorrei tornare su Enrico Mattei, di cui sono stato uno strettissimo collaboratore, per dire che in Italia è avvenuto qualcosa di orrendo, di sporco. Era stata fatta una inchiesta, quando l’aereo precipitò a Bascapè: un’inchiesta vergognosa, fatta da depistaggi e coperture della verità. Un’altra mezza inchiesta era stata subito chiusa. Nel 1994 ho pubblicato un libro con la Mondatori che si chiama “La grande sfida”, e sono riuscito avere documentazioni top secret dagli archivi della Jfk Library di Boston, dall’Eisenhower Library e, con mia sorpresa, ho scoperto che tra Mattei e Kennedy c’era una corrispondenza molto stretta. Dopo la crisi di Suez, quando Inghilterra e Francia erano state invitate dagli Stati Uniti a ritirarsi durante la Guerra di Suez, perché gli Usa temevano uno shock petrolifero, l’Italia avanzò la proposta di coprire un ruolo di nazione strategica, sul Mediterraneo, in sostituzione di Francia e Inghilterra. Kennedy era d’accordo, però bisognava dare stabilità politica al governo italiano, che cambiava ogni due mesi (c’era stata la crisi del governo Tambroni, che durò un mese e mezzo). Per dare stabilità politica bisognava scegliere un uomo e fare riforme. Kennedy esaminò tutti i possibili interlocutori italiani, e li scartò subito: via Fanfani, via Gronchi. E arrivò a Mattei: di lui, Kennedy era affascinato. E iniziarono delle trattative.Una prima trattativa avvenne all’Hotel Excelsior di Roma, in grandissimo segreto. Mattei non si fece assistere da nessuno. Kennedy chiese alle grandi compagnie americane di mettere Mattei in condizioni di fare affari, di offrirgli contratti migliori di quelli che aveva con l’Unione Sovietica. Dopo lunghe trattative, venne fatto un contratto tra l’Eni e la Esso per la fornitura di 12 milioni di tonnellate l’anno di greggio a condizioni veramente migliori di quelle che Mattei aveva con l’Urss. Dopo l’accordo commerciale, segretissimo, si passò alla trattativa politica. Parteciparono il responsabile della politica estera di Kennedy e il futuro capo della Cia in Italia. Mattei doveva andare a dicembre 1962 a incontrare Kennedy. Non ne parlò con nessuno, neanche con me. Era abbastanza teso, in quei giorni: aveva ricevuto minacce. La cosa che mi colpì è che era stato in Sicilia, il 18 ottobre 1962. C’era stato un incontro a Gela, un Cda della Agip Mineraria. Lui transitò da Palermo, mi chiamò e mi disse: «Ti voglio vedere subito in aeroporto». Arrivò con l’aereo aziendale, mi diede indicazioni su fatti che stavamo svolgendo e io gli dissi: «Presidente, venga entro l’anno, perché abbiamo fatto una realizzazione, a Gela, che voleva lei: un grande deposito costiero per importare dalla raffineria di Gela i prodotti sul mercato». Lui disse: «Non posso venire, ho parecchi impegni, ci vediamo il prossimo anno».Dopo sette giorni ricevo una sua telefonata. Io mi trovo a Palermo, avevo un incarico di “scout man”, l’uomo dei servizi segreti nel petrolio che cerca di sapere cosa fanno le altre compagnie. Mi disse: «Sto partendo per Gela». «Presidente, ma… come mai?». «Poi glielo dico». Arrivai a Gela prima di lui, andai al Motel Agip e mi dissero: «Non atterra qui». L’Agip aveva un aeroporto privato, l’aeroporto di Ponte Olivo, con una pista molto sorvegliata. Ma la sera prima avevano messo una carica di tritolo e rotto la pista per non farlo atterrare, per farlo venire con l’elicottero. E lui dovette atterrare a Catania, arrivò intorno alle 13. Abbiamo parlato di problemi in corso che riguardavano l’Iraq. Nessun libro, dei 300 e rotti pubblicati nel mondo su Mattei, ha mai parlato dell’Iraq. Sapevo che c’era una questione in Iran: non si era riusciti a entrare nel consorzio dopo la caduta di Mossadeq, fatto cadere dagli angloamericani perché aveva nazionalizzato il petrolio (fatto cadere con l’uso dei sicari dell’economia). Mossadeq fu denunziato come se fosse un pazzo, e invece era molto saggio: era presidente del Consiglio del primo governo democratico iraniano, un governo eletto dal popolo.Gli americani tornarono con gli inglesi e riaprirono le compagnie angloamericane, fecero un consorzio e noi siamo stati rifiutati. E Mattei disse: «Andiamoci a prendere il petrolio in Iraq». Che cosa era successo? Io ho conosciuto a Taormina Dino Grandi, ex ministro degli esteri del governo Mussolini, che mi ha informato che nel 1934 l’Agip, fondata nel 1926, era riuscita a ottenere in Iraq il più grande giacimento nell’area di Kirkuk, nell’area curda. Era riuscita per l’abilità di Grandi che venne a patti con gli inglesi, che avevano l’85% del territorio iracheno. Una concessione enorme, con una sessantina di concessioni. L’Iraq è un’invenzione di Churchill, che aveva capito che – tirando una linea, un rettangolo, e unificando sciiti, curdi, sunniti e turcomanni – avrebbe creato un paese in eterno confitto, facilmente governabile e dominabile da un punto di vista coloniale. Dino Grandi diede appoggio all’Inghilterra, perché scadeva il protettorato inglese nel 1934, presso la Società delle Nazioni, la futura Onu. In contropartita, l’Inghilterra accettò che l’Agip rilevasse una piccola società petrolifera, e poi accettò che questa si ingrandisse fino a diventare una concessione importante, che si chiama Mossul Oil Field.E però avvenne che nel 1935 le truppe italiane invadono l’Etiopia, gli inglesi ricattano la Agip, dicono: «Se vuoi che noi interveniamo alla Società delle Nazioni per non fare sanzioni e un embargo petrolifero, ci devi cedere la Mossul Oil Field». Grandi trattò, e alla fine trovarono una soluzione: sarebbe andato a inglesi e americani il 51%, però l’Agip avrebbe mantenuto il 39% e una presenza strategica nella “golden share” della società, cioè avrebbe partecipato alle politiche e alle strategie. Quando Grandi tornò a Roma, Mussolini ebbe paura e disse: «No, cediamo la società, perché gli inglesi poi mi possono giocare un brutto scherzo, e io non posso fermare in Etiopia le truppe con un embargo». Mattei sapeva tutto questo, e dopo che fummo rifiutati dal consorzio iraniano disse: «Andiamoci a prendere il petrolio in Iraq». Si formò un gruppo molto ristretto. Io lavorai con l’équipe che andò in Iraq quando Khassem, nel 1958, abbatté la monarchia irachena di Re Faysal. Khassem venne contattato nel mese di agosto, in una caserma, mentre fuori si sparava. Gli fu portata una credenziale di Mattei, in cui diceva: «Vogliamo fare con voi un contratto paritetico, un partenariato, non un contratto in cui vi vede paese esattore di tasse o di royalty. Facciamolo insieme, facciamo una società paritetica che si occuperà anche di altre cose connesse al petrolio». Lui accettò e disse: «Voglio però prima cacciare via l’Iraq Petroleum Company».E così si iniziò a dare assistenza legale a Khassem esaminando, concessione per concessione, l’Iraq Petroleum Company, per vedere dove questa società aveva mancato. Su 60 e rotti concessioni, la società ne aveva sfruttato solo tre, con un atteggiamento di scorrettezza enorme: si era mantenuta come riserva le altre risorse, privando il popolo iracheno di quelle royalty, ancorché irrisorie. Nel 1962 Khassem revocò le concessioni, queste 57 concessioni, all’Iraq Petroleum Company. Era una bomba! Una delle più grandi compagnie del mondo veniva buttata fuori, perché Khassem avrebbe fatto entrare l’Eni. Seguii da vicino la faccenda, ma non eravamo sicuri di essere sfuggiti ai servizi segreti americani e inglesi, perché in Italia c’era parecchia gente che voleva la fine di Mattei – parecchia. Lui aveva rotto con Fanfani: mandò all’opposizione i fanfaniani siciliani, che non erano gente troppo facile – erano Gioia, Lima. Avevano indirizzato i finanziamenti alla Dc, a Fanfani, a Moro. Era rottura totale, e Fanfani era presidente del Consiglio. Poi c’è la questione Cefis: Mattei lo aveva cacciato fuori, il vicepresidente, che era un uomo dei servizi inglesi.Mattei era isolato, e durante la trattativa ho scoperto, con i documenti avuti, che c’erano stati