Archivio del Tag ‘potere’
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Cancellare i fatti: Obama e il nuovo Ministero della Verità
Vi ricordate il ritornello della canzone di Battiato di vent’anni fa? Strani giorni, viviamo strani giorni… Beh, quei giorni saranno stati forse strani, ma mai come quelli che stiamo vivendo oggi, dove la sovrabbondanza di notizie e la manipolazione incessante da parte dei media fa in modo che la gente non recepisca il ‘peso specifico’ di una notizia rispetto alle altre. Manipolare le coscienze non è solo scrivere il falso o negare il vero; basta semplicemente dare ad una notizia di importanza del tutto trascurabile lo stesso ‘peso’ (corpo tipografico o tempo dedicato nei Tg) di un fatto di grande rilevanza. Questa manipolazione costante produce nel lettore/spettatore una perdita di riferimento, un disorientamento della coscienza; è come se rispetto alla nostra vita noi dessimo pari importanza ad un mal di pancia rispetto ad un ictus. O, meglio, come se interpretassimo i sintomi dell’ictus con la stessa leggerezza con cui osserviamo quelli del mal di pancia… In effetti, i sintomi di questi strange days ci sono tutti, se solo li guardassimo con attenzione, senza farci disorientare da chi ci dovrebbe orientare, vale a dire dai media. A cosa mi riferisco?Prima di tutto all’ultima trovata delle governance mondiali e dei loro “presstitutes” (geniale sintesi che definisce la stampa prostituita al potere) vale a dire la crociata contro le fake news o post-verità, che via web rappresenterebbero una minaccia per le istituzioni. Pensate che il termine originale inglese, post-truth, è stato eletto parola dell’anno 2016 dall’Oxford Dictionary! Queste fake news irritano così tanto l’establishment che da diverse parti si invoca addirittura una sorta di commissione di controllo sulle opinioni espresse in rete. Un Ministero della Verità, insomma, di orwelliana memoria. Ora, considerando la costante e instancabile manipolazione che i mezzi d’informazione esercitano da sempre sull’opinione pubblica attraverso menzogne, falsificazioni dei fatti, mezze verità e fantasie, fa davvero sorridere che si identifichi nelle bufale – indubitabilmente presenti in rete – un rischio per la democrazia. Il fatto è che fino a poco tempo fa il fenomeno del cosiddetto ‘complottismo’ era confinato ad una nicchia di persone che iniziavano a fiutare odore di marcio proveniente dai media e cercavano quindi – visti i mezzi messi a disposizione dalla rete – di capire meglio certe situazioni quando i conti proprio non tornavano.Il fact-checking ha permesso allora a milioni di utenti del web di smascherare le vere e proprie bufale messe in onda dalle televisioni di mezzo mondo. Ma ad un certo punto, questo fenomeno del complottismo, della Conspiracy Theory, ha iniziato a diffondersi sempre di più, tracimando dalla rete ed entrando anche nei salotti buoni dei media mainstream. Fenomeno naturalmente irriso, denigrato e oggi criminalizzato. Certamente grazie anche a tutte le reali bufale presenti sul web, inserite ad arte da falsi idioti o da idioti autentici. Così Obama ha iniziato a fare pressioni su Google e Facebook che dovrebbero – a suo dire – esercitare un controllo su notizie false o presunte tali diffuse in rete. Ora, se i mezzi d’informazione ufficiali diffondessero sempre e solo notizie vere la preoccupazione del presidente americano uscente avrebbe una qualche credibilità ma, dato che è vero esattamente il contrario, questa operazione ha proprio l’aria di un intervento a gamba tesa su tutte quelle comunità virtuali che, collegate tra loro, iniziano a nutrire seri dubbi sulle versioni ufficiali. Pensate che io esageri affermando che “è vero esattamente il contrario”? Bene, allora state a sentire, e parlo solo delle fake news più recenti messe in giro dai media.Negli ultimi mesi i mezzi d’informazione del cosiddetto ‘mondo libero’ hanno ripetuto incessantemente che vi erano tra 250 mila e 300 mila civili intrappolati tutto i bombardamenti russi e siriani ad Aleppo Est, nonostante che le fonti d’informazioni siriane avessero più volte ribadito che il numero delle persone intrappolate non superava un terzo di quella cifra. Ebbene, una volta liberata la parte orientale di Aleppo è emerso che il numero dei civili che erano stati bloccati era inferiore alle 90 mila unità. Pensate che i media occidentali si siano peritati di riconoscere l’errore? No, neppure una riga. L’affermazione secondo la quale hacker russi avrebbero cercato di influenzare le elezioni americane è stata smentita sia da Assange che da Craig Murray – ex ambasciatore inglese in Uzbekistan che si è giocato la carriera quando ha accusato la Cia di complicità nelle torture nell’ex-repubblica sovietica – che ha fatto risalire a due fonti americane, una delle quali ha incontrato personalmente, il leak delle email che hanno inguaiato la Clinton. Risultato? Nessuno: Assange e Murray sono stati definiti spie russe. Così il presidente Obama ha appena firmato una legge di Difesa Nazionale che prevede un investimento di 160 milioni di dollari per nuove operazioni di propaganda Usa, dichiaratamente intese a contrastare la “propaganda russa”.Altre due prove di disinformazione da parte dei media: il risultato delle elezioni presidenziali americane e la Brexit. Nel primo caso non c’è stato un solo mezzo di informazione che non abbia ripetuto ad nauseam che non c’erano dubbi sulla vittoria della Killary. Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. Quanto a Brexit (anch’essa data per inverosimile) le catastrofiche previsioni della vigilia sono state – a oltre sei mesi di distanza – ampiamente contraddette dai fatti. Mentre la quasi totalità degli economisti profetizzavano una flessione immediata, con relativi crolli di Borsa, l’economia britannica è cresciuta negli ultimi mesi, registrando un incremento del Pil rispettivamente dello 0,3% e dello 0,6% nei primi due trimestri del 2016, e dello 0,6% e dello 0,5% negli ultimi due, vale a dire nel semestre successivo all’esito del referendum grazie al quale il Regno Unito è uscito dalla Ue. Che ne dite, ci sono o no buoni motivi per diffidare delle fake news dei media?Ma i mezzi ufficiali d’informazione non ne vogliono sapere – loro non possono sbagliare per definizione – e così oggi ci troviamo di fronte ad una prima spinta censoria mirata direttamente a ostacolare quella libertà di pensiero e di espressione che oggi inizia a preoccupare l’establishment. Il quale non si sporca le mani con divieti palesi ma subdolamente e vigliaccamente interviene su motori di ricerca e social media. Ora, se il loro obiettivo fosse raggiunto, la ratio menzogna/verità dipenderebbe non dalla nostra personale indagine, ma da un algoritmo. In sostanza da una macchina. Questo non vi dice nulla? La seconda questione che mi riporta agli strange days è collegata ad alcuni avvenimenti la cui estrema gravità è passata – e continua a passare – quasi inosservata. Mi riferisco agli eventi che hanno contrassegnato le ultime elezioni americane. Ora, quanto è avvenuto e sta avvenendo sull’altra riva dell’Atlantico è qualcosa di assolutamente nuovo nella storia americana. Mai, neppure nei periodi peggiori della guerra fredda con l’allora Unione Sovietica si è visto un tale palese odio e disprezzo verso la Russia come quello che oggi dilaga sui media americani.Neppure nei giorni più oscuri del trentennio che va dagli anni ’50 agli ’80 presidenti come Eisenhower, Nixon, Reagan si sono rivolti ad un presidente russo con termini come quelli che oggi usano politici come Obama, la Clinton, McCain, Clapper. Quell’Obama, su cui ironizza Ron Paul affermando che il Premio Nobel per la pace è il giusto riconoscimento per un presidente che ha bombardato 7 nazioni ed è stato il primo nella storia degli Stati Uniti ad essere stato in guerra ogni singolo giorno dei suoi otto anni di mandato. Mai una elezione fu così piena di colpi bassi come questa che ha portato The Donald alla Casa Bianca. Mai – anche se è risaputo che vi sono delle aspre rivalità tra i servizi di intelligence Usa – si era verificato uno scontro aperto tra Cia e Fbi come quello che abbiamo sotto gli occhi oggi. E ancora: mai un presidente eletto aveva pubblicamente screditato le motivazioni dei rapporti di intelligence di una delle più potenti strutture di potere come la Cia, affermando che alla base della conferma del presunto hackeraggio da parte dei russi che avrebbero influenzato le elezioni americane ci sono solo “ragioni politiche”.Si tratta di macro-eventi che indicano un cambio globale nella direzione che l’establishment americano sta imboccando, evidentemente obtorto collo. Un cambio di rotta che non viene digerito dalle strutture di potere consolidato che cercano freneticamente di intralciare e sabotare la nuova direzione della Casa Bianca. In tale chiave va vista l’ultima aggressione verbale a Putin con relativa espulsione di diplomatici. E i media mainstream come si sono comportati di fronte a questi veri e propri terremoti politici globali? Minimizzando la magnitudo degli eventi e distogliendo l’attenzione della gente dalle enormi implicazioni a livello mondiale. Attraverso delle vere e proprie armi di distrazione di massa, dunque. Ma al tempo stesso si fanno megafono di una chiamata alle armi contro le fake news. Quelle degli altri, naturalmente.(Piero Cammerinesi, “Strange days”, riflessione pubblicata da “Altrogiornale” il 12 gennaio 2017).Vi ricordate il ritornello della canzone di Battiato di vent’anni fa? Strani giorni, viviamo strani giorni… Beh, quei giorni saranno stati forse strani, ma mai come quelli che stiamo vivendo oggi, dove la sovrabbondanza di notizie e la manipolazione incessante da parte dei media fa in modo che la gente non recepisca il ‘peso specifico’ di una notizia rispetto alle altre. Manipolare le coscienze non è solo scrivere il falso o negare il vero; basta semplicemente dare ad una notizia di importanza del tutto trascurabile lo stesso ‘peso’ (corpo tipografico o tempo dedicato nei Tg) di un fatto di grande rilevanza. Questa manipolazione costante produce nel lettore/spettatore una perdita di riferimento, un disorientamento della coscienza; è come se rispetto alla nostra vita noi dessimo pari importanza ad un mal di pancia rispetto ad un ictus. O, meglio, come se interpretassimo i sintomi dell’ictus con la stessa leggerezza con cui osserviamo quelli del mal di pancia… In effetti, i sintomi di questi strange days ci sono tutti, se solo li guardassimo con attenzione, senza farci disorientare da chi ci dovrebbe orientare, vale a dire dai media. A cosa mi riferisco?
