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Carpeoro: ucciso il socialismo, era l’antidoto all’orrore Ue
Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.Alla tragedia del leader socialdemocratico svedese, ucciso a Stoccolma nel 1986 da un killer mai identificato, Carpeoro ha dedicato lunghe pagine del suo lavoro sui legami occulti tra massoneria, servizi segreti e terroristi (il sistema della “sovragestione”). Ed è tornato sul tema a margine del simposio “Le forme della democrazia”, promosso dal Movimento Roosevelt, fondato da Gioele Magaldi. Cos’è stato, il socialismo? Cos’è oggi, e cosa potrebbe essere domani? «Non è stato un pensiero statico, ha avuto un’evoluzione storica, politica», e ora è stato letteralmente rimosso. «Da dov’era partito, il socialismo? Da molto lontano», esordisce Carpeoro: da un periodo di grande riflessione spirituale. «Senza scomodare i Rosacroce», già nel ‘600 si trovano svariate opere proto-socialiste: “Utopia” di Tommaso Moro, “La città del sole” di Tommaso Campanella, “La nuova Atlantide” di Francesco Bacone. Fino ad arrivare a opere meno conosciute, come quelle di Johann Valentin Andreae, presunto autore dei manifesti rosacrociani dell’epoca, che chiude la sua esistenza scrivendo “Christianopolis”, dove racconta il naufragio in un’isola (Caphar Salama) che viene governata in maniera socialista.«Perché la chiamo socialista? Perché una serie di capisaldi di queste opere caratterizzeranno la fase che Marx, con intento quasi spregiatorio, chiamerà “socialismo utopistico”». Ma la parola “utopia”, ricorda Carpeoro, non esisteva nemmeno, prima di Tommaso Moro. «L’ha inventata lui. E’ un neologismo di origine greca, significa “non luogo”. Lo stesso Marx, dunque, citando il “socialismo utopistico”, si richiama a Tommaso Moro». E come nasce, il socialismo utopistico? Ha varie declinazioni: è anarchica quella di Pierre-Joseph Proudhon, quasi mistica quella di Henri de Saint-Simon. Ci sono interpretazioni più pragmatiche, e c’è una declinazione, «forse la più illuminata», che è quella di Auguste Blanqui. «Ma in tutte queste declinazioni ci sono i capisaldi di quello che, secondo gli utopisti del ‘600, doveva essere lo Stato perfetto, la comunità perfetta, con l’abolizione della proprietà privata». In sostanza, «si cominciava a riconoscere il diritto delle persone a vivere secondo dignità e aspettative». Perché questi diritti vengano finalmente riconosciuti in modo istituzionale ci vorrà Eleanor Roosevelt, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alle Nazioni Unite nel 1948. «Ma queste idee erano state in qualche modo anticipate già quattro secoli prima». Giustizia e libertà. Tradotto: una società che riconosca il giusto a ognuno, dando a ciascuno la possibilità di scegliere. «Sembra una cosa semplice, no? Eppure, noi ancora non l’abbiamo creata, una società così».Nella sua storia, aggiunge Carpeoro, il movimento socialista si è continuamente frammentato. Lo dimostra la stessa storia del Psi italiano, fondato a Genova nel 1892 da Filippo Turati, «che sarà forse il socialista più coerente», fedele all’impostazione iniziale del progetto ottocentesco, rivoluzionario. Obiettivo: la “guerra” alla società classista del sistema capitalistico, che sottomette e sfrutta contadini e operai. Due mosse: prima la rivoluzione, per abbattere il sistema padronale, e poi l’abolizione delle classi sociali. Come? “Socializzando” i mezzi di produzione, l’economia, le industrie, e distribuendo le terre ai contadini. Poi irrompe Marx, che «istituzionalizza questa sorta di diagnosi», e pensa a come realizzare il disegno rivoluzionario e la fase successiva. «Marx chiama tutto questo “socialismo scientifico”, da contrapporre a quello che lui, disprezzandolo un po’, chiamava “socialismo utopistico”». Ma l’obiettivo, aggiunge Carpeoro, non era forse arrivare comunque all’utopia? «L’eliminazione delle classi cos’è, se non la realizzazione di “Utopia”, della “Nuova Atlantide”, della “Città del Sole”?». In ogni caso, poteva il “fiume” socialista restare interamente ancorato a questo schema? No, ovviamente. E così cominciano le divisioni.«La prima scissione, nel mondo socialista, è quella degli anarchici», ricorda Carpeoro. «Per loro non esiste la fase intermedia, si annulla tutto: nella loro visione, la dissoluzione dello Stato capitalistico è una fase contestuale all’impulso rivoluzionario». Poco dopo, vanno per la loro strada anche i comunisti: «Hanno una visione schematica, per la quale bisogna arrivare con quei passaggi, alla soluzione», che è sempre rivoluzionaria. Rimane il nucleo socialista, che – in Italia come in Europa – si divide a sua volta: nascono i “riformisti”, che restano anti-capitalisti e combattono per la giustizia sociale, ma rinunciano alla rivoluzione come mezzo per ottenerla. Poi ci sono quelli che, successivamente, si chiameranno “socialdemocratici”, come Leonida Bissolati, «i quali aboliscono anche il passaggio finale, l’abbattimento del capitalismo», e quando poi si radicheranno anche nel Pci prenderanno il nome di “miglioristi”. Secondo loro è irrealistica la rinuncia al sistema liberale. Semmai, il capitalismo va corretto con continue migliorie, per guarirne le distorsioni. Nell’800 c’era stato anche il filone dei “socialisti libertari”, che «declineranno il socialismo esclusivamente all’interno dei diritti civili e delle libertà, senza più occuparsi di strategie di governo».Il socialismo libertario, spiega Carperoro, era ciò che era rimasto di un’ulteriore scissione, quella di Mazzini: litigando con Garibaldi, l’ideologo del Risorgimento si era portato via «quel nucleo che poi diventerà l’area laica», repubblicani e Partito d’Azione). Ma, superata la tragedia della Prima Guerra Mondiale – intervisti, neutralisti – e poi il blackout planetario del nazifascismo, nel dopoguerra «dagli anni ‘70 in poi, l’unica direttiva che lentamente si afferma, nel socialismo, è quella socialdemocratica», alimentata anche dalla guerra fredda: nel fatidico 1956 il leader sovietico Khrushev alimenta grandi speranze con la denuncia dei crimini di Stalin, ma nello stesso anno non riesce a evitare la sanguinosa repressione della rivolta popolare scoppiata in Unghieria, replicata nel ‘68 con il soffocamento della “Primavera di Praga”. «In realtà – prosegue Carpeoro – si avvia quella che nel ‘70 si chiamerà “terza via”, cioè la possibilità di trovare una composizione della società, correggendone le deviazioni, verso una maggiore giustizia sociale: cosa che la socialdemocrazia europea considerava assolutamente irrinunciabile».E questa linea, particolarmente efficace perché moderata nelle forme quanto incisiva nei contenuti, «trova un eroe assolutamente straordinario», anche se è «un personaggio di cui non parla mai nessuno». Straordinario «da tutti i punti di vista (anche dal mio, perché era massone come me)», ammette Carpeoro, parlando di Olof Palme. «E’ stato uno dei personaggi più fulgidi del ‘900. Vi invito a leggere i suoi scritti, e soprattutto a rimetterlo sulle bandiere». Il leader svedese, intanto, «è la prima vittima di una congiura contro il socialismo». Attenzione: «Nell’arco di vent’anni, i grandi leader socialisti europei vengono tutti cancellati, in circostanze ambigue. Olof Palme viene ucciso mentre è presidente del Consiglio, in Svezia. E non è che ne sia parlato molto in Europa. Ancora oggi si parla di Che Guevara, non di Olof Palme. Ma è un eroe». E viene ucciso da killer rispetto ai quali «emergono connessioni con ambienti dell’estrema destra e anche, purtroppo, della massoneria: in un telegramma piuttosto equivoco, alla vigilia dell’attentato, Licio Gelli scrive a un parlamentare americano, Philip Guarino, che nel giro di pochi giorni “la palma svedese” sarebbe “caduta”, come la Svezia pullulasse di palme».Lo stesso Craxi, ricorda Carperoro, vinse lo storico congresso del Psi al Midas, da cui nacque la sua leadership, «con un programma che al 50% era quello di Olof Palme, che era il padre nobile di tutti questi socialisti europei». Poi ovviamente «ognuno è libero di considerare i seguaci degni o non degni, ma resta il fatto che Palme aveva dato un programma socialista all’Europa». Dopo il drammatico “avvertimento” rappresentato dall’omicidio di Stoccolma, nessuno dei seguaci di Palme gli sopravviverà – politicamente, quantomeno. «Craxi, in circostanze che non riesco a considerare nitide (e con tutti i suoi errori, certo) viene comunque rimosso dalla vita politica italiana. Poi viene rimosso Mitterrand, in Francia. E viene rimosso Schmidt in Germania, con uno scandaletto. E pensate che, dopo tutte queste concatenazioni nel giro di pochi anni, poi la si faccia casualmente, l’Europa unita, nel modo in cui è stata fatta?». Per Carpeoro, c’è poco da cianciare di complottismo: «Sono stati eliminati i vertici di un movimento politico che aveva un capofila importante».Palme, già attivissimo come leader del suo partito, ha poi svolto due mandati come presidente del Consiglio, in Svezia, «e il secondo l’ha fatto coram populo». Disse: «Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli le unghie ogni tanto». E’ questo il ruolo del socialismo, sottolinea Carpeoro: «Per questo il socialismo è necessario, è indispensabile a questa società. Anche perché, senza socialismo (come, del resto, senza liberismo) questa società non può camminare. Deve avere due ruote, un polo conservatore e un polo progressista. E possibilmente, questi due poli devono essere talmente di qualità che il fatto che si possano alternare al potere deve dipendere solo dalle condizioni del momento». Il liberismo sfrenato? «Non ha fatto male, all’America, appena è stato introdotto da Reagan. Poi però ci si doveva fermare. Se qualcuno ti progetta un regime oligarchico ultraliberista e senza regole per vent’anni, ti vuoi meravigliare se poi il risultato sono le banche che saltano, i soldi che non viaggiano, l’economia che non gira? E’ una forma di staticità della società, e la società non può essere statica».Di fronte alla drastica possibilità di nazionalizzare le aziende, Olof Palme adottò una soluzione intermedia, ispirata alla teoria dell’economista Rudolf Meidner: una quota ai lavoratori, una quota di controllo allo Stato e una quota al privato. «Non per tutto: solo per le aziende in difficoltà. E ha funzionato, in Svezia. Il problema è che poi Palme l’hanno ammazzato». E in Italia? «Se avessero adottato lo schema Meidner, anche da noi, forse molte aziende in difficoltà sarebbero sopravvissute, e i sacrifici richiesti alle nostre maestranze sarebbero stati vissuti in maniera diversa». Non c’è bisogno di tornare all’antico, all’assistenzialismo dell’Iri, basterebbe la leva dei benefici fiscali, alla portata di uno Stato che possedesse quote di aziende. Perché nonè successo? «Perché noi non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che Palme ha osato fare, in Svezia, dal ‘69 in poi». Rimettere mano, oggi, alla “contaminazione” socialista? Assolutamente sì, come stimolo ideologico: «Progetto e ideologia sono la stessa cosa: non puoi fare un progetto se non hai un’ideologia. E l’aver trasformato l’ideologia in un insulto è la riprova che a questo sistema, le cose che hanno idee, fanno paura. Il potere le teme, vuole cose senza idee. Vogliono un encefalogramma piatto come quello di Renzi, dove non ci sono onde».Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.
