Archivio del Tag ‘potere’
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Sovragestione buia: Epstein sacrificato in nome della Rosa
La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.Dare in pasto al popolino in astinenza da rogo un singolo caso di un presunto colpevole, talvolta innocente, come fu in piccolo per il caso di Kevin Spacey, oppure, di un vero colpevole, in modo da fare distrazione di massa. La cosa importante è spostare i bersagli e l’attenzione in modo da non far percepire l’elefante in salotto, continuando ad aggiornare questo secolare sistema criminale, con il suo annesso mercato, mentre si fa credere alla massa dei sudditi che si combatte strenuamente il problema, che sia in corso addirittura una rivoluzione dei “buoni”, che interverrà la giustizia divina e sanerà tutto. E’ lo stesso semplice e basico meccanismo che avviene quando si fanno le guerre ai vertici delle mafie, che a loro volta fanno le loro guerre interne per il controllo del narcotraffico, facendo credere che si stia operando per il bene della comunità, quando invece si sacrifica il superfluo (morto un Papa…). Alcuni reparti dei servizi segreti, attigui soprattutto a una certa ala conservatrice americana, trasversale partiticamente, quelli che appunto gestiscono storicamente il narcotraffico, i colpi di Stato, il mercato di minori e la pedofilia, si sono inventati il vendicatore Q, fantomatico vendicatore degli oppressi che, curiosamente, colpisce solo una certa parte politica e determinati ambienti, salvandone altri.Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere, e la gente ci crede; una parte della controinformazione si affida a questo nuovo Zorro digitale 2.0, un po’ come nel film “V x Vendetta”, credendo di essere riscattata dall’oppressione dell’élite; invece, questo rappresenta il punto massimo della manipolazione che si presenta al grande pubblico con la maschera dei buoni. Epstein, il miliardario pedofilo arrestato e ucciso in carcere dallo stesso sistema di cui in piccolo faceva parte, come monito e ricatto a tutti gli altri attori coinvolti riguardo a cosa potrebbe succedere se qualcuno si esponesse malamente o rischiasse di svuotare il sacco per crisi di coscienza od opportunità, rientra in questo gioco. Sacrificato per evitare che altri parlino, ucciso perché non si sappia cosa c’è oltre al suo specifico caso giudiziario, per evitare che si vada oltre e si comprenda la vera natura sacrificale ed infernale della nostra realtà. Nessuna giustizia è stata fatta, anzi, il sistema si è parato il culo e ha fatto credere si trattasse della solita mela marcia da dare in pasto ai media e agli indignati di ogni dove, affinché le persone ingenuamente pensassero che l’autorità, lo status quo, li difende come un buon padre di famiglia è solito fare, rimuovendo, come nella sindrome di Stoccolma, il vero padre padrone pedofilo.Cambiare tutto per non cambiare nulla: Trump prova a colpire il Deep State per proteggersi dagli attacchi dei nemici e dal “fuoco amico”, c’è una guerra in atto fatta a suon di scandali sessuali; ma lo stesso Stato Parallelo lo controlla, nel senso che si aspetta proprio questo dal suo operato, essendo in qualche modo un suo prodotto o sottoprodotto. Il presidente Usa, essendo da sempre uomo di quel sistema, conoscendolo ed avendolo frequentato assiduamente in passato, ha piazzato trappole e uomini chiave in molte stanze dei bottoni, per salvarsi e difendersi dalle minacce di morte che riguardano la sua persona e anche i suoi figli. A sua volta, però, Trump è stato costretto, “convinto”, a scendere in campo, come successe in piccolo in Italia per Berlusconi, proprio perché è un prodotto di questo sistema, restituendo in questo modo favori all’entità, che sono stati parte della sua fortuna imprenditoriale. Tutti gli attori sono coinvolti loro malgrado nella stessa sceneggiatura; anche se talvolta se lo scordano o fingono di non saperlo, sono manipolabili dallo stesso network di potere.Esiste una sovrastruttura che attende in silenzio si “faccia un po’ di apparente pulizia”, tramite araldi come Trump, tramite inchieste come quella contro Epstein e altri personaggi, per aggiornare il sistema. Un po’ come per Mani Pulite, lo schema è identico; i giudici furono occultamente protetti e spinti nella loro opera di destrutturazione della 1° Repubblica dai servizi Usa, utilizzati come cavalli di Troia, strumentalmente per poter aggiornare il nostro sistema in termini più liberisti, creando i presupposti di una nuova Italia che rispondesse maggiormente ai bisogni della globalizzazione in atto. Una sovragestione “permette” si colpiscano alcuni attori, alcune comparse, alcuni più noti (per rendere credibile l’operazione), altri meno, 4 mosche in croce in una palude immensa di insetti, per cambiare alcuni vertici nelle posizioni chiave dello Stato Parallelo, per spostare in termini reazionari e sempre più antidemocratici il sistema e magari giustificare nuovi Patriot Act, leggi liberticide, implementare lo stato marziale, ove questo ancora non ci fosse.Tre sono i livelli di potere in campo. 1- Il primo livello è quello del backstage di certi poteri massonici che hanno favorito strumentalmente l’ascesa di Trump, proprio per cercare di produrre discontinuità positiva e costruttiva nel sistema, in modo da poter impostare in futuro nuove politiche keynesiane che ribaltino l’attuale paradigma neocon, ma che rischiano di aver creato un mostro che si ribella al proprio creatore e che potrebbe favorire, direttamente o indirettamente, la fazione dei poteri forti avversari. Una trappola rischiosa che, a mio avviso, si sta rivelando una fregatura. 2- Il secondo livello è quello che riguarda il Deep State, quello che controlla il traffico di bambini, la vendita illegale di organi, si occupa della gestione e delle controversie riguardo la guerra per il controllo del narcotraffico, produce conflitti e colpi di Stato, invisibili e meno invisibili, nel terzo mondo, e di cui spesso ignoriamo l’esistenza, con i relativi indotti bellici, ma anche come agenzia criminale di omicidi mediatici, politici, rituali; una sovragestione assolutamente apolitica, anche se, nel metodo, conservatrice e reazionaria.3- Infine, esiste un terzo livello che riguarda la sovragestione complessiva che “contiene” tutte le fazioni in campo e le guerre fratricide interne in atto, che permette possa accadere qualcosa, per poi raccoglierne i frutti. Questo processo occulto e magico servirà a favorire una trasformazione più dispotica e distopica dell’intera globalizzazione, colpendo il cuore delle democrazie mondiali, facendola accettare alla popolazione, attraverso i vari capri espiatori o pesci piccoli sbattuti in prima pagina, veicolandosi sistema buono e saggio dalla parte della gente. I social giocano un ruolo importante, ovvero: far credere ci sia un vero cambiamento, per far accettare nuove visioni totalitarie e incanalare il pensiero e la psicologia di massa verso altri lidi. L’avallo politico, energetico e religioso dei sudditi è fondamentale per la riuscita del progetto. L’accettazione dal basso di certe dinamiche è di primaria importanza. Ogni attore in campo lavora per il suo livello di appartenenza, spesso non conosce e non ha interesse a comprendere il progetto e la sua visione complessiva.Il 3° livello, che oltre ad essere incarnato da uomini, è anche un modello astratto e concettuale, potrebbe coincidere con tutto ciò che incarna lo schema del potere attuale e che, a mio modesto avviso, sta ben sopra le massonerie, le Ur-logge, le Corporation, l’apparato militare, i servizi segreti e ovviamente la politica, che conta poco più di zero. Vive come “idea del potere”, questa è la sua linfa vitale. Anche all’interno di questo livello di potere “arcontico” esistono scissioni dell’atomo infinite e contrapposizioni fratricide, perché esse fanno parte della natura di tutti gli esseri viventi. Questo permettere di scorgere gli scheletri nei vari armadi, di capire le contraddizioni e le dinamiche del potere al suo interno, e ci consente di sopravvivere in questo inferno. Quando non sarà più così, se un giorno mai ci sarà solo un grande vecchio al timone dell’arca – e la visione generale del progetto tende proprio a questo modello unico – saremo in pieno transumanesimo realizzato e potremo candidamente implodere. “Snowpiercer”, capolavoro del sud-coreano Bong Joon-ho, è un film che parla in termini metaforici di come la testa del serpente caldeggi e prepari il terreno per colui che lo sostituirà; con la sua morte favorirà una rinascita, nuova vita e nuova linfa allo schema del potere: quello che, in altri termini, chiamo “aggiornamento di sistema”.(“Epstein sacrificato in nome della Rosa”, post pubblicato il 29 agosto 2019 dal blog “Maestro di Dietrologia”, curato da Simone Galgano).La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.
