Archivio del Tag ‘privatizzazioni’
-
Giovani al lavoro gratis per l’Expo dei ladri e degli ipocriti
Per quale ragione in una Expo appaltata alle grandi multinazionali del cibo, nella quale affari edilizi, speculazione e corruzione hanno prosperato e che viene ancora presentata come un possibile volano per l’economia del paese, perché in un evento ove tutto è misurato in termini di profitti a breve o differiti, gli unici gratis devono essere i lavoratori? Con un accordo del luglio 2013, un mese che dovrebbe essere abolito dal calendario sindacale visti i disastri che in esso si son concepiti, l’ente Expo, le imprese e tutte le istituzioni hanno concordato con Cigil, Cisl e Uil che gran parte di coloro che faranno funzionare la fiera lo faranno gratuitamente. Per l’esattezza circa 800 persone lavoreranno con contratti a termine, di apprendistato, da stagista, che garantiranno una lauta retribuzione dai 400 ai 500 euro mensili. Siccome i contratti e la stessa legge Fornero sul mercato del lavoro avrebbero previsto condizioni più favorevoli per i lavoratori, si è applicato quel principio della deroga normativa, contro il quale la Cgil si era spesso pronunciata.Ma questi 800 lavoratori sottopagati sono comunque una élite rispetto a tutti gli altri. Che avranno un orario giornaliero obbligatorio e turni, pare bisettimanali, di lavoro, ma che lo faranno senza alcuna retribuzione. Essi saranno considerati volontari e come tali riceveranno solamente dei buoni pasto quotidiani, per non smentire il significato alimentare dell’evento. Nelle previsioni iniziali questi fortunati avrebbero dovuto essere 18.500, da qui il peana subito scattato sui 20.000 posti di lavoro creati dalla magia dell’Expo. Ora invece pare che siano meno della metà, per la semplice ragione che lavorare all’Expo non solo non paga, ma costa. Immaginiamo un pendolare che debba accollarsi i costosissimi costi quotidiani del sistema ferroviario lombardo. O addirittura un giovane di un’altra regione che volesse fare questa esperienza a Milano. Per lavorare gratis bisogna godere di un buon reddito e non tutti ce l’hanno.Eppure a tutto questo ci sarebbe stata una alternativa semplice semplice. Visto che l’Expo per sua natura è un evento a termine, coloro che lo faranno funzionare avrebbero potuto essere assunti con il tradizionale contratto a termine. Lavori sei mesi? Sei pagato per quelli. Sono solo due settimane? Riceverai la tua quindicina. Perché non si è fatto così? Semplice. Perché in questo modo si sarebbe dovuto spendere molto di più in salari e questo non era compatibile con gli alti costi della fiera. C’era da pagare una montagna di mazzette, non si potevano retribuire anche gli addetti agli stand. Capisco che questo modo di ragionare possa essere considerato troppo rigido e ancorato a vecchi tabù. C’è un lavoro e si pretende anche un salario, allora si vogliono difendere vecchi privilegi, direbbero gli araldi del lavoro flessibile. Quando l’accordo sul lavoro gratis è stato sottoscritto, l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta disse, facendo eco al presidente della Confindustria Squinzi, che esso era un modello per il paese. La rottamazione renziana sempre rivolta alle nuove generazioni ha lasciato quella intesa intatta, così come hanno fatto Cgil, Cisl e Uil, nonostante le critiche a quel “#jobsact” che l’accordo Expo già anticipava.Tutte le forze politiche rappresentate in parlamento, escluso il Movimento 5 Stelle, sono consenzienti. Così l’Expo finirà per essere una vetrina di tutto ciò che non dovrebbe, ma che invece continua a dominare le scelte economiche e sociali del paese. L’Expo sarà la migliore rappresentazione dell’ipocrisia e del gattopardismo che governano la nostra crisi. Sotto lo slogan “Nutrire il pianeta” si lascerà alla Nestlè il compito di spiegare che l’acqua va gestita in ragione di mercato. Si farà l’apologia delle grandi opere senza riuscire neppure a nascondere la speculazione – e non solo quella illegale, ma quella ancor più scandalosa sulle aree, che è perfettamente consentita. Si lanceranno proclami sui giovani capaci di operare nella globalizzazione, rimuovendo il fatto che lo faranno solo in cambio di una medaglietta che non varrà nemmeno come accreditamento per altri lavori precari. E ancora una volta tutto, ma proprio tutto, sarà a carico del lavoro. In una fiera che si presenta come l’ultimo Ballo Excelsior di una globalizzazione in piena crisi, l’Italia che guarda al passato cianciando di futuro troverà la sua vetrina. Che dovrebbe essere accesa proprio il Primo Maggio, trasformando così la festa dell’emancipazione del lavoro nella celebrazione del suo ritorno allo stato servile. Ci sono movimenti e forze sindacali che dicono no a tutto questo e che già dalle prossime settimane si faranno sentire, per poi provare a restituire alla Festa del Lavoro il suo antico valore. Fanno benissimo.(Giorgio Cremaschi, “L’Expo della precarierà”, da “Micromega” del 5 febbraio 2015).Per quale ragione in una Expo appaltata alle grandi multinazionali del cibo, nella quale affari edilizi, speculazione e corruzione hanno prosperato e che viene ancora presentata come un possibile volano per l’economia del paese, perché in un evento ove tutto è misurato in termini di profitti a breve o differiti, gli unici gratis devono essere i lavoratori? Con un accordo del luglio 2013, un mese che dovrebbe essere abolito dal calendario sindacale visti i disastri che in esso si son concepiti, l’ente Expo, le imprese e tutte le istituzioni hanno concordato con Cigil, Cisl e Uil che gran parte di coloro che faranno funzionare la fiera lo faranno gratuitamente. Per l’esattezza circa 800 persone lavoreranno con contratti a termine, di apprendistato, da stagista, che garantiranno una lauta retribuzione dai 400 ai 500 euro mensili. Siccome i contratti e la stessa legge Fornero sul mercato del lavoro avrebbero previsto condizioni più favorevoli per i lavoratori, si è applicato quel principio della deroga normativa, contro il quale la Cgil si era spesso pronunciata.
-
I nostri Tsipras alle vongole e gli orrori del centrosinistra
Se il nuovo governo greco comincerà subito a tenere fede al suo programma elettorale stabilendo il salario minimo a 750 euro mensili, la Germania del governo Merkel-Spd chiuderà la porta ad ogni trattativa sul debito. Infatti con le “riforme” tedesche che han fatto da modello a tutto il continente, i milioni di lavoratori precari impegnati nei minijobs prenderebbero di meno di un lavoratore greco. È vero che ci sono le integrazioni dello stato sociale, ma è altrettanto vero che la coerenza del nuovo governo greco aprirebbe un fronte con una Germania anche sui tagli al welfare. Insomma la coerenza di Tsipras sarebbe insostenibile per una classe dirigente tedesca che da anni impone terribili sacrifici al proprio mondo del lavoro spiegando che gli altri stanno tutti peggio. Gli operai tedeschi, che hanno subìto una delle peggiori compressioni salariali d’Europa, si chiederebbero a che pro, visto che le cicale greche ricominciano a frinire. È per il timore del contagio sociale, della ripresa, magari persino conflittuale, dei salari e della richiesta di welfare che si dirà no alla Grecia e non per la questione debito.Il debito pubblico della Grecia ruota attorno a 350 miliardi di euro, quello interno alla Ue dovrebbe essere circa attorno ai due terzi di quella cifra. Abbuonarne la metà significherebbe per la Ue rinunciare a poco più di 100 miliardi. È una cifra enorme naturalmente, ma dal 2008 governi europei, Bce e sistema finanziario hanno speso 3000 miliardi per sostenere le banche. E altri 1.000 verranno spesi nel Quantitative Easing, presentato come un sostegno agli Stati che in realtà finanzia ancora gli istituti bancari acquirenti di titoli di Stato. Cosa sono allora 100 miliardi di abbuono del debito ad una Grecia che comunque non potrebbe pagarli, di fronte ai 4.000 miliardi concessi al sistema bancario e finanziario? Niente sul piano delle dimensioni della cifra, tutto sul piano del suo significato. Come dicono accreditate indiscrezioni, una dilazione dei pagamenti più che trentennale sarebbe già stata concessa dalla Troika nel novembre scorso, ma naturalmente in cambio della impegno a continuare le politiche liberiste di questi anni. Il problema dunque è la continuità o la rottura con quelle politiche, e qui “Syriza” e la Troika si scontreranno.Quello che sta succedendo in Grecia e in Spagna è qualcosa di diverso dalla storia europee delle sinistre. La politica dell’austerità sta portando tutta l’Europa meridionale verso quello che una volta si chiamava terzo mondo. Le prime risposte vere son quindi legate a questa nuova terribile realtà. Le socialdemocrazie si sono immolate sull’altare del rigore e le sinistre comuniste son troppo piccole e divise per contare. Si apre così lo spazio per forze alternative diverse da quelle del passato. In fondo il successo del M5S aveva inizialmente questo segno, anche se sinora a quel movimento è mancata una vera spinta sociale e la sua politica è rimasta ancorata al terreno della cosiddetta lotta per l’onestà. Invece “Syriza” e “Podemos” somigliano sempre di più alle formazioni populiste di sinistra che governano gran parte dell’America Latina e con questa impronta affrontano la crisi europea e il Fiscal Compact, vedremo. Quel che è certo è che le cose stanno cambiando, ma non da noi. Siamo stati facili profeti ad anticipare il salto sul cavallo greco di tutto il mondo politico italiano, oramai campione di trasformismo in Europa.C’è ovviamente anche un calcolo parassitario non solo elettorale. Se la Grecia ottiene qualcosa, si spera che qualcosa tocchi anche a noi. Così tutti a fare gli Tsipras con le vongole, dimenticando ovviamente la sostanza del programma del nuovo governo greco. Che tradotto in Italiano significherebbe misure immediate come la cancellazione del Jobs Act, della legge Fornero sulle pensioni, del pareggio di bilancio costituzionalizzato. E a seguire la fine delle privatizzazioni, dei tagli alla sanità e alla scuola pubblica, del Patto di Stabilità per gli enti locali. Attenzione, questi non dovrebbero essere gli obiettivi strategici di un governo che promette tanto, ma le azioni dei famosi primi cento giorni. Poi dovrebbe seguire la messa in discussione della politica dei debiti e del debito stesso, che da quando nel 2011 Giorgio Napolitano indicò come vincolo per le politiche di austerità è passato da 1.900 a 2.150 miliardi. Si tratta di rompere con tutte le politiche seguite non solo dalla destra, ma dal centrosinistra in questi anni. Come si fa allora a stare con la Grecia mentre ci si allea con il Pd di Renzi in tutte le regioni più importanti?Mi fermo qui perché è assolutamente ovvio che, se non si rompe con i partiti dell’austerità, il sostegno alla Grecia non c’è. Anche sul piano sindacale son tutti felici per le elezioni greche. Ricordo però le tante volte che in Cgil si è usata la Grecia come esempio di una resistenza vana. 14 scioperi generali e in quel paese non è cambiato nulla, si diceva quando si lasciavano passare la pensione a 68 anni e le altre riforme di Monti. E in nome della flessibilità, Cgil, Cisl e Uil son arrivate a concordare il lavoro gratuito per migliaia di giovani precari che dovranno far funzionare l’Expo. È quindi inutile usare il marchio greco per coprire politiche e gruppi dirigenti responsabili o complici del nostro disastro sociale. La sola cosa seria che si deve fare in casa nostra per sostenere la Grecia contro la Troika è praticare la stessa rottura. Non son in grado di sapere se Tsipras sarà coerente, ma per aiutare lui ad esserlo bisogna fare in modo che non sia solo “Bella Ciao” l’unico legame utile all’Italia.(Giorgio Cremaschi, “La coerenza di Tsipras e quella nostra”, da “Micromega” del 29 gennaio 2015).Se il nuovo governo greco comincerà subito a tenere fede al suo programma elettorale stabilendo il salario minimo a 750 euro mensili, la Germania del governo Merkel-Spd chiuderà la porta ad ogni trattativa sul debito. Infatti con le “riforme” tedesche che han fatto da modello a tutto il continente, i milioni di lavoratori precari impegnati nei minijobs prenderebbero di meno di un lavoratore greco. È vero che ci sono le integrazioni dello stato sociale, ma è altrettanto vero che la coerenza del nuovo governo greco aprirebbe un fronte con una Germania anche sui tagli al welfare. Insomma la coerenza di Tsipras sarebbe insostenibile per una classe dirigente tedesca che da anni impone terribili sacrifici al proprio mondo del lavoro spiegando che gli altri stanno tutti peggio. Gli operai tedeschi, che hanno subìto una delle peggiori compressioni salariali d’Europa, si chiederebbero a che pro, visto che le cicale greche ricominciano a frinire. È per il timore del contagio sociale, della ripresa, magari persino conflittuale, dei salari e della richiesta di welfare che si dirà no alla Grecia e non per la questione debito.