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Moro ucciso da Gladio, per sabotare il socialismo in Europa
Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.Purtroppo, la Stay Behind ha tanti morti sulla coscienza, tanti attentati. Ed è una cosa in cui la massoneria razionaria ha avuto parte, non solo tramite la figura di Gelli, ma anche tramite una serie di figure di raccordo, compreso Michael Ledeen, che è massone ma anche Ur-massone, perché fa parte di una Ur-Lodge; è massone del B’nai B’rith, la massoneria ebraica, e faceva anche parte di una Ur-Lodge. Perché, a un certo punto, della strategia della tensione non c’è stato più bisogno? Perché hanno praticamente smantellato la possibilità, per l’Europa, di essere socialista, progressista. Hanno ammazzato Olof Palme, hanno fatto fuori Craxi, hanno segato le gambe a Mitterrand: è stata una strategia complessa, che ha portato a determinare l’attuale quadro politico – molto stabile, peraltro. Hanno sabotato il socialismo. I socialisti di adesso sono solo fantocci, come Hollande. Il socialismo era una sorta di tutela di ogni individuo. Qual è stata la risposta del potere, al socialismo? Creare al suo interno il comunismo: perché il comunismo non tutela l’individuo, ma le masse. E le masse fanno sempre comodo, al potere: quando l’invididuo viene ridotto a massa, il potere festeggia. Che ce lo riduca il capitalismo o ce lo riduca il comunismo, è uguale.L’unica ideologia tanto laica da evitare questo esito era il socialismo, però ormai l’hanno disgregato dappertutto, riducendolo a simulacro. Il socialismo è la possibilità di ogni individuo di far valere i suoi diritti, e di avere dei diritti. Oggi il potere fa due cose: molti diritti te li toglie, e quelli che ti lascia ti invita a non esercitarli, li esercita lui per te. Il socialismo era fondato sulla tutela individuale. Quando poi muore il socialismo utopistico di Produhon, Leblanc, e nasce il socialismo materialista che si allinea con il capitalismo nel considerare gli individui “massa”, già lì si perde l’identità originaria. Il socialismo è un sistema per il quale ogni uomo ha diritto a lottare per la sua felicità, per la sua realizzazione. Non è un mettere tutti alla pari obbligatoriamente, è far partire tutti alla pari. Certo che poi non si arriva, alla pari: c’è chi arriva più avanti, chi resta più indietro; però la partenza dev’essere alla pari. E in questa società la partenza non è alla pari.(Gianfranco Carpeoro, dichirazioni rilasciate durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights” il 15 gennaio 2017, su YouTube).Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.
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Illusioni e delusioni, lo show del Magus sul ring del potere
Incoerenza e fellonia conclamata anche da parte dei 5 Stelle, il cui vertice si schiera sottobanco con l’establishment euro-economicida tentando, ancora, di raccontare ai follower e agli elettori italiani la favola bella della rivoluzione gentile a colpi di democrazia diretta via Casaleggio Associati? Se c’è un capolavoro assoluto e perfetto, a cura del potere che ci manipola incessamente da decenni, per un outsider “guerrigliero” come Paolo Barnard è proprio questo: aver storicamente tolto, agli elettori, ogni possibilità di incidere realmente nei destini della comunità, nazionale e internazionale, facendo semplicemente piazza pulita di qualsiasi reale oppositore, di qualsiasi vero antagonista di un sistema che è teleguidato dalla grande finanza paramassonica ma gode del pieno consenso della gran parte del pubblico, sempre passivo, ridotto a massa composita di ex cittadini trasformati in docili spettatori, in semplici consumatori, cui la relativa libertà del web consente di coltivare l’illusione della partecipazione, affidata ai social media e alle riserve indiane, i blog della cosiddetta controinformazione complottistica.Per Barnard, la politica occidentale è stata scientificamente colonizzata dal potere economico, a partire dagli anni ‘70, sulla scorta del Memorandum Powell tradotto in tutte le lingue, attraverso la Trilaterale dei Kissinger e dei Rockefeller, e declinato in manuali di propaganda che hanno fatto storia, fino alla “Crisi della democrazia” celeberata nel Vangelo di Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki, per arrivare ai Chigaco Boys di Milton Friedman e al Nobel per l’Economia assegnato al grande stratega europeo del governo “illuminato” dell’élite, l’austriaco Friedrick von Hayek. Università, editoria, informazione: un unico grande coro, per dire che il mercato ha sempre ragione, che “non c’è alternativa” (Thatcher), che bisogna rimuovere ogni ostacolo alla finanza speculativa (Bill Clinton). E’ così che la destra economica si è imposta anche sulla sinistra, colonizzando partiti, sindacati e leader, da Massimo D’Alema a Gerhard Schroeder, da Tony Blair a Romano Prodi, per affermare l’onnipotenza “storica” nel neoliberismo, fino all’ordoliberismo dei super-massoni Angela Merkel, Mario Draghi, Wolfgang Schaeuble, Giorgio Napolitano, Jacques Attali, Jens Weidmann, François Hollande.Cade Grillo, perdendo la sua residua “credibilità antisistema” proprio mentre si affaccia sugli Usa e sul mondo il nuovo regno del presidente Trump, presentatosi come alfiere del “popolo” contro l’oligarchia? Illusioni ottiche, sostiene l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone e scrittore, esperto di simbologia e studioso del potere come «schema astratto, che “fabbrica” persone utili si suoi scopi». Il super-potere apolide ha rottamato per via giudiziaria la Prima Repubblica italiana, gremita anche di personaggi come Craxi e Andreotti, scomodi per il nuovo vertice europeo che si doveva imporre? Vero, ma i partiti di Craxi e Andreotti «facevano i congressi con i morti, gestendo pacchetti di voti di militanti defunti da tempo». E i cittadini dov’erano? A casa, come sempre. Rassegnati alla “fine della storia” celebrata dall’ultimo cantore della Trilaterale, Francis Fukuyama. Persuasi della “morte delle ideologie”. Una liberazione? Al contrario: «L’ideologia – sottolina Carpeoro – contiene il futuro: è l’idea di come vorremmo la società fra trent’anni. C’è qualche politico, oggi, che pensa a un orizzonte che vada oltre i sei mesi?».Carpeoro è uno studioso dei Rosacroce, misteriosi antesignani dell’anarchismo socialista utopico e pre-marxista, le cui prime parole d’ordine sono probabilmente contenute nel manifesto “Fama Fraternitatis”, che nel 1614 chiedeva l’abolizione della proprietà privata e dei confini tra le nazioni. Un mondo migliore, liberato dalla logica del dominio, la cui comparsa sulla Terra uno studioso come Francesco Saba Sardi fa risalire addirittura al neolitico, con la scoperta dell’agricoltura e l’improvvisa necessità di possedere terre, gestirle, difenderle, conquistarle. Proprio l’esigenza di sudditi, destinati a lavorare e combattere, secondo Saba Sardi partorì “l’invenzione” della religione, da parte del re-sacerdote, come pretesto per l’obbedienza e la sottomissione, da cui – per successiva e ulteriore degenerazione – nacque il Magus, l’uomo del potere che utilizza la conoscenza per manipolare la comunità.E’ una storia lunga 12.000 anni, con di mezzo imperi e dominazioni, millenni di evoluzione, grandiosi progressi, guerre, rivoluzioni. Per Carpeoro, però, siamo ancora e sempre prigionieri del cerchio magico tracciato da Magus di turno: all’interno del cerchio vivono promesse di miracoli, fuori dal cerchio ci minaccia il Nemico. «Rompere il cerchio significa imparare a chiedersi perché, il perché delle cose». Ovvero: «Perché questo sistema prevede che, perché noi stiamo meglio, altri devono per forza stare peggio?». Il Magus ha una caratteristica invariabile: non rischia mai, davvero. Durante la sanguinosa fase storica della decolonizzazione, nel secondo ‘900, l’ideologia comunista ha partorito personaggi come Patrick Lumumba, Ernesto Che Guevara, Thomas Sankara. Hanno tutti pagato, con la vita, il prezzo delle loro idee. Loro la vedevano, eccome, la proiezione nel tempo della società ideale. Oggi invece – altra epoca, altro millennio – i più restano a casa, con idee a portata di click, limitandosi ad assistere alla caduta del Magus di turno, senza mai mettere in discussione – nella vita quotidiana – il potere che l’aveva creato, per accomodare il pubblico nel suo rassicurante cerchio magico. Poi il cerchio esplode, come una bolla di sapone, nel lutto degli adepti. Il potere invece se la ride, sta già fabbricando il Magus che verrà.Incoerenza e fellonia conclamata anche da parte dei 5 Stelle, il cui vertice si schiera sottobanco con l’establishment euro-economicida tentando, ancora, di raccontare ai follower e agli elettori italiani la favola bella della rivoluzione gentile a colpi di democrazia diretta via Casaleggio Associati? Se c’è un capolavoro assoluto e perfetto, a cura del potere che ci manipola incessamente da decenni, per un outsider “guerrigliero” come Paolo Barnard è proprio questo: aver storicamente tolto, agli elettori, ogni possibilità di incidere realmente nei destini della comunità, nazionale e internazionale, facendo semplicemente piazza pulita di qualsiasi reale oppositore, di qualsiasi vero antagonista di un sistema che è teleguidato dalla grande finanza paramassonica ma gode del pieno consenso della gran parte del pubblico, sempre passivo, ridotto a massa composita di ex cittadini trasformati in docili spettatori, in semplici consumatori, cui la relativa libertà del web consente di coltivare l’illusione della partecipazione, affidata ai social media e alle riserve indiane, i blog della cosiddetta controinformazione complottistica.
