Archivio del Tag ‘popolo’
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Polveriera Europa, replay: la Grande Guerra del 2014
I giornalisti internazionali hanno predetto un’archetipica “situazione Sarajevo” per quest’anno. Una scintilla che potrebbe causare una detonazione come quella che circa un secolo fa vedeva protagonista l’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Difficilmente accadrà anche quest’anno che un nazionalista radicale spari al successore al trono dell’impero; nonostante ciò, esistono oggi una serie di sconvolgimenti potenziali in Europa e altrove. Esaminiamo la situazione. La Germania, “fortezza economica” dell’Europa, sembra essere entrata in un periodo di incertezze, proprio come prima dello scoppio della “grande guerra”. All’inizio del nuovo anno, la caduta improvvisa della cancelliera tedesca (forse un presagio della rottura dell’Eurozona?) è stato un evento infausto. La signora Merkel, che appariva come una figura politica indebolita (anche a causa delle stampelle), è riuscita ad assemblare una “grande coalizione”, la cui durata è incerta.La diseguaglianza sociale ed economica nel paese è peggiorata, con la Merkel. Ma anche prima del piccolo incidente sportivo, la cancelliera non sembrava disposta a fare grandi passi (come spesso accade nella miglior tradizione autoritaria ereditata da Guglielmo di Prussia e Germania) e aveva già indicato un “erede al trono”, per assicurare stabilità e continuità anche nel periodo post-Merkel. In altre parole, le politiche economiche neoliberali probabilmente continueranno ad essere applicate in Germania e in Europa per ancora un po’ di tempo. Il 2014 ripropone la situazione del 1914: una possibile Germania imperialista del XXI secolo; il declino della monarchia spagnola e una repubblica italiana fatiscente. Con la sua “volontà d’acciaio”, nel suo terzo mandato la cancelliera sembra determinata a proseguire le politiche draconiane di austerity (distruggendo ulteriormente la crescita economica e favorendo la disoccupazione). Questa scelta implica più fatica e meno guadagni per i milioni di persone che riceveranno questo trattamento, come ad esempio gli spagnoli.A differenza di Berlino e della sua calma apparente, la capitale spagnola si trova ad assistere a continue proteste. Nel frattempo, un vecchio re (a sua volta zoppo per una brutta caduta e costretto ad usare le stampelle per camminare) sta affrontando una “crisi della fiducia in se stesso”. Il re di Spagna Juan Carlos, la cui popolarità un tempo era il simbolo del ritorno alla democrazia dopo il regime franchista, sta assistendo ad una crescente ondata di proteste popolari. Il crescente dissenso della popolazione è fomentato da interminabili scandali dovuti ad episodi di corruzione. La figlia è attualmente coinvolta in uno scandalo per truffa e riciclaggio di denaro. Nel calderone, anche una costante crisi economica. La Spagna riuscì a rimanere neutrale allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.Nel 2014, il paese è ancora in prima linea nella lotta contro l’austerity in Europa. Il futuro della monarchia resta incerto. In tutto il Mediterraneo, il 2013 si è concluso con le strade invase da proteste, come ad esempio in Italia (una repubblica decrepita, se mai è stata una repubblica) con la “protesta dei forconi”. Come la Spagna, l’Italia è contaminata da una profonda corruzione, instabilità sociale, sistematica instabilità istituzionale (a causa delle associazioni criminali), che ostacolano il processo democratico. Ne consegue una diffusione di movimenti demagogici o clownesco-populistici e la crescente xenofobia. Il movimento anti-politico, da quelle parti, sta sfruttando l’ondata di rabbia contro Roma e Bruxelles (il quartier generale dell’Unione Europea).I Balcani, storica polveriera d’Europa, sono nuovamente pronti ad esplodere. Non ci saranno omicidi in programma forse per il prossimo anno nei Balcani, ma sicuramente troverete sul menù un radicale cambiamento politico. Gli scioperi di massa e i movimenti di protesta che sono scoppiati in Grecia nel 2008 si sono estesi agli stati del Sud dei Balcani. Le proteste di massa contro l’aumento del costo della vita, che ha raggiunto livelli usurari (sull’onda della privatizzazione di massa), e contro il costo dell’energia imposto ai consumatori locali, stavano per rovesciare il governo in Bulgaria. Nella vicina Romania, la corruzione dilagante e la lotta epica tra il movimento civile sociale e un’azienda mineraria canadese, sono quasi riusciti a scuotere le fondamenta del governo rumeno. Nonostante quest’elenco di situazioni esplosive, Bruxelles rifiuta ostinatamente di