Archivio del Tag ‘Potenza’
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Violenta e totalitaria: la dittatura della religione monoteista
Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità, invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).Ovviamente, aggiunge Della Luna, per realizzare il loro progetto – l’uomo nuovo, il nuovo ordine mondiale – le regioni devono eliminare rapidamente il vecchio, vincendone le resistenze «con la violenza, che è sempre risultata indispensabile», perché il “vecchio”, il tradizionale, «è storicamente consolidato nell’animo della gente, nella sua sensibilità e nei mores come “fisiologia” del funzionamento culturale, sociale, politico, economico, spirituale». Che siano monoteiste (c’è un solo Dio), enoetistiche o monolatriche (gli dèi sono tanti, ma solo uno è prevalente), secondo Della Luna le religioni hanno la stessa impostazione delle ideologie politiche totalitarie: fascismo, nazismo, comunismo, maoismo. «Infatti sono tutte “species” di quella fallacia illuministica, costruttivistica, che con Karl Popper possiamo chiamare “utopismo”, ingegneria sociale “olistica”». Vale a dire: il convincimento che, in base a una nuova teoria o scoperta o rivelazione, sia possibile e doveroso ristrutturare l’uomo e la società come si ristruttura una casa – basta un buon progetto, molta buona volontà, la giusta forza e fermezza, e tutto funzionerà per il meglio: si realizzerà un ordine perfetto che durerà fino alla fine dei tempi.Puntualmente, invece, ogni tentativo di quel genere «manca la meta prefissa e causa immense sofferenze, immense stragi e persecuzioni, immensi danni civili e materiali, prima di cadere o di trasformarsi in qualcos’altro», dal momento che «un corpo sociale non è una casa, non è un corpo inerte che si possa modificare a piacimento, ma un corpo vivente, e vivente secondo un ordine, una fisiologia, sviluppatisi lentamente nel corso della sua storia, cioè di secoli». Mentre le religiosità politeistiche «esprimono e sostengono questi equilibri organici e assettati, rispettosi perlopiù delle varie componenti etniche, culturali, cultuali e censuarie del corpo sociale», essendo quindi «religiosità mature, includenti», al contrario, le religioni monoteiste – sempre per Della Luna – sorgono tutte, storicamente, «come progetti monomaniacali, rivoluzionari, escludenti, olistici e utopistici nel predetto senso, aggravati dal fatto di essere prescritti da un dio (o da una ‘scienza’ sentita come verbo divino, come è il caso del mercatismo), quindi dall’essere indiscutibili». Per questo, inevitabilmente, «generano violenza, così come le ideologie totalitarie», non solo perché «devono eliminare la religione già esistente per sostituire ad essa il loro modello», ma anche perché «promettono la soluzione rapida dei problemi esistenziali – la morte, il senso della vita, la giustizia».La religione usa la violenza per affermarsi, dice Della Luna, ma poi continua a usare la violenza anche per nascondere il fatto di non essere riuscita a mantenere le sue promesse: «Recentemente si è visto il fallimento pratico del governo dei Fratelli Musulmani in Egitto». I devoti sono scossi da onde di frustrazione: non potendo le religioni riconoscere il loro fallimento, questa frustrazione «deve essere scaricata all’esterno, affinché non crei lacerazione interna o dubbi – deve essere scaricata, cioè, su un capro espiatorio, che può essere interno (gli eretici) oppure esterno (gli infedeli, chi non si converte alla nuova religione): tutti questi capri espiatori vanno uccisi per volere di Dio». I primi cristiani, come si legge nel Nuovo Testamento, si aspettavano «il ritorno in gloria e potenza del Redentore entro pochi anni», letteralmente: prima che l’ultimo dei viventi al tempo di Gesù fosse morto. La tempistica è stata allungata e infine «proiettata su un orizzonte indefinito, solo poiché questa predizione non si avverava». Similmente, aggiunge Della Luna, i Testimoni di Geova «predicevano il Giudizio per il 1914, ma poi ovviamente hanno dovuto cambiare le loro pubblicazioni».L’islamismo è propriamente monoteista, annota Della Luna, perché afferma l’esistenza di un unico essere di natura divina – onnipotente, onnisciente, eterno, creatore di tutti gli altri esseri. «Le altre religioni non sono monoteiste». L’atonismo era monolatrico, ossia «tributava culto a un unico dio, pur ammettendo l’esistenza di altri dei». Il mazdeismo crede in due dei: Ahura Mazda, il bene, e Arei Manyu (Ahriman), il Male. Anche il giudaismo, dice Della Luna – presentando il libro di Nicola Bizzi “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina” (Aurora Boreale, 2018) – riconosce una pluralità di Elohim (parola di origine ignota, che noi traduciamo impropriamente come “dei”), di cui Jahvè è uno (gli altri sono Milkom, Kamosh, Baal Peor, El Elion). Inoltre, aggiunge Della Luna, nella Bibbia questi Elohim vengono descritti come esseri tangibili, materiali, simili agli dei greci e romani, mentre nella cultura ebraica antica «non esistono nemmeno i concetti di ente immateriale, di eternità, di onnipotenza, di creazione dal nulla – concetti tipicamente greci». Quindi anche il giudaismo – che adora l’Elohim Jahvè in mezzo a tanti altri Elohim – potrebbe essere classificato come «monolotria politeistica».E il cristianesimo? «Parte come monoteismo, mai in seguito, col Concilio di Nicea, viene ad affermare esplicitamente l’unità della sostanza divina e la pluralità (trinità) delle persone di Dio. Poi, nei secoli, assorbe – soprattutto nella sua confessione cattolica – il vissuto devozionale della pluralità dell’esperienza e della manifestazione divina attraverso la creazione di un esercito di figure intermedie, dagli angeli ai santi alla Madre divina». Oggi fa notizia il radicalismo islamico jihadista coltivato dall’imperialismo occidentale per frantumare la regione petrolifera, mentre il giudaismo – che si impose con la violenza (la tribù di Gioacobbe che stermina i consenguinei, tutti discendenti di Abramo) si riberbera nell’Israele armato fino ai denti, in guerra perenne coi vicini. Lo stesso Nicola Bizzi afferma che il cristianesimo, dopo essersi imposto con la massima ferocia, in tempi recenti si è “civilizzato”, prendendo le distanze da quella stessa violenza che aveva praticato per 17 secoli. Il cristianesimo moderno, secolarizzato e non più politicamente al potere, è stato «ridimensionato dalla critica epistemologica, storica, filologica». La frustrazione per la sua mancata promessa «è stemperata dallo stesso stemperarsi, assieme al senso del divino, dell’aspettativa di quella soluzione». Quel che ne resta si scarica perlopiù all’interno: il credente viene educato a imputare a se stesso – peccatore – la causa del malandare delle cose. «Quindi è ora facile per questa religione far dimenticare, presso le masse non istruite, il suo prevalente passato», cioè un millennio e mezzo di potere violento e totalitario.(Il libro: Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Aurola Boreale, 162 pagine, 15 euro).Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità sulla scorta dell’ultimo libro di Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Della Luna invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).
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Questa Ue a pezzi attacca l’Italia? Farà volare Salvini e soci
L’Unione Europea di recente si è trovata a dover gestire non pochi problemi in quanto, alcuni suoi membri, tra i quali Polonia e Ungheria, hanno sfidato apertamente l’ordine stabilito. Questa volta siamo di fronte ad una situazione molto seria: Bruxelles deve affrontare le sfide da parte dell’Italia, la terza potenza economica nazionale nell’Eurozona e l’ottava economia globale in termini di Pil nominali. Con una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti, l’Italia è una nazione europeista e membro fondatore dell’Ue. Il governo italiano ha respinto le richieste da parte dell’Ue di rivedere la bozza di bilancio per l’anno 2019, proposta che prevede un deficit Pil al 2,4% e che potrebbe minacciare il debito pubblico nazionale. La coalizione di governo di Roma, costituita dalla Lega e dal Movimento populista 5 Stelle, ha deciso di incrementare il prestito allo scopo di poter finanziare le promesse elettorali, come la riduzione dell’età pensionabile e l’aumento dei pagamenti delle prestazioni previdenziali. Lo scorso mese la Commissione Europea ha lamentato che questi obiettivi di spesa vanno contro le norme dell’Ue. Su Roma pesa un enorme debito pubblico che la posiziona al secondo posto nell’Eurozona.La differenza tra prestiti e produzione economica è al 131,8% ma il governo è comunque convito che riuscirà a raggiungere una crescita economica sostanziale, sebbene le previsioni europee siano piuttosto cupe. Il 13 novembre scorso era il termine per presentare una revisione della bozza di bilancio; Roma non si è attenuta a tale termine. Ora la leadership europea sta minacciando l’Italia con sanzioni, fino a quando questa non risulterà adempiente: uno schiaffo per l’Italia che potrebbe dover versare una multa pari a 3,4 miliardi di euro. Il governo italiano sta intraprendendo una linea indipendente in merito a diverse tematiche. Viene visto come filo-russo nelle sue richieste di abolizione, o almeno di diminuzioni, delle sanzioni contro la Federazione russa. Il primo ministro italiano Giuseppe Conte sostiene che Mosca debba essere riammessa al G7. Il primo ministro lo scorso ottobre ha visitato Mosca, poi ha definito la Russia quale soggetto globale essenziale e ha invitato Putin a visitare l’Italia. Nonostante le misure punitive che l’Ue ha imposto, Conte ha sottoscritto diversi accordi commerciali e d’investimento.Lo scorso anno, il partito di maggioranza parlamentare russo, Russia Unita, insieme alla Lega Nord italiana, membro della coalizione di maggioranza, hanno firmato un accordo di collaborazione. Il Consiglio regionale del Veneto, dove il vice primo ministro Matteo Salvini detiene una posizione di forza, nel 2016 ha riconosciuto Crimea come parte della Russia. L’Austria è un altro membro dell’Ue amico della Russia. Persino il recente “scandalo dello spionaggio”, chiaramente messo in scena da forze esterne per rovinare quella relazione bilaterale, non è riuscito a danneggiare quel rapporto. «Siamo un paese con dei buoni contatti con la Russia, siamo aperti al dialogo: non cambierà, in futuro», ha dichiarato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, di fronte ai giornalisti il 14 novembre. Il partito popolare conservatore e l’estrema destra il Partito della Libertà – entrambi membri della coalizione di governo – sono ben disposti nei confronti di Mosca e non sono sostenitori delle politiche di sanzione promesse dall’Ue.L’Ungheria è un altro membro dell’Ue a sostenere la Russia. Lo scorso mese, il Parlamento Europeo ha votato a favore dell’avvio delle procedure di sanzione secondo l’articolo 7 contro l’Ungheria. Il governo guidato dal primo ministro Viktor Orban è stato accusato di aver messo a tacere i media, di aver bersagliato le Ong e di aver rimosso dal loro incarico giudici indipendenti. L’avvio delle procedure previste da tale articolo apre le porte alle sanzioni; l’Ungheria potrebbe, prima o poi, essere privata del suo diritto di voto all’interno dell’Ue. In realtà il paese viene punito per essersi rifiutato di accogliere immigrati. Questa è la seconda volta che le procedure secondo l’articolo 7 vengono avviate. La prima volta è stato lo scorso anno, quando la Commissione Europea ha dato il via libera all’articolo 7 contro la Polonia per le sue riforme giudiziarie. Per sospendere il diritto di voto dell’Ungheria e introdurre le sanzioni è necessaria una votazione unanime, e questa mossa rischia di venire bloccata dalla Polonia. A sua volta, l’Ungheria ha detto che starebbe a fianco di Varsavia nel caso in cui l’Ue avviasse le procedure per punirla. Le due nazioni sono unite nei loro sforzi per sostenersi a vicenda e respingere gli sconfinamenti di Bruxelles in un momento in cui l’Ue sta attraversando uno dei periodi più duri della storia.Ungheria, Polonia e Russia stanno cercando di attirare l’attenzione dell’Europa sulla minaccia alla pace e alla democrazia proveniente dall’Ucraina, problema che è stato per lo più messo a tacere dalla leadership europea. La Slovacchia è un altro membro dell’Ue che nutre quello che alcuni definiscono un “legame speciale” nei confronti della Russia. Non si è mai dimostrata a favore delle sanzioni contro la Russia e l’ha dichiarato apertamente. Lo scorso mese, Peter Pellegrini, il suo nuovo primo ministro, ha invitato l’Ue a rivedere la politica in materia di sanzioni. Anche in Grecia è scoppiato un conflitto diplomatico ma, come nel caso dell’Austria, potrebbe avere offuscato quei legami storici che comunque non è riuscita a recidere. Cipro è sempre stato un paese amico della Russia, ma sia Nicosia che Atene non sono in condizioni di poter proteggere la loro indipendenza, in quanto entrambi sono fortemente indebitate e dipendono dai prestiti esteri.La battaglia tra Bruxelles e Roma giunge nel momento in cui l’Europa si sta preparando per le elezioni del Parlamento Europeo che si terranno a maggio 2019. Le misure punitive intraprese dall’Ue contro l’Italia non potranno che condurre ad un crescente sostegno pubblico di quel governo che presta voce contro le pressioni e difende la propria gente. Questo porterà ad un aumento degli euroscettici italiani che vinceranno seggi in Parlamento. Considerando l’elevato malcontento di molte nazioni nei confronti dell’Ue, risulta difficile prevedere i risultati delle elezioni. Presto al comando ci saranno nuove persone con opinioni diverse sui problemi che incombono sull’Ue, così come sul futuro degli Stati membri. Tutto potrebbe cambiare, compreso il rapporto con la Russia e le sanzioni che sono diventate così impopolari e hanno portato molti leader nazionali a sfidare apertamente la “saggezza” di tale politica imposta da una élite di potere.(Arkady Savitsky, “L’Italia getta il guanto di sfida all’establishment di Bruxelles”, da “Strategic Culture” del 12 novembre 2018, ripreso da “Come Don Chisciotte” il 22 novembre grazie alla traduzione di Elena Scapin).L’Unione Europea di recente si è trovata a dover gestire non pochi problemi in quanto, alcuni suoi membri, tra i quali Polonia e Ungheria, hanno sfidato apertamente l’ordine stabilito. Questa volta siamo di fronte ad una situazione molto seria: Bruxelles deve affrontare le sfide da parte dell’Italia, la terza potenza economica nazionale nell’Eurozona e l’ottava economia globale in termini di Pil nominali. Con una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti, l’Italia è una nazione europeista e membro fondatore dell’Ue. Il governo italiano ha respinto le richieste da parte dell’Ue di rivedere la bozza di bilancio per l’anno 2019, proposta che prevede un deficit Pil al 2,4% e che potrebbe minacciare il debito pubblico nazionale. La coalizione di governo di Roma, costituita dalla Lega e dal Movimento populista 5 Stelle, ha deciso di incrementare il prestito allo scopo di poter finanziare le promesse elettorali, come la riduzione dell’età pensionabile e l’aumento dei pagamenti delle prestazioni previdenziali. Lo scorso mese la Commissione Europea ha lamentato che questi obiettivi di spesa vanno contro le norme dell’Ue. Su Roma pesa un enorme debito pubblico che la posiziona al secondo posto nell’Eurozona.