-
E bravo Draghi, che ricompra i titoli dei suoi amici bankster
«Le ricche istituzioni finanziarie che hanno acquisito a prezzi bassi il travagliato debito pubblico di Grecia, Italia, Portogallo e Spagna ora ne vendono i titoli alla Bce a prezzi elevati». Ecco a chi serve il “quantative easing” di Mario Draghi, «ex dirigente della Goldman Sachs», come ricorda Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. Sono loro, i grandi padroni dell’élite finanziaria, i primi a rallegrarsi all’annuncio che la Banca Centrale Europea avrebbe emesso 720 miliardi di euro all’anno «con cui acquisire crediti inesigibili dalle grandi banche, collegate politicamente». Come negli Stati Uniti, «l’alleggerimento quantitativo (Qe) serve ad arricchire chi è già ricco. Non ha alcun altro scopo». E attenzione: il mercato finanziario è cresciuto «nonostante il livello di recessione, la disoccupazione in gran parte dell’Europa nonché l’austerità imposta ai cittadini». Aumenta, il business finanziario, «in previsione del fatto che gran parte dei 60 nuovi miliardi di euro che saranno creati ogni mese troverà la sua strada nelle quotazioni dei capitali: la liquidità alimenta il mercato borsistico», arricchendo ulteriormente l’1% dei possessori di titoli. «La Federal Reserve e la Bce hanno riportato l’Occidente al tempo in cui un gruppetto di aristocratici era padrone di tutto».«Le Borse – continua Craig Roberts in un post tradotto da “Megachip” – sono bolle gonfiate dalla creazione di moneta della banca centrale». E dato che le banche centrali «sono gestite dai ricchi per i ricchi», questo dimostra che «la corruzione può prevaricare i principi di base per un periodo indeterminabile». Craig Roberts lo spiega in un libro del 2012, “The Failure of Laissez Faire Capitalism and Economic Dissolution of the West” (“Il fallimento del capitalismo liberista e il deterioramento economico dell’Occidente”). Ecco lo schema: «Prima la Goldman Sachs ha ingannato i finanziatori con prestiti esagerati (“overlending”) al governo greco, poi suoi ex dirigenti hanno assunto il controllo degli affari finanziari della Grecia e costretto all’austerità la popolazione per evitare perdite a carico dei creditori stranieri». Questo, continua Craig Roberts, «ha stabilito un nuovo principio in Europa, che il Fondo Monetario Internazionale ha inesorabilmente applicato ai debitori dell’America Latina e del Terzo Mondo». Il principio è che «quando i creditori stranieri commettono errori e prestano in eccesso ai governi stranieri, caricandoli di debiti, gli errori dei banchieri sono rimediati derubando le popolazioni povere. Pensioni, servizi sociali e pubblico impiego sono tagliati, risorse preziose vengono svendute agli stranieri per pochi spiccioli e il governo è costretto a sostenere la politica estera statunitense».Lo chiarisce in modo inequivocabile John Perkins in “Confessioni di un sicario dell’economia”, edito da Minimun Fax nel 2004. Perkins descrive perfettamente il processo: «Se non avete letto il libro di Perkins – dice Craig Roberts – avete solo una vaga idea di come sono corrotti e senza scrupoli gli Stati Uniti. Infatti, Perkins dimostra che l’eccesso di prestiti è fatto apposta per preparare il paese al saccheggio. Questo è ciò che Goldman Sachs ha fatto in Grecia», anche i greci «hanno impiegato molto tempo per accorgersene». A quanto pare, il 36,5% della popolazione è stato svegliato da un aumento della povertà, della disoccupazione e dei suicidi. «Tale cifra, poco più di un terzo dei voti, è bastata a portare al potere “Syriza” nelle elezioni greche appena concluse e a cacciare il corrotto partito “Nuova Democrazia”, che ha sempre venduto il popolo greco alle banche estere». Tuttavia, aggiunge Craig Roberts, il 27,7% dei greci «ha votato per il partito che ha sacrificato il popolo greco ai bankster, i banchieri gangster». E questo perché «anche in Grecia, un paese abituato a manifestazioni popolari nelle strade, una percentuale significativa della popolazione ha subìto un lavaggio del cervello sufficiente a farla votare contro i suoi stessi interessi».“Syriza” potrà fare qualcosa? «Si vedrà, ma probabilmente no», dice Craig Roberts: altro discorso se Tsipras avesse ottenuto il 60-70% dei voti, «ma una maggioranza del 36,5% non rappresenta un paese compatto, consapevole della propria condizione e spoliazione per mano di ricchi banchieri gangster». Il voto dimostra che una percentuale significativa dei greci appoggia ancora il saccheggio estero del paese. «Inoltre, “Syriza” è contro i pezzi grossi: le banche tedesche e olandesi che detengono i crediti verso la Grecia e i governi che sostengono le banche; l’Ue che usa la crisi del debito pubblico per distruggere la sovranità dei singoli paesi membri della stessa unione; Washington che sostiene il potere sovrano dell’Ue sui singoli paesi, in quanto è più facile controllare un solo governo piuttosto che un paio di decine». I media della grande finanza stanno già avvertendo “Syriza”: non metta in pericolo la sua adesione all’euro e non abbandoni il modello di austerità imposto ai cittadini greci con la complicità di “Nuova Democrazia”.Potrebbero minacciare di espellere Atene dall’Eurozona? «È una cosa di cui la Grecia dovrebbe rallegrarsi». «Uscire dall’Ue e dall’euro – scrive Craig Roberts – è la cosa migliore che possa capitare alla Grecia, perché un paese senza una propria moneta non è un paese sovrano, è uno Stato vassallo di un altro potere. Un paese senza una propria moneta non può finanziare i propri bisogni». Infatti, anche se è membro dell’Unione Europea, «il Regno Unito ha mantenuto la sua propria moneta e non è soggetto a controllo da parte della Bce». Insiste Craig Roberts: «Un paese senza il suo denaro è impotente, è niente. Se gli Stati Uniti non avessero il proprio dollaro, non avrebbero nessuna importanza sulla scena mondiale. L’Unione Europea e l’euro sono stati solo trucchi e inganni. I paesi hanno perso la loro sovranità, alla faccia dei concetti occidentali di “autogoverno”, “libertà”, “democrazia”: tutti slogan senza contenuto. In tutto l’Occidente non troviamo nient’altro che persone derubate da quell’1% che controlla i governi».«Le ricche istituzioni finanziarie che hanno acquisito a prezzi bassi il travagliato debito pubblico di Grecia, Italia, Portogallo e Spagna ora ne vendono i titoli alla Bce a prezzi elevati». Ecco a chi serve il “quantative easing” di Mario Draghi, «ex dirigente della Goldman Sachs», come ricorda Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. Sono loro, i grandi padroni dell’élite finanziaria, i primi a rallegrarsi all’annuncio che la Banca Centrale Europea avrebbe emesso 720 miliardi di euro all’anno «con cui acquisire crediti inesigibili dalle grandi banche, collegate politicamente». Come negli Stati Uniti, «l’alleggerimento quantitativo (Qe) serve ad arricchire chi è già ricco. Non ha alcun altro scopo». E attenzione: il mercato finanziario è cresciuto «nonostante il livello di recessione, la disoccupazione in gran parte dell’Europa nonché l’austerità imposta ai cittadini». Aumenta, il business finanziario, «in previsione del fatto che gran parte dei 60 nuovi miliardi di euro che saranno creati ogni mese troverà la sua strada nelle quotazioni dei capitali: la liquidità alimenta il mercato borsistico», arricchendo ulteriormente l’1% dei possessori di titoli. «La Federal Reserve e la Bce hanno riportato l’Occidente al tempo in cui un gruppetto di aristocratici era padrone di tutto».
