Archivio del Tag ‘Potenza’
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Vogliono i nostri soldi: loro hanno un piano, noi non ancora
Esplode la voglia di fuggire dall’Europa, adesso che i suoi padroni aizzano i cani della crisi contro i popoli. I proprietari universali hanno fatto alcuni esperimenti da Shock Economy per vedere se gli azzannati riuscivano a difendersi. Volevano collaudare – su scala ridotta, ma non troppo – il modo in cui una società potrebbe essere annichilita da una burocrazia ottusa e feroce e trovarsi impedita se vuole rovesciare la politica dominante. La Grecia avrebbe potuto riassorbire la fase acuta della crisi in pochi mesi, e invece le sono state somministrate per anni ricette economiche prive di qualsiasi apparente logica. Mentre si licenziavano centinaia di migliaia di lavoratori, a quelli che conservavano il posto si imponevano stipendi decurtati e orari ben oltre le 40 ore settimanali. E ora siamo giunti al test di Cipro, non ancora concluso, eppure già adottato dagli eurocrati che gongolano perché lo vogliono ripetere su larga scala.
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Dietro a Cipro, la guerra: ma Putin sventa il complotto
In apparenza la posta in gioco è quella dei miliardi degli “oligarchi”, ma il vero obiettivo di Putin – nei panni di “salvatore” di Cipro – sarebbe ben più serio: salvare la pace nel Mediterraneo e allontanare la guerra che, attraverso la Siria, l’Occidente sta armando contro l’Iran. Lo sostiene un attento osservatore della politica russa, John Helmer: «Usa, Germania, Turchia e Nato pensano di avere quasi tutte le munizioni che servono per rovesciare il regime in Siria, come avevano già fatto in Libia, ma sembra che non trovino i 5 miliardi di euro necessari». Soldi indispensabili per «ripetere il trucco» finanziando la guerra coi depositi russi confiscati a Cipro. Inattesa contromossa di Putin: rifinanziare interamente le banche cipriote, emarginando l’Unione Europea e piazzando la Russia al centro del Mediterraneo. Con buona pace di Londra, che ha anch’essa manovrato per provocare il collasso di Cipro, cioè del maggior concorrente europeo dei paradisi fiscali britannici.
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Tutti salvi, solo in un mondo senza più vincitori né vinti
La dicotomia tra destra e sinistra è finita nel momento in cui l’una e l’altra si sono rivelate e si rivelano “cresciste” e nel momento in cui la sinistra continua a cullarsi nell’idea – contraddetta dei fatti – che progresso e crescita coincidano ancora. Non è più così. Per affrontare la politica che occorrerà, è necessario un salto concettuale gigantesco, come lo è la crisi che avanza: cioè il passaggio a un “pensiero complesso”. Le idee dominanti del XX Secolo furono, e sono ancora, quelle della specializzazione, cioè della frantumazione, dei saperi. Non fu casuale. Fu il risultato non solo del dominio del principio economico sull’intera società, fu ed è il prodotto della cultura razionalistico-illuminista. E’ questo che ci ha fatto perdere, insieme alla complessità dell’individuo, anche quella del cosmo.
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Fiscal Compact, Guarino: il pareggio di bilancio è illegale
Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact? Da gettare nella spazzatura della storia. Azzerare il debito pubblico non è solo insostenibile, è anche illegale: perché viola il Trattato di Lisbona, che il debito pubblico lo ammette eccome, anche se limitato al 3% del Pil secondo una teoria “cabalistica” che si vuole risalente a una semplice boutade dell’allora presidente francese Mitterrand: «Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi». Fondato sul contenimento ossessivo della spesa pubblica, il regime finanziario europeo non deriva da alcuna scienza economica, ma solo dall’ideologia dominante che prescrive di colpire lo Stato per favorire i grandi monopoli economici privati. E persino nella sua applicazione formale le autorità europee stanno violando la legge. Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, già docente di Cossiga ed esaminatore di Napolitano e Draghi, nonché ministro democristiano (finanze e industria) dall’87 al ’93. “Il teorico dell’euro-caos”, lo ribattezza la versione tedesca del “Financial Times”.