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Morte chimica dal cielo, Carpeoro: il Rosacroce Lucio Dalla
«Che cos’è che passa lì nel cielo? Un aereo o una meteora? C’è qualcosa che vien giù: è una neve metafisica, la morte chimica». Allarme: anche Lucio Dalla arruolato tra i cosiddetti complottisti, pronti a definire “scie chimiche” le misteriose strisce bianche rilasciate dagli aerei fino a velare il cielo? Il fenomeno è diventato sempre più vistoso negli ultimi anni, ma lo si è cominciato a notare solo dopo il Duemila. Secondo il giornalista investigativo Gianni Lannes, autore del blog “Su la testa”, si tratta di un’operazione di irrorazione dei cieli pianificata da Bush nel 2001 durante l’incontro con Berlusconi al tragico G8 di Genova. Il piano sarebbe stato ratificato l’anno seguente, per divenire operativo dal 2003. Quando scrisse quella canzone, “Starter”, uscita come prezioso inedito nel 2018 (con il contributo di Tullio Ferro e Marco Alemanno), secondo “Repubblica” il cantautore bolognese stava lavorando con Francesco De Gregori, insieme a cui era impegnato nel tour “Work in progress”, del 2010. Il brano è ora disponibile nel ricco cofanetto “Duvudubà”: 70 tracce, con booklet fotografico. Ma attenzione: come decifrare quella “morte chimica” che “vien giù dal cielo”, sotto forma di “neve metafisica”, dopo il passaggio di “un aereo o una meteora”?La soluzione si troverebbe nell’Adriatico, di fronte al Gargano: per la precisione alle isole Tremiti, dove Lucio Dalla si trovava quando scrisse quegli enigmatici versi. Indovinello: «Cosa si vede dal cielo delle Tremiti?». L’autore del quiz è l’esoterista Gianfranco Carpeoro, autore del saggio in più volumi “Summa Symbolica”. Massone, già a capo della più antica obbedienza italiana del Rito Scozzese, l’avvocato milanese di origine cosentina (Pecoraro, all’anagrafe) anima la diretta settimanale web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un filo diretto con gli affezionati ascoltatori, ai quali lanciare anche sfide avvicenti, come quella che investe il Lucio Dalla meno conosciuto e decisamente insospettabile: «Era un iniziato», rivela Carpeoro, che conosceva personalmente l’autore di “Piazza grande” e “4 marzo 1943”. Di più: «Lucio Dalla era un Rosacroce: uno degli ultimi». Della misteriosa, leggendaria fratellanza iniziatica ribattezzata nel ‘600 con il nome Rosa+Croce, avrebbero fatto parte personaggi come Giorgione, Caravaggio e Leonardo nonché Giordano Bruno, quando il gruppo era denominato “Giordaniti”, e prima ancora il sommo Dante (Fidelis in Amore), per risalire fino a Gioacchino da Fiore, autore dell’Aquila Gigliata. A questa “leggenda realmente accaduta”, Carpeoro ha dedicato una trilogia di romanzi: “Il volo del pellicano” “Labirinti” e “Il Re Cristiano”.Proprio al sovrano dei Goti, Alarico, vissuto a cavallo tra il IV e il V secolo, l’autore attribuisce un’affiliazione iniziatica: la stessa che forse, secoli prima, legava Scipione l’Africano al mitico Annibale, il cui nome fenicio significa “mandato da Dio”, come tutti gli altri nomi derivati dalla medesima radice, declinata nell’italiano Giovanni e nel russo Ivan. Labirinti, appunto – nei quali però Carpeoro invita a non perdersi, tenendo d’occhio il filo d’Arianna (l’amore per la conoscenza) che volendo, assicura, può portare fino a Lucio Dalla, seguendo le tracce elusive di quella che il mondo esoterico chiama Tradizione Unica Primordiale: schegge di un sapere antico, archetipico, tramandato per via iniziatica e affidato all’eloquenza silenziosa dei simboli, vero e proprio alfabeto parallelo e senza tempo, con cui scrivere le tappe fondamentali della meta-storia dell’umanità, quella del pensiero. Lucio Dalla esoterico? Assolutamente sì, conferma Carpeoro, ma alla maniera dei Rosacroce: specialità, metterti la verità sotto il naso, senza però che nessuno se ne accorga, a prima vista. Le scie chimiche nei cieli delle Tremiti? Forse. Ma anche la strage di Ustica, del 1980: «A quel tragico evento Lucio Dalla dedicò una canzone: sfido chiunque a scoprire quale sia».Nello stesso anno saltò per aria la stazione di Bologna, città vicinissima alla località (San Benedetto Val di Sambro) dove nel ‘74 era esploso un ordigno a bordo del treno Italicus, partito da Roma e diretto a Monaco di Baviera. «Pensava proprio alla tragedia dell’Italicus, Lucio Dalla, quando compose la canzone “Balla balla ballerino”», uscita nel 1980 in un’Italia scossa dalla carneficina di Bologna. Avverte Carpeoro: quella canzone, che sembra solo un inno all’umanità irriducibile che sa resistere alla violenza, è intrisa di contenuti esoterici e contiene indizi, cifrati e minuziosi, sulla cupa attualità di quegli anni. «Per esempio: il citato ballerino non è un danzatore qualsiasi, ma un individuo ben preciso». La mente corre al più noto ballerino degli anni di piombo, l’anarchico Pietro Valpreda, ingiustamente incarcerato per la strage milanese di piazza Fontana. Messaggi sottotraccia, tra i versi più o meno innocui di una canzone? «E’ la modalità comunicativa dei veri inziati», sostiene Carpeoro: «Prevede che l’ascoltatore non abbia “la pappa fatta”, ma si faccia domande e impari a usare il cervello». Beninteso: non perde valore la percezione più immediata e accessibile della lirica, quella a cui il pubblico infatti si affeziona subito.E’ il medesimo meccanismo dell’allegoria dantesca, nella quale coesistono le due verità, quella evidente e quella nascosta. Idem per la “doppia denotazione” adottata da un altro immenso poeta, Eugenio Montale: ti racconto una storia che ne illumina un’altra, senza che la seconda oscuri la bellezza della prima. Nel caso di Dalla, l’intento sarebbe classicamente “rosacrociano”: inserisco inidizi strani e anomali (il treno Palermo-Francoforte) in modo che qualcosa si faccia strada in chi ascolta, avvinto dalla gradevolezza pop della canzone, scritta e cantata per farsi ricordare nel modo più facile e orecchiabile. Ma in attesa che Carpeoro e la sua “scolaresca” chiariscano i retroscena più intimi del famoso “ballerino”, invitato a danzare “anche per i violenti”, che sono “morti da sempre, anche se possono respirare”, l’ex sovrano gran maestro del Rito Scozzese italiano aggiunge, per inciso, che lo stesso Lucio Dalla caricò di significati intensamente iniziatici uno dei suoi capolavori, “Com’è profondo il mare”, brano straordinariamente poetico (e profetico) almeno quanto “L’ultima luna”, che – sempre secondo Carpeoro – è ispirato direttamente al filosofo ed esoterista francese Édouard Schuré: come il suo saggio “I grandi iniziati”, che Dalla amava moltissimo, “L’ultima luna” ripropone la storia dell’umanità suddivisa per epoche evolutive, sulla scorta dell’intuizione di Giambattista Vico.L’ultima luna, canta Lucio Dalla, la vide solo un bimbo appena nato: aveva occhi tondi e neri e fondi, e non piangeva. Con grandi ali, aggiunge, prese la luna tra le mani. “E volò via: era l’uomo di domani”. Visione: il neonato è alato come l’uomo-Dio raffigurato in mille modi da Leonardo, a cominciare dall’immortale icona dedicata a Vitruvio, codificatore latino dell’architettura sacra. Ma quello su cui Carpeoro invita a indagare è lo stesso Lucio Dalla che ha fatto innamorare milioni di italiani sulle note di “Caruso”, de “L’anno che verrà”. E’ il Dalla coltissimo, spiazzante e geniale, in soldalizio col poeta Roberto Roversi, da cui i giacimenti lirici di “Anidride solforosa” e poi di “Automobili”, con la magistrale evocazione post-futurista e straordinariamente epica dell’eroe italiano Tazio Nuvolari, che “ha cinquanta chili d’ossa, le mani come artigli, un talismano contro i mali”. Pensava in grande, Lucio Dalla, anche quando “scendeva” tra le semplificazioni della cosiddetta musica leggera. Stesso stile di quelli che Carpeoro descrive come gli ultimi, grandi esponenti della fratellanza rosacrociana: il musicista venezuelano Aldemaro Romero e il regista moldavo Emil Loteanu, l’autore de “I lautari”, nomadi dell’Est come i tanti gitani che affollano i testi di Dalla, coi loro “denti di ferro e gli occhi neri, puntati nel cielo per capirne i misteri”.E’ il caso dello struggente Sonni Boi, piccolo cavaliere con la “mappa delle stelle” disegnata sul braccio: lo zingaro avvistato nel “Parco della Luna” con la sua donna Fortuna, “a metà strada tra Ferrara e la luna”. Rosacroce, Lucio Dalla? Ebbene sì, ammette Carpeoro: solo che, spiega, era una specie di superstite. A Yalta, di fronte alla desolante spartizione del mondo decisa dalle superpotenze, la confraternita preferì ritirarsi dalla scena intuendo che l’umanità non sarebbe “guarita” dall’odio che aveva scatenato la Seconda Guerra Mondiale. Motivo ulteriore di sconforto: la rinuncia a impegnarsi per uno Stato palestinese, accanto a quello progettato per gli ebrei reduci dalla Shoah. «I Rosacroce erano a Yalta – dice Carpeoro – nell’entourage dei massoni Rooseevelt e Churchill». Speravano di incidere, nel senso dell’evoluzione dell’umanità: rottamare il vecchio schema del potere, concepito come forma di dominio. Utopia? Naturalmente: proprio di utopia parla il capolavoro di Tommaso Moro, consonante con “La città del sole” di Campanella e “Christianopolis” di Johannes Valentin Andreae: «Letteratura politica, alla quale i Rosacroce – veri padri del socialismo – fecero ricorso tra ‘500 e ‘600, dopo la diffusione di un formidabile strumento come la stampa moderna creata da Gutenberg».Missione: comunicare e parlare anche al grande pubblico, pur restando in incognito come soggetto collettivo di matrice iniziatica. Strategia: produrre capolavori artistici, entro i quali concentrare messaggi cifrati, a cominciare dalla musica. Esempi storici clamorosi: dal Bach del “Canone inverso”, che svela la potenza armonica della complementarità, al rivoluzionario Mozart del “Flauto magico”. Fino al secondo ‘900, con artisti pop del calibro di James Brown e Freddy Mercury dei Queen. Anche il nostro Lucio Dalla, assicura Carpeoro, faceva parte di quel cenacolo clandestino di “cospiratori bianchi”, impegnati ad aiutare l’umanità a tirar fuori il meglio di sé. Purtroppo, aggiunge, dopo Yalta i Rosa+Croce entrarono in una fase di acquiescenza. Stabilirono che alla morte del loro ultimo Ormùs, il geniale pittore Salvador Dalì, la catena iniziatica si sarebbe interrotta: nessun maestro avrebbe più potuto “iniziare” altri adepti. Lo sapeva quindi anche Lucio Dalla, morto improvvisamente a Montreux, in Svizzera, il 1° marzo 2012, sicuro di aver abbondantemente infiammato, per tutta la vita, i sentimenti degli italiani. E altrettanto certo, probabilmente – per dirla con Carpeoro – di aver fatto anche il suo “dovere” di Rosacroce: parlare al cuore, per svegliare il cervello e tentare di rendere l’umanità più consapevole, dunque più libera.«Che cos’è che passa lì nel cielo? Un aereo o una meteora? C’è qualcosa che vien giù: è una neve metafisica, la morte chimica». Allarme: anche Lucio Dalla arruolato tra i cosiddetti complottisti, pronti a definire “scie chimiche” le misteriose strisce bianche rilasciate dagli aerei fino a velare il cielo? Il fenomeno è diventato sempre più vistoso negli ultimi anni, ma lo si è cominciato a notare solo dopo il Duemila. Secondo il giornalista investigativo Gianni Lannes, autore del blog “Su la testa”, si tratta di un’operazione di irrorazione dei cieli pianificata da Bush nel 2001 durante l’incontro con Berlusconi al tragico G8 di Genova. Il piano sarebbe stato ratificato l’anno seguente, per divenire operativo dal 2003. Quando scrisse quella canzone, “Starter”, uscita come prezioso inedito nel 2018 (con il contributo di Tullio Ferro e Marco Alemanno), secondo “Repubblica” il cantautore bolognese stava lavorando con Francesco De Gregori, insieme a cui era impegnato nel tour “Work in progress”, del 2010. Il brano è ora disponibile nel ricco cofanetto “Duvudubà”: 70 tracce, con booklet fotografico. Ma attenzione: come decifrare quella “morte chimica” che “vien giù dal cielo”, sotto forma di “neve metafisica”, dopo il passaggio di “un aereo o una meteora”?
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Apocalisse maltempo: qualcuno sta bombardando l’Italia?
Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza di spiegazioni ufficiali definitive ed esaurienti. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.Un silenzio tombale è calato sulle rivoluzionarie scoperte del fisico Nikola Tesla, all’epoca emarginato dalla comunità scientifica, mentre l’ingegnere bresciano Rolando Pelizza ha raccontato a due docenti universitari, Francesco Alessandrini e Roberta Rio, che il geniale Ettore Majorana (ufficialmente scomparso nel 1938 ma in reatà nascosto in Calabria fino al 2005) progettò una “macchina” capace di mutare il clima all’istante. «Dello sviluppo di questa “macchina”, costruita in 50 esemplari su istruzioni dello stesso Majorana – dice ancora Pelizza – fu incaricato direttamente il governo italiano tramite Giulio Andreotti, che poi passò il dossier alla Cia». Un altro italiano, l’imolese Pier Luigi Ighina – assai meno celebre di Majorana, ma notissimo agli appassionati – riprodusse anche per le telecamere di “Report”, su Rai Tre, il suo straordinario esperimento, condotto con mezzi artigianali: Ighina era in grado di far piovere, creando nuvole nel cielo sereno (o a scelta, di far spuntare il sole tra i nuvoloni) semplicemente azionado, da terra, le pale di una sorta di ventilatore gigante, cosparse di alluminio. Il trucco? Cambiare la consistenza elettromagnetica della bassa atmosfera, immettendo vortici di onde.«La manipolazione climatica è realtà», sostiene il sito “Dionidream”, citando estati torride e mezze stagioni scosse da nubifragi e alluvioni di inaudita violenza, come quelli che hanno messo in ginocchio varie aree della Pensiola, a cominciare dal Veneto, dove le trombe d’aria hanno divelto decine di migliaia di alberi, devastando storiche foreste alpine. Fuori dall’Italia, il fenomeno della manipolazione climatica non è esattamente una novità: «Festa in cielo, vietata la pioggia», titolò il Tgcom24 di Mediaset il 23 marzo 2009, parlando di «aerei in cielo per disperdere le nubi» in occasione del settantesimo anniversario della “repubblica popolare” fondata da Mao. «Per impedire che la pioggia rovini i grandiosi festeggiamenti in programma, si ricorrerà a una tecnica senza precedenti», raccontò il telegiornale: «L’aviazione impiegherà 18 apparecchi che disperderanno nell’atmosfera prodotti chimici per impedire che dal cielo sopra Pechino cada la pioggia». Nello stesso anno, a novembre, sempre la Cina s’imbiancò fuori stagione, come raccontò “La Repubblica”: «Una nevicata precoce ha coperto con un’abbondante coltre bianca Pechino. Il tutto ha però ha avuto un aiutino dell’Ufficio Modificazione del Tempo della capitale cinese».I tecnici, riferì tranquillamente l’agenzia “Xinhua”, «hanno riversato in cielo con degli aerei 186 dosi di ioduro d’argento, per approfittare delle nuvole e del brusco calo della temperatura». Questo, scrisse “Repubblica”, «ha generato la nevicata», il cui scopo era «alleviare la persistente siccità». Ammise Zhang Qiang, responsabile dell’ufficio meteorologico: «Non ci facciamo sfuggire occasione per provocare precipitazioni, da quando Pechino registra una persistente condizione di siccità». Due anni dopo, nel 2011, l’allora presidente iraniano Mahmud Ahmedinejad accusò l’Occidente di aver provocato una gravissima siccità per mettere in crisi l’economia agricola del paese. «Secondo rapporti sul clima, accuratamente verificati, le potenze occidentali forzano le nuvole fino a far piovere», dichiarò Ahmedinejad, come confermato dal “Giornale”. «I nostri nemici distruggono le nuvole prima che arrivino sul nostro paese». Ancora la Cina, già nel 2011, è tornata protagonista sul tema, annunciando un investimento da 120 milioni di euro per riuscire, entro il 2015, a far aumentare del 10% le precipitazioni nelle zone più aride.«Un primo esperimento in tal senso era stato già condotto nel febbraio 2009, quando diverse regioni erano state irrorate da una pioggerellina leggera, generata da agenti chimici sparati nell’atmosfera con 2.392 razzi e 409 cannoni, in grado di creare nuvole cariche di pioggia», scrove il sito “Greenews”. «Le nuvole ‘adatte’ alle precipitazioni vengono ‘seminate’ con ioduro d’argento, un agente chimico che favorisce l’aggregazione delle molecole d’acqua per creare grandi gocce abbastanza pesanti da cadere al suolo». La tecnologia in realtà non è nuova, aggiunge “Greenews”: i primi esperimenti risalgono alla Guerra Fredda. «Durante la guerra del Vietnam, gli Stati Uniti lanciarono l’Operazione Popeye per cercare di intensificare i monsoni sul Sentiero di Ho Chi Minh, la rete di strade che andavano dal Vietnam del Nord al Vietnam del Sud passando per Laos e Cambogia, usate dai Vietcong e dai loro sostenitori. Nel 1978, però, gli esperimenti per far piovere artificialmente negli Usa furono interrotti, in seguito a una grave inondazione causata dal bombardamento chimico delle nubi». Dal Sud-Est Asiatico al Medio Oriente: «Israele “stimola” le nuvole dal 1961 e riesce così a rendere fertili e rigogliose terre di per sé aride».«Nel mondo ci sono diversi esperimenti in corso di questo tipo, ma siamo lontani dal poter dire di essere in grado di controllare la pioggia», disse nel 2012 a “Greenews” uno specialista come Sandro Fuzzi, climatologo del Cnr di Bologna, al quale allora sembrava remoto il rischio di gravi effetti collaterali, dato che gli interventi si svolgevano «su scala ridotta, al massimo di qualche decina di chilometri», mentre i fenomeni più distruttivi, come le alluvioni, «riguardano fronti di centinaia e anche migliaia di chilometri». L’ultima frontiera, aggiunge ancora “Greenews”, consiste nel bombardare le nuvole dal basso con dei laser: esperimento condotto nel 2010 in laboratorio e poi «replicato a Berlino da un gruppo di ricercatori dell’università di Ginevra e pubblicato sulla rivista “Nature Photonics”». Con un laser di grande potenza, una specie di “cannone energetico”, i ricercatori hanno colpito ed “eccitato” le molecole di gas presenti nell’aria. «Il risultato è stata la formazione di nuclei di condensazione attorno ai quali si sono create piccole gocce di acqua». Secondo il blog “Shivio news”, già nel 2012 erano oltre 20 i paesi impegnati nella sperimentazione di nuove tecniche per provocare precipitazioni.In vetta classifica primeggiano i soliti cinesi: Pechino, letteralmente, «impiega nel “rainmaking” oltre 37.000 addetti, fra tecnici e ricercatori», mentre «una trentina di aerei, 4.000 rampe per razzi e 7.000 cannoni vengono usati per sparare in cielo nuclei di sostanze intorno alle quali stimolare processi di condensazione di gocce d’acqua o cristalli di ghiaccio». Negli Stati Uniti, gli aerei «gettano nelle nuvole ghiaccio secco e ioduro d’argento». In Sudafrica si usa invece il cloruro di potassio: «I sali vengono diffusi da aerei che volano sotto le nubi in formazione, e servono ad aumentare il numero e la misura delle gocce». Anche il Messico, aggiunge “Shivio”, sta sperimentando la tecnica sudafricana, che «sembra che sia in grado di aumentare di un terzo il volume delle precipitazioni». Qualcuno poi ricorderà la primissima performance, in assoluto, della geoingegneria più spettacolare: il 9 maggio del lontano 2007, in occasione della fastosa celebrazione dell’anniversario della vittoria dell’Urss nella Seconda Guerra Mondiale, il Tg1 riprese lo spettacolo del sole riapparso “miracolosamente” tra le nubi nerissime del cielo di Mosca, grazie a una portentosa miscela a base di azoto, iodio e argento diffusa dagli aerei.Dall’uso civile a quello militare, il passo è breve: «Almeno quattro paesi – Stati Uniti, Russia, Cina e Israele – dispongono delle tecnologie e dell’organizzazione necessaria a modificare regolarmente il meteo e gli eventi geologici per varie operazioni militari ufficiali e segrete, legate a obiettivi secondari, tra cui il controllo demografico, energetico e la gestione delle risorse agricole». Lo disse già nel 2012 l’esperto aerospaziale Matt Andersson, allora in forza alla compagnia hi-tech Booz Allen Hamilton di Chicago. In un’intervista al “Guardian”, Hamilton ha ammesso: il nuovo tipo di guerra non convenzionale «comprende la capacità tecnologica di indurre, spingere o dirigere eventi ciclonici, terremoti e inondazioni, includendo anche l’impiego di agenti virali per mezzo di aerosol polimerizzati e particelle radioattive, trasportate attraverso il sistema climatico globale». Lo stesso Hamilton ha citato una think-tank della galassia neocon, il Bpc (Bipartisan Policy Center, con sede a Washington) e il suo rapporto nel quale chiede agli Usa e agli alleati di accelerare la sperimentazione su larga scala del cambiamento climatico.Secondo il “Guardian”, il gruppo è finanziato da «grandi compagnie petrolifere, farmaceutiche e biotecnologiche», e rappresenta «gli interessi corporativi del mondo militare e scientifico statunitense». Il newsmagazine “Sputnik News”, citando il canadese Chossudovsky, osserva: la geoingegneria ha omai prodotto «sofisticate armi elettromagnetiche». E anche se la cosa non è ammessa ufficialmente, men che meno a livello scientifico, le capacità di manipolare il clima (anche per scopi militari) sono in stato avanzatissimo. La storia di questa disciplina risale addirittura al 1940, quando il matematico americano John Von Newman, al Pentagono, iniziò la sua ricerca per la modifica del clima. Obiettivo: alterare i modelli meteorologici. Una tecnologia sviluppata negli anni ‘90 secondo il programma di ricerca della cosiddetta “alta frequenza aurorale attiva” (Haarp, High Frequency Active Auroral Research Program), come appendice di una iniziativa strategica di difesa, le “Guerre stellari”. Il programma Haarp, installato in Alaska e poi bloccato, sarebbe stato parte di una strategia tuttora attiva: le brusche modifiche del clima possono «estendersi, avviando inondazioni, uragani, siccità e terremoti».Ammissioni ufficiali? Impensabili. Meglio lasciare che certe voci circolino in modo incontrollato (bufale comprese), per poi liquidare il tutto sotto la voce “teoria del complotto”. «E’ naturale che su un tema come il cambiamento climatico la Cia collaborerebbe con gli scienziati per meglio comprendere il fenomeno e le sue implicazioni sulla sicurezza nazionale», ha detto un portavoce dell’intelligence Usa, dopo la diffusione della notizia, da parte del sito legato al periodico statunitense “Mother Jones”, secondo cui proprio la Cia starebbe aiutando con ingenti finanziamenti la Nas, National Academy of Sciences, impegnata in uno studio sull’applicazione della geoingegneria per manipolare il clima. Su “Meteoweb”, Filomena Fotia spiega che “Mother Jones” descrive lo studio come un’inchiesta riguardante «un numero limitato di tecniche di geoingegneria, inclusi esempi di tecniche di gestione delle radiazioni solari (Srm, Solar Radiation Management e rimozione dell’anidride carbonica (Cdr, Carbon Dioxide Removal). Geoingegneria “buona”, per proteggerci dall’attività solare divenuta pericolosa per la Terra?«La manipolazione meteorologica – aggiunge Fotia – è stata riportata in auge da molti commentatori statunitensi in occasione dei devastanti tornado in Oklahoma, o di altri eventi estremi come l’uragano Sandy, che sarebbero stati “generati dal governo” usando la base dell’Haarp in Alaska». Ma, appunto: il tema si presta a speculazioni incontrollate, vista la mancanza di riscontri esaurienti da parte delle autorità, sempre estremamente laconiche, come quelle interpellate nel 2014 da Alessandro Scarpa, allora consigliere comunale di Venezia. “Grandinata anomala e scie chimiche, il maltempo si tinge di mistero”, titolò il 24 settembre il “Gazzettino”, storico quotidiano veneziano, dopo «una grandinata fuori dal normale», sotto un cielo «carico di nubi come mai si era visto». E lassù, «quelle scie bianche nel cielo terso il giorno dopo». Sono bastati questi due fenomeni, scriveva il “Gazzettino” quattro anni fa, a ridestare un quesito: e se questo maltempo eccezionale non fosse il risultato delle bizze atmosferiche, ma di qualcosa di “chimico”?In redazione arrivò una lettera allarmatissima: grondaie intasate da “noci” di ghiaccio persistenti ed enormi: «Come mai questo ghiaccio non si è sciolto? Sembrerebbe di formazione chimica, da laboratorio, e non naturale». Per Alessandro Scarpa, vale la pena di esaminarli, certi fenomeni, «se non altro per capire di cosa si tratta» Ad esempio, «le strane scie chimiche che si vedono nei nostri cieli». Molte le segnalazioni pervenuite al Consiglio comunale, «da parte di cittadini veneziani, preoccupati, che chiedono spiegazioni». Scarpa si è rivolto inutilmente all’Enav, l’ente nazionale di assistenza al volo, che gestisce il controllo del traffico degli aerei civili. Nessun lume neppure dal ministero dell’ambiente di Roma: risposte evasive o bocche cucite. «È quindi opportuno – sottolinea Scarpa – preoccuparsi seriamente per noi e per i nostri figli». E aggiunge, rivolto ai giornalisti disattenti: «Questa mattina, quando il cielo era limpidissimo, si sono viste una quindicina di linee nel cielo veneziano». Quattro anni dopo, la situazione è gravemente peggiorata: non c’è più una giornata serena senza che il cielo non sia “sporcato” dalle scie, di ora in ora, mentre l’Italia sta diventando il bersaglio di violentissime tempeste di tipo tropicale, come quella che ora ha messo in ginocchio il Nord-Est.Lo scorso anno, a gennaio, il colonnello Mario Giuliacci – affabile volto televisivo – sul suo sito ha tentato di sgombrare il campo da ogni illazione, presentando testualmente un comunicato ufficiale dell’aeronautica militare. La spiegazione dei militari è ineccepibile, riguardo alla vistosa presenza di molte delle scie: «Le nuove generazioni di motori che equipaggiano i moderni aeroplani a reazione, per avere un miglior rendimento termodinamico dato dalla differenza di temperatura tra la camera di combustione e l’ambiente esterno, impiegano miscele di acqua e carburante la cui combustione genera le enormi quantità di vapore acqueo che sono all’origine delle scie». Secondo i militari, dunque, sono aumentate in modo esponenziale le scie di condensazione, in gergo “contrails”, destinate poi a scomparire nell’atmosfera. «Per le caratteristiche termodinamiche dei motori, per le quote di volo e per la localizzazione – aggiunge l’aeronautica – la quasi totalità delle scie che si osservano in cielo sono prodotte dai jet di linea degli operatori commerciali. La loro durata è variabile da pochi istanti a minuti e talvolta a ore, in dipendenza dell’umidità, delle temperature e in genere delle condizioni termodinamiche dell’aria circostante».Poi la chiosa: «Per quanto ci compete, l’Aeronautica Militare non possiede aeromobili che generano o emettono scie differenti da quelle prodotte a causa della condensazione di vapore acqueo». Il che – alla lettera – non significa escludere la presenza di altre scie, di ben diversa natura, emesse da velivoli estranei all’aeronautica militare italiana: le famigerate “chemtrails”, appunto. Tra le pagine del blog “Su la testa”, il giornalista investigativo Gianni Lannes (vittima di minacce e attentati per le sue indagini scomode, specie quelle sulla mafia dei rifiuti) sostiene che si è ormai clamorosamente violata la “Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente”, a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, nota anche come Convenzione Enmod: «E’ il trattato internazionale che proibisce l’uso delle tecniche di modifica dell’ambiente». Firmata il 18 maggio 1977 a Ginevra, è entrata in vigore il 5 ottobre 1978, approvata anche dall’Onu. Gli Stati firmatari sono 48, inclusi gli Usa, di cui 16 non hanno ancora ratificato il trattato. In totale, i paesi che vi hanno aderito sono 76. «L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge numero 962 del 29 novembre 1980, grazie al presidente della Repubblica Sandro Pertini e all’approvazione quasi all’unanimità del Parlamento».Secondo Lannes, questa verità viene regolarmente “oscurata” perché illegale, oltre che aberrante. Ma l’Italia, sostiene Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava il nostro paese in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione è scattata. E nessuno ne parla: è top secret. Si chiama “Clear Skies Initiative”. Lannes attinge direttamente a fonti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato: le pagine istituzionali americane ammettono apertamente che il 19 luglio 2011, a Genova, Bush e Berlusconi impegnarono i loro paesi in un programma di ricerca sul cambiamento climatico e sullo sviluppo di “tecnologie a bassa emissione”. Operazione poi approvata il 22 gennaio 2002 dal ministero italiano dell’ambiente e dal Dipartimento di Stato Usa. Dunque, scrive Lannes nel blog “Su la testa”, cambiamenti climatici indotti e “collaborazione” (si fa per dire) tra Stati Uniti e Italia, con quest’ultima a fare da cavia. «Dalla documentazione delle autorità nordamericane emerge che in questa vasta operazione gestita in prima battuta dal Pentagono, dalla Nasa e dalla Nato, sono coinvolte addirittura le industrie e le multinazionali più inquinanti al mondo: Exxon Mobil, Bp Amoco, Shell, Eni, Solvay, Fiat, Enel».Tutti insieme appassionatamente, secondo il giornalista, compreso il settore scientifico: università italo-americane, Enea, Cnr, Ingv, Arpa e così via. «Insomma, controllori e controllati. L’Enac addirittura ha partecipato ad un test “chemtrails” in Italia insieme a Ibm, ministero della difesa, stato maggiore dell’aeronautica e ovviamente Nato». Mancano, sempre, le conferme ufficiali. In compenso si scatenato i “debunker” come Paolo Attivissimo: “Scie chimiche, aria fritta con contorno di bufala e grana”. Dopo il disastro aereo del volo Germanwings del 2015, schiantatosi sulle Alpi francesi, anche il “Giornale” si sbizzarrisce: “Airbus, dalle scie chimiche alle ’strane scritte’: complottisti scatenati”. Nel frattempo Enrico Gianini, ex addetto aeroportuale di Malpensa, racconta a “Border Nights”: una volta a terra, gli aerei delle compagnie low-cost perdono liquido inquinato da metalli pesanti, e non lasciano più caricare i bagagli nelle stive di coda, come se fossero ingombre di serbatoi clandestini. «Se mi denunciano, chiederò al tribunale di “smontare” uno di quegli aerei: così scopriranno finalmente cosa trasporta». Ma la notizia resta negli scantinati del web, mentre il finimondo rade al suolo il Veneto e la Cina stipendia i suoi “rainmaker”.Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza (in Italia, non all’estero) di spiegazioni ufficiali, definitive ed esaurienti, sulla manipolazione del clima. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.