allentare le restrizioni connesse alla libertà di movimento imposta ai cittadini di questi due stati. Il loro ingresso nella “zona Schengen” è stato nuovamente rimandato a data da definirsi. Sicuramente una politica di contenimento di questo tipo sarà pericolosa nel 2014.Oltre ai confini meridionali d’Europa, troviamo ancora forti instabilità nel 2014, che ricordano misteriosamente le tensioni del 1914, quando stava per iniziare la guerra. La promessa di una benigna “primavera araba” si è trasformata in un incubo terribile. In Egitto, Tunisia, Libia, Yemen e, più recentemente, in Libano, si stanno sviluppando conflitti somiglianti a guerre civili. Nel caso della Siria, non è una somiglianza ma una tragica realtà. Questa instabilità regionale rischia di contagiare la Turchia (gli Stati Uniti chiudono le alleanze nella regione). A quei tempi la Turchia era senza dubbio il fulcro dell’Impero Ottomano che governava sulla maggior parte del Medio Oriente. Circa un secolo fa entrò sfortunatamente, già distrutta, nella “grande guerra”. Questo accelerò la sua rovina e condusse al genocidio armeno del 1915. Per quanto tempo ancora Ankara potrà stare a guardare, prima di essere risucchiata nel più ampio conflitto dei suoi vicini? Il 2014 probabilmente sarà determinante.Internamente la Turchia è afflitta da forti dissensi e scossa da continue proteste dal giugno scorso. Il dissenso popolare nei confronti dell’autoritarismo del primo ministro Ergodan non si è placato. La continua lotta tra il movimento laico (kemalista) e quello neo-islamico (e all’interno del partito Akp stesso, “Adalet ve Kalkinma Partisi”, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) rischia di distruggere lo stato turco nel 2014, con le modalità già sperimentate un secolo fa dall’Impero Ottomano. Il potere del governo ha inoltre subito un ulteriore indebolimento negli ultimi tempi a causa degli scandali per corruzione che hanno interessato i suoi vertici. La conseguente epurazione dei corpi di polizia e di pubblica sicurezza ha inasprito la situazione. La tregua con i ribelli curdi nelle zone orientali del paese rimane instabile. In ultimo, il tentativo della Turchia, ormai vecchio di decenni, di diventare un membro dell’Unione Europea, è essenzialmente congelato a causa della repressione contro attivisti e giornalisti locali. Quindi, come nel 2014, il paese è un calderone che galleggia nel mare di instabilità che caratterizza la regione.Passando all’Asia, troviamo crescenti movimenti di protesta in Thailandia, Cambogia e Bangladesh, o rivolte in corso contro le trincerate e corrotte oligarchie locali. Fino ad ora questi sollevamenti sono stati brutalmente repressi con l’ausilio delle forze militari. Chissà se gli eventi attuali saranno la scintilla di un’esplosione simile a quella del 1914. Probabilmente no. Tuttavia questi paesi emergenti sembrano essere nel mezzo di quella che io chiamo “situazione pre-rivoluzionaria”. Quello che vedremo accadere da queste parti nel 2014 somiglia moltissimo allo scenario della rivoluzione messicana (1910-1920), un decennio di dure lotte per liberarsi di quel regime corrotto conosciuto come “Porfiriato”. Se aggiungiamo a quanto detto il rischio di uno scontro militare tra i “grandi poteri” locali, siano essi in crescita o in crisi, così come accadeva nel 1914 (lo dimostra l’attuale ostentazione militare sulle contese Diaoyu e Tiaoyutai nel lontano oriente), si ha realmente l’impressione che la storia si ripeta ancora una volta.(Michael Werbowski, “La polveriera storica, il 2014 come il 1914 in Europa e nel mondo?”, da “Global Research” del 10 gennaio 2014, tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”).I giornalisti internazionali hanno predetto un’archetipica “situazione Sarajevo” per quest’anno. Una scintilla che potrebbe causare una detonazione come quella che circa un secolo fa vedeva protagonista l’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Difficilmente accadrà anche quest’anno che un nazionalista radicale spari al successore al trono dell’impero; nonostante ciò, esistono oggi una serie di sconvolgimenti potenziali in Europa e altrove. Esaminiamo la situazione. La Germania, “fortezza economica” dell’Europa, sembra essere entrata in un periodo di incertezze, proprio come prima dello scoppio della “grande guerra”. All’inizio del nuovo anno, la caduta improvvisa della cancelliera tedesca (forse un presagio della rottura dell’Eurozona?) è stato un evento infausto. La signora Merkel, che appariva come una figura politica indebolita (anche a causa delle stampelle), è riuscita ad assemblare una “grande coalizione”, la cui durata è incerta.