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La Rowling: solo il fallimento ci insegna il potere della vita
Ho deciso di parlare dei vantaggi del fallimento. E voglio esaltare l’importanza fondamentale dell’immaginazione. Mezza vita fa, quando avevo 21 anni, ero convinta che l’unica cosa che avrei voluto fare era scrivere romanzi. Tuttavia, i miei genitori, entrambi provenienti da un ambiente povero (nessuno di loro era stato all’università) pensavano che la mia immaginazione iperattiva fosse solo un hobby divertente, che mai avrebbe pagato un’ipoteca o assicurato una pensione. Ora so che l’ironia colpisce con la forza di un’incudine, come nei cartoni animati. Così, i miei speravano che avrei preso una laurea professionale, mentre io volevo studiare la letteratura inglese. Fu raggiunto un compromesso, che poi non ha soddisfatto nessuno. Non ricordo di aver mai detto ai miei che stavo studiano i classici: l’avrebbero scoperto solo il giorno della laurea. Di tutte le materie pratiche di questo pianeta, non sarebbe stato facile trovarne una meno utile della mitologia greca. Chiarisco, tra parentesi, che non biasimo i miei: c’è una data di scadenza, entro la quale i genitori possono guidarti nella direzione sbagliata, ma dal momento in cui sei abbastanza grande per prendere il timone, la responsabilità è tua. Inoltre, non posso criticarli per aver sperato che non avrei mai sperimentato la povertà. Erano stati poveri, e lo sono stata anch’io. E sono d’accordo con loro: la povertà non è un’esperienza che nobiliti.
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Magaldi: 25 aprile, niente da festeggiare. Nemmeno a Parigi
«Come si fa a celebrare il 25 aprile, continuando a restare indifferenti alla macelleria sociale in atto e allo svuotamento della democrazia?». Gioele Magaldi considera «stucchevole retorica» quella che si nasconde in tanta ipocrisia, riproposta in salsa “antifascista” ma senza spendere una parola sul “totalitarismo” di oggi, quello dell’élite tecnocratica e finanziaria che sta spolpando l’Italia e l’Europa. Piuttosto, bisognerebbe creare le condizioni per poter «celebrare la liberazione di oggi e quella di domani», di cui peraltro non ci sono avvisaglie nemmeno nella Francia che ha appena piazzato Emmanuel Macron in “pole position”, in vista del ballottaggio per le presidenziali del 7 maggio. Macron, il canditato dell’élite targato Rothschild? «Farà piangere i francesi: sarà anche peggio di Sarkozy e Hollande, di cui è il perfetto continuatore». Il problema? Sta nel sistema politico transalpino, giunto alla paralisi: partiti che si annullano a vicenda, tutti fermi attorno al 20%, mentre l’unica vera alternativa in campo – Marine Le Pen – fa ancora troppa paura, nonostante i lodevoli sforzi per far dimenticare il passato fascistoide del Front National. Verdetto già scritto, dunque: «Vincerà Macron, gli avversari della Le Pen giocheranno sul velluto. Ed è una pessima notizia, per i francesi».Un vero peccato, aggiunge Magaldi, in collegamento con David Gramiccioli di “Colors Radio”, perché Marine Le Pen «ha compiuto una grande evoluzione, decisamente apprezzabile: il Front National non è più quello di un tempo, si è laicizzato, anche al prezzo del duro scontro con il fondatore Jean-Marie Le Pen, padre di Marine». Magaldi è autore del saggio “Massoni” e presiede il Movimento Roosevelt, soggetto “metapartitico” che ora guarda con interesse a Michele Emiliano, condividendo le critiche al sistema Ue e l’apertura al dialogo con i 5 Stelle. «Io rispetto Marine Le Pen», insiste: «Trovo condivisibili alcune sue idee, altre meno. Certo, non l’avrei votata. Ma meno che mai avrei votato per Macron, canditato accuratamente “fabbricato” lasciare la situazione della Francia esattamente com’è». In questo, ammette Magaldi, bisogna “ringraziare” anche le massonerie transalpine, coalizzate contro la Le Pen «per via di antiche ruggini tra la libera muratoria e la destra nazionalista francese». Ripensamenti, tra i grembiulini? Magaldi lo spera: «Data la sconfitta dei raggruppamenti tradizionali, destra e sinistra, forse si avvicina la possibilità di nuove alchimie. E conto molto sul fatto che parecchi massoni, finora sul fronte conservatore, cambino idea e si schierino con i progressisti». Ma il futuro immediato resta grigio.Per Magaldi, paradossalmente, l’Italia è messa meno peggio: pur nel suo caos, il Belpaese potrebbe partorire idee e soluzioni rompendo vecchi schemi, operazione che in Francia, invece, sembra ancora impossibile. «Dell’enorme frammentazione politica – dice – può stupirsi solo chi non ha seguito il sistematico, scientifico disgregarsi della proposta politica socialista, defintivamente naufragata con l’imprensentabile Hollande». L’attuale candidato socialista, «il povero Benoît Hamon», ha tentato di giocare in conttrotendenza «rispolverando temi da sinistra radicale, istanze sociali avanzate, come del resto aveva fatto lo stesso Hollande, all’epoca». E’ colpa di Hollande, non di Hamon, se il Ps è stato umiliato con appena il 6,3% dei voti. «Hollande – continua Magaldi – si era candidato come campione anti-merkeliano per un diverso paradigma europeo. Poi invece ha tradito il patto col popolo e si è ridotto al ruolo di cagnolino, di pecorone: peggio ancora di Sarkozy, che almeno aveva espresso una sua personalità precisa». E’ così che si è arrivati a Macron, continua Magaldi: il candidato “made in Rotschild” «non regala fremiti, non ha alcun appeal: è stato costruito a tavolino, sapientemente, con grandi finanziamenti».Obiettivo dell’operazione-Macron: portare all’Eliseo una fotocopia dei predecessori, entrambi proni ai voleri del super-potere finanziario europeo. Macron sarebbe un docile continuatore del sedicente neogollista Sarkozy e del finto-socialista Hollande: prolungherebbe la politica di rigore, senza soluzione di continuità. «Ma se il sistema politico francese è così bloccato – aggiunge Magaldi – la responsabilità è anche di Marine Le Pen: se l’alternativa all’euro-sistema dei diktat è lei, alla fine la maggioranza le preferità Macron, come quando gli elettori si coalizzarono e votarono Chirac, turandosi il naso, pur di sbarrare la strada a Jean-Marie Le Pen». Se la signora del Front National non è ancora abbastanza rassicurante per la maggioranza dei francesi, tantomeno – e lo si è visto al primo turno – lo sono gli uomini del Ps: «Per avere un progetto politico vincente e percepito come appetibile – conclude Magaldi – bisogna creare tutt’altra narrazione, lontana anni luce dall’atteggiamento fasullo e fellone dei socialisti francesi». Morale: «Dopo aver avuto Hollande per cinque anni, con Macron il malinteso continuerà: e per i francesi ci sarà ancora più da piangere».«Come si fa a celebrare il 25 aprile, continuando a restare indifferenti alla macelleria sociale in atto e allo svuotamento della democrazia?». Gioele Magaldi considera «stucchevole retorica» quella che si nasconde in tanta ipocrisia, spesso riproposta in salsa “antifascista” ma senza spendere una parola sul “totalitarismo” di oggi, quello dell’élite tecnocratica e finanziaria che sta spolpando l’Italia e l’Europa. Piuttosto, bisognerebbe creare le condizioni per poter «celebrare la liberazione di oggi e quella di domani», di cui peraltro non ci sono avvisaglie nemmeno nella Francia che ha appena piazzato Emmanuel Macron in “pole position”, in vista del ballottaggio per le presidenziali del 7 maggio. Macron, il candidato dell’élite targato Rothschild? «Farà piangere i francesi: sarà anche peggio di Sarkozy e Hollande, di cui è il perfetto continuatore». Il problema? Sta nel sistema politico transalpino, giunto alla paralisi: partiti che si annullano a vicenda, tutti fermi attorno al 20%, mentre l’unica vera alternativa in campo – Marine Le Pen – fa ancora troppa paura, nonostante i lodevoli sforzi per far dimenticare il passato fascistoide del Front National. Verdetto già scritto, dunque: «Vincerà Macron, gli avversari della Le Pen giocheranno sul velluto. Ed è una pessima notizia, per i francesi».