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Il Mago ipnotizza l’Europa: votare non serve, decido solo io
Lucida follia: è tutto sotto i nostri occhi, eppure si nega l’evidenza. Del sistema capitalistico esistono due traduzioni pratiche: enormi fortune per pochi (neoliberismo) o relativo benessere per molti (keynesismo). Più lo Stato spende, a deficit, e più cresce il Pil. Ovvero: consumi, lavoro, risparmi. Di conseguenza: più gettito fiscale, più soldi per il welfare, la previdenza, le pensioni. E’ un fatto intuitivo, oltre che scientificamente e storicamente dimostrato: più si investe, utilizzando il debito pubblico, più la società cresce, nel suo insieme. Se viceversa si chiude il rubinetto pubblico, la situazione precipita: il 99% della popolazione perde terreno, e il restante 1% si arricchisce a dismisura, acquistando a prezzi di saldo beni e aziende, pubbliche e private; si rilevano servizi un tempo pubblici, insieme a imprese strangolate dalle tasse, imposte per pareggiare il bilancio statale. Il gioco della finanza è basato su scommesse truccate: compro oggi a poco prezzo i titoli che domani varranno di colpo moltissimo, visto che so in partenza che i miei complici li faranno “esplodere”, al momento opportuno, organizzando a tavolino una bella crisi. La Grecia è stata letteralmente spolpata, in questo modo, ma anche l’Italia – fatte le debite proporzioni – ha seguito la medesima sorte. Idem gli altri paesi europei, anch’essi governati dai prestanome di un’oligarchia del denaro che detiene tutti i mezzi monetari per manipolare l’economia. La politica è stata sfrattata dal palazzo: la democrazia, svuotata di ogni contenuto, è stata completamente neutralizzata.Di questo dovrebbero parlare, ogni giorno, i media italiani che si avventano come mastini rabbiosi contro il pallido governo gialloverde, scuoiato vivo a reti unificate solo per essersi permesso di innalzare il deficit, sia pure in modo irrisorio – ben al di sotto del tetto (artificioso, ideologico) sancito a Maastricht. Che razza di Europa è, quella di Maastricht? Per quale motivo, dopo un quarto di secolo, è ancora in vigore un trattato palesemente suicida, che ha “gambizzato” una potenza economica mondiale seconda solo agli Usa e alla Cina, seminando crisi e disperazione fino al punto da resuscitare i peggiori nazionalismi del Novecento? Come ragionano, i nostri post-giornalisti? Da dove pensano che provenga l’esasperazione di massa che sta letteralmente gonfiando l’esercito “rossobruno” dei cosiddetti sovranisti? Sta covando un vasto incendio, ormai, e i pompieri sono già al lavoro: l’oligarca Oettinger impone il bavaglio al web in vista delle prossime europee, mentre il collega Draghi minaccia ogni giorno il governo italiano (l’unico a rompere le righe, per ora, nel mortale ordoliberismo che i grassatori hanno imposto ai popoli europei). Impera un’ipocrisia disgustosa: il massimo rigore inflitto ai molti, per proteggere i privilegi di pochissimi, viene spacciato per virtù. Si racconta che il bilancio dello Stato è come quello di una famiglia – come se anche la famiglia potesse battere moneta. Salgono in cattedra economisti che hanno rinnegato il proprio mestiere: di professione, ormai, fanno i maghi.Lo stesso Draghi, prima di salire sul Britannia da cui partì la grande spartizione dell’Italia, era un economista keynesiano: sapeva perfettamente che, senza una robusta dose di deficit, l’economia collassa. Lo sapeva così bene che la sua tesi di laurea, realizzata sotto la guida dell’insigne Federico Caffè, dimostrava – letteralmente – l’insostenibilità tecnica di una eventuale moneta unica europea, che avrebbe inevitabilmente imposto un regime fiscale austeritario, mettendo in crisi il continente. Poi, si sa, il mago Draghi fu promosso: prima di conquistare la poltronissima della Bce aveva presidiato Bankitalia, e come stratega della peggiore banca d’affari del mondo, la famigerata Goldman Sachs, aveva contribuito in modo decisivo (insieme a Carlo Cottarelli, del Fmi) a rovinare la Grecia. Oggi, sempre Draghi – al servizio del grande monopolio finanziario privato che domina l’Europa – si permette di dare consigli al presidente Mattarella su come scoraggiare il governo Conte, regolarmente intimidito anche da Ignazio Visco, governatore di Bankitalia, teleguidato sempre dall’uomo di Francoforte. Questi signori agitano lo spettro dello spread, come se fosse un fenomeno naturale (e non invece la nota roulette scatenata a comando da poche mani). Chi sono, questi signori? Chi ha consegnato loro tanto potere? Chi ha dato loro la facoltà di annullare, sostanzialmente, il risultato democratico delle elezioni?Nello scenario odierno colpisce la dismisura tra la realtà e la sua narrazione virtuale. L’arma del mago – che manipola il pubblico – è sempre la stessa: la paura. Guai, se osate sforare i parametri della depressione collettiva programmata. Guai, se vi azzardate a espandere il benessere alla struttura sociale, ormai in stato di crescente sofferenza. Giornali e televisioni rilanciano lo stesso messaggio: è giusto avere paura. E’ saggio. Siamo nati, in fondo, per vivere nella paura. La paralisi generale che si ottiene è impressionante. E i maghi, innanzitutto, restano al loro posto. Oggi sono preoccupati, certo, dai primi rumorosi segnali di insofferenza. Se le vituperate masse dovessero malauguratamente svegliarsi, per loro sarebbe finita. Crocifìggono l’Italia per il suo debito pubblico, che viaggia attorno al 130% del Pil, ben sapendo che nessuno chiederà mai conto, a Draghi e ai suoi padroni, del successo di un sistema come quello del Giappone, arrivato al 250% di debito senza colpo ferire, senza disoccupazione, e senza subire nessun tipo di estorsione finanziaria (spread), essendo i giapponesi protetti da una vera banca centrale, che si comporta da prestatore di ultima istanza e garantisce in modo illimitato l’esposizione contabile della nazione.Sanno perfettamente, i maghi neri, che basterebbe la disobbedienza di un solo paese a far crollare l’incantesimo: investendo in modo coraggioso, con un super-deficit strategico (Keynes docet) l’economia si metterebbe automaticamente a volare. E un paese che scoppia di salute, ovvero di futuro, sarebbe preso d’assalto da tutti gli investitori del pianeta. Culmine della follia: i maghi neri trattano l’Italia come fosse il Burundi, e non un grande paese industriale del G8. Uno Stato con duemila miliardi di debito, ma quasi diecimila miliardi di patrimonio, tra risparmi e beni immobiliari. Stiamo parlando dell’Italia, il paradiso turistico tecnologicamente avanzato che detiene il 70% dei beni culturali del mondo. Solo una forma patologica di devastante ipnosi collettiva può consentire al mago e ai suoi compari di insolentire, minacciare, ricattare e derubare una comunità del genere, formata da 60 milioni di cittadini, condannandola a vivere – ancora e sempre – nella paura di perdere tutto. Ma chi è, davvero, Mario Draghi? Chi ce l’ha messo, alla guida della Bce? E chi è Jean-Claude Juncker? In nome di quale Europa questi signori parlano? Quale suffragio popolare ha mai sorretto gli spaventapasseri che a turno sputano minacce dagli uffici di una Commissione Europea che ignora deliberatamente qualsuasi indicazione provenga dall’Europarlamento, unica istituzione elettiva dell’Unione?Il Trattato di Lisbona non è una Costituzione europea, è uno statuto coloniale – con la differenza che, rispetto al colonialismo tradizionale, quello europeo non ha neppure il pregio della terribile visibilità della potenza dominante. Il vero vertice è rappresentato dal celeberrimo “pilota automatico”, che la cupola finanziaria privata utilizza per soggiogare i sudditi, spesso con la cortese collaborazione dei vari gauleiter franco-tedeschi, ai quali viene concesso il tristo privilegio del kapò. Risultato: mezza Europa oggi ce l’ha coi tedeschi, come popolo, per via degli immani crimini sociali commessi da Angela Merkel, mentre tanti italiani ormai detestano i francesi, in blocco, per colpa del loro impresentabile presidente, l’oltraggioso sbruffone Macron, a sua volta mal sopportato dai suoi stessi connazionali, in quanto servitore di poteri oligarchici nemmeno così oscuri. E questa sarebbe oggi l’Europa? Sarebbe questo il giusto habitat politico dove far vivere oltre mezzo miliardo di esseri umani, che ormai si guardano in cagnesco?In questi anni, il mago si è arricchito smisuratamente mentendo ai sudditi, raccontando loro che dovevano rassegnarsi a stare peggio, a rinunciare a crescere come un tempo. La protesta ribolle, in molti paesi, ma il mago non ha un Piano-B: non cambia ricetta, non prospetta alternative alla sua teologia dell’infelicità. Al limite, pensa a come depistare il pubblico, coi soliti sistemi: i media addestrati a ripetere menzogne, i governi frontalmente minacciati di terribili punizioni, i movimenti più irrequieti eventualmente infiltrati da agenti provocatori. Tutto questo accade, ancora, perché a valere sono le regole del mago: è stato lui a raccontare che, impoverendosi, ci si arricchisce. Austerity espansiva, l’ha chiamata. Che è come dire: tutti sappiamo che gli asini volano. Per quanto ancora, il mago, terrà in vita il suo maleficio? Quanto tempo impiegheranno, i popoli europei, a sfrattare i loro parassiti? L’impresa è molto ardua, vista la sproporzione delle forze in campo. Nel 2012, sotto il dominio del mago Monti, l’Italia scrisse nella sua Costituzione che la Terra è piatta, e non gira affatto attorno al Sole. Tecnicamente: pareggio di bilancio. Tradotto: è giusto auto-sabotarsi, amputare il futuro. Perché non viene rimosso, oggi, quel vincolo medievale? Perché non si torna a dire, tanto per cominciare, che la Terra è tonda?La superstizione neoliberista è stata fatta a pezzi dagli economisti democratici e, prima ancora, dalla realtà stessa: il bilancio del sistema neoliberale è una vera e propria catastrofe planetaria. Laddove si è tagliato lo Stato, è crollata anche l’economia privata. Unici beneficiari, gli immensi oligopoli finanziarizzati. Se si abbatte la spesa pubblica, frana l’intero paese. L’hanno capito tutti, ormai. E i primi a saperlo sono proprio loro, i grandi illusionisti: Juncker e Draghi, Merkel, Moscovici, Macron. Per chi lavorano, in realtà? Per quale nuovo ordine feudale? Troppa democrazia fa male, scrivevano negli anni ‘70 i maghi ingaggiati dalla Trilaterale: l’eccesso di democrazia – affermarono, testualmente – si cura restringendo gli spazi democratici, confiscando libertà e diritti. L’Europa è stato il loro grande laboratorio. C’erano ostacoli, al loro piano, ma sono stati rimossi – dall’italiano Aldo Moro allo svedese Olof Palme. Nemmeno i Craxi dovevano più essere in circolazione: diversamente, come riuscire a raccontare che, per ingrassare, bisogna saltare i pasti? Ci si domanda quand’è che torneranno in vigore le regole fisiologiche della vita, al posto di quelle – truccate – dell’illusionista. Per esempio: dove è scritto che l’Europa non possa avere una Costituzione democratica, validata dai suoi popoli? Chi ha stabilito che l’Unione Europea non possa essere affidata a un governo legittimo, regolarmente eletto? Chi l’ha detto che il continente non possa avere un’autentica banca centrale, anziché un istituto privatizzato e gestito da stregoni? Quanto a lungo sarà ancora sopportata, l’insolenza bugiarda del mago?Lucida follia: è tutto sotto i nostri occhi, eppure si nega l’evidenza. Del sistema capitalistico esistono due traduzioni pratiche: enormi fortune per pochi (neoliberismo) o relativo benessere per molti (keynesismo). Più lo Stato spende, a deficit, e più cresce il Pil. Ovvero: consumi, lavoro, risparmi. Di conseguenza: più gettito fiscale, più soldi per il welfare, la previdenza, le pensioni. E’ un fatto intuitivo, oltre che scientificamente e storicamente dimostrato: più si investe, utilizzando il debito pubblico, più la società cresce, nel suo insieme. Se viceversa si chiude il rubinetto pubblico, la situazione precipita: il 99% della popolazione perde terreno, e il restante 1% si arricchisce a dismisura, acquistando a prezzi di saldo beni e aziende, pubbliche e private; si rilevano servizi un tempo pubblici, insieme a imprese strangolate dalle tasse, imposte per pareggiare il bilancio statale. Il gioco della finanza è basato su scommesse truccate: compro oggi a poco prezzo i titoli che domani varranno di colpo moltissimo, visto che so in partenza che i miei complici li faranno “esplodere”, al momento opportuno, organizzando a tavolino una bella crisi. La Grecia è stata letteralmente spolpata, in questo modo, ma anche l’Italia – fatte le debite proporzioni – ha seguito la medesima sorte. Idem gli altri paesi europei, anch’essi governati dai prestanome di un’oligarchia del denaro che detiene tutti i mezzi monetari per manipolare l’economia. La politica è stata sfrattata dal palazzo: la democrazia, svuotata di ogni contenuto, è stata completamente neutralizzata.