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Sisci: prima la Brexit, il nostro futuro si deciderà a Londra
Il vero destino dell’Italia si deciderà a Londra, quando si capirà se funzionerà o meno la Hard Brexit di Boris Johnson, che intanto ha chiuso il Parlamento britannico per cinque settimane. Prima di allora, sostiene il sinologo Francesco Sisci, sarà arduo leggere il futuro politico italiano: Usa, Europa e Cina vogliono prima sapere come si metteranno le cose, tra il Regno Unito e Bruxelles. Finora, se si eccettuano le interferenze di Macron e le voci di un allentamento europeo dei vincoli di bilancio, l’impatto della politica estera sulla crisi italiana si è limitata al tweet di Donald Trump a sostegno di Giuseppe Conte, mentre Steve Bannon si è affrettato a dire che Trump non appoggerà mai il governo M5S-Pd. In realtà, sostiene Sisci, intervistato da Marco Tedesco sul “Sussidiario”, l’Italia è la variabile di una partita molto più grande, che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. E a decidere il risultato saranno le sorti della Brexit, dice Sisci, editorialista di “Asia Times”. Da qui dunque occorre partire. Il “no deal”, l’uscita della Gran Bretagna senza nessun accordo con l’Ue, «significa che la Hard Brexit può effettivamente essere il tentativo di una minoranza di imporre le proprie convinzioni alla maggioranza». Non a caso, è eplosa la protesta degli inglesi per la chiusura delle Camere.Comunque, spiega Sisci, alla Brexit si è arrivati per errore: David Cameron voleva solo rinegoziare, con Bruxelles, per trasformare il Regno Unito in un ponte europeo tra Usa e Cina. E come sappiamo, non ci è riuscito. La minaccia della Brexit, ricorda l’analista, è stata un’idea di Cameron per strappare più concessioni dall’Ue nel 2016. «Il piano di Cameron non era quello di uscire dall’Ue, ma di mostrare la consistenza, che si supponeva ingente ma non maggioritaria, dei pro-Brexit. Il referendum sarebbe fallito con un piccolo margine, e questo avrebbe dato a Cameron la possibilità di negoziare con Bruxelles da una posizione rafforzata». Un azzardo pericoloso, come si è visto. Ma perché rischiare? Qual era l’obiettivo? «Dietro c’era un altro piano, ammirevole per la sua ambizione e visione: trasformare la Gran Bretagna nel prossimo crocevia di scambi tra Stati Uniti, Ue e Cina. Per realizzarlo – spiega Sisci – Cameron aveva bisogno di ottenere più diritti speciali dall’Ue. Il Regno Unito avrebbe fatto da facilitatore su ogni lato del triangolo». Invece, il referendum del 23 giugno 2016 ha cambiato tutto.«Il piano è fallito miseramente, e non solo per il referendum. Un altro lato del triangolo è franato: i legami Usa-Cina stavano peggiorando. Nel 2016, l’America stava diventando molto nervosa con la Cina su questioni commerciali, ma anche strategiche e di diritti umani, e Donald Trump è arrivato al potere alla fine del 2016 giurando di rinegoziare il commercio con Pechino». Ma senza un risultato positivo sulla Brexit, riassume Tedesco sul “Sussidiario”, Londra non aveva più un ruolo speciale per discutere migliori accordi tra Cina, Ue e Stati Uniti. «L’ambizioso piano britannico aveva bisogno di rapporti scorrevoli su ogni lato dell’architettura di comunicazioni economico-commerciali tra Regno Unito, Ue, Stati Uniti e Cina», conferma Sisci. E quei rapporti «si erano ormai incrinati su più lati». Da quel momento in poi, continua l’analista, «la Gran Bretagna ha proseguito il suo progetto per uscire dall’Ue, ma senza un piano chiaro». E cioè: «Senza sapere molto bene cosa avrebbe ottenuto, lasciando l’Unione». Era tuttavia molto chiaro ciò che il Regno Unito, lasciando l’Ue, avrebbe perduto. E questo dilemma «ha provocato l’attuale, profonda spaccatura nella politica britannica».Molti parlamentari inglesi oggi «vorrebbero trovare un modo per uscire dal pasticcio, evitare la Brexit vera senza perdere troppo la faccia», aggiunge Sisci. «Johnson, evidentemente, lo percepisce e lo sa, e sente che l’unico modo per arrivare alla Brexit è aggirare il Parlamento». Ci riuscirà? «Non lo sappiamo. Ma questa decisione è un duro doppio colpo per l’architettura politica del Regno Unito e dell’Unione Europea». I due sistemi come accuseranno la botta? E cosa farà il resto del mondo? Finora è rimasto sconvolto davanti al duello commerciale tra Cina e Stati Uniti. In che modo il dramma britannico interferirà con esso? Alla luce di tiutto questo, continua Sisci, «si capisce bene perché gli Stati Uniti e l’Ue hanno visto con preoccupazione l’attuale crisi politica italiana, che stava conducendo il paese a caotiche elezioni anticipate: preferirebbero che l’Italia si stabilizzasse con una certa parvenza di governo, come lo è il nuovo governo di coalizione possibile tra M5S e Pd». Insomma, l’ultima cosa che gli Stati Uniti e l’Unione Europea volevano, mentre si trovavano di fronte al dramma britannico, era «impantanarsi in un incomprensibile complotto italiano con riverberi europei e globali», anche se Salvini rappresentava pur sempre, almeno virtualmente, una spina nel fianco del sistema di potere oligarchico che si ripara dietro l’Ue, imponendo il massimo rigore a paesi come l’Italia. E ora?«Sicuramente – ragiona Sisci – anche un euroscettico americano vede che la leadership franco-tedesca in Europa sarebbe rafforzata dall’uscita frenetica e indisciplinata della Gran Bretagna dall’Ue, e ciò rappresenterebbe un forte freno contro qualsiasi paese dell’Unione che aspettasse il momento giusto per lasciarla». In passato, gli Usa «sostenevano la Brexit per indebolire la Ue», e questo «è comprensibile», ma il caos britannico di questi giorni «nei fatti rafforza l’Unione», e ciò «pone gli Usa davanti a un bivio». Ovvero: «Se gli Stati Uniti guidassero una qualche forma di riconciliazione tra Regno Unito e Ue, Washington dimostrerebbe a Bruxelles che ancora una volta l’Unione Europea ha bisogno dell’America e che gli europei da soli non sanno badare a se stessi». Per Sisci, «potrebbe essere un’occasione d’oro per Trump di riscattare un importante punto d’appoggio politico in Europa». E se invece gli Stati Uniti sosterranno la Hard Brexit, che oggi forse è una posizione minoritaria nel Regno Unito? Una simile scelta «potrebbe minare ulteriormente il ruolo americano nel vecchio continente». E questo, avverte Sisci, «a sua volta potrebbe avere conseguenze enormi anche con la Cina, poiché Pechino potrebbe vedere una debolezza degli Stati Uniti in Europa e forse trarne vantaggio». Dopotutto, la “Belt and Road Initiative” termina in Europa.E in questo contesto terremotato, che potrebbe accrescere l’egemonia Usa sull’Europa, che fine farà l’Italia? «Con i suoi intrighi incomprensibili», il Belpaese «non deve rompere le scatole». E’ meglio che si rassegni a «fare la legge di bilancio». Poi «se ne riparla a fine anno o all’inizio del 2020, quando la questione Brexit si sarà chiarita». Il tweet di Trump come endorsement a Conte? «E’ chiaro che c’è un interesse americano e franco-tedesco a non avere i pasticci italiani fra i piedi», afferma Sisci, secondo cui non c’è un vero sostegno per Conte. Semmai c’è una debolezza di Salvini, «che non si è reso conto di come certe sue azioni e agende “sovraniste” andassero contro interessi molto generali, in Europa e oltre Atlantico». In questa fase, aggiunge l’analista, gli Stati Uniti e l’Ue vedono Pd e 5 Stelle come l’ultimo dei problemi: «In questo momento, il mondo non vuole dall’Italia controversie incomprensibili». Se però il Pd rappresenta il vecchio establishment europeista, anti-italiano e dunque “affidabile” per i dominatori di Bruxelles, la stampa internazionale appare molto confusa sui 5 Stelle: «È concorde solo nel vederne la debolezza intellettuale e progettuale». E comunque, attenzione: «Ricordiamoci che l’obiettivo era non avere elezioni e una crisi politica italiana in coincidenza con la Hard Brexit».Il vero destino dell’Italia si deciderà a Londra, quando si capirà se funzionerà o meno la Hard Brexit di Boris Johnson, che intanto ha chiuso il Parlamento britannico per cinque settimane. Prima di allora, sostiene il sinologo Francesco Sisci, sarà arduo leggere il futuro politico italiano: Usa, Europa e Cina vogliono prima sapere come si metteranno le cose, tra il Regno Unito e Bruxelles. Finora, se si eccettuano le interferenze di Macron e le voci di un allentamento europeo dei vincoli di bilancio, l’impatto della politica estera sulla crisi italiana si è limitata al tweet di Donald Trump a sostegno di Giuseppe Conte, mentre Steve Bannon si è affrettato a dire che Trump non appoggerà mai il governo M5S-Pd. In realtà, sostiene Sisci, intervistato da Marco Tedesco sul “Sussidiario”, l’Italia è la variabile di una partita molto più grande, che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. E a decidere il risultato saranno le sorti della Brexit, dice Sisci, editorialista di “Asia Times”. Da qui dunque occorre partire. Il “no deal”, l’uscita della Gran Bretagna senza nessun accordo con l’Ue, «significa che la Hard Brexit può effettivamente essere il tentativo di una minoranza di imporre le proprie convinzioni alla maggioranza». Non a caso, è esplosa la protesta degli inglesi per la chiusura delle Camere.
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Giulietto Chiesa: incombe una rivoluzione, come attuarla?
Da tempo ho capito che quello che si sogna è quello che si spera, ma che in politica non si deve sognare. Siamo di fronte a un popolo confuso e inquieto, da troppo tempo sballottato e insultato, che ha perduto anche le sue speranze. Un popolo che non ha gli strumenti per capire, senza guida. Nemmeno quella della propria coscienza, perché anche la sua coscienza è stata corrotta. Perché – come ha scritto Antonio Scurati nel suo davvero memorabile “M” – sono troppi i nostri contemporanei ad essere «sopraffatti da un’esistenza che non capiscono». Dunque occorre prudenza per giudicare un popolo, grande di numero, e per proporsi di aiutarlo a discernere il bene dal male. È vero, verissimo, che non c’è una guida, un partito, un movimento che lo guidi e lo difenda, questo nostro popolo. Ma la constatazione porta con sé la domanda: come si fa a creare questa guida? E l’altra domanda: è ancora possibile? Questo è il punto. La mia risposta, personale, è che sia ancora possibile. Ma richiede quella che Antonio Gramsci individuava come una necessità imprescindibile: una profonda «riforma intellettuale e morale» del nostro paese. È un compito da far tremare le vene ai polsi, perché richiede uomini nuovi, intrepidi, competenti e saggi, che non vedo all’orizzonte.Quindi il primo compito, per chi ragiona come me, è quello di individuarli, censirli, convincerli a camminare insieme: perché solo in questo modo si potrà creare una massa critica sufficiente a rovesciare il corso delle cose. Queste donne e uomini ci sono; non sono numerosissimi, ma ci sono. Sono in gran parte isolati e fuori dalla politica (e sono tali proprio perché la politica attuale li esclude e li isola, temendoli). Il fatto più serio, tuttavia, è che non c’è ormai quasi nulla che possa unirli. Non c’è una visione comune della crisi epocale in cui viviamo. Che non è “italiana”, né “europea” soltanto. È mondiale, è globale, è universale. Per essere compresa richiede nuovi paradigmi, visto che quelli vecchi sono ormai inutilizzabili. Il mondo brucia e il tempo stringe. Dunque quello che manca è una comune interpretazione della crisi, che è crisi dell’Uomo e della sua collocazione nell’Universo. È questo quello che manca e che, a mio avviso dev’essere costruito. Non ri-costruito, ma proprio costruito. Senza questo passaggio non ci può essere alcun movimento o partito capace di avviare la trasformazione. Si resterà divisi, ciascuno a contemplare il proprio tassello di sapere. Che, in quanto tale, sarà inutile.È una rivoluzione quella che incombe. Senza una teoria, non sarà possibile compierla. Altrimenti essa non sarà certamente guidata dall’Uomo, perché sarà immensamente più vasta e potente di lui. All’uomo resterà il compito di comprenderla, se ne sarà capace, e di adattarvisi, se vuole sopravvivere. Ecco perché ci vuole adesso molta pazienza e umiltà, per cominciare a costruire quello che manca. La politica farà il suo corso miope e superficiale, ma non potrà affrontare quello che incombe. Ecco perché non credo alla fretta, alle fughe in avanti, alle speranze senza fondamento, a una palingenesi rapida e indolore. Penso che l’impatto con forze enormi, che l’Uomo ha evocato irresponsabilmente, provocherà dolori immensi e aiuterà a temprare gli spiriti molli che questa società umana ha lasciato putrefare. Il che significa rimboccarsi le maniche e mettere ordine nelle nostre idee, prima di tutto. Solo dall’ordine, dalla saggezza e dalla solidarietà tra sapienti e popolo può venire il riscatto.(Giulietto Chiesa, estratto del post “E’ una rivoluzione quella che incombe. Senza una teoria, non sarà possibile compierla”, pubblicato su “Megachip” il 1° settembre 2019. Il testo integrale, in risposta a una lettera di Enrico Sanna, si apre con una citazione biblica dal Libro dei Re: “Concedi al tuo servo un cuore prudente, capace di giudicare il tuo popolo innumerevole e discernere il bene dal male”).Da tempo ho capito che quello che si sogna è quello che si spera, ma che in politica non si deve sognare. Siamo di fronte a un popolo confuso e inquieto, da troppo tempo sballottato e insultato, che ha perduto anche le sue speranze. Un popolo che non ha gli strumenti per capire, senza guida. Nemmeno quella della propria coscienza, perché anche la sua coscienza è stata corrotta. Perché – come ha scritto Antonio Scurati nel suo davvero memorabile “M” – sono troppi i nostri contemporanei ad essere «sopraffatti da un’esistenza che non capiscono». Dunque occorre prudenza per giudicare un popolo, grande di numero, e per proporsi di aiutarlo a discernere il bene dal male. È vero, verissimo, che non c’è una guida, un partito, un movimento che lo guidi e lo difenda, questo nostro popolo. Ma la constatazione porta con sé la domanda: come si fa a creare questa guida? E l’altra domanda: è ancora possibile? Questo è il punto. La mia risposta, personale, è che sia ancora possibile. Ma richiede quella che Antonio Gramsci individuava come una necessità imprescindibile: una profonda «riforma intellettuale e morale» del nostro paese. È un compito da far tremare le vene ai polsi, perché richiede uomini nuovi, intrepidi, competenti e saggi, che non vedo all’orizzonte.