-
Le fiabe di Pinocchio Renzi e l’agonia terminale dell’Italia
Dobbiamo aumentare la produttività degli italiani? Essere più competitivi? Rilanciare le privatizzazioni e rendere meno rigido il mercato del lavoro? Nemmeno per sogno, caro “Pinocchio” Renzi. Secondo Paolo Barnard, bastano «parole da terza media» per «asfaltare» il pensiero economico di “Renzino”. A cominciare dal falso dogma della produttività: gli italiani dovrebbero produrre di più, sul lavoro? «Ma questo cosa ci risolve? Il problema che spacca il paese oggi è la disoccupazione, con percentuali da record africano e almeno 300 miliardi all’anno di ricchezza perduta, per questo». Domanda: a che ci serve far diventare più produttivi quelli che già lavorano? «Vuol dire avere sempre mente gente a lavorare, perché gli occupati lavoreranno come delle furie (e poi crepano)». Parabola: se hai 100 cani ma gli butti solo 50 ossi (posti di lavoro), 50 cani torneranno a cuccia senza mangiare. Gli fai dei corsi di formazione per imparare a correre e mordere meglio? Se gli ossi restano 50, metà dei cani (formati o meno) resteranno affamati. E poi: «La produttività tedesca per ora lavorata è la più bassa d’Europa, ma da loro la disoccupazione è molto più bassa: ti dice nulla, Pinocchio?».Essere più competitivi? «Lo siamo già». Lo dice uno dei maggiori centri di studio economici del mondo, la Ert, European Roundtable of Industrialists: «Fa ogni anno la classifica dei lavoratori più competitivi d’Europa. Be’, gli italiani sono sempre fra i primi, meglio di Gran Bretagna e Danimarca, e solo un pelo sotto la Germania». La competitività? «Si misura con una formula da Mago Merlino che si chiama “Unit Labour Cost”, che fa la media fra quanto ti costa un lavoratore e quanto ti produce. Noi siamo già fra i migliori». Al che, Renzi cambia discorso e dice che il settore privato deve rilanciarsi, e il governo gli darà sempre più spazio (privatizzazioni) per arricchire l’Italia. Altro errore madornale: «I soldi, o li fa lo Stato o li fanno le banche, punto. Se tu obbedisci ai diktat dei tecnocrati Ue che proibiscono (coi limiti di deficit e di debito) allo Stato di creare soldi per noi tutti, allora non ci rimane che sperare che siano le banche a creare la ricchezza finanziaria». Le banche: «Vuol dire che i privati italiani devono indebitarsi come pazzi in banca, e coi debiti arrivano gli interessi, lo strangolamento, l’anatocismo e altre porcate delle banche».I soldi, quelli veri, «o li crea lo Stato investendo per noi, e quelli noi non dobbiamo restituirli, sono ricchezza al netto, oppure li creano le banche, e sono debiti di noi privati, non ricchezza al netto». Renzi? Un «codino dei tecnocrati», quelli che «stanno dando tutta l’Italia in mano alle banche, con ’sta storia che il rilancio viene dal privato: così le banche diventano lo Stato». Poi, continua Barnard, «quando privatizzi che fai? Togli un bene costruito per tutti da generazioni di italiani, e lo vendi a prezzi stracciati ai privati. Questi devono fare profitto, gliene fotte di noi, e quindi tagli all’occupazione, cali dei salari, intrighi con le banche (che sulle privatizzazioni guadagnano parcelle da sogno), e zero interesse pubblico». Il rilancio dal settore privato come lo intende Renzi «non avverrà mai senza debiti bancari e senza danni ai cittadini». Per Barnard, al contrario, «Deve tornare in gioco la spesa pubblica, l’investimento di Stato, che è ricchezza al netto per noi privati, perché lo stipendio di un medico pubblico, di un operaio che lavora per lo Stato o un servizio pubblico non sono soldi che noi dobbiamo restituire con interessi, mai!».Altra favola: il mercato del lavoro italiano “troppo rigido”, per colpa dell’articolo 18. “Facciamo come gli stranieri, basta con ’sta rigidità antimoderna”. «Come gli stranieri? Chi? Il World Economic Forum di Davos, il top del top della finanzia e dell’industria mondiale, ogni anno scrive pagelle sui vari Stati. Andiamo vedere l’ultima», propone Barnard. «I bocciati per troppa rigidità sul mercato del lavoro sono: Germania, Finlandia, Svizzera, Svezia e Giappone». Chiaro, no? «Evidentemente non è la protezione del lavoro che ci fa danni economici». Per fortuna, dice Renzi, col ministro Poletti il governo sta trovando risorse finanziarie per aiutare le imprese, le famiglie, l’occupazione. Macché, «voi non state trovando un accidenti», protesta Barnard. «Voi fate il gioco delle tre carte, cioè fate entrare 10 soldi dalla porta dell’Italia e intanto gliene sfilate 10 o 15 dalla finestra. Non siamo tutti idioti, qui, perché ce ne accorgiamo che, quatti quatti, sono sbucati 10.000 aumenti di balzelli strani a tutti i livelli». Inoltre, come insegna la Modern Money Theory sviluppata da Warren Mosler e diffusa in Italia da Barnard, «se un governo vuole dare soldi ai suoi cittadini e alle sue aziende al netto, cioè senza poi volerli indietro, o li sborsa lui a deficit (cioè ci dà più soldi di quanto ci tassa), o ci riduce le tasse in modo drammatico». In economia non c’è altro modo, conclude Barnard. «Ma il governo Renzi deve obbedire al pareggio di bilancio imposto dalla Ue (lo Stato ci dà 100 e ci tassa 100)», quindi i famosi fondi li allunga con la destra e poi li ritira con la sinistra, sotto forma di imposte.«Lo raccontate ai fagiani e ai cefali – aggiunge Barnard – che senza un esborso di Stato superiore alle tasse voi ci darete qualcosa da masticare: no, è matematicamente impossibile. E infatti raccontate balle, buffoni». Anche per questo, Renzi continua ad annunciare grandi svolte e grandi decisioni. Mente, sapendo di mentire: sa benissimo, infatti, che «l’Italia ha firmato e ratificato tutti i Trattati europei sovranazionali, cioè più potenti delle leggi italiane, che hanno totalmente tolto potere decisionale al governo e al Parlamento nazionale». Così, l’Italia «oggi può solo obbedire alle decisioni della tecnocrazia europea», la Troika Ue che esegue gli ordini di Berlino attraverso la Commissione e la Bce, col supporto del Fmi. Inutile agitarsi, fingendo di non essere un «pagliaccio fiorentino, parto del popolo bue del Pd». Renzi non conta nulla, e ogni esperto d’Europa lo sa benissimo. Lo sa anche Renzi, putroppo. Per questo, continua a inventare fiabe su come risollevare l’economia di famiglie e aziende, ben sapendo che si tratta soltanto di favole.Dobbiamo aumentare la produttività degli italiani? Essere più competitivi? Rilanciare le privatizzazioni e rendere meno rigido il mercato del lavoro? Nemmeno per sogno, caro “Pinocchio” Renzi. Secondo Paolo Barnard, bastano «parole da terza media» per «asfaltare» il pensiero economico di “Renzino”. A cominciare dal falso dogma della produttività: gli italiani dovrebbero produrre di più, sul lavoro? «Ma questo cosa ci risolve? Il problema che spacca il paese oggi è la disoccupazione, con percentuali da record africano e almeno 300 miliardi all’anno di ricchezza perduta, per questo». Domanda: a che ci serve far diventare più produttivi quelli che già lavorano? «Vuol dire avere sempre mente gente a lavorare, perché gli occupati lavoreranno come delle furie (e poi crepano)». Parabola: se hai 100 cani ma gli butti solo 50 ossi (posti di lavoro), 50 cani torneranno a cuccia senza mangiare. Gli fai dei corsi di formazione per imparare a correre e mordere meglio? Se gli ossi restano 50, metà dei cani (formati o meno) resteranno affamati. E poi: «La produttività tedesca per ora lavorata è la più bassa d’Europa, ma da loro la disoccupazione è molto più bassa: ti dice nulla, Pinocchio?».
-
Cancellare il debito? No: trasformarlo in debito sovrano
In regime di sovranità finanziaria, il debito pubblico non è che un “anticipo” che lo Stato versa ai cittadini, in termini di beni, servizi e infrastrutture, potendo ricorrere alla libera emissione di moneta: in questo caso il debito è ricchezza netta per famiglie e aziende, interamente garantita dal “prestatore di ultima istanza”, dotato di capacità di finanziamento teoricamente illimitate, anche se armonizzate con la capacità produttiva (Pil) e con la bilancia commerciale (import-export). Se invece il debito pubblico non è denominato in moneta di proprietà dello Stato, allora si trasforma in un incubo, esattamente come per i soggetti privati, famiglie e aziende. E’ esattamente la condizione dei paesi dell’Eurozona, che non dispongono più di denaro proprio: devono mettere all’asta titoli di Stato presso il sistema bancario, unico destinatario del denaro virtuale della Bce. Il “quantitative easing” non risolve nessun problema strutturale: se il debito europeo continuerà ad essere denominato in valuta estranea ai singoli Stati resterà in ogni caso fuori controllo, esponendo gli Stati stessi al ricatto perpetuo della speculazione finanziaria.«Mettiamola in questi termini», riassume Marcello Foa: oggi la Bce «stampa più moneta per permettere alle banche centrali nazionali di comprare titoli di Stato, ovvero debito pubblico, con lo scopo dichiarato di rilanciare l’economia (crescita del Pil) e lo scopo effettivo immediato di sgravare i bilanci delle banche private». Se il “quantitative easing” può essere considerata «un’aberrazione, in quanto viola le leggi di mercato basate sulla domanda e sull’offerta», lascia però intatta «la vera catena che imprigiona le asfittiche economie occidentali: quella del debito», scrive Foa nel suo blog sul “Giornale”, equiparando quindi paesi occidentali con debito sovrano – Usa e Gran Bretagna – a paesi con debito non più sovrano, cioè i membri dell’Eurozona. In realtà, spiega un economista come Nino Galloni, il debito pubblico italiano è diventato «una catena» soltanto a partire dal 1981, con la separazione fra Tesoro e Banca d’Italia: fino ad allora, infatti, il debito pubblico era stato ciò che dovrebbe essere, e che è tuttora nei paesi sovrani: la più importante leva strategica di sviluppo, attraverso la quale un paese produce investimenti (a deficit) destinati a far crescere l’economia in modo diffuso.«Se la Ue e la Bce volessero davvero rilanciare l’economia – aggiunge Foa nel suo post – dovrebbero avere il coraggio di andare fino in fondo, ovvero non di stampare moneta per comprare debito ma di stampare moneta per cancellare il debito, accompagnando questo passo da misure altrettanto rivoluzionarie e benefiche come la simultanea riduzione delle imposte sia sulle imprese che sulle persone fisiche e magari varando investimenti infrastrutturali». Qui, ancora, Foa non spiega di che debito parla: se il debito è sovrano non può costituire un problema, come dimostra il debito del Giappone al 250% del Pil. Sarebbero certo “rivoluzionario” cancellare il debito non-sovrano, quello cioè accumulato da quando in paesi dell’Eurozona hanno cessato di indebitarsi in proprio, cioè “anticipando” denaro alle rispettive comunità nazionali, e preferendo acquistare denaro – ad alti tassi di interesse – presso il mercato finanziario privato internazionale. Quindi il problema non è il debito in sé, ma la fonte del debito: se lo Stato si è indebitato coi suoi cittadini (ha speso denaro per loro, in anticipo) il problema non esiste. Se invece i soldi li ha acquistati sui “mercati”, gli interessi sono da ripagare. Se poi lo Stato non ha più la possibilità di intervenire con emissione di valuta propria, allora il collasso è garantito. Di qui la stretta fiscale, per spremere denaro ai cittadini anziché anticiparglielo come avveniva un tempo.«Oggi – riconosce Foa – l’Italia è già in avanzo primario, ovvero lo Stato spende meno di quanto incassa, ma il debito pubblico continua a salire perché la spesa pubblica è gravata dagli interessi sul debito». Interessi, appunto, contratti coi mercati finanziari internazionali: quelli verso cui, grazie a Ciampi e Andreatta, l’Italia si orientò improvvisamente nel 1981, disponendo che la banca centrale cessasse di finanziare il governo a costo zero, come aveva sempre fatto. Da allora, il debito pubblico è diventato un dramma, aggravato negli ultimi anni dalla catastrofe dell’euro, su cui la nazione non ha alcuna possibilità di governo. «L’Italia – conclude Foa – è in una spirale da cui difficilmente uscirà, per quanti sforzi faccia. Ma questo né la Ue, né la Bce, né il Fmi lo ammetteranno mai; anzi, continuano ad alimentare la retorica delle riforme, ovviamente strutturali». Foa sogna un “giubileo del debito”, col taglio lineare di un terzo dell’attuale euro-debito di ogni paese e simultanea riduzione delle imposte per un periodo di almeno 5 anni.«Basterebbe una semplice operazione contabile creando denaro dal nulla (ovvero con un semplice click, come peraltro si apprestano già a fare), per togliere definitivamente dal mercato una parte del debito pubblico», scrive Foa, secondo cui il risultato sarebbe «un boom economico paragonabile agli effetti di un nuovo Piano Marshall». Starebbero meglio tutti, dice Foa: «I consumatori che si troverebbero con più liquidità in tasca, le aziende che sarebbero fortemente incentivate a investire nella zona Ue, lo Stato che troverebbe le risorse sia per le grandi opere che per altre riforme. Le stesse banche private che non sarebbero più costrette a comprare titoli di Stato pubblici e vedrebbero diminuire drasticamente le sofferenze bancarie nel giro di pochi mesi proprio grazie alla ripresa dell’economia reale». La macchina, insomma, si rimetterebbe in moto. «A “rimetterci” sarebbero solo la Bce, la Commissione Europea e analoghe istituzioni transnazionali, il cui potere implicito di condizionamento si ridurrebbe drasticamente».Questo è appunto il motivo per cui tutto ciò non avverrà: quel “potere di condizionamento” è esattamente la ragione sociale dell’euro, piano strategico concepito per togliere allo Stato la facoltà sovrana di spesa pubblica, cioè di produrre debito pubblico strategico (deficit positivo) senza il quale, dall’avvento della moneta moderna, nessun paese al mondo può garantire benessere diffuso. La demonizzazione del debito è tipica del neoliberismo, che vuole spogliare lo Stato della sua sovranità e ridurlo in bolletta, come una qualsiasi azienda o famiglia, dipendente dal sistema finanziario privato. Il liberismo teme lo Stato, in quanto pericoloso concorrente economico: il debito pubblico “deve” quindi diventare un problema, in modo che lo Stato ceda i suoi asset strategici e si rassegni alla loro privatizzazione. La via d’uscita non è dunque la cancellazione del debito – gli investimenti di cui parla Foa si possono realizzare solo mediante deficit – ma l’eliminazione del debito non sovrano. Missione impossibile, se si resta nel lager monetario chiamato euro, appositamente progettato dall’élite finanziaria perché gli Stati permanessero all’infinito sotto il ricatto di un debito insostenibile, in quanto non garantibile con valuta propria.In regime di sovranità finanziaria, il debito pubblico non è che un “anticipo” che lo Stato versa ai cittadini, in termini di beni, servizi e infrastrutture, potendo ricorrere alla libera emissione di moneta: in questo caso il debito è ricchezza netta per famiglie e aziende, interamente garantita dal “prestatore di ultima istanza”, dotato di capacità di finanziamento teoricamente illimitate, anche se armonizzate con la capacità produttiva (Pil) e con la bilancia commerciale (import-export). Se invece il debito pubblico non è denominato in moneta di proprietà dello Stato, allora si trasforma in un incubo, esattamente come per i soggetti privati, famiglie e aziende. E’ esattamente la condizione dei paesi dell’Eurozona, che non dispongono più di denaro proprio: devono mettere all’asta titoli di Stato presso il sistema bancario, unico destinatario del denaro virtuale della Bce. Il “quantitative easing” non risolve nessun problema strutturale: se il debito europeo continuerà ad essere denominato in valuta estranea ai singoli Stati resterà in ogni caso fuori controllo, esponendo gli Stati stessi al ricatto perpetuo della speculazione finanziaria.