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Popolo, pane e diritti: la scomoda lezione di Hugo Chávez
Hugo Chávez non è stato un dirigente come tanti nella storia della sinistra. È stato uno di quei dirigenti politici che segnano un’intera epoca storica per il suo paese, il Venezuela, e per la patria grande latinoamericana. Soprattutto, però, ha incarnato l’ora del riscatto per la sinistra dopo decenni di sconfitte, l’ora delle ragioni della causa popolare dopo la lunga notte neoliberale. L’America nella quale il giovane Hugo iniziò la sua opera era solo apparentemente pacificata dalla cosiddetta “fine della storia”. Questa, in America latina, non era stata il trionfo della libertà come nell’Europa dove cadeva il Muro di Berlino. Era stata invece imposta nelle camere di tortura, con i desaparecidos del Piano Condor e con la carestia indotta dal Fondo Monetario Internazionale.
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Verso la Nato economica: Wall Street vuole i nostri soldi
L’Europa ridotta a periferia commerciale degli Usa? Barack Obama ci riprova, dopo il tentativo americano del ’92 di estendere anche a noi il “libero scambio” del Nafta, lo storico accordo nordamericano. Nel più totale silenzio dei media, Obama ora chiede un partenariato globale transatlantico per il commercio e gli investimenti, come confermano il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, e quello della Commissione Europea, José Manuel Barroso. Obiettivo: impedire all’Europa una “fuga” geopolitica da Washington. Come? Attirando negli Usa i capitali europei, secondo la strategia anti-crisi elaborata dalla storica Christina Romer, secondo cui l’America può sopravvivere alla crisi solo facendo trasferire verso Wall Street il capitale finanziario europeo. Per questo, sostiene Thierry Meyssan, Washington ha fatto chiudere la maggior parte dei paradisi fiscali non-anglosassoni, poi ha giocato con l’euro. Non ha funzionato? «La Nato economica renderà la cosa più facile».
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Sos futuro: serve un’economia sociale e democratica
Inutile negare che l’economia sia un potente motore dell’umanità, come comunità sociale: ma il problema è che, oggi, proprio l’economia è diventata il grande tabù della politica. «L’economia non può essere un vincolo per la politica, se contemporaneamente la politica non lo è per l’economia», sostiene Enrico Guglielminetti, direttore della rivista “Spazio filosofico”. «Se – come osserviamo – sempre più spesso l’economia prevarica sulla politica, l’alternativa non sta semplicemente in un ristabilimento dei confini reciproci, ma in forme diverse, e questa volta virtuose, di contaminazione». Ovvero: «L’economia deve farsi politica e la politica economia». Attenzione: «Non nel senso che i banchieri debbano governare gli Stati», cosa che peraltro avviene oggi, dalle parti dell’Eurozona, «ma nel senso che il capitalismo dovrebbe imboccare con decisione la propria fase sociale di sviluppo».
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Sfida alla Cina, le portaerei Usa traslocano nel Pacifico
Alleanza Atlantica da museo: un pezzo di storia, secolo scorso. A Monaco, durante la “Conferenza internazionale sulla sicurezza” di febbraio, il vicepresidente statunitense Joe Biden ha indicato i due obiettivi strategici a breve termine per il suo paese. Uno, l’Iran, per bloccarne «l’illecito e destabilizzante programma nucleare». Due, lo spostamento strategico dell’interesse statunitense dall’Atlantico al Pacifico, divenuto nuovo baricentro geopolitico. Provando a tradurre: cari lontani cugini europei, le grane del bacino mediterraneo e mediorientali sono ormai tutte vostre. Avete la Nato, sotto il nostro comando, ma soldi e armi ora toccano a voi. Esempio? Libia e Mali, dove noi vi diamo satelliti e, al massimo, qualche drone assassino per i lavori più sporchi. In Siria in realtà stiamo facendo qualche cosa in più, ma solo per giocare di sponda contro l’Iran. Perché sia chiaro, direbbe Biden o lo stesso Obama: tutto ciò che minaccia Israele resta “cosa nostra”. Chiarito ciò, il resto sono affari vostri.
