Archivio del Tag ‘popolo’
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Vasapollo: fingeranno di allentare la morsa, temono rivolte
Questo governo apparentemente dovrà far vedere che propone la realizzazione anche di politiche sociali perché la gente non ce la fa più, ormai non c’è speranza di futuro per i giovani; non si parla di precarietà del lavoro, è precarietà della vita. Per non parlare di come vivono gli immigrati nel nostro paese, in condizioni disagiate, di miseria e repressione. Ormai disoccupazione e precarietà sono questioni che toccano drammaticamente persone adulte e non solo i giovani. Si parla di suicidi e di atti di follia, ma la gente non diventa improvvisamente pazza; ci si ritrova a 50 anni con due o tre figli senza sapere cosa dargli da mangiare, come pagare l’affitto o il mutuo della casa, una vita da buttare senza un futuro, perché riproporsi sul mondo del lavoro dopo un licenziamento a quell’età è di una difficoltà incredibile.
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Ripresa solo nel 2020, quando mendicheremo un lavoro
«Il disastro sociale e civile della Grecia sta diventando una opportunità economica per la finanza internazionale, come la ricostruzione di un paese distrutto dalla guerra. Questa è la ripresa». Vogliamo accelerarla? «Dobbiamo smetterla di frenare il rigore: prima ci autodistruggiamo, prima arriva il momento di ripartire». Parola di Giorgio Cremaschi, che condanna innanzitutto l’atteggiamento della sinistra: «Giorgio Napolitano – afferma l’ex leader della Fiom – rappresenta con il massimo dell’onestà e del rigore una sinistra che ha rinunciato ad essere se stessa». Una sinistra «che ha accettato i dogmi dell’economia liberale e che ora condivide le follie dei trattati e delle istituzioni europee che impongono l’austerità». E’ una sinistra “complice”, in tutto il continente, perché «contribuisce alla distruzione dello stato sociale e dei diritti del lavoro». E soprattutto «si è assunta il compito di spiegare che a tutto questo non c è alternativa», proprio come diceva Margaret Thatcher.
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Salvatores: la val Susa in un film, grazie a Ridley Scott
Gabriele Salvatores racconterà la resistenza civile della valle di Susa contro il progetto Tav Torino-Lione. Lo farà attraverso la piattaforma di social-movie “Life in a Day”, grazie all’incarico ricevuto da Ridley Scott: «Mi ha chiesto di scegliere una situazione in grado di rappresentare l’Italia, e ho deciso che il luogo giusto è la valle di Susa». L’annuncio è storico: Salvatores l’ha dato in diretta, il 14 maggio, al pubblico di Avigliana che ha accolto calorosamente il Premio Oscar, impegnato a presentare il suo ultimo film, “Educazione siberiana”. La decisione è maturata nel giro di poche ore, dopo l’incontro coi militanti No-Tav al “presidio” di Vaie. Confessioni a cuore aperto, col regista, sulle sofferenze di un territorio sorretto da una straordinaria mobilitazione popolare, ormai ventennale, contro una grande opera percepita come ingiusta, inutile, pericolosa e finanziariamente sanguinosa per l’Italia. «Questa storia va assolutamente raccontata: me ne incarico personalmente», ha promesso il regista di “Mediterraneo”.
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Nuova Germania: via dall’euro e dagli orrori di Bruxelles
Politica monetaria: esigiamo un ordinato scioglimento del sistema monetario dell’euro. La Germania non ha bisogno dell’euro; l’euro ha danneggiato altri paesi. Esigiamo la reintroduzione delle valute nazionali o la creazione di più limitati e più stabili accordi monetari. La reintroduzione del Dm non deve essere un tabù. Esigiamo un cambiamento dei trattati europei per rendere possibile l’uscita di ogni Stato dall’euro. Ogni popolo deve poter decidere democraticamente sulla propria valuta. Esigiamo che la Germania pretenda questo diritto al ritiro, bloccando con il suo veto ulteriori crediti dell’Esm. Esigiamo che i costi della cosiddetta politica di salvataggio non vengano sostenuti dal contribuente; le banche, gli hedge-funds e i grandi investitori privati sono i beneficiari di questa politica: devono per questo risponderne per primi. Chiediamo che agli Stati eccessivamente indebitati e senza speranza sia accordato un taglio del debito.