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Mangia: i veri padroni a cui risponde “l’avvocato del popolo”
La formazione di un governo è dipesa per 75 minuti dall’annuncio dell’esito di un sondaggio gestito da una società privata; il partito che per 18 mesi si è fatto paladino delle democrazia rappresentativa, e che in questi giorni ha ricordato a tutti le regole della democrazia parlamentare, voterà a breve la riduzione dei parlamentari; e ormai la Lega, pur di mettere in luce quel che è successo, cita Mortati e la presunzione di consonanza tra Parlamento e corpo elettorale. E’ roba che è morta e sepolta da quando Mattarella ha annunciato in televisione l’esistenza di una pregiudiziale europea, per cui non può fare il ministro chi, nella sua vita precedente, abbia mai criticato l’Unione Europea. Davvero ha ragione Mario Esposito a dire che ormai l’Ue fa parte della forma di governo italiana. È che se ne sono accorti in pochi, anche se è sotto gli occhi di tutti. Bisognerà, prima o poi, fare una riflessione sul ruolo della presidenza della Repubblica, e su cosa è diventata. La vera ragion d’essere di questo governo è anestetizzare per un po’ la situazione italiana, dopo le preoccupazioni che l’Italia aveva destato in una fase pessima per gli equilibri politici del continente. Altro che Iva da stornare e riduzione del cuneo fiscale da realizzare. Quella è roba, diciamo così, per il mercato elettorale interno.Finché si potrà, si cercherà di puntellare dall’esterno un governo che serve a tenere a bada una provincia dell’Impero dove covano germi di ribellione. E si sa che il partito delle molte Legion d’Onore – e cioè il Pd – è sempre disponibile per queste operazioni. Gli dà una mano il M5S, che adesso si è scoperto decisamente europeista, dopo aver consentito il nascere della Commissione von der Leyen. Chissà perché non hanno chiesto un parere a Rousseau anche su questo, visto che è stato il vero passaggio di rottura. D’altronde, Lega e 5 Stelle avevano già fatto una campagna elettorale ad insultarsi a vicenda mentre stavano al governo: era normale che questo dovesse avvenire. E non si è capito che Salvini le elezioni le aveva vinte in Italia, ma in Europa le aveva perse. E anche male. Era solo questione di tempo perché si spaccasse l’accordo. La durata di questo governo dipenderà dall’esterno, come è avvenuto per il precedente, che è caduto sulla politica estera. Kissinger vedeva nella dimensione imperiale la forma politica naturale per l’Europa. I fatti gli stanno dando ragione. Perché per un impero ad importare è il centro, mentre i confini sono secondari: possono espandersi o contrarsi, ma l’importante è che tenga il centro.Secondo me gli ideatori del format elettorale che va sotto il nome di 5 Stelle non si sono resi conto che l’“avvocato del popolo”, che era stato reclutato come un “professionista a contratto”, gli ha sfilato il giocattolo. E il momento in cui questo è avvenuto è stato al momento del voto sulla presidenza della Commissione Europea. È chiaro che i 5 Stelle cercavano una legittimazione a livello europeo dopo essere stati tenuti fuori da tutto fin dal loro ingresso a Strasburgo. E la loro occasione è stata quella di fornire 14 voti ad una Commissione che è entrata in carica per 9 voti. A quel punto la crisi d’agosto ha prodotto un’accelerazione. E Conte, che aveva già lavorato con un pezzo di governo che rispondeva al Quirinale per accreditarsi in Europa, si è trovato investito di un ruolo di statista che gli è stato concesso in tutta fretta per evitare i problemi che avrebbe potuto dare una crisi italiana in una fase in cui Brexit, recessione tedesca e guerra commerciale sono tutti punti interrogativi. Conte riceverà la fiducia da un gruppo parlamentare, il Pd, che non risponde alla sua segreteria, e da un altro gruppo parlamentare che fino a una settimana fa vedeva in Di Maio il leader politico e in Conte un mediatore tecnico.Il punto è che l’investitura rapidissima e simultanea, e su tutti i media mondiali, di Conte da parte di Merkel, Macron, Trump, Juncker, Bill Gates, Oettinger, Moscovici, Elvis Presley e Walt Disney pone un problema allo stesso Movimento. Adesso Conte a chi risponde?Bisogna domandarselo. Risponde al Pd, verso il quale ha rivolto in questi giorni parole di vecchio simpatizzante? Alla Casaleggio e Associati? A chi, con immenso candore, l’ha definito il “nuovo Tsipras” (Jean-Claude Juncker) ed eletto al ruolo di statista mondiale da “burattino” che era? O risponde fondamentalmente a se stesso, come ogni professionista che si rispetti? Se Di Maio fosse rientrato a Palazzo Chigi come vicepremier avrebbe avuto la possibilità di controllare il suo ex “professionista a contratto” e ritagliare un ruolo a quel che resta del Movimento. Se va a fare il ministro e basta, tutto si fa più confuso e provvisorio. Cosa direbbe, Kissinger, di questa situazione? Direbbe la verità. E cioè che in fondo Casaleggio, Conte e via dicendo sono dei parvenu dell’ordine mondiale. E che Conte sia stato, per il momento, cooptato per tenere buono un paese fastidioso, non vuol dire che lo sia anche il gruppo formatosi attorno alla Casaleggio e Associati, con i suoi progetti di democrazia cibernetica fatta in casa con il forno a legna.(Alessandro Mangia, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “I veri poteri a cui risponde l’avvocato del popolo”, pubblicato dal “Sussidiario” il 4 settembre 2019. Il professor Mangia è ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano).La formazione di un governo è dipesa per 75 minuti dall’annuncio dell’esito di un sondaggio gestito da una società privata; il partito che per 18 mesi si è fatto paladino delle democrazia rappresentativa, e che in questi giorni ha ricordato a tutti le regole della democrazia parlamentare, voterà a breve la riduzione dei parlamentari; e ormai la Lega, pur di mettere in luce quel che è successo, cita Mortati e la presunzione di consonanza tra Parlamento e corpo elettorale. E’ roba che è morta e sepolta da quando Mattarella ha annunciato in televisione l’esistenza di una pregiudiziale europea, per cui non può fare il ministro chi, nella sua vita precedente, abbia mai criticato l’Unione Europea. Davvero ha ragione Mario Esposito a dire che ormai l’Ue fa parte della forma di governo italiana. È che se ne sono accorti in pochi, anche se è sotto gli occhi di tutti. Bisognerà, prima o poi, fare una riflessione sul ruolo della presidenza della Repubblica, e su cosa è diventata. La vera ragion d’essere di questo governo è anestetizzare per un po’ la situazione italiana, dopo le preoccupazioni che l’Italia aveva destato in una fase pessima per gli equilibri politici del continente. Altro che Iva da stornare e riduzione del cuneo fiscale da realizzare. Quella è roba, diciamo così, per il mercato elettorale interno.
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Menti raffinatissime: i poteri a cui Grillo ora svende l’Italia
“Fare la storia, cambiare l’Italia: occasione irripetibile”. Ogni volta che parte la supercazzola di Beppe Grillo, ci siamo: sta per succedere qualcosa di orrendo. Il segnale: basta che il padrone del Movimento 5 Stelle si metta a parlare come un rivoluzionario dei cartoni animati. Caricatura di se stesso solo in apparenza, l’infido Grillo: è il servitore decisivo del potere europeo, l’unico capace di ripristinare la totale sottomissione del Belpaese. Dopo l’ambigua e velleitaria sbornia gialloverde, che aveva illuso la Lega (e gli italiani) che le regole potessero davvero cambiare, è intervenuto l’uomo del Britannia: è stato l’ex comico a dare il via libera alla “soluzione finale”. Senza il suo intervento padronale, i valletti grillini – pur traumatizzati dall’incubo delle elezioni anticipate – non ce l’avrebbero fatta, a calare le brache fino al punto di arrendersi all’odiato Matteo Renzi, decretando in questo modo la morte politica del Movimento 5 Stelle. L’indecorosa trattativa è stata affidata a manovali recalcitranti come Di Maio e Zingaretti, che hanno finto di prendere sul serio l’imbarazzante prestanome Giuseppe Conte. Ma è evidente che a decidere è stato il Giglio Magico, che ha colto al volo l’assist – decisivo – del Mago di Genova.
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Pagliacciocrazia: la miseria morale di chi tradisce il popolo
Provate a togliere il sonoro alla crisi e a guardare con distacco a quel che sta succedendo: due partiti che fino a ieri si disprezzavano pubblicamente si incontrano sul nulla, cioè sull’avvocato Giuseppe Conte, e danno luogo a un rovesciamento totale di alleanze e di indirizzi. Lasciamo da parte i giudizi soliti che si sentono in questi giorni e arriviamo perfino ad accogliere due obiezioni: 1) Anche l’alleanza tra grillini e leghisti non scaturì dalle urne e la loro alleanza non fu prima presentata al giudizio degli elettori; 2) Siamo in una democrazia parlamentare e finché sussistono i numeri in Parlamento per esprimere un’altra maggioranza, non possono essere i sondaggi o altre votazioni, come quella europea, a decretare l’obbligatorietà di tornare alle urne. Diciamo che dovrebbe essere una scelta di buon senso e di rispetto della sovranità popolare, ma formalmente non c’è alcun obbligo a farci votare. E allora cosa suscita disgusto? Due cose, anzi tre. Innanzitutto, è la quarta volta che la sinistra si accinge ad andare al governo, senza peraltro aver mai lasciato il potere, e ad arrivarci senza passare dal voto, con un’indicazione popolare. La quarta volta dopo Letta, Renzi e Gentiloni.Una volta può accadere, due magari con qualche forzatura si può capire, ma se accade sistematicamente vuol dire che la sinistra in Italia è una cupola che non può essere rimossa dal potere e chiunque cerchi di farlo è per definizione un delinquente, sottoposto a processo mediatico-giudiziario e additato al pubblico disprezzo. La seconda cosa è che non c’è nessun perno programmatico che unisca le due forze in via di allearsi, ma solo la comune preoccupazione di non andare al voto e di mettere fuori gioco il leader fino a oggi acclamato a furor di popolo. Non c’è un orizzonte di programma comune, non c’è un punto essenziale. L’alleanza Lega-grillini era anch’essa tra due soggetti molto diversi ma una linea in comune ce l’avevano: erano definiti entrambi populisti, erano contro l’establishment e critici ambedue verso i diktat europei. Era già qualcosa; poi differivano, e tanto, le visioni del mondo (o del web, per i grillini). Adesso è ridicolo pensare che il Pd diventi populista e anti-establishment, ed è raccapricciante vedere che il partito più antisistema abbia scelto un democristiano duttile, multitasking e paraculista come Conte a farsi rappresentare e ad allearsi col partito-sistema, il partito-apparato, previo bacio della pantofola all’Unione Europea col voto a Ursula.Penosa l’assenza di contenuti e la fame assoluta di contenitori. Ma superate queste due riserve contingenti, c’è uno spettacolo di fondo che avvilisce e indigna al tempo stesso. È la riedizione, a un gradino ancora più basso, della storica miseria delle classi di potere in Italia. Non sono classi dirigenti, e non sono neanche classi dominanti come le fustigava Antonio Gramsci: perché i