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Bauman: addio umanità, schiavizzata da un’élite di parassiti
«Le opere di Bauman, che, per quanto fortunate editorialmente, sono state cibo per pochi, purtroppo, sono un tesoro cui attingere per comprendere le ingiustizie del tempo presente, denunciarle, e se possibile, combatterle». Così Angelo d’Orsi ricorda su “Micromega”, all’indomani della sua scomparsa, il grande sociologo polacco Zigmunt Bauman, massone progressista e celebrato teorico della “società liquida”: «Il messaggio che ci affida è appunto di non smettere di scavare sotto la superficie luccicante del “mondo globale”, come ce lo raccontano media e intellettuali mainstream, che non solo hanno rinunciato al ruolo di “legislatori”, trasformandosi compiutamente in meri “interpreti”, ossia tecnici, ma sono diventati laudatores dei potenti». Nato a Poznan nel 1925, Bauman aveva attraversato il “tempo di ferro e di fuoco” dell’Europa fra le due guerre, «tra nazismo, stalinismo, cattolicesimo oltranzista, antisemitismo». Di origine ebraica, «si era allontanato dalla sua terra, per sottrarsi proprio a una delle tante ondate di furore antiebraico, che da sempre la animano». Era stato comunista militante, poi allontanatosi dal marxismo canonico, fino alla “scoperta” di un grande italiano, Antonio Gramsci, «che lo aveva aiutato a leggere il mondo con occhi nuovi», rispetto alla vulgata marxista-leninista e alle scienze sociali angloamericane.Bauman aveva studiato sociologia a Varsavia, con maestri come Stanislaw Ossowski, prima di trasferirsi in Israele, all’università di Tel Aviv, e quindi a Leeds, in Inghilterra dove insegnò per decenni. «Sarebbe però riduttivo definirlo sociologo – scrive d’Orsi – sia per il tipo di sociologia da lui professata e praticata, poco accademica e nient’affatto canonica, sia per la vastità dello sguardo, la larghezza degli interessi, la molteplicità degli approcci». Filosofo, politologo, storico del tempo presente: uno studioso prolifico, autore di una cinquantina di opere, preziose per «l’osservazione critica della contemporaneità». Bauman si era occupato «in modo nient’affatto banale dell’Olocausto, messo in relazione alla modernità», in qualche modo riprendendo spunti di Max Horkheimer e Theodor Adorno, «puntando il dito contro l’ingegneria sociale e il predominio della tecnica (in questo vicino a Jürgen Habermas), che uccide la morale, contro l’elefantiasi burocratica che schiaccia gli individui senza aumentare l’efficienza del sistema sociale». In più, aggiunge d’Orsi, Bauman «aveva studiato la trasformazione degli intellettuali, passati da figure elevate, capaci di dettare l’agenda politica ai governanti, a meri tecnici amministratori del presente, al servizio del sistema». In altre parole: la degenerazione progressiva del potere.Fra i tanti meriti di questo pensatore, Angelo d’Orsi segnala «la sua capacità di descrivere gli esiti della forsennata corsa senza meta della società post-moderna, attraverso un’acutissima analisi del nostro mondo», in cui «la globalizzazione delle ricchezze ha oscurato quella ben più mastodontica, gravissima, delle povertà». Studiando “le conseguenze sulle persone”, ridotte a “scarti”, «residui superflui che vanno conservati soltanto fin tanto che possono esser consumatori», Bauman ha svelato «il volto cupo e tragico dell’ultra-capitalismo, feroce espressione di creazione e gestione della disuguaglianza tra gli individui, dove all’arricchimento smodato dei pochi ha corrisposto il rapido, crescente impoverimento dei molti». Quell’uomo, continua d’Orsi, «ci ha aiutato a guardare dietro lo specchio ammiccante del post-moderno, sotto la vernice lucente dell’asserito arricchimento generalizzato e universale, dietro lo slogan della “fine della storia”, ossia della proclamata nuova generale armonia tra Stati e gruppi sociali», oltre alla quale «era apparso l’altro volto della globalizzazione, ossia una terribile guerra dei ricchi ai poveri, ennesima manifestazione della lotta di classe dall’alto».Ha guardato, Bauman, alle “Vite di scarto” (altra sua opera), generate incessantemente «dall’infernale “megamacchina” del “finanzcapitalismo”», scrive sempre d’Orsi, citando un’espressione di un altro grande scomparso, Luciano Gallino. Il nuovo, grande problema denunciato da Bauman è il “capitalismo parassitario”: «Quella che chiamava “omogeneizzazione” forzosa delle persone (un concetto che richiama la pasoliniana “omologazione”), era l’altro volto della società anomica, che distrugge legami, elimina connessioni, scioglie il senso stesso della convivenza». Volumi, saggi, articoli, conferenze: «E’ come se quest’uomo mite e affabile avesse voluto tendere una mano a tutti coloro che dal processo di mostruosa produzione di denaro attraverso denaro, erano esclusi; quasi a voler “salvare”, con le sue parole, gli schiacciati dai potentati economici, a voler dar voce a quanti, in una “Società sotto assedio” (ancora un suo titolo), dominata dalla paura, dal rancore, dall’ostilità, vedevano e vedono le proprie vite disintegrate».I “Danni collaterali”, elencati in uno dei suoi ultimi libri, «sono in realtà l’essenza di questa società, che egli ha definito, felicemente, “liquida”, con una trovata che è poi divenuta formula, ripetuta, un po’ stucchevolmente, negli ultimi anni, applicata a tutti gli ambiti del vivere in comune», scrive ancora Angelo d’Orsi, nel suo intervento su “Micromega”. «Liquida è questa nostra società, che ha perso il senso della comunità, priva di collanti al di là del profitto e del consumo: una società il cui imperativo, posto in essere dai ricchi contro i poveri, dai potenti contro gli umili, è ridotto alla triade “Produci/Consuma/Crepa”». Di conseguenza, diventano tristemente “liquidi” anche «i rapporti umani», così come la cultura. In altre parole: «Liquido tutto il nostro mondo, che sta crollando mentre noi fingiamo di non accorgercene».«Le opere di Bauman, che, per quanto fortunate editorialmente, sono state cibo per pochi, purtroppo, sono un tesoro cui attingere per comprendere le ingiustizie del tempo presente, denunciarle, e se possibile, combatterle». Così Angelo d’Orsi ricorda su “Micromega”, all’indomani della sua scomparsa, il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, massone progressista e celebrato teorico della “società liquida”: «Il messaggio che ci affida è appunto di non smettere di scavare sotto la superficie luccicante del “mondo globale”, come ce lo raccontano media e intellettuali mainstream, che non solo hanno rinunciato al ruolo di “legislatori”, trasformandosi compiutamente in meri “interpreti”, ossia tecnici, ma sono diventati laudatores dei potenti». Nato a Poznan nel 1925, Bauman aveva attraversato il “tempo di ferro e di fuoco” dell’Europa fra le due guerre, «tra nazismo, stalinismo, cattolicesimo oltranzista, antisemitismo». Di origine ebraica, «si era allontanato dalla sua terra, per sottrarsi proprio a una delle tante ondate di furore antiebraico, che da sempre la animano». Era stato comunista militante, poi allontanatosi dal marxismo canonico, fino alla “scoperta” di un grande italiano, Antonio Gramsci, «che lo aveva aiutato a leggere il mondo con occhi nuovi», rispetto alla vulgata marxista-leninista e alle scienze sociali angloamericane.