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Galloni: agenzia di rating italiana, e salta il ricatto-spread
Il ministro Giovanni Tria bene ha fatto a tirare dritto, nonostante le critiche sul Def di Europa, Bankitalia e Fmi. Anche perché, se il governo abbassasse il tiro, si indebolirebbe da ogni punto di vista. A Roma diciamo: chi si fa pecora, il lupo se la magna. Bisogna partire dal principio. Questo governo nasce, anche per merito del presidente della Repubblica, con un compromesso: non si può continuare con le vecchie politiche economiche, ma non si può arrivare all’uscita dall’euro. Questo è il solco: si resta in Europa e nell’euro, ma considerando quella che è la situazione italiana. Noi abbiamo enormi ricchezze non valorizzate: archeologiche, artistiche, lavorative, tecnologiche. E di contro, abbiamo 10 milioni di poveri assoluti, 20 milioni di poveri relativi, 4 milioni di imprese alla canna del gas, 3 milioni di disoccupati ufficiali. Bruxelles ci chiede di continuare con le politiche che hanno creato questa situazione. Noi cosa dovremmo fare? In queste condizioni non è che si può stare a pensare agli zero virgola. Se Bruxelles si scatena perché finora l’Italia non aveva mai alzato la testa, è un problema di Bruxelles.L’Italia fa bene a tirar dritto e a continuare sul solco di quel compromesso di cui dicevamo. Anche se, paradossalmente, con più coraggio, con una manovra ancora più espansiva, si avrebbe un effetto sul Pil più marcato e quindi un’effettiva riduzione del debito. Avremmo anche una movimentazione pesante di centinaia di migliaia di posizioni lavorative aggiuntive. Ma per fare questo bisogna risolvere due questioni. Oltre all’Europa c’è il prolema dei mercati. Bisogna fare in modo che le nostre banche non siano spiazzate da un cattivo rating. Il vero problema non è lo spread, ma il rating. Se ci abbassassero ancora di rating, potrebbe accadere che le stesse banche non abbiano alcun interesse a mantenere titoli italiani o non lo possano addirittura fare. Una soluzione? Dobbiamo immediatamente attrezzarci con un’agenzia di rating nostra e con un accordo con le grandi banche. Se non si fanno queste due cose è come voler andare ad affrontare i carri armati a mani nude o con le fionde. Ci vogliono invece i bazooka. Il governo deve immediatamente pensare a predisporre delle difese preventive affinché lo spread non influisca troppo sui tassi d’interesse delle nuove emissioni.Dunque, un’agenzia di rating italiana. Poi, se ci accordiamo con altri grandi paesi è ancora meglio. L’importante sono i criteri: questa agenzia dev’essere fatta da professionisti seri, non quelli che fanno parte delle agenzie statunitensi, che consigliavano ai loro clienti dieci minuti prima del crollo dei titoli di acquistarli, come capitato con Lehman Brothers. Servono professionisti bravi che spieghino in base a cosa danno il rating. Da quando esiste la macroeconomia, il rating di un paese dipende dalle sue capacità di esportare e di sostituire importazioni. In pratica, dipende dalla capacità di avere una bilancia commerciale sostenibile. Siccome l’Italia da questo punto di vista sta andando bene, stiamo esportando: siamo la terza potenza mondiale, in quanto a diversificazione merceologica dell’export. E inoltre stiamo sostituendo moltissime importazioni. Non vedo perché dobbiamo avere dei fondamentali negativi. Dovremmo avere anche noi le tre “A”.(Nino Galloni, dichiarazioni rilasciate a Carmine Gazzanni per l’intervista “Un’agenzia italiana di rating per far saltare il ricatto dello spread. L’Italia tiri dritto, basta pensare allo zero virgola”, pubblicata da “La Notizia” l’11 ottobre 2018. Insigne economista post-keynesiano e presidente del Centro Studi Monetari, Galloni è vicepresidente del Movimento Roosevelt).Il ministro Giovanni Tria bene ha fatto a tirare dritto, nonostante le critiche sul Def di Europa, Bankitalia e Fmi. Anche perché, se il governo abbassasse il tiro, si indebolirebbe da ogni punto di vista. A Roma diciamo: chi si fa pecora, il lupo se la magna. Bisogna partire dal principio. Questo governo nasce, anche per merito del presidente della Repubblica, con un compromesso: non si può continuare con le vecchie politiche economiche, ma non si può arrivare all’uscita dall’euro. Questo è il solco: si resta in Europa e nell’euro, ma considerando quella che è la situazione italiana. Noi abbiamo enormi ricchezze non valorizzate: archeologiche, artistiche, lavorative, tecnologiche. E di contro, abbiamo 10 milioni di poveri assoluti, 20 milioni di poveri relativi, 4 milioni di imprese alla canna del gas, 3 milioni di disoccupati ufficiali. Bruxelles ci chiede di continuare con le politiche che hanno creato questa situazione. Noi cosa dovremmo fare? In queste condizioni non è che si può stare a pensare agli zero virgola. Se Bruxelles si scatena perché finora l’Italia non aveva mai alzato la testa, è un problema di Bruxelles.
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I periodi di unipolarità? Sono sempre durati solo un attimo
Ai dirigenti, ai politici, agli opinion leader e agli ‘esperti’ americani piace parlare del “momento di unipolarità” e della posizione di “iper-potenza” di cui, nella loro immaginazione, godrebbero nel mondo gli Stati Uniti. Da questa fantasia vengono completamente esclusi tutti i fatti storici ad essa poco convenienti. Il momento unipolare degli Stati Uniti (ammesso e concesso che sia mai esistito) è durato meno di un decennio, dal disfacimento dell’Unione Sovietica, alla fine del 1991, al 15 giugno 2001. Il “momento” degli Stati Uniti è riuscito a malapena ad arrivare alle soglie del 21° secolo. In quel fatidico 15 giugno 2001 si erano verificati due eventi di grande importanza. Primo, il presidente americano George W. Bush aveva tenuto un discorso a Varsavia in cui dichiarava che l’obbiettivo strategico più importante degli Stati Uniti era l’integrazione nella Nato dei tre staterelli baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Nello stesso giorno, Russia e Cina davano vita, insieme ad altre quattro nazioni dell’Asia Centrale, allo Sco, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, la più popolosa e potente organizzazione per la sicurezza internazionale della storia. Quest’anno, lo Sco ha raddoppiato la sua popolazione grazie all’ingresso, in contemporanea, di India e Pakistan, due grandi potenze nucleari con una popolazione complessiva di 3 miliardi di persone, quasi il 40% della razza umana.Con la creazione dello Sco, destinato fin dalle origini a preservare e a proteggere un mondo multipolare dalla dominazione di un’unica potenza, il momento unipolare degli Stati Uniti si è ritrovato morto e sepolto. Questo dato di fatto era stato confermato tre mesi dopo, quando l’attacco terroristico di Al-Qaeda dell’11 settembre 2001 aveva causato la morte di circa 3000 persone. Quel giorno erano morti più americani che durante l’attacco giapponese a Pearl Harbor, nel 1941. George W. Bush avrebbe dovuto essere messo sotto impeachment per la sua grande incapacità. Invece la sua popolarità era salita alle stelle. Pensando che il momento (o l’era) unipolare fosse ancora nel suo pieno splendore, alla fine di quell’anno aveva invaso l’Afghanistan e, meno di due anni dopo, l’Iraq. Gli Stati Uniti sono ancora perennemente impantanati in quelle guerre di cui non si vede la fine. Gli schemi della storia, completamente ignorati dai media, dalla casta degli opinion leader e dal mondo politico americano, questa lezione, invece, ce la insegnano di continuo. Negli ultimi 1500 anni si sono verificati diversi momenti unipolari per quelle grandi potenze che cercavano di dominare il mondo, ma tutte sono collassate nel giro di pochi anni.Quando la Spagna degli Asburgo e i suoi alleati ebbero definitivamente sconfitto la grande flotta del potente Impero Ottomano nella Battaglia di Lepanto, nel 1571, il dominio imperiale della Spagna su tutta l’Europa sembrava assicurato. Ma la Spagna era già invischiata in una rivolta olandese che era iniziata nel 1588. Nei decenni successivi (questa ribellione) si sarebbe rivelata più massacrante degli attuali interventi americani in Afghanistan e in Iraq. Il sogno della dominazione spagnola di Re Filippo II sarebbe stato definitivamente seppellito solo 17 anni dopo Lepanto, nel 1588, con la distruzione dell’Invincibile Armada, la flotta che avrebbe dovuto conquistare l’Inghilterra. Poi era stato il turno della Francia. Il suo dominio sull’Europa sembrava essere stato sancito dalla Pace di Vestfalia, nel 1648. Ma, fra il 1660 e il 1670, Luigi XIV, il re pazzo per la gloria, soprannominato “Re Sole” aveva già ripetuto l’errore della Spagna e aveva impantanato la nazione in una serie di guerre che sarebbero durate quasi mezzo secolo in quelli che ora sono Belgio, Olanda e Germania meridionale. Il momento unipolare della Francia era durato meno di vent’anni.Dopo erano arrivati gli inglesi. Anche dopo aver vinto le guerre napoleoniche contro la Francia, si erano resi conto di non poter dominare il mondo da soli ed erano stati costreti a dividerlo con le assai più conservatrici grandi monarchie d’Europa: la Russia, l’Impero Austro-Ungarico e la Prussia. Nel 1848, i re di Francia, dell’Impero Austro-Ungarico e della Prussia avevano perso molti dei loro poteri o erano stati detronizzati da rivoluzioni popolari e liberali. A quel punto, gli inglesi avevano pensato, proprio come avevano fatto gli americani nel 1989-1991, che fosse finalmente arrivato il loro momento di unipolarità e che sarebbe durato per l’eternità. Il mondo intero avrebbe guardato a Londra per avere guida e saggezza. Non era andata così. Nel 1871, la Prussia, guidata dal suo Cancelliere di Ferro, Otto von Bismarck, aveva unificato la Germania, e sconfitto la Francia, alleata della Gran Bretagna, togliendo in modo umiliante all’Inghilterra ogni possibilità di potere e influenza sull’Europa continentale. Quando gli era stato chiesto che cosa avrebbe fatto se il minuscolo esercito inglese avesse per caso invaso la Germania del Nord, Bismarck aveva risposto che avrebbe mandato la polizia ad arrestarlo. Dopo la Sconfitta della Germania imperiale nella Prima Guerra Mondiale, alla Gran Bretagna era sembrato di poter godere di un altro momento di iper-potere.Gli Stati Uniti con il loro isolazionismo e l’Unione Sovietica [alle prese con i suoi problemi interni] si erano entrambi ritirati temporaneamente dalla scena mondiale. In ogni caso, questa fantasia britannica non era durata neanche fino all’ascesa di Hitler, nel 1933. Due anni prima, nel 1931, il Giappone imperiale aveva occupato la Manciuria, una grossa porzione dalla Cina nord-orientale: i capi militari inglesi erano stati costretti ad ammettere con il Primo Ministro, Ramsay MacDonald, che non c’era nulla che si potesse fare a riguardo. Il momento unipolare della Gran Bretagna era durato solo 12 anni, dal 1919 al 1931. Una volta capiti questi fatti storici, è facile rendersi conto del perché il momento unipolare degli Stati Uniti sia stato anche più breve di quello inglese del 20° secolo, meno di un decennio. Dal 2001 in poi, gli Stati Uniti si sono dissanguati e sfiniti, proprio come avevano fatto la Spagna degli Asburgo, la Francia borbonica e l’Inghilterra post-vittoriana in tentativi inutili, assurdi e ricoli per negare e cercare di opporsi agli inevitabili ricorsi della storia. Questo non dovrebbe sorprenderci, del resto Friedrich Hegel ci aveva avvertito: «L’unica cosa che impariamo dalla storia è che dalla storia non impariamo nulla».(Martin Sieff, “I periodi di unipolarità sono sempre durati solo un momento”, da “Strategic Culture” del 22 settembre 2018, tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).Ai dirigenti, ai politici, agli opinion leader e agli ‘esperti’ americani piace parlare del “momento di unipolarità” e della posizione di “iper-potenza” di cui, nella loro immaginazione, godrebbero nel mondo gli Stati Uniti. Da questa fantasia vengono completamente esclusi tutti i fatti storici ad essa poco convenienti. Il momento unipolare degli Stati Uniti (ammesso e concesso che sia mai esistito) è durato meno di un decennio, dal disfacimento dell’Unione Sovietica, alla fine del 1991, al 15 giugno 2001. Il “momento” degli Stati Uniti è riuscito a malapena ad arrivare alle soglie del 21° secolo. In quel fatidico 15 giugno 2001 si erano verificati due eventi di grande importanza. Primo, il presidente americano George W. Bush aveva tenuto un discorso a Varsavia in cui dichiarava che l’obbiettivo strategico più importante degli Stati Uniti era l’integrazione nella Nato dei tre staterelli baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Nello stesso giorno, Russia e Cina davano vita, insieme ad altre quattro nazioni dell’Asia Centrale, allo Sco, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, la più popolosa e potente organizzazione per la sicurezza internazionale della storia. Quest’anno, lo Sco ha raddoppiato la sua popolazione grazie all’ingresso, in contemporanea, di India e Pakistan, due grandi potenze nucleari con una popolazione complessiva di 3 miliardi di persone, quasi il 40% della razza umana.