interventi pesantissimi dell’ambasciata americana e inglese a Roma su Fanfani, per fermare Mattei, e Fanfani ha risposto: «Io Mattei non lo posso fermare, non ho il potere». È una cosa gravissima: «Fermare a ogni costo». Khassem fece una società nazionale per creare poi una società paritetica con noi, fece sapere che voleva dare un annunzio al giornalismo internazionale di questo progetto della costizione della compagnia nazionale: non c’era più influenza esterna. Noi abbiamo detto: «Prendi tempo!». Era il 16 settembre del 1962. E Khassem, per la smania di dimostrare al popolo che stava lavorando per il bene dell’Iraq, rilasciò un’intervista che ci fece gelare. Disse: «Io ho revocato le concessioni all’Iraq Petroleum company e sto realizzando una società paritetica con l’Eni». Ci siamo sentiti persi: era grave, gravissimo. Abbiamo detto a Mattei di stare attento, di non viaggiare più in aereo. E quindi arrivò in Sicilia il giorno 26 ottobre. Eravamo terrorizzati. Io ho detto: «Presidente, non riparta questa sera per Milano. Venga con me, andiamo in campagna, mia moglie ha campagne vicino Palermo. Si riposi, non chiami neanche sua moglie. Un amico andrà a Roma e avviserà sua moglie, ma lo farà in modo privato: per un mese, “faccia finta di…”». Lui disse: «No, devo andare. Devo incontrarmi a Milano con l’onorevole Tremelloni questa sera e poi devo partire, devo fare il contratto con l’Algeria».Era un altro contratto molto osteggiato dagli angloamericani, ma soprattutto da Fanfani perché non voleva che Mattei portasse avanti una politica di rottura nei confronti delle Sette Sorelle (fu Mattei a definirle così, in verità all’inizio voleva dire “sorellastre” ma poi i giornalisti l’hanno modificato). E’ voluto partire lo stesso, Mattei. E quella sera l’aereo è caduto. In Italia abbiamo avuto una porcheria degna di nessun paese al mondo. Quando pubblicai “La grande sfida”, il procuratore Vincenzo Calia di Pavia, zona dove l’aereo è caduto, riaprì l’inchiesta perché la novità era il rapporto Mattei-Kennedy. Indagò con molta serietà, Calia. Ho avuto l’onore di collaborare da vicino con l’avanzamento inchiesta, e si accertò l’avvenuto sabotaggio. Si sono riesumati i corpi di Mattei e Bertuzzi, il pilota, e si sono trovate tracce di esplosivo: Compound 200, un esplosivo molto potente. Si è accertato che l’esplosivo era stato messo sotto i comandi del carrello, e si può fare attraverso il ruotino: si infila la carica con una calamita. La notte tra il 25 e il 26, l’aereo era stato portato dentro l’hangar militare della Nato (quello che vi dico è nell’inchiesta), ed è stato sabotato dai servizi: l’ho scritto. L’aereo, quando il pilota azionò la cloche per scendere, è andato in aria, è esploso.Ebbene, quest’inchiesta, che stava arrivando ai mandanti, già individuati (il magistrato stava acquisendo ulteriori elementi per le prove) è stata archiviata nel 2003. Dicono che Mattei non si sa perché è morto, alcuni dicono in un incidente: è una vergogna che una verità sia stata occultata. Se ammazzano un uomo non succede niente: un paese indegno. (Io ci ho perduto la moglie, nel luglio 2007: una macchina ci ha speronato e mia moglie è morta. Ebbene, chi ci ha speronato – che era ubriaco e drogato – sta passeggiando tranquillo, si diverte, va alle feste. Denunziato per omicidio colposo, ma non succederà niente!). Ritorniamo a Mattei. Archiviata l’inchiesta, io ho fatto un libro in 25 giorni, lavorando notte e giorno, che si chiama “Caso Mattei, un giallo Italiano”. Perché giallo italiano? Perché alla fine è stata gestito da italiani, da uomini per cui l’escalation di Mattei nella politica avrebbe dichiarato la fine politica o manageriale. E poi ho messo in evidenza, da una serie di documenti, un rapporto tra l’assassinio di Kennedy e quello di Mattei. A Catania c’era, quel giorno, Carlos Marcello, che è stato implicato nell’assassinio di Kennedy. Il tutto converge sull’oligarchia britannica – sulla Permidex, controspionaggio inglese.Siamo sempre lì: il centro del mondo nella finanza è Londra, e quindi Mattei ha messo in difficoltà gli inglesi. Kennedy lo stesso, perché ha rotto i rapporti con l’oligarchia britannica della politica a fini finanziari, e ha posto fine alla guerra in Corea senza interpellare gli inglesi. Non ci sono prove, ma c’è un legame comune. Quindi Mattei è stato ucciso, anche se tutti quelli che hanno scritto libri, come Bruno Vespa, dicono è caduto per un incidente aereo. Negli anni ‘90 è accaduto qualcosa di grave, ma i giornali italiani non hanno parlato di nulla perché fanno solo propaganda, poi alla fine le verità vengono negate. E’ successo questo: cade il Muro di Berlino, e il ministro Scotti avverte il capo del governo che manovre strane stavano avvenendo da parte di importanti banche d’affari contro l’economia italiana. Poi ribadisce: me lo ha detto Parisi. Mi ha detto pure che potrebbero avvenire stragi o uccisioni. Nel ‘92 avvenne la strage di Capaci, dove la mafia ha avuto solo un ruolo di supporto militare. Invece è una strage con gruppi di potere più o meno occulto, che prepararono una svolta economica e politica: «Vogliamo sedere in Parlamento, vogliamo governare». Allora l’Italia avvia la svendita dell’economia pubblica.Voglio parlare dell’Eni. Quando finì la guerra si avviò un dibattito tra i cattolici sociali e la sinistra italiana, guidata dai comunisti. Dovevano decidere quale struttura economica si doveva dare lo Stato italiano dopo il fascismo. I cattolici sociali hanno rifiutato il liberismo con una grande intuizione, perché il liberalismo penalizza le classi più deboli e spesso anche la vita della gente. Si creò un compromesso con lo Stato imprenditore che opera con le leggi del mercato in concorrenza, indirizzando in aree depresse anche l’economia privata. Viene privatizzato l’Eni, nel 1994 viene privatizzato l’Iri, altre aziende dello Stato nel campo delle telecomunicazioni. Alla fine di questo scempio, di questa carneficina, si sono divisi tutto. E nessuno ha mai parlato. Un pezzo alla sinistra, un pezzo alla destra: un’operazione scellerata di abbrutimento. L’unica denunzia viene fatta dal movimento civile americano di Lyndon LaRouche, ma Ciampi diventò presidente e tutto fu insabbiato. Tutto il patrimonio immobiliare dell’Eni, stimato in 100.000 miliardi, viene svenduto a un fondo Goldman Sachs. Stranamente, l’uomo che ha condotto questa operazione è stato Mario Draghi, che poi è diventato vicepresidente della Goldman. Non si può accettare, si tratta della logica più miserabile. Io l’ho denunziato, ma non è successo niente.Vorrei tornare su Enrico Mattei, di cui sono stato uno strettissimo collaboratore, per dire che in Italia è avvenuto qualcosa di orrendo, di sporco. Era stata fatta una inchiesta, quando l’aereo precipitò a Bascapè: un’inchiesta vergognosa, fatta da depistaggi e coperture della verità. Un’altra mezza inchiesta era stata subito chiusa. Nel 1994 ho pubblicato un libro con la Mondatori che si chiama “La grande sfida”, e sono riuscito avere documentazioni top secret dagli archivi della Jfk Library di Boston, dall’Eisenhower Library e, con mia sorpresa, ho scoperto che tra Mattei e Kennedy c’era una corrispondenza molto stretta. Dopo la crisi di Suez, quando Inghilterra e Francia erano state invitate dagli Stati Uniti a ritirarsi durante la Guerra di Suez, perché gli Usa temevano uno shock petrolifero, l’Italia avanzò la proposta di coprire un ruolo di nazione strategica, sul Mediterraneo, in sostituzione di Francia e Inghilterra. Kennedy era d’accordo, però bisognava dare stabilità politica al governo italiano, che cambiava ogni due mesi (c’era stata la crisi del governo Tambroni, che durò un mese e mezzo). Per dare stabilità politica bisognava scegliere un uomo e fare riforme. Kennedy esaminò tutti i possibili interlocutori italiani, e li scartò subito: via Fanfani, via Gronchi. E arrivò a Mattei: di lui, Kennedy era affascinato. E iniziarono delle trattative.