dominatori almeno hanno qualche vaga responsabilità di comando rispetto al popolo. No, queste sono classi sovrastanti, che cioè stanno sopra la gente e non vogliono scendere al piano terra, prescindono dal popolo; e anche quando l’ultimo masaniello arriva, sbucato dal nulla (espressione che oltre Conte evoca Fico, Di Maio, a’ Raggi e compagnia cantante), sono pronti a ogni compromesso pur di restare aggrappati a quel piano. La sinistra è per sua essenza ormai da anni quella delle terrazze e dei piani alti, è al potere, e appena qualcuno vuole aprire la porta per farli scendere, si barricano e gridano al nazista di turno, al delinquente in arrivo e al razzismo montante. Ma lo spettacolo è antico e ciclico. E mostra la vigliaccheria, l’egoismo furbetto, la misera morale e intellettuale del ceto sovrastante.Avevo rispetto per la vecchia sinistra comunista, avevo rispetto per chi nutriva ideali e passioni di giustizia sociale, rappresentava la classe operaia e il proletariato. Ma che considerazione si può avere di questa roba qui, dei loro moventi, delle loro scelte, dei loro anatemi e dei loro compromessi? L’unico ideale che riescono a esprimere è in negativo, antinazionale, antifamigliare, antitradizionale. Sono solo un fenomeno dissolutivo, sono il partito del suicidio d’Italia, dell’eutanasia di civiltà cristiana e di chi da fuori e da dentro ne mira la coesione, l’identità, il senso comunitario. L’unico punto in comune che unisce i promessi sposi, ma che non è estraneo nemmeno alla Lega e al centro-destra, è la demeritocrazia trionfante: ovvero gli ultimi saranno i primi, ma in un senso non propriamente evangelico. L’ultimo arrivato fa il premier, gli ultimi scappati di casa, senz’arte né parte, diventano ministri, le scadenti retrovie di quel che era la sinistra diventano i leader e ministri.È questo l’eterno tradimento delle classi di potere in Italia, che spiega i ritardi secolari della nostra unificazione, il servilismo come stile e come sottomissione allo straniero di turno, al potente in alto e al migrante in basso; la massima goldoniana che se la casa brucia non spengo l’incendio ma voglio scaldarmi un po’ anch’io (cioè trarre profitto dallo sfascio); e poi l’antico, pezzente trasformismo per restare a galla, l’astuzia di servire due padroni per barcamenarsi e tirare sul prezzo, la perdita di ogni residua dignità. Questa è la miseria degli ultimi giorni. Non credo affatto che il nostro popolo sia meglio dei potenti, ma penso che i potenti riescano a essere peggio del loro popolo e a costituire un esempio, un modello di riferimento per la gente a seguire standard morali e civili ancora più scadenti di quelli già in uso. Eccola, l’alleanza dei Quaquaraquà. Coi gialloverdi era al penultimo stadio, ora siamo allo stadio finale: è la pagliacciocrazia.(Marcello Veneziani, “Pagliacciocrazia”, da “La Verità” del 29 agosto 2019: articolo ripreso dal blog di Veneziani).Provate a togliere il sonoro alla crisi e a guardare con distacco a quel che sta succedendo: due partiti che fino a ieri si disprezzavano pubblicamente si incontrano sul nulla, cioè sull’avvocato Giuseppe Conte, e danno luogo a un rovesciamento totale di alleanze e di indirizzi. Lasciamo da parte i giudizi soliti che si sentono in questi giorni e arriviamo perfino ad accogliere due obiezioni: 1) Anche l’alleanza tra grillini e leghisti non scaturì dalle urne e la loro alleanza non fu prima presentata al giudizio degli elettori; 2) Siamo in una democrazia parlamentare e finché sussistono i numeri in Parlamento per esprimere un’altra maggioranza, non possono essere i sondaggi o altre votazioni, come quella europea, a decretare l’obbligatorietà di tornare alle urne. Diciamo che dovrebbe essere una scelta di buon senso e di rispetto della sovranità popolare, ma formalmente non c’è alcun obbligo a farci votare. E allora cosa suscita disgusto? Due cose, anzi tre. Innanzitutto, è la quarta volta che la sinistra si accinge ad andare al governo, senza peraltro aver mai lasciato il potere, e ad arrivarci senza passare dal voto, con un’indicazione popolare. La quarta volta dopo Letta, Renzi e Gentiloni.
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Franceschetti: Salvini e il Conte-bis, tra Gurdjieff e le stelle
Salvini che baciava il rosario, nei comizi per le europee, già sapendo che il vero potere stava cercando di stritolarlo, facendo collassare l’ambiguo e tiepido governo gialloverde? «Difficile capire cosa stupisce, con questo Conte-bis», premette l’avvocato Paolo Franceschetti, solitario indagatore di tanti misteri italiani. Dal 1947 ad oggi – scrive, sul blog “Petali di Loto” – l’Italia ha sempre avuto governi deboli: «Erano una sorta di armata Brancaleone, che per governare richiedeva improbabili alleanze», coalizioni instabili che infatti «si sfaldavano dopo qualche mese», pur restando in ogni caso fedeli alla rigida “agenda” imposta dal potere superiore, sovrastante il perimetro nazionale. «Il governo più lungo del nostro paese è stato quello di Berlusconi, nato con l’alleanza della Lega, che tramite il suo leader di allora, Bossi, aveva dichiarato: “Mai più con la porcilaia fascista”». Oggi, constata Franceschetti, si ripete lo stesso copione di sempre: «Ovvio che questa maggioranza durerà poco e sarà piena di dissidi interni che indeboliranno ulteriormente sia il 5S che il Pd. E qualora si andasse a future elezioni, Salvini sarà ancora più forte e probabilmente stravincerà ovunque. A meno che, ovviamente, non si faccia un nuovo governo tecnico, dato che anche questa è una consuetudine della nostra politica».Franschetti allarga lo sguardo oltre l’autismo mediatico nazionale: «Mentre noi discutiamo con modalità sempre identiche di quello che succede in politica, il mondo va sempre uguale. La Cina (di cui non parla nessuno) continua a comprare pezzi di Italia. I bambini continuano a sparire nel nulla. La magistratura continua a condannare piccoli spacciatori e stalker, e non fa nulla contro i reati più gravi, quelli contro l’economia e l’ambiente». Motivo? «Non serve cambiare qualche poltrona politica, se centinaia di migliaia di politici, amministratori, burocrati, magistrati e poliziotti sono sempre gli stessi, e hanno quasi tutti gli stessi comportamenti, salvo alcune mosche bianche, prontamente sostituite e messe da parte, boicottate e osteggiate, da decenni se non da secoli». Spettacolo sconfortante: «Leggendo le cronache dell’antica Roma vedo gli stessi meccanismi di oggi», puntualmente riproposti anche «dalle cronache del medioevo». Nel libro “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, l’esoterista greco-armeno Georges Ivanovič Gurdjieff, poi stabilitosi in Francia, parla del conflitto allora in corso, la Prima Guerra Mondiale. In proposito, rileva Franceschetti, Gurdjieff dice una cosa che è sempre valida per ogni momento storico: «Le masse si comportano in modo sempre identico, e non c’è possibilità per loro di agire diversamente».«L’uomo è una macchina», afferma Gurdjieff: «Tutto quello che fa, tutte le sue azioni, parole, pensieri, sentimenti, convinzioni, opinioni, abitudini, sono i risultati di influenze esteriori e impressioni esteriori». Si può fermare la guerra? L’autore della domanda è l’allievo Piotr Demianovič Ouspenski, poi redattore del libro. «No, non si può», risponde il maestro: «La guerra è un risultato di influenze planetarie, e l’uomo reagisce meccanicamente ad esse». Aggiunge: «L’unica via di uscita da queste situazioni è la via spirituale». Secondo Franceschetti, «questo concetto può applicarsi a qualunque evento della storia umana, ed è uno dei motivi – racconta – per cui, di recente, il mio interesse principale va all’astrologia». Prima di approdare allo studio della disciplina astrologica, Franceschetti si era distinto nell’indagine sul fenomeno, patrticolarmente inquietante, dei cosiddetti “delitti rituali”, al quale non sarebbe estranea la cerchia più esclusiva di importanti settori del potere. Simboli, magia e religione. Messaggi in codice: come l’incendio che a Parigi ha devastato la cattedrale di Notre-Dame, storico simbolo – templare – del “divino femminile”, ha spiegato sempre Franceschetti: «Non a caso, Notre-Dame non è dedicata alla Madonna, ma alla Maddalena».Proprio a Maria di Magdala – vera e propria super-discepola del futuro messia cristiano, secondo le fonti letterarie dei primi secoli – si è riferito recentemente Gioele Magaldi, nel sottolineare aspetti che il cattolicesimo ha messo in ombra, ma che emergono ad esempio da svariati Vangeli considerati apocrifi. Nella stessa occasione, una diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – Magaldi ha sottolineato come stranezza probabilmente “rivelatrice” i ripetuti accenni di Matteo Salvini alla Madonna, nell’ambito del ripetuto ricorso politico ai simboli religiosi, da più parti giudicato stucchevole e inaccettabile. Vieta superstizione, abuso della credulità popolare? O anche segnali in codice, dietro l’uso improprio della fede religiosa? E’ noto che il governo gialloverde è stato sabotato e abbattuto, infine, da Emmanuel Macron, sia pure con la complicità di Giuseppe Conte, Beppe Grillo, Matteo Renzi e l’oligarchia massonica europea più reazionaria. Meno note sono le accuse rivolte proprio a Macron proprio sul rogo di Notre-Dame: l’incendio del tetto della cattedrale, simbolo del templarismo “progressista”, starebbe a indicare l’inizio di una “guerra sporca”, sotterranea ma non troppo, contro chiunque si batta, in sede politica, per il ripristino della sovranità democratica. Sul tema, Franceschetti non mancherà di elaborare precise analisi, fondate sullo studio dei simboli che costellano determinanti eventi. E magari anche della relativa mappatura “zodiacale”, ora che l’autore del saggio “Alla ricerca di Dio, dalla religione ai maestri contemporanei”, ha inziato a occuparsi dello studio sistematico dell’astrologia.Salvini che baciava il rosario, nei comizi per le europee, già sapendo che il vero potere stava cercando di stritolarlo, facendo collassare l’ambiguo e tiepido governo gialloverde? «Difficile capire cosa stupisce, con questo Conte-bis», premette l’avvocato Paolo Franceschetti, solitario indagatore di tanti misteri italiani. Dal 1947 ad oggi – scrive, sul blog “Petali di Loto” – l’Italia ha sempre avuto governi deboli: «Erano una sorta di armata Brancaleone, che per governare richiedeva improbabili alleanze», coalizioni instabili che infatti «si sfaldavano dopo qualche mese», pur restando in ogni caso fedeli alla rigida “agenda” imposta dal potere superiore, sovrastante il perimetro nazionale. «Il governo più lungo del nostro paese è stato quello di Berlusconi, nato con l’alleanza della Lega, che tramite il suo leader di allora, Bossi, aveva dichiarato: “Mai più con la porcilaia fascista”». Oggi, constata Franceschetti, si ripete lo stesso copione di sempre: «Ovvio che questa maggioranza durerà poco e sarà piena di dissidi interni che indeboliranno ulteriormente sia il 5S che il Pd. E qualora si andasse a future elezioni, Salvini sarà ancora più forte e probabilmente stravincerà ovunque. A meno che, ovviamente, non si faccia un nuovo governo tecnico, dato che anche questa è una consuetudine della nostra politica».