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Il sapere ci può salvare, per questo tagliano la cultura
Apprendo con il grande senso di nausea che accompagna, ormai, la lettura dei giornali mattutini, che l’Italia perderà lo spazio espositivo, presso il campo di concentramento nazista di Auschwitz, già chiuso da due anni perché mal curato, vecchio, illeggibile e fuori contesto. Il giorno dopo il 25 Aprile, la notizia appare ancor più nauseabonda, ma in fondo, davvero ci si potrebbe aspettare qualcosa di diverso da questo paese votato all’autodistruzione? Il non attendersi altro è forse già il segno della fine, ma come non essere intellettualmente onesti? Il presidente dell’Aned, ex deportato, fa sapere che nulla potrà essere fatto in mancanza delle sovvenzioni dello Stato italiano. E questa ormai sembra la risposta preconfezionata a qualunque domanda, un po’ come quelle che ricevi dal risponditore automatico di e-mail.
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Italia, potenza scomoda: dovevamo morire, ecco come
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
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La tela atlantica: Obama e Letta, governissimo di guerra
L’approdo al governo di Enrico Letta ha molti punti di contatto con il viaggio nel potere di Barack Obama. A molti questo potrebbe apparire come un complimento rivolto a due campioni progressisti. Per chi obamiano non è, come chi scrive, è invece la critica a due conservatori impegnati a salvaguardare creativamente gli interessi dell’Impero, Obama al centro e Letta in periferia. Tralasciamo per ora le scontate differenze fra Usa e Italia, il divario in termini di loro ruolo e peso internazionale, la diversità dei sistemi politici ed elettorali. Quel che interessa qui sottolineare è il fatto che un sistema in profonda crisi di legittimità ha trovato una soluzione “creativa” all’interno delle proprie classi dirigenti. Gli Stati Uniti erano segnati da un “impresentabile” come il presidente Bush. In Italia venivamo da un livello di fiducia nei partiti politici ormai prossimo allo zero.
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Per Bruxelles siamo solo bestiame: fanno zootecnia sociale
Tanto rumore per il solito commissariamento del governo italiano. Si dà grande risalto mediatico al fatto che Pd e Pdl si mettano insieme, per nascondere la vera notizia: «Lo fanno per imporre decisioni prese al di fuori dell’Italia, sebbene si dimostrino rovinose». Ci portano al macello: con metodi di “allevamento” sperimentati precisamente nella zootecnia. Parola di Marco Della Luna, scettico nei confronti del governo Letta per un motivo semplicissimo: «Il potere politico è nelle mani di chi ha le leve macroeconomiche, soprattutto di decidere quanta moneta mettere in circolazione, a chi darla, a che tassi, a che condizioni, e di decidere se e quanto lo Stato possa investire, anche a deficit, per indurre l’attivazione dei fattori di produzione, l’occupazione, la crescita», oltre che «decidere sulla regolazione dei cambi valutari e regolamentare le importazioni di beni, servizi e capitali». Quindi, il conflitto d’interessi «non è tra Pd e Pdl, ma tra chi impone quelle decisioni e la gente che ne subisce gli effetti».
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Se Letta fallisce ci aspettano i manganelli dell’Eurogendfor
Rieleggere Napolitano al Colle e puntare decisi a legittimare con una riforma costituzionale il presidenzialismo di fatto, svuotando di poteri e dignità il Parlamento in favore della Commissione Europea, della Bce e del Quirinale, serve a inasprire la crisi. Confermata la linea pseudo-neoliberista e fiscalista, gli uomini del Bilderberg, del Fmi e dell’Unione Europea sono i primi a congratularsi, annota Marco Della Luna. E Napolitano, col plauso di quasi tutti (incluso Berlusconi) incarica di formare il governissimo “senza alternative” nientemeno che Enrico Letta, che «come economista e come politico è assolutamente improponibile per il ruolo di premier, dato ciò che ha fatto, ciò che è stato e ciò che è tuttora». Anche se, forse, «si capisce perché è stato scelto», e per fare cosa: completare l’economicidio italiano. Impossibile sperare in un miracolo. Più probabile che, invece, la protesta per il disastro economico venga sigillata da una inaudita repressione, affidata alla nuova super-polizia europea.