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Zero Anthropology: l’Impero sta cominciando a perdere
Quello che si è appena concluso è stato probabilmente «l’anno più memorabile degli ultimi decenni, un accumulo incessante di punti di svolta e di eventi significativi». La morte di Fidel Castro, la riconquista di Aleppo in Siria, la Brexit che certifica il “coma profondo” dell’Ue, la sconfitta di Hillary Clinton, la non-colonizzazione definitiva della Libia. Per il blog internazionale “Zero Anthropology”, «abbiamo cominciato ad assistere alla fine del globalismo, all’ascesa della de-globalizzazione e al tramonto dell’imperialismo neoliberale». Ovvero: «Non solo le nazioni tornano ad avere importanza, ma si riaffermano anche le storie locali e le stesse forze regionali». Qualcuno ha scritto che, con la dipartita di Fidel, è finito davvero il ‘900. Per “Zero Anthropology” se n’è andata «una figura monumentale nella storia del mondo, un gigante dei Caraibi che ha segnato gli eventi in tutto il mondo per decenni». Sopravvissuto a 638 tentativi di assassinio da parte degli Stati Uniti, nel corso di 11 diverse amministrazioni presidenziali, il combattente Castro «è morto per cause naturali, non imperiali».Un uomo «di enorme intelligenza, in confronto al quale la maggior parte dei nostri leader sembrano dei bambini sciocchi». Si è distinto come «il padre della decolonizzazione e dell’anti-imperialismo». Resta «un’eredità vivente, un punto di riferimento ineludibile», scrive “Zero Anthropology” in un post tradotto da “Voci dall’Estero”. Quindi la vittoria contro l’Isis ad Aleppo: «Finalmente la Siria ha fatto un progresso enorme nella bonifica del suo territorio, in un importante punto di svolta della lunga guerra per procura finalizzata al cambio di regime combattuta dagli Stati Uniti e dai loro alleati del Golfo. Liberati dalla barbarie assoluta delle forze terroristiche che li hanno tenuti in ostaggio nella loro città per anni, gli abitanti di Aleppo sono usciti in massa per festeggiare la vittoria del loro governo nazionale, e anche per festeggiare il Natale. La Siria così ha testimoniato coi fatti che non avrebbe accettato di essere ridotta alla terra di nessuno di un piccolo club di stati imperiali che si autodefinisce “comunità internazionale”».I funzionari degli Stati Uniti, che avevano affermato che “Assad se ne deve andare” e che “i giorni di Assad sono contati” ora stanno facendo le valigie e preparandosi a partire, nei loro ultimi giorni al potere, «cacciati da milioni di persone che hanno preso parte ad uno sconvolgimento politico epocale negli stessi Stati Uniti», continua “Zero Anthropology”. Parla da sola, infatti, «l’eccezionale sconfitta di Hillary Clinton, e con lei della politica dell’imperialismo liberale, del potere dell’industria della pubblicità, delle pubbliche relazioni, della propaganda, della classe istituzionalizzata degli esperti e, soprattutto, dei mezzi di comunicazione di massa». I perdenti, continua il blog, stanno ancora cercando disperatamente di gestire questa sconfitta, cercando di trasformarla in qualcos’altro. «Il loro metodo è il solito, quello che li ha portati a una tale meritata sconfitta: la negazione di ogni responsabilità per le conseguenze delle loro politiche, e una negazione della realtà».Per “Zero Anthropology” il neoliberalismo utopistico, con le sue illusioni sostenute dalle lobby e dai think tank grazie a massicce infusioni di denaro, ha oltrepassato il suo apice e ora è rimasto nudo al freddo, a mormorare confusamente: “La Russia, è stata la Russia…è stato Putin”. Tutto questo è stato preceduto da un’avvisaglia altrettanto clamorosa, la Brexit: «Uno dei motori della globalizzazione neoliberalista che al suo interno ha determinato delle condizioni di integrazione disuguali, l’Unione Europea, continua ad arrancare». Il voto pro Brexit nel Brexit nel Regno Unito contribuisce a classificare il 2016 come «un anno cruciale per la storia europea», insieme anche al referendum italiano del 4 dicembre, con la vittoria del No «con margini che nessuno aveva previsto». Gli eventi dall’altra parte dell’Atlantico, poi, «non hanno fatto che rafforzare la causa dell’autodeterminazione nazionale».Secondo “Zero Anthropology”, inoltre, il 2016 «ha finalmente visto il ritorno della classe operaia, riammessa nel vocabolario politico dallo stesso mainstream che per decenni ha cercato di farla sparire, insieme con il concetto di imperialismo». Una modalità di potere che, in Libia, secondo il blog si è impantanata: il paese di Gheddafi «ha continuato ad essere una zona di devastazione imperialista e di caos», eppure «nel 2016 il piano che prevedeva la trasformazione del paese in un nuovo protettorato delle Nazioni Unite è andato in pezzi». Da un lato, i libici «si sono rifiutati di cedere le redini del proprio futuro», e gli alleati della regione «si affermano come mediatori di potere più significativi rispetto agli Stati Uniti, lontani e ormai indeboliti».Quello che si è appena concluso è stato probabilmente «l’anno più memorabile degli ultimi decenni, un accumulo incessante di punti di svolta e di eventi significativi». La morte di Fidel Castro, la riconquista di Aleppo in Siria, la Brexit che certifica il “coma profondo” dell’Ue, la sconfitta di Hillary Clinton, la non-colonizzazione definitiva della Libia. Per il blog internazionale “Zero Anthropology”, «abbiamo cominciato ad assistere alla fine del globalismo, all’ascesa della de-globalizzazione e al tramonto dell’imperialismo neoliberale». Ovvero: «Non solo le nazioni tornano ad avere importanza, ma si riaffermano anche le storie locali e le stesse forze regionali». Qualcuno ha scritto che, con la dipartita di Fidel, è finito davvero il ‘900. Per “Zero Anthropology” se n’è andata «una figura monumentale nella storia del mondo, un gigante dei Caraibi che ha segnato gli eventi in tutto il mondo per decenni». Sopravvissuto a 638 tentativi di assassinio da parte degli Stati Uniti, nel corso di 11 diverse amministrazioni presidenziali, il combattente Castro «è morto per cause naturali, non imperiali».
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Grillo, Togliatti, l’Europa. E la marea degli elettori (grillini)
C’è qualcosa di sinistro, in quello che sembra il suicidio programmato del Movimento 5 Stelle, dopo il boom elettorale del 2013 che aveva punito l’esanime Bersani e lo stra-rottamato Berlusconi, entrambi reduci dal catastrofico sostegno al governo Monti-Troika, con l’ultra-rigore dei tagli sanguinosi alla spesa, il massacro sociale, la legge Fornero, il pareggio di bilancio in Costituzione. «Noi non siamo contro l’euro», chiarì Gianroberto Casaleggio intervistato da Travaglio alla vigilia delle europee 2014, come se si potesse stare all’opposizione del sistema in Italia ma non in Europa. Non fidatevi dei 5 Stelle, ammonì ripetutamente Paolo Barnard, che ai neo-parlamentari pentastellati aveva invano offerto un Piano-B per l’Italia (recupero di sovranità finanziaria) attraverso il team internazionale di economisti democratici guidato da Warren Mosler. Nemmeno tre anni dopo, si scopre che Grillo – dopo aver verbalmente “divorziato” dall’euro – ha manovrato segretamente al Parlamento Europeo per imbucare i 5 Stelle tra i massimi sostenitori dell’euro-establishment, per il giubilo dello stesso Monti.State attenti a Luigi Di Maio, avvertì nei mesi scorsi l’avvocato e saggista Gianfranco Carpeoro, quando la stella di Renzi si stava chiaramente appannando: «Se cade il premier, il potere ha già scelto Di Maio come suo successore, con la benedizione degli Usa, delle cui sedi diplomatiche il leader grillino è assiduo frequentatore». Da 5 Stelle a “stelle e strisce”, «attraverso i rapporti che legano Grillo a un personaggio come Michael Ledeen, che proviene da settori della massoneria reazionaria collegata all’intelligence». A Roma, prima di sprofondare negli imbarazzi dell’immobile giunta Raggi, i 5 Stelle avevano rifiutato – dopo averla pubblicamente apprezzata – la proposta “rivoluzionaria” avanzata dall’economista Nino Galloni: fare della capitale un avamposto dimostrativo e strategico per la rinascita della sovranità italiana, devastata