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Le fiabe di Don Marco (Travaglio) per incantare Rousseau
Si prova quasi tenerezza di fronte all’ingenuità delle frottole sciorinate da Marco Travaglio nel tentativo di orientare il voto della cosiddetta “base grillina” sulla fantomatica piattaforma Rousseau. Un tempo icona del giornalismo “con la schiena diritta”, celebrato nel santuario televisivo del collega Michele Santoro, il giustizialista Travaglio rimediò una tiepida figura nel 2013, quando l’Orribile Cavaliere – spintosi nella tana dei leoni – se la cavò benissimo di fronte alle domanducce dell’inquistore del “Fatto”. Ora, seppellito nonno Silvio, Travaglio ha semplicemente sostituito il Nemico. Il nuovo Uomo Nero, va da sé, si chiama Matteo Salvini. Pregustando il delitto eccellente, Travaglio riesce a digerire di tutto: dall’indecente grillismo “di lotta e di governo”, che ha fatto ridere l’Italia, all’eroico Renzi, riabilitato a tempo di record come geniale stratega. «Non avendo mai avuto tessere – pigola Travaglio, lindo come un giglio – non ho il problema del voto su Rousseau. Ma – aggiunge – se fossi iscritto, non avrei dubbi sul Sì al Conte-2». Nobile, il Cavaliere della Giustizia: il giornalista più sfacciatamente politico d’Italia non si sporca con la politica, ci mancherebbe; ma in questo caso si può ben fare un’eccezione. Ed ecco allora, sul “Fatto”, i dieci motivi per votare Sì al “governo dei prestanome”.Primo: i 5 Stelle (anche se non lo sanno) nacquero come «coscienza critica del centrosinistra». Nel 2007, scrive Travaglio, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio «sfidarono il Pd a opporsi davvero al berlusco-leghismo e a cambiare registro, cancellando le leggi-vergogna e sposando legalità e ambiente». Le loro proposte le portarono a Prodi, non a Berlusoni e Bossi. «E Grillo si iscrisse al Pd per candidarsi alle primarie, non a FI o alla Lega». Vero: quello che gli interessava, infatti, era sfasciare subito il neonato partito di Veltroni, Fassino e D’Alema, che infatti lo mandarono a stendere. «Ora, 12 anni dopo, il Pd cambia idea e tende la mano. Grillo l’ha subito afferrata. Perché i 5 Stelle dovrebbero respingerla?». E certo, sarebbe un peccato. L’oligarca Grillo, peraltro, non ha solo “teso la mano” al nemico storico: ha anche gambizzato Di Maio e imposto il suo potere monarchico ai sudditi, i parlamentari terrorizzati dalle elezioni anticipate. Ma queste sono quisquilie, per Marco Travaglio, che preferisce sfoderare il violino per dedicare una bella serenata ai votanti di Rousseau. «Il programma del Conte-2 include le bandiere storiche M5S», che diamine. Infatti: «Alt a nuovi inceneritori e trivelle, revisione delle concessioni autostradali, infrastrutture eco-compatibili, investimenti in green economy, riforma Bonafede della giustizia, pene più alte agli evasori, salario minimo, taglia-parlamentari. Bandiere stracciate da Salvini e accettate dal Pd. Perché dire No a se stessi e alla propria storia?».Qui Travaglio tocca il culmine della comicità involontaria. Si è già dimenticato delle altre “bandiere storiche” dell’armata grillina? Trivelle e Tap, Ilva e Tav, vaccini, Muos, F-35. Tutte “stracciate da Salvini”? Ridicolo. Ma il travaglismo “prestato alla politica” non si ferma qui: «Conte può restare premier solo con il governo M5S-centrosinistra. E merita di restarci». Ma certo: altrimenti come farebbero a brindare, gli amiconi dell’Italia? Sono già pronti col calice in mano: Macron e Merkel, il maxi-criminale Juncker (recordman dell’elusione fiscale in Lussemburgo ai danni del Belpaese), e perfino quel simpaticone di Günther Oettinger, quello che “saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare”. Vogliamo deluderli, tutti questi Conte-Boys? Ma non si esaurisce qui, la predica di Don Marco: «Salvini e B. vedono il governo giallo-rosa come il fumo negli occhi: due ottime ragioni per farglielo trovare subito». Buona, questa: lo sanno anche i sassi, che Salvini si sta fregando le mani all’idea che Renzi & Grillo estinguano il Pd e i 5 Stelle, riversando altri milioni di voti sulla Lega grazie al governo patibolare del professor-avvocato di Volturara Apula, il compare dell’euro-brigata coalizzata contro gli italiani.Poi, Travaglio scende senza paura nell’officina inguardabile delle trattative: «Zinga non voleva Conte premier né Di Maio ministro e chiedeva un solo vicepremier Pd, poi ha ceduto su tutti e tre i punti». Vero, ma in cambio di cosa? Quale meravigliosa sorpresa è stata riservata all’ex elettore italiano? Ma attenzione: «Di Maio ha rinunciato a Palazzo Chigi, ricompattando un movimento in rotta e a rischio di estinzione. E recuperando Grillo in prima linea». Bum! Di Maio – preso a calci da Grillo, a reti unificate – avrebbe “ricompattato” i parlamentari? E il valletto avrebbe addirittira “recuperato” l’imperatore, spingendolo – lui, Giggino – a muovere il fondoschiena, ai suoi ordini, per schierarsi in prima linea? Siamo ormai nel regno del surreale. «Se vincesse il No – piange Travaglio – i gruppi parlamentari si spaccherebbero», finalmente. «Conte andrebbe a casa», ma magari!, «e Salvini avrebbe ciò che vuole». E cioè: «Voto, vittoria e “pieni poteri”». Brr, che paura. Si sono visti, i pieni poteri di Salvini: sberle rimediate sul deficit, gogna mediatica, ostracismo squadristico. Salvini ha dovuto assistere alla lapidazione di Armando Siri, l’inventore della Flat Tax, per un semplice avviso di garanzia. E’ stato inoltre accusato di sequestro di persona (in italiano: privare qualcuno della libertà di andare dove vuole) per aver impedito a stranieri di sbarcare in Sicilia (non di dirigersi altrove). Toglie il sonno, in effetti, l’idea che un simile mostro possa tornare in auge.«Le due alternative al governo Conte-2 sono peggiori», svela l’illuminato maestro Travaglio: «Elezioni, cioè governo Salvini-Meloni-B., che cancellerebbe Reddito, dl Dignità, Anticorruzione, blocca-prescrizione e reato di abuso d’ufficio e ripartirebbe con inceneritori e trivelle; nuovo Salvimaio, che coprirebbe i 5 Stelle di ridicolo e servirebbe a Salvini per tradirli di nuovo e/o per finire di mangiarseli». Finge di non vedere, Travaglio – reticente coi grillini e con i suoi lettori – che Salvini sta facendo di tutto per evitarlo, il “governo Salvini-Meloni-B”. Quanto al tesoro nazionale che l’ipotetico esecutivo “neofascista, razzista e xenofobo” comprometterebbe, c’è da mettersi le mani nei capelli: il reddito di cittadinanza – unica misura percepibile, del grillismo di governo – è una bazzecola, a fronte del super-tradimento dei 5 Stelle, al seguito dei domatori Grillo e Conte, in favore del feroce rigore eurocratico di Ursula von der Leyen. Una coltellata all’alleato Salvini, concepita per costingere il leghista a staccare la spina e chiudere la breve e ambigua stagione di semi-libertà che gli italiani si erano conquistati con il voto del 2018. Il Belpaese deve tornare una semplice espressione geografica, una colonia periferica e depredabile dal Sacro Romano Impero, tra gli applausi del post-giornalismo nazionale.Il seguito del sermone di Travaglio è un piccolo capolavoro letterario che oscilla tra il cabaret e la metafisica. «L’unica opzione migliore, per un iscritto, è un monocolore M5S. Mission impossible: dovrebbe superare il 40%. Questo Parlamento è grillino al 33%: il prossimo mi sa di no». Così scrive – senza ridere – il direttore del “Fatto Quotidiano”. «Un Pd così sbiadito e diviso, senza leader né slogan forti – aggiunge – è un alleato meno insidioso e concorrenziale del monolite Salvini». E avanti di questo passo: «Le coalizioni tra diversi sono sempre rischiose. Ma forse, dopo la cura Salvini, il M5S ha comprato mutande di ghisa per non farsi fregare». Prego? Chi ha votato a tradimento per Macron e Merkel in Europa, la Lega o i 5 Stelle? La decima e ultima tappa dell’orazione travagliesca suona persino puerile: «Fino a un mese fa Salvini era sempre tra i piedi e in prima pagina. Ora sfugge ai radar. Chi lo rivuole in copertina?». Nel 2011, un giornalista di ben altra caratura – Paolo Barnard – accusò Travaglio di depistare i lettori su falsi bersagli, proprio come i 5 Stelle hanno fatto con gli elettori. Valgono una crociata i decretucci come lo “spazzacorrotti” o il demenziale taglio dei parlamentari, mentre i veri lestofanti – Juncker e i compari di Ursula – si allontanano indisturbati col bottino, centinaia di miliardi di euro. I tempi cambiano, comunque: da quando è diventato l’organo di stampa del grillismo governativo, il “Fatto Quotidiano” vende meno di 30.000 copie al giorno. Ne ha perse diecimila solo nell’ultimo anno.Si prova quasi tenerezza di fronte all’ingenuità delle frottole sciorinate da Marco Travaglio nel tentativo di orientare il voto della cosiddetta “base grillina” sulla fantomatica piattaforma Rousseau. Un tempo icona del giornalismo “con la schiena diritta”, celebrato nel santuario televisivo del collega Michele Santoro, il giustizialista Travaglio rimediò una tiepida figura nel 2013, quando l’Orribile Cavaliere – spintosi nella tana dei leoni – se la cavò benissimo di fronte alle domanducce dell’inquistore del “Fatto”. Ora, seppellito nonno Silvio, Travaglio ha semplicemente sostituito il Nemico. Il nuovo Uomo Nero, va da sé, si chiama Matteo Salvini. Pregustando il delitto eccellente, Travaglio riesce a digerire di tutto: dall’indecente grillismo “di lotta e di governo”, che ha fatto ridere l’Italia, all’eroico Renzi, riabilitato a tempo di record come geniale stratega. «Non avendo mai avuto tessere – pigola Travaglio, lindo come un giglio – non ho il problema del voto su Rousseau. Ma – aggiunge – se fossi iscritto, non avrei dubbi sul Sì al Conte-2». Nobile, il Cavaliere della Giustizia: il giornalista più sfacciatamente politico d’Italia non si sporca con la politica, ci mancherebbe; ma in questo caso si può ben fare un’eccezione. Ed ecco allora, sul “Fatto”, i dieci motivi per votare Sì al “governo dei prestanome”.
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Davvero gli italiani accetteranno il Governo dei Prestanome?
Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso dai mercenari arruolati nel governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza degli cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, non resterà più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico pagliaccio Beppe Grillo, come uno dei maggiori traditori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo del Conte-bis perché non aveva alternative, se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla cricca di potere che porta il nome di Partito Democratico).Il governo dello spread, caro all’oligarchia che ha fatto carne di porco del Belpaese, sarà accolto nel modo più benevolo del regime euro-italico, di cui è al servizio, contro l’interesse nazionale. Una speciale plastica facciale proteggerà i suoi ministri-camerieri e i suoi servili mandanti, presto in passerella in tutte le televisioni, a reti unificate, a spiegare che l’orrore è bellissimo, che la sottomissione è nobile, e che prendere a calci in faccia gli elettori, derubandoli, è un’arte civilissima, antifascista e antirazzista, politicamente corretta. Resta da capire come lo accoglieranno, gli italiani, il Governo dei Mascalzoni. Tutte le dittature, quando sono alla canna del gas, si comportano allo stesso modo: prima di sparare sulla folla tentano un’ultima mossa, la manovra di palazzo fondata sulla frode. Il potenziale di fuoco di cui gode l’establishment italiano al servizio del potere straniero è tuttora molto rilevate, virtualmente schiacciante. Per ora ha disarmato la popolazione, sottraendole l’arma democratica a sua disposizione: il voto. E si prepara a punire l’elettorato con una lunghissima astinenza: gli italiani potranno tornare a votare solo dopo che il Governo dei Traditori avrà consegnato in mani anti-italiane i maggiori asset rimasti al paese, dall’Eni a Leonardo, e poi la presidenza della Repubblica.Il Governo dei Ladri di Democrazia cercherà in ogni modo di indorare la pillola, con l’aiuto dei suoi padroni europei: premierà il rating della finanza pubblica italiana, abbasserà il differenziale coi Bund, concederà l’elemosina di una piccola dose di flessibilità, in termini di bilancio e di deficit. Purché il cane continui a leccare la mano del padrone, anziché azzannarla. Purché gli italiani, soprattutto, continuino a non contare niente. E purché l’Italia, come nazione, arrivi rapidamente a contare meno di zero, integralmente svenduta, sottomessa, ridotta al silenzio e all’irrilevanza assoluta anche sul piano geopolitico, mediterraneo e africano. Ma loro, gli italiani? Sette su dieci volevano tornare alle urne. Il 70% del popolo italiano non accetta il Governo dei Cialtroni, e prova disgusto davanti alla sfrontata, ignobile disonestà dei burattini manovrati dal potere straniero, i 5 Stelle e gli zombie del Pd. Il Governo dei Buffoni lo stravince, il campionato mondiale dei fischi. E ogni giorno umilierà l’Italia, ne danneggerà l’immagine, distruggerà il residuo prestigio internazionale del paese: suggerirà l’idea che gli italiani sono dei poveri scemi, che si fanno mettere nel sacco da una congrega di imbroglioni disprezzati dal popolo. Può un paese democratico farsi rappresentare, seriamente, da una simile accozzaglia di miserabili?Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso da mercenari arruolati in un governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza dei cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, potrebbe non restare più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico giullare Beppe Grillo, come uno dei maggiori turlupinatori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo dell’ipotesi Conte-bis perché non aveva alternative; se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla congrega di potere che porta il nome di Partito Democratico).
