Archivio del Tag ‘privatizzazioni’
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Chomsky: liberarsi dagli Usa, lo Stato-canaglia impunito
Durante l’ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe “de-americanizzarsi” – separarsi dallo Stato-canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori. La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica. In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente – ma non erroneamente – come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani. Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito-azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare normale. Il commentatore conservatore Norman Ornstein, dello Enterprise Institute, descrive i repubblicani di oggi come «una rivolta radicale – ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che disprezza la legittimità della sua opposizione politica»: un grave pericolo per la società. Il partito è al servizio dei più ricchi e delle imprese. Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente tradizionale. La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d’affari avevano previsto di usarli come ariete nell’assalto neoliberista contro la popolazione – privatizzare, deregolamentare e limitare il governo, pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del potere, come i militari.La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande costernazione. L’impatto sulla società americana diventa così ancora più grave. Un esempio: la reazione virulenta contro l’Affordable Care Act (Atto sulla Salute Conveniente, è il piano nazionale per la sanità, più noto in Italia come ObamaCare, ndt) e il quasi shutdown del governo federale. L’osservazione del commentatore cinese non è del tutto nuova. Nel 1999, l’analista politico Samuel Huntington avvertiva che, per gran parte del mondo, gli Usa stavano diventando «la superpotenza canaglia», visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società». A pochi mesi dall’inizio del mandato di Bush, Robert Jervis, presidente della American Political Science Association, avvertiva che «agli occhi di gran parte del mondo, il primo Stato-canaglia oggi sono gli Stati Uniti». Sia Huntington che Jervis hanno avvertito che un tale corso è imprudente. Le conseguenze per gli Stati Uniti potrebbero essere deleterie.Nell’ultimo documento emanato da “Foreign Affairs”, uno dei principali giornali, David Kaye esamina un aspetto dell’allontanamento di Washington dal mondo: il rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport». Kaye spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo, come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive Nuclear – Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare – Ctbt), nel 1999». Per altri trattati si preferisce non agire, se riguardano «temi come il lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di estinzione, l’inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della pace, le armi nucleari, la legge del mare, la discriminazione contro le donne». Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in modo così radicato, scrive Kaye, che «i governi stranieri non si aspettano più la ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove, con limitato (quando c’è) coinvolgimento americano».Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in questi ultimi anni, insieme con la tranquilla accettazione, all’interno della nazione, della dottrina secondo cui gli Usa hanno tutto il diritto di agire come uno Stato-canaglia. Per fare un esempio, un paio di settimane fa le forze speciali Usa hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l’interrogatorio, senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha informato la stampa che quelle azioni sono “legali” perché sono conformi con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento. I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero un po’ diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo a Cuba per l’interrogatorio e il processo in conformità alla legge cubana.Tali azioni sono limitate agli Stati-canaglia. Più precisamente, a quegli Stati-canaglia abbastanza potenti da agire impuniti, in questi ultimi anni, fino a svolgere aggressioni a volontà e terrorizzare le grandi regioni del mondo, con gli attacchi dei droni e molto altro. E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo embargo contro Cuba, nonostante l’opposizione di lunga durata di tutto il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore quando le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l’embargo nel mese di ottobre. Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall’eminente statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il loro «potere, posizione e prestigio». Cuba ha commesso quel delitto quando ha sconfitto un’invasione proveniente dagli Stati Uniti e poi ha avuto l’ardire di sopravvivere a un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba, nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l’indipendenza, hanno cercato di unirsi alla comunità internazionale del tempo. E’ per questo che la Dichiarazione d’Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il “rispetto delle opinioni dell’umanità”. Un elemento cruciale fu l’evoluzione da una confederazione disordinata verso un’unica «nazione degna di stipulare trattati», secondo l’espressione storica del diplomatico Eliga H. Gould, che osservava le convenzioni dell’ordine europeo. Con il raggiungimento di questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo piacimento a livello nazionale. Poteva quindi procedere a liberarsi della popolazione indigena e ad espandere la schiavitù, una istituzione così “odiosa” che non poteva essere tollerata in Inghilterra, come l’illustre giurista William Murray, conte di Mansfield, stabilì nel 1772. L’evoluzione del diritto inglese era un fattore che spingeva la società schiavista a sfuggire alla sua portata. Il diventare una “nazione degna di stipulare trattati” conferì molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la libertà di agire senza interferenze a casa propria. Il potere egemonico fornisce l’opportunità di diventare uno Stato-canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme, mentre affronta una crescente resistenza all’estero e contribuisce al proprio declino attraverso ferite auto-inflitte.(Noam Chomsky, “De-americanizzare il mondo”, intervento pubblicato su “Truth Out” il 5 novembre 2013 e ripreso da “Come Don Chisciotte”).Durante l’ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe “de-americanizzarsi” – separarsi dallo Stato-canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori. La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica. In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente – ma non erroneamente – come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani. Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito-azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).
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Nato economica: giudici scavalcati, il business sarà legge
«Vi ricordate di quel referendum sulla creazione di un mercato unico con gli Stati Uniti? Sapete, quello in cui ci è stato chiesto se le multinazionali dovrebbero avere il potere di annullare le nostre leggi? No, nemmeno io». Geroge Monbiot, sul “Guardian”, avverte: è in arrivo l’ennesimo attacco letale a quel che resta della nostra sovranità: «Dopo tutta quella lunga e penosa discussione sul fatto se dobbiamo o meno restare nell’Unione Europea, il governo non cederà la nostra sovranità a qualche organismo-ombra antidemocratico senza consultarci. O no?». Lo scopo della Ttip, “Transatlantic Trade and Investment Partnership”, nota anche come “la Nato economica”, è quello di eliminare le differenze normative tra Usa e paesi europei. Dettaglio fatale: il nuovo potere «concederebbe al grande business di citare in giudizio i governi che cercano di difendere i propri cittadini». Ovvero, «consentirebbe a una giuria formata da giuristi d’impresa che operano a porte chiuse di non tener conto della volontà del Parlamento e annullare le nostre protezioni legali». E ovviamente, «i difensori della nostra sovranità» (politici, governi, partiti) «non ci dicono nulla».Il meccanismo attraverso cui si arriva a tutto ciò, scrive Monbiot in un servizio ripreso da “Megachip”, è noto come “investor-State dispute settlement”, cioè: risoluzione delle controversie tra Stati e investitori. «E’ già utilizzato in molte parti del mondo per togliere di mezzo le regolamentazioni a tutela delle persone e del pianeta vivente». Primo esempio, l’Australia: dopo un lungo dibattito dentro e fuori del Parlamento, il governo ha deciso che le sigarette avrebbero dovuto essere vendute in semplici pacchetti, contrassegnati solo con delle scioccanti avvertenze per la salute. Decisione convalidata dalla Corte Suprema australiana. «Ma, in seguito a un accordo commerciale tra l’Australia e Hong Kong, la società del tabacco Philip Morris ha agito presso un tribunale offshore per ottenere una ragguardevole somma a titolo di risarcimento per la perdita di quella che definisce una sua proprietà intellettuale». Altro caso, l’Argentina: durante la crisi, in risposta alla rabbia popolare, Buenos Aires aveva imposto il congelamento delle tariffe dell’energia e dell’acqua. Anche lì, però, il governo è stato citato in giudizio da quelle stesse società (internazionali) decise