dall’élite globalista pro-euro con la complicità della vera super-casta, quella non colpita da Tangentopoli.La candidatura di Galloni, propugnata dal massone progressista Gioele Magaldi, avrebbe rappresentato una sfida aperta ai registi della storica de-industrializzazione del paese, ormai sottomesso alla Germania, a sua volta ridotta a spietato guardiano di un’Europa programmaticamente in declino, da “smontare” dall’interno, scoraggiandone l’indipendenza e la proiezione economica verso la Russia. Se Alexis Tsipras è stato demolito da Bruxelles e “Podemos” non fa più paura a nessuno, a inquietare i dominus Ue del dopo-Brexit è soprattutto Marine Le Pen. In ogni modo – anche con le recenti missioni diplomatiche dello stesso Di Maio – i 5 Stelle hanno rimarcato la loro distanza sostanziale da qualsiasi prospettiva “eversiva”, rispetto all’ordoliberismo euro-teutonico fondato sulla mortificazione della spesa strategica, quindi sui tagli che producono solo crisi e disoccupazione. Dai 5 Stelle, nessuna vera ricetta alternativa: solo la proposta di irrobustire gli ammortizzatori sociali con il “reddito di cittadinanza”, da finanziare solo con tagli “intelligenti” alla spesa, senza cioè intaccare sistema, basato sul principio – aberrante – del rigore “istituzionale” imposto dall’Ue.Nel movimento-fenomeno creato in modo spettacolare da Grillo e gestito per via telematica, con consultazioni on-line ma senza congressi né contronti tra linee apertamente divergenti, le illusioni dell’“uno vale uno” hanno rivelato, in controluce, tutt’altra realtà: a suon di esplusioni e “scomuniche”, è emersa una versione 2.0 del “centralismo democratico” togliattiano, un nuovo unanimismo con in più una vocazione – leninista – a non rivelare mai, apertamente, il vero obiettivo strategico: la logica sembra quella dei continui sacrifici democratici, la perenne autocensura richiesta alla base, in nome del bene supremo e quasi fideistico, il Sol dell’Avvenire. Finora, come riconosce anche il mainstream, il “format” 5 Stelle ha funzionato benissimo, se non altro come formidabile “gatekeeper” per drenare e canalizzare il dissenso, contenendolo nei binari della prassi democratica. Ma a che prezzo? E a vantaggio di chi?Se la lucidità del “popolo grillino” deve anche fatalmente fare i conti con la passione fisiologica che travolge ogni genuina tifoseria, laddove si pretende che le proprie pecche siano sempre deformate, ingigantite e strumentalizzate dal perfido nemico, diabolico per definizione, i soliti implacabili sondaggi (ovviamente gestiti dallo stesso mainstream) si divertono a rilevare un calo dei consensi, a partire dall’agonia romana per arrivare all’harakiri di Strasburgo. L’inizio della fine? Di fatto, quasi un elettore italiano su tre ha manifestato – votando 5 Stelle – la propria volontà di radere al suolo un sistema letteralmente marcio, chiedendo essenzialmente aria pulita. Il calo della “pazienza” di molti elettori può segnalare il tramonto di una leadership solo in apparenza democratica, ma in realtà piuttosto “sovietica”? E il disastro del Parlamento Europeo – con gli stessi liberali ultra-euro che, in extremis, sconfessano il patto segreto con Grillo – costringerà il “popolo” pentastellato a domandarsi, finalmente, che Europa vuole e come intende arrivarci, per mettere in sicurezza l’Italia, cestinando i comodi slogan tattici dei vari Di Battista contro le piccole caste e il piccolo malaffare delle banche?C’è qualcosa di sinistro, in quella che sembra l’anteprima del possibile suicidio programmato del Movimento 5 Stelle, dopo il boom elettorale del 2013 che aveva punito l’esanime Bersani e lo stra-rottamato Berlusconi, entrambi reduci dal catastrofico sostegno al governo Monti-Troika, con l’ultra-rigore dei tagli sanguinosi alla spesa, il massacro sociale, la legge Fornero, il pareggio di bilancio in Costituzione. «Noi non siamo contro l’euro», chiarì Gianroberto Casaleggio intervistato da Travaglio alla vigilia delle europee 2014, come se si potesse stare all’opposizione del sistema in Italia ma non in Europa. Non fidatevi dei 5 Stelle, ammonì ripetutamente Paolo Barnard, che ai neo-parlamentari pentastellati aveva invano offerto un Piano-B per l’Italia (recupero di sovranità finanziaria) attraverso il team internazionale di economisti democratici guidato da Warren Mosler. Nemmeno tre anni dopo, si scopre che Grillo – dopo aver verbalmente “divorziato” dall’euro – ha manovrato segretamente al Parlamento Europeo per imbucare i 5 Stelle tra i massimi sostenitori dell’euro-establishment, per il giubilo dello stesso Monti.
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Dietro i sorrisi di Obama, un’eredità di menzogne e di morte
Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e Turchia per un accordo politico sulla Siria. Incontro da cui erano esclusi gli Stati uniti. Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi “maligni” hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton. Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama. Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.Ciò ha impedito che lo Stato siriano fosse smantellato come quello libico e ha permesso alle forze governative di liberare vaste aree controllate per anni da Isis, Al Nusra e altri movimenti terroristici funzionali alla strategia Usa-Nato. Riforniti di armi, pagate con miliardi di dollari da Arabia Saudita e altre monarchie, attraverso una rete internazionale della Cia (documentata dal “New York Times” nel marzo 2013) che le faceva arrivare in Siria attraverso la Turchia, avamposto Nato nella regione. Ora però, di fronte all’evidente fallimento dell’operazione, costata centinaia di migliaia di morti, Ankara se ne tira fuori aprendo un negoziato con l’intento di ricavarne il massimo vantaggio possibile. A tal fine ricuce i rapporti con Mosca, che erano giunti al punto di rottura, e prende le distanze da Washington. Uno smacco per il presidente Obama. Questi, però, prima di passare il bastone di comando al neoeletto Trump, spara le ultime cartucce.Nascosta nelle pieghe dell’autorizzazione della spesa militare 2017, firmata dal presidente, c’è la legge per «contrastare la disinformazione e propaganda straniere», attribuite in particolare a Russia e Cina, la quale conferisce ulteriori poteri alla tentacolare comunità di intelligence, formata da 17 agenzie federali. Grazie anche a uno stanziamento di 19 miliardi di dollari per la “cybersicurezza”, esse possono mettere a tacere qualsiasi fonte di «false notizie», a insindacabile giudizio di un apposito “Centro” coadiuvato da analisti, giornalisti e altri «esperti» reclutati all’estero. Diviene realtà l’orwelliano Ministero della Verità che, preannuncia il presidente del parlamento europeo Martin Schultz, dovrebbe essere istituito anche dalla Ue.Escono potenziate dall’amministrazione Obama anche le forze speciali, che hanno esteso le loro operazioni coperte da 75 paesi nel 2010 a 135 nel 2015. Nei suoi atti conclusivi l’amministrazione Obama ha ribadito il 15 dicembre il proprio appoggio a Kiev, di cui arma e addestra le forze, compresi i battaglioni neonazisti, per combattere i russi di Ucraina. E il 20 dicembre, in funzione anti-russa, il Pentagono ha deciso la fornitura alla Polonia di missili da crociera a lungo raggio, con capacità penetranti anti-bunker, armabili anche di testate nucleari. Del democratico Barack Obama, Premio Nobel per la Pace, resta ai posteri il suo ultimo messaggio sullo Stato dell’Unione: «L’America è la più forte nazione sulla Terra. Spendiamo per il militare più di quanto spendono le successive otto nazioni combinate. Le nostre truppe costituiscono la migliore forza combattente nella storia del mondo».(Manlio Dinucci, “L’eredità del democratico Barack Obama”, da “Il Manifesto” del 3 gennaio 2017).Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e Turchia per un accordo politico sulla Siria. Incontro da cui erano esclusi gli Stati Uniti. Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi “maligni” hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton. Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama. Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.