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Grillo coi nemici dell’Italia che vogliono Draghi al Quirinale
Mister Europa osserva divertito il massacro politico italiano andato in scena in mondovisione. E’ vomitevole la marmellata di democrazia confezionata grazie al prezioso tritacarne del signor Beppe Grillo, sceso in campo a muso duro – dando ordini ai suoi valletti in Parlamento, terrorizzati all’idea di tonare al voto – per blindare il piccolo potere italiano e restituirlo interamente all’establishment europeo. Grillo obbedisce al vero potere che tiene in pugno il Belpaese dai tempi del Britannia, il grazioso panfilo che lo stesso giorno, il 2 giugno 1993, ospitò a bordo l’allora giovane direttore generale del Tesoro e il comico genovese vicino a De Mita, cacciato dalla Rai nel 1986 per una fatale battutaccia sulle ruberie dei socialisti. Mario e Beppe, due destini che tornano a incrociarsi: è grazie a Grillo se oggi il mitico Super-Mario vede avvicinarsi a grandi passi il Quirinale, quando cioè Mattarella – tra un paio d’anni – vedrà scadere il suo mandato alla presidenza della Repubblica. Sbagliava, chi scorgeva in Draghi un candidato di ferro per Palazzo Chigi dopo Conte: puntando proprio al Colle, il sommo banchiere europeo non ha commesso l’errore di rendersi inevitabilmente impopolare, mettendosi a capo di un governo-vergogna come quello che oggi Renzi e il fantasma di Di Maio si apprestano a sorreggere, calpestando la volontà popolare degli italiani.Si commenta da solo lo sconcio offerto al pubblico, anche internazionale: un governo di nani obbedienti, coalizzati per disperazione e con sprezzo del ridicolo. Missione: emarginare Salvini, come vuole il padrone, e impedire agli elettori di tornare a votare. La classica manovra di palazzo, che comporterà conseguenze spiacevoli per i congiurati: il discredito definitivo del Pd e l’estinzione politica dei 5 Stelle, condannati a essere presi a pesci in faccia dagli elettori di oggi e di domani. Si aprono praterie sconfinate per chiunque ambisca a portarsi a casa i milioni di voti in fuga dall’increscioso e indecente equivoco pentastellato. Ma intanto, al padrone interessa innanzitutto “la roba”: vale a dire le 500 nomine pesanti in arrivo l’anno prossimo, nei posti che contano. Sfrattato l’intruso leghista grazie al signor Beppe e ai suoi diligenti camerieri travestiti da parlamentari, i posti-chiave saranno scelti accuratamente tra Berlino, Parigi e Bruxelles; i nomi saranno comunicati a tempo debito ai prestanome italiani, in quota al Pd e ai 5 Stelle. Dopo il varo dell’impresentabile Conte-bis, quello sarà il secondo step della Lunga Marcia. Il terzo, definitivo, si avrebbe con l’incoronazione del venerabile maestro Mario Draghi, come tredicesimo presidente della Repubblica italiana.La leggenda di Super-Mario? Salvatore dell’euro e santo protettore della sventurata Penisola. Vero il contrario, purtroppo: di formazione progressista e keynesiana, studente cresciuto alla corte dell’insigne ecomomista democratico Federico Caffè (scomparso nel nulla dalla sua abitazione romana nel 1987), Draghi è l’emblema stesso del tradimento: il cattivo allievo, lo ribattezzò Bruno Amoroso, formatosi con Caffè insieme a Nino Galloni. Amoroso e Galloni hanno tenuto alto l’onore dell’antico maestro, tramandandone la lezione. Che è questa: lo Stato non è una famiglia, perché – a differenza delle famiglie e delle aziende – dispone del potere monetario. Può emettere moneta in modo virtualmente illimitato. Ergo: il deficit, in termini di spesa pubblica strategica, è puro ossigeno per i cittadini, le famiglie, le imprese. Viceversa, il suo contrario – il pareggio di bilancio – condanna l’economia. E se migliaia di imprese si arrendono alla crisi, strangolate dalle tasse, il loro business viene letteralmente rastrellato dai grandi gruppi, dotati di elevato potenziale finanziario. L’alleanza storica tra multinazionali, banche d’affari e vertice politico in Europa ha un nome esemplare: Mario Draghi.Per via delle altissime responsabilità rivestite nel disastro sociale europeo, proprio Super-Mario rappresenta al meglio, da grande tecnocrate, il potere oligarchico che ha piegato i governi, confiscato la democrazia, ridotto le elezioni a pura ritualità. Lo si vede anche oggi, ancora una volta, con l’immondo esito della crisi parlamentare italiana. In Europa, la menzogna neoliberista (più tagli, più cresci) è aggravata dalla prassi mercantile dell’ordoliberismo di marca teutonica: all’impoverimento programmato del popolo si aggiuge la sottomissione sociale dei dominati. Dopo la Grecia, l’Italia è scandalosamente in cima alla classifica dello sfruttamento: da moltissimi anni il nostro paese, a cui i tizi come Draghi rimproverano di aver vissuto “al di sopra delle sue possibilità”, è addirittura in avanzo primario. Ovvero: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini versino in tasse. In questo, proprio Draghi – massimo sacerdote dell’austerity (altrui) – incarna il massimo tradimento possibile della dottrina di Keynes e di Caffè, economisti progressisti cui si deve – nel mondo, e anche in Italia – l’archiettura dell’economia statale espansiva che permise ai popoli di risollevarsi, accedendo a stagioni di grande benessere, mobilità sociale, futuro da costruire con fiducia e ottimismo.Tutto questo doveva finire: non per via di leggi economiche, ma a causa di determinazioni politiche, in parte palesi (il neoliberismo di Milton Friedman e soci) e in parte occulte, di matrice iniziatica. Già nell’Ottocento, il medico francese Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, teorizzò la dottrina della “sinarchia”. In spiccioli: la politica è un affare troppo serio perché sia lasciata al popolo bue. A guidarlo dev’essere un’élite illuminata. Questa élite reazionaria si è nascosta, nel Novecento, dovendo subire l’offensiva delle democrazie sociali, le conquiste dei diritti del lavoro. Poi è rimersa, lentamente, a partire dagli anni Settanta. In Europa, l’Italia era un boccone golosissimo: eravamo il paese del boom, trainato dal maggior conglomerato industriale d’Europa, l’Iri, gestito dallo Stato. Le vaste inefficienze dell’Iri, di origine clientelare, erano largamente compensate dalle enormi ricadute sull’indotto privato. A demolire l’Iri fu chiamato il tecnocrate di turno, l’allora semisconisciuto Romano Prodi, mentre a Draghi – direttore del Tesoro – fu chiesto di oliare lo smembramento privatizzatore gli altri gioielli industriali italiani: Telecom, Eni, Enel, Comit, Credito Italiano.Dal Britannia in poi, Mario Draghi si è fatto apprezzare dai padroni del mondo, che l’hanno ricompensato da par loro. Una marcia trionfale: Goldman Sachs, Bankitalia, Bce. Ora, Draghi ha rifiutato di sostituire Christine Lagarde al vertice del Fmi. Si è tenuto libero per Palazzo Chigi? No: per il Quirinale. Vanta crediti importanti, sulla strada del Colle. D’intesa con Napolitano, nel 2011 disarcionò Berlusconi (ultimo premier eletto dagli italiani, nel 2008: da allora, alla guida del governo si sono succeduti soltanto politici non eletti dai cittadini, da Monti fino a Conte). E’ la declinazione italica della “sinarchia” del marchese Saint-Yves d’Alveydre: guai a lasciare che il popolo si governi da sé. A tener aperta la strada del Quirinale per Mario Draghi è il finto outsider e falso rivoluzionario Beppe Grillo: solo grazie all’inventore dei 5 Stelle il super-banchiere dell’élite può sperare, domani, di raggiungere la meta. Non è solo, ovviamente: oltre a Grillo e al solito servizievole Pd, Draghi può contare sulle potenti superlogge massoniche internazionali in cui milita. E’ affiliato a ben 5 Ur-Lodges di stampo reazionario: si chiamano “Three Eyes” e “Pan-Europa”, “Edmund Burke”, “Der Ring” e “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”. E’ per questi signori che in fondo lavorano Beppe Grillo e il suo figurante sistemato a Palazzo Chigi, il carneade “Giuseppi” Conte, sedicente “avvocato degli italiani”: un piccolo e infido mestierante, di cui oggi i connazionali farebbero volentieri a meno.Mister Europa osserva divertito il massacro politico italiano andato in scena in mondovisione. E’ vomitevole la marmellata di democrazia confezionata grazie al prezioso tritacarne del signor Beppe Grillo, sceso in campo a muso duro – dando ordini ai suoi valletti in Parlamento, terrorizzati all’idea di tonare al voto – per blindare il piccolo potere italiano e restituirlo interamente all’establishment europeo. Grillo obbedisce al vero potere che tiene in pugno il Belpaese dai tempi del Britannia, il grazioso panfilo che lo stesso giorno, il 2 giugno 1993, ospitò a bordo l’allora giovane direttore generale del Tesoro e il comico genovese vicino a De Mita, cacciato dalla Rai nel 1986 per una fatale battutaccia sulle ruberie dei socialisti. Mario e Beppe, due destini che tornano a incrociarsi: è grazie a Grillo se oggi il mitico Super-Mario vede avvicinarsi a grandi passi il Quirinale, quando cioè Mattarella – tra un paio d’anni – vedrà scadere il suo mandato alla presidenza della Repubblica. Sbagliava, chi scorgeva in Draghi un candidato di ferro per Palazzo Chigi dopo Conte: puntando proprio al Colle, il sommo banchiere europeo non ha commesso l’errore di rendersi inevitabilmente impopolare, mettendosi a capo di un governo-vergogna come quello che oggi Renzi e il fantasma di Di Maio si apprestano a sorreggere, calpestando la volontà popolare degli italiani.