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Foa in Rai: che succede quando un eretico sale al potere?
Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l’establishment se l’è già “comprato”: intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla “voce del padrone”, utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.C’è qualcosa di meta-politico, di profondamente eversivo, nella sola idea di aver pensato a un cavaliere solitario e coltissimo come Foa, giornalista di razza e gentiluomo, per la presidenza della televisione di Stato, vera e propria fabbrica del consenso, per decenni affidata il più delle volte a mani servili e mediocri. È antropologicamente eversiva, la figura del liberale Foa al vertice della Rai: è il bambino che non può fare a meno di svelare l’imbarazzante nudità del sovrano, del monarca che si gloria nel celebrare una pace apparente, mentre intorno infuria la peggiore delle guerre. La guerriglia di oggi, nella quale Marcello Foa si trova coinvolto – dopo aver dato la sua avventurosa disponibilità a quell’ipotesi democratica chiamata “governo gialloverde” – non è un conflitto come quelli che l’hanno preceduto: è un sordido massacro quotidiano perpetrato ovunque, senza frontiere, senza più neppure le bandiere di un tempo. È una guerra orwelliana, affidata a mercenari. Navi corsare, che combattono (per lo più in incognito) per conto di padroni potentissimi, protetti dall’anonimato. Non c’è più neppure il triste onore della battaglia: si viene sopraffatti in modo subdolo, sistematicamente sommersi da menzogne spacciate per verità di fede, che il sistema mediatico non si cura più di verificare. Ed è proprio per questo che l’attuale sistema mediatico italiano detesta, e teme, Marcello Foa.Ascoltando solo e sempre un’unica campana, il sistema mainstream ci ha raccontato in questi anni che le poderose, ciclopiche Torri Gemelle di Manhattan sono crollate su se stesse, come se fossero state di cartone anziché di acciaio, solo perché colpite – con una manovra proibitiva persino per i migliori “top gun” – da normalissimi e leggerissimi jet di linea fatti di alluminio, dirottati da apprendisti piloti arabi, di cui tuttora non si sa nulla: non un’immagine, al fatale imbarco, di nessuno dei 19 presunti dirottatori (salvo poi rintracciare i loro passaporti, nientemeno, nell’inferno fumante di Ground Zero). Finge di credere sempre e soltanto alla versione ufficiale, il mainstream media, anche quando dimentica di ricordare che furono gli Usa a incoraggiare Saddam Hussein a invadere il Kuwait, dopo averlo spinto a combattere contro l’Iran. Dà retta unicamente al super-governo universale, il club dei telegiornali, anche quando assicura che Saddam disponeva di micidiali armi di distruzione di massa. E tace, invece, quando l’Onu dimostra che quelle armi erano pura fantasia, come i gas siriani di Assad, le fosse comuni di Gheddafi, le violenze della polizia di Yanukovich in Ucraina. E poi applaude a reti unificate, la consorteria mediatica, quando in Italia appaiono i cosiddetti salvatori della patria – i Monti, i Cottarelli – armati del bisturi che useranno per amputare carne viva, risparmi e pensioni, economia italiana di aziende e famiglie, oscurando il futuro dei giovani.All’epoca in cui Marcello Foa lavorava al “Giornale” di Indro Montanelli, il mondo probabilmente appariva infinitamente più semplice – più chiaro, più visibile nei suoi errori e orrori: la guerra fredda, il Medio Oriente e gli sconquassi africani della decolonizzazione, la strategia della tensione organizzata per gambizzare l’Italia e impedirle di prendere il volo come autonoma potenza euromediterranea fondata sulla forza formidabile dell’economia mista, pubblico-privata. In quella redazione milanese, dove Foa è cresciuto professionalmente, su una parete c’era appesa una carta geografica di Israele che indicava come capitale Gerusalemme, già allora, anziché Tel Aviv. Se Enrico Berlinguer impiegò anni per ammettere che si sentiva più al sicuro sotto l’ombrello della Nato piuttosto che tra i carri armati del Patto di Varsavia, Marcello Foa e il suo maestro Montanelli non avevano mai avuto dubbi sul fatto che niente di buono potesse venire, per l’Occidente, da un’oligarchia sedicente comunista che aveva soppresso sul nascere i primi vagiti democratici della Russia, cambiando semplicemente look all’antico dispotismo zarista. L’eroico sacrificio dell’Unione Sovietica, decisivo nell’abbattere il nazifascismo, non poteva cancellare né i Gulag di Stalin né l’esilio di Aleksandr Solženicyn. Era fatto di certezze, il mondo di Foa e Montanelli: la libertà (inclusa quella d’impresa) come fondamento irrinunciabile di qualsiasi comunità civile degna di chiamarsi democratica.Ed è questo che rende Foa insopportabile al potere economico di oggi, dove la libertà d’impresa cede il passo al dominio di immensi oligopoli finanziari globalizzati, privilegiati da legislazioni truccate come quelle dell’Unione Europea ordoliberista. È tanto più sgradevole e insidioso, Foa, perché non proviene – come invece molti anchorman televisivi – dalla contestazione giovanile del capitalismo: credeva, Foa, negli stessi valori professati dall’élite economica di un tempo, orientata pur sempre alla promozione della mobilità sociale, in sostanziale accordo con le forze sindacali dell’allora sinistra. Una dialettica anche aspra, ma vocata in ogni caso al miglioramento complessivo del sistema-paese. E mediata – sempre – dalla politica, letteralmente scomparsa dai radar italiani per 25 lunghissimi anni. Solo oggi, alla distanza, ci si mette le mani tra i capelli nel rivedere il film dell’euforia generale con la quale i cittadini avevano accolto il Trattato di Maastricht e, dieci anni dopo, l’ingresso nell’Eurozona disegnata dalle banche e governata dalla Bce con modalità feudali, imperiali, senza la supervisione di alcun controllo democratico. Succedeva negli anni cui, con la caduta del Muro di Berlino benedetta da Gorbaciov, l’umanità si era illusa che il fantasma della guerra sarebbe stato semplicemente cancellato dalla storia del pianeta.Magari fosse un comune complottista, Marcello Foa: sarebbe più comodo liquidarlo, come velleitario chiacchierone. Chi oggi gli promette guerra, invece, sa benissimo che l’ex caporedattore del “Giornale”, nonché docente universitario, nonché feroce critico del sub-giornalismo odierno, è un vero e proprio disertore. Non era un eretico: lo è diventato negli ultimi anni, disgustato dallo spettacolo al quale è stato costretto ad assistere. Per questo, al di là del reale potere che gli conferisce la carica di presidente Rai, Marcello Foa rappresenta un vero pericolo, per i malintenzionati che oggi gli danno del traditore. Nell’Italia corporativa delle caste, ha osato “sparare” contro la sua – quella dei giornalisti – definendoli “stregoni della notizia”, bugiardi e omertosi spacciatori di “fake news” di regime. E non c’è niente di peggio, per i servi, che l’ex schiavo che si libera delle catene: la sua rivolta personale, intellettuale, suona umiliante per chi si ostina a raccontare che la Terra è piatta, e che è il Sole a orbitarle attorno.Chi l’avrebbe detto? Oggi l’Italia riesce incredibilmente a piazzare una persona autorevole, onesta e competente, alla guida della televisione pubblica. Marcello Foa non è infallibile: ma quando ha sbagliato – anche di recente, prendendo per buona la notizia di presunte istruzioni che il governo tedesco avrebbe impartito alla polizia, per enfatizzare il terrorismo “casereccio” targato Isis – non ha esitato ad ammetterlo, tempestivamente. Quanti, al suo posto, avrebbero avuto lo stesso coraggio? E ora, questo volto pulito del nostro giornalismo è alle prese con una sfida estremamente impegnativa. È davvero impossibile fare molta strada, in politica, se non si è almeno in parte ricattabili, e quindi controllabili, in quanto complici dell’apparato da cui si è stati promossi? Così almeno ebbe a dire un protagonista della vita pubblica italiana come Giuliano Ferrara. Qualcuno – sincero o meno – obietterà che questa regola non vale necessariamente per tutti. Ma è sicuro che, una volta entrati in cabina di regia, le proprie virtù possono trasformarsi in problemi: in un ambiente non esattamente cristallino, le qualità naturali dell’eretico diventano un’enorme seccatura, se non un ostacolo da rimuovere prima che possa mettere in pericolo la sopravvivenza del sistema stesso.Questa è la sfida di Marcello Foa, nella quale è in gioco l’Italia intera: restare fedeli alla propria coscienza significa contribuire a riaccendere la luce sulle notizie. Senza un’informazione trasparente, lo sappiamo, non c’è neppure vera democrazia. Lo sostiene con vigore, Marcello Foa, che resta innanzitutto un uomo leale e garbato – anche quando si permette di dissentire in modo netto sull’operato del presidente della Repubblica: chi oggi lo accusa di aver addirittura insolentito Sergio Mattarella, dopo la bocciatura di Paolo Savona al ministero dell’economia, più che il prestigio del capo dello Stato sembra aver a cuore la disciplina sociale dell’ossequio, da imporre al popolo nei confronti di chiunque rivesta funzioni di potere. Non è questa la democrazia per la quale il giovane liberale Foa tifava, quando polemizzava con quel comunismo da cui provengono moltissimi dei suoi attuali, smemorati detrattori. Non sappiamo come si svilupperà, la sua avventura negli uffici della Rai. Ma sappiamo che – contro ogni previsione – è tornata sotto i riflettori, in Italia, un’antropologia che si credeva estinta. Quella delle persone per bene, a cui il governo in carica affida addirittura la guida della televisione.(Giorgio Cattaneo, “Marcello Foa alla guida della Rai: che succede quando un eretico sale al potere?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 settembre 201).Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l’establishment se l’è già “comprato”: intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla “voce del padrone”, utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.