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Barnard: ci sveglieremo in altro pianeta, e nessuno ne parla
«Casaleggio vide lungo: voleva creare la società civile del click da casa, tutto si fa in casa sul divano, in rete», ma «era un principiante: Facebook-Vr sarà la più devastante paralisi civica dlla storia, un fenomeno che non sfiorò neppure i sogni del padre della paralisi civica programmata, Edward Bernays». Parola di Paolo Barnard, secondo cui il dilagare della cosiddetta realtà virtuale, da Zuckerberg a Oculus con i visori “Rift Headset”, ben fotografa i mutamenti epocali ormai dietro l’angolo: «Il mondo si sta letteralmente trasformando in un altro pianeta», mentre in Italia le news sono ancora firmate da Grillo e Formigoni, Mediaset-Vivendi, Gentiloni e Poletti. Il capo di stato maggiore dell’esercito britannico e il suo futuro omologo americano, scrive Barnard, stanno preparando gli eserciti alla guerra futura, che sarà “cyber”. Alla “Bbc” il generale Richard Barrons ha detto: «Non ci saranno più bombardieri e soldati, ma “cyber fighters”. La Russia di Putin ha fatto il primo passo, in questo, ed è avanti: hanno un milione di programmatori già affiliati a 40 reti illegali. Silicon Valley, Google e Nsa stanno arrancando dietro a Mosca».Le guerre, aggiunge il generale Barrons, saranno combattute «infiltrando le infrastrutture vitali di un paese avversario». Esempio: «Una notte le luci di tutta la Francia salteranno, e nel panico i francesi scopriranno che sono saltati anche i back-up, i server saranno tutti muti. Una potenza Nato messa in ginocchio in meno di un secondo, senza bombe». E che dire dell’energia? «Le rinnovabili uccideranno gli idrocarburi», scrive Barnard nel suo blog. «Questo lo si è capito ai massimi livelli in Usa, Cina, Arabia Saudita, ma soprattutto fra i colossi d’investimento. Chi segue “Carbon Tracker” si fa un’idea della furiosa corsa dei poteri mondiali per l’energia di domani, ma soprattutto del potenziale di conflitti mostruosi per la spartizione della torta. Tutti i paradigmi politici legati all’energia sono saltati, e l’energia è tutto. Miliardi di poveri del mondo rischiano di finire nelle mani degli investitori per accendere una lampadina, mille volte più di quanto non lo siano già oggi».Oltre ai conflitti “cyber”, poi, rimane l’atomica: «Se ci sarà conflitto nucleare sarà in due luoghi: il mar del Sud della Cina, dove gli Usa stanno tentando di tagliare le comunicazioni mercantili ed energetiche di Pechino; oppure nel Jammu-Kashmir, dove fra India e Pakistan la miccia atomica è letteralmente tutti i giorni a un centimetro dal fuoco», sostiene Barnard. Per non parlare della finanza: «Tutta Europa, e tutta la vita economica di ogni vivente oggi in Ue, è appesa al filo del “tapering” della Bce di Draghi. Il “tapering” è il momento certo e già annunciato nel quale la Bce finirà di tenere viva l’Europa comprandogli trilioni di euro di assets (statali e privati) che altrimenti nessuno vorrebbe o che avrebbero prezzi stracciati e tassi alle stelle». Il quantitative easing di Draghi «è oggi l’oggetto di discussione frenetica di tutti gli Ad di ogni singolo istituto finanziario del pianeta. C’è il totale panico, ed è panico vero», ma in Italia a tener banco sono solo la Raggi, Equitalia, i 104 indagati del Pd.Poche settimane fa, aggiunge Barnard, il più grande gruppo assicurativo del mondo, Ing, ha convocato un seminario con oltre 600 esperti mondiali sulla “glocalization”. Letteralmente, per Google: «Diffusione su scala mondiale, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, di elementi culturali, idee, stili di vita propri di realtà locali». Ma anche: «Strategia economica e politica volta a correggere gli aspetti più problematici della globalizzazione, sfruttandone le opportunità per valorizzare a livello mondiale il ruolo di governi, mercati o imprese locali». Per Wikipedia, il neologismo introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman significa: «Adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali». E quindi: «La creazione o distribuzione di prodotti e servizi ideati per un mercato globale o internazionale, ma modificati in base alle leggi o alla cultura locale», nonché «l’uso di tecnologie di comunicazione elettronica, come Internet, per fornire servizi locali su base globale o internazionale. Craigslist e Meetup sono esempi di applicazioni web glocalizzate». E infine: «La creazione di strutture organizzative locali, che operano su culture e bisogni locali, al fine di diventare multinazionali o globali. Questo comportamento è stato seguito da varie aziende e corporation, ad esempio dall’Ibm».Per Barnard, «è il fenomeno inverso della vecchia globalizzazione e dell’“outsourcing” dei posti di lavoro verso paesi a manodopera per pochi centesimi (Cina, Thailandia, Messico, Bangladesh)». Domanda: perché la “glocalization” sta diventando un altro tema di fibrillazione dei colossi e delle think-tank del mondo occidentale? «Perché anche qui tutti i paradigmi della produzione industriale sono saltati: siamo in un incubo d’incognite su cosa accadrà nel processo di “glocalization” ai nostri impieghi, alle nostre economie. Un intero mondo è di nuovo saltato in frantumi nel cosmo». Da noi chi ne parla? Nessuno. «Oggi le parole di filosofia politica e morale più impressionanti escono dalla bocca di uomini come Ray Dalio, Ceo di Bridgewater, hedge fund “monster”. O da Bill Gross, l’ex Re Mida di Pimco, il più grande gestore di “fixed income” del mondo», investitori in azioni private e titoli di Stato. «Parlano di informazione, di moralità nell’economia, delle strutture sociali, del senso della morte persino, ma lo fanno però con la conoscenza degli strumenti dei padroni del mondo, cioè con la conoscenza del motore che fa vivere o morire 7 miliardi di umani. Questo fa una differenza incredibile». Perfettamente inutili, dice Barnard, «gli sproloqui di filosofi o intellettuali contemporanei», perché «non sanno nulla del motore che fa vivere o morire 7 miliardi di umani». Conclusione: tutto sta cambiando alla velocità della luce, e nessuno ce lo spiega.«Casaleggio vide lungo: voleva creare la società civile del click da casa, tutto si fa in casa sul divano, in rete», ma «era un principiante: Facebook-Vr sarà la più devastante paralisi civica dlla storia, un fenomeno che non sfiorò neppure i sogni del padre della paralisi civica programmata, Edward Bernays». Parola di Paolo Barnard, secondo cui il dilagare della cosiddetta realtà virtuale, da Zuckerberg a Oculus con i visori “Rift Headset”, ben fotografa i mutamenti epocali ormai dietro l’angolo: «Il mondo si sta letteralmente trasformando in un altro pianeta», mentre in Italia le news sono ancora firmate da Grillo e Formigoni, Mediaset-Vivendi, Gentiloni e Poletti. Il capo di stato maggiore dell’esercito britannico e il suo futuro omologo americano, scrive Barnard, stanno preparando gli eserciti alla guerra futura, che sarà “cyber”. Alla “Bbc” il generale Richard Barrons ha detto: «Non ci saranno più bombardieri e soldati, ma “cyber fighters”. La Russia di Putin ha fatto il primo passo, in questo, ed è avanti: hanno un milione di programmatori già affiliati a 40 reti illegali. Silicon Valley, Google e Nsa stanno arrancando dietro a Mosca».
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Chi ha ucciso Olof Palme? Un atto di guerra, contro tutti noi
«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.
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Nuova Tangentopoli, ci risiamo? Ma stavolta senza Piano-B
Vincenzo De Luca indagato per voto di scambio, Beppe Sala per l’Expo, la romana Paola Muraro per reati ambientali, Raffaele Marra per corruzione, Luca Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio. Sotto tiro un po’ tutti, da Renzi alla Raggi. «In meno di una settimana piovono avvisi di garanzia, arresti, interrogatori fiume: sembrano tornati i tempi di Mani Pulite», scrive Aldo Giannuli, che osserva: si tratta di casi non esattamente “freschi”, lasciati dormire per mesi e fatti esplodere solo dopo il referendum: «E’ come se il 4 dicembre sia scattato il via libera», così adesso «piovono sberle», con alcuni giornali che lasciano capire che «dopo Lotti seguirebbe il padre di Renzi, poi Renzi stesso». In attesa che emergano elementi certi, aggiunge Giannuli, «non possiamo non notare questa nuova somiglianza con il 1992-93: allora fu una ondata di inchieste giudiziarie che precedette un referendum chiave», quello sulla legge elettorale maggioritaria. «Ora sembra il contrario: un referendum che apre la strada ad una valanga giudiziaria». E se all’inizio degli anni ‘90 lo tsunami di Tangentopoli aiutò ad affermarsi «un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziaria e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare», oggi è l’esatto contrario: «L’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare».Gli Usa, scrive Giannuli sul suo blog, conservano ancora consistenti residui dell’ordine monopolare: il controllo della moneta di riferimento internazionale, una supremazia militare scossa dalle sconfitte mediorientali ma che ne fa ancora la maggiore potenza mondiale, militare e finanziaria, con peso preponderante negli organismi internazionali. Ma gli Stati Uniti «non hanno più la forza di imporre unilateralmente le decisioni della comunità internazionale, non riescono ad avere un colpo d’ala che li trascini fuori dalla crisi, e questo determina un malessere interno che si è espresso nell’elezione di Trump». D’altra parte, i Brics sono fortemente cresciuti: paesi emergenti come Messico, Indonesia e Corea si stanno affermando sul piano economico, India e Cina stanno diventando anche potenze militari, mentre la Russia lo sta ridiventando. Tuttavia «iniziano a risentire della crisi euro-americana», quindi «hanno perso lo slancio economico di otto anni fa», e ancora «non riescono a sovvertire la preponderanza americana». In altre parole, «gli Usa non hanno più la forza imperiale di vent’anni fa, ma hanno la forza per impedire che si affermi un equilibrio multipolare basato su grandi potenze regionali». A loro volta, «i Brics hanno la forza per impedire l’ordine monopolare, ma non quella per ricacciare gli Usa entro la rispettiva area regionale».Per di più, continua Giannuli, «c’è una profonda asimmetria fra i paesi occidentali, a regime liberaldemocratico e ad economia liberista, nei quali la finanza ha un forte potere condizionante, ed i paesi emergenti, in particolare Russia e Cina, dove il potere politico ha assai meno condizionamenti ed in cui sussistono molti elementi di