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Non morì in croce e aveva 43 anni: l’altro Gesù, quello vero
Non credeva nella vita dopo la morte, come del resto nessuno dei suoi, e non si sognò mai di fondare un culto. Finì sulla croce per sedizione, ma non aveva 33 anni: era ben oltre la quarantina (probabilmente era nato 43 anni prima). Voleva il riscatto dell’umanità? Niente affatto: tutto quello che gli interessava era liberare il suo popolo dalla dominazione imperiale, ma gli è andata male. Morto e risorto? Nemmeno: fu tramortito probabilmente con la mandragora raccomandata da Ippocrate. Di quella pozione speciale, già usata come anestesia dai proto-chirurghi, doveva essere imbevuta la “spongia soporifera” con cui si dissetò, un istante prima di perdere conoscenza. Poté così essere calato dal patibolo senza che gli venissero spezzate le ginocchia, cosa che gli sarebbe costata la vita. Fu quindi curato, nel finto sepolcro, con un’overdose da 45 chili di farmaco: una potentissima mistura a base di aloe, usata non per i defunti ma per i feriti in battaglia. Dopodiché, in capo a 36 ore (non tre giorni) fu estratto dalla grotta da due individui che, per raggiungerlo, avevano spostato a fatica la pesante pietra che ne ostruiva l’ingresso. Ancora malconcio, sorretto dai due misteriosi soccorritori, sparì in una “nube” di luce: esattamente come l’eroe Prometeo nonché lo stesso Romolo (il fondatore di Roma, figlio di Marte e della mortale Rea Silvia). “Rapito” dalla nuvola luminosa, come tutti gli altri semidei dell’antichità.E’ la possibile, vera storia di Yehoshua di Gàmala, poi ribattezzato Gesù di Nazareth (villaggio che all’epoca probabilmente non esisteva ancora), secondo l’affascinante ricostruzione che il biblista Mauro Biglino fornisce insieme a Francesco Esposito, studioso del cristianesimo delle origini. Ne parlano nell’avvincente saggio “Dei e semidei”, che esplora “il Pantheon dell’Antico e del Nuovo Testamento”. A differenza dei negazionisti, anche autorevoli, che escludono categoricamente la reale storicità del personaggio, i due ricercatori sono propensi a credere che quel “rabbi giudeo messianista”, poi trasformato nella fonte stessa del successivo cristianesimo, sia realmente esistito. Doveva essere un individuo temerario, capace di sfidare il peggior potere: cioè le armi dei colonialisti romani e quelle dei loro alleati e collaborazionisti, i vari Erode e la potente casta sacerdotale del Sinedrio di Gerusalemme. Caduto il Tempio nel 70 dopo Cristo, quella stessa nomenklatura (che era stata capace di denunciare a Pilato il rivoltoso) finirà poi per trasferirsi a Roma, ottenendo di beneficiare di una vita dorata tra i lussi della capitale, come premio per aver ceduto all’impero l’ingente tesoro ebraico, mettendo così fine a ogni ulteriore tentativo di insurrezione nazionalistica. E proprio Roma, secoli dopo, diverrà la capitale della nuova religione.“Dei e semidei” esplora lo strano rapporto tra il futuro “Cristo” e Giovanni Battista, di cui era forse cugino. Entrambe le madri, Maria ed Elisabetta, erano rimaste incinte dopo aver incontrato “l’arcangelo Gabriele”, cioè il Ghevèr-El (ambasciatore di un El, personaggio in carne e ossa), che secondo il teologo e cardinale Jean Daniélou verrà poi chiamato “spirito santo”, nel corso della plurisecolare spiritualizzazione con cui le religioni hanno deformato gradualmente il testo biblico, ex-post, fino a introdurvi elementi mistici del tutto assenti nella versione letterale. Nell’ebraico originario, infatti, non esiste neppure la parola Dio, né l’idea stessa di divinità universale onnisciente, così come non c’è traccia dei concetti di eternità, spirito, onnipotenza. L’Antico Testamento racconta semplicemente la storia del patto stipulato tra la sola tribù di Giuda, uno dei 12 figli di Giacobbe-Israele, e l’El chiamato Yahwè, uno dei tanti Elohìm presenti nel testo. Quello che compare per primo, presentandosi ad Abramo, si fa chiamare El-Shaddài, cioè “signore della steppa” secondo la prestigiosa École Biblique di Gerusalemme, fiore all’occhiello dell’esegesi domenicana. In altri passi della Bibbia viene citato Elyòn, il capo supremo, che a un certo punto ammonisce gli Elohìm in assemblea: fate gli arroganti solo perché siete potenti e molto longevi, ma – li avverte – un giorno morirete anche voi, proprio come gli umani.Sempre la Bibbia parla spesso degli “angeli”, i messaggeri degli Elohìm. In ebraico, sono i “malachìm”. Il greco traduce correttamente il termine “malàch” con “ànghelos”, portaordini, mentre il latino – anziché adeguarsi al greco, (magari con il termine “legatus”?) – preferisce coniare il neologismo “angelus”, importandolo direttamente dalla lingua greca senza tradurlo, e preparandosi poi – nell’iconografia successiva – a sfornare angioletti alati e asessuati. Paolo di Tarso, l’inventore del cristianesimo, è il primo a scrivere – nelle sue lettere – che è meglio che le ragazze si coprano i capelli, nelle assemblee in cui sono presenti “gli angeli”, perché quei tizi poco raccomandabili non vanno tanto per il sottile, con le donne giovani. Le successive traduzioni bibliche tradiranno il testo in modo sconcertante: gli angeli cominceranno ad “apparire e scomparire”, persino a “volare con leggerezza”, quando invece la Bibbia scrive che erano fatti come noi, sudavano e soffrivano, e li si vedeva arrivare arrancando, “sfatti di fatica”. I cosiddetti arcangeli? Dal greco: angeli-capi. I “Gabriele”, per esempio: essere un “Ghevèr-El” significava avere la statura di un pezzo da novanta, che gestisce il potere per conto di un El. Fu proprio un “Gabriele”, forse addirittura lo stesso, a ingravidare (come, non si sa) prima Elisabetta e poi Maria.I loro figli, Giovanni e Yehoshua (Giosuè) secondo i Vangeli si incontrano e si conoscono benissimo: hanno lo stesso mandato, o funzioni parallele? Forse il primo ha un’investitura sacerdotale (discendente da Aronne), mentre l’altro politica, davidica (ereditata da Israele). Nelle acque del Giordano, Giovanni battezza i giudei zeloti, cioè i membri della fazione ostile ai romani: lo si capisce dai loro nomi. Ed è uno strano battesimo: razza di vipere, li chiama. E li avverte: se non cambiate subito mentalità, per voi la scure è già pronta, e i vostri corpi bruceranno nella Gheenna, o meglio il Ghe-Hinnom (la discarica lungo il torrente Hinnom, dove venivano gettati e arsi i cadaveri dei guerrieri sconfitti). In un mondo come quello giudeo, ultra-materiale e privo di qualsiasi cognizione di spiritualità – è la tesi del libro – sembra lecito domandarsi se, più che redimere “anime”, a Giovanni non interessasse reclutare guerriglieri: l’elenco dei loro “peccati”, infatti, è una sfilza di crimini cruenti (peraltro quasi esibiti, rivendicati con fierezza). Preparativi di una rivolta?Così dovette vederla Erode, che non ci pensò due volte: prima che fosse troppo tardi, fece decapitare il sedizioso “battista”. Di fronte alla cui morte, il suo alter ego Yehoshua-Giosuè pensò che era meglio cambiare aria. I testi evangelici dicono che si ritirò “nel deserto”, cioè sulle alture della Galilea, per 40 giorni. Ma probabilmente – secondo Biglino ed Esposito – la pausa di riflessione durò anni. Al suo ritorno, poi, ci mise poco e reclutare gli ex discepoli di Giovanni. Lo conoscevano già e in fondo lo aspettavano, per il grande momento: rovesciare finalmente la corrotta oligarchia del Sinedrio, che aveva svenduto il paese ai romani in cambio dei privilegi concessi dal potere imperiale. Il primo tentativo doveva essere fallito, con la cacciata dei mercanti dal Tempio. Il secondo, quello decisivo, fu preparato con l’ipotetica “resurrezione” di Lazzaro a Betania, paese d’origine della Maddalena. Il crisma del messia? Forse proprio questo doveva emergere, nell’evento raccontato come miracoloso: alla portata solo di un profeta, cioè un individuo prescelto e autorizzato a parlare e agire in nome di un El. Ma il carisma di Yehoshua, che non bastò a infiammare il popolo (che infatti non lo riconobbe come “mashiàh” e quindi non lo sostenne), fu sufficiente ad allarmare la casta sacerdotale, che provvide a denunciarlo per sbarazzarsene.Poi la storia si appanna, tra possibili doppi giochi: da un lato il presunto traditore Giuda l’Iscariota, e dall’altro l’uomo-ombra, il misterioso Giuseppe d’Arimatea, a sua volta membro del Sinedrio ma segretamente alleato dei “gesuani”, capace di reclamare il corpo del condannato e forse anche di salvargli la vita, tirandolo giù dalla croce in extremis e poi facendolo curare. Ricostruzione coerente? Sì, ma solo se “facciamo finta” che quella storia sia realmente accaduta, dicono Biglino ed Esposito: le tracce disponibili sono davvero esigue e frammentarie. Stando al gioco, gli autori prendono per buoni i Vangeli canonici, facendoli però letteralmente a pezzi: inevitabile, perché offrono versioni lacunose e discordanti, spesso inverosimili. L’ipotetico puzzle si completa solo attingendo ad altri testi, come i Vangeli apocrifi e gli scritti di storici come Giuseppe Flavio. “Dei e semidei” resta una lettura complessa, che procede con la massima cautela in una selva di citazioni, con il supporto di decine di autori e non meno di 90 volumi puntualmente chiamati in causa. «Restiamo nel campo legittimo delle semplici ipotesi», ammettono alla fine i due studiosi, la cui unica sicurezza è «la non certezza del dato tradizionale». Nel corso dei secoli, infatti, la tradizione «ha volontariamente coperto, attraverso sempre più complicate elaborazioni teologiche, quella che può essere una storia semplice e allo stesso tempo affascinante».E’ questo, infatti, il vero cuore del libro: con estrema accuratezza, dimostra come si sia potuti arrivare a fabbricare un culto che ha cambiato la storia dell’umanità, pretendendo di poggiarlo su documenti solidi ma in realtà franosi, se non inesistenti. La vicenda dell’aspirante messia ebraico? Umanissima, e affrontata dagli autori con profondo rispetto. Non senza rilevarne, però, le patetiche contraddizioni – non del messia, ma dei successivi narratori (evidentemente infedeli). Si racconta ad esempio che ad essere giustiziato sul Golgota fu un personaggio fenomenale, sovrumano, capace di ridestare i defunti. Ma chi sarebbe così pazzo – si domandano gli autori – da condannare un individuo capace davvero di resuscitare i morti? Non sarebbe meglio pregarlo, cortesemente, di resuscitare tutti? E allora dove sta l’inghippo? Nella datazione delle opere. Tutti i Vangeli – i cui reali autori restano tuttora sconosciuti – sono di gran lunga successivi alle famose lettere di Paolo, vero punto di partenza della nuova fede. A coniare quella religione, decenni dopo la crocifissione, è stato l’autoproclamatosi apostolo di Tarso, che però il messia non l’aveva mai conosciuto. Va da sé che i “gesuani”, gli autentici seguaci di Yehoshua, andassero su tutte le furie, nello scoprire che Paolo spacciava per vera una storia che s’era inventato da capo a piedi. Da quella narrazione di fantasia, purtroppo, nacquero in seguito i testi evangelici.Davvero uno strano cristiano, San Paolo: un perfetto politeista. «Sappiamo che vi sono molti dèi», scrive, «ma noi ne seguiamo uno solo». Dunque la sua era monolatria, non certo monoteismo. Ebreo colto, Paolo conosceva la Bibbia. Ma sapeva che il pubblico delle sue lettere – greco e romano – non sapeva leggere l’ebraico. E così ebbe buon gioco nell’inventare la