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Deutsche Bank: nessuno è stato massacrato quanto l’Italia
Nessuno si è fatto massacrare, in questi anni, come l’Italia. E nessun altro paese europeo, men che meno la Germania, ha “fatto i compiti a casa” così bene, cioè stroncando la spesa pubblica a danno del popolo, in ossequio al diktat dell’austerity. Che poi tutto ciò si possa trasformare in un comportamento “virtuoso”, è questione di punti di vista: per esempio quello di David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank, il cui recente intervento su “Bloomberg Tv” è stato pubblicato col massimo risalto sul blog di Beppe Grillo, come se l’oligarca della maxi-banca speculativa tedesca ci avesse fatto un complimento di quelli che meritano un applauso. Proprio l’enorme «sforzo fiscale» che il nostro paese sta mettendo in atto, da anni, motiva le parole di Folkerts-Landau, secondo Grillo pronunciate «in sostegno all’Italia». Queste: «L’Italia avrebbe un avanzo di bilancio, se non fosse per il pagamento degli interessi. La cosa più straordinaria è che lo sforzo fiscale dell’Italia è oltre ciò che chiunque altro ha fatto in Europa, ed ha accumulato avanzi primari (al netto degli interessi) per il 13% del Pil, mentre la Germania solo per il 5%. L’Italia, in questo senso, è il paese più virtuoso in Europa».Sempre secondo il banchiere, «ora il fatto di andare da lei con una mazza da baseball e dire “Devi diminuire il tuo deficit affinché sia ’sostenibile’ secondo i criteri della Ue” va contro tutte le ragioni e le logiche politiche». Infatti, aggiunge David Folkerts-Landau, «io credo che questa sorta di minaccia, di pressione, da parte della Ue stia radicalizzando la nazione, stia radicalizzando la politica, stia creando un pericolo per l’esistenza dell’Eurozona». E conclude: «Sì, sono fortemente dalla parte degli italiani su questa particolare discussione». Proprio un bel risultato, commenta Paolo Barnard sul suo blog, dove premette: «Sono oltre 25 anni che cerco di insegnare come vince, il Vero Potere. E infatti eccolo di nuovo trionfante su questo governo di falsari e buffoni, e sulle Curva Ultras dei tristi acritici che li hanno votati e che oggi li adorano». Il Vero Potere, aggiunge Barnard, «lavora con un banale mezzo di manipolazione psicologica conosciuto nei rapporti interni di Think Tanks e Ministeri come “psyops”». E’ centrato «su un preciso rapporto punizione-premio, carnefice-vittima». Metafora: è come se fossimo legati a una catena, in un pozzo. Ogni tanto, ci si lascia credere di essere più liberi, grazie a qualche irrisoria concessione.«Coi suoi usuali immensi mezzi – scrive Barnard – il Vero Potere lega la vittima a un muro, in fondo a un pozzo, con un metro di catena al collo». Quando essa il malcapitato inizia a gemere, lo pesta a bastonate e lo minaccia. «Questo va avanti per molto tempo, poi un giorno il Vero Potere recita la farsa di cedere». Ovvero: «Mette in scena una sconfitta fittizia contro la vittima». E le concede «un metro di catena in più, con uno spiraglio di luce». La reazione della vittima, costretta a pane e acqua e «ormai spezzata psicologicamente», sostanzialmente «è di tripudio», visto che ormai «ha perduto ogni senso della realtà e delle proporzioni dell’esistenza». E quindi esulta: «Ho vinto! Libertà! Festeggiamo!». Secondo Barnard, «questo, e precisamente questo, sta accadendo con il governo gialloverde, che proclama trionfi e nuove libertà per gli italiani perché gli è stato concesso un metro di catena in più al collo chiamato deficit di bilancio al 2,4%, sempre nel contesto di nessuna speranza di uscire dall’euro (il pozzo della metafora), che anzi, viene confermato da Conte come il futuro immutabile dell’Italia. La psyop di Bruxelles ha funzionato come un computer».Ma, sempre secondo Barnard, «non esiste luogo dove quest’orripilante farsa – che prende appunto il nome di stravittoria della Ue e patetico vagheggiamento della vittima (l’Italia gialloverde) – è più splendidamente in vista del blog di Beppe Grillo». Il fondatore del Movimento 5 Stelle ha pubblicato quello spezzone d’intervista a Folkerts-Landau, «un scherano della Deutsche Bank», il quale «riafferma pienamente le virtù del pareggio di bilancio italiano nascosto nell’avanzo primario che da anni stiamo facendo, che altro non è se non il micidiale rigore dei conti di Mario Monti, di Padoan e di Cottarelli, ovvero il cianuro dell’economicidio dell’Italia da 15 anni». Ma dato che «il veterano sicario tedesco trova il modo, nel mezzo di quello schifo, di lodare l’Italia e di fingere un rimproverino alla Ue», ecco che Grillo «scrive che il banchiere ha pronunciato “parole in sostegno all’Italia”, e gli dà l’enorme visibilità del suo spazio web». In sostegno?«Lodarci perché ci siamo fatti picchiare a sangue con sale sparso sulle ferite per 15 anni, e aggiungere che il torturatore adesso dovrebbe dismettere la frusta e usare solo le mani per picchiarci, è sostegno a famiglie e aziende italiane? Questo è esattamente il succo delle sue parole, che il genovese trova edificanti per noi», aggiunge Barnard. «Ecco come ci hanno ridotti, ecco il livello di assenza cerebrale di tutti quelli che oggi sbraitano il “cambiamento” e la vittoria di Lega e 5 Stelle. Ed ecco come vince, e stravince, il Vero Potere». E non è tutto, chiosa Barnard: «Per essere precisi, va detto che un blocco in ’sto governo osceno è ben contento del carnefice-Ue, per interessi che ho già spiegato, leggasi Salvini». Tradotto: l’elettorato industriale del nord è ben contento delle pietose condizioni dei lavoratori, indotti dal regime neoliberista e ordoliberista europeo a rassegnarsi a non avere più diritti, ma solo precaria flessibilità. Se Grillo segnala l’esternazione dell’uomo di Deutsche Bank per rompere l’assedio che l’establishment europeo sta muovendo all’Italia, dal canto suo Barnard ribadisce la sua sfiducia espressa sin dalla prima ora nel governo gialloverde, che a suo parere si limita a fingere di sfidare Bruxelles.Nessuno si è fatto massacrare, in questi anni, come l’Italia. E nessun altro paese europeo, men che meno la Germania, ha “fatto i compiti a casa” così bene, cioè stroncando la spesa pubblica a danno del popolo, in ossequio al diktat dell’austerity. Che poi tutto ciò si possa trasformare in un comportamento “virtuoso”, è questione di punti di vista: per esempio quello di David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank, il cui recente intervento su “Bloomberg Tv” è stato pubblicato col massimo risalto sul blog di Beppe Grillo, come se l’oligarca della maxi-banca speculativa tedesca ci avesse fatto un complimento di quelli che meritano un applauso. Proprio l’enorme «sforzo fiscale» che il nostro paese sta mettendo in atto, da anni, motiva le parole di Folkerts-Landau, secondo Grillo pronunciate «in sostegno all’Italia». Queste: «L’Italia avrebbe un avanzo di bilancio, se non fosse per il pagamento degli interessi. La cosa più straordinaria è che lo sforzo fiscale dell’Italia è oltre ciò che chiunque altro ha fatto in Europa, ed ha accumulato avanzi primari (al netto degli interessi) per il 13% del Pil, mentre la Germania solo per il 5%. L’Italia, in questo senso, è il paese più virtuoso in Europa».
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Il Corsera: solo lo spread è reale, il popolo è un’invenzione
Il “Corriere della Sera”, in un editoriale di Angelo Panebianco, è arrivato a sostenere che lo spread è reale, mentre il popolo è un’astrazione, non esiste, se non nella propaganda sovranista. Panebianco rispondeva a una semplificazione demagogica, ma la conclusione a cui portava era questa: il popolo è un’invenzione dei populisti; lo spread, invece, è vero e vivo nel regno della finanza, quindi esiste quasi in natura… Ecco come capovolgere la realtà che ci dice esattamente l’inverso: le difficoltà della gente, il carovita, i disagi popolari, la forte pressione fiscale, la mortificazione delle sovranità popolari e nazionali sono cose reali e realmente vissute, mentre quel coefficiente finanziario è un’entità fittizia, che appare e scompare a comando, usata per colpire i governi sgraditi e non allineati. Tutti i precedenti governi avevano indebitato il paese e sforato i limiti ma solo ad alcuni suona il campanello d’allarme dello spread. Arrivo a dire che lo spread diventa reale, acquista vita, quando si abbatte su un’entità vera, fatta di carne e sangue, che è il popolo.Ma per i cosiddetti giornaloni, compreso un autorevole e solitamente realista politologo come Panebianco, il popolo è una diceria dei populisti, una vanteria dei sovranisti. In ogni caso la vita reale dei popoli è subordinata all’assetto contabile della finanza. Anzi, è considerata retorica fascista evocare il popolo, è un’entità fittizia. Invece l’umanità, la donna, le classi, i gender, i migranti sono reali?… Anche l’Italia è per loro un’astrazione, una truffa retorica e fascistoide; invece l’Europa, la modernità, il progresso, no, perdio, quelle sono Verità Assolute e Incontestabili. Ora a noi la manovra economica che si va profilando non piace, almeno sul versante grillino, e in alcuni tratti – dal reddito di cittadinanza alle pensioni – ci appare veramente odiosa e immorale, quasi un incubo da cui vorremmo svegliarci.Ma un conto è diffidare di chi parla in nome di entità generali, di chi non considera le differenze in seno al “popolo”, di chi fa demagogia egualitaria o di chi crede all’utopia pericolosa dell’autogoverno del popolo; un altro è ritenere che ogni universale, ogni entità generale sia fittizia, mentre la finanza sia la vita autentica. Addio democrazia, politica, città, nazioni allora e addio pensiero, scienza e fede: sono tutte astrazioni universali, di vero c’è solo il debito o il differenziale coi bund tedeschi… Il popolo non esiste mentre lo spread si, perché così hanno stabilito le oligarchie tecno-finanziarie. E il popolo deve pagare anche se non esiste… Ma paga come singolo contribuente. Siamo alla mistificazione assoluta e alla prevaricazione senza appello. Come quando si dice che le nazioni non esistono più da quando c’è l’Unione Europea, salvo poi accollare all’Italia il peso degli sbarchi… Poi vi meravigliate se crescono i populisti.(Mercello Veneziani, “Lo spread esiste, il popolo no”, da “Il Tempo” del 17 ottobre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Il “Corriere della Sera”, in un editoriale di Angelo Panebianco, è arrivato a sostenere che lo spread è reale, mentre il popolo è un’astrazione, non esiste, se non nella propaganda sovranista. Panebianco rispondeva a una semplificazione demagogica, ma la conclusione a cui portava era questa: il popolo è un’invenzione dei populisti; lo spread, invece, è vero e vivo nel regno della finanza, quindi esiste quasi in natura… Ecco come capovolgere la realtà che ci dice esattamente l’inverso: le difficoltà della gente, il carovita, i disagi popolari, la forte pressione fiscale, la mortificazione delle sovranità popolari e nazionali sono cose reali e realmente vissute, mentre quel coefficiente finanziario è un’entità fittizia, che appare e scompare a comando, usata per colpire i governi sgraditi e non allineati. Tutti i precedenti governi avevano indebitato il paese e sforato i limiti ma solo ad alcuni suona il campanello d’allarme dello spread. Arrivo a dire che lo spread diventa reale, acquista vita, quando si abbatte su un’entità vera, fatta di carne e sangue, che è il popolo.