a lucrare sui servizi. Morale: «L’Argentina è stata costretta a pagare più di un miliardo di dollari di risarcimento».Stesso copione nel Salvador, dove le comunità locali hanno pagato un caro prezzo (tre attivisti uccisi) per convincere il governo a rifiutare la concessione per una grande miniera d’oro che minacciava di contaminare le riserve idriche. «Una vittoria per la democrazia? Non per molto, forse», annota Monbiot. «La società canadese che aveva chiesto la concessione ora sta citando El Salvador per 315 milioni di dollari – per la perdita dei suoi profitti futuri». Dal Salvador al Canada: un tribunale aveva revocato due brevetti di proprietà della società americana Eli Lilly, perché la società non aveva prodotto prove sufficienti sui presunti effetti benefici dei suoi prodotti. Eli Lilly ora sta facendo causa al governo canadese per 500 milioni di dollari, e chiede che le leggi sui brevetti del Canada siano cambiate. «Queste aziende (insieme a centinaia di altre) stanno utilizzando le regole sulla risoluzione delle controversie investitore-Stato incorporate nei trattati commerciali firmati dai paesi», scrive il giornalista del “Guardian”. «Le regole sono applicate da giurie che non offrono nessuna delle garanzie assicurate nei nostri tribunali».Le audizioni si svolgono a porte chiuse e i giudici sono avvocati aziendali, molti dei quali lavorano per le stesse società che agiscono in giudizio. I cittadini e le comunità colpite dalle loro decisioni non hanno più alcun valore legale: attraverso quei “giudici del business”, le aziende «possono rovesciare la sovranità dei Parlamenti» e perfino le sentenze delle corti supreme nazionali. Ammette uno dei giudici di questi tribunali: «A tre individui privati è affidato il potere di rivedere, senza alcun limite e senza possibilità di appello, tutte le azioni dei governi, tutte le decisioni dei tribunali, e tutte le leggi di regolamentazione emanate dal Parlamento. Non ci sono dei corrispondenti diritti dei cittadini, osserva Monbiot. «Non possiamo agire in questi tribunali per chiedere una migliore protezione dall’avidità delle società». Come dice il Democracy Centre, questo è «un sistema di giustizia privatizzata per società globali». Parlando delle regole introdotte dal North American Free Trade Agreement, un funzionario del governo canadese rivela: «Ho visto lettere in arrivo da New York e da studi legali con sede a Washington, praticamente su tutte le nuove normative e proposte a tutela dell’ambiente degli ultimi cinque anni. Riguardano prodotti chimici per lavaggio a secco, prodotti farmaceutici, pesticidi, diritti dei brevetti. Praticamente tutte le nuove iniziative sono state prese di mira e la maggior parte non ha mai visto la luce del giorno».Tecnicamente, è la fine della democrazia. E questo, aggiunge Monbiot, è esattamente «il sistema che ci governerà se il trattato transatlantico va avanti». Gli Usa e la Commissione Europea? Entrambi “catturati” dalle multinazionali. Per Bruxelles, i tribunali nazionali non offrono alle aziende una protezione adeguata perché «potrebbero essere prevenuti o non indipendenti». E’ vero il contrario, scrive il “Guardian”: «E’ proprio perché i nostri tribunali generalmente non hanno pregiudizi e sono indipendenti che le imprese vogliono bypassarli». Così, le nuove regole sulle controversie tra investitori e Stati «potrebbero essere utilizzate per distruggere ogni tentativo di salvare il sistema sanitario nazionale dal controllo societario, di regolamentare di nuovo le banche, di frenare l’avidità delle compagnie energetiche, di rinazionalizzare le ferrovie, di lasciare i combustibili fossili nel terreno». Queste regole, sintetizza Monbiot, «distruggono le alternative democratiche» e «mettono fuorilegge le politiche di sinistra», decretando la fine del welfare e della sicurezza sociale, storico pilastro dell’Europa nella quale siamo tutti cresciuti. “Riforme” clandestine, sostenute di soppiatto dai nostri attuali politici: «Questo è il motivo per cui non vi è stato alcun tentativo da parte del governo britannico di informarci su questa mostruosa aggressione alla democrazia, per non parlare poi di fare una consultazione popolare». A tacere sono i politici che «sbuffano a sentir parlare di sovranità», conclude Monbiot. «Svegliamoci, gente: ci stanno fregando».«Vi ricordate di quel referendum sulla creazione di un mercato unico con gli Stati Uniti? Sapete, quello in cui ci è stato chiesto se le multinazionali dovrebbero avere il potere di annullare le nostre leggi? No, nemmeno io». Geroge Monbiot, sul “Guardian”, avverte: è in arrivo l’ennesimo attacco letale a quel che resta della nostra sovranità: «Dopo tutta quella lunga e penosa discussione sul fatto se dobbiamo o meno restare nell’Unione Europea, il governo non cederà la nostra sovranità a qualche organismo-ombra antidemocratico senza consultarci. O no?». Lo scopo della Ttip, “Transatlantic Trade and Investment Partnership”, nota anche come “la Nato economica”, è quello di eliminare le differenze normative tra Usa e paesi europei. Dettaglio fatale: il nuovo potere «concederebbe al grande business di citare in giudizio i governi che cercano di difendere i propri cittadini». Ovvero, «consentirebbe a una giuria formata da giuristi d’impresa che operano a porte chiuse di non tener conto della volontà del Parlamento e annullare le nostre protezioni legali». E ovviamente, «i difensori della nostra sovranità» (politici, governi, partiti) «non ci dicono nulla».
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Sapelli: ripulire i nostri risparmi, per mettere l’Italia ko
I dati che giungono dalla Commissione Europea con le sue previsioni economiche di autunno sono disarmanti: più debito e più deficit, meno crescita. È un circolo vizioso che si alimenta da sé. Se non vi è domanda aggregata, la crescita è possibile solo se vi è una via per le esportazioni. Ma la via dell’export è stretta e solo pochi alpinisti possono scalare quei sentieri. Il dato spagnolo è impressionantemente efficace. La cosiddetta ripresa di quel paese deriva da una crescita della produzione automobilistica – non solo, naturalmente, ma soprattutto – in particolare degli stabilimenti Ford. Ma se si vanno a vedere i numeri degli occupati – anche il “Financial Times” ha dovuto ammetterlo – la situazione è sconcertante: solo duemila i lavoratori in quegli impianti, grazie a condizioni salariali basse e precarie. I sindacati spagnoli (i socialisti dell’Ugt in testa, gli ex comunisti del Ccco un po’ più cauti) le hanno accettate perché considerano essenziale dare lavoro costi quel che costi!Quindi, la ripresa nell’Europa del Sud è una temperata sospensione della caduta, e non un recupero, del Pil, ossia dello stock di capitale fisso che è andato perduto negli ultimi venti anni. La causa di ciò è la deflazione imposta dalla Germania a tutta l’Europa. L’Italia è colpita in pieno. I dati statistici su cui si litiga anticipano la vera battaglia che inizierà con l’unione bancaria. Si coglierà – da parte di molteplici troike – l’occasione della verifica sui bilanci per reclamare, come sempre ha fatto Mario Draghi dal 1992 a oggi, la privatizzazione delle banche. Ed essa sarà fatta, come si ripete dopo Cipro, grazie al risparmio (per chi ancora lo ha) delle famiglie e delle piccole imprese. Lo si drenerà spietatamente con ogni mezzo.Saccomanni è stato chiaro alcune settimane or sono, poco intelligentemente disvelando il piano. Le banche sono esauste, che giungano quindi le shadow banks e le dark pools, cioè un sistema parabancario speculativo che i nostri governanti amano! E pure ancor si predica la ripresa! Bruxelles ha il pudore di spostarla al 2014-2015, ma il pericolo è che tra un anno non rimanga più nulla. Naturalmente un’alternativa a questa sorta di distruzione del credito per l’economia reale esiste. È il ritorno alla separazione tra banca commerciale e banca d’investimento, evitando l’eccesso di capitalizzazione che sarà richiesto alle banche non separate. La super-capitalizzazione non elimina il rischio e drena capitale produttivo trasformandolo in capitale come costo. Il risultato sarà il contrario di quello che si vuol produrre. Paradossalmente, pur tra mille ostacoli, il mondo anglosassone va dritto verso la separazione; solo l’Europa della Bce va dritta verso la rovina.(Giulio Sapelli, “C’è un piano per mettere in ginocchio l’Italia”, da “Il Sussidiario” del 6 novembre 2013).I dati che giungono dalla Commissione Europea con le sue previsioni economiche di autunno sono disarmanti: più debito e più deficit, meno crescita. È un circolo vizioso che si alimenta da sé. Se non vi è domanda aggregata, la crescita è possibile solo se vi è una via per le esportazioni. Ma la via dell’export è stretta e solo pochi alpinisti possono scalare quei sentieri. Il dato spagnolo è impressionantemente efficace. La cosiddetta ripresa di quel paese deriva da una crescita della produzione automobilistica – non solo, naturalmente, ma soprattutto – in particolare degli stabilimenti Ford. Ma se si vanno a vedere i numeri degli occupati – anche il “Financial Times” ha dovuto ammetterlo – la situazione è sconcertante: solo duemila i lavoratori in quegli impianti, grazie a condizioni salariali basse e precarie. I sindacati spagnoli (i socialisti dell’Ugt in testa, gli ex comunisti del Ccco un po’ più cauti) le hanno accettate perché considerano essenziale dare lavoro costi quel che costi!