fiaba che sarà poi Sant’Agostino a perfezionare. Si racconta infatti che Adamo ed Eva fossero addirittura immortali, prima del peccato originale. Si sa perfettamente che non è vero, e gli ebrei sanno anche che – nell’Antico Testamento – il peccato originale non esiste: la cacciata dall’Eden è preventiva, non punitiva, dopo che Adamo ed Eva hanno scoperto di poter avere una loro discendenza virtualmente autonoma dai guardiani del “giardino”. Ma peggio: Paolo di Tarso si mette a parlare del rabbi messianista (che non ha mai conosciuto) raccontando che aveva a cuore le sorti dell’intera umanità, non solo quella del suo popolo. Nasce qui il primo germe del geniale universalismo cattolico: la speranza della vita eterna offerta a tutti, indistintamente, proviene dall’esclusiva creatività letteraria di Paolo. Ed è qui che il contrasto coi “gesuani”, indignati, diventa insanabile: chi ha vissuto con Giosuè, standogli accanto fino alla fine, non può tollerare che sul suo conto vengano impunemente spacciate simili fandonie.Ma neppure Paolo arriva, da subito, all’idea della resurrezione: vi perviene in corso d’opera, per necessità, quando – con crescente impazienza – i nuovi fedeli gli chiedono come mai il famoso messia non sia ancora tornato, instaurando il nuovo regno (terreno) che aveva promesso, dandolo per imminente. Al che, il teorico del cristianesimo comincia a parlare di “regno dei cieli”, garantendo la sicura resurrezione anche dei primissimi fedeli, nel frattempo defunti insieme alla loro speranza di fare in tempo a veder ritornare, gloriosamente, il “salvatore”. La cui identità ufficiale, comunque – aggiungono sempre Biglino ed Esposito – verrà definita soltanto tre secoli dopo, al Concilio di Nicea, nel quale sarà l’imperatore Costantino a imporre un canone teologico univoco ai tanti cristianesimi dell’epoca. La religione imperiale nasce quindi politicamente, per votazione: dopo aver tentato di sbarazzarsene con le persecuzioni (4-5.000 vittime), il potere romano ha capito che è meglio farseli amici, i cristiani, dal momento che sono destinati a conquistare il popolo, essendo gli unici a promettere a tutti l’impensabile, cioè la resurrezione dalla morte.Nei primi due secoli, però, l’antico rabbi messianista ebraico – nel frattempo ribattezzato Gesù Cristo – è tante cose insieme, l’una in contraddizione con l’altra: risorto o non risorto, morto sulla croce o non morto, figlio di Dio o emanazione di Dio stesso, oppure un semplice profeta, o meglio ancora un semidio come tanti. «In passato ne furono inviati sulla terra anche 70 per volta», scrive Celso, citando i cristiani (che combatte). Un autore ultra-cristiano come il filosofo e poi martire Giustino, futuro Padre della Chiesa, spiega invece all’imperatore Antonino Pio che, in fondo, Gesù di Nazareth è fatto della stessa pasta di tutti gli altri semidei: «Non è che uno dei tanti figli di Zeus», nientemeno. Tracce evidenti, annotano Biglino ed Esposito, del lungo viaggio – da Oriente a Occidente – compiuto dalle cosiddette “sacre scritture”, incessantemente ritoccate e manipolate, fino al medioevo, per adeguarle agli umori culturali delle varie epoche. Atto d’inizio: il ritorno del popolo ebraico dall’esilio babilonese, all’alba del 500 avanti Cristo. Già allora si rompe l’integrità della tradizione mosaica, strettamente materialista, quando nutriti gruppi di ebrei – anziché tornare in Palestina – si disperdono ai quattro angoli del Mediterraneo, assorbendo gradualmente la cultura ellenistica, impregnata di filosofia greca.Il colpo più grave alla tradizione veterotestamentaria è inferto dalla Bibbia dei Settanta, redatta nel III secolo avanti Cristo dagli ebrei riparati in Egitto nella colonia ellenica di Elefantina: scritta in greco e destinata al pubblico non ebreo, la Septuaginta inaugura la consuetudine delle traduzioni più arbitrarie e spericolate, spiritualizzando il testo, in un’operazione che poi contaminerà la stessa Bibbia in latino. Ancora oggi, per molte comunità ebraiche come quelle italiane, il lavoro dei Settanta è considerato «una disgrazia, per l’umanità». E’ in quelle pagine, infatti, che il Khavod (il velivolo bellico di Yahwè) diventa “doxa”, insegnamento, mentre il Ruach (astronave?) si trasforma magicamente in “pneuma”, spirito. A suggerire l’ipotesi delle “macchine volanti”, pericolose e fragorose, Biglino arriva per deduzione, leggendo in modo coerente il contesto degli episodi narrati nell’Antico Testamento, in cui questi “oggetti misteriosi” agiscono. In ogni caso, in ebraico – alla lettera – Khavòd significa “pesante”, e Ruach “vento”. Eppure, con la Septuaginta, si dà fiato alle traduzioni di fantasia (anima, conoscenza) in omaggio alla cultura egemonica dell’ellenismo, in un paesaggio dominato da divinità olimpiche e mitologie letterarie, platonismo filosofico e spiritualità misterica e gnostica.Tutte espressioni culturali estranee all’ebraismo originario, adottate – con la riscrittura integrale della Bibbia – per indurre egiziani, romani e greci ad accettare gli ebrei della diaspora come depositari di una tradizione culturale altrettanto antica, e per di più allineata alla temperie religiosa del momento. Nulla, comunque, in confronto alla surreale distorsione teologica dell’Antico Testamento condotta per quasi un millennio, dai primi secoli fino al medioevo, dai Padri della Chiesa. Erano alle prese con una missione impossibile: far discendere “Gesù” dal presunto “Dio unico” dell’Antico Testamento. «Come ci sono riusciti? Facendo come se la Bibbia non esistesse proprio, cioè infischiandosene del contenuto ebraico e del suo significato originario», spiegano Biglino ed Esposito. Stessa sorte per Giosuè, alias Yehoshua di Gàmala, cittadina del Golan forse depennata fin dall’inizio per allontanare collegamenti indesiderati, visto che proprio Gàmala – roccaforte degli zeloti anti-romani – era stata un importante centro della resistenza militare ebraica contro l’invasione imperiale.Nessun rispetto, sottolineano gli autori di “Dei e semidei”, per il futuro protagonista dei Vangeli. E’ stato infatti impunemente trasformato, all’occorrenza, da rabbi giudeo messianista a salvatore del mondo, passando attraverso stadi intermedi: “logos” gnostico, oppure rassicurante semidio, perfettamente sovrapponibile alle altre divinità del periodo, adorate dai pagani, allora largamente maggioritari. La situazione si sarebbe invertita solo con l’Editto di Teodosio del 380 dopo Cristo, quando i neo-cristiani avrebbero potuto cominciare a perseguitare con ferocia, anche compiendo stragi efferate, i seguaci del paganesimo. I nodi, comunque, secondo Esposito e Biglino stanno venendo al pettine, sia pure con lentezza. Uno dei “cerotti” storicamente usati per tenere insieme Antico e Nuovo Testamento si è appena scollato: è il caso della presunta profezia “cristica” di Isaia, in realtà inesistente, con cui si pretendeva di sostenere che la Bibbia ebraica anticipasse l’avvento del redentore.“La vergine concepirà”, si traduceva fino a ieri, lasciando intendere che il sommo profeta ebraico alludesse a Maria e Gesù. Ora è emersa anche ufficialmente la traduzione corretta, recepita in primis dai vescovi tedeschi: “La ragazza è incinta”, si legge ora. Dunque non era vergine (si scriverebbe “betulà”, in ebraico), ma semplicemente giovinetta (“almà”, come infatti è scritto), e aveva il concepimento già alle sue spalle. Non era Maria, infatti, la donna citata da Isaia, ma una fanciulla vissuta secoli prima, di nome Abià, da cui si sperava nascesse un bambino destinato a trasformarsi in liberatore politico di Israele. Chi era, invece, il vero Yehoshua di Gàmala, meglio noto come Gesù di Nazareth? Certo non il personaggio che è stato raccontato, ovvero fabbricato. E questa è l’unica certezza di Biglino ed Esposito. Che si congedano dal lettore regalandogli un ultimo dubbio, dedicato all’arcangelo Gabriele: siamo proprio così sicuri che il futuro Cristo non fosse davvero un semidio, come tanti altri dell’antichità, discesi sulla terra “anche in numero di 70 alla volta”, come ricordava Celso? Erano tutti mezzosangue: nati in modo anomalo, con un genitore terrestre e l’altro celeste, o comunque non umano. Valoroso e sfortunato, “Gesù”, come gli eroi omerici figli di uomini e dèi, formidabili ma non immortali?(Il libro: Mauro Biglino e Francesco Esposito, “Dei e semidei. Il Pantheon dell’Antico e del Nuovo Testamento”, UnoEditori, 340 pagine, euro 16.90).Non credeva nella vita dopo la morte, come del resto nessuno dei suoi, e non si sognò mai di fondare un culto. Finì sulla croce per sedizione, ma non aveva 33 anni: era ben oltre la quarantina (probabilmente era nato 43 anni prima). Voleva il riscatto dell’umanità? Niente affatto: tutto quello che gli interessava era liberare il suo popolo dalla dominazione imperiale, ma gli è andata male. Morto e risorto? Nemmeno: fu tramortito probabilmente con la mandragora raccomandata da Ippocrate. Di quella pozione speciale, già usata come anestesia dai proto-chirurghi, doveva essere imbevuta la “spongia soporifera” con cui si dissetò, un istante prima di perdere conoscenza. Poté così essere calato dal patibolo senza che gli venissero spezzate le ginocchia, cosa che gli sarebbe costata la vita. Fu quindi curato, nel finto sepolcro, con un’overdose da 45 chili di farmaco: una potentissima mistura a base di aloe, usata non per i defunti ma per i feriti in battaglia. Dopodiché, in capo a 36 ore (non tre giorni) fu estratto dalla grotta da due individui che, per raggiungerlo, avevano spostato a fatica la pesante pietra che ne ostruiva l’ingresso. Ancora malconcio, sorretto dai due misteriosi soccorritori, sparì in una “nube” di luce: esattamente come l’eroe Prometeo nonché lo stesso Romolo (il fondatore di Roma, figlio di Marte e della comune mortale Rea Silvia). “Rapito” dalla nuvola luminosa, come tutti gli altri semidei dell’antichità?
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Dietro al gesuita Conte, il clan occulto che gestiva Andreotti
E’ stato dato l’incarico di governo a Giuseppe Conte, il professore. Ma chi è Conte? La situazione è complessa ma, per capirla, forse basta capire chi è Conte. I giornali non lo dicono. Si sa solo che, un giorno, il signor Bonafede (poi diventato ministro della giustizia) ha detto: io conosco un professore tanto carino, tanto bravo; perché non gli facciamo fare il presidente del Consiglio? E tutti han detto: ma sì, facciamoglielo fare. Ma chi ci crede, a questa favola per bambini? Quanti professori bravi avete conosciuto? Li avete presentati e gli hanno fatto fare il presidente del Consiglio? Non è così, chiaramente, anche perché poi questo Signor Nessuno ha dimostrato che a livello internazionale tutti gli davano retta. Tutti ne parlano bene, adesso vogliono fargli rifare il presidente del Consiglio. E intanto ha preso delle decisioni autonome – alla faccia dei 5 Stelle e della Lega – basandosi sul suo potere. Che significa? Che probabilmente rappresenta un grande potere, anziché essere “nessuno”. Diciamolo oggi, per la prima volta: il professor Giuseppe Conte altri non è che il successore di Andreotti. Letteralmente: nel senso che il potere che era dietro ad Andreotti, con la sua potenza di fuoco e la grande influenza che Andreotti poteva esercitare, era esattamente lo stesso potere che ha dietro Giuseppe Conte, e che attraverso Conte ha cominciato a manovrare, nuovamente, con la stessa potenza.