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Il Mago ipnotizza l’Europa: votare non serve, decido solo io
Lucida follia: è tutto sotto i nostri occhi, eppure si nega l’evidenza. Del sistema capitalistico esistono due traduzioni pratiche: enormi fortune per pochi (neoliberismo) o relativo benessere per molti (keynesismo). Più lo Stato spende, a deficit, e più cresce il Pil. Ovvero: consumi, lavoro, risparmi. Di conseguenza: più gettito fiscale, più soldi per il welfare, la previdenza, le pensioni. E’ un fatto intuitivo, oltre che scientificamente e storicamente dimostrato: più si investe, utilizzando il debito pubblico, più la società cresce, nel suo insieme. Se viceversa si chiude il rubinetto pubblico, la situazione precipita: il 99% della popolazione perde terreno, e il restante 1% si arricchisce a dismisura, acquistando a prezzi di saldo beni e aziende, pubbliche e private; si rilevano servizi un tempo pubblici, insieme a imprese strangolate dalle tasse, imposte per pareggiare il bilancio statale. Il gioco della finanza è basato su scommesse truccate: compro oggi a poco prezzo i titoli che domani varranno di colpo moltissimo, visto che so in partenza che i miei complici li faranno “esplodere”, al momento opportuno, organizzando a tavolino una bella crisi. La Grecia è stata letteralmente spolpata, in questo modo, ma anche l’Italia – fatte le debite proporzioni – ha seguito la medesima sorte. Idem gli altri paesi europei, anch’essi governati dai prestanome di un’oligarchia del denaro che detiene tutti i mezzi monetari per manipolare l’economia. La politica è stata sfrattata dal palazzo: la democrazia, svuotata di ogni contenuto, è stata completamente neutralizzata.Di questo dovrebbero parlare, ogni giorno, i media italiani che si avventano come mastini rabbiosi contro il pallido governo gialloverde, scuoiato vivo a reti unificate solo per essersi permesso di innalzare il deficit, sia pure in modo irrisorio – ben al di sotto del tetto (artificioso, ideologico) sancito a Maastricht. Che razza di Europa è, quella di Maastricht? Per quale motivo, dopo un quarto di secolo, è ancora in vigore un trattato palesemente suicida, che ha “gambizzato” una potenza economica mondiale seconda solo agli Usa e alla Cina, seminando crisi e disperazione fino al punto da resuscitare i peggiori nazionalismi del Novecento? Come ragionano, i nostri post-giornalisti? Da dove pensano che provenga l’esasperazione di massa che sta letteralmente gonfiando l’esercito “rossobruno” dei cosiddetti sovranisti? Sta covando un vasto incendio, ormai, e i pompieri sono già al lavoro: l’oligarca Oettinger impone il bavaglio al web in vista delle prossime europee, mentre il collega Draghi minaccia ogni giorno il governo italiano (l’unico a rompere le righe, per ora, nel mortale ordoliberismo che i grassatori hanno imposto ai popoli europei). Impera un’ipocrisia disgustosa: il massimo rigore inflitto ai molti, per proteggere i privilegi di pochissimi, viene spacciato per virtù. Si racconta che il bilancio dello Stato è come quello di una famiglia – come se anche la famiglia potesse battere moneta. Salgono in cattedra economisti che hanno rinnegato il proprio mestiere: di professione, ormai, fanno i maghi.Lo stesso Draghi, prima di salire sul Britannia da cui partì la grande spartizione dell’Italia, era un economista keynesiano: sapeva perfettamente che, senza una robusta dose di deficit, l’economia collassa. Lo sapeva così bene che la sua tesi di laurea, realizzata sotto la guida dell’insigne Federico Caffè, dimostrava – letteralmente – l’insostenibilità tecnica di una eventuale moneta unica europea, che avrebbe inevitabilmente imposto un regime fiscale austeritario, mettendo in crisi il continente. Poi, si sa, il mago Draghi fu promosso: prima di conquistare la poltronissima della Bce aveva presidiato Bankitalia, e come stratega della peggiore banca d’affari del mondo, la famigerata Goldman Sachs, aveva contribuito in modo decisivo (insieme a Carlo Cottarelli, del Fmi) a rovinare la Grecia. Oggi, sempre Draghi – al servizio del grande monopolio finanziario privato che domina l’Europa – si permette di dare consigli al presidente Mattarella su come scoraggiare il governo Conte, regolarmente intimidito anche da Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, teleguidato sempre dall’uomo di Francoforte. Questi signori agitano lo spettro dello spread, come se fosse un fenomeno naturale (e non invece la nota roulette scatenata a comando da poche mani). Chi sono, questi signori? Chi ha consegnato loro tanto potere? Chi ha dato loro la facoltà di annullare, sostanzialmente, il risultato democratico delle elezioni?Nello scenario odierno colpisce la dismisura tra la realtà e la sua narrazione virtuale. L’arma del mago – che manipola il pubblico – è sempre la stessa: la paura. Guai, se osate sforare i parametri della depressione collettiva programmata. Guai, se vi azzardate a espandere il benessere alla struttura sociale, ormai in stato di crescente sofferenza. Giornali e televisioni rilanciano lo stesso messaggio: è giusto avere paura. E’ saggio. Siamo nati, in fondo, per vivere nella paura. La paralisi generale che si ottiene è impressionante. E i maghi, innanzitutto, restano al loro posto. Oggi sono preoccupati, certo, dai primi rumorosi segnali di insofferenza. Se le vituperate masse dovessero malauguratamente svegliarsi, per loro sarebbe finita. Crocifìggono l’Italia per il suo debito pubblico, che viaggia attorno al 130% del Pil, ben sapendo che nessuno chiederà mai conto, a Draghi e ai suoi padroni, del successo di un sistema come quello del Giappone, arrivato al 250% di debito senza colpo ferire, senza disoccupazione, e senza subire nessun tipo di estorsione finanziaria (spread), essendo i giapponesi protetti da una vera banca centrale, che si comporta da prestatore di ultima istanza e garantisce in modo illimitato l’esposizione contabile della nazione.Sanno perfettamente, i maghi neri, che basterebbe la disobbedienza di un solo paese a far crollare l’incantesimo: investendo in modo coraggioso, con un super-deficit strategico (Keynes docet) l’economia si metterebbe automaticamente a volare. E un paese che scoppia di salute, ovvero di futuro, sarebbe preso d’assalto da tutti gli investitori del pianeta. Culmine della follia: i maghi neri trattano l’Italia come fosse il Burundi, e non un grande paese industriale del G8. Uno Stato con duemila miliardi di debito, ma quasi diecimila miliardi di patrimonio, tra risparmi e beni immobiliari. Stiamo parlando dell’Italia, il paradiso turistico tecnologicamente avanzato che detiene il 70% dei beni culturali del mondo. Solo una forma patologica di devastante ipnosi collettiva può consentire al mago e ai suoi compari di insolentire, minacciare, ricattare e derubare una comunità del genere, formata da 60 milioni di cittadini, condannandola a vivere – ancora e sempre – nella paura di perdere tutto. Ma chi è, davvero, Mario Draghi? Chi ce l’ha messo, alla guida della Bce? E chi è Jean-Claude Juncker? In nome di quale Europa questi signori parlano? Quale suffragio popolare ha mai sorretto gli spaventapasseri che a turno sputano minacce dagli uffici di una Commissione Europea che ignora deliberatamente qualsuasi indicazione provenga dall’Europarlamento, unica istituzione elettiva dell’Unione?Il Trattato di Lisbona non è una Costituzione europea, è uno statuto coloniale – con la differenza che, rispetto al colonialismo tradizionale, quello europeo non ha neppure il pregio della terribile visibilità della potenza dominante. Il vero vertice è rappresentato dal celeberrimo “pilota automatico”, che la cupola finanziaria privata utilizza per soggiogare i sudditi, spesso con la cortese collaborazione dei vari gauleiter franco-tedeschi, ai quali viene concesso il tristo privilegio del kapò. Risultato: mezza Europa oggi ce l’ha coi tedeschi, come popolo, per via degli immani crimini sociali commessi da Angela Merkel, mentre tanti italiani ormai detestano i francesi, in blocco, per colpa del loro impresentabile presidente, l’oltraggioso sbruffone Macron, a sua volta mal sopportato dai suoi stessi connazionali, in quanto servitore di poteri oligarchici nemmeno così