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Lerner: proni ai diktat Ue, il Grillo no-euro vi punirà
Unione Europea intoccabile? Chiunque la critichi da sinistra, chiedendo una revisione dei trattati-capestro per allentare il rigore in nome della giustizia sociale, viene subito bollato come sovversivo. Dunque poi non ci si lamenti, osserva Gad Lerner, se a fare il pieno di voti alle prossime europee sarà Beppe Grillo, che ora attacca Napolitano, «individuato come il garante della stabilità del nostro sistema di fronte all’establishment dell’Unione Europea». Parola d’ordine del terzo Vday: “L’Italia non deve più versare il suo tributo di sangue all’Europa”. Primo atto di una lunga campagna elettorale. Obiettivo: «Trasformare in plebiscito no-euro l’ostilità abbattutasi un po’ dappertutto sull’Ue, e liquidare come velleità riservata ai benestanti gli ideali della sinistra europeista». Molto probabile che, a maggio 2014, il “referendum contro l’Europa dell’euro” incoroni come partito di maggioranza relativa la formazione grillina, che avrà buon gioco «nell’indicare il governo delle larghe intese, e la sua sudditanza ai diktat di Bruxelles, come i responsabili della crescente sofferenza sociale».La stessa contrarietà dichiarata da Grillo all’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, aggiunge Lerner, conferma che il leader del M5S «vuole assecondare la sindrome da invasione straniera, impersonata altrove dai partiti populisti e xenofobi antieuropei, per offrirsi così come punto di riferimento all’elettorato di destra in libera uscita». Sfumature “strumentali” a parte, il progetto di Grillo è ambizioso: «Mira infatti a una clamorosa bocciatura per via elettorale di quegli “stupidi” parametri con cui, vent’anni fa a Maastricht, si diede vita a una Unione prima finanziaria e monetaria che politica». Parametri «inaspriti ulteriormente, sotto i colpi della recessione, con i vincoli di bilancio pretesi dalla cancelleria di Berlino», e col rubinetto della liquidità creditizia gestito col contagocce dalla Bce. «Grillo sa di riscuotere vasto consenso quando parla di “tributo di sangue” imposto dall’Europa all’Italia. Nella sua propaganda, “Imu, Iva, Tarsu, Tares, Trise sono il frutto della religione dell’austerità”. Poi, nel 2016, entrerà in vigore il Fiscal Compact, col quale “siamo condannati a trovare ogni anno 50 miliardi per i prossimi vent’anni”. Senza peraltro che ciò garantisca il ripianamento del nostro debito pubblico».Ecco l’argomento anti-Ue grazie a cui Grillo confida di imporsi come maggioranza relativa in Italia: «Le enormi cifre che l’Europa ci impone di versare, da sole “basterebbero a riavviare la nostra economia e a fare del nostro paese uno Stato florido”. Dunque l’Europa sarebbe un impedimento anziché la levatrice della nostra rinascita». Per Lerner si tratta di «demagogia»: giudizio davvero sorprendente, e non spiegato. “Demagogia” comunque «efficacissima», quella di Grillo, specie se messa a confronto con l’uscita di Letta alla Sorbona: «Dirò qualcosa di impopolare, ma se non avessi avuto lo scudo comunitario, non avrei potuto dire no a chi in Italia faceva pressione per aumentare il debito». Se la contrapposizione resta frontale – Grillo che sconfessa i trattati europei e il governo che si trincera dietro lo “scudo comunitario” pur di non rivedere i vincoli di bilancio – l’esito delle elezioni europee è segnato, «col partito dell’austerità destinato alla sconfitta, Renzi o non Renzi», con in più l’incognita dei contraccolpi che causerebbe nell’Ue «la vittoria di un movimento antieuropeo in un grande paese come Italia».Più che antieuropeo, sarebbe meglio dire antieuropeista: cioè contro l’attuale gestione dell’Unione, frutto del disastroso europeismo finanziario dei suoi padri fondatori. Lerner giudica “drammatica”« l’irrilevanza cui sembra condannato il progetto sociale e politico di una sinistra europeista». E più che di irrilevanza, bisognerebbe parlare delle responsabilità primarie che partiti come il Pds-Ds-Pd, l’Spd e i socialisti francesi hanno assunto nell’interpretare la politica antisociale di Bruxelles – ruolo tutt’altro che irrilevante, purtroppo. Le conseguenze sono ben evidenziate dallo stesso Lerner: «Viviamo un passaggio storico cruciale in cui sembrerebbe che l’Europa dei cittadini indebitati, dei giovani disoccupati, del ceto medio impoverito, del Quinto Stato in cui confluiscono milioni di lavoratori parasubordinati, autonomi, precari, possa trovare solo nel populismo nazionalista uno sbocco politico al suo malessere».E’ come se all’analisi di Lerner mancasse un passaggio: il giornalista sembra non “vedere” l’abisso che separa «il cosmopolitismo sessantottino dei Cohn-Bendit, Langer, Fischer», da quella che chiama «la visione sociale di Delors e Prodi», cioè del “nonno” del rigore – massimo padrino europeo dell’euro-sciagura – e del super-tecnocrate professore dell’Ulivo, già presidente della Commissione Europea nonché advisor della famigerata Goldman Sachs. Grandi privatizzatori, demolitori delle fondamenta del welfare. Risultato? Quello attuale: il «vuoto di cultura della cittadinanza e del comune destino europeo», su cui in Italia giganteggia l’anziano Napolitano, «il principale interlocutore dei partner dell’Unione, e come tale appare proteso in un faticoso impegno di salvaguardia degli architravi comunitari vacillanti». La democrazia federale degli Stati Uniti d’Europa è rimasta nel grande sogno di Altiero Spinelli. «Sarebbe prezioso», conclude Lerner, che in campagna elettorale «emergesse una visione europeista disincagliata dai parametri di Maastricht e dal Fiscal compact». Non accadrà. Vincerà quello che Lerner chiama «il catastrofismo no-euro di Grillo, nutrito dai fallimenti di una tecnocrazia che s’illude ancora di trovare riparo dietro allo “scudo comunitario”».Unione Europea intoccabile? Chiunque la critichi da sinistra, chiedendo una revisione dei trattati-capestro per allentare il rigore in nome della giustizia sociale, viene subito bollato come sovversivo. Dunque poi non ci si lamenti, osserva Gad Lerner, se a fare il pieno di voti alle prossime europee sarà Beppe Grillo, che ora attacca Napolitano, «individuato come il garante della stabilità del nostro sistema di fronte all’establishment dell’Unione Europea». Parola d’ordine del terzo Vday: “L’Italia non deve più versare il suo tributo di sangue all’Europa”. Primo atto di una lunga campagna elettorale. Obiettivo: «Trasformare in plebiscito no-euro l’ostilità abbattutasi un po’ dappertutto sull’Ue, e liquidare come velleità riservata ai benestanti gli ideali della sinistra europeista». Molto probabile che, a maggio 2014, il “referendum contro l’Europa dell’euro” incoroni come partito di maggioranza relativa la formazione grillina, che avrà buon gioco «nell’indicare il governo delle larghe intese, e la sua sudditanza ai diktat di Bruxelles, come i responsabili della crescente sofferenza sociale».
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Della Luna: morte lenta, la nostra fine decisa all’estero
«Italy is going the right way», dice l’umorista Obama al fido Enrico Letta. Solo che la “giusta via” ricorda la macellazione per dissanguamento: morte lenta. Così funziona la politica economica italiana, da qualche decennio al servizio di interessi stranieri: il trucco, sostiene Marco Della Luna, sta nello svuotare il paese di tutta la sua linfa, ma lentamente, in modo che non “muoia” e che non soffra troppo, perché potrebbe ribellarsi. All’avvio dell’euro, è bastato qualche anno di bassi tassi per la finanza pubblica, per gonfiare fabbisogno strutturale e debito. «Poi, di colpo, austerità e tassi alti (spread), per creare l’emergenza, imporre il presidenzialismo de facto e la “sospensione della democrazia” a tempo indeterminato». Ma già con la riforma monetaria del 1981-83 poi col Trattato di Maastricht, era stata scardinata la Costituzione: sovranità nazionale e primato del lavoro. «Fatto questo, tutto il resto è stato in discesa»: svuotare il paese di industrie pregiate, capitali e cervelli, in favore della finanza apolide e del suo feudatario-kapò europeo, la Germania.Si è tutto tragicamente avverato: lo dicono Pil, occupazione, flussi di capitale, investimenti, quote di mercato internazionale, qualità della scuola, prospettive per i giovani e per i pensionati. Una manovra che viene da lontano: blocco dei cambi, divieto di protezioni doganali, privatizzazione della gestione delle banche centrali, politiche di tagli e nuove tasse. «Queste mosse hanno prodotto e continuano a produrre esattamente i risultati opposti a quelli promessi e per cui erano stati imposti», scrive Della Luna nel suo blog. Ed è un declino “irreversibile”: «Il che dimostra che il vero fine per cui sono stati concepiti e imposti è molto diverso da quello dichiarato, probabilmente opposto, ossia di creare disperazione, paura, miseria, distruzione, la fine delle democrazie parlamentari, della responsabilità dei governanti verso i governati, della possibilità di un’opposizione e persino di un dissenso culturale, scientifico, giuridico».Lo stesso Fmi ha riconosciuto che, su 167 paesi colpiti da misure di “risanamento” e rigore, nessuno si è risanato né rilanciato, ma tutti sono peggiorati, soprattutto in quanto a Pil e debito pubblico. «I paesi che crescono sono quelli che non applicano questa ricetta e che mantengono il dominio della loro propria moneta: i Brics. La Russia ha superato l’Italia in fatto di Pil e ora l’Italia è nona, fuori dal G8». Già lo si era visto col primo aumento dell’Iva, quello di Monti, aumentata dal 20 al 21%: consumi scoraggiati, crollo della domanda, ulteriore recessione. Con Letta, obbligato a non sforare il tetto europeo del 3% per il deficit, l’Iva è al 22%. Risultato? Scontato: depressione. Che poi, per Della Luna, è esattamente l’obiettivo voluto, come già per Monti. Tutto a va a rotoli? Non è certo un caso: «I vent’anni di stagnazione, declino, delocalizzazioni ed emigrazioni, senza capacità di recupero, di questo paese, nonostante i diversi cambi di maggioranze parlamentari e di inquilini del Quirinale, sono un aspetto di questo processo di lungo termine. Vent’anni inaugurati dal Britannia Party e da Mani Pulite».A questo, continua Della Luna, sono serviti l’architettura dell’Ue, del mercato comune, dei parametri di convergenza, e soprattutto di quel sistema di blocco dei naturali aggiustamenti dei cambi monetari noto come “euro”. «A questo piano hanno lavorato molti governi e gli ultimi capi dello Stato: ne ho parlato ampiamente nei miei ultimi tre saggi, “Cimit€uro”, “Traditori al governo”, e “I signori della catastrofe”», pubblicati da Arianna-Macro Edizioni. E chi ha collaborato al piano di liquidazione dell’Italia «non ha mai avuto problemi giudiziari e, se ne aveva, gli sono stati risolti». Grande svendita del paese, a bordo del famoso panfilo inglese. Fine dell’Italia, altro che Ruby o diritti Mediaset. L’attuale governante Letta? Un continuatore: la sua finanziaria 2014 è pura «policy del dissanguamento lento e pacifico in favore dei paesi e dei capitali dominanti», e si basa sui due pilastri della politica italiana degli ultimi decenni: mantenere l’Italia sottomessa alla super-casta mondiale dell’élite finanziaria e, necessariamente, continuare a foraggiare la mini-casta nazionale incaricata di portare a termine la missione, agli ordini dell’euro-regime.