-
Perché in Italia un vero leader non viene mai eletto al Colle
Sei un vero leader, stimato dagli elettori? Non abiterai mai al Quirinale. Lo dice la storia della Repubblica italiana, che nei suoi settant’anni ha avuto una quindicina di figure eminenti, statisti e capi di partito che l’hanno fondata, guidata e dominata. Nessuno di loro, però, ha mai raggiunto il Colle, annota Marcello Veneziani. Alla guida del paese si sono infatti succeduti «statisti come De Gasperi, padri fondatori come Sturzo, padri costituenti come Calamandrei, uomini di governo e di partito come Fanfani e Moro, Andreotti, De Mita, capi socialisti come Nenni e Craxi, laici come Malagodi, La Malfa e Spadolini, comunisti come Togliatti e Amendola, oppositori di destra come Almirante e radicali come Pannella». Tutte figure di primo piano, «assai diverse tra loro, per ruolo, indole e giudizio, ma unite da un destino: nessuno di loro è diventato presidente della Repubblica». Osserva Veneziani: «Sorte curiosa per una Repubblica, ma i suoi presidenti sono stati piuttosto notabili, a volte anche di secondo piano».Un analista “eretico” come Marco Della Luna sostiene che il profilo “defilato” della classe dirigente italiana, specie degli esponenti politici chiamati a rivestire le cariche istituzionali più eminenti, non è casuale: un leader forte, capace di incarnare una vertenza sovranista in nome del futuro della comunità nazionale, sarebbe percepito come un pericolo, sia in sede europea che sul versante atlantico. Le eccezioni – da Mattei a Moro – non sono arrivate all’età della pensione: qualcuno le ha tolte di mezzo. Prevale il grigio: in generale, la nomenklatura italiana si segnala per l’alto tasso di corruzione, clientelismo e degrado delle strutture partitiche. Più che ovvio, sostiene Della Luna: solo una partitocrazia corrotta, e quindi debole perché ricattabile, può “obbedire” senza fiatare alle direttive e ai diktat che provengono dai poteri forti che risiedono all’estero. Dopo il “golpe dello spread” architettato per l’insediamento di Monti e il varo definitivo dell’austerity, l’economista Nino Galloni ha svelato la vana ma serrata resistenza condotta da Giulio Andreotti per evitare che l’Italia finisse nella morsa dell’euro, che l’avrebbe condotta alla catastrofe economica. Galloni racconta che il governo subì fortissime pressioni dalla Germania, operate direttamente dal cancelliere Kohl.Un altro studioso “fuori ordinanza”, l’insigne esoterista Gianfranco Carpeoro, sostiene che Bettino Craxi fu liquidato in modo brutale proprio dai poteri che già allora puntavano a demolire la sovranità italiana: un leader troppo ingombrante col quale fare i conti. Nel libro “Il golpe inglese”, edito da Chiarelettere, Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino evocano il ruolo costante di potenze straniere come quella britannica nel destino politico del Belpaese. E un altro libro di Chiarelettere, l’esplosivo “Massoni” di Gioele Magaldi, illumina il grande retroscena massonico di ogni decisione storica, mettendo in fila nomi come quelli di Mario Draghi, Giorgio Napolitano e Mario Monti. La sorte dell’Italia viene sempre decisa lontano da Roma? Lo sostiene anche Paolo Barnard: nel saggio “Il più grande crimine” documenta la “svendita” del paese da parte dei tecnocrati del centrosinistra, cooptati dall’élite finanziaria europea prima ancora che la classe dirigente della Prima Repubblica venisse spazzata via dal ciclone Mani Pulite. L’Italia del boom economico “doveva” piegarsi ai tormenti di Maastrich e alle torture imposte dall’euro, pareggio di bilancio e Fiscal Compact, riforme strutturali (azzeramento del welfare) e taglio della spesa pubblica, cioè demolizione – mediante crisi – del tessuto socio-economico nazionale.Chiedetevi perché non si fa mai “la cosa giusta”, suggerisce Barbard: scoprirete che i partiti, specie quelli del centrosinistra, sono stati tutti reclutati dal “vero potere”, quello dell’oligarchia neo-aristocratica, per sabotare lo Stato e servire gli interessi delle multinazionali finanziarie. Questo spiega l’altrimenti incomprensibile, cronica mediocrità del ceto politico italiano. Sul “Giornale”, alla vigilia dell’elezione di Mattarella al Quirinale, Marcello Veneziani riflette sullo strano veto che impedisce l’accesso al Colle ai leader più carismatici. Veneziani passa in rassegna i presidenti finora succedutisi: «Il più autorevole fu Einaudi e prima di lui De Nicola, entrambi monarchici; e poi notabili democristiani da Gronchi a Scalfaro, o Segni, Leone e Cossiga, su cui si esercitò la macchina del fango; esponenti come Saragat e Napolitano, capi partigiani come Pertini o banchieri come Ciampi. Ma nessun vero leader o statista, nessun leader di partito di massa o di grande popolarità, nessun riformatore con significative esperienze di governo, se non di governi di transizione o balneari (e nessun romano, lombardo o adriatico)». Per Veneziani, «è questa l’anomalia della Repubblica italiana: senza presidenzialismo niente capi alla De Gaulle o Mitterrand, alla Kennedy o Nixon, solo gregari o notabili. Così sarà pure stavolta. Il galletto è Renzi, per il Colle cercano la gallina».Tra le mille dietrologie fiorite attorno all’anomala elezione di Mattarella, si segnala per inappuntabile coerenza la spiegazione fornita da Francesco Maria Toscano, stretto collaboratore di Gioele Magaldi: Renzi avrebbe “mollato” Berlusconi dopo aver promesso obbediente devozione al “venerabile” Mario Draghi, vero padre del rigore europeo. Il Patto del Nazareno? Un bluff di Renzi per alzare la posta: accoglietemi a corte, o rimetto in gioco l’odiato Berlusconi. Detto fatto: secondo Toscano, a Renzi sarebbe stato finalmente accordato l’accesso al mondo ultra-riservato delle “Ur-Lodges”, le massime strutture di potere della massoneria internazionale, di cui Draghi sarebbe uno dei leader più importanti, insieme alla presidente del Fmi, Christine Lagarde. In pegno, come garanzia di sottomissione, il mite Mattarella sul Colle. Un uomo destinato a non ostacolare il manovratore Renzi, in realtà mero esecutore dei diktat di Bruxelles? E’ presto per dirlo, ovviamente. Ma certo è da interpretare il primo gesto del neo-presidente: che evoca il nazismo alle Fosse Ardeatine per lanciare un monito contro “il terrorismo”, e non il nuovo nazismo della Troika Ue che governa col ricatto e senza più ombra di democrazia, piegando i popoli al volere di ristrettissime élite neo-feudali.Sei un vero leader, stimato dagli elettori? Non abiterai mai al Quirinale. Lo dice la storia della Repubblica italiana, che nei suoi settant’anni ha avuto una quindicina di figure eminenti, statisti e capi di partito che l’hanno fondata, guidata e dominata. Nessuno di loro, però, ha mai raggiunto il Colle, annota Marcello Veneziani. Alla guida del paese si sono infatti succeduti «statisti come De Gasperi, padri fondatori come Sturzo, padri costituenti come Calamandrei, uomini di governo e di partito come Fanfani e Moro, Andreotti, De Mita, capi socialisti come Nenni e Craxi, laici come Malagodi, La Malfa e Spadolini, comunisti come Togliatti e Amendola, oppositori di destra come Almirante e radicali come Pannella». Tutte figure di primo piano, «assai diverse tra loro, per ruolo, indole e giudizio, ma unite da un destino: nessuno di loro è diventato presidente della Repubblica». Osserva Veneziani: «Sorte curiosa per una Repubblica, ma i suoi presidenti sono stati piuttosto notabili, a volte anche di secondo piano».