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Attali, supermassone oligarchico: Macron, una mia creatura
Emmanuel Macron è una mia creatura, rivela. E sottolinea: «Sono molto felice. Il suo primo posto è un risultato insperato fino a poche settimane fa». Autore dell’esternazione: Jacques Attali, uomo-ombra del vero potere europeo, tra i massimi strateghi (sul versante francese) del sistema euro-Ue. Paolo Barnard lo ha definito «il maestro di Massimo D’Alema, che quand’era a Palazzo Chigi si vantò di aver realizzato il record di privatizzazioni, in Europa». Per un ex consigliere di Mitterrand come l’insigne economista Alain Parguez, Attali «è sempre stato un monarchico, travestito da socialista». Frase celebre, a lui attribuita: «Cosa credono, che l’euro l’abbiamo creato per la felicità della plebaglia europea?». A chiudere il cerchio è Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) dichiara che Attali milita nella Ur-Lodge “Three Eyes”, emblema della supermassoneria internazionale reazionaria, incarnata da personalità come quelle di Kissinger e Rockefeller. Nell’appendice di “Massoni”, uno dei quattro “grandi vecchi” che svelano il ruolo di Mario Monti, inviato in Italia nel 2011 per commissariare il paese su ordine dell’oligarchia finanziaria, ricorda da vicino il profilo di Attali, che in quelle pagine si dichiara pentito dell’accelerazione neo-feudale e ultraliberista imposta alla politica europea.Lo stesso Attali, nel 2016, è arrivato a invocare, per l’Europa, un’inversione di rotta in senso keynesiano e roosveltiano: stop al rigore, fine dell’austerity. E adesso annuncia che, se arrivasse all’Eliseo, il suo pulillo Macron (già finanziere dei Rothschild) sarebbe «un grande presidente». Se Emmanuel Macron si è affacciato alla politica ed è diventato prima consigliere dell’Eliseo, poi ministro e adesso probabile presidente della Repubblica, lo deve a Jacques Attali, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere della Sera”: «Economista, saggista e romanziere, Attali fu uno degli uomini più vicini a François Mitterrand e ha sempre coltivato un gusto bipartisan che nel 2008 lo portò a collaborare anche con l’allora presidente Nicolas Sarkozy». Per redigere il rapporto “Liberare la crescita”, contnua il “Corriere”, Attali «si avvalse dell’aiuto di un giovane, brillante e sconosciuto prodotto dell’Ena, la scuola dell’élite francese: Emmanuel Macron». E ora, a pochi minuti dall’annuncio dei risultati, il 73enne Attali parla con un certo orgoglio del suo “enfant prodige”. «L’unico pericolo, adesso – dice Attali – è pensare che sia già finita», mentre la partita del ballottaggio «bisognerà giocarla con intelligenza e attenzione alle ragioni dell’altra Francia, quella che esiste e che ha votato per Le Pen».Attali si dichiara «molto colpito dal fatto che abbiano tutti, tranne Mélenchon, fatto dichiarazione di voto per Macron contro Marine Le Pen». E’ la riedizione di una sorta di «fronte repubblicano contro l’estrema destra». Un’alleanza che potrebbe aiutare Macron, qualora eletto il 7 maggio, a trovare una maggioranza in Parlamento, «visto l’allineamento di tanti leader degli altri partiti, da Fillon a destra a Hamon a sinistra». Secondo Attali, «gli elettori di Marine Le Pen sperano nel ritorno a un’epoca che non esiste più, e che non potrà mai più tornare». E’ il globalista, che parla: «Il mondo interconnesso è una realtà irreversibile». Ma, aggiunge l’ex quasi-socialista Attali: «Macron può contribuire a governarlo e non subirlo». Le maggiori qualità di Macron? «Molto competente, serio, intelligente, aperto, capace di ascoltare gli altri e quindi in grado di prendere il meglio da chiunque, che sia di destra o di sinistra». Il rilancio della Francia? «La scuola, in particolare quella materna, e poi le misure per formare e rimettere nel mondo del lavoro i troppi disoccupati che ancora ci sono». Il suo sussidio per i disoccupati «non è assistenzialismo, è formazione seria per renderli in grado di trovare un posto».Centrale, per l’ultra-europeista Attali, «l’idea di puntare sull’Europa a partire dalla difesa comune, che è un progetto ormai pronto a essere varato», nonostante quello che definisce «il disastro rappresentato dalla Brexit», nonostante tutti gli indicatori economici raccontino che il Regno Unito stia letteralmente “volando”, dopo essersi sganciato dall’Ue, sia in termini finanziari che sul piano della crescita dei posti di lavoro. Ma Attali punta ancora e sempre sulla sua creatura, l’Unione Europea, che di fatto ha messo in crisi tutti i paesi che ne fanno parte, tranne la Germania. «Distruggere il polo di potere rappresentato dall’Unione Europea», dice, «andrebbe a vantaggio delle altre sfere di influenza, e per ogni singolo paese europeo sarebbe una catastrofe». Nel frattempo, in attesa del verdetto finale degli elettori, Attali si gode la “pole position” di Macron al primo turno: dopo quello studio economico realizzato insieme, racconta, «sono stato io a presentarlo a François Hollande nel 2010, e quando Hollande è diventato presidente lo ha chiamato come consigliere». Gongola, l’anziano Attali: «Devo riconoscere che provo un certo orgoglio nell’avere capito per primo che Emmanuel era un ragazzo di grandi qualità».Il “coming out” di Attali nei confronti di Macron, uomo dei Rothschild, finisce per sottolineare, ancora una volta, il ruolo probabilmente decisivo, nel “back-office” del potere, svolto dalle 36 Ur-Lodges (logge madri, internazionali e apolidi) di cui parla Magaldi, che ha ripetutamente indicato l’appartenenza di Giorgio Napolitano alla “Three Eyes” (la stessa di Attali) insieme all’attuale ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. Della “Three Eyes” farebbero parte anche Mario Draghi, Gianfelice Rocca (Techint) e Giuseppe Recchi (costruzioni), Marta Dassù (Finmeccanica), Enrico Tommaso Cucchiani (banchiere, già a capo di Intesa Sanpaolo) e l’ex ministra renziana Federica Guidi. Altri circuiti della stessa supermassoneria neo-conservatrice sarebbero rappresentati da Ur-Lodges come la “Babel Tower” (Mario Monti), la “Compass Star-Rose” (Fabrizio Saccomanni, Massimo D’Alema, Vittorio Grilli), la “Edmund Burke” (Domenico Siniscalco, Ignazio Visco), la “Atlantis-Aletheia” (Corrado Passera), la “Pan-Europa” (Alfredo Ambrosetti, Emma Marcegaglia”). In Francia, sempre secondo Magaldi, il presidente uscente François Hollande milita in due circuiti supermassonici “progressisti”, la Ur-Lodge “Ferdinand Lassalle” e la “Fraternité Verte”, che però avrebbe deluso, “tradendo” il mandato iniziale (porre fine all’austerity) a causa di minacce e blandizie. Ora è in campo Macron, che è “en marche” insieme ai Rothschild e alla “Three Eyes” del suo mentore Attali.Emmanuel Macron è una mia creatura, rivela. E sottolinea: «Sono molto felice. Il suo primo posto è un risultato insperato fino a poche settimane fa». Autore dell’esternazione: Jacques Attali, uomo-ombra del vero potere europeo, tra i massimi strateghi (sul versante francese) del sistema euro-Ue. Paolo Barnard lo ha definito «il maestro di Massimo D’Alema, che quand’era a Palazzo Chigi si vantò di aver realizzato il record di privatizzazioni, in Europa». Per un ex consigliere di Mitterrand come l’insigne economista Alain Parguez, Attali «è sempre stato un monarchico, travestito da socialista». Frase celebre, a lui attribuita: «Cosa credono, che l’euro l’abbiamo creato per la felicità della plebaglia europea?». A chiudere il cerchio è Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) dichiara che Attali milita nella Ur-Lodge “Three Eyes”, emblema della supermassoneria internazionale reazionaria, incarnata da personalità come quelle di Kissinger e Rockefeller. Nell’appendice di “Massoni”, uno dei quattro “grandi vecchi” che svelano il ruolo di Mario Monti, inviato in Italia nel 2011 per commissariare il paese su ordine dell’oligarchia finanziaria, ricorda da vicino il profilo di Attali. In quelle pagine, “Frater Rosenkrantz” si dichiara pentito dell’accelerazione neo-feudale e ultraliberista imposta alla politica europea.
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Craig Roberts: Putin si difenderà usando la bomba atomica
Fine del film: la Russia, insieme alla Cina, si sta preparando a subire un attacco nucleare da parte degli Usa. E non starà certo a guardare. E’ la conclusione cui giunge un allarmatissimo Paul Craig Roberts, di fronte all’escalation in atto: i missili sulla Siria, le minacce a Mosca e quelle rivolte alla Corea del Nord. «I dirigenti russi, che a differenza dei bugiardi occidentali dicono la verità, hanno dichiarato in modo chiaro che la Russia non combatterà più una guerra nel proprio territorio», scrive Craig Roberts. «I russi non potevano specificarlo più chiaramente: provocate una guerra, dicono, e vi distruggiamo nel vostro territorio». Aggiunge l’ex viceministro di Reagan: «Washington è così arrogante e perduta nella sua hybris, da non capire che anni di bugie cristalline sulle intenzioni e azioni della Russia e dei russi hanno convinto la Russia che Washington stia preparando le popolazioni degli Stati Uniti e dei popoli prigionieri di Washington, nell’Europa dell’Ovest e dell’Est, nonché in Canada, Australia e Giappone, a un primo colpo nucleare Usa contro la Russia». Bombe atomiche: «C’è l’Arnageddon nucleare all’orizzonte?».I già pubblicati piani di guerra degli Stati Uniti contro Pechino «hanno convinto la Cina della stessa cosa», scrive Craig Roberts sul suo blog, in un post tradotto da Pino Cabras per “Megachip”. «Se non è per la guerra, a che altro s’indirizza il cambiamento della dottrina di guerra negli Stati Uniti?». George W. Bush, ricorda l’analista americano, aveva abbandonato il ruolo “stabilizzatore” delle armi nucleari – l’equilibrio missilistico della deterrenza incrociata – per «spostarle da una funzione di rappresaglia a quella di un “primo attacco” nucleare». La nota teoria del “first strike”, un colpo missilistico a sorpresa. Poi, sempre Bush junior «si è tirato fuori dal trattato anti-missili balistici stipulato dal presidente Richard Nixon». Così, ora, «abbiamo siti missilistici Usa posizionati lungo i confini della Russia». In più, «raccontiamo ai russi la menzogna che i missili sono intesi a prevenire un attacco nucleare iraniano con missili balistici intercontinentali (Icbm) contro l’Europa». E questa menzogna, coninua Craig Roberts, «è raccontata e accettata dai burattini in Europa, nonostante il fatto, ben noto e incontestabile, che l’Iran non possieda né armi nucleari né Icbm». Ma i russi non lo accettano: «Sanno che è un’altra menzogna di Washington».Così, «quando la Russia ascolta queste flagranti, palesi, evidenti bugie, sa che Washington intende un attacco nucleare preventivo contro la Russia», scrive Craig Roberts. «La Cina ha raggiunto le stesse conclusioni». Quindi, ecco la situazione: «Due paesi con forze nucleari si aspettano che i pazzi furiosi che governano l’Occidente stiano per attaccarli con le armi nucleari». E cosa stanno facendo, Russia e Cina? «Si stanno preparando per distruggere il malefico Occidente, un assortimento di bugiardi e criminali di guerra, di cui il mondo non ne ha mai sperimentato di simili in precedenza». E sono gli Stati Uniti, cioè la “superpotenza” che «dopo 16 anni è ancora incapace di sconfiggere poche migliaia di Taliban armati di armi leggere in Afghanistan», a rischiare grosso. «Putin ha dimostrato straordinaria pazienza, riguardo alle menzogne e provocazioni di Washington». Ma, avverte Craig Roberts, il capo del Cremlino «non può rischiare la Russia fidandosi di Washington, di cui nessuno può fidarsi: né il popolo americano, né il popolo russo, né popolo alcuno». Allarme rosso, dunque, visto che i media mainstream – che Roberts chiama “presstitutes”, stampa prostituita al potere – sono tutti saltati «sul carro della propaganda dello Stato Profondo», insieme alla “sinistra” liberal-progressista, anch’essa «complice della marcia verso l’Armageddon».Perfettamente inutile aspettarsi qualche segnale positivo da parte di Donald Trump, che spedisce a Mosca il segretario di Stato, Rex Tillerson, con la faccia tosta di accusare la Russia dopo aver architettato l’attacco coi gas, in Siria, allo scopo di strappare Damasco alla tutela dei russi, vincitori sull’Isis armato dall’Occidente. «Un nuovo folle alla Casa Bianca ha sostituito il vecchio folle», conclude Craig Roberts. «Neanche 100 giorni in carica, e Trump è già un criminale di guerra insieme al resto del suo governo guerrafondaio». Stephen Cohen, «uno dei pochi americani rimasti informati sulla Russia», ha detto che Mosca si sta «preparando alla guerra calda», temendo che «i pazzi di Washington» intendano colpirla per primi con la bomba atomica. Insiste Craig Roberts: Russia e Cina spareranno i loro missili un minuto prima. E sarà la catastrofe. Pericolo massimo, anche e soprattutto perché nessuno ne parla. «Quando osservate il presidente e il governo a Washington, i governi europei (specie gli idioti a Londra), i governi canadese e australiano, potete solo meravigliarvi della totale stupidità della “leadership occidentale”. Stanno implorando la fine del mondo. E i puttanoni del giornalismo lavorano alacremente per trascinarci alla fine della vita». Craig Roberts è preoccupatissimo: «E’ in preparazione la scomparsa di enormi masse, tra i popoli occidentali. Ma non arrivano ad accorgersene, essendo protette dalla loro spensieratezza».Fine del film: la Russia, insieme alla Cina, si sta preparando a subire un attacco nucleare da parte degli Usa. E non starà certo a guardare. E’ la conclusione cui giunge un allarmatissimo Paul Craig Roberts, di fronte all’escalation in atto: i missili sulla Siria, le minacce a Mosca e quelle rivolte alla Corea del Nord. «I dirigenti russi, che a differenza dei bugiardi occidentali dicono la verità, hanno dichiarato in modo chiaro che la Russia non combatterà più una guerra nel proprio territorio», scrive Craig Roberts. «I russi non potevano specificarlo più chiaramente: provocate una guerra, dicono, e vi distruggiamo nel vostro territorio». Aggiunge l’ex viceministro di Reagan: «Washington è così arrogante e perduta nella sua hybris, da non capire che anni di bugie cristalline sulle intenzioni e azioni della Russia e dei russi hanno convinto la Russia che Washington stia preparando le popolazioni degli Stati Uniti e dei popoli prigionieri di Washington, nell’Europa dell’Ovest e dell’Est, nonché in Canada, Australia e Giappone, a un primo colpo nucleare Usa contro la Russia». Bombe atomiche: «C’è l’Arnageddon nucleare all’orizzonte?».
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Magaldi: chi spegne verità e democrazia se la vedrà con noi
Esplodono bombe, interi paesi sprofondano nella crisi, i missili di Trump piovono sulla Siria. E i media non raccontano la verità: tacciono, mentono, restano reticenti. C’è un piano mondiale, in atto da trent’anni: finanziare guerre, terremotare le economie e silenziare l’informazione. «Ebbene, vi dico: non prevarranno. I manovratori saranno pubblicamente denunciati e fermati». Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” nonché autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che denuncia per la prima volta, con impressionante precisione, le trame occulte di 36 superlogge internazionali, vero e proprio “back office” del potere, al lavoro da decenni per svuotare la democrazia a vantaggio dell’élite mondialista. In collegamento con Claudio Messora su “ByoBlu”, canale web finito di recente sotto attacco (boicottaggio pubblicitario da parte di Google), Magaldi raccoglie la sfida e prepara l’affondo a Roma, l’8-9 aprile, con un forum sul futuro della democrazia con ospiti come l’economista Nino Galloni, il magistrato Ferdinando Imposimato e un giornalista come Giulietto Chiesa, bandiera storica dell’informazione indipedente. Obiettivo: costringere il sistema a dire la verità, anche con la creazione di un nuovo partito, che si impegni a stracciare i trattati europei che stanno piegando l’Eurozona.L’emergenza, oggi, colpisce in primo luogo l’informazione: gli Usa sparano missili sulla Siria per abbattere Assad, e non l’Isis, senza che la grande stampa si premuri di ricordare che è stato proprio l’Occidente a “fabbricare” lo jihadismo, come cavallo di Troia geopolitico in Medio Oriente e come alibi, in Europa, per la politica securitaria motivata dal dilagare del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, secondo la peggiore logica della strategia della tensione. A dare fastidio sono le verità che emergono dal web, le sole rimaste? Così parrebbe, visto l’attivismo «dell’ineffabile Laura Boldrini, proconsole di una filiale internazionale, che ha iniziato anche qui in Italia a preoccuparsi di imbavagliare la libera informazione». Magaldi non ha dubbi: «Negli ultimi anni, nel mondo, chi ha prodotto “fake news” non sono tanto i blogger, i siti indipendenti, quelli che cercano – come navi corsare, benemerite – di aprire degli spiragli nel pensiero unico del mainstream». Al contrario: «Il problema è stato spesso di chi ha fabbricato notizie false, e su questo ha anche costruito guerre, speculazioni finanziarie ai danni dei popoli, verso una destrutturazione di quello che sarebbe stato un processo virtuoso di globalizzazione della democrazia».Siamo all’eterna riedizione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, inventate di sana piana come pretesto per invare l’Iraq? Di suo, Magaldi aggiunge una lettura di taglio massonico: quanto di peggio è avvenuto, nel mondo, negli ultimi tre decenni, è stato progettato a tavolino da un’élite super-massonica apolide, decisa a mettere in atto una globalizzazione a mano armata e senza diritti, tantomeno quello all’informazione, su cui si fonda il pensiero democratico. Tutto si tiene, anche la «grottesca celebrazione dei Trattati di Roma affidata ai sedicenti europeisti che in realtà lavorano dal mattino alla sera per distruggere il progetto europeo, soffocato dall’economicismo dei tecnocrati: una camicia di forza che esaspera i nazionalismi, tra manine occulte e cancellerie asservite a interessi apolidi». Come se ne esce? «Noi – insiste Magaldi – abbiamo bisogno di un governo che abbia il coraggio di andare ai tavoli europei e dire: siamo tra i grandi contraenti del progetto europeo, vogliamo riscrivere i trattati, lavorare per un processo costituente per un’unione politica. Se ci state, bene. Altrimenti, se non si apre un dibattito, noi sospendiamo la vigenza dei trattati in Italia, accantonando tutte le retoriche europeiste o antieuropeiste».Gioele Magaldi pensa al Pdp, Partito Democratico Progressista, di cui è appena stato registrato il marchio, in vista delle prossime elezioni politiche. «Sarà un cantiere – spiega – al quale invitiamo tutti quelli che ne hanno abbastanza di sentir parlare di falsi democratici e falsi progressisti, come Bersani che ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, trasformando il Parlamento in una caserma per imporre il sì al Fiscal Compact. Misure-capestro, suicide per l’economia italiana, imposte «da uno dei governi più nefasti della storia, guidato dal massone reazionario Mario Monti, insediato dal massone ancora più reazionario Giorgio Napolitano». In Italia Monti, Letta e Renzi. E in Francia Hollande: «Doveva essere il campione anti-merkeliano e anti-austerity. Invece, tra blandizie e minacce, si è ridoto a un ruolo ornamentale, senza una sola proposta per un vero cambio di paradigma, in Europa». Renzi? «E’ stato poco furbo: se al referendum del 4 dicembre avesse inserito l’abolizione del pareggio di bilancio, avrebbe vinto».Peggio ancora dell’ex premier, forse, «gli avventurieri che vorrebbero appropriarsi delle parole “democratico” e “progressista”, dopo aver sorretto il governo Monti». Nella visione di Magaldi, non resta che ripartire dall’Italia per tentare di invertire il corso della storia, riaccendendo la luce sulla democrazia. A questo serve il “Master Roosevelt in scienze della polis”, che offre formazione per «conoscere le reti private sovranazionali che asservono ai propri interessi i governi eletti». Un’azione «di pedagogia e consapevolezza», fino a ieri limitata alla dimensione meta-partitica. Domani estesa anche all’agone elettorale? Magaldi appare deciso. Vede la necessità di «un partito “pesante”, novecentesco, democratico e ideologico, improntato al “socialismo liberale” di Carlo Rosselli, l’antifascista che diceva: è inutile parlare di libertà politiche e civili se non si offre ai cittadini anche una dignità economica per potersi occupare della res publica». Socialismo e liberalismo: «Keynes e Beveridge, il padre del welfare europeo, erano esponenti del Liberal Party». L’ipotetico nuovo soggetto politico punterebbe sull’elettorato in fuga dal Pd, su quello del centrodestra in pieno caos (e senz’ombra di primarie), rivolgendosi anche ai 5 Stelle: «Rappresentano una speranza, per l’Italia, a patto che si rivelino all’altezza della situazione, offrendo cioè uno spettacolo diverso da quello mostrato a Roma».Un nuovo partito, dunque? Sì, sembra dire Magaldi, se l’offerta politica italiana non offre alternative serie: e cioè un cambio radicale di paradigma. Stop al dogma neoliberista, senza mezzi termini. Come? «Dicendo quello che nessuno dice chiaramente: primo punto del programma, la revisione dei trattati europei. Tutti cianciano, parlano di uscire dall’euro, ma nessuno chiede apertamente, formalmente, di farla finita con questa Ue». Insiste Magaldi: «Propongo una riforma costituzionale per eliminare il pareggio di bilancio. Ho sentito che tutti i partiti che l’hanno votata se ne lamentano, si dicono pentiti. Bene, sfidiamoli: mettiamoli alla prova». Con un nuovo partito? Non ci lasciano altra scelta, sembra concludere Magaldi, che pensa alla discesa in campo. E, citando le «reti massoniche progressiste» a cui fa riferimento, si spende per «rassicurare tutti gli operatori dell’informazione libera e tutti i cittadini», per dire che il bavaglio al web non passerà. «Questi tentativi odiosi saranno sventati. Saranno anche denunciati. E tutti coloro che oggi si stanno impegnando in questa campagna liberticida, oltre a fallire, verranno sottoposti al giudizio severissimo della pubblica opinione», che ha imparato che giornali e televisioni non spiegheranno mai che, dietro ai missili di Trump, ci sono i “padrini” dell’Isis, di cui Magaldi – nel suo libro – fa nomi e cognomi.Esplodono bombe, interi paesi sprofondano nella crisi, i missili di Trump piovono sulla Siria. E i media non raccontano la verità: tacciono, mentono, restano reticenti. C’è un piano mondiale, in atto da trent’anni: finanziare guerre, terremotare le economie e silenziare l’informazione. «Ebbene, vi dico: non prevarranno. I manovratori saranno pubblicamente denunciati e fermati». Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” e presidente del metapartitico Movimento Roosevelt nonché autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che denuncia per la prima volta, con impressionante precisione, le trame occulte di 36 superlogge internazionali, vero e proprio “back office” del potere, al lavoro da decenni per svuotare la democrazia a vantaggio dell’élite mondialista. In collegamento con Claudio Messora su “ByoBlu”, canale web finito di recente sotto attacco (boicottaggio pubblicitario da parte di Google), Magaldi raccoglie la sfida e prepara l’affondo a Roma, l’8-9 aprile, con un forum sul futuro della democrazia con speaker come l’economista Nino Galloni, il magistrato Ferdinando Imposimato e un giornalista come Giulietto Chiesa, bandiera storica dell’informazione indipendente. Obiettivo: costringere il sistema a dire la verità, anche con la creazione di un nuovo partito, che si impegni a stracciare i trattati europei che stanno piegando l’Eurozona.