«Una sorta di patto: tu, casta italiana, aiutaci a estrarre tutto quello che c’è di buono per noi in Italia, e ad annientare la capacità italiana di competere con noi sui mercati; in cambio, noi ti lasceremo continuare a mangiare come sei abituata sulle spalle della cosa pubblica, dei lavoratori, dei risparmiatori – ma non troppo voracemente, altrimenti il paese collassa o insorge, vanificando l’esecuzione del piano». Naturalmente l’operazione «deve apparire all’opinione pubblica come perfettamente legittima e democratica», meglio quindi se al governo ci sono larghe intese. Parliamoci chiaro: «Che cosa può mai fare, per rilanciare un paese, un governo che non può permettersi, nemmeno per fronteggiare una tragedia nazionale, di ridurre gli sprechi e le mangerie di una partitocrazia-burocrazia ladra e incapace quanto trasversale?». E’ una casta incompetente ma «selezionata, da decenni, solo per intercettare le risorse pubbliche». Non ci saranno svolte, ma solo promesse.Poi, continua Della Luna, l’Italia è invecchiata, tecnologicamente arretrata, sorpassata per le infrastrutture e in più sovra-indebitata, vessata da maxi-interessi. E infine devastata dalla disoccupazione. Il paese vacilla: «Non vi sono abbastanza giovani lavoratori per pagare le pensioni e le cure dei vecchi». Succede tutto questo perché l’Italia «è sottomessa a potenze straniere che la condizionano e la limitano». Lo profetizzò quarant’anni fa l’economista Nikolas Kaldor: bloccando i cambi e introducendo l’unione monetaria europea, sarebbe ulteriormente aumentato il vantaggio competitivo dei più forti, che avrebbero assorbito industrie, capitali e lavoratori dai paesi più fragili. Vent’anni fa ribadivano questa previsione economisti come Paul Krugman e Wynne Godley. Quindi, «tutti quelli che hanno architettato l’euro sapevano benissimo su che scogli era diretta la nave: il loro scopo era appunto quello di farla naufragare».Le previsioni continuano ad avverarsi in modo sempre più violento da almeno sette anni, ma non è stato introdotto alcun correttivo; al contrario, sono state inasprite le misure di squilibrio e sopraffazione. E chi ha osato anche solo accennare a un referendum sull’euro – Berlusconi, Papandreou – è stato «sostituito dalla Merkel», che ha imposto governi compiacenti (Monti, Letta) patrocinati dal Quirinale. Mentre in Gran Bretagna si fa largo l’Ukip di Nigel Farage e in Francia il Front National di Marine Le Pen, due formazioni fieramente all’opposizione di Bruxelles, «l’Italia si trova nella condizione di protettorato», quasi fosse tornata alla debolezza strutturale pre-unitaria, di entità politica «messa insieme artificialmente, per volontà straniera, mediante conquiste militari». Napolitano? «Si conferma un realista e un saggio disincantato». Inutile opporsi allo strapotere di forze soverchianti: «Poiché gli italiani sono in questa condizione, bisogna farli obbedire e agire anche contro il loro interesse, onde risparmiare loro un male peggiore». La consapevolezza? «Renderebbe la gente solo più infelice e inquieta» e anche «più esposta alle violenze repressive» se osasse ribellarsi. Come dice Obama, fiduciario del Washington Consensus e dei suoi super-banchieri, quella dell’Italia è proprio la “right way”.«Italy is going the right way», dice l’umorista Obama al fido Enrico Letta. Solo che la “giusta via” ricorda la macellazione per dissanguamento: morte lenta. Così funziona la politica economica italiana, da qualche decennio al servizio di interessi stranieri: il trucco, sostiene Marco Della Luna, sta nello svuotare il paese di tutta la sua linfa, ma lentamente, in modo che non “muoia” e che non soffra troppo, perché potrebbe ribellarsi. All’avvio dell’euro, è bastato qualche anno di bassi tassi per la finanza pubblica, per gonfiare fabbisogno strutturale e debito. «Poi, di colpo, austerità e tassi alti (spread), per creare l’emergenza, imporre il presidenzialismo de facto e la “sospensione della democrazia” a tempo indeterminato». Ma già con la riforma monetaria del 1981-83 poi col Trattato di Maastricht, era stata scardinata la Costituzione: sovranità nazionale e primato del lavoro. «Fatto questo, tutto il resto è stato in discesa»: svuotare il paese di industrie pregiate, capitali e cervelli, in favore della finanza apolide e del suo feudatario-kapò europeo, la Germania.
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Saccomanni ci riprova con l’Eni, mentre l’euro ci divora
Saccomanni ci riprova: dopo aver più volte annunciato a partire dalla scorsa estate la fine della crisi italiana, ora supera se stesso affermando che è finita addirittura la crisi mondiale. Unitamente a questo splendido annuncio, ecco l’altra grande conferma: la svendita dei maggiori beni statali, cominciando da un gioiello come l’Eni. L’ex banchiere centrale, prende nota Mitt Dolcino, ora annuncia che vuol proprio vendere l’asset migliore che l’Italia ha in portafoglio, che secondo Paolo Scaroni rende al Tesoro il 6%, per poi pagare interessi sul debito pubblico inferiori al 4%. Follia? La “spiegazione”, secondo Dolcino, la fornisce involontariamente il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che a “Radio 3” – definisce l’interesse straniero (a comprare Eni) come più forte di quello italiano. «Della serie: Saccomanni per chi lavora, per l’interesse degli italiani o per quello dei partner europei, potenziali compratori di Eni?». Dubbio più che lecito, ricordando le famose privatizzazioni del 1992 in cui il nume tutelare di Saccomanni, Mario Draghi, regalò mezza Italia agli stranieri, facendo così decollare la sua brillante carriera.Bonanni che balbetta, scrive Dolcino su “Scenari Economici” in un intervento ripreso da “Come Don Chisciotte”, «fa ben capire la gravità della situazione: anche un sindacalista vede le stesse cose che stiamo stigmatizzando noi da qualche mese». Qualcuno, aggiunge il blogger, dovrebbe “spiegare” a Saccomanni che «le partecipazioni statali non sono sue», e che in teoria esiste ancora un Parlamento. Inoltre, dire che “la crisi è finita” serve «solo per giustificare successivamente azioni straordinarie, approfittando dei problemi che emergeranno e della crescita che non ci sarà». Soltanto alibi, per arrivare all’obiettivo desiderato: privatizzare l’Italia. Tutti gli indicatori smentiscono il ministro, persino i consumi di energia: -3% rispetto all’anno scorso. Il pericolo dello smantellamento del paese resta forte, perché «nessun politico, per cialtrone che sia, ha interesse a far cadere il governo attuale: meglio che la colpa di provvedimenti impopolari non abbia un nome, un responsabile, un colore». Questo potrebbe essere il “movente” dell’eventuale salvataggio di Berlusconi dalla decadenza, per non staccare la spina a Letta e Saccomanni.Le misure speciali evocate del ministro? Tutte inutili, anzi suicide. Unico risultato: agevolare la Germania, che punta a trasformare l’Italia – il suo più grande competitor manifatturiero continentale – in una sacca di manodopera a basso costo, dopo averne acquistato a prezzi di saldo i pezzi più pregiati. «Italiani sveglia, bisogna fare qualcosa», aggiunge Dolcino. Se oggi la maggioranza degli italiani ha finalmente capito che la moneta unica avvantaggia solo i tedeschi a nostro danno, «bisogna minacciare seriamente di uscire dall’euro se non verranno rivisti pesantemente i limiti di bilancio imposti dalle regole europee», preparandosi anche a «ripudiare la moneta unica». Fare qualcosa, subito: «Non bisogna continuare a permettere a politici come Saccomanni di prendere decisioni contro gli interessi del paese». E attenzione anche alla geopolitica, conclude Dolcino, convinto che siano stati gli Usa ad “autorizzare” la Germania a spremere il resto d’Europa. Ora, con lo scandalo Datagate e lo spionaggio ai danni della Merkel, la fiducia si è incrinata: e Washington potrebbe scoprire di aver “allevato”, a Berlino, un competitor globale insidioso per l’America, quasi quanto Cina e Russia.Saccomanni ci riprova: dopo aver più volte annunciato a partire dalla scorsa estate la fine della crisi italiana, ora supera se stesso affermando che è finita addirittura la crisi mondiale. Unitamente a questo splendido annuncio, ecco l’altra grande conferma: la svendita dei maggiori beni statali, cominciando da un gioiello come l’Eni. L’ex banchiere centrale, prende nota Mitt Dolcino, ora annuncia che vuol proprio vendere l’asset migliore che l’Italia ha in portafoglio, che secondo Paolo Scaroni rende al Tesoro il 6%, per poi pagare interessi sul debito pubblico inferiori al 4%. Follia? La “spiegazione”, secondo Dolcino, la fornisce involontariamente il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che a “Radio 3” – definisce l’interesse straniero (a comprare Eni) come più forte di quello italiano. «Della serie: Saccomanni per chi lavora, per l’interesse degli italiani o per quello dei partner europei, potenziali compratori di Eni?». Dubbio più che lecito, ricordando le famose privatizzazioni del 1992 in cui il nume tutelare di Saccomanni, Mario Draghi, regalò mezza Italia agli stranieri, facendo così decollare la sua brillante carriera.