-
Mattarella al Quirinale, Renzi accolto nel Tempio di Draghi
«Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l’ha definito Mario Monti e così sarà». Parola di Eugenio Scalfari, l’uomo delle cenette riservate con Mario Draghi, Giorgio Napolitano e l’allora premier Enrico Letta, incaricato di spremere gli italiani con “l’inevitabile” tortura del rigore Ue. Scalfari addirittura considera Sergio Mattarella «un Capo dello Stato che proseguirà al vertice delle istituzioni l’esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano». Perché accostare Einaudi e Pertini a Ciampi e Napolitano? L’eurocrate Ciampi “staccò” Bankitalia dal Tesoro, mettendo il paese nelle mani della finanza speculativa e facendo esplodere un debito pubblico non più controllabile, mentre Napolitano – com’è ormai chiaro a chiunque, persino all’ex ministro di Obama, Tim Geithner – è stato il massimo garante dei poteri forti internazionali, interessati a depredare il paese imponendo “commissari” come Monti e Letta, fino all’ambiguo outsider Renzi, che oggi viene celebrato come il king-maker di Mattarella. Errore, avverte Francesco Maria Toscano: l’accordo sul Quirinale non è nato a Palazzo Chigi, ma nella ristrettissima cerchia delle super-lobby di Mario Draghi e Christine Lagarde, la signora del Fmi.«Mario Draghi ha aperto le porte del tempio all’aspirante massone Matteo Renzi», scrive Toscano nel blog “Il Moralista”. Toscano è uno stretto collaboratore di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” e autore di “Massoni” (Chiarelettere), inedita rilettura del ‘900 partendo dal ruolo decisivo delle Ur-Lodges, le superlogge internazionali al crocevia del massimo potere mondiale. «Dopo il lungo e nefasto regno di Napolitano – scriveva Toscano alla vigilia del voto per il Quirinale – si intravede all’orizzonte la possibilità che al Colle ci finisca ora un personaggio grigio e oscuro come Sergio Mattarella». Fra tutti i nomi circolati sui quotidiani, «quello di Mattarella è certamente il più modesto e dimesso; così dimesso da far tornare alla mente quella famosa massima democristiana che spiegava come “alcune nomine servano in realtà a rendere strutturalmente vacante la posizione occupata”». Toscano parla di «un mosaico solo in parte visibile». Domanda: chi comanda davvero in Italia? Quali uomini decidono davvero le linee di indirizzo politico «poi pedissequamente recepite da partiti eterodiretti dall’esterno?».Fino a ieri il gioco era abbastanza scoperto, continua Toscano: «Giorgio Napolitano, iniziato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” al pari di Mario Draghi, supervisionava il progressivo svuotamento del benessere e della democrazia italiana per assecondare le bramosie speculative del mercato finanziario privato». Esaurito il mandato di Napolitano, «il sistema è costretto a ridisegnare un equilibrio di potere che finga di cambiare tutto per non cambiare nulla». Secondo Toscano, «l’occulto padrone e regista della vita politica italiana è il “venerabilissimo maestro” Mario Draghi, padre dell’austerità in Europa, che tratta l’Italia quasi fosse una sua dependance personale». Il presidente della Bce «esercita il suo potere riservatamente e con discrezione, lasciando che la pubblica opinione si distragga osservando le gesta di tanti figuranti che popolano il Parlamento con lo specifico compito di fare ammuina». Ma, «come ogni Sultano che si rispetti», anche Draghi «ha bisogno di nominare un Gran Visir al quale affidare il disbrigo degli affari correnti». E dunque chi, dopo Napolitano, «interpreterà ora il ruolo di cinghia di trasmissione dei voleri delle potentissime Ur-Lodges frequentate con costrutto dal capo della Bce? Mattarella? Niente affatto».Per Toscano, «il nuovo portavoce e plenipotenziario della massoneria reazionaria in Italia è Matteo Renzi, pronto per essere iniziato presso una delle Ur-Lodge più potenti e perverse del pianeta». Finito il periodo di “tegolatura”, cioè di attesa, l’ex sindaco fiorentino sarebbe oramai «sulla soglia del Tempio». Una volta «divenuto organico alle superlogge», il nuovo Renzi «potrà quindi finalmente rapportarsi direttamente con i “padroni”». Ma attenzione: «Per calarsi compiutamente nei panni di longa manus della massoneria oligarchica, Renzi ha però bisogno che sul Colle venga eletto un uomo incapace di fargli ombra. Un uomo cioè che si limiti a interpretare il ruolo in maniera neutra e notarile, lasciando cioè mano libera ad un premier oramai pienamente riconosciuto e legittimato dai vertici delle istituzioni latomistiche mondiali». Questo schema soddisfa tutti tranne Berlusconi: «Il vecchio re di Arcore è stato bastonato di nuovo da quegli stessi poteri che nel novembre del 2011 lo cacciarono senza complimenti e a calci in culo per fare spazio a Mario Monti con la scusa dello spread». Come aveva più volte preannunciato lo stesso Gioele Magaldi, il Patto del Nazareno «altro non era se non un patto “fra straccioni”, già pubblicamente sconfessato dalla massoneria che conta, per tramite di un articolo vergato tempo fa sul “Corriere della Sera” dal fedele scrivano Ferruccio De Bortoli».«Mattarella è stato indicato da Draghi», scrive Toscano, spiegando che «l’operazione portata a termine con astuzia dal capo della Bce è chiarissima». Il defunto Patto del Nazareno, amplificato ad arte dalla stampa, «univa in realtà due debolezze». Ovvero: «Due parvenu, Renzi e Berlusconi, estranei ai circoli massonici più elitari ed esclusivi, avevano deciso di stipulare un patto potenzialmente in grado di affrancarli in parte dal controllo delle Ur-Lodges più importanti. Tale accordo, che esprimeva come garante un massone casereccio e di basso livello come Denis Verdini, non poteva reggere di fronte all’offensiva di un peso massimo del livello del “venerabile” Draghi. E infatti non ha retto». A Renzi, continua Toscano, del “Nazareno” non è mai importato nulla: «Il nostro spregiudicato Rottamatore ha semplicemente usato il decadente Berlusconi per aumentare il suo potere contrattuale nei confronti dell’aristocrazia massonica sovranazionale. “O fate entrare in Loggia anche me”, questo lo spirito con il quale Renzi ha vissuto lo strumentale abbraccio con il Biscione, “oppure io riabilito il puzzone e comincio a menare fendenti contro l’Europa dei burocrati”». Alla fine, conclude Toscano, Renzi «ha ottenuto con il ricatto quello che voleva: a breve infatti il pinocchietto fiorentino verrà ritualmente iniziato presso una delle Ur-Lodge più influenti del globo terracqueo».Secondo indiscrezioni circolate nell’ambiente massonico, aggiunge ancora Toscano, Renzi potrebbe essere affiliato a breve alla superloggia di destra “Compass-Star Rose” o alla gemella “Pan-Europa”, entrambe caratterizzate dalla presenza di Christine Lagarde, esponente dell’oligarchia neo-aristocratica europea, secondo cui gli Stati dovrebbero prepararsi a tagliare drasticamente le pensioni a causa dell’innalzamento dell’aspettativa di vita degli anziani in Europa. Secondo le esplosive rivelazioni fornite da Magaldi, le superlogge come la “Three Eyes”, la “Pan-Europa” e la “Compass-Star Rose” costituirebbero la “cupola di potere” protagonista della sconfitta storica della sinistra sociale in tutto l’Occidente: dal declino insanguinato dei Kennedy alla fine del glorioso welfare europero, seppellito dal neoliberismo selvaggio e globalizzatore imposto attraverso l’influenza di istituzioni “paramassoniche” come la Commissione Trilaterale fondata da David Rockefeller. Di qui l’assetto oligarchico dell’Unione Europea e l’imposizione delle “riforme strutturali”, brandite infatti anche da Renzi, con le quali colpire il mondo del lavoro e svuotare lo Stato, a beneficio delle grandi lobby economico-finanziarie.Sergio Mattarella è accolto al Quirinale tra cori di rispettoso consenso: il mainstream gli riconosce estrema sobrietà personale e rigorosa lealtà verso la Costituzione. Riuscirà a opporsi al disegno oligarchico euro-diretto contro l’Italia, nonostante sia stato candidato proprio dagli esecutori nazionali del sabotaggio dell’economia italiana? Il blog “Senza Soste” è pessimista, e parla dell’Italia come di «un paese che si spegne nel silenzio». La carriera di Mattarella si sarebbe sviluppata in modo “coestensivo” rispetto al declino italiano: «Se c’è un nucleo di scelte, tra gli anni ’80 e ’90, che hanno portato questo paese al disastro, Sergio Mattarella, da democristiano e da ministro della Repubblica, le ha condivise tutte». Tra le maggiori ombre, la legge che inaugurò il sistema elettorale maggioritario e la fedeltà atlantica dimostrata nella Guerra del Kosovo, coi bombardamenti sulla Serbia costati tremila vittime inermi. «Nella vicinissima Libia – continua “Senza Soste” – è in corso una guerra civile senza quartiere con una delle fazioni in campo direttamente affiliata all’Isis: in caso di necessità, il decisionismo militare di Mattarella sarebbe già stato testato per lo sforzo bellico». Stessa situazione «a quattro guanciali» per Bce, Ue e Fmi: «Non sarà certo Mattarella a mettere in discussione l’assetto continentale».A pochi giorni dal voto greco, aggiunge “Senza Soste”, «in risposta a quanto avvenuto ad Atene, l’Italia renziana e liberista ha dato quindi la sua risposta alla delegittimazione ellenica della Troika eleggendo un presidente di provata compatibilità con un ordoliberismo sottile quanto feroce». Mentre il paese affonda, «il settennato di Sergio Mattarella si avvia in democristiano torpore», anche grazie a una nomenklatura che riesce sempre a proteggere se stessa dal disastro nel quale sprofonda la nazione. Altrettanto diffidente, sul nuovo capo dello Stato, il blog “Sollevazione”: «C’è chi dice che non sarà solo un passacarte, che Mattarella si farà valere, che farà rispettare la Costituzione. Noi non ci crediamo. Renzi prima di renderlo papabile avrà ottenuto dal Nostro le sue garanzie. Mattarella non solo è stato un uomo chiave democristiano della “Seconda Repubblica”, ne è stato anzi uno degli architetti – la infame legge elettorale che nel decisivo 1993 scardinò il principio proporzionale non a caso porta il suo nome». La sinistra Pd e Sel lo hanno votato sperando che freni l’azione di Renzi? Si illudono: «Nelle prossime settimane si vota sulle “riforme” (leggi scasso) della Costituzione e sulla legge elettorale Italicum. Noi scommettiamo che Mattarella seguirà, pur con un più basso profilo proprio per non fare ombra a Renzi, le orme di chi l’ha preceduto e che non a caso è stato il suo principale sponsor». Perlomeno, il suo sponsor italiano. Se è vero – come scrive Toscano – che il vero sponsor risiede lontano dall’Italia, ben al di sopra del Parlamento di Roma.«Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l’ha definito Mario Monti e così sarà». Parola di Eugenio Scalfari, l’uomo delle cenette riservate con Mario Draghi, Giorgio Napolitano e l’allora premier Enrico Letta, incaricato di spremere gli italiani con “l’inevitabile” tortura del rigore Ue. Scalfari addirittura considera Sergio Mattarella «un Capo dello Stato che proseguirà al vertice delle istituzioni l’esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano». Perché accostare Einaudi e Pertini a Ciampi e Napolitano? L’eurocrate Ciampi “staccò” Bankitalia dal Tesoro, mettendo il paese nelle mani della finanza speculativa e facendo esplodere un debito pubblico non più controllabile, mentre Napolitano – com’è ormai chiaro a chiunque, persino all’ex ministro di Obama, Tim Geithner – è stato il massimo garante dei poteri forti internazionali, interessati a depredare il paese imponendo “commissari” come Monti e Letta, fino all’ambiguo outsider Renzi, che oggi viene celebrato come il king-maker di Mattarella. Errore, avverte Francesco Maria Toscano: l’accordo sul Quirinale non è nato a Palazzo Chigi, ma nella ristrettissima cerchia delle super-lobby di Mario Draghi e Christine Lagarde, la signora del Fmi.