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Flores d’Arcais: il Movimento 5 Stelle non è più votabile
Addio 5 Stelle: dalla prossima volta, meglio non andare più a votare. Lo afferma Paolo Flores d’Arcais, demoralizzato da Grillo che tratta i militanti come il peggiore dei dittatori. Astensionismo: «Scelta terribile, perché significa affidare la decisione agli altri elettori, rinunciare all’esercizio della propria sovranità elettorale», scrive il direttore di “Micromega”. Ma cos’altro resta da fare, aggiunge, se viene meno anche la possibilità del meno peggio? A far tracollare la fiducia residua nel leader, la decisione di Grillo di annullare il risultato democratico delle “comunarie” di Genova, non avendo vinto il candidato preferito dal Capo. «Dovete fidarvi di me», ha detto Grillo agli elettori appena boicottati. Di lui, invece, Flores d’Arcais non si fida più: «A questo punto sarebbe il caso che il M5S ufficializzasse nel suo non-statuto che i candidati li sceglie Grillo, e così per ogni altra nomina. Non sarebbe la tanto strombazzata democrazia-diretta-web, sarebbe almeno un’oncia di onestà». Ma non è sorpreso più di tanto, Flores d’Arcais, nel constatare che il M5S si consegna al «centralismo monocratico» dell’ex comico, solo in parte condiviso, a volte, con il consigliere “dinastico” Davide Casaleggio.Pur avendo offerto acute analisi sulla crisi (memorabile il contributo di Luciano Gallino), anche “Micromega” – come il Movimento 5 Stelle – non ha mai espresso una critica organicamente radicale contro l’establishment europeista: la rivista, che alle europee sostenne la lista Tsipras, non ha mai fatto campagne frontali contro la Commissione Europea e la Bce. E lo stesso movimento di Grillo, anziché impegnarsi in un Piano-B come quello di Marine Le Pen, si limita a chiedere un timido referendum consultivo sull’euro per sondare gli italiani, senza peraltro dare indicazioni chiare sulle sue intenzioni, in merito alla permanenza nella moneta unita. Peggio: è ancora fresco l’harakiri con cui Grillo ha “suicidato” il suo gruppo parlamentare a Strasburgo, esponendolo al ridicolo: prima il diktat del leader, l’ordine agli europarlamentari di traslocare tra gli ultra-europeisti dell’Alde in compagnia di Mario Monti, poi lo scorno del gran rifiuto dell’Alde e l’umiliante ritorno a Canossa tra le fila di Nigel Farage. Flores d’Arcais ben rappresenta una certa intellettualità italiana laico-progressista e indipendente, avvicinatasi con riluttanza ai 5 Stelle per mancanza di alternative, vista la catastrofe del Pd e l’eclissi di qualunque residua sinistra. Ma adesso anche la carta pentastellata finisce nel cestino.Per chi votare, la prossima volta? Per nessuno. In un numero precedente di “Micromega”, Flores d’Arcais si era domandato fino a quando si sarebbe potuto scegliere ancora il M5S, alle urne: domanda espressa «con rammarico, perché altri voti non di regime non se ne vedono». La misura era già colma qualche tempo fa, ammette Flores. Ma adesso «l’ukase defenestratorio di Genova costituisce la goccia che fa traboccare il vaso: nemmeno il M5S è più votabile». E così, «la prossima volta, a meno di nuove liste di cui per il momento non si vede, e nemmeno intravede, ombra, per chi prenda sul serio la Costituzione, con i suoi valori intransigenti di giustizia e libertà, diventerà ragionevole non votare». Il che non è il massimo, e il primo a saperlo – e a scriverlo – è lo stesso Flores d’Arcais. Il suo post è corredato da moltissimi commenti, alcuni contrari alla sua conclusione. Per molti grillini, militanti e simpatizzanti, il Capo ha comunque ragione. Non vedono che, da fuori, il grande potere si sta gustando lo spettacolo: la principale forza politica italiana, progettata per l’alternativa, è in realtà agli ordini di una sola persona. Ieri obbedisce su Strasburgo, oggi su Genova, domani chissà.Addio 5 Stelle: dalla prossima volta, meglio non andare più a votare. Lo afferma Paolo Flores d’Arcais, demoralizzato da Grillo che tratta i militanti come il peggiore dei dittatori. Astensionismo: «Scelta terribile, perché significa affidare la decisione agli altri elettori, rinunciare all’esercizio della propria sovranità elettorale», scrive il direttore di “Micromega”. Ma cos’altro resta da fare, aggiunge, se viene meno anche la possibilità del meno peggio? A far tracollare la fiducia residua nel leader, la decisione di Grillo di annullare il risultato democratico delle “comunarie” di Genova, non avendo vinto il candidato preferito dal Capo. «Dovete fidarvi di me», ha detto Grillo agli elettori appena boicottati. Di lui, invece, Flores d’Arcais non si fida più: «A questo punto sarebbe il caso che il M5S ufficializzasse nel suo non-statuto che i candidati li sceglie Grillo, e così per ogni altra nomina. Non sarebbe la tanto strombazzata democrazia-diretta-web, sarebbe almeno un’oncia di onestà». Ma non è sorpreso più di tanto, Flores d’Arcais, nel constatare che il M5S si consegna al «centralismo monocratico» dell’ex comico, solo in parte condiviso, a volte, con il consigliere “dinastico” Davide Casaleggio.