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Viale: lavoro e beni comuni, per un’opposizione europea
Da tempo non siamo più cittadini italiani, ma sudditi di un “sovrano” che si chiama governance europea: un’entità mai eletta, che risponde solo al “voto” dei “mercati”. E’ un governo di fatto, che impone la sua politica ai paesi dell’Ue che gli hanno ceduto la loro sovranità. Fino a concedere, con l’accordo Two-Packs, un controllo preventivo sui propri bilanci. Visto che siamo ridotti a questo, dice Guido Viale, per non rassegnarsi a continuare ad ascoltare all’infinito ritornelli come “ce lo chiede l’Europa”, c’è una sola cosa da fare: organizzare un’opposizione europea, in nome dei diritti calpestati – dignità e lavoro, reddito e casa, salute e istruzione, cultura, vecchiaia serena. Banco di prova: le elezioni europee del maggio 2014. Stop ai vincoli-capestro dell’austerity, che producono solo disoccupazione. Più spesa pubblica, dunque, per rilanciare il lavoro: non impieghi qualsiasi, ma quelli fondati sulla riconversione “green” dell’economia. Premessa: serve una nuova classe dirigente, che possa recepire le idee dei movimenti e innescare le procedure di salvezza.«La crisi in corso non dipende solo da politiche sbagliate», scrive Viale sul “Manifesto”, in un editoriale ripreso da “Micromega”. La grande depressione «è causata soprattutto dal deterioramento morale e culturale dell’establishment europeo: non solo quello politico, ma anche quelli manageriali, imprenditoriali e accademici». Problema: non solo manca un programma preciso, ma al momento non c’è neppure «la forza per metterlo in marcia». Dove trovarla? «Non si può contare sulle forze politiche esistenti, o su una loro svolta radicale». Unica bussola possibile, «una crescita quantitativa e qualitativa degli organismi e dei movimenti che alimentano il conflitto sociale giorno per giorno». Filo conduttore per raccogliere le energie attualmente disperse: «Una politica fondata sui beni comuni». Missione, salvare il sistema sociale dallo sfacelo, che ha due facce: lo smantellamento delle imprese e del lavoro, con tutte le competenze acquisite, e la mancanza di opportunità per giovani e precari, disoccupati di oggi e di domani.«Non si può continuare a intervenire sulle aziende in crisi delegando ai governi il compito di trovar loro un nuovo padrone: i nuovi padroni, quando si presentano, lo fanno solo – è esperienza quotidiana – per depredare l’azienda dei suoi capitali residui, del suo marchio, del suo know-how, delle sue attrezzature migliori, per poi lasciare i lavoratori sul lastrico». Nazionalizzazioni vecchio stile? Le vieta l’Europa, ma in passato «gli Stati hanno fatto disastri non meno gravi delle gestioni private o privatizzate». In più, dismesso l’Iri, «l’Italia non dispone più di manager in grado di gestire un’impresa». Le aziende in crisi «hanno bisogno di una nuova governance», fatta di maestranze e governi locali, territori, università e ricerca. Serve «un regime che le riconosca come “beni comuni”», a disposizione delle comunità di riferimento. Vale anche per «recuperare a una gestione condivisa i servizi pubblici locali: acqua, energia, trasporti, rifiuti, scuole, gestione del territorio», ovvero «le chiavi della conversione ecologica».Altro problema centrale: la quantità di energie, intelligenza, creatività e aspettative degli esclusi dal mondo del lavoro, che potrebbero contribuire alla rinascita culturale e produttiva dell’Europa, specie dei paesi più colpiti dall’austerity. «Per recuperare quelle energie bisogna sottrarle ai ricatti della miseria, della disoccupazione e del precariato, garantendo a tutti un reddito di base incondizionato: le risorse per realizzarlo sono molte meno di quelle che vengono dissipate in armamenti, grandi opere inutili, interessi sul debito pubblico, evasione fiscale, costi della politica». Una volta liberate e messe al lavoro nei settori oggi abbandonati alla privatizzazione – case, monumenti, beni culturali, suolo urbano, terre pubbliche o incolte, spiagge, biblioteche, teatri, fabbriche e capannoni – queste nuove forze lavorative farebbero miracoli, col supporto dei governi locali «ovviamente sottratti al giogo del patto di stabilità» e non più “inquinati” dalla fame di favori e business. Tutto questo, riassume Viale, si può fare solo con una nuova politica: elezioni. Nel frattempo, ben sapendo che «andiamo incontro a tempi difficili che richiederanno soluzioni estreme», è il caso di cominciare a mettere queste idee nell’agenda politico-elettorale.Da tempo non siamo più cittadini italiani, ma sudditi di un “sovrano” che si chiama governance europea: un’entità mai eletta, che risponde solo al “voto” dei “mercati”. E’ un governo di fatto, che impone la sua politica ai paesi dell’Ue che gli hanno ceduto la loro sovranità. Fino a concedere, con l’accordo Two-Packs, un controllo preventivo sui propri bilanci. Visto che siamo ridotti a questo, dice Guido Viale, per non rassegnarsi a continuare ad ascoltare all’infinito ritornelli come “ce lo chiede l’Europa”, c’è una sola cosa da fare: organizzare un’opposizione europea, in nome dei diritti calpestati – dignità e lavoro, reddito e casa, salute e istruzione, cultura, vecchiaia serena. Banco di prova: le elezioni europee del maggio 2014. Stop ai vincoli-capestro dell’austerity, che producono solo disoccupazione. Più spesa pubblica, dunque, per rilanciare il lavoro: non impieghi qualsiasi, ma quelli fondati sulla riconversione “green” dell’economia. Premessa: serve una nuova classe dirigente, che possa recepire le idee dei movimenti e innescare le procedure di salvezza.
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Priebke, gli schiavi di Auschwitz e quelli di Bruxelles
«La lugubre pagliacciata allestita attorno al cadavere di Priebke ha sortito l’effetto di attribuire anche a un personaggio del genere l’alone di vittima e di martire». Isterismo che ha fornito il pretesto per «reintrodurre in grande stile, nella legislazione, la criminalizzazione delle opinioni». Vero obiettivo: colpire ben altre convizioni, «come quelle di chi non crede alla versione ufficiale sull’11 Settembre». L’aspetto paradossale della vicenda, rileva il blog “Comidad”, sta nel fatto che «l’eredità del nazismo storico è stata raccolta proprio dal sistema di dominio vigente oggi in Europa, cioè da quella Unione Europea insignita del Premio Nobel per la Pace». I nazisti di allora? Pionieri di un esperimento sociale senza anestesia: applicare anche all’Europa i metodi più disumani fino ad allora sperimentati dal colonialismo solo in Africa, in America e in Australia. Là dove i camerati di Priebke fallirono, oggi regnano i commissari europei. E, come quella di Hitler, la loro legge non è democratica né sindacabile, anche se produce un genocidio economico.Ammiratore incondizionato del colonialismo anglosassone, osserva “Comidad”, lo stesso Hitler teorizzò nel suo “Mein Kampf” l’impiego di pratiche coloniali come la deportazione, la concentrazione e lo sterminio delle popolazioni dell’Europa dell’Est. Sino ad allora si pensava che queste tecniche fossero praticabili nelle società tribali, non certo nell’Europa dei lumi. «A guardar bene, il copyright del colonialismo nazista era ancora una volta di origine anglosassone, poiché il primo a resuscitare e usare un mito etnico a fini di destabilizzazione interna agli Stati nazionali era stato nel 1917 il ministro degli esteri britannico Balfour, allorché aveva inviato al banchiere Rothschild una lettera in cui si concedeva ai sionisti la possibilità di stabilire in Palestina un loro “focolare” nazionale», in riconoscimento di quanto gli ebrei stavano facendo per aiutare Gran Bretagna e Francia a vincere la Prima Guerra Mondiale contro la Germania. «La lettera si basava su un falso, dato che in quel periodo la stragrande maggioranza degli ebrei europei combatteva e moriva tra le file tedesche ed austro-ungariche, ma il falso funzionò al punto che in Germania molti imputarono la sconfitta nella prima guerra mondiale agli ebrei».Ma nel “Mein Kampf”, aggiunge “Comidad”, l’Ebreo diventa qualcosa di più di una razza o etnia “perfida e ostile”, dato che va a rappresentare un paradigma emergenziale che può essere riapplicato a chiunque e in ogni situazione. «Il Trattato di Maastricht del 1992 – con la sua appendice del Trattato di Lisbona del 2007 – ha ereditato e continuato questo sperimentalismo nazista, poiché ancora una volta si è trattato di trapiantare in Europa un colonialismo brutale e sbrigativo, identico a quello che il Fondo Monetario Internazionale aveva praticato per decenni in Africa, e che sino ad allora si credeva applicabile soltanto a Stati e società fragili, privi di tradizione amministrativa». Così, caduto il Muro di Berlino, anche l’Europa occidentale si è dovuta piegare alle stesse forche caudine – privatizzazioni e liquidazione del welfare – come se anch’essa fosse stata sconfitta al termine della Guerra Fredda. «Come l’antisemitismo, anche l’anticomunismo non si indirizzava solo contro un nemico definito, ma si rivelava un paradigma generale ed onnicomprensivo, a cui nessuno poteva sfuggire e che imponeva a tutti un percorso di “redenzione”».La colonizzazione dell’Europa dell’Est è diventata per il Fmi uno strumento per colonizzare anche l’Europa dell’Ovest, e i modelli di riferimento erano già stati tracciati dalle multinazionali tedesche durante la Seconda Guerra Mondiale. «Nel secondo dopoguerra», continua “Comidad”, «l’oligarchia industrial-finanziaria della Germania era riuscita a riciclarsi pressoché in blocco, scaricando per intero le responsabilità di quanto accaduto sul “tiranno” Hitler. Il ruolo fondamentale svolto dal lobbying delle multinazionali tedesche – e dei loro partner americani – per quanto conosciuto e documentato è rimasto invece in ombra. Come è noto, il campo di concentramento di Auschwitz “ospitò” il più grande stabilimento chimico d’Europa, appartenente alla multinazionale tedesca Ig Farben, un cartello di imprese di cui faceva parte anche la Bayer. La Ig Farben era a sua volta in partnership con la Standard Oil dei Rockefeller. Al finanziamento del campo di Auschwitz in Polonia partecipò, manco a dirlo, anche la onnipresente Deutsche Bank».La Ig Farben di Auschwitz «rappresentò un esempio avveniristico di “relocation” aziendale, in cui lavoravano deportati, ma anche “volontari” fatti arrivare da tutta Europa, compresa la Francia; perciò – conclude “Comidad” – lo schiavismo