-
Non c’è speranza, l’Italia applaude i suoi macellai golpisti
Lo scenario italiano attuale ha due poli emergenti: da un lato abbiamo una situazione economica strutturalmente grave, con tendenze sfavorevoli, non sostenibile soprattutto in quanto a disoccupazione e pensioni; dall’altro lato abbiamo il combinato della riforma costituzionale ed elettorale detta Italicum. Un combinato che concentra tutti i poteri – legislativo, esecutivo e di controllo, cioè di garanzia – nelle mani del segretario del partito di maggioranza relativa. Questi, prendendo anche solo in teoria il 25% dei suffragi, si aggiudica il controllo delle camere, del governo, delle commissioni anche di garanzia, della nomina del presidente della Repubblica, di giudici costituzionali e di componenti del Csm. In più, quale segretario del partito, forma le liste elettorali del suo partito, cioè decide chi si candida e con quali chances. Quindi i parlamentari eletti hanno un vincolo di mandato, ma non nei confronti degli elettori, bensì del segretario del partito. Una vera mostruosità giuridico-costituzionale, senza pari nel mondo ritenuto civile.Un ritorno massiccio e deciso a prima della separazione dei poteri statuali, cioè a un modello di Stato di tipo assolutistico, cioè a oltre due secoli fa. Aggiungiamo che la riforma elettorale non solo dà il premio di maggioranza al partito che prende anche solo il 25% dei suffragi, ma anche, per effetto dell’attribuzione del premio di maggioranza non a una coalizione bensì al singolo partito, risulta congegnata per far sì che ci sia un partito fisso di maggioranza, cioè un partito-Stato – il Partito Democratico (e come altro potrebbe chiamarsi?) – più alcuni piccoli partiti in funzione di alleati mobili e clientelari del partito di maggioranza, più ancora un partito medio-grosso di opposizione perenne. Insomma, in previsione di una situazione economica e sociale sempre peggiore e tale da generare forti tensioni e forse rotture sociali, viene costituito, con la massima precedenza, un apparato statuale autocratico e bloccato, per garantire alla buro-partitocrazia parassitaria e criminale le sue rendite, le sue poltrone, le sue impunità anche nel disastro nazionale; e insieme per garantire il dominio sul paese ai grandi interessi finanziari stranieri, con la possibilità di completare l’estrazione o l’acquisizione degli asset nazionali e dei mercati nazionali ancora appetibili attraverso il controllo del suo governo e del suo capo di Stato.Per fare queste importanti riforme, e per eleggere un adeguato Capo di Stato che funga da raccordo tra la casta nazionale e i superiori potentati europei e americani, cioè un presidente di garanzia per il suddetto assetto, niente di meglio dell’attuale Parlamento di nominati, illegittimo perché eletto con legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Aiuta anche la “condizionabilità” giudiziaria, e non solo giudiziaria, del leader del primo o secondo partito di “opposizione”: nove o dieci milioni di voti controllati o neutralizzati così. La precisa e chiarissima scelta di concentrare i poteri di legislazione, governo e controllo in un’unica persona, toglie ogni dubbio sul progetto dittatoriale: non esiste in Europa, neanche in Russia, qualcosa di simile. Neanche il fascismo la realizzò. La passività e la ignavia via con cui la popolazione italiana accetta tutto ciò, l’assenza di obiezioni e anzi l’incoraggiamento da parte dell’Europa verso tale mostruosità giuridica, confermano che il destino dell’Italia è già stato deciso, che non vi è spazio per un’alternativa, e che quindi l’unica via razionale, per chi può, è l’emigrazione.Impossibile è giustificare le riforme suddette dicendo che sono indispensabili per assicurare la governance e l’efficacia della politica: come ho spiegato in precedenti articoli, questo obiettivo si può raggiungere con un sistema bicamerale differenziato: una Camera della governabilità, eletta con sistema maggioritario e premio di maggioranza, la quale vota i governi e le leggi, e una Camera della rappresentanza e delle garanzie, eletta con metodo proporzionale e senza soglie, la quale elegge gli organi di garanzia (presidente della Repubblica, giudici costituzionali, commissioni di sorveglianza) e vota le leggi costituzionali nonché quelle elettorali e concernenti la cittadinanza. Quindi la giustificazione suddetta, in nome della governabilità, è falsa. Ma lo è anche perché la politica nazionale ha ben poco da decidere, essendo guidata da vincoli e dettami esterni, rispetto ai quali ha una funzione perlopiù esecutiva. La realtà è che, in Italia e in altri paesi deboli e arretrati, il capitalismo finanziario globale sta instaurando regimi autoritari al fine di usarli per imporre, rapidamente e senza possibilità di opposizione, leggi e riforme strumentali ai suoi interessi e al suo potere, come il famigerato Ttip, oggi in gestazione.(Marco Della Luna, “Disastro e dittatura”, dal blog di Della Luna del 15 gennaio 2015).Lo scenario italiano attuale ha due poli emergenti: da un lato abbiamo una situazione economica strutturalmente grave, con tendenze sfavorevoli, non sostenibile soprattutto in quanto a disoccupazione e pensioni; dall’altro lato abbiamo il combinato della riforma costituzionale ed elettorale detta Italicum. Un combinato che concentra tutti i poteri – legislativo, esecutivo e di controllo, cioè di garanzia – nelle mani del segretario del partito di maggioranza relativa. Questi, prendendo anche solo in teoria il 25% dei suffragi, si aggiudica il controllo delle camere, del governo, delle commissioni anche di garanzia, della nomina del presidente della Repubblica, di giudici costituzionali e di componenti del Csm. In più, quale segretario del partito, forma le liste elettorali del suo partito, cioè decide chi si candida e con quali chances. Quindi i parlamentari eletti hanno un vincolo di mandato, ma non nei confronti degli elettori, bensì del segretario del partito. Una vera mostruosità giuridico-costituzionale, senza pari nel mondo ritenuto civile.
-
Ministro della sanità: chi non può pagarsi le cure va ucciso
I poveri? Crepino pure: curarli costa troppo. Ci vorrebbe l’eutanasia, per sopprimere chi non può permettersi cure sanitarie private. La frase non è di Hilter, ma della ministra lituana della salute, Rimante Salaseviciute, secondo cui il denaro ovviamente conta molto più della vita umana. Se i paesi baltici si segnalano periodicamente per gaffe imbarazzanti – come l’arresto di Giulietto Chiesa in Estonia solo per impedirgli di esprimersi sulla relazione tra Europa e Russia – l’uscita della Salaseviciute è perfettamente consonante con il trattamento che la Germania, tramite la Troika Ue, ha imposto ai bambini greci, lasciati senza cibo sufficiente e senza assistenza medica. Tragedie che in Italia diventano commedia, come lo spettacolo della gente che si rovescia in testa secchiate d’acqua, ufficialmente per aiutare la raccolta fondi contro la Sla. Scena che dovrebbe «suscitare pena e indignazione», protesta il blog “Il Simplicissimus”, visto che era una trovata «sostanzialmente per fare i fresconi e richiamare servizi televisivi». Tanto più che «dopo le secchiate, compresa quella di Renzi irresistibilmente attratto dalle stupidaggini come l’ago della bussola lo è dal nord, non arrivano soldi o ne arrivano pochini: in tutto l’Occidente finora non si è raccolto nemmeno ciò che serve a comprare un F-35».Alla fine, continua il blog, si arriva a constatare che la ricerca su una malattia considerata rara non è sostenuta dai fondi pubblici, «il cui unico scopo è risparmiare per far contenta la finanza», quella tedesca, che impone all’Unione Europea la tortura della disciplina di bilancio, a sua volta prodotta dalla colossale mistificazione dell’euro, la non-moneta che gli Stati non possono utilizzare per le loro necessità. E addio solidarietà sociale, compreso il diritto alla salute: ormai anch’esso in via di estinzione, «nell’evanescente e terribile Europa delle banche». Mostruosa, dunque, ma anche drammaticamente corente con il clima di questi anni, la sortita della lituana Salaseviciute, «personaggio tra i più progressisti della piccola repubblica baltica sulla quale sventola la bandiera delle 12 stelle». Dichiarazione rilasciata alla radio nazionale: «L’eutanasia è una buona soluzione per gli strati deboli della società, per i poveri che non hanno i mezzi per pagare le cure sanitarie». Per la ministra, inoltre, è impensabile che la Lituania sviluppi uno stato sociale dove la sanità e le cure siano accessibili a tutti.«Evidentemente – scrive “Il Simplicissimus” – gli accorati appelli della Lagarde sull’allarmante aumento dell’età media e sulla incredibile tracotanza dei ceti popolari che pretenderebbero di usufruire dei progressi delle conoscenze mediche, fanno scuola». Vengono i brividi, aggiunge il blog, pensando che la Salaseviciute è stata promossa ministro della sanità per sostituire il compagno di partito e di governo Vytenis Andriukaitis, chiamato a far parte della nuova Commissione Europea guidata dall’impresentabile Jean-Claude Juncker, da più di trent’anni al servizio di multinazionali, élite finanziaria, servizi segreti e grandi evasori mondiali. Si comincia con le secchiate d’acqua in testa e poi si arriva alle pratiche di sterminio sociale auspicate in Lituania? «Sono due facce della stessa medaglia», se cominci a tagliare deficit e posti letto negli ospedali. Morale: il pubblico non deve più garantire l’accesso alla sanità di tutti i cittadini. «Buffoni e canaglie – conclude “Il Simplicissius” – compaiono sullo stesso piano ideologico come le figure speculari su una carta da gioco: quella del baro che ci sta portando via la posta accumulata in tanti anni di lotte e di speranze».I poveri? Crepino pure: curarli costa troppo. Ci vorrebbe l’eutanasia, per sopprimere chi non può permettersi cure sanitarie private. La frase non è di Hilter, ma della ministra lituana della salute, Rimante Salaseviciute, secondo cui il denaro ovviamente conta molto più della vita umana. Se i paesi baltici si segnalano periodicamente per gaffe imbarazzanti – come l’arresto di Giulietto Chiesa in Estonia solo per impedirgli di esprimersi sulla relazione tra Europa e Russia – l’uscita della Salaseviciute è perfettamente consonante con il trattamento che la Germania, tramite la Troika Ue, ha imposto ai bambini greci, lasciati senza cibo sufficiente e senza assistenza medica. Tragedie che in Italia diventano commedia, come lo spettacolo della gente che si rovescia in testa secchiate d’acqua, ufficialmente per aiutare la raccolta fondi contro la Sla. Scena che dovrebbe «suscitare pena e indignazione», protesta il blog “Il Simplicissimus”, visto che era una trovata «sostanzialmente per fare i fresconi e richiamare servizi televisivi». Tanto più che «dopo le secchiate, compresa quella di Renzi irresistibilmente attratto dalle stupidaggini come l’ago della bussola lo è dal nord, non arrivano soldi o ne arrivano pochini: in tutto l’Occidente finora non si è raccolto nemmeno ciò che serve a comprare un F-35».