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Craig Roberts: pazzi criminali, spingeranno Trump in guerra
Non gliene importa nulla se il 10% dell’arsenale nucleare di Usa e Russa basta e avanza per cancellare la vita sul pianeta: al clan dell’intelligence Usa sono bastati 24 giorni – il tempo in cui è rimasto in carica il generale Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale – per archiviare le promesse di distensione, dopo le forti tensioni con Mosca create a freddo dal regime di Obama. Lo afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan: ai media “presstitute” (“New York Times”, “Washington Post”, “Cnn” e “Nbc”) sono bastate le “fake news” sul conto di Flynn costruite a tavolino da John Brennan, il direttore della Cia voluto da Obama, che «ha costruito dossier falsi» riguardo all’amicizia “pericolosa” tra Flynn e Putin, come documenta Gareth Porter su “Information Clearing House”. «Rapporti falsi, nessuno dei quali conteneva alcuna prova». Il movente? Semplice: la minaccia, da parte di Flynn, di ridimensionare il budget militare, 1.000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti e il business della sicurezza. Risultato: «I media occidentali sono più impegnati a servire il padrone della Cia di quanto non siano a servire la pace tra potenze nucleari».Sconsolato, un osservatore come Patrick Lawrence dichiara: «Le luci su di noi stanno oscurando. Siamo stati abbandonati da una stampa che si dimostra incapace di informarci in modo disinteressato. Sia i media “liberal”, clintoniani, che i giornali e le emittenti, sono servi del potere». Restano i media “alternativi”, aggiunge Craig Roberts sul suo blog, ma sono tutti sotto attacco: Rt, Usa Watchdog, Alex Jones, Information Clearing House, Global Research, Unz Review. «A quanto pare, Alex Jones sta già avendo problemi con Google», e centinaia di altri siti web sono in difficoltà: pagine rimosse, articoli non più indicizzati, perdita dei banner pubblicitari. «Come dicevano i nazisti, tutto quello che serve è la paura: portare il popolo al collasso», scrive Craig Roberts, secondo cui «la presidenza di Trump è effettivamente finita: anche se gli sarà permesso di rimanere in carica, a comandare sarà lo Stato Profondo». Trump si è già arresto alla linea del Pentagono: ha detto che la Russia deve restituire la Crimea all’Ucraina, mentre in realtà è la Crimea che è tornata, da sola, alla Russia. In più ha respinto una nuova limitazione delle armi strategiche, il trattato Start con la Russia, affermando che vuole la supremazia Usa negli armamenti nucleari, non la parità.Dopo appena un mese alla Casa Bianca, scrive Craig Roberts, l’obiettivo di Trump è già cambiato. Nuove tensioni in vista con la Russia, e non solo: «Ci sono piani per occupare parte della Siria con truppe statunitensi, al fine di evitare che la Siria riesca a riunificarsi con l’aiuto della Russia, come segnala “Global Research”». Il piano di smembramento che Trump approverebbe? Parte della Siria andrebbe alla Turchia, un’altra parte ai curdi, mentre una porzione di territorio siriano finirebbe sotto in controllo militare Usa, in modo che Washington possa «mantenere le turbolenze in corso per sempre». Una catastrofe, per Putin, che contava su Trump per eliminare l’Isis. «E’ difficile capire se il nuovo regime Trump è più iranofobico o russofobico: l’inclinazione è quella di buttare a mare l’accordo con l’Iran, riaprendo il conflitto con Mosca, oltre che con la Cina». Certo, osserva Craig Roberts, «è strano vedere i “liberal-progressisti” di sinistra alleati con i guerrafondai contro Trump. E’ come tirare fuori l’Armageddon nucleare dalla tomba in cui l’avevano sepolto Regan e Gorbaciov». Così, oggi, «la sinistra americana chiede l’impeachment del presidente il cui obiettivo era migliorare le relazioni con la Russia».In politica interna, l’obiettivo di Trump erano i posti di lavoro per la classe operaia? Il problema «lascia fredda la sinistra», che vuole solo «distruggere il “deplorevole” Trump», demonizzato come «razzista, misogino, omofobo». Chi poi si oppone «all’ideologia neo-conservatrice che sta guidando la politica estera Usa verso l’egemonia mondiale», viene bollato come «agente di Putin». Aggiunge Craig Roberts: «Il motivo per cui c’è ancora vita sulla Terra dopo più di mezzo secolo di armi nucleari è che i presidenti americani e leader sovietici hanno lavorato insieme per ridurre le tensioni. Nel corso di questi decenni, ci sono stati numerosi falsi allarmi di missili Icbm in arrivo. Tuttavia, perché le leadership di entrambi i paesi stavano lavorando insieme per evitare il conflitto nucleare, gli avvertimenti sono stati creduti sia dai sovietici che dagli americani». Oggi invece la situazione è molto diversa. Gli ultimi tre presidenti degli Stati Uniti, scrive Craig Roberts, «hanno fatto gli straordinari per aumentare le tensioni tra le due potenze nucleari». Oggi, poi, «si è lavorato per convincere il governo russo che quello di Washington sia completamente inaffidabile». Le storie sui collegamenti “russi” di Trump «sono così ovviamente false da essere ridicole, ma i russi stanno vedendo che, nonostante la falsità delle accuse, il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump è caduto, e Trump stesso potrebbe essere il prossimo».In altre parole, conclude Craig Roberts, i russi «stanno osservando che in America i fatti non sono rilevanti per i risultati». L’avevano già capito dopo «le bugie su Putin, l’Ucraina, la Georgia, e le intenzioni russe verso l’Europa». Putin è abitualmente chiamato “delinquente”, “assassino”, “il nuovo Hitler” dai politici americani, dalle “presstitutes” della stampa e da Hillary Clinton. Generali del Pentagono descrivono la Russia come «la principale minaccia per gli Stati Uniti», mentre «comandanti della Nato affermano che l’esercito russo potrebbe occupare i Paesi Baltici e la Polonia in qualsiasi momento». Sono accuse deliranti, «prive di senso», che però «suggeriscono ai russi l’idea che l’Occidente stia preparando le sue popolazioni per un attacco alla Russia». In una situazione simile, come si farà a riconoscere eventuali falsi allarmi? Come potranno mantenere i nervi saldi, gli americani «convinti che Putin e la Russia siano l’incarnazione del male»? E i russi, a loro volta, come potranno pensare che gli americani non facciano sul serio? «Questo è il rischio estremo», conclude Craig Roberts: l’Armageddon, pericolo al quale «hanno esposto la vita sulla Terra». Loro, naturalmente: «I neoconservatori folli, gli idioti, l’avido complesso militare e di sicurezza, i liberal-progressisti di sinistra e generali aggressivi. E le poche voci di avvertimento vengono liquidate come “agenti russi”».Non gliene importa nulla se il 10% dell’arsenale nucleare di Usa e Russa basta e avanza per cancellare la vita sul pianeta: al clan dell’intelligence Usa sono bastati 24 giorni – il tempo in cui è rimasto in carica il generale Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale – per archiviare le promesse di distensione, dopo le forti tensioni con Mosca create a freddo dal regime di Obama. Lo afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan: ai media “presstitute” (“New York Times”, “Washington Post”, “Cnn” e “Nbc”) sono bastate le “fake news” sul conto di Flynn costruite a tavolino da John Brennan, il direttore della Cia voluto da Obama, che «ha costruito dossier falsi» riguardo all’amicizia “pericolosa” tra Flynn e Putin, come documenta Gareth Porter su “Information Clearing House”. «Rapporti falsi, nessuno dei quali conteneva alcuna prova». Il movente? Semplice: la minaccia, da parte di Flynn, di ridimensionare il budget militare, 1.000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti e il business della sicurezza. Risultato: «I media occidentali sono più impegnati a servire il padrone della Cia di quanto non siano a servire la pace tra potenze nucleari».
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Se l’Italia cambia padrone, qualcuno la sta “sovragestendo”
«Matteo Renzi è un politico finito. Ha deluso tutti, non ha mai rispettato la parola data: a Bersani, Letta, Berlusconi». Ora ha anche tradito l’impegno preso con gli italiani, a cui aveva promesso di sparire dalla circolazione in caso di sconfitta al referendum. Che il “rottamatore” fosse al capolinea lo diceva, prima ancora del 4 dicembre, l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina oscuri retroscena del potere italiano, «sovragestito dalla P1», struttura-ombra (mai denunciata da nessun altro) che sarebbe il vero “dominus” delle trame di palazzo, attraverso personaggi come il politologo americano Michael Ledeen, che Carpeoro presenta come esponente di vertice della super-massoneria reazionaria, anche affiliato al B’nai B’rith, cellula massonica super-segreta controllata dal Mossad. Per Carpeoro, Ledeen avrebbe “gestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». La tesi dell’avvocato: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone».Cambiano i musicisi, non la musica. Renzi? «Pur dicendosi “di sinistra” ha bussato per anni, inutilmente, alle porte della super-massoneria conservatrice», afferma Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”. Non gli è stato aperto: «Persino Napolitano si è rifiutato di fargli da garante». Ora, sembra arrivato l’avviso di sfratto: per via giudiziaria, tanto per cambiare. «Via Renzi, è già pronto Di Maio», diceva Carpeoro, mesi fa. Alla luce degli ultimi sviluppi, in effetti, suona meno “strano” l’improvviso voltafaccia di Grillo al Parlamento Europeo, con il rocambolesco abbandono di Farage dopo la vittoria sulla Brexit per tentare di approdare al gruppo centrista pro-euro, in cui milita Mario Monti. Come se il capo dei 5 Stelle avesse voluto inviare un segnale chiarissimo di “affidabilità”, rispetto al vero potere che gestisce l’Europa, l’economia, la finanza. Altro dettaglio, fondamentale: nel “MoVimento”, chi dissente è perduto: condannato alla pubblica esecrazione, e persino – se cambia casacca – invitato a pagare una penale.Impossibile coltivare idee diverse da quelle del Capo: è dunque un esercito di terracotta, quello che domani – tramontato Gentiloni – potrebbe prendere in mano il governo del paese? Tiene ancora banco il refrain dell’“uno vale uno”, ma – beninteso – ammesso che sia allineato con l’unico, vero Numero Uno. In libri come “Il golpe inglese”, scritto con Mario Josè Cereghino, il giornalista Mario Fasanella sostiene che l’Italia sia sempre stata “sovragestita” da poteri esterni, stranieri, economici e finanziari. Lo stesso Jobs Act, rivela Paolo Barnard, è stato scritto – due anni prima dell’adozione, da parte di Renzi – dalla potentissima “Business Europe”, think-tank che “detta le leggi” alla Commissione Europea. L’Italia politica è nel caos: il Pd si spappola, Renzi è sotto attacco (il padre indagato, nell’inchiesta che sta coinvolgendo il ministro Lotti e altri renziani) e i 5 Stelle che serrano i ranghi, dichirando guerra al dissenso interno: come se si stesse avvicinando una grande burrasca (le elezioni francesi, la Le Pen, l’euro che vacilla insieme all’Ue). Serviranno “soldati”, addestrati a obbedire? E nel caso, a chi? Chi sta “sovragestendo”, oggi, la palude italiana?«Renzi finirà asfaltato dai No, e il suo successore lo stabilirà il Vaticano», disse, mesi prima del referendum, il “profeta” Rino Formica, già ministro socialista nella Prima Repubblica. Bingo: Paolo Gentiloni è discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silveri, “nobili di Filottrano, Cingoli e Macerata”, storicamente al servizio della Santa Sede. Dai media mainstream, sempre lontani anni luce dalle “fake news” (leggasi: notizie scomode) contro cui si sta abbattendo l’offensiva di Laura Boldrini (una legge speciale per imbavagliare il web, come se già non esistessero leggi a tutela dei cittadini diffamati), è impossibile ricavare analisi di scenario, oltre alla piccola agenda tattica di partiti e leader. Chi sta “sovragestendo” il paese, oggi, a parte il Vaticano che sicuramente “apprezza” Gentiloni? Carpeoro è pessimista: «Non emerge un piano-B che contesti l’attuale sistema, in base al quale, perché noi si stia meglio, qualcuno deve per forza stare peggio». Unico spiraglio: «La base elettorale dei 5 Stelle, animata da forti motivazioni etiche».Più ottimista invece Magaldi, che dopo aver segnalato (mai smentito da nessuno) la presenza di D’Alema, Napolitano, Monti e Padoan nella super-massoneria oligarchica, responsabile della globalizzazione antidemocratica, privatizzatrice e mercantilista, oggi scommette sul collasso del Pd, che «darebbe fiato a nuove istanze progressiste e democratiche finalmente autentiche», archiviata la “finta sinistra” che ha svenduto il paese ai potentati economici stranieri precipitando l’Italia in questa crisi senza fine. Troppo ottimista, Magaldi? Da più parti si fa notare il ritorno della “giustizia a orologeria” denunciata per anni da Berlusconi: l’inchiesta che lambisce Renzi coincide alla perfezione con il calendario della condanna in primo grado dell’alleato Verdini. Sembra un messaggio all’ex premier, mai accolto nel “salotto buono” in cui siedono molti altri italiani, da Mario Draghi a Emma Marcegaglia. Il caos cresce, e del Piano-B (restituire sovranità finanziaria a un governo finalmente eletto, autorizzato a investire denaro pubblico per produrre occupazione) non c’è neppure l’ombra.«Matteo Renzi è un politico finito. Ha deluso tutti, non ha mai rispettato la parola data: a Bersani, Letta, Berlusconi». Ora ha anche tradito l’impegno preso con gli italiani, a cui aveva promesso di sparire dalla circolazione in caso di sconfitta al referendum. Che il “rottamatore” fosse al capolinea lo diceva, prima ancora del 4 dicembre, l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina oscuri retroscena del potere italiano, «sovragestito dalla P1», struttura-ombra (mai denunciata da nessun altro) che sarebbe il vero “dominus” delle trame di palazzo, attraverso personaggi come il politologo americano Michael Ledeen, che Carpeoro presenta come esponente di vertice della super-massoneria reazionaria, anche affiliato al B’nai B’rith, cellula massonica super-segreta controllata dal Mossad. Per Carpeoro, Ledeen avrebbe “gestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». La tesi dell’avvocato: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone».