capitalismo di Stato». E così «non abbiamo due ipotesi di ordine mondiale» ma, di fatto, «nessun ordine mondiale vigente», mentre i vari “attori” si sfidano indirettamente in tante crisi locali sempre più numerose: Ucraina, Siria, Iran, Oceano Pacifico, Oceano Indiano. Crisi che, «per ora, scaricano la tensione che si va accumulando», in una situazione di “stallo instabile”. A monte, s’è inceppato il motore dell’Occidente, «investito da una crisi finanziaria che è man mano divenuta economica, con i tassi occupazionali più bassi dell’ultimo trentennio, una massiccia erosione dei salari e una conseguente caduta dei consumi». Il suo eccezionale prolungamento – di fatto, questa è l’unica crisi paragonabile alla Grande Depressione del 1929 – sta ora ripercuotendosi sui paesi fornitori di materie prime (Brasile in primo luogo, ma anche Russia ) e sui paesi in cui era stata delocalizzata la manifattura (in particolare la Cina, che resiste in parte grazie alla tenuta del mercato interno).Di fronte a questo andamento economico-finanziario, continua il politologo dell’ateneo milanese, le banche centrali e quelle di investimento «non hanno trovato altro rimedio che continue ondate di liquidità che hanno avuto soprattutto l’effetto di ingigantire il debito grazie al meccanismo degli interessi». La sostanza è che «le classi dirigenti rifiutano di prendere atto dell’origine della crisi», cioè «la strutturazione iper-finanziaria dei mercati, che ha trovato sfogo prima nel crollo dei mutui sub-prime e dopo nello scoppio delle successive bolle delle materie prime e nel gonfiamento dei debiti pubblici». Dell’enorme massa di liquidità emessa, ben poco è andato all’economia reale (forse neppure il 10%) mentre il resto ha trovato re-impieghi finanziari: «Si è affermato un modello di “produzione di denaro a mezzo denaro” saltando il passaggio della merce che nessuno ha messo o mette in discussione». Allo stesso modo, nessuno ha contestato «l’assurdo ordinamento tributario punitivo nei confronti dei ceti medi e delle classi subalterne», che premia «le grandi centrali finanziarie».Globalizzazione finanziaria: «La mobilità incontrollata dei capitali ha di fatto concesso al grande capitale privato di scegliersi lo Stato cui pagare le tasse». L’inevitabile risultato «è stata una fortissima pressione fiscale dei paesi più indebitati (come Grecia, Portogallo e Italia) che sta soffocando ogni possibilità di ripresa di quei paesi». Non è strano che non ci siano stati ravvedimenti: «Rivedere le regole dell’ordinamento neoliberista implicherebbe una secca perdita di potere delle classi capitalistiche». D’altra parte, «la persistenza del sistema di potere neoliberista è anche prodotta dalla assenza di una opposizione interna al sistema politico: la completa omologazione delle socialdemocrazie al neoliberismo, di cui, ormai, sono solo una piccola variante, ha privato il sistema di ogni possibilità ai autocorrezione». E questo, conclude Giannuli, è il principale motivo dell’ondata neoliberista che si è scatenata tanto in Europa, quanto negli Usa. «La crisi continua a mordere, e non c’è una ipotesi riformista». Risultato: «L’elettorato vota partiti neo-populisti, prevalentemente di destra», protestando contro l’immigrazione di massa e contro un ordinamento che, «minando il principio di sovranità nazionale, svuota di significato il principio della sovranità popolare e, di conseguenza, la democrazia».Il fenomeno dell’immigrazione? «Un comodo nemico su cui scaricare la colpa di tutto, un po’ come con gli ebrei nella crisi degli anni Trenta», con l’aggravante che, oggi, «la coincidenza con il terrorismo jihadista fornisce alimento all’industria della paura». La sinistra non-liberista? Non pervenuta: sulla questione migranti, la sinistra europea – dalla Linke a “Podemos” – non va oltre «un genericissimo internazionalismo venato di buonismo», senza riuscire a prospettare «una concreta politica di accoglienza e integrazione». Silenzio anche su globalizzazione, Ue e euro: la sinistra «teme ogni presa di distanza», leggendola come «un ritorno al nazionalismo, di cui diffida». Il risultato è «una sostanziale paralisi, che rende irrilevante la sinistra che non vuole i tecnocrati di Bruxelles e le politiche di austerità, ma difende l’euro (come se le due cose fossero estranee l’una all’altra), e si accontenta di favoleggiare su “un nuovo euro” che nei fatti non può esistere». Così la piccola trincea della sinista diventa «irrilevante, nello scontro fra l’ondata populista e l’establishment». Per troppo tempo questa sinistra «ha smesso di studiare», di capire la crisi. E ora subisce anch’essa «una ondata di protesta che delegittima le classi dirigenti dall’interno», creando «una condizione favorevole al crollo del sistema politico italiano ancora più spiccata che nel 1992-93».Vincenzo De Luca indagato per voto di scambio, Beppe Sala per l’Expo, la romana Paola Muraro per reati ambientali, Raffaele Marra per corruzione, Luca Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio. Sotto tiro un po’ tutti, da Renzi alla Raggi. «In meno di una settimana piovono avvisi di garanzia, arresti, interrogatori fiume: sembrano tornati i tempi di Mani Pulite», scrive Aldo Giannuli, che osserva: si tratta di casi non esattamente “freschi”, lasciati dormire per mesi e fatti esplodere solo dopo il referendum: «E’ come se il 4 dicembre sia scattato il via libera», così adesso «piovono sberle», con alcuni giornali che lasciano capire che «dopo Lotti seguirebbe il padre di Renzi, poi Renzi stesso». In attesa che emergano elementi certi, aggiunge Giannuli, «non possiamo non notare questa nuova somiglianza con il 1992-93: allora fu una ondata di inchieste giudiziarie che precedette un referendum chiave», quello sulla legge elettorale maggioritaria. «Ora sembra il contrario: un referendum che apre la strada ad una valanga giudiziaria». E se all’inizio degli anni ‘90 lo tsunami di Tangentopoli aiutò ad affermarsi «un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziaria e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare», oggi è l’esatto contrario: «L’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare».
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Lo squallore di Obama, il bugiardo più pericoloso del mondo
Eh sì, ora potete verificare di persona che tipo di persona sia Barack Obama. E soprattutto potete rendervi conto di quanto importante e destabilizzante sia stata la vittoria di Trump, che ha posto fine a un lunghissimo periodo di potere esercitato da un gruppo élitario – neoconservatore ma non solo – che, ha dominato Washington, rovinando sia gli Usa sia il mondo. Circa tre settimane fa in un’intervista al blog di Beppe Grillo affermavo che l’establishment di Obama, che aveva le sue radici strategiche e ideologiche nell’amministrazione Bush, avrebbe fatto di tutto per mettere in difficoltà o addirittura impedire l’elezione di Trump. Avete visto cos’è successo negli Stati Uniti: manifestazioni di piazza, riconteggio dei voti in alcuni Stati, pressioni senza precedenti sui Grandi Elettori affinché rinnegassero il voto popolare. Tutto inutile, per fortuna. Per fermare Trump restano solo due modi: un colpo di stato parlamentare o l’eliminazione fisica. Entrambi non ipotizzabili, al momento.La reazione scomposta di Obama in questi giorni, però, non rivela solo la stizza di un presidente uscente e la scarsa caratura di un uomo ampiamente sopravvalutato, evidenzia soprattutto la frustrazione di un clan che vede svanire il perseguimento dei propri obiettivi strategici. Infatti: gli Usa hanno perso la guerra in Siria, combattuta la fianco dei peggiori gruppi fondamentalisti. Nessun rappresentante dell’establishment uscente è stato eletto nei posti chiave dell’amministrazione Trump. La globalizzazione e il continuo smantellamento delle sovranità nazionali non sono più garantite, anzi rischiano di essere fermate da Trump che crede nei valori e negli interessi nazionali. L’obiettivo di conquistare il controllo dell’Eurasia, facendo cadere Putin, sostituendolo con un presidente filomaericano, è fallito; Putin oggi è più forte che mai. Persino Israele, che si è subito allineata a Trump, è diventata ostile. Il via libera alla Risoluzione Onu rappresenta un’inversione a “U” clamorosa e dai chiari intenti punitivi.Le ultime decisioni dell’amministrazione Obama segnalano il tentativo di far deragliare il nuovo corso di Trump o perlomeno di metterlo in fortissima difficoltà sia con Israele, sia, soprattutto, con la Russia. La speranza segreta della Casa Bianca era che Putin potesse cedere a una reazione impulsiva, tale da mettere davvero in imbarazzo Trump. E invece il presidente russo ha tenuto i nervi a posto. Anzi ha dato a Obama l’ennesima lezione di stile, rifiutandosi di espellere a propria volta 35 diplomatici americani. Le nuove sanzioni e l’espulsione di 35 diplomatici russi sono comunque un colpo basso, tale da provocare tensioni con il Congresso, ma non così gravi da far desistere Trump dall’avviare un nuovo corso con Putin. Quanto alle accuse di ingerenze russe nel voto americano sono risibili, pretestuose. Quel che conta, alla fine di un incredibile 2016, è la sostanza. Ovvero: il clan che ha governato l’America per almeno 16 anni lascia per la prima volta il potere. E chi si è opposto, dentro e fuori gli Usa, a politiche egemoniche autenticamente neoimperiali trova motivi di speranza. Ed è un’ottima notizia per il mondo.(Marcello Foa, “Che squallore Obama! Ora capite che uomo è (e perché Trump fa tanta paura)”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 30 dicembre 2016).Eh sì, ora potete verificare di persona che tipo di persona sia Barack Obama. E soprattutto potete rendervi conto di quanto importante e destabilizzante sia stata la vittoria di Trump, che ha posto fine a un lunghissimo periodo di potere esercitato da un gruppo elitario – neoconservatore ma non solo – che, ha dominato Washington, rovinando sia gli Usa sia il mondo. Circa tre settimane fa in un’intervista al blog di Beppe Grillo affermavo che l’establishment di Obama, che aveva le sue radici strategiche e ideologiche nell’amministrazione Bush, avrebbe fatto di tutto per mettere in difficoltà o addirittura impedire l’elezione di Trump. Avete visto cos’è successo negli Stati Uniti: manifestazioni di piazza, riconteggio dei voti in alcuni Stati, pressioni senza precedenti sui Grandi Elettori affinché rinnegassero il voto popolare. Tutto inutile, per fortuna. Per fermare Trump restano solo due modi: un colpo di stato parlamentare o l’eliminazione fisica. Entrambi non ipotizzabili, al momento.