-
Vogliono acqua, luce e gas: soldi a palate, e il Pd obbedirà
Acqua, luce, gas. Perché il Pd vuole privatizzare i servizi pubblici fondamentali? Perché gliel’hanno ordinato gli speculatori: la finanza ci guadagna di più e non rischia niente. Ecco il motivo dell’invocata modifica del Titolo V della Costituzione, che tuttora affida agli enti locali il controllo delle reti di distribuzione. Tutto iniziò con Franco Bassanini, attuale presidente della Cdp, la Cassa Depositi e Prestiti. Già socialista, poi transitato al Pds: fu lui, ricorda Paolo Barnard, a sferrare il primo storico attacco alla gestione pubblica dei servizi degli enti locali, le “utility”. Risultato: la legge 267 del 2000, figlia del lavoro svolto negli anni ‘90 da questo tecnocrate europeista. Bassanini «obbediva al già infame trattato Gats dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di Ginevra», cioè il trattato del Wto che «mirava a mettere nelle mani degli speculatori internazionali (cioè privatizzare) i tuoi servizi essenziali, come scuola, sanità, assistenza sociale, cimiteri, anagrafe, acqua, luce, gas». Poi il Gats «si è impantanato», ma niente paura: oggi rientra dalla finestra col nome di Tisa ed è collegato al Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio.Dopo le “limature” di Prodi e D’Alema alla fine degli anni ’90, continua Barnard, oggi Renzi «vuole portare la stoccata finale alla privatizzazione dei servizi enti locali». Domanda: «Ma perché tutta ’sta furia del Pd (coccige di Wall Street) a fare ’ste “riforme”?». La risposta è persino banale: «Gli investitori sanno da tempo che investire in un servizio “utility” rende molto di più e si rischia molto di meno che investire nelle banche». Per la precisione, «significa che uno speculatore/investitore americano o russo o cinese guadagna molto di più, e rischia 9 volte di meno!, a investire nell’acqua o nel gas di un Comune che li privatizza piuttosto che a investire in Unicredit o Intesa o Bank of America o Bnp Paribas o Deutsche Bank». Non ci credete? «Non credete che mettere 1 milione di dollari sull’acqua sia mooolto meglio che metterli nelle super-potenti banche?». Il modello, continua Barnard, viene ovviamente dall’America: «Le “utility”, cioè proprio i servizi locali di acqua, luce e gas, hanno garantito agli investitori americani degli utili dall’80% al 50% di media!».Rendimenti stellari, se paragonati ai settori finanziari classici, le mega-banche: ai suoi investitori, Jp Morgan ha garantito il 30%, mentre Bank of America «un miserabile 4%», e un colosso come Citigoup «un’agonia dello 0,9%». Senza contare i debiti, naturalmente: «Imparate che il rapporto fra i debiti di una banca e il suo capitale (azioni) si chiama “leverage ratio”. Più alto è il debito e più basso è il capitale, più c’è “leverage” (rischio). Gli investitori hanno sempre guardato a questo rapporto debiti-capitale quando hanno messo soldi in banche o in “utility”. Oggi – aggiunge Barnard – la realtà che gli Stati Uniti hanno insegnato all’Europa è che chi investe in banca si becca in media un “leverage” di 1 di capitale contro 10 di debiti, mentre, e qui sta il punto dei punti, chi investe in “utilities” si becca un rischio 9 volte inferiore, oltre che molti più utili». Il nostro problema? «Il rapido Renzi scondinzola», quindi «noi cittadini siamo fottuti», visto che «qui si chiude il cerchio maledetto: la finanza ordina, il Pd obbedisce». Disposizione chiara: via il Titolo V, per poter privatizzare le “utility”. Coi più sentiti ringraziamenti, da parte degli speculatori, agli italiani che hanno votato Pd.Acqua, luce, gas. Perché il Pd vuole privatizzare i servizi pubblici fondamentali? Perché gliel’hanno ordinato gli speculatori: la finanza ci guadagna di più e non rischia niente. Ecco il motivo dell’invocata modifica del Titolo V della Costituzione, che tuttora affida agli enti locali il controllo delle reti di distribuzione. Tutto iniziò con Franco Bassanini, attuale presidente della Cdp, la Cassa Depositi e Prestiti. Già socialista, poi transitato al Pds: fu lui, ricorda Paolo Barnard, a sferrare il primo storico attacco alla gestione pubblica dei servizi degli enti locali, le “utility”. Risultato: la legge 267 del 2000, figlia del lavoro svolto negli anni ‘90 da questo tecnocrate europeista. Bassanini «obbediva al già infame trattato Gats dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di Ginevra», cioè il trattato del Wto che «mirava a mettere nelle mani degli speculatori internazionali (cioè privatizzare) i tuoi servizi essenziali, come scuola, sanità, assistenza sociale, cimiteri, anagrafe, acqua, luce, gas». Poi il Gats «si è impantanato», ma niente paura: oggi rientra dalla finestra col nome di Tisa ed è collegato al Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio.
-
Tsipras, la sinistra rinnegata che sta con gli euro-padroni
Tsipras: la sinistra che sta con l’euro; la sinistra che sta col capitale e con i padroni; la sinistra che ha tradito Marx e i lavoratori. Con una sinistra così, non vi è più bisogno della destra. È la sinistra che vuole abbattere l’austerità mantenendo l’euro: cioè abbattere l’effetto lasciando la causa, ciò che è impossibile “per la contradizion che nol consente”. La domanda da porsi, allora, è una sola: stupidità o tradimento? Propendo per la seconda risposta: tradimento. Tradimento di una sinistra passata armi e bagagli dalla lotta contro il capitale alla lotta per il capitale, dal monoclassismo universalista proletario al bombardamento universalista imperialistico in nome dei diritti umani, dalla lotta per i diritti sociali alla lotta per il matrimonio gay come non plus ultra dell’emancipazione possibile. Dalla falce e il martello all’arcobaleno: non v’è null’altro da aggiungere, temo. Tutto questo farebbe ridere, se non facesse piangere. È una tragedia storica di portata epocale.Il quadro a cui, nell’immaginario comune, sempre più si dovrebbe abbinare l’idea della sinistra (Tsipras in testa!) non è più “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, bensì “L’urlo” di Edvard Munch: dove, tuttavia, il volto trasfigurato dal dolore e immortalato nell’atto di gridare scompostamente è quello di Antonio Gramsci, ucciso una seconda volta, dopo il carcere fascista, dalle stesse forze politiche che hanno tradito il suo messaggio e disonorato la sua memoria. Il paradosso sta nel fatto che la sinistra di Tsipras oggi, per un verso, ha ereditato il giacimento di consensi inerziali di legittimazione proprio della valenza oppositiva del’ormai defunto Partito Comunista e, per un altro verso, li impiega puntualmente in vista del traghettamento della generazione comunista degli anni Sessanta e Settanta verso una graduale “acculturazione” (laicista, relativista, individualista e sempre pronta a difendere la teologia interventistica dei diritti umani) funzionale alla sovranità irresponsabile dell’economia e della dittatura finanziaria.I molteplici rinnegati, pentiti e ultimi uomini che popolano le fila della sinistra si trovano improvvisamente privi di ogni sorta di legittimazione storica e politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa di mobilitazione conservatrice. La sinistra di Tsipras è il fronte avanzato dell’opposizione ideale a sua maestà Le Capital. Nel loro esercizio di una critica già da sempre metabolizzata dal cosmo mercatistico, i tanti fustigatori à la Tsipras della società esistente svolgono sempre e solo la stessa duplice funzione apologetica di tipo indiretto. La loro critica addomesticata e perfettamente inseribile nei circuiti della manipolazione organizzata occulta la propria natura apotropaica rispetto a una critica non assimilabile nell’ordine dominante. La loro critica già metabolizza l’ordine neoliberale (euro, finanza, spoliticizzazione, rimozione della sovranità, ecc.).Tsipras e la “sinistra Bilderberg” neutralizzano la pensabilità, se non altro per l’opinione pubblica, di critiche effettivamente antisistemiche. In tal maniera, all’opinione pubblica e alla cultura universitaria pervengono sempre e solo idee inoffensive e organiche al sistema, ma contrabbandate come le più “pericolose” in assoluto, creando l’illusione che esse coincidano con il massimo della critica possibile. Prova ne è che oggi le sole idee veramente “pericolose”, cioè incompatibili con lo Zeitgeist postborghese e ultracapitalista, coincidono con il recupero integrale della sovranità nazionale (economica, politica, culturale, militare) come passaggio necessario per la creazione dell’universalismo dell’emancipazione, con la deglobalizzazione pratica e con il riorientamento geopolitico contro la civiltà del dollaro. E invece, i pensatori osannati come i più pericolosi dalla dittatura della pubblicità propongono l’innocuo altermondismo in luogo della deglobalizzazione, l’inoffensivo multiculturalismo dei diritti umani in luogo della sovranità nazionale, la demonizzazione dei dittatori e degli “Stati canaglia” in luogo del suddetto riorientamento geopolitico.Muovendosi entro i confini del politically correct fissati dal sistema, essi criticano il presente con toni che, quanto più sembrano radicali, tanto più rinsaldano il potere nel suo autocelebrarsi come intrascendibile e democratico. Che lo sappiano o no, Tsipras e i suoi compagni di partito sono pedine del capitale, mere “maschere di carattere” (Marx), meri agenti della produzione: essi svolgono – lo ripeto – la funzione di oppositori di sua maestà il capitale. Come sappiamo (ma repetita juvant), il progetto eurocratico si rivela organico alla dinamica post-1989, di: a) destrutturazione degli Stati nazionali come centri politici autonomi, con annesso disciplinamento dell’economico da parte del politico, e b) di “spoliticizzazione” (Carl Schmitt) integrale dell’economia, trasfigurata in nuovo Assoluto. Dal Trattato di Maastricht (1993) a quello di Lisbona (2007), la creazione del regime eurocratico ha provveduto a esautorare l’egemonia del politico, aprendo la strada all’irresistibile ciclo delle privatizzazioni e dei tagli alla spesa pubblica, della precarizzazione forzata del lavoro e della riduzione sempre più netta dei diritti sociali.Spinelli e Tsipras vorrebbero rimuovere gli effetti lasciando però le cause. Il che, evidentemente, non è possibile. Sicché essi, con la loro falsa opposizione, sono parte integrante della grande recita del capitale, svolgendo la funzione dei finti oppositori, vuoi anche del nemico che si finge amico, ingannando popoli lavoratori e gonzi di ogni estrazione. Che ha mai a che fare il signor Tsipras con Marx e Gramsci? Nulla, ovviamente. Tsipras ha assistito al genocidio finanziario del suo popolo causato dall’euro: egli stesso è greco. E, non di meno, vuole mantenere l’euro: non passa giorno senza che egli rassicuri le élites finanziarie circa la propria volontà di non toccare l’euro. E, in questo modo, offre una fulgida testimonianza – se ancora ve ne fosse bisogno – del fatto che Marx e Gramsci stanno all’odierna “sinistra Tsipras” venduta al capitale come Cristo e il discorso della montagna stanno al banchiere Marcinkus.(Diego Fusaro, “Tsipras e la sinistra al soldo della finanza”, da “Scenari Economici” del 15 gennaio 2015).Tsipras: la sinistra che sta con l’euro; la sinistra che sta col capitale e con i padroni; la sinistra che ha tradito Marx e i lavoratori. Con una sinistra così, non vi è più bisogno della destra. È la sinistra che vuole abbattere l’austerità mantenendo l’euro: cioè abbattere l’effetto lasciando la causa, ciò che è impossibile “per la contradizion che nol consente”. La domanda da porsi, allora, è una sola: stupidità o tradimento? Propendo per la seconda risposta: tradimento. Tradimento di una sinistra passata armi e bagagli dalla lotta contro il capitale alla lotta per il capitale, dal monoclassismo universalista proletario al bombardamento universalista imperialistico in nome dei diritti umani, dalla lotta per i diritti sociali alla lotta per il matrimonio gay come non plus ultra dell’emancipazione possibile. Dalla falce e il martello all’arcobaleno: non v’è null’altro da aggiungere, temo. Tutto questo farebbe ridere, se non facesse piangere. È una tragedia storica di portata epocale.