palese era integrato con altre forme di reclutamento del lavoro che già anticipavano aspetti del modello attuale». Che ancora oggi la Polonia costituisca una delle mete privilegiate delle rilocalizzazioni aziendali «costituisce una macabra ironia della storia». Una logica aziendale estremizzata ad Auschwitz, nella sua spaventosa chiarezza genocida: «Grazie alle deportazioni di massa, la “materia prima umana” veniva a costare meno del pasto che l’avrebbe dovuta mantenere». Da qui, «per mere ragioni di budget», la sottoalimentazione dei lavoratori e l’eliminazione sistematica degli inabili al lavoro. Se nell’economia il lavoro costituisce la variabile “flessibile” per eccellenza, «certe conseguenze criminali sono ovvie e inevitabili: al punto in cui sono arrivati attualmente i giochi, non è più necessario nemmeno un Hitler, basta un Marchionne qualsiasi».Erano invece le tanto vituperate “rigidità” a conferire qualche simmetria, e quindi anche quel po’ di equilibrio, ai rapporti aziendali. Il nazismo, «di solito fatto passare per un nazionalismo estremo», al contrario «anticipò i tempi anche nello spezzare le rigidità nazionali, configurando il modello che il Trattato di Maastricht avrebbe poi pienamente realizzato», rileva “Comidad”. «Tutto dev’essere “flessibile” in Europa, tranne i Trattati, perché la loro rigidità esprime gli interessi del lobbying multinazionale». Se il parallelismo può suscitare perplessità, data la distanza storica, «resta il fatto che l’avvento di strumentazioni come il denaro elettronico apre nuove possibilità di spezzare le antiche rigidità sociali, nazionali e territoriali. Ciò rende possibile anche il controllo e lo sfruttamento della pseudo-migrazione, cioè la forma moderna di deportazione di massa».«La lugubre pagliacciata allestita attorno al cadavere di Priebke ha sortito l’effetto di attribuire anche a un personaggio del genere l’alone di vittima e di martire». Isterismo che ha fornito il pretesto per «reintrodurre in grande stile, nella legislazione, la criminalizzazione delle opinioni». Vero obiettivo: colpire ben altre convizioni, «come quelle di chi non crede alla versione ufficiale sull’11 Settembre». L’aspetto paradossale della vicenda, rileva il blog “Comidad”, sta nel fatto che «l’eredità del nazismo storico è stata raccolta proprio dal sistema di dominio vigente oggi in Europa, cioè da quella Unione Europea insignita del Premio Nobel per la Pace». I nazisti di allora? Pionieri di un esperimento sociale senza anestesia: applicare anche all’Europa i metodi più disumani fino ad allora sperimentati dal colonialismo solo in Africa, in America e in Australia. Là dove i camerati di Priebke fallirono, oggi regnano i commissari europei. E, come quella di Hitler, la loro legge non è democratica né sindacabile, anche se produce un genocidio economico.
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Letta sa che stiamo per crollare: sono dei figli di Troika
La Troika è di nuovo al lavoro, la Bce e la Commissione stanno preparando il sacco dei risparmi, mentre il Fmi fa lo stesso in parallelo, specializzandosi su come far pagare ai cittadini il debito estero degli Stati. Un prelievo una tantum sui conti correnti a livello europeo? L’ipotesi del Fmi è parte della seconda fase della strategia di esproprio dei risparmi dei cittadini, avviata durante gli anni ’80 e ’90 e che ha avuto una sua prima prova di successo negli Stati Uniti e nell’Unione Europea con la rapina finanziaria del 2008-2010. Una rapina che ha portato un bottino nelle mani di pochi gruppi pari al 37% del Pil europeo. Cioè aiuti di Stato, tra ottobre 2008 e ottobre 2011, a favore degli enti finanziari pari a 4.500 miliardi di euro, a cui si aggiungono 6.500 miliardi di euro. Il che ha fatto ovviamente scoppiare il “debito sovrano” di molti paesi dell’Ue, stimato tra i 45 e i 65.000 miliardi di euro. Di questa rapina, definita da James K. Galbraith «il più grande crimine finanziario della storia del capitalismo», si conoscono gli autori e gli attori.Basta leggere il testo dell’indagine condotta negli Stati Uniti dalla Financial Crisis Inquiry Commission, che ne illustra i meccanismi e le collusioni politiche. Il rapporto spiega che tutte le leggi introdotte per legalizzare questa rapina sono in vigore e i responsabili sono ai loro posti e si accingono al secondo girone. La fase attuale ha avuto inizio a fine 2012 con il rastrellamento dei pochi risparmi ancora in giro mediante l’imposizione del conto in banca anche ai pensionati con mille euro al mese, seguito dalla legge che impone il trasferimento delle informazioni su tutti i conti correnti all’Agenzia delle Entrate e dalla Direttiva Barnier in corso di approvazione al Parlamento Europeo, che introduce a livello europeo la norma sperimentata a Cipro – e cioè che in caso di fallimento bancario sono i risparmiatori a pagare e non più i governi o la Bce. Si prepara a fine anno il fallimento delle maggiori banche europee e quindi il prelievo sui conti dei risparmiatori. Su quello che accadrà poi si è espresso con chiarezza il ministro Saccomanni, che ha di nuovo aperto alle “cartolarizzazioni” e ha dichiarato finita l’era delle banche per dare il benvenuto al “sistema finanziario ombra”.Il governo Letta è consapevole di tutto questo. Per questo è stato il governo dei rinvii, in attesa che lo scoppio della crisi e il fallimento degli Stati dell’Europa del sud annulli tutti gli impegni verso i cittadini, inesigibili dentro i parametri europei. La legge finanziaria presentata si muove dentro questa stessa logica per rassicurare i risparmiatori prima del collasso. Più che un’aspirina per combattere il cancro è un sonnifero, ammesso che funzioni. Letta che ribadisce l’assoluta necessità della “stabilità”, minacciata dalla crescita del “populismo antieuropeo”, e Draghi che ritiene l’euro “irreversibile”? Entrambi parlano come persone informate dei fatti, cioè consapevoli dei rischi di quello che stanno facendo. Per Letta e simili, le riforme devono creare un “presidente” forte per reprimere l’inevitabile reazione popolare che verrà a seguito di ciò che stanno preparando. Draghi continua a fare alla Bce quello che ha fatto in Italia al tempo delle privatizzazioni bancarie, che sono divenute il veicolo delle speculazioni successive di Goldman Sachs & Co. Ha coperto la crisi del 2008 come governatore della Banca d’Italia scaricandone i costi sui risparmiatori e i cittadini. Oggi ripete l’esercizio alla Bce. L’uomo giusto al posto giusto. E pochi ricordano che nella sua tesi di laurea svolta con Federico Caffè affermò, ben prima del disastro, che l’euro non si doveva e non si poteva fare.I debiti nascono perché qualcuno li chiede – per bisogno o magari inavvertitamente – e qualcuno li concede – per amore degli altri, come si fa in famiglia, o sperando di trarre vantaggio dalle disgrazie altrui. Quando il meccanismo si inceppa, come nel nostro caso, si rinegozia il tutto e entrambe le parti si accollano la loro parte di responsabilità. Continuare sull’austerità, come si sta facendo, porta ai disastri politici e sociali che conosciamo dalla storia. Cioè a quello a cui stiamo assistendo in questi giorni sulle nostre strade. Gli “incappucciati” individuati da Federico Caffè negli anni ’80, oggi si sono tolti il cappuccio e gestiscono in prima persona anche il potere politico in tutti i paesi europei. Il governo politico italiano ha nei posti di maggiore responsabilità individui che sono espressione diretta di quegli ambienti. Coloro che sino a qualche anno fa erano i controllori “incappucciati” della politica ora ne sono diretti rappresentanti. Una bella riforma costituzionale di fatto già attuata, mentre si fanno campagne per difendere qualcosa che ormai non c’è più. Si tratta semmai di ri-affermare la Costituzione, che però non nacque in seguito a qualche corteo o alle elezioni ma a una guerra, anche civile. Se c’è un modo pacifico di farlo, va scoperto rapidamente.Salvare il progetto di integrazione europea? Temo che sia troppo tardi per ricucire un rapporto di fiducia tra i cittadini europei e le istituzioni. Tuttavia, per quanti ancora credono che ciò sia possibile, è necessario spazzare via la Triade, dare potere al Parlamento Europeo in modo che esprima un governo politico europeo nei limiti delle competenze previste. Per quanto riguarda i paesi dell’Europa del sud, devastati dalla crisi e dalla Bce, si tratta di rinegoziare per intero il funzionamento dell’Eurozona, consentendo – dentro questa – due aree monetarie con margini di maggiore flessibilità e con un meccanismo di solidarietà tra nord e sud. Lo scoglio è rappresentato dalla Germania, quello scoglio che ha affondato oggi l’euro. O la Germania contribuisce a risollevare la nave, oppure è meglio abbandonarla prima che sia troppo tardi. Ma temo che sia già troppo tardi, e i primi ad abbandonarla saranno proprio i tedeschi.(Bruno Amoroso, estratti delle dichiarazioni rilasciate a Piero Ricca per l’intervista “Figli di Troika”, pubblicata dal blog di Grillo il 25 ottobre 2013. Economista dell’università danese di Roskide e co-firmatario del “Manifesto per l’Europa” redatto con Giulietto Chiesa e “Alternativa” per chiedere l’instaurazione di un regime democratico a Bruxelles con l’abolizione dell’attuale Commissione Europea, Amoroso è autore del recente saggio “Figli di Troika. Gli artefici della crisi economica”, edito da Castelvecchi).La Troika è di nuovo al lavoro, la Bce e la Commissione stanno preparando il sacco dei risparmi, mentre il Fmi fa lo stesso in parallelo, specializzandosi su come far pagare ai cittadini il debito estero degli Stati. Un prelievo una tantum sui conti correnti a livello europeo? L’ipotesi del Fmi è parte della seconda fase della strategia di esproprio dei risparmi dei cittadini, avviata durante gli anni ’80 e ’90 e che ha avuto una sua prima prova di successo negli Stati Uniti e nell’Unione Europea con la rapina finanziaria del 2008-2010. Una rapina che ha portato un bottino nelle mani di pochi gruppi pari al 37% del Pil europeo. Cioè aiuti di Stato, tra ottobre 2008 e ottobre 2011, a favore degli enti finanziari pari a 4.500 miliardi di euro, a cui si aggiungono 6.500 miliardi di euro. Il che ha fatto ovviamente scoppiare il “debito sovrano” di molti paesi dell’Ue, stimato tra i 45 e i 65.000 miliardi di euro. Di questa rapina, definita da James K. Galbraith «il più grande crimine finanziario della storia del capitalismo», si conoscono gli autori e gli attori.