oscuri. E questa sarebbe oggi l’Europa? Sarebbe questo il giusto habitat politico dove far vivere oltre mezzo miliardo di esseri umani, che ormai si guardano in cagnesco?In questi anni, il mago si è arricchito smisuratamente mentendo ai sudditi, raccontando loro che dovevano rassegnarsi a stare peggio, a rinunciare a crescere come un tempo. La protesta ribolle, in molti paesi, ma il mago non ha un Piano-B: non cambia ricetta, non prospetta alternative alla sua teologia dell’infelicità. Al limite, pensa a come depistare il pubblico, coi soliti sistemi: i media addestrati a ripetere menzogne, i governi frontalmente minacciati di terribili punizioni, i movimenti più irrequieti eventualmente infiltrati da agenti provocatori. Tutto questo accade, ancora, perché a valere sono le regole del mago: è stato lui a raccontare che, impoverendosi, ci si arricchisce. Austerity espansiva, l’ha chiamata. Che è come dire: tutti sappiamo che gli asini volano. Per quanto ancora, il mago, terrà in vita il suo maleficio? Quanto tempo impiegheranno, i popoli europei, a sfrattare i loro parassiti? L’impresa è molto ardua, vista la sproporzione delle forze in campo. Nel 2012, sotto il dominio del mago Monti, l’Italia scrisse nella sua Costituzione che la Terra è piatta, e non gira affatto attorno al Sole. Tecnicamente: pareggio di bilancio. Tradotto: è giusto auto-sabotarsi, amputare il futuro. Perché non viene rimosso, oggi, quel vincolo medievale? Perché non si torna a dire, tanto per cominciare, che la Terra è tonda?La superstizione neoliberista è stata fatta a pezzi dagli economisti democratici e, prima ancora, dalla realtà stessa: il bilancio del sistema neoliberale è una vera e propria catastrofe planetaria. Laddove si è tagliato lo Stato, è crollata anche l’economia privata. Unici beneficiari, gli immensi oligopoli finanziarizzati. Se si abbatte la spesa pubblica, frana l’intero paese. L’hanno capito tutti, ormai. E i primi a saperlo sono proprio loro, i grandi illusionisti: Juncker e Draghi, Merkel, Moscovici, Macron. Per chi lavorano, in realtà? Per quale nuovo ordine feudale? Troppa democrazia fa male, scrivevano negli anni ‘70 i maghi ingaggiati dalla Trilaterale: l’eccesso di democrazia – affermarono, testualmente – si cura restringendo gli spazi democratici, confiscando libertà e diritti. L’Europa è stato il loro grande laboratorio. C’erano ostacoli, al loro piano, ma sono stati rimossi – dall’italiano Aldo Moro allo svedese Olof Palme. Nemmeno i Craxi dovevano più essere in circolazione: diversamente, come riuscire a raccontare che, per ingrassare, bisogna saltare i pasti? Ci si domanda quand’è che torneranno in vigore le regole fisiologiche della vita, al posto di quelle – truccate – dell’illusionista. Per esempio: dove è scritto che l’Europa non possa avere una Costituzione democratica, validata dai suoi popoli? Chi ha stabilito che l’Unione Europea non possa essere affidata a un governo legittimo, regolarmente eletto? Chi l’ha detto che il continente non possa avere un’autentica banca centrale, anziché un istituto privatizzato e gestito da stregoni? Quanto a lungo sarà ancora sopportata, l’insolenza bugiarda del mago?Lucida follia: è tutto sotto i nostri occhi, eppure si nega l’evidenza. Del sistema capitalistico esistono due traduzioni pratiche: enormi fortune per pochi (neoliberismo) o relativo benessere per molti (keynesismo). Più lo Stato spende, a deficit, e più cresce il Pil. Ovvero: consumi, lavoro, risparmi. Di conseguenza: più gettito fiscale, più soldi per il welfare, la previdenza, le pensioni. E’ un fatto intuitivo, oltre che scientificamente e storicamente dimostrato: più si investe, utilizzando il debito pubblico, più la società cresce, nel suo insieme. Se viceversa si chiude il rubinetto pubblico, la situazione precipita: il 99% della popolazione perde terreno, e il restante 1% si arricchisce a dismisura, acquistando a prezzi di saldo beni e aziende, pubbliche e private; si rilevano servizi un tempo pubblici, insieme a imprese strangolate dalle tasse, imposte per pareggiare il bilancio statale. Il gioco della finanza è basato su scommesse truccate: compro oggi a poco prezzo i titoli che domani varranno di colpo moltissimo, visto che so in partenza che i miei complici li faranno “esplodere”, al momento opportuno, organizzando a tavolino una bella crisi. La Grecia è stata letteralmente spolpata, in questo modo, ma anche l’Italia – fatte le debite proporzioni – ha seguito la medesima sorte. Idem gli altri paesi europei, anch’essi governati dai prestanome di un’oligarchia del denaro che detiene tutti i mezzi monetari per manipolare l’economia. La politica è stata sfrattata dal palazzo: la democrazia, svuotata di ogni contenuto, è stata completamente neutralizzata.
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L’inganno della Croce: storia di una religione “inventata”
Si legge questo libro (“L’inganno della Croce”, di Laura Fezia) e ci si chiede: come non concordare? O, quanto meno, come non cominciare a dubitare seriamente? I contenuti sono accurati, frutto di una ricerca che rispetta le regole di quella scienza che si definisce storiografia: tecnica di composizione di opere storiche, fondata sull’interpretazione critica e sulla rielaborazione scientifico-letteraria dei fatti. Questo libro affronta e narra una serie di vicende che della storia hanno fatto scempio; una successione di atti, decisioni, affermazioni, imposizioni che nulla hanno avuto – e hanno – a che vedere con il desiderio di verità così pomposamente proclamato. L’autrice inizia a ripercorrere qui – e promette di proseguire – la nascita e l’affermazione di una istituzione che si perpetua con lo scopo precipuo di nutrire se stessa, il suo potere, la sua ricchezza, fondandoli in modo pretestuoso su basi che di storico hanno poco o nulla. La falsità creata e posta come base per la creazione di quello che appare come il più duraturo ed efficace sistema di potere mai elaborato e imposto: santaromanachiesa, come la definisce Laura Fezia.Bene fa l’autrice a ricordare che il cardinale Paul Marcinkus, braccio destro di Giovanni Paolo II, per rispondere a una domanda sulla sua disinvolta gestione, affermò candidamente: «La Chiesa non si può mandare avanti con le Avemarie!». Evviva la sincerità! Ma noi ci chiediamo: la Chiesa non dovrebbe essere la prima ad affidarsi in via esclusiva alla Provvidenza. A quella stessa provvidenza che viene spesso ricordata ai poveri e ai sofferenti per far sì che vivano nella speranza di un paradiso in cui trascorreranno la loro eternità con quel dio che la Chiesa stessa ha inventato? Perché i poveri e i sofferenti devono supplire con le Avemarie mentre la Chiesa provvede molto più opportunamente ed efficacemente a sostentare se stessa con la ricchezza? L’autrice evidenzia chiaramente che qualcosa non torna: «Questa non è che una delle contraddizioni talmente evidenti che dovrebbero saltare all’occhio di chiunque, ma i cattolici praticanti e convinti, indottrinati da un’abile, martellante propaganda subliminale, oggi come un tempo preferiscono fingere di non vedere e non sapere, ostinandosi a identificare fede e Chiesa».Il dominio sulle coscienze nasce da invenzioni che in una sorta di fabula vengono congegnate e concatenate le une alle altre, appunto come anelli di una catena che imprigiona inesorabilmente chi non vuole, o spesso non può, pensare e agire in conformità a quella autonomia che la nostra struttura intellettuale (presunto dono del presunto dio) consente o consentirebbe, qualora la si volesse esercitare. Le falsità sono tante e Laura Fezia le riporta, evidenzia e sottolinea, con quella determinazione ed efficace capacità di penetrazione analitica che le riconosciamo da sempre. Ci ricorda ad esempio che «di certo, gli evangelisti che ci presenta l’agiografia non sono mai esistiti. L’esigenza di attribuire gli scritti del Nuovo Testamento ad autori precisi, nacque dopo la metà del II secolo, per conferire loro maggiore attendibilità: si andarono allora a pescare dei nomi tra quelli presenti nelle lettere di Paolo e nei Vangeli, si fabbricarono dei falsi, affermando, per esempio, che il Matteo e il Giovanni che erano stati testimoni oculari della vita