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Grillo si decida, o Napolitano ci porta in Grecia a nuoto
Ho detto è ripetuto che Grillo non doveva dare alcuna fiducia al Pd e a Bersani. Non ho proposto alcun governo di salvezza nazionale con il Pd. Non ho mai proposto di saltare il guado. Gli ho detto, al contrario (e avevo cento e una ragione!) che il M5S avrebbe dovuto presentare a Napolitano un proprio candidato premier e un proprio governo ombra. Ho detto che doveva scegliere una squadra e mostrarla al paese. Una squadra composta di uomini e donne di alto profilo morale e politico, esterni al palazzo e alla casta, professionalmente di alto valore. Questi uomini e donne non sarebbero stati comunque degli yesmen, o yeswomen. Dunque Grillo avrebbe dovuto, fin da subito, “cambiare macchina”. Perché con quella che gli aveva consentito il risultato elettorale non avrebbe potuto procedere oltre di un millimetro. Quella squadra sarebbe stata una proposta al paese, più che ai partiti.
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Barnard: altro che Liberazione, ci vogliono sterminare
Siamo in guerra, ma ufficialmente nessuno ce l’ha detto. Al processo di Norimberga contro la gerarchia nazista, il procuratore generale Benjamin Ferencz sancì che la guerra d’aggressione contro una nazione sovrana sarebbe stato da quel momento considerato «il crimine supremo». Bene, ci risiamo: quello che ci sta accadendo, dice Paolo Barnard, non è altro che «la pianificazione e l’esecuzione di una guerra d’aggressione guidata da Germania e Francia per distruggere nazioni, popoli, economie, e per depredare risorse, esattamente come fu la Seconda Guerra Mondiale». Amaro 25 Aprile: dov’è finita la libertà conquistata col sangue dei partigiani? Se il fiore della Resistenza fu la Costituzione democratica, ora quel documento sta diventando carta straccia. Il nemico si chiama Eurozona: è micidiale, perché priva la repubblica del potere vitale di spesa pubblica a favore dei cittadini. Norme brutali, quelle di Bruxelles, figlie dell’ideologia neoclassica: lo Stato non serve, anzi ostacola il business perché tutela il popolo. Va neutralizzato, svuotato, paralizzato. E amputato del suo potere sovrano fondamentale: la libera creazione di denaro.
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Hollande: diritti gay per mascherare le purghe neoliberiste
La chiamano “primavera francese”, in consonanza con le celebrate rivolte arabe: in apparenza, un milione di cittadini è sceso in piazza per opporsi al nuovo disegno di legge sui matrimoni gay, adozioni incluse, ma in realtà la folla protestava contro le nuove politiche neoliberali del detestato governo Hollande, che ha reagito con la brutalità della polizia antisommossa e l’arresto di 67 dimostranti. Stando ai sondaggi, il “compagno” Hollande è il presidente di gran lunga più impopolare di sempre: il suo partito, teoricamente socialista, «va avanti con le sue politiche neoliberali, stavolta d’accordo con sindacati docili». La malvagia Strega dell’Ovest è morta, ma il suo spirito è ancora con noi, dice Israel Shamir, riferendosi alla Thatcher. I ministri “con conti all’estero” stanno rovinando i francesi: col nuovo “accordo nazionale”, le aziende potranno aumentare le ore di lavoro, ridurre i salari al minimo e applicare la “mobilità lavorativa” coatta: chi rifiuta il trasferimento può essere licenziato su due piedi e senza indennizzo.