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Magaldi: dal Pd solo macerie, dov’è il Piano-B per l’Italia?
Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa. E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori. Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo. In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari. In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.Come un sergente di caserma, Bersani imponeva ai parlamentari del Pd di votare come un sol uomo il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione, le misure suicide e nefaste del governo Monti. Che si presenti oggi come una prospettiva progressista e pretenda di criticare Renzi sul versante dell’attenzione ai problemi sociali fa ridere i polli. Dietro Bersani, poi, ci sono giovanotti che si sono trovati a fare i capigruppo alla Camera di un grande partito come il Pd, e parlo di Roberto Speranza. Come si fa a pensare che le speranze di nuovo progressismo in Italia siano affidate a personaggi modestissimi, che hanno ancora molta gavetta da fare? Magari avrà dei talenti nascosti, di cui non ci siamo accorti, ma non ricordo, da Speranza (e nemmeno da Bersani) uno straccio di idea complessiva di sviluppo democratico del paese, in senso alternativo e progressista. L’unica alternativa mi sembra quella al potere, di Renzi. Non lo è D’Alema, vecchio arnese, brontosauro come pochi, che ha avuto la chance di governare l’Italia da Palazzo Chigi e dirigere quello che è stato il Pds-Ds. Questo personaggio, che ha fatto molti denari e che vive nel lusso, oggi diventa uno dei capifila di queste istanze socialisteggianti? Fa ridere i polli, insieme a Bersani e a Speranza.Quella del Pd è una vicenda di lotte di potere, e i cittadini la vedono come tale, nessuno si inganna. Al di là della retorica di facciata, anche all’interno del Pd tutti capiscono che è una lotta per il potere. Costoro non hanno alcuna idea diversa da quelle di Renzi, e l’hanno dimostrato nel fiancheggiamento del governo Monti, ma si sentono emarginati e marginalizzati. Vale per tutti l’esempio di Emiliano, che ha deciso di rimanere ma era tra i grandi sostenitori di Renzi. Ma Renzi non l’ha considerato troppo, nel governo della Regione Puglia, e così Emiliano l’ha fatto capire – anche pateticamente: sembrava un’amante che si sente trascurata e rimprovera il partner. Questa crisi nel Pd è un dibattito di potere – non sulle idee, non sui progetti per il paese. L’ha fatto anche Fassina, prima ancora, andando a fondare Sinistra Italiana: quando ha fatto il viceministro era del tutto accondiscendente alla linea allora di Saccomanni, salvo qualche distinguo per avere un po’ di platea, e ricordo – nell’imminenza delle elezioni 2013 – le dichiarazioni rese da Fassina e Bersani, a grandi quotidiani internazionali, per rassicurare tutti sul fatto che il governo Bersani, con Fassina candidato al dicastero dell’economia, sarebbe stato nella continuità col governo Monti.Quindi, tutti quanti – dai nuovi sgangherati gruppi parlamentari sedicenti democratico-progressisti a Sinistra Italiana – non rappresentano il futuro progressista e democratico (keynesiano, rooseveltiano) per l’Italia. L’Italia ha bisogno di una prospettiva ampia, che riguardi tanto l’economia che la vita delle istituzioni, ma anche le prospettive estere e un orizzonte di leadership nel Mediterraneo. Per far questo c’è bisogno di un nuovo soggetto politico, partitico, che si chiami “partito” e non “movimento”, come i partitini che pensano di accattivarsi gli elettori del Movimento 5 Stelle. C’è bisogno di un ritorno ai partiti solidi: non si tratta di tornare all’antico, alla Prima Repubblica, ma di recuperare il meglio dell’esperienza del passato. I partiti devono avere correnti e pluralismo: limpida dialettica interna, anziché la “notte dei lunghi coltelli” che si sta consumando nel Pd. Ho molto ottimismo, perché molte cose di muovono e, in Italia, questo magma sarà fecondissimo.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli durante la diretta a “Colors Radio” il 27 febbraio 2017, nella quale Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, ha annunciato l’imminente lancio di un nuovo partito, “democratico e progressista”).Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa. E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori. Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo. In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari. In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.
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Crolla la grande truffa della sinistra, che ha tradito il popolo
La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere. La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale. Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo. Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla. Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx. Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.La critica di Marx al capitalismo è di natura economica: il capitale e il lavoro sono in eterno conflitto. Nell’analisi di Marx il capitale ha la meglio fino a che le contraddizioni interne del capitalismo non erodono dall’interno le sue capacità di controllo. Il capitale non domina solo il lavoro; domina anche lo Stato. Perciò la versione “statale” del capitalismo che domina a livello globale non è una coincidenza o un’anomalia – è l’unico esito possibile di un sistema nel quale il capitale è la forza dominante. Per contrastare il dominio del capitale sono sorti i movimenti politici socialdemocratici, per strappare alcune misure dalle mani del capitale e volgerle in favore del lavoro. I movimenti socialdemocratici sono stati ampiamente aiutati dal “quasi crollo” della prima versione del capitalismo statale [cartel capitalism] durante la Grande Depressione, quando la cancellazione del debito deteriorato avrebbe comportato la distruzione dell’intero sistema bancario e azzoppato la funzione principale del capitalismo, quella di far crescere il capitale stesso tramite un’espansione del debito.I padroni del capitale, decimati, capirono di avere un’unica scelta: resistere fino ad essere rovesciati dall’anarchismo o dal comunismo, oppure cedere un po’ della loro ricchezza e del loro potere ai partiti socialdemocratici in cambio di stabilità sociale, politica ed economica. In termini generali si direbbe che la sinistra favorisce il lavoro (i cui diritti sono protetti dallo Stato) mentre la destra favorisce il capitale (i cui diritti sono ugualmente protetti dallo Stato). Ma nel corso degli ultimi 25 anni di neoliberalismo globalizzato, i movimenti socialdemocratici hanno abbandonato il lavoro per abbracciare la ricchezza e il potere che gli venivano offerti dal capitale. L’essenza della globalizzazione è questa: il lavoro viene mercificato mentre il capitale mobile è libero di girare in qualsiasi angolo del mondo per cercare il costo del lavoro minore possibile. Al contrario del capitale, il lavoro è molto meno mobile, non è in grado di spostarsi fluidamente e senza frizioni come fa il capitale, alla ricerca di opportunità e di scarsità da sfruttare a proprio vantaggio.Il neoliberalismo – l’apertura dei mercati e delle frontiere – permette al capitale di schiacciare il lavoro senza alcuno sforzo. I socialdemocratici, nel momento in cui abbracciano l’idea dei “confini aperti”, istituzionalizzano l’apertura all’immigrazione; questa disintegra il valore della forza lavoro dato dalla sua scarsità sul mercato interno, e permette di abbassarne il prezzo grazie al lavoro degli immigrati, a tutto vantaggio del desiderio del capitale di abbattere i costi. La globalizzazione, la finanza neoliberale e le politiche di immigrazione determinano il crollo della sinistra e la vittoria del capitale. Ora è il capitale a dominare totalmente lo Stato e le sue strutture clientelari – i partiti politici, le lobby, i contributi alle campagne elettorali, le fondazioni di beneficienza che operano a pagamento, e tutte le altre strutture del capitalismo di Stato. Per nascondere il crollo della difesa economica del lavoro da parte della sinistra, i sostenitori della sinistra e la macchina delle pubbliche relazioni hanno sostituito i movimenti per la giustizia sociale alle lotte per acquisire sicurezza economica e capitale.Questo è riuscito alla perfezione, e decine di milioni di autoproclamati “progressisti” si sono bevuti la Grande Truffa della sinistra, secondo la quale le campagne di “giustizia sociale” in nome di gruppi sociali emarginati sarebbero la vera caratteristica distintiva dei movimenti progressisti e socialdemocratici. Questo giochetto da prestigiatore, questo abbraccio delle campagne per la “giustizia sociale” economicamente neutre, ha mascherato il fatto che i partiti socialdemocratici avevano intanto gettato il lavoro nel tritacarne della globalizzazione, dell’apertura all’immigrazione e della libera circolazione del capitale, che intanto era tutto contento dell’abbandono del lavoro da parte della sinistra. Nel frattempo i furboni della sinistra si sono ingozzati delle concessioni elargite dal capitale in cambio del loro tradimento. Vengono in mente i “guadagni” di Bill e Hillary Clinton per 200 milioni di dollari, e innumerevoli altri esempi di arricchimenti personali da parte di autoproclamati “difensori” del lavoro. La sinistra non è solo allo sbando – è al crollo totale – ora che la classe lavoratrice si è svegliata e si è resa conto del tradimento e dell’abbandono da parte di chi si è occupato solo del proprio interesse personale. Chiunque lo neghi non si è ancora reso conto della Grande Truffa della Sinistra.(Charles Hugh-Smith, “Crolla la grande truffa della sinistra”, dal blog “Of Two Minds” del 23 gennaio 2017, ripreso da “Voci dall’Estero”).La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere. La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale. Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo. Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla. Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx. Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.