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Cottarelli e Macron, il vero partito che rema contro l’Italia
Attenti a Carlo Cottarelli: non lavora per l’Italia, ma per il “partito” trasversale (italiano) che vuole mantenere il nostro paese in crisi perenne. Un avvertimento che, sul “Sussiadiario”, Federico Ferraù rilancia, intervistando il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano. Pur senza essere esplicitamente nominato, l’ex commissario alla spending review del governo Letta – ormai ospite fisso dei maggiori talkshow, incluso il salotto televisivo di Fabio Fazio – è definito “Manciurian candidate”, cioè cavallo di Troia e quinta colonna di poteri esterni al nostro paese. Letteralmente: «Un economista che rilascia interviste da premier in pectore, facendo della riduzione del deficit e del debito il comandamento di una religione secolare». Tutto questo, «in attesa che il patto M5S-Lega si rompa, magari con l’aiuto del Colle», cioè di quel Mattarella che la candidatura Cottarelli l’aveva agitata come minaccia, in alternativa a quella di Conte, subito dopo aver bocciato la proposta di Paolo Savona come ministro dell’economia. Neoliberista, a lungo dirigente del Fmi, Cottarelli è considerato – insieme a Mario Draghi, allora dirigente di Goldman Sachs – uno dei maggiori responsabili della catastrofe abbattuasi sulla Grecia. Da tempo ci prova anche con l’Italia. La sua ricetta? Quella di Monti: deprimere l’economia tagliando il deficit. Agisce da solo, Cottarelli? Niente affatto: si muove in tandem con Emmanuel Macron.Lo stesso Ferraù definisce l’inquilino dell’Eliseo «un antipopulista a vocazione continentale che fa il populista alla bisogna, approfittando del fatto che il suo paese è ancora troppo importante per fallire». Macron e Cottarelli, sottolinea il professor Mangia, fanno parte dello stesso disegno anti-italiano: non ordito “dalla Francia” o “dalla Germania”, bensì da un cartello di poteri economici, che agiscono – inseguendo esclusivamente i propri interessi privatistici – all’insaputa degli stessi francesi e tedeschi. «In realtà – afferma Alessandro Mangia – ad essere vincitore, oggi, in Europa, è soltanto un blocco industriale e finanziario che dall’unificazione europea ha tratto solo vantaggi e ha distribuito gli svantaggi in modo più o meno equo tra i vari paesi d’Europa». Oggi Macron annuncia un’espansione del deficit francese, mentre Cottarelli tuona contro la ventilata (minima) crescita del disavanzo italiano? Niente di strano: quei poteri hanno bisogno che la Francia non crolli, per questo le consentono di sostenere la propria economia con una dose maggiore di debito pubblico. L’Italia, invece, “deve” crollare: a questo servono le prediche a reti unificate di Cottarelli, contro l’aumento della spesa invocato da Di Maio e Salvini per finanziare Flat Tax, pensioni e reddito di cittadinanza. La filosofia di Cottarelli? Quella, fallimentare, del Fmi: se infatti si taglia la spesa produttiva, decresce automaticamente il Pil e l’economia peggiora, aggravando il peso del debito pubblico.Dopo che Macron ha comunicato di voler aumentare il deficit fino al 2,8% per tagliare 25 miliardi di tasse, Di Maio ha detto: «Facciamo anche noi il 2,8% come loro». Domanda: perché l’Italia non può imitare i francesi? «Perché la Francia, nell’assetto attuale d’Europa – spiega Mangia – è un elemento essenziale per la tenuta del sistema di potere che si è instaurato dopo la crisi del 2010-2011». E quindi, chiarisce il professore, le va lasciato margine di manovra. Anche perché, senza la foglia di fico (francese) del famoso “asse franco-tedesco”, sarebbe evidente a tutti chi domina e chi è dominato, in Europa: «E l’Europa si ridurrebbe alla sola Germania e ai suoi sottoposti». In altre parole: in cambio di una parte in commedia, alla Francia viene lasciata maggiore libertà di bilancio. Solo che, «stanti le caratteristiche strutturali della moneta unica», questa maggiore libertà «si traduce in maggior debito e maggior deficit sull’estero». La spesa aggiuntiva francese, argomenta Mangia, viene fatta acquistando beni esteri — cioè tedeschi e italiani — perché costano meno di quelli francesi. Sicché, Macron potrà anche «tirare a campare, politicamente, come ha cercato di fare Hollande con l’esito che sappiamo», ma non farà altro che «aggravare la situazione e accumulare passivi sull’estero».E questo, sottolinea il professore, è esattamente ciò che succede da anni alla Francia, che «dopo sforamenti superiori al 5% (che noi ci sogneremmo) è su una china assai peggiore di quella dell’Italia: solo che non si può dire, se no viene giù tutta la messinscena dell’asse franco-tedesco e non si può più fare la voce grossa con Italia e Spagna». In più, se Bruxelles è di manica larga con Parigi, è anche per sostenere il suo uomo – Macron – ormai inviso al 70% dei francesi. La Francia, ricorda Alessandro Mangia, da oltre 10 anni sfora il tetto del 3% sul rapporto debito-Pil. Il paese è stabilmente in disavanzo commerciale sull’estero. Inoltre «ha un debito pubblico prossimo al 100% con un trend di stabile crescita e un volume superiore a quello italiano». La disoccupazione è stabile al 9% (in Italia è attorno all’11) con una manifattura «ormai secondaria, nel continente». Ancora: la Francia «è in stato d’emergenza dai tempi del Bataclan, e cioè dal novembre 2015, e ne è uscita (a parole) con il trucchetto di trasformare la legislazione d’emergenza in legislazione ordinaria, con quel che ne viene in termini di poteri della polizia su libertà personale e di riunione». Non solo: la Francia «riesce ad avere un governo solo grazie agli artifici di una legge elettorale a doppio turno, fatta apposta per drogare il consenso del vincitore».Come se non bastasse, l’Eliseo «sta cercando di approvare una riforma costituzionale osteggiata persino in quell’Assemblea nazionale dove la maggioranza drogata di “En Marche” dovrebbe essere netta e sicura». A fronte di tutto questo, aggiunge il professor Mancia, come stupirsi del fatto che Macron abbia problemi di popolarità? Tutto sommato, aggiunge, a Macron «sta andando ancora bene», se consideriamo che quel presidente, eletto in quel modo e con quell’esiguo consenso, «si è messo in testa di fare ai lavoratori francesi quello che è stato fatto ai lavoratori italiani dai governi Monti e Renzi in nome di “debito” e “competitività”, senza tener conto del fatto che sciopero generale e resistenza popolare fanno parte del mito repubblicano su cui si regge la Francia». Gli scandaletti come quello che ha coinvolto Macron e la sua guardia del corpo Alexandre Benalla? Un pretesto fisiologico per esprimere la protesta contro le scelte (politiche, non private) del presidente, «in un sistema istituzionale bloccato dalla mancanza di un voto di sfiducia, come è quello presidenziale della V Repubblica», dove «l’unico modo di liberarsi di un presidente è quello di costringerlo alle dimissioni». Mancando la possibilità del voto parlamentare di sfiducia, «poi si finisce con il parlare di stagiste e guardie del corpo come se fossero affari di Stato».Ma la Francia ha comunque due potenti frecce al suo arco: i 500 miliardi di euro che sottrae ogni anno a 14 ex colonie africane, più il fatto di essere rimasta – dopo la Brexit – l’unica potenza nucleare europea. «Nonostante le figuracce rimediate in Siria», afferma Mangia, la Francia è l’unica nazione in Europa a disporre di un deterrente nucleare, Per questo «è essenziale per calciare il barattolo europeo in avanti, parlando di Unione di Difesa, sessant’anni dopo il fallimento della Comunità Europea di Difesa». Tant’è vero che da qualche settimana, in Germania, «si parla di munire la Bundeswehr di armi nucleari tattiche, per non lasciare il monopolio del nucleare alla Francia». Il che, aggiunge Mangia, «dà la misura di quanto le attuali classi politiche europee siano stralunate, fino a diventare visionarie, ipotizzando un futuro indipendente dall’ombrello Usa», come se la Nato non esistesse più. E comunque, «la Francia è l’unico Stato dell’Unione ad avere una proiezione extracontinentale, vuoi per i territori d’oltremare, vuoi per l’aggancio valutario dei paesi subshariani attraverso il sistema del franco Cfa, perfettamente convertibile in euro a condizione che le ex-colonie depositino metà delle loro riserve valutarie in un conto in Francia».E guarda caso, puntualizza il professor Mangia, «stiamo parlando di quegli stessi paesi che da qualche anno ci inondano di profughi che naturalmente scappano da fame e guerra». Che la Francia abbia qualcosa a che fare con quello che viene presentato come un inarrestabile evento naturale che si produce – combinazione – proprio nelle sue ex colonie? «Non possiamo stupirci che, nell’insieme, la Francia abbia ancora un margine di manovra di fronte alla Commissione in tema di bilancio», ribadisce il professore. «A reggere la Francia è la sua proiezione di potenza, non la sua economia, che è messa male almeno quanto la nostra, anche se per ragioni diverse». E che posto ha l’Italia in questo gioco di poteri? «La Francia serve alla Germania, anche se l’unico paese dove può espandersi è ormai soltanto l’Italia, naturalmente con l’attiva collaborazione di buona parte delle nostre élites politiche». Fateci caso, osserva Alessandro Mangia: «Avete mai visto quanti e quali esponenti politici italiani sono stati insigniti della Legion d’onore? E’ impressionante». Tra i nomi più in vista svettano quelli di Massimo D’Alema e Franco Bassanini, Emma Bonino, Piero Fassino e Walter Veltroni, Dario Franceschini, Enrico Letta. E poi il renziano Sandro Gozi, Giovanna Melandri, Roberta Pinotti, Romano Prodi, i sindaci milanesi Giuliano Pisapia e Beppe Sala.«Qualcuno si è mai chiesto – si domanda Mangia – per quali ragioni la Francia dovrebbe conferire quella che, dai tempi di Napoleone, è la massima onorificenza della nazione a una schiera di politici italiani? Solo per spirito europeo?». L’amara verità, aggiunge il professore, è che in questa Europa ci sono paesi «più sovrani degli altri». Il risultato? E’ sotto i nostri occhi: ormai, a votare in massa per i cosiddetti sovranisti, o populisti – in Italia ma anche in Francia, Germania, Austria, Svezia – è quello che fino a dieci anni fa era ancora “ceto medio”, e oggi, «oltre ad essere impoverito, è insultato quotidianamente sui giornali». Viene bollato come “ignorante, incolto e xenofobo”, da quegli stessi media che accolgono come rivelazioni sensazionali le palesi falsità spacciate da Cottarelli, che “vende” come virtù il “risparmio” nei conti pubblici, paragonando il bilancio statale a quello di una famiglia o di un’azienda. «Semplici slogan che non hanno nessun fondamento economico», protesta Alessandro Mangia: «Gli Stati, se sono Stati, non possono essere equiparati a una famiglia per il semplice fatto che, in genere, le famiglie non possono stamparsi il denaro che gli serve per vivere, mantenersi e investire. Gli Stati, se sono davvero Stati, la moneta se la stampano. E il limite è dato da congiuntura economica e andamento generale dell’economia, come è sempre stato in Italia fino al divorzio Tesoro-Bankitalia».Il punto, aggiunge il professore, è che «la moneta unica ha ridotto gli Stati a dover dipendere dai fornitori di moneta, esattamente come le famiglie, e ha trasformato il debito virtuale di uno Stato nel debito reale di una collettività». E’ stato questo il vero passaggio dalla valuta nazionale all’euro: si è ottenuta «la creazione di un debito reale in capo alle collettività nazionali, in cambio di un ribasso temporaneo dei tassi di interesse». Dovremmo “ringraziare” a lungo chi ci ha portati in questa situazione, «che ha ucciso ogni libertà politica». E cioè: ha ucciso «la libertà di scegliere le politiche da praticare con l’esercizio del diritto di voto». Svuotamento della democrazia: «Certo, oggi si può ancora votare – aggiunge Mangia – ma alla fine le scelte possibili sono solo quelle dettate dalle regole europee sul bilancio. E mi sembra che i discorsi di questi giorni sullo “zero virgola” e sulla dialettica Tria-Di Maio ne siano la più perfetta dimostrazione». Ribellarsi a questo falso paradigma, basato sulla mistificazione ideologica del neoliberismo? Facile a dirsi, ma prima bisogna sbarazzarsi del cartello-ombra costituito da potenti connazionali che “remano contro” il nostro paese.«Esiste un partito, che diviene sempre più incalzante – scrive Ferraù, sul “Sussidiario” – per il quale il taglio del debito è divenuta una ricetta trans-economica, un credo, un obbligo morale, un modo di salvare l’Europa e l’Italia attenendosi, senza se e senza ma, alle direttive di Bruxelles e di Berlino». Come potrebbe spuntarla, il governo gialloverde, se il ministro Giovanni Tria appare sempre più nella veste del “pilota automatico”, sulle orme di Mario Draghi? Come ogni ministro del bilancio da Maastricht in poi, cioè dal 1992 – dice il professor Mangia – anche Tria «si trova a dover mediare tra quelle scelte politiche che i cittadini credono ancora di fare, quando vanno a votare, e i vincoli che la Commissione impone al bilancio, interpretando, modulando, calibrando i vincoli formali, dal Patto di Stabilità al Fiscal Compact». Gli interlocutori di Tria? «Non sono solo Di Maio e Salvini, ma la Commissione e gli altri ministri dell’Eurogruppo, che sono lì solo per fare gli interessi dei paesi di provenienza». L’unica domanda è: «Quand’è che noi smetteremo di fare gli interessi degli altri e di produrre – malamente, e con quello che passa il convento, che non è proprio granché – i nostri piccoli “Manchurian candidates”, cui affidare la continuazione di queste politiche? All’orizzonte ne vedo almeno uno», chiosa il professore. Non ne fa il nome, non ce n’è bisogno: per scoprire chi è basta accendere il televisore.Attenti a Carlo Cottarelli: non lavora per l’Italia, ma per il “partito” trasversale (italiano) che vuole mantenere il nostro paese in crisi perenne. Un avvertimento che, sul “Sussiadiario”, Federico Ferraù rilancia, intervistando il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano. Pur senza essere esplicitamente nominato, l’ex commissario alla spending review del governo Letta – ormai ospite fisso dei maggiori talkshow, incluso il salotto televisivo di Fabio Fazio – è definito “Manciurian candidate”, cioè cavallo di Troia e quinta colonna di poteri esterni al nostro paese. Letteralmente: «Un economista che rilascia interviste da premier in pectore, facendo della riduzione del deficit e del debito il comandamento di una religione secolare». Tutto questo, «in attesa che il patto M5S-Lega si rompa, magari con l’aiuto del Colle», cioè di quel Mattarella che la candidatura Cottarelli l’aveva agitata come minaccia, in alternativa a quella di Conte, subito dopo aver bocciato la proposta di Paolo Savona come ministro dell’economia. Neoliberista, a lungo dirigente del Fmi, Cottarelli è considerato – insieme a Mario Draghi, allora dirigente di Goldman Sachs – uno dei maggiori responsabili della catastrofe abbattutasi sulla Grecia. Da tempo ci prova anche con l’Italia. La sua ricetta? Quella di Monti: deprimere l’economia tagliando il deficit. Agisce da solo, Cottarelli? Niente affatto: si muove in tandem con Emmanuel Macron.