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La giudice: questo regime fascista chiamato neoliberismo
Il tempo della retorica è finito, le cose vanno chiamate con il loro nome: il neoliberismo è il fascismo del XXI secolo. Lo afferma Manuela Cadelli su “Off-Guardian”, sito d’opinione creato da alcuni autori del celebre quotidiano inglese, scontenti della linea ufficiale del giornale. La Cadelli è presidente del sindacato dei magistrati belgi. Se il liberismo originario deriva dalla filosofia dell’Illuminismo, sviluppata per garantire ai cittadini «il rispetto delle libertà e l’emancipazione democratica», divenendo «il motore per l’ascesa, e il continuo progresso, delle democrazie occidentali», il neoliberalismo dei nostri giorni è invece «una forma di economicismo che colpisce continuamente tutti i settori della nostra comunità». In altre parole, «si tratta di una forma di estremismo». Il fascismo? Era «la subordinazione di ogni parte dello Stato a una ideologia totalitaria e nichilista». E dunque, «il neoliberalismo è una specie di fascismo, perché l’economia ha soggiogato non solo il governo dei paesi democratici, ma anche tutti gli aspetti del nostro pensiero: lo Stato è ora agli ordini dell’economia e della finanza, che lo trattano come un subordinato e spadroneggiano su di esso in misura tale da mettere in pericolo il bene comune».«L’austerità richiesta dall’ambiente finanziario è diventata un valore supremo, che sostituisce la politica», scrive Manuela Cadelli, nel post tradotto da “Voci dall’Estero”. «La necessità di risparmiare preclude il perseguimento di qualsiasi altro obiettivo pubblico». Siamo arrivati al punto in cui «si rivendica che il principio di ortodossia di bilancio dovrebbe essere incluso nelle Costituzioni statali», cosa che per l’Italia è già legge grazie al governo Monti, sorretto da Berlusconi e dal Pd. «La nozione di servizio pubblico è stata trasformata in una presa in giro», continua la Cadelli. «Il nichilismo che ne deriva rende possibile il rigetto dell’universalismo e dei valori umanistici più ovvi: la solidarietà, la fraternità, l’integrazione e il rispetto per tutti e per le differenze». Non c’è nemmeno più posto per la teoria economica classica: se prima il lavoro era «un elemento della domanda», e quindi «c’era rispetto per i lavoratori», da tempo «la finanza internazionale ne ha fatto una mera variabile di compensazione».Ogni totalitarismo, continua Cadelli, inizia con uno stravolgimento del linguaggio, come nel romanzo di George Orwell: «Il neoliberalismo ha la sua Neolingua e le sue strategie di comunicazione che gli permettono di deformare la realtà». In questo spirito, «ogni taglio di bilancio è rappresentato come un esempio di modernizzazione». Alcuni dei più poveri non hanno più accesso al rimborso per le spese mediche e di conseguenza interrompono le visite dal dentista? Pazienza, «è la modernizzazione della previdenza sociale in azione». Nella discussione pubblica «predomina l’astrazione, in modo da nascondere le concrete implicazioni per gli esseri umani». Così per tutto: «In relazione ai migranti, è imperativo che la necessità di ospitarli non conduca a lanciare pubblici appelli che le nostre finanze non potrebbero sostenere», trascurando il diritto (primario) alla solidarietà nazionale verso chi ha bisogno di assistenza.Ormai «predomina il darwinismo sociale», che assoggetta tutti a «criteri di efficienza nelle prestazioni assolutamente inflessibili», sicché «essere deboli vuol dire fallire». Per Manuela Cadelli, «vengono ribaltate le fondamenta della nostra cultura: ogni premessa umanista viene squalificata o demonizzata perché il neoliberalismo ha il monopolio della razionalità e del realismo». Margaret Thatcher nel 1985 disse: «Non c’è alternativa». Tutto il resto è utopia, irrazionalità e regressione. «La virtù del dibattito e i punti di vista differenti sono screditati perché la storia è governata dalla necessità». Questa sottocultura «ospita una propria minaccia esistenziale: prestazioni carenti condannano alla scomparsa, mentre allo stesso tempo chiunque è accusato di essere inefficiente e obbligato a giustificare tutto». Una catastrofe antropologica: «La fiducia è infranta. Regna la valutazione, e con essa la burocrazia che impone la definizione e la ricerca di una pletora di obiettivi e indicatori che l’individuo deve rispettare. La creatività e lo spirito critico sono soffocati dall’amministrazione. E ognuno si batte il petto per lo spreco e l’inerzia di cui è colpevole».Fiducia infranta, e giustizia ignorata: l’ideologia neoliberale produce norme «in concorrenza con le leggi del Parlamento», al punto che «lo Stato di diritto democratico è compromesso», e le sue regole – che mirano a tutelare i cittadini, al riparo dagli abusi – vengono ormai «guardate come ostacoli». Questo perché «il potere giudiziario, che ha la capacità di opporsi alla volontà dei gruppi dominanti, deve essere messo sotto scacco». In Belgio, accusa Manuela Cadelli, la magistratura è stata privata dell’indipendenza assegnatale dalla Costituzione in modo che potesse svolgere il ruolo di contrappeso che i cittadini si aspettano. «L’obiettivo di questo progetto chiaramente è che non ci dovrebbe più essere giustizia in Belgio». Ma la classe dominante, «una casta al di sopra degli altri», non prescrive per sé la stessa medicina che deve essere presa dai normali cittadini: l’austerità ben organizzata è sempre “per gli altri”. Come ricorda Thomas Piketty, nonostante la crisi esplosa nel 2008 «non è stato fatto nulla per sorvegliare la comunità finanziaria». Chi ha pagato? «La gente comune, voi e io».Anche il Belgio conferma la tendenza generale: sgravi fiscali da 7 miliardi alle multinazionali, e tasse aggiuntive (il 21% delle spese legali) per i cittadini che ricorrono alla magistratura: «D’ora in poi, per ottenere un risarcimento, le vittime dell’ingiustizia dovranno essere ricche», scrive Cabelli. «Tutto questo, in uno Stato in cui il numero dei dipendenti pubblici batte tutti i record internazionali». Lì non valgono gli standard di efficienza imposti agli altri lavoratori: «La razionalizzazione e l’ideologia manageriale si sono comodamente fermate alle porte del mondo politico». E la situazione peggiorerà ancora, secondo la sindacalista dei giudici del Belgio, grazie all’uso strumentale del terrorismo: «Presto sarà possibile aggirare la giustizia, già priva di potere su tutte le violazioni delle nostre libertà e dei nostri diritti, riducendo ulteriormente la protezione sociale per i poveri, che saranno sacrificati al “sogno della sicurezza”».Siamo condannati allo scoraggiamento e alla disperazione? «Certamente no», dice Cabelli, ricordando che «cinquecento anni fa, al culmine delle sconfitte che avevano abbattuto la maggior parte degli Stati italiani con l’imposizione dell’occupazione straniera per più di tre secoli», Niccolò Machiavelli esortava gli uomini virtuosi «a sfidare il destino e a ergersi contro le avversità del tempo, a preferire l’azione e il coraggio alla cautela», anche perché «più è tragica la situazione, più sono richieste l’azione e il rifiuto della “rinuncia”». Questo, insiste Cabelli, è l’insegnamento necessario oggi: «La determinazione dei cittadini attaccati alla radicalità dei valori democratici è una risorsa preziosa». Non ha ancora rivelato appieno il suo potenziale? I mezzi non mancano: «Attraverso i social network e la potenza della parola scritta, oggi tutti possono essere coinvolti a portare il bene comune e la giustizia sociale al cuore del dibattito pubblico e dell’amministrazione dello Stato e della comunità, in particolare quando si tratta di servizi pubblici, università, mondo studentesco, magistratura».Il tempo della retorica è finito, le cose vanno chiamate con il loro nome: il neoliberismo è il fascismo del XXI secolo. Lo afferma Manuela Cadelli su “Off-Guardian”, sito d’opinione creato da alcuni autori del celebre quotidiano inglese, scontenti della linea ufficiale del giornale. La Cadelli è un giudice, presidente del sindacato dei magistrati belgi. Se il liberismo originario deriva dalla filosofia dell’Illuminismo, sviluppata per garantire ai cittadini «il rispetto delle libertà e l’emancipazione democratica», divenendo «il motore per l’ascesa, e il continuo progresso, delle democrazie occidentali», il neoliberalismo dei nostri giorni è invece «una forma di economicismo che colpisce continuamente tutti i settori della nostra comunità». In altre parole, «si tratta di una forma di estremismo». Il fascismo? Era «la subordinazione di ogni parte dello Stato a una ideologia totalitaria e nichilista». E dunque, «il neoliberalismo è una specie di fascismo, perché l’economia ha soggiogato non solo il governo dei paesi democratici, ma anche tutti gli aspetti del nostro pensiero: lo Stato è ora agli ordini dell’economia e della finanza, che lo trattano come un subordinato e spadroneggiano su di esso in misura tale da mettere in pericolo il bene comune».