e della morte di Gesù ne avevano poi compilato personalmente la storia».Tra le tante altre “bufale” – un temine che l’autrice usa nella sua sincera ed efficacissima schiettezza – contenute nei vangeli e che l’autrice esamina con grande capacità di indagine, c’è la prima, fondamento di tutte: «La Fabula Christi che fu inventata scientemente, da quella parte del popolo ebraico che, staccandosi dall’ossessione messianica, ormai chiaramente fallimentare fin dai tempi di Yahweh e Mosè, decise di cambiare registro e sperimentare un altro sistema per liberarsi dalla schiavitù». Una situazione che nasce da lontano, dalla straordinaria “invenzione” del concetto di peccato originale che consentì alla Chiesa di «governare indisturbata le coscienze delle sue pecorelle, sempre più prigioniere di un recinto eretto in maniera tanto astuta da renderle grate al pastore e inconsapevoli della loro schiavitù». Una disamina storica attenta, precisa, documentata ed efficace proprio perché non cede alla facile tentazione del sensazionalismo ma intende portare all’attenzione del lettore una situazione di fatto, evidente e per ciò stesso straordinariamente liberatoria. Questo libro infatti non è esclusivamente destrutturante, non ha lo scopo precipuo di abbattere, se non nella misura in cui questo è necessario, nella certezza che il nuovo può nascere solo dove le catene del vecchio vengono annullate.Dichiara esplicitamente Laura Fezia: «Lo scopo del mio lavoro non è quello di distruggere la fede, che rispetto almeno fino a quando non pretende di condizionare le mie libere scelte, ma di spezzare il perverso binomio che la lega indissolubilmente a un’istituzione che ne ha fatto una velenosa pozione con la quale intorpidire le coscienze». Chi rimane legato all’idea di un dio che è stato palesemente inventato si preclude la possibilità di accedere alla ipotetica e agognata conoscenza del “vero”. Con questa convinzione, con questo fine assolutamente positivo e liberatorio va letto – direi anche studiato e poi in seguito magari periodicamente consultato – questo libro, che è scritto per chi vuole avere elementi per riflettere in modo autonomo, nella convinzione che, in assenza e nella difficoltà di conseguire la verità assoluta, la riconquista della verità storica rende liberi almeno dalle palesi falsità su cui si basa la stessa struttura socio-culturale in cui vive l’Occidente.(Mauro Biglino, “L’inganno della Croce”, dal blog di Biglino del 24 settembre 2018. Il libro: Laura Fezia, “L’inganno della Croce. Come la Chiesa cattolica ha inventato se stessa attraverso menzogne, artifizi e falsi documenti”, UnoEditori – Libri Eretici, 262 pagine, euro 14,90).Si legge questo libro (“L’inganno della Croce”, di Laura Fezia) e ci si chiede: come non concordare? O, quanto meno, come non cominciare a dubitare seriamente? I contenuti sono accurati, frutto di una ricerca che rispetta le regole di quella scienza che si definisce storiografia: tecnica di composizione di opere storiche, fondata sull’interpretazione critica e sulla rielaborazione scientifico-letteraria dei fatti. Questo libro affronta e narra una serie di vicende che della storia hanno fatto scempio; una successione di atti, decisioni, affermazioni, imposizioni che nulla hanno avuto – e hanno – a che vedere con il desiderio di verità così pomposamente proclamato. L’autrice inizia a ripercorrere qui – e promette di proseguire – la nascita e l’affermazione di una istituzione che si perpetua con lo scopo precipuo di nutrire se stessa, il suo potere, la sua ricchezza, fondandoli in modo pretestuoso su basi che di storico hanno poco o nulla. La falsità creata e posta come base per la creazione di quello che appare come il più duraturo ed efficace sistema di potere mai elaborato e imposto: santaromanachiesa, come la definisce Laura Fezia.
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D’Attorre: folle rigore Ue, ma a dirlo sono solo i gialloverdi
In questi giorni ho ricevuto osservazioni anche da persone e compagni che stimo, i quali mi dicono che è sbagliato esprimere sostegno alla scelta del governo di non rispettare il Fiscal Compact e di impegnare più risorse, perché questo impedirebbe poi di esprimere una critica di merito ai contenuti del Def della legge di bilancio. Ecco, a quanti mi hanno rivolto questa osservazione dico che, a mio giudizio, hanno colto l’aspetto decisivo, ma lo hanno esattamente capovolto rispetto al compito politico che abbiamo. Se il 4 marzo segna uno spartiacque, se davvero vogliamo fare i conti con le istanze che gli elettori hanno espresso (anzitutto tantissimi ex elettori di sinistra), se non vogliamo definitivamente chiuderci nel recinto identitario di una sinistra “benpensante” che considera interamente irrecuperabili i quasi due terzi degli elettori che oggi manifestano sostegno al governo, una cosa non possiamo fare: dire che qualcosa è sbagliato solo perché lo fa un governo di cui siamo oppositori.Allora, se conveniamo che una delle ragioni fondamentali della catastrofica sconfitta della sinistra in tutte le sue articolazioni (Pd, LeU, Pap) è stata l’incapacità di trasmettere un messaggio chiaro e coerente sull’insostenibilità economica e democratica degli attuali vincoli europei, il primo passo da compiere è assumere un atteggiamento che su questo tema renda evidente la discontinuità la comprensione della lezione del 4 marzo. Se è così, la precondizione necessaria affinché la critica agli aspetti sbagliati della politica economica del governo torni ad apparire minimamente credibile ai ceti medi e popolari che ci hanno voltato le spalle, è quello di collocarsi dalla parte giusta rispetto allo scontro in atto. E la parte giusta non è quella di Dombrovskis, di Moscovici, di Juncker e di una Commissione Europea ormai priva di qualsiasi credibilità e autorevolezza, dopo quello che ha combinato sulla Grecia e dopo che da anni consente alla Francia di ignorare le regole sul deficit e alla Germania quelle (ancora più importanti) sul surplus commerciale.Solo se renderemo inequivocabilmente chiaro che noi non saremo mai più dalla parte del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio, della favola dell’austerità espansiva, di un’applicazione del regole europee insieme ottusa e discriminatoria, le critiche che dobbiamo fare alla manovra del governo sul fisco, sui rischi di ulteriori tagli a sanità e istruzione pubblica, sul troppo debole rilancio degli investimenti, sulla previsione di nuove privatizzazioni avranno il tono della sincerità e dell’onestà intellettuale. Per essere chiari, la partita politica si può riaprire e si può tornare a contendere il voto popolare alla destra solo se ci mettiamo dal lato del cambiamento, non della restaurazione. L’illusione che basti gridare (peraltro non si capisce da quale pulpito…) alla cialtroneria e all’incompetenza dei nuovi governanti per riconquistare la fiducia degli italiani, per favore, lasciamola a Renzi.(Alfredo D’Attorre, riflessioni su Europa, Pd e “gialloverdi”, riprese sul gruppo Facebook del Movimento Roosevelt. Giovane storico della filosofia e già parlamentare “bersaniano” del Pd, D’Attorre alle ultime elezioni era candidato con “Liberi e Uguali” in Calabria).In questi giorni ho ricevuto osservazioni anche da persone e compagni che stimo, i quali mi dicono che è sbagliato esprimere sostegno alla scelta del governo di non rispettare il Fiscal Compact e di impegnare più risorse, perché questo impedirebbe poi di esprimere una critica di merito ai contenuti del Def della legge di bilancio. Ecco, a quanti mi hanno rivolto questa osservazione dico che, a mio giudizio, hanno colto l’aspetto decisivo, ma lo hanno esattamente capovolto rispetto al compito politico che abbiamo. Se il 4 marzo segna uno spartiacque, se davvero vogliamo fare i conti con le istanze che gli elettori hanno espresso (anzitutto tantissimi ex elettori di sinistra), se non vogliamo definitivamente chiuderci nel recinto identitario di una sinistra “benpensante” che considera interamente irrecuperabili i quasi due terzi degli elettori che oggi manifestano sostegno al governo, una cosa non possiamo fare: dire che qualcosa è sbagliato solo perché lo fa un governo di cui siamo oppositori.