-
Di Battista, aprite gli occhi sull’euro o sparirete dalla storia
Qualcuno spieghi ad Alessandro Di Battista che l’Italia non sta morendo di corruzione, né di evasione fiscale, né di mafia. L’Italia sta morendo di euro. Corruzione, evasione e mafia esistevano già prima, ma c’era lavoro per tutti. C’erano benessere, risparmi, economia, aziende. In una parola: c’era la lira sovrana, la moneta che lo Stato poteva “fabbricare dal nulla”, senza limiti. Oggi, lo Stato è in bolletta perché la moneta non ce l’ha più, la deve elemosinare a caro prezzo sui mercati finanziari e prelevare direttamente dai cittadini, sotto forma di tasse. Tragedia nella tragedia? In Parlamento, l’opposizione non se n’è ancora accorta. Lo scrive Giulio Betti in una lettera aperta a Di Battista, reduce da un retorico intervento sullo scandalo “Mafia Capitale”, completamente fuori bersaglio: «Quando in una scuola manca la carta igienica, pensate alla corruzione», raccomanda Di Battista. «Quando vostro figlio cerca lavoro in un call center in India, pensate alla corruzione. Quando manca un posto letto in ospedale, pensate alla corruzione. Quando vedete strade distrutte, mondezza dovunque, infrastrutture ferme da anni, pensate alla corruzione».«No, Di Battista, non ci siamo», replica Betti sul sito “MeMmt”. «Ok, la corruzione è sicuramente un problema molto importante, da cercare di combattere con tutti i mezzi in nostro possesso. Ma tutto ciò che lei ha descritto non dipende dalla corruzione». E poi, c’è corruzione e corruzione: in regime di moneta sovrana, il denaro “rubato” non crea problemi di bilancio, perché tutto è sempre ripianabile. Se invece la corruzione colpisce un paese dell’Eurozona, che non ha più strumenti democratici di bilancio, allora il “furto” diventa una tragedia sociale. Possibile che il brillante Di Battista non lo afferri? E’ come se lui, Grillo e Casaleggio non avessero ancora capito cos’è la moneta sovrana, ovvero una valuta «di proprietà dello Stato, che la emette in regime di monopolio», senza convertirla in oro o altri metalli preziosi. Una moneta il cui tasso di cambio è fluttuante, ovvero: «Viene scambiata con le altre valute in base alla legge della domanda e dell’offerta». Esempi di Stati con moneta sovrana? Praticamente tutti, tranne quelli dell’Eurozona. «Lo Stato a moneta sovrana non può, e non potrà mai, finire i soldi», ribadisce Betti.Lo Stato che dispone della propria moneta «la spende semplicemente creandola dal nulla, accreditando conti correnti», e così «fa crescere la ricchezza finanziaria di quei conti semplicemente pigiando dei tasti nei computer della banca centrale». Oggi, del resto, la maggior parte della moneta circolante è elettronica. Punto nodale, che forse a Di Battista sfugge: «Nel fare questa operazione, lo Stato non ha necessità di procurarsi prima quel denaro guadagnandolo con le tasse, perché lo crea da sé senza problemi». E’ esattamente il tipo di potere sovrano a cui gli archietti dell’Eurozona volevano mettere fine. E ci sono riusciti. La fine della sovranità democratica garantita dalla moneta. «Esempio, un vigile del fuoco che a fine mese ottiene il suo stipendio: per lui è logicamente un attivo, e non dovrà mai ripagare quell’esborso di denaro pubblico. In quel momento lo Stato ha aumentato la sua spesa pubblica, ma ha aumentato la ricchezza finanziaria di un suo cittadino. Una volta capito questo, la domanda che dovrebbe scattare subito dopo è: com’è possibile che in Italia allora scarseggino i beni di prima necessità nelle scuole, non si trovi lavoro, le infrastrutture siano ferme da anni? Semplice e terribile allo stesso tempo: l’Italia non ha più la possibilità di fare quell’operazione di creazione di moneta dal nulla».Una tragedia chiamata euro, non corruzione: «Con l’ingresso nell’unione monetaria, l’Italia si è ridotta a dover chiedere in prestito dai mercati dei capitali tutti i soldi necessari per poter comprare la carta igienica nelle scuole, pagare i posti letto negli ospedali, costruire o fare la manutenzione delle infrastrutture». Il tutto, continua Betti, è aggravato dal “patto di stabilità” che impedisce ai Comuni di garantire, come prima, i servizi basilari per la comunità. Perché lo Stato italiano, al pari di tutti gli altri dell’Eurozona, oggi – a differenza di ieri – deve restituire i capitali che gli sono stati prestati dai mercati finanziari per le sue attività fondamentali, maggiorati del tasso d’interesse sempre deciso dagli stessi attori della grande finanza privata. E dove li rastrella, quei soldi? «Dalle tasche degli italiani, ovviamente. Ecco che mentre prima, con la sovranità monetaria, il governo non aveva alcuna necessità di tassare a morte i cittadini e le aziende (anzi, poteva tranquillamente decidere di abbassare le imposte), oggi il governo deve necessariamente attuare politiche di austerity, andando ad abbassare la spesa pubblica e contemporaneamente strangolare l’economia con la tassazione, la dismissione e privatizzazione di aziende statali che forniscono beni e servizi pubblici essenziali».Caro Di Battista, ancora convinto dello strapotere negativo dell’italica corruzione? Certo, si tratta di un crimine odioso che devasta la società e il territorio. Ma, in regime di moneta sovrana, la peggiore corruzione «non sottrae soldi ai settori vitali della gestione statale». Idem per l’altra piaga nazionale, l’evasione fiscale, «perché lo Stato può creare tutti i fondi che vuole per i servizi pubblici, tecnicamente senza limiti». Nell’Eurozona, invece, la musica cambia: la corruzione è molto più dannosa, «poiché sottrae fondi che lo Stato ha dovuto faticosamente ottenere, con i prestiti di euro da parte dei mercati finanziari, e non può permettersi di sprecarli, al pari del cittadino che ha un mutuo». Di Battista, scrive Betti, non ha capito che il problema è a monte: «Poniamo che da domani, per magia, la corruzione e gli sprechi spariscano (un improbabile paradiso terrestre), ma l’Italia rimanga comunque nell’Eurozona: il problema della scarsità di denaro sarebbe risolto? Sarebbe risolto il problema dell’approvvigionamento dei fondi necessari al funzionamento dei servizi pubblici? Lo Stato potrebbe forse abbassare le tasse e far ripartire l’economia con la spesa pubblica? Assolutamente no».Sveglia, Di Battista: «Anche in assenza di corruzione e sprechi, l’Italia dovrebbe comunque approvvigionarsi dai mercati finanziari di ogni singolo euro necessario al funzionamento dell’apparato pubblico. E come detto in precedenza, i mercati non ti regalano di certo i soldi, devi poi restituirglieli con gli interessi, come un normale cittadino in banca. E quindi tasse sempre più alte, taglio dei servizi e della spesa pubblica, povertà e distruzione economica sempre maggiore. Sarebbe un disastro comunque». Un appello accorato: «Queste cose deve capirle, Di Battista, ne va della vita di 60 milioni di italiani». Chi fa politica dovrebbe imparare a stabilire precise priorità, come durante la Resistenza: nel ‘43, scrive Betti, la priorità era liberare il paese dal nazifascismo, poi si sarebbe pensato a ricostruirlo. «Allo stesso modo, oggi la priorità è abbattere il mostro dell’Eurozona, riprenderci la sovranità monetaria, chiedere al governo di spendere in deficit fino al raggiungimento della piena occupazione, di ottimi servizi pubblici e di un’ottima qualità della vita. E’ necessario tornare ad essere una nazione nella quale vivere bene, senza ansia per il presente e il futuro, riaffermare la nostra sovranità e tornare ad essere Italia, un paese stupendo distrutto dall’Eurozona, come gli altri».Di Battista, aggiunge Betti, conosce benissimo il programma della Mmt, la “Modern Money Theory”, elaborato da Warren Mosler per far uscire l’Italia dall’incubo della crisi, puntando innanzitutto alla piena occupazione. Quella della Mmt «è una delle proposte più votate nel vostro portale», quello di Beppe Grillo, «ma stranamente non è mai stata presa in considerazione per l’inserimento nel vostro programma. Perchè?». Insiste Betti, nel suo appello a Di Battista: «Perchè non volete comprendere come l’euro distrugge l’Italia, ma vi trincerate dietro i discorsi da bar, “meno sprechi, no corruzione, debito pubblico brutto”? Così facendo voi indirizzate tutta l’attenzione su problematiche secondarie, non primarie, capisce?». Distrazione di massa. «Sappiamo che il vostro movimento è impegnato in una raccolta firme sul tema della permanenza dell’euro». Però nelle filippiche di Di Battista il tema-euro «non compare, non ve n’è traccia». Il campione grillino non utilizza la sua vasta platea per la giusta causa. Al contrario, «raccoglie la rabbia diffusa nel paese e la convoglia tutta verso l’obiettivo sbagliato: questo è gravissimo e non giustificabile. Sta trattando l’euro come un dettaglio, anzi meno». Pensaci, Di Battista. Tu e i tuoi colleghi. Decitedevi a dire finalmente la verità e ad afferrare il toro per le corna, «altrimenti non potrete fare nulla per risollevare le sorti dell’Italia, nemmeno se andrete al governo, e verrete inesorabilmente spazzati via dalla storia».Qualcuno spieghi ad Alessandro Di Battista che l’Italia non sta morendo di corruzione, né di evasione fiscale, né di mafia. L’Italia sta morendo di euro. Corruzione, evasione e mafia esistevano già prima, ma c’era lavoro per tutti. C’erano benessere, risparmi, economia, aziende. In una parola: c’era la lira sovrana, la moneta che lo Stato poteva “fabbricare dal nulla”, senza limiti. Oggi, lo Stato è in bolletta perché la moneta non ce l’ha più, la deve elemosinare a caro prezzo sui mercati finanziari e prelevare direttamente dai cittadini, sotto forma di tasse. Tragedia nella tragedia? In Parlamento, l’opposizione non se n’è ancora accorta. Lo scrive Giulio Betti in una lettera aperta a Di Battista, reduce da un retorico intervento sullo scandalo “Mafia Capitale”, completamente fuori bersaglio: «Quando in una scuola manca la carta igienica, pensate alla corruzione», raccomanda Di Battista. «Quando vostro figlio cerca lavoro in un call center in India, pensate alla corruzione. Quando manca un posto letto in ospedale, pensate alla corruzione. Quando vedete strade distrutte, mondezza dovunque, infrastrutture ferme da anni, pensate alla corruzione».