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Craig Roberts: golpe in vista, Trump è già un uomo morto
«Non c’è nulla che l’establishment politico non farà e nessuna bugia che non dirà, per mantenere il proprio prestigio e potere a carico vostro». Parola di Donald Trump, prima delle elezioni. Il guaio è che oggi, pochi mesi dopo il voto, Trump è “un uomo morto”. «Lo sforzo del popolo americano di portare il governo nuovamente sotto il proprio controllo tramite Trump è stato sconfitto dallo Stato Profondo», sentenzia Paul Craig Roberts, viceministro di Reagan negli anni ‘80, già sostenitore critico di “The Donald” e fiero avversario della “falsa sinistra” incarnata da Obama e Hillary, servitori del disegno “imperiale” del complesso militare-industriale, la “fabbrica della guerra”. Per John Schindler, ex spia della Nsa, Trump «morirà in carcere», vittima della «guerra nucleare» che lo “Stato Profondo” gli ha dichiarato. Cia, Pentagono, Wall Street, Fbi, industria degli armamenti. Il “grande nemico”, denunciato dal presidente Eisenhower nel suo ultimo discorso, avrebbe vinto ancora, secondo Craig Roberts: «Donald Trump ha sovrastimato il suo potere presidenziale? La risposta è sì. Steve Bannon, il principale consigliere di Trump, è politicamente inesperto? La risposta è sì». Trump ha sovrastimato le sue forze, ha sfidato il “mostro” e adesso pagherà un prezzo altissimo.Il “New York Times” riporta che «le agenzie di intelligence americane hanno cercato di capire se la campagna elettorale Trump era collusa con i russi sulla pirateria informatica o con altri sforzi per influenzare le elezioni». E’ l’offensiva del “Deep State”, che si sta riprendendo il potere. Trump in carcere? «E’ possibile che accadrà proprio questo», scrive Craig Roberts, in un post su “Sputnik News” tradotto da Costantino Ceoldo per “Come Don Chisciotte”. Il prestigioso analista americano, già “editor” del “Wall Street Journal”, ricorda che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il complesso militare e di sicurezza decise che «il flusso di profitti e potere derivante dalla guerra e dai pericoli di una guerra era troppo grande per essere ceduto», consegnato alla tranquillità di in un’era di pace. «Questo complesso ha manipolato un debole e inesperto presidente Truman in una gratuita guerra fredda con l’Unione Sovietica», basata sul nulla: «Fu creata la menzogna, accettata dal popolo americano credulone, che il comunismo internazionale voleva conquistare il mondo». Assurdo: Stalin aveva liquidato Trotskij e tutti gli alfieri della “rivoluzione permanente”, estesa a tutto il mondo, puntando invece sul “socialismo in un solo paese”.Ma l’establishment americano «ha abbozzato e contribuito all’inganno», gonfiando il super-potere dell’apparato militare-industriale fino a preoccupare Dwitght Eisenhower, che nel 1961 – nel suo ultimo discorso – mise in guardia il popolo contro la vocazione eversiva del business della guerra: «Tre milioni e mezzo di uomini e donne sono direttamente impegnati nell’apparato della difesa», disse. «Ogni anno spendiamo per la sicurezza militare più del reddito netto di tutte le società degli Stati Uniti. Questa congiunzione di un apparato militare immenso e di una grande industria degli armamenti è nuova, nell’esperienza americana. L’influenza totale – economica, politica, anche spirituale – si fa sentire in ogni città, ogni Parlamento, ogni ufficio del governo federale». Una necessità geopolitica con «gravi implicazioni», per Eisenhower: «Dobbiamo guardarci dall’acquisizione di una influenza ingiustificata, visibile o invisibile, da parte del complesso militar-industriale. Il potenziale per l’ascesa disastrosa di un potere fuori luogo esiste e persisterà. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i nostri processi democratici».E ancora: «Non dovremmo mai dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza vigile e competente può costringere il corretto ingranamento del grande apparato industriale e militare di difesa con i nostri metodi e gli obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme». Gli avvisi di Eisenhower, osserva Craig Roberts, erano centrati. «Tuttavia, erano basati su “una cittadinanza vigile e competente”, che gli Stati Uniti non hanno. La popolazione americana è in gran parte stupida e si sta dirigendo, in tutto lo spettro ideologico da sinistra a destra, all’autodistruzione». I media, stampa e televisione, che «servono da propagandisti per il potere del complesso militar-industriale e le élite di Wall Street», ormai «si accertano che gli americani non abbiano nulla se non informazioni false ed orchestrate: ogni famiglia e persona che accende la Tv o si legge un giornale è programmata per vivere in una realtà falsa ed orchestrata che serve quei pochi che comprendono l’apparato di governo». L’altro problema? «Trump ha sfidato questo apparato, senza rendersi conto che è più potente di un semplice presidente degli Stati Uniti».Durante il secondo mandato di Obama, la Russia e il suo presidente «sono stati demonizzati dal complesso militar-industriale e dai neoconservatori utilizzando i media “presstitute”», scrice Craig Roberts. «La demonizzazione ha facilitato la capacità dei media “presstitute” controllati, come il “New York Times”, il “Washington Post”, Cnn, Msnbc ed il resto, di associare il contatto con la Russia e gli articoli che mettevano in discussione le tensioni orchestrate tra Stati Uniti e Russia, con attività sospette, forse anche tradimento». Trump e i suoi consiglieri? «Erano troppo inesperti per rendersi conto che la conseguenza del licenziamento di Flynn è stata quella di validare questa associazione orchestrata della presidenza Trump con l’intelligence russa». E ora abbiamo «le puttane dei media e le puttane della politica» impegnate a porre la stessa domanda utilizzata per infangare il presidente Nixon e forzarne le dimissioni: “Che cosa sapeva il presidente e quando lo sapeva?”. Trump sapeva che il generale Flynn aveva parlato con l’ambasciatore russo settimane prima che Trump abbia detto che lo aveva fatto? Flynn ha fatto l’indicibile, parlare con un russo: perché Trump gli ha detto di farlo?I fornitori di false notizie, cioè i grandi media «bugiardi spregevoli», secondo Craig Roberts «stanno usando insinuazioni irresponsabili per intrappolare il presidente Trump in una rete di tradimento». Ecco il titolo del “New York Times”: «Gli assistenti della campagna di Trump hanno avuto contatti ripetuti con l’intelligence russa». Quello a cui stiamo assistendo, insiste l’analista, è una campagna da parte dello Stato Profondo, «che usa le sue puttane dei media per organizzare l’impeachment di Trump». In altre parole, «quelli al lavoro per ribaltare le elezioni presidenziali del 2016 sono così sicuri del loro successo che dichiarano pubblicamente la loro preferenza per un colpo di Stato sulla democrazia». Ad esempio, «il guerrafondaio neoconservatore sionista Bill Kristol ha espresso la sua preferenza per un colpo di Stato». Craig Roberts lo definisce «liberale progressista di sinistra, allineato con l’Uno Percento contro la “razzista, misogina, omofobica” classe operaia, i “deplorevoli” che hanno eletto Trump». In campo anche gli artisti, come «il musicista disinformato Moby», il quale «si è sentito in dovere di scrivere sciocchezze ignoranti su Facebook», per dire che «il dossier russo su Trump è reale», il presidente «è ricattato dal governo russo, non solo per essersi fatto pisciare addosso da prostitute russe, ma per cose molto più nefaste». In più, «l’amministrazione Trump è in collusione con il governo russo, e lo è stata fin dal primo giorno».Aggiunge Craig Roberts: «Ora che Trump è stato contaminato dalle “associazioni con lo spionaggio russo” i repubblicani idioti, secondo “Bloomberg”, si sono “uniti alle chiamate dei democratici per uno sguardo più approfondito sui contatti tra la squadra del presidente Trump e gli agenti dello spionaggio russo», cosa che «indica un crescente senso di pericolo politico all’interno del partito qualora emergessero nuovi rapporti su ampi contatti tra i due». Naturalmente – puntualizza Craig Roberts – non vi è alcuna prova di tali contatti: sono solo insinuazioni, su cui si basa la campagna per deporre Trump. Il licenziamento di Flynn, il generale “sacrificato” nel tentativo di placare le polemiche, ha solo peggiorato la situazione: viene presentato come un’ammissione di colpevolezza, mentre la Cia «continua a passare notizie false alle “presstitute”». Conclude Craig Roberts, amaramente: «Fin dall’inizio ho avvertito che Trump mancava dell’esperienza e delle conoscenze per scegliere un governo che gli stesse accanto e servisse la sua agenda. Trump ha ora licenziato l’unica persona su cui avrebbe potuto contare. La conclusione più ovvia è che Trump è carne morta».Negli Usa, «continua a guadagnare credibilità la tesi di Chris Hedges secondo la quale la rivoluzione è l’unico modo con cui gli americani possono rivendicare il proprio paese». Trump è stato crocifisso alle parole pronunciate alla vigilia delle elezioni, quando disse: «L’establishment di Washington, e le grandi aziende finanziarie e dei media che lo finanziano, esiste per una sola ragione: per proteggersi ed arricchirsi». Questo, aggiunse, «è un crocevia della storia della nostra civiltà che determinerà se noi, il popolo, recupereremo il controllo sul nostro governo». L’establishment politico, il Deep State: «Sta tentando di tutto per fermarci», disse Trump. Ed è «lo stesso gruppo responsabile per i nostri trattati commerciali disastrosi, la massiccia immigrazione illegale e le politiche estere che hanno fatto sanguinare questo paese fino a prosciugarlo». La classe politica «ha portato alla distruzione delle nostre fabbriche e dei nostri posti di lavoro, che fuggono in Messico, Cina e altri paesi in tutto il mondo». Un nemico potentissimo: «Si tratta di una struttura di potere globale che è responsabile per le decisioni economiche che hanno derubato la nostra classe operaia, spogliato il nostro paese della sua ricchezza e messo quei soldi nelle tasche di un pugno di grandi aziende ed entità politiche». Parole a cui oggi lo Stato Profondo sta inchiodando Trump, a colpi di finti scandali mediatici, verso l’impeachment.«Non c’è nulla che l’establishment politico non farà e nessuna bugia che non dirà, per mantenere il proprio prestigio e potere a carico vostro». Parola di Donald Trump, prima delle elezioni. Il guaio è che oggi, pochi mesi dopo il voto, Trump è “un uomo morto”. «Lo sforzo del popolo americano di portare il governo nuovamente sotto il proprio controllo tramite Trump è stato sconfitto dallo Stato Profondo», sentenzia Paul Craig Roberts, viceministro di Reagan negli anni ‘80, già sostenitore critico di “The Donald” e fiero avversario della “falsa sinistra” incarnata da Obama e Hillary, servitori del disegno “imperiale” del complesso militare-industriale, la “fabbrica della guerra”. Per John Schindler, ex spia della Nsa, Trump «morirà in carcere», vittima della «guerra nucleare» che lo “Stato Profondo” gli ha dichiarato. Cia, Pentagono, Wall Street, Fbi, industria degli armamenti. Il “grande nemico”, denunciato dal presidente Eisenhower nel suo ultimo discorso, avrebbe vinto ancora, secondo Craig Roberts: «Donald Trump ha sovrastimato il suo potere presidenziale? La risposta è sì. Steve Bannon, il principale consigliere di Trump, è politicamente inesperto? La risposta è sì». Trump ha sovrastimato le sue forze, ha sfidato il “mostro” e adesso pagherà un prezzo altissimo.