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Ho visto un Re: a piangere è Calabresi, “ferito” da Di Maio
«E sempre allegri bisogna stare», cantava Jannacci, «ché il nostro piangere fa male al Re». Fa male «al ricco e al cardinale», al punto che «diventan tristi se noi piangiam». C’è qualcosa di più insopportabile del vittimismo (grottesco) da parte del potere che “chiàgne e fotte”? Nell’arcaico pantheon medievale evocato dall’immenso cantautore milanese non c’era ancora posto, ovviamente, per il giornalista. Senza contare che allora, nel mitico 1968 – quando quel brano fu composto – erano ancora in circolazione giornalisti veri e propri. Magari non erano infallibili neppure loro, ma si chiamavano Bocca, Biagi, Montanelli. Ciascuno amato o detestato, a seconda delle platee, ma tutti rispettati: non cantavano in nessun coro e, nel caso, “sbagliavano” in proprio, senza prendere ordini dall’editore, dal partito, dall’establihment. Erano i tempi in cui sul “Corriere” scriveva Pasolini. Si era lontani anni luce dalle “carte false” che poi Giampaolo Pansa avrebbe messo alla berlina, denunciando la vocazione al servilismo che avrebbe fatalmente rovinato il giornalismo italiano, trasformandolo in docile strumento di propaganda.Giornali a fari spenti nella notte: tutti addosso ai ladri di polli di Tangentopoli, senza vedere il furto vero e colossale – sovranità, democrazia – messo a segno nel frattempo dall’élite finto-europeista. Oggi è diverso, è persino peggio: non si può più dire che i giornali sbaglino, non vedano, non capiscano. Oggi i giornali picchiano. Malmenano il nemico del padrone, ogni giorno, spudoratamente. Il primo a farlo è “Repubblica”, quotidiano fondato dall’ex fascista e poi socialista Scalfari, quindi a lungo diretto da quell’Ezio Mauro che demolì Berlusconi per i sexgate di Arcore, trasformando l’ultimo premier italiano eletto in qualcosa di cui gli anti-italiani Merkel e Sarkozy potevano ridere, proprio mentre si preparavano a spedire in Italia il loro uomo, Mario Monti, per inguaiare famiglie e aziende mettendo in ginocchio il sistema-Italia, comodamente spolpato da Germania e Francia, tra una risata e l’altra. Ridotta in macerie la politica – il populista Renzi, dopo il “sicario” Monti – oggi la ribellione di un paese scientificamente impoverito, terremotato dall’euro-crisi pilotata dai poteri che controllano la Bce, si esprime in modo grossolano per bocca di Salvini e Di Maio, il quale ha addirittura l’ardire di denunciare apertamente che il Re è nudo: tutto racconta, fuor che la verità. Apriti cielo: l’attuale direttore di “Repubblica”, Sergio Calabresi, apre il fazzoletto.Niente manganello, per una volta, ma fiumi di lacrime: i «nuovi potenti», singhiozza Calabresi, si sono accorti che – grazie al web – oggi «possono sperare di realizzare il sogno di ogni governante della storia: liberarsi dei corpi intermedi, delle critiche e delle domande scomode». Se queste parole fossero lette da archeologi fra tremila anni, e se non fosse più rintracciabile nessuna copia di “Repubblica”, nessuna prima pagina e nessun editoriale, qualcuno potrebbe persino prenderlo sul serio, Calabresi. Cosa ha detto, il mai impeccabile Di Maio? Due verità sacrosante. La prima: i giornali come “Repubblica” non fanno più informazione ma solo propaganda, spacciando “fake news”. La seconda: per fortuna, non li legge più nessuno. Esatto: vendono un terzo, un quarto delle copie che vendevano ai tempi di Biagi, Bocca e Montanelli, all’epoca in cui Ilaria Alpi faceva giornalismo d’inchiesta in Somalia, e in televisione campeggiavano Renzo Arbore e Gianni Minà. Persino i comici facevano pensare: Paolo Villaggio, Cochi e Renato diretti dallo stesso Jannacci (oggi il pubblico deve rassegnarsi a Crozza, che riesce a trasformare in eroe il sindaco di Riace, paragonandolo nientemeno che ai partigiani che “violarono la legge”, quando la legge era quella di Hitler).«Siamo “pericolosi”», dice Di Maio, perché i gialloverdi – raccontando il contrario della versione unilaterale dell’establishment – invadono (con verità insopportabili) quello che i giornali «considerano il loro territorio, la loro prateria». Per fortuna, aggiunge, «ci siamo vaccinati anni fa dalle bufale, dalle “fake news” dei giornali, e si stanno vaccinando anche tanti altri cittadini». Sarà per questo che il sistema sta aumentando le dosi di chemioterapia quotidiana con cui accecare il pubblico? Come spiegare diversamente la mostruosa tecnocrate Elsa Fornero trasformata in guru dell’economia dal valletto Floris, o l’inaudito Cottarelli – uomo del Fmi, coinvolto nella rovina della Grecia – venerato settimanalmente nel felpato salottino di Fazio? Ma il problema non è la fogna a cui è ridotto il mainstream italiano. Macchè, il problema è il minaccioso, terribile Di Maio. «Non abbiamo paura», proclama Calabresi, asciugandosi le lacrime copiosamente sparse. «Siamo preoccupati per noi e per il paese, per lo scadimento del dibattito che avvelena l’opinione pubblica». Lo scadimento di quale dibattito, please? Ai gialloverdi, il mainstream ha solo e sempre tolto il microfono dalle mani, presentandoli come appestati, folli, velleitari, cialtroni, razzisti e sessisti, violenti e scellerati, incompetenti. E’ accaduto l’impensabile, ecco il punto: oggi sono al governo, i mascalzoni. Non potendoli più ignorare, li si prende a cannonate dal mattino alla sera, a reti unificate.Non è cambiato, lo schema del regime insediato in Italia dopo la rimozione forzata, per via giudiziaria, dei politici della Prima Repubblica: ad avere l’ultima parola non sono gli elettori, ma il “vincolo esterno” in base al quale l’oligarchia europea governa l’Italia al posto del governo italiano, sorretta dall’establihment locale (politico, industriale, finanziario e, naturalmente, mediatico). L’algido Ferruccio De Bortoli lancia anatemi e auspica il ritorno alle Crociate: guai, se il governo italiano dovesse spuntarla contro Bruxelles sulla storia del deficit al 2,4%. L’opinione pubblica è strettamente sorvegliata da ex giornalisti come Lilli Gruber, in quota al Bilderberg, come ieri lo era da Monica Maggioni, presidente della Rai, oggi a capo della sezione italiana della Trilaterale. E se alla Rai gli impudenti Salvini e Di Maio riescono a piazzare un non-allineato come Foa, un giornalista indipendente, sono dolori: il mite Marcello Foa diventa, in un battibaleno, una specie di pericoloso terrorista. La sua colpa? Di tanti colleghi, ha la stessa opinione di Di Maio: venduti a un potere che ormai se ne frega, della democrazia. E se qualcosa per una volta va storto, se cioè la democrazia vince davvero, i nuovi eletti vanno abbattuti, anche per dare una lezione ai maledetti italiani che, dopo averli votati, hanno pure il coraggio di continuare a sostenerli.Non c’è bisogno di ricordare che ognuno ha il diritto di coltivare qualsiasi opinione, purché non leda l’altrui libertà. A proposito di Crociate, il conte di Tolosa – che difendeva la libertà di religione nel Midi pre-francese – protestò per la “desmisura” con cui veniva oppresso dal potere vaticano, folle di rabbia per la scelta dei tolosani di difendere i diritti religiosi dei Catari. “Desmisura”, in occitano medievale, significa questo: violare le regole, soffocare l’avversario, negargli la possibilità di esistere come soggetto pensante. Una tentazione totalitaria, che – secondo Simone Weil – in quel drammatico inizio del 1200 gettò il seme velenoso dei peggiori incubi europei dei Novecento. Soffocare le voci altrui: non un fiato, dalle testate dirette da uomini come Calabresi, s’è levato contro l’infame legge europea sul copyright, promossa dal galantuomo tedesco Günther Oettinger. Bavaglio al web: social media e motori di ricerca saranno costretti a bloccare la circolazione di idee scomode. E’ proprio lo stesso Oettinger che disse che sarebbero stati “i mercati”, i signori dello spread, a insegnare agli italiani come votare. Per questo, come cantava Jannacci, è meglio non fidarsi delle lacrime del Re: quello del lupo che si mette a piangere, travestito da agnello, è uno spettacolo esteticamente osceno, prima ancora che ipocrita sul piano politico.«E sempre allegri bisogna stare», cantava Jannacci, «ché il nostro piangere fa male al Re». Fa male «al ricco e al cardinale», al punto che «diventan tristi se noi piangiam». C’è qualcosa di più insopportabile del vittimismo (grottesco) da parte del potere che “chiàgne e fotte”? Nell’arcaico pantheon medievale evocato dall’immenso cantautore milanese non c’era ancora posto, ovviamente, per il giornalista. Senza contare che allora, nel mitico 1968 – quando quel brano fu composto – erano ancora in circolazione giornalisti veri e propri. Magari non erano infallibili neppure loro, ma si chiamavano Bocca, Biagi, Montanelli. Ciascuno amato o detestato, a seconda delle platee, ma tutti rispettati: non cantavano in nessun coro e, nel caso, “sbagliavano” in proprio, senza prendere ordini dall’editore, dal partito, dall’establihment. Erano i tempi in cui sul “Corriere” scriveva Pasolini. Si era lontani anni luce dalle “carte false” che poi Giampaolo Pansa avrebbe messo alla berlina, denunciando la vocazione al servilismo destinata a rovinare fatalmente il giornalismo italiano, trasformandolo in docile strumento di propaganda.
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Vaccinare ragazzi e nonni, o niente più esenzioni sul ticket?