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Proclamato: vi svelo il senso delle rivelazioni di Gustavo Rol
Gustavo Rol disse di aver scoperto una “tremenda legge” legata all’associazione tra il colore verde, il numero cinque e il calore. La parte più appariscente del “sapere del verde” è questa. Tutto il mondo che superficialmente definiamo esoterico non è altro che un’interpretazione raffinata delle leggi della natura, e non è niente di magico. Il “verde” rappresenta uno dei momenti della natura: l’essenza del suo ritorno. Quindi il “verde” è la modalità cromatica attraverso cui il divino ritorna, e dimostra di non morire. Dunque, per il mondo iniziatico, la primavera è il momento in cui si consuma questo evento, che è ciclico. Lì abbiamo un problema: a noi, sembra che questo evento non ci sia. Pensiamo di avere solo un inizio e poi una fine. Osserviamo l’ovvio, nella natura, senza nemmeno immaginare che, probabilmente, noi dovremmo essere una parte evolutiva della natura, meglio concretizzata di altre, e che verosimilmente anche noi abbiamo la possibilità di “avere il verde”. Quando siamo qui, il “verde” lo si intende come la percezione, l’essenza dell’energia vitale dentro di noi. Il “verde” lo si intende anche come modalità, attraverso la quale – sempre la natura – una volta “arrivata”, una volta “ritornata”, poi si esprime. E si esprime poi con il bianco, e quindi con il rosso: prima cioè con i fiori, che poi maturano e diventano frutti.Non è un caso che quel tricolore sia anche la bandiera italiana, che è stata voluta da un massone austriaco durante la dominazione asburgica del Lombardo-Veneto. Fondò a Milano un ordine massonico, all’interno del quale si decise che quella sarebbe stata la nostra bandiera. Il nostro tricolore è la quintessenza del sapere esoterico. E’ la nostra mancata interpretazione, di quella bandiera, a renderci così inetti, in Italia. Siamo un popolo da tenere dormiente, sempre. Perché, quando riesce a svegliarsi da solo per alcuni attimi, o viene svegliato, “sono cavoli”, in tutto il mondo. Questo lo sanno tutti, meno che noi. Questi tre colori – rosso, bianco e verde – sono i più importanti, nel mondo iniziatico. Gustavo Rol capisce cos’è questa cosa e si rende conto del potere del “verde”, che è il potere dell’immortalità. Restiamo però nei binari: non vorrei che pensassimo che noi stessi “torniamo” – non è così, non si ritorna: io, almeno, con questa mia faccia qui, non ritorno! C’è invece la possibilità che, a tornare, siano le note che noi suoniamo meglio. Ovvero: se queste note che noi suoniamo bene, in questa realtà, sono diventate un talento, e se questo talento – qui, noi in vita – ci ha permesso di esprimerci, allora questa cosa la natura (Dio) la recepisce, ed è facile che “ritorni”.Nel caso specifico di Rol, lui al “verde” accosta l’intervallo di quinta e il “calore”. Il “calore” è un’altra modalità, piuttosto simbolica, con cui definire un altro atto energetico reale. Nel mondo cattolico, il momento in cui il Cristo se ne va è uno dei momenti più importanti, perché – con lo Spirito Santo e i suoi “doni” – inonda i suoi aspostoli e trasferisce loro questa grandissima capacità di capire, sentire e sapere tutto. Quello è il “calore”. Poi Rol cita un altro passaggio, che è l’intervallo di quinta: nel mondo musicale, va dal do al sol (do-re-mi-fa-sol), e corrisponde a un altro momento spirituale. Quelli che Rol cita sono proprio tre momenti spirituali, che possiamo trasformare in colori. Lui cita il verde, poi cita il calore (che è il rosso, cioè lo Spirito Santo), e poi cita un intervallo (rimane solo un colore: il bianco). Trasformando queste informazioni in quei tre colori, forse riusciamo a muoverci meglio, in ciò che Rol ha detto. Quei tre colori possono essere trasposti in quella che è stata l’esperienza una persona, che sa che le virtù possono permetterle di essere una cosa diversa, ed essendo diversa di ottenere – qui – una realtà diversa. Il fine ultimo dell’interpretazione di se stessi, attraverso altre situazioni emozionali, permette a noi – quando abbiamo capacità di volere e di desiderare – di portare qui realtà che non esistono: ognuno può farsi la sua realtà.La realtà interpretativa, che Rol conosce, viene espressa anche quando è in mano, ad esempio, a Ildegarda di Bingen: quando le chiedono come faccia a “parlare con Dio”, fino a trasformare queste sue “chiacchierate” in visioni, lei spiega, ai legati pontifici: «Io vivo col verde, perché è l’essenza della mia vita e della creazione, essendo l’energia che crea, e questo si chiama “amore”: poi parlo con Dio, e lo faccio con un colore, che è il bianco (e quando “parlo col bianco” lo faccio in un luogo dove non c’è altezza, né lunghezza, né profondità, e quando finisco di parlare mi sento giovane)». Quindi lei dice che, con il “bianco”, già non è più qui. Poi dice che, «parlando con Dio», inizia a «capire cos’è il verde». Lo fa in un momento ben preciso della sua vita, quando ha una determinata età, ed è il momento in cui avviene la Pentecoste: viene inondata da questo “calore” particolare, che le conferisce i “doni pentecostali” – che sono 7. Gustavo Rol questa cosa la capisce, la sa. E la persegue per tutta la vita. Una volta capitala, si rende conto della potenza che ha in mano: si rende conto che l’interpretazione di queste “virtù” (o caratteristiche emozionali) conferisce a noi la grandissima possibilità di creare, oltre che di muoverci diversamente nello spazio.In fondo, Rol non fa niente di strano; semplicemente, si rende conto, anche lui, di un qualcosa che tutti i mondi religiosi amministrano, sapientemente, da millenni. Noi, adesso, non facciamo altro che scoprire l’acqua calda, credetemi. Il problema è che, nel frattempo, abbiamo dato talmente tanta importanza alla razionalità (cosa giustissima, peraltro), da dimenticare però tutti quei passaggi che fanno parte del mondo iniziatico – che non è che ti rigurgiti volentieri; eppure, mai come adesso, nella storia dell’umanità, c’è stata la possibilità di parlarne. Uno dei motivi per cui non se ne parla ancora come si dovrebbe è dovuto semplicemente al fatto che noi siamo distratti. Siamo molto distratti da una marea di informazioni, riconducibili anche a una tutta una serie di strategie conoscitive. Ma vi posso scrivere (col sangue: adesso) che non c’è stato nulla – né ci sarà nulla, in futuro – che non venga estrapolato da questo sapere, per poi essere “venduto” con un altro nome: sappiatelo. C’è solo questo. E con questo, tu puoi imparare tutto. Non c’è nulla che resti fuori da questo sapere: la Pnl, le “costellazioni familiari”, tutto. Sono tutte interpretazioni di una particella di questo sapere. E Rol lo sapeva benissimo.(Michele Proclamato, dichiarazioni rilasciate a Michele Stedile nella diretta in web-streaming su Skype “Domande e risposte” del 14 marzo 2018, pubblicata su YouTube. Studioso ed esperto di simbologia, Proclamato ha pubblicato studi spesso illuminanti, come i libri su Arcimboldo e Newton, Cartesio e Giordano Bruno, l’architettura “sottile” partendo da Vitruvio e la mistica medievale Ildegarda di Bingen).Gustavo Rol disse di aver scoperto una “tremenda legge” legata all’associazione tra il colore verde, il numero cinque e il calore. La parte più appariscente del “sapere del verde” è questa. Tutto il mondo che superficialmente definiamo esoterico non è altro che un’interpretazione raffinata delle leggi della natura, e non è niente di magico. Il “verde” rappresenta uno dei momenti della natura: l’essenza del suo ritorno. Quindi il “verde” è la modalità cromatica attraverso cui il divino ritorna, e dimostra di non morire. Dunque, per il mondo iniziatico, la primavera è il momento in cui si consuma questo evento, che è ciclico. Lì abbiamo un problema: a noi, sembra che questo evento non ci sia. Pensiamo di avere solo un inizio e poi una fine. Osserviamo l’ovvio, nella natura, senza nemmeno immaginare che, probabilmente, noi dovremmo essere una parte evolutiva della natura, meglio concretizzata di altre, e che verosimilmente anche noi abbiamo la possibilità di “avere il verde”. Quando siamo qui, il “verde” lo si intende come la percezione, l’essenza dell’energia vitale dentro di noi. Il “verde” lo si intende anche come modalità, attraverso la quale – sempre la natura – una volta “arrivata”, una volta “ritornata”, poi si esprime. E si esprime poi con il bianco, e quindi con il rosso: prima cioè con i fiori, che poi maturano e diventano frutti.
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Ecco i nomi dei massoni golpisti che hanno creato la crisi
Puoi chiamarli neoliberisti. Monopolisti. Privatizzatori. C’è chi li ha definiti, anche, golpisti bianchi. Ma sono essenzialmente massoni. Attenzione: le obbedienze nazionali non c’entrano. Si tratta di supermassoni in quota alle Ur-Lodes, le oscure superlogge sovranazionali. Precisamente: quelle di segno neo-aristocratico, che detestano la democrazia e confiscano il potere dei cittadini, rimettendolo nelle mani di un’élite pre-moderna, pre-sindacale, ultra-padronale. E’ così che hanno costruito il nuovo medioevo in cui viviamo, il neo-feudalesimo regolato dall’Ue e dalla sua Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza e geopolitica, citando banche centrali e governi, si omette sempre di scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare l’attuale governance europea finto-democratica, dopo la clamorosa denuncia contenuta nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Una rivelazione: dietro ai principali tornanti della nostra storia recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i viadotti autostradali.
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Il potere è una religione: vuole il nostro odio, e lo censura
Mi chiedi la mia opinione sul potere. E certo intendi il potere apparente dell’uomo sull’uomo, quello che muove la ruota terrestre. Comma primo: il potere esige, vuole determinatamente farsi odiare dal suddito, dall’impotente sottomesso. Secondo comma: il potere proibisce l’odio stesso che esige. Vuole contemporaneamente farsi odiare, nell’intimo del suddito al quale ha strappato un irrisorio consenso, e farsi ammirare e amare all’esterno, nelle manifestazioni rituali. Gli chiede quindi tutto: amore, odio; reverenza, paura, silenzio, imprecazione, giuramento; obbligazione, ipocrisia; rispetto, distanza, dispetto; e così via. Il potere attira a sé tutto il sottomesso e lo colloca all’opposto di sé, nell’impotenza garantita da leggi e regolamenti che il potere emana contro i sudditi. Il suddito deve essere totalmente tale, non uomo, non umano, ma insetto, unità funzionale, sensore di un’anima-gruppo che produce, raccoglie e mette a memoria (del potere) le esperienze e le fatiche di tutti i sudditi, di generazione in generazione. E questa anima-gruppo, nella quale tutto confluisce e si trasforma irriconoscibilmente, è l’organizzazione, lo Stato.Per ottenere la plenitudine della potenza, il potere garantisce di essere tramite tra i sudditi e il Potere, la Divinità, l’Oltre, un oltreprima invisibile per il suddito ma garantito dalla Storia, dai Sacri Libri, dalla Tradizione, dalla paura. Solo il potere conosce, eredita e può gestire il Potere. In tal modo, il potere è la sola religione. La sola religione è il potere… Nella immobilità di questo statuto, che fonda il potere sovrano e la sudditanza totale, sono diverse ma coincidenti le dichiarazioni con le quali il potere si fa erede e garante del Potere: il suo preambolo d’investitura può riferirsi alla Tradizione o alla Rivoluzione, a Dio o al Popolo, allo Spirito o al Sangue, a un Santo o ad un Vendicatore assunti o al cielo dei Martiri o a quello degli Eroi. Le differenze sono puramente formali e vogliono apparire evidenti nei rituali di investitura e di celebrazione – che è una autocelebrazione del potere – allo scopo, non dichiarato per quanto è implicito, di separare i sudditi di un potere dai sudditi degli altri poteri e di proibire ad essi la consapevolezza che la sottomissione e l’impotenza sono totali, che il potere ha questa sola religione, comunque travestita, e tutta la geografia è del potere.In quanto religione, cioè in quanto potere tendenzialmente assoluto, il potere non promana dai sudditi, anche se ad essi chiede periodicamente una ratifica formale, ma proviene dall’alto, che è il potere stesso in precedenti codificazioni, discende dall’oltre, divino per assioma o divinizzato per abitudine indotta e obbligata. Ai sudditi non spetta, quindi, che un comportamento religioso, cioè ubbidienza, paura, ossequio, sacrificio, silenzio su ogni argomento e progetto che sia dichiarato lesivo od offensivo del potere. La sua maestà è sacra. La sua storia è, per definizione culturale, la sola storia dei sudditi. A compenso e tacitazione di questa espropriazione tendenzialmente assoluta delle singolarità, il potere ammette ma riservandosene la punizione esemplare – la bestemmia, la ribellione segreta, la rabbia momentanea, la fuga od evaporazione psichica all’interno ingovernabile del suddito. Il misticismo e la demenza sono i due modi apparentemente estremi della stessa evasione dall’invivibile storico, ossia dal potere totalmente subito.Appartiene al potere, in certi casi, provocare sia il misticismo che la demenza e garantire l’emarginazione degli evasi immaginari ora in conventi e ora in istituzioni psichiatriche, ora in ghetti e ora in carcere. Le evasioni reali sono immediatamente perseguite. In quanto il potere è religiosamente totale, non ammette scampo. Il suddito può odiarlo in segreto – il potere glielo proibisce per concederglielo meglio. Ma all’esterno, nel rituale pubblico, deve soltanto ubbidire – il potere glielo obbliga per dargli quella sola libertà impotente, l’odio. Nessuna legge o consuetudine permette l’odio manifesto al potere, e nessuna legge o consuetudine lo perdona appena si manifesti. L’odio non è mai neppure nominato come possibile, come non è mai neppure nominata l’ubbidienza come comportamento obbligato. Ma nessuna legge perdona la disubbidienza manifestata, a reprimere la quale ogni legge del potere è dedicata. La legge è dunque pura e totale emanazione del potere da ubbidire e della sudditanza come pura e totale ubbidienza, da prima della nascita a dopo la morte. Infatti la nascita e la morte, in quanto atti religiosi, cioè accadenti all’interno del potere, che significano l’iscrizione o la cancellazione di un suddito, sono possessi del potere stesso. In tal modo esso espropria dell’origine e della fine, e abbiamo visto dell’intera esistenza, i suoi sudditi naturali.La volontà del potere sostituisce, con un atto ufficiale, la non volontarietà sia del nascere che del morire in quel tempo e in quello spazio. Il tempo e lo spazio sono possessi del potere divisi con altri poteri confinanti nel tempo e nello spazio. I sudditi non hanno altro spazio e altro tempo che quelli notarizzati e garantiti dal potere. Anche i morti sono suoi sudditi. E i nascituri, immediatamente trasferiti nei suoi registri e nei suoi dati statistici, ricevono una garanzia di esistenza in quanto sudditi incancellabili del potere. Tutto quanto ti ho detto è impossibile ad intendersi, prima ancora che ad accettarsi, essendo la verità stessa del potere, cioè quello che innanzitutto il potere proibisce di sapere. Per il potere, infatti, tutto il sapere è interno al potere e da lui derivato. È proibito sapere che cos’è il potere. Ed è tanto proibito che il potere stesso non lo sa, se lo proibisce. In tal modo il potere ha anche una buona coscienza. Perciò la cattiva coscienza resta tutta ai sudditi che essi possono tenere per sé in silenzio e senza redenzione.Non si è mai sufficientemente attenti all’orrore del potere, al karma del ruolo emergente. Chi si inchina ad adorare un potente adora, in realtà, se stesso, l’immagine di una potenza agognata, invidiata e impossibile. Appena ti lasci adorare, sei un potente; appena ti compiaci dell’adorazione, sei un potente che ammette il suddito e in quel momento lo crea, incatenato a quel ruolo. La stessa catena ti lega e ti inganna, senza scampo. La verità interiore dice: niente è adorabile se non ciò che non si può adorare; niente è alto se non ciò che ti innalza; tutta la potenza è in un filo d’erba, e si fa calpestare; tutto il potere del mondo è una tua immagine agognata, invidiata e impossibile: in realtà, il potere è magia, ma il vero mago ha potere solo su se stesso ed è suddito solo di se stesso.(Estratto dal libro “L’uomo zero” di Pietro Cimatti, edito da Astrolabio-Ubaldini – 160 pagine, euro 10,33 – ripreso da “La Crepa nel Muro” il 19 agosto 2018).Mi chiedi la mia opinione sul potere. E certo intendi il potere apparente dell’uomo sull’uomo, quello che muove la ruota terrestre. Comma primo: il potere esige, vuole determinatamente farsi odiare dal suddito, dall’impotente sottomesso. Secondo comma: il potere proibisce l’odio stesso che esige. Vuole contemporaneamente farsi odiare, nell’intimo del suddito al quale ha strappato un irrisorio consenso, e farsi ammirare e amare all’esterno, nelle manifestazioni rituali. Gli chiede quindi tutto: amore, odio; reverenza, paura, silenzio, imprecazione, giuramento; obbligazione, ipocrisia; rispetto, distanza, dispetto; e così via. Il potere attira a sé tutto il sottomesso e lo colloca all’opposto di sé, nell’impotenza garantita da leggi e regolamenti che il potere emana contro i sudditi. Il suddito deve essere totalmente tale, non uomo, non umano, ma insetto, unità funzionale, sensore di un’anima-gruppo che produce, raccoglie e mette a memoria (del potere) le esperienze e le fatiche di tutti i sudditi, di generazione in generazione. E questa anima-gruppo, nella quale tutto confluisce e si trasforma irriconoscibilmente, è l’organizzazione, lo Stato.