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Verità cercasi, prima che la montagna ci frani addosso
La montagna è una fatica di cui non si vede mai la vetta, è Giorgia Meloni che nella trasmissione di Santoro denuncia i 90 miliardi di euro che grazie al governo Letta il gioco d’azzardo legalizzato ha sottratto al fisco, sono i No-Tav che in quello stesso studio aggiungono sul conto anche i 24 miliardi iniziali (solo previsti, mai stanziati perché inesistenti) per la grande opera più ridicola, costosa e inutile d’Europa, di cui i politici in trasmissione ammettono di sapere poco o nulla, nonostante sia diventata un caso nazionale per via delle gravi accuse di eversione piovute sulla protesta. La montagna sono le due ore di trasmissione che scorrono prima di “scoprire” che il famoso cantiere di Chiomonte, epicentro dello scontro, non è certo quello del futuro tunnel ferroviario: si sta solo scavando una mini-galleria di servizio, archiviabile alla svelta se solo si volesse farla finita, una volta per tutte, con la leggenda del treno veloce – non più per i passeggeri ma per le merci, che notoriamente viaggiano a bassa velocità.Merci letteralmente scomparse dalla tratta, dove peraltro Italia e Francia sono già perfettamente collegate dalla ferrovia Torino-Modane che attraversa la valle di Susa, appena ammodernata con 400 milioni di euro per consentire ai treni di caricare anche i Tir e i grandi container navali. La montagna è la fatica che occorre, ogni volta, per spiegare che i container navali sbarcati a Genova ormai evitano il Piemonte e la Francia e corrono verso Rotterdam attraverso i valichi del nord. Mentre per i Tir – lungi dal caricarli sui treni – si sta scavando il secondo traforo autostradale del Fréjus, sempre in valle di Susa, cioè nel territorio a cui, per buon peso, si vorrebbe infliggere anche l’Armageddon di vent’anni di cantieri Tav, coi paesi devastati e la popolazione minacciata da pericoli per la salute (cancro, causa polveri con amianto e uranio) ammessi dagli stessi tecnici della grande opera, che riconoscono che i lavori potrebbero anche aprire serie incognite idrogeologiche.Un’impresa folle, sempre più improbabile e irreale per tutti – docenti universitari compresi – tranne che per i decisori politici, i parlamentari a corto di informazioni che però vanno in televisione e scrutano i No-Tav come animali strani, un po’ naif, forse affetti dalla sindrome Nimby, evidentemente non credibili, persino quando ricordano palesi verità ormai incresciosamente ufficiali come quelle provenienti dalla Francia: al netto delle rituali cortesie diplomatiche con l’Italia, Parigi ha infatti stabilito definitivamente che il capitolo Torino-Lione verrà riaperto, eventualmente, solo a partire dal remotissimo 2030. La montagna è impervia: ci sono voluti anni prima che Santoro, paladino di tante cause civili, si decidesse a spedire il fido Ruotolo nella valle in rivolta: accadde nel 2012, quando il contadino anarchico Luca Abbà precipitò (folgorato) dal traliccio su cui si era inerpicato per protesta, tallonato da un poliziotto. Rivisto un anno dopo, sempre grazie a Ruotolo, Luca Abbà non denuncia gli oscuri attentati incendiari che hanno colpito le imprese collegate al cantiere, ne prende nota e rivendica in linea di principio il diritto di ricorrere anche al sabotaggio come strumento legittimo di lotta.E’ esattamente questo atteggiamento, diffuso in larghi settori del movimento “ribelle”, che spinge il procuratore Caselli a chiarire che – dal punto di vista della legge – non sono ammissibili infrazioni alla legalità, specie se violente come l’intimidazione o il lancio di sassi e petardi contro operai e agenti. Per contro, lo stesso Ruotolo mette a fuoco le aziende colpite dagli incendi: alcune hanno alle spalle vicissitudini giudiziarie, qualcuna è stata addirittura sfiorata da indagini dei Ros sul rapporto opaco tra politica, affari e ‘ndrangheta. Anche questo fa parte della montagna grigia, in una serata in cui Beppe Grillo tuona da Trento contro il presidente Napolitano, che il giorno dopo il blitz al Senato per disinnescare l’antifurto della Costituzione, l’articolo 138, a tarda ora ha convocato al Quirinale i partiti delle larghe intese per “invitarli” a cestinare finalmente l’impresentabile legge elettorale, tanto vituperata quanto cara ai privatizzatori della democrazia.La montagna è questa deriva infinita, nella quale gli italiani – valsusini e non – hanno ormai la certezza di non contare più niente, e di non sapere neppure più bene come arrivare alla fine del mese. La soluzione, dice Giorgia Meloni, non può essere che la partecipazione democratica: rifiutare il vittimismo passivo e scendere in campo direttamente per cambiare le cose, nonostante l’insormontabile muraglia del patriziato economico, dell’oligarchia finanziaria, della lebbra partitocratica. E anche della catastrofe nazionale dell’informazione: su questo versante, almeno, Santoro e Travaglio hanno accorciato le distanze, recuperando terreno prezioso. Certo, c’è voluta la manifestazione di Roma. Tutti i civili appelli all’ascolto, rivolti dalla valle di Susa alle maggiori istituzioni, erano sempre caduti nel vuoto – lettera morta anche per giornali e televisioni. La montagna è ancora lì. Si chiama Troika, rigore, Fiscal Compact, pareggio di bilancio, tetto del deficit al 3% del Pil. Politici sintonizzati? Zero: non pervenuti. Aspettano che la montagna ci frani addosso?La montagna è una fatica di cui non si vede mai la vetta, è Giorgia Meloni che nella trasmissione di Santoro denuncia i 90 miliardi di euro che grazie al governo Letta il gioco d’azzardo legalizzato ha sottratto al fisco, sono i No-Tav che in quello stesso studio aggiungono sul conto anche i 24 miliardi iniziali (solo previsti, mai stanziati perché inesistenti) per la grande opera più ridicola, costosa e inutile d’Europa, di cui i politici in trasmissione ammettono di sapere poco o nulla, nonostante sia diventata un caso nazionale per via delle gravi accuse di eversione piovute sulla protesta. La montagna sono le due ore di trasmissione che scorrono prima di “scoprire” che il famoso cantiere di Chiomonte, epicentro dello scontro, non è certo quello del futuro tunnel ferroviario: si sta solo scavando una mini-galleria di servizio, archiviabile alla svelta se solo si volesse farla finita, una volta per tutte, con la leggenda del treno veloce – non più per i passeggeri ma per le merci, che notoriamente viaggiano a bassa velocità.