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Più a destra di Monti: così Bersani ci ha venduto a Berlino
Bersani più a destra di Monti, di fronte alla platea europea, per rassicurare chi vuole distruggere l’Italia: «La vera campagna elettorale, quella per accreditarsi dove si prendono decisioni, la si fa sul “Financial Times”, che ha dedicato molto spazio alle elezioni italiane». Il blog “Senza Soste” riporta integralmente l’intervista che il segretario del Pd ha rilasciato al grande quotidiano, «in versione maresciallo Pétain», ovvero «quello dei giorni che precedettero la formazione della repubblica collaborazionista di Vichy». Cosa dice di così grave, Bersani? Primo: è favorevole ad un irrigidimento del Fiscal Compact, il patto sul bilancio che impegna a tagli di spesa pubblica di decine di miliardi l’anno per un ventennio. Secondo: impegna l’Italia ad ulteriori politiche di austerità. Poi Bersani tenta addirittura di superare Monti, approvando la figura del “commissario unico europeo”, che avrebbe potere di veto sulla stesura dei singoli bilanci nazionali: se un paese decidesse di finanziare scuola, sanità e servizi sociali, il super-commissario avrebbe il potere di bloccare una decisione sovrana.
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Sapelli: meno tasse e più debito, salviamo l’Italia dall’euro
Le crisi da cui siamo investiti sono sostanzialmente due, con la terza prodotta dal loro incrocio. Una è la crisi finanziaria dell’eccessivo rischio, dovuta in particolare all’unificazione delle banche di investimento con le banche commerciali, da cui proviene l’eccesso di rischio; l’altra, è una crisi tipicamente industriale di sovracapacità produttiva. Messe insieme, le due crisi hanno fatto scoppiare la crisi dell’euro. Questa, in pratica, è una crisi dell’euro. L’euro è una pazzia, non esiste nella storia dell’umanità una moneta creata prima dello Stato. Nel nostro caso, la moneta unica è affidata a meccanismi di regolazione incompiuti e di bassissima competenza tecnica. Fin quando abbiamo avuto una crescita, la debolezza dell’euro era attenuata, ma dall’arrivo della crisi e a causa delle differenze di produttività del lavoro e delle differenze delle bilance commerciali tra paesi come la Germania in surplus commerciali e altri in deficit come Italia, Francia, Spagna, sono emersi tutti i limiti di questo esperimento mal riuscito.
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La guerra di Monti contro l’Italia: sono qui per rovinarvi
L’uomo di Goldman Sachs si dimette per tornare subito, scompaginando il “bipolarismo obbligato”. Obiettivo: per instaurare l’autocrazia del grande capitale finanziario. Il professore è stato paracadutato a Palazzo Chigi con un compito preciso: distruggere l’Italia, per “rifarla” in modo che possa funzionare da paradigma europeo. Il programma, dichiarato ormai con imbarazzante chiarezza da Monti stesso, è sconcertante: «Far arretrare le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione fino al punto in cui (secondo i manuali di macroeconomia liberista) diventano “competitive” con quelle di paesi che stanno soltanto ora approdando alla “civiltà industriale”», rileva Claudio Conti su “Contropiano”. «Si tratta di un esperimento mai tentato prima in tempi di pace: obiettivi così sanguinosi, fino alla Seconda Guerra Mondiale, venivano raggiunti con una bella sequenza di stermini sui campi di battaglia e soprattutto con bombardamenti a tappeto tali da distruggere la “capacità produttiva in eccesso”».
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Il Fmi: moneta sovrana, non più monopolio delle banche
Eliminare il debito pubblico degli Usa in un colpo solo, e fare lo stesso con Gran Bretagna, Italia, Germania, Giappone, Grecia. E nello stesso tempo rilanciare l’economia, stabilizzare i prezzi e spodestare i banchieri. In modo pulito e indolore, e più rapidamente di quel che si può immaginare. Con una bacchetta magica? No. Con una legge semplice, ma capace di sostituire l’attuale sistema, in cui a creare denaro dal nulla sono le banche private. Basterebbe un provvedimento che obblighi gli istituti di credito a detenere una riserva finanziaria reale, del 100%. A proporlo sono due economisti del Fondo Monetario Internazionale, Jaromir Beneš e Michael Kumhof. Tu, banca, vuoi lucrare sul prestito di denaro? Prima devi dimostrare di averlo davvero, quel denaro. Troppo comodo farselo dare dalla banca centrale (che lo fabbrica dal nulla) per poi “taglieggiare” famiglie, aziende e interi Stati, imponendo interessi esorbitanti.