Si chiama “vaccinazione universale”, e ha un sapore sinistramente orwelliano: negli Usa, prevede che siano immunizzati i neonati – ad appena 6 ore di vita – dal virus dell’epatite B, che si può contrarre solo per via sessuale o attraverso aghi infetti. «E’ pieno, infatti, di neonati che ad appena 6 ore dal parto vanno in giro a fare sesso o a iniettarsi eroina». Una garanzia: «I piccoli incorporano veleni che possono danneggiargli il cervello in modo anche irriversibile, non avendo ancora un sistema immunitario bilanciato». Massimo Mazzucco, ovvero: viaggio – virtuale, ma non troppo – nell’incubo che ha invaso di colpo la mente di milioni di italiani, dopo l’adozione del decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale. «Prima, dei 4 vaccini obbligatori non parlava nessuno», ricorda Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Poi, all’improvviso, le vaccinazioni divenute improvvisamente obbligatorie (in prima battuta addirittura 12, e senza alcuna emergenza sanitaria in corso) sono state recepite come un fatto fisiologico, quasi naturale, al quale semplicemente arrendersi». Fino al delirio che ora sembra contagiare lo stesso governo gialloverde: lungi dall’abrogare la filosofia della legge Lorenzin, il grillino Stefano Patuanelli sta lavorando a un decreto legge che, si dice, potrebbe anche sfociare in qualcosa di persino peggiore: per esempio, l’obbligo vaccinale esteso agli anziani, pena la perdita dell’esenzione dai ticket sanitari.Niente di ufficiale, per ora (solo voci allarmate) sul testo a cui Patuanelli sta lavorando, insieme ai leghisti Massmiliano Romeo e Sonia Fregolent. Secondo indiscrezioni, il decreto legge potrebbe «estendere l’obbligo vaccinale ad adolescenti e anziani, ed escludere dalle scuole i bambini e e gli adolescenti non vaccinati», riferisce Frabetti. Gli anziani inadempienti verrebbero privati dell’esenzione sul ticket sanitario e, se poveri, “condannati” a morire di malattia? «Tale aborto giuridico, ben peggiore del decreto Lorenzin, dovrebbe essere pronto a breve», si legge da più parti sul web. Unico organismo con potere di veto, la commissione sanità. Mostruosità legislative a parte, «si punta in ogni caso a una promozione dei vaccini per raggiungere la massima copertura vaccinale e si istituisce l’anagrafe vaccinale nazionale, in atto». Esagerazioni? «Che ci sia ormai una spinta a livello mondiale per arrivare alla vaccinazione globale, obbligando tutti a vaccinarsi, è ormai evidente», premette Massimo Mazzucco, nella video-chat settimanale “Mazzucco Live”, con Frabetti. «Una volta stabilito che puoi imporre un obbligo, dopo devi solo decidere quali penalità infliggere a chi non lo rispetta: il ticket, appunto, o magari il mancato rinnovo della patente di guida».Secondo il video-reporter milanese, autore di clamorose denunce (dall’11 Settembre alle cure alternative per il tumore, fino alle immagini manipolate dello “sbarco sulla Luna”), abbiamo varcato il Rubicone: «Nel momento in cui accetti il principio che si può obbligare una popolazione intera a inserire qualche sostanza nel proprio corpo, per legge, hai abbattuto una barriera enorme: dopo di quella hai davanti delle praterie, perché a quel punto puoi obbligare tutti a fare di tutto. Teoricamente domattina potresti obbligare tutti a mandar giù 4 aspirine, pena il divieto di prendere l’autobus. Volendo, teoricamente, puoi arrivare a tutto». Tra l’altro, aggiunge Mazzucco, «siamo di fronte a un muro di ignoranza mostruosa». Mazzucco consiglia a tutti la lettura del saggio “Il vaccino non è un’opinione”, opera di Roberto Burioni, il medico esaltato dei media come nemico numero uno dei “Free Vax”. Per avere un’idea di quello che il libro contiene, dice Mazzucco, basta leggere la quarta di copertina. Testualmente: “La Terra è tonda, la benzina è infiammabile, i vaccini non provocano l’autismo”. Punto. «Ecco fin dove è scesa l’informazione ufficiale, su un tema più che controverso come quello dei rischi connessi all’abuso vaccinale, citato da tantissime autorevoli fonti sanitarie, statistiche alla mano».Una verità emersa in modo catastrofico anche dal lavoro della commissione difesa: quattromila militari italiani gravemente malati, e mille già morti (per colpa dell’esposizione a materiali tossici ma anche a causa di vaccini somministrati senza precauzioni, in assenza di test per verificare le capacità di tolleranza dell’organismo). Ma, se uno dà a retta a Burioni, è come se la “strage silenziosa” dei soldati non esistesse proprio. «Questa è la posizione della scienza ufficiale», sottolinea Mazzucco. «Capite che, se non si fa niente, prima di tutto per dimostrare a livello scientifico i danni da vaccino, non si può eliminare il concetto dell’obbligo. E se non lo elimini per i bambini, il rischio resta anche per gli adulti». Vaccinazione universale? Estensione dell’obbligo a ragazzi e pensionati? «Che ci riescano o meno con questo Ddl non lo so – dice Mazzucco – ma è tragico che la spinta sia comunque in questa direzione, ormai è evidente. Dal momento in cui abbatti il muro dell’obbligo, e lo Stato può imporre al cittadino di inserire nel suo corpo quello che vogliono loro, a quel punto è solo questione di capire quali misure possono usare per obbligarti a farlo. Diventa un ricatto».Nel pianeta-vaccini, che prima del decreto Lorenzin era come se non ci fosse, è comparsa all’improvviso anche la problematica dei bambini immunodepressi, presentata come insormontabile. «La storia degli immunodepressi è ridicola di per sé», sostiene Mazzucco. «Sono circa 10.000 in tutta Italia, e tu per 10.000 bambini vai a vaccinare obbligatoriamente non so quanti milioni di bambini? C’è già una sproporzione pazzesca tra rischio e beneficio. Ma poi – aggiunge Mazzucco – non dicono che l’immunodepresso può essere colpito da qualunque virus, trasportato da qualunque persona. Quindi, se fosse vero che tu vuoi difendere gli immunodepressi, dovresti far vaccinare anche insegnanti, bidelli, inservienti, operatori delle mense. Come mai se ne sono dimenticati? Semplice: perché il loro “target” non era affatto la protezione dell’immunodepresso, ma solo di usare la scusa dell’immunodepresso per arrivare all’obbligo vaccinale. Perché infatti non vaccinare anche gli adulti che lavorano nella scuola? Nessuno sa rispondere a questa domanda».Gli stessi docenti hanno protestato, di fronte all’ipotesi di essere vaccinati a loro volta. «Già, chissà perché. Loro sanno “leggere e scrivere”: molto più delle mamme, spesso sprovvedute, che cascano nella propaganda del nostro amico Burioni». Era successa la stessa cosa negli Usa, ricorda Mazzucco, quando c’era stata la famosa crisi dell’influenza “suina”. «Volevano immunizzare anche gli operatori sanitari negli ospedali. E invece, medici e infermieri si sono ribellati: non volevano saperne, di vaccinarsi. Erano perfettamente al corrente del fatto che il vaccino comporta dei rischi». Lo conferma la rivista “Focus”, che già nel 2017 documenta la “renitenza” dei sanitari di fronte alla prospettiva di vaccinarsi. «Ma “Focus” parla solo dell’efficacia dei vaccini messa in dubbio dai medici, si guarda bene dall’ammettere che i medici evitano i vaccini perché ne hanno paura». E’ lo stesso motivo, aggiunge Mazzucco, per cui – secondo recenti sondaggi – il 70-80% degli oncologi non si sottoporrebbero mai alla chemioterapia, se fossero malati di cancro. «Ai loro pazienti la impongono, nei protocolli, insieme alla radioterapia. Ma loro non se la somministrano, chissà perché». Curioso, no? «Se la gente fosse un po’ più attenta a queste notizie, capirebbe molte più cose, e in molto meno tempo».Si chiama “vaccinazione universale”, e ha un sapore sinistramente orwelliano: negli Usa, prevede che siano immunizzati i neonati – ad appena 6 ore di vita – dal virus dell’epatite B, che si può contrarre solo per via sessuale o attraverso aghi infetti. «E’ pieno, infatti, di neonati che ad appena 6 ore dal parto vanno in giro a fare sesso o a iniettarsi eroina». Una garanzia: «I piccoli incorporano veleni che possono danneggiargli il cervello in modo anche irriversibile, non avendo ancora un sistema immunitario bilanciato». Massimo Mazzucco, ovvero: viaggio – virtuale, ma non troppo – nell’incubo che ha invaso di colpo la mente di milioni di italiani, dopo l’adozione del decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale. «Prima, dei 4 vaccini obbligatori non parlava nessuno», ricorda Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Poi, all’improvviso, le vaccinazioni divenute improvvisamente obbligatorie (in prima battuta addirittura 12, e senza alcuna emergenza sanitaria in corso) sono state recepite come un fatto fisiologico, quasi naturale, al quale semplicemente arrendersi». Fino al delirio che ora sembra contagiare lo stesso governo gialloverde: lungi dall’abrogare la filosofia della legge Lorenzin, il grillino Stefano Patuanelli sta lavorando a un decreto legge che, si dice, potrebbe anche sfociare in qualcosa di persino peggiore: per esempio, l’obbligo vaccinale esteso agli anziani, pena la perdita dell’esenzione dai ticket sanitari.