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Maradona, gli evasori e i pagliacci (tra sdegno e fiction)
Maradona, il calcio e le tasse: quando il senso civico «finisce nelle mani dei pagliacci». Che sarebbero, nell’ordine: l’ex grande giocatore argentino e il tele-intrattenitore più coccolato d’Italia, Fabio Fazio. Con la “complicità” indiretta di un grande eretico della televisione italiana, Gianni Minà, “colpevole” di aver contribuito a mitizzare il Pibe de Oro, facendone una sorta di eroe da presentare in prima serata – tra la Littizzetto e l’anonimo Raffaele Fitto – nel bel mezzo del Grande Nulla italiano. E’ il grigio campo di gioco nel quale il mainstream di regime cincischia a bordo campo, proprio come il Dieguito dei bei tempi, pur di non parlare della crisi che sta scotennando il paese. Perfetto, nella grande finzione, anche il sapiente dosaggio emotivo del vicedirettore della “Stampa”, Massimo Gramellini, bravissimo nel dispensare ai telespettatori il suo Libro Cuore
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Ragnedda: condannati dall’euro, come Atene e Lisbona
Il Portogallo sprofonda come la Grecia e anticipa quello che potrebbe accadere all’Italia. Uno schema micidiale: gli Stati europei si indebitano, esattamente come tutti gli altri Stati al mondo, ma «non potendo emettere moneta (a differenza del Giappone, degli Usa, dell’Inghilterra e della Svizzera) chiedono aiuto alla Troika». Bce, Fmi e Unione Europea ben volentieri concedono prestiti, ovviamente a condizioni-capestro: indietro non vogliono solo i soldi che prestati (più gli interessi usurai) ma impongono anche un insieme di misure antisociali per “snellire” il welfare. Così, riassume Massimo Ragnedda, lo Stato non più sovrano è costretto a comportarsi come i cittadini «indebitati e disperati», che chiedono “aiuto” agli strozzini. Si accettano i vincoli e i tagli più drammatici alla spesa pubblica, pur sapendo che non faranno che aggravare la crisi. E’ tutto orribilmente semplice: «Gli Stati un tempo sovrani sono così costretti a vendere i gioielli di famiglia (come fanno gli strozzati dagli usurai), licenziare dipendenti pubblici, ridurre la sanità pubblica, tagliare i finanziamenti alla scuola e alla ricerca, ridurre le pensioni».La politica economica dell’Eurozona, scrive Ragnedda su “Tiscali” in un intervento ripreso da “Megachip”, è ordinata e imposta da oscuri burocrati e banchieri che vivono in un mondo dorato senza nessun contatto con quello che un tempo si sarebbe definito “il popolo”. «A noi rimane l’illusione che, votando, possiamo scegliere da chi essere governati». Ora, dopo aver schiacciato la Grecia, è il turno del Portogallo: in cambio del generoso piano di “salvataggio”, la Troika ha imposto al conservatore Passos Coelho di tagliare gli stipendi pubblici. Dal 2014 tutti i dipendenti pubblici portoghesi che guadagnano più di 600 euro si vedranno tagliare lo stipendio da un minimo del 2,5% ad un massimo del 12%, annota Ragnedda. Ma non basta: «La Troika ha imposto il licenziamento del 3% dei dipendenti pubblici, in un paese in cui la disoccupazione ha già superato quota 17,4%». In più, il super-potere europeo ha anche ordinato di aumentare l’orario settimanale dei lavoratori pubblici da 35 a 40 ore. Misure ora al vaglio della Corte Costituzionale di Lisbona: in mancanza di alternative, lo Stato sarà costretto ad applicarle.La Troika, continua Ragnedda, chiede anche che vengano privatizzate le aziende in attivo, come la Rete Energetica Nazionale. «Privatizzare significa vendere a prezzi di saldo, agli amici della Troika ovviamente, le aziende che producono. I soldi che si ricaveranno dalla vendita (un po’ come i nostri soldi dell’Imu che sono serviti a salvare il Monte Paschi di Siena) serviranno per salvare dal fallimento il quinto gruppo finanziario del paese, la Banif». Ma il debito non andrebbe pagato? Certo: quello di famiglie e aziende. Quanto al debito pubblico, quello dello Stato, dipende: se si tratta di un paese libero, come il Giappone che emette moneta sovrana, il debito può tranquillamente arrivare al 250% del Pil (più del doppio dell’esposizione italiana) senza che si scateni nessuna tempesta finanziaria. Motivo: gli speculatori sanno che lo Stato giapponese è in grado di ripianare il deficit in qualsiasi momento, ricorrendo all’emissione di valuta. L’Eurozona, senza più alcun potere di autodifesa monetaria, è invece in balia del ricatto finanziario: il deficit italiano è attualmente attorno al 3% del Pil, mentre quello nipponico è al 10%.In regime di moneta sovrana, debito pubblico significa, letteralmente: soldi che lo Stato anticipa ai cittadini, in termini di servizi, stipendi e infrastrutture, assicurando in tal modo il necessario supporto all’economia, in termini di fatturati e consumi, oltre che di stabilità sociale. Infatti, nonostante il suo elevatissimo debito virtuale, il Giappone non solo non ha tagliato la spesa pubblica (come invece la Grecia che ha dovuto chiudere ospedali e università, fabbriche e uffici) ma ha lanciato un ulteriore piano di espansione della spesa statale con un primo intervento da 85 miliardi di euro, con l’obiettivo di creare 600.000 nuovi posti di lavoro, secondo i piani keynesiani del premier Shinzo Abe. «Mentre in Grecia si registra un drastico aumento della povertà, casi di malnutrizione minorile, aumento dei reati legati alla “sopravvivenza”, sistema educativo e sanitario ridotto all’osso, in Giappone il tasso di disoccupazione è del 4.5%», precisa Ragnedda. Dopo la Grecia, ora tocca al Portogallo: il paese è costretto a licenziare i dipendenti pubblici, tagliare loro lo stipendio, ridurre la spesa pubblica elargendo meno servizi vitali per i cittadini.Dov’è il trucco? Nella moneta: a differenza di noi sventurati “sudditi” della Bce, i giapponesi sono proprietari del loro denaro, che può essere liberamente emesso dalla Bank of Japan, così come fanno la Federal Reserve statunitense, la Bank of England e la Banca centrale svizzera. Il rischio è l’aumento dell’inflazione, continua Ragnedda, ma il vantaggio è che non si è costretti a chiedere prestiti usurai alla Troika e farsi dettare la politica economica e sociale da oscuri banchieri. Attenti poi a maneggiare lo spauracchio dell’inflazione, sempre agitato dal super-potere neoliberista che, dopo quarant’anni di guerra ideologico-economica, sta finendo di distruggere lo Stato democratico come “sindacato dei cittadini” e loro grande sponsor economico. Secondo Paolo Barnard e Warren Mosler, in base alla “teoria della moneta moderna” ci si cautela facilmente dell’iper-inflazione se lo Stato crea posti di lavoro produttivi, e non assistenziali, vincolando quindi la maggiore liquidità all’incremento del Pil, cioè dell’economia reale.Per un vero piano di piena occupazione, abbonderebbero gli spazi nei settori con elevato impiego di personale, dai servizi alla persona alle opere di ripristino del territorio. Senza contare i posti di lavoro – centinaia di migliaia, forse milioni – ricavabili da un grande piano nazionale di riconversione ecologica dell’economia, dalle fonti rinnovabili alla ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio pubblico e privato. Lo Stato, però, può tornare a tutelare la comunità nazionale a una sola condizione: rientrando in possesso della propria moneta sovrana. Giochino piuttosto semplice, conclude Ragnedda: «Il Giappone, l’Inghilterra e gli Usa possono finanziarie il loro debito direttamente, emettendo moneta. Noi no. E per poter pagare il debito siamo perciò costretti a chiedere i soldi alla Bce e aprirci alla speculazione internazionale». Se l’Italia è ancora sospesa nell’anticamera dell’inferno, la micidiale road map di Bruxelles – Atene, poi Lisbona – indica che sta per toccare a noi, perché nessun governo (senza moneta, e quindi senza potere di spesa pubblica) potrà fare nulla di importante per invertire la rotta e opporsi alla catastrofe. Domanda: c’è qualche forza politica che osi porre la questione, in Parlamento?Il Portogallo sprofonda come la Grecia e anticipa quello che potrebbe accadere all’Italia. Uno schema micidiale: gli Stati europei si indebitano, esattamente come tutti gli altri Stati al mondo, ma «non potendo emettere moneta (a differenza del Giappone, degli Usa, dell’Inghilterra e della Svizzera) chiedono aiuto alla Troika». Bce, Fmi e Unione Europea ben volentieri concedono prestiti, ovviamente a condizioni-capestro: indietro non vogliono solo i soldi che prestati (più gli interessi usurai) ma impongono anche un insieme di misure antisociali per “snellire” il welfare. Così, riassume Massimo Ragnedda, lo Stato non più sovrano è costretto a comportarsi come i cittadini «indebitati e disperati», che chiedono “aiuto” agli strozzini. Si accettano i vincoli e i tagli più drammatici alla spesa pubblica, pur sapendo che non faranno che aggravare la crisi. E’ tutto orribilmente semplice: «Gli Stati un tempo sovrani sono così costretti a vendere i gioielli di famiglia (come fanno gli strozzati dagli usurai), licenziare dipendenti pubblici, ridurre la sanità pubblica, tagliare i finanziamenti alla scuola e alla ricerca, ridurre le pensioni».