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Zanotelli: giornalisti, ascoltate il dolore dei poveri
Caro/a giornalista, pace e bene! So quanto sia difficile fare oggi il giornalista in Italia, dentro un sistema in cui i media sono nelle mani dei potentati economico-finanziari.Per questo non ti scrivo per chiederti l’eroismo, anche se in Italia abbiamo avuto tanti giornalisti, che hanno pagato con il sangue, il coraggio di dire la verità al potere, sia esso politico, economico-finanziario o mafioso. Ti scrivo solo per chiederti di mettere qualche ‘sassolino’ nell’ingranaggio dell’informazione, facendo passare qualche notizia in più sui drammi dei più poveri, soprattutto del sud del mondo. Ti confesso che mi fa tanto male vedere come l’informazione in questo paese sia così provinciale, così centrata sui nostri problemi, così persa nei meandri dei pettegolezzi della nostra vita politica e sociale.Come missionario sono profondamente indignato per il pochissimo spazio dato alle gravi crisi che attanagliano il sud del mondo, in particolare dell’Africa, il continente più vicino a noi (è solo grazie alle testate missionarie, che gira qualche notizia in più e non nel grande circuito dei media.) Non riesco a capire come, per esempio, si parli così poco delle tragedie in atto in quel continente. Penso all’attuale guerra civile in Sud Sudan, con migliaia di morti e centinaia di migliaia di rifugiati. Penso alla drammatica situazione della Repubblica Centrafricana, dove si è innescata un’altra spaventosa guerra fratricida. Penso ai bombardamenti in atto nel Sudan contro il popolo Nuba, da parte dell’esercito di Khartoum. Penso a tutta la zona saheliana che vive una stagione di grave instabilità.Siamo di fronte a immensi drammi umani, a massacri di popolazioni inermi, a milioni di rifugiati che ora premono alle porte dell’Europa. E tutto questo in un incredibile silenzio stampa. Ricevo ogni giorno appelli di missionari che chiedono di far conoscere i drammi dei loro popoli. Ma è quasi impossibile far passare tutto questo nei media nazionali. Siamo di fronte alla ‘globalizzazione dell’indifferenza’, come ha detto Papa Francesco a Lampedusa. Caro giornalista, mi appello a te, alla tua umanità, perché tu possa darci una mano a far conoscere il grido di dolore di tanti uomini, donne e bambini. Te lo chiedo perché porto, da una vita, nel mia carne, la loro sofferenza. Ma anche perché, come giornalista, ho pagato caro l’aver detto la verità al potere. Caro giornalista, vorrei che anche tu potessi aiutarci, invitando i tuoi colleghi a fare altrettanto. Se tanti giornalisti della carta stampata, del web, della radio e della televisione dessero solo un piccolo contributo, avremmo un miracolo informatico. Caro collega, non ti chiedo l’eroismo, ma solo un po’ più di coraggio e di passione.Caro/a giornalista, pace e bene! So quanto sia difficile fare oggi il giornalista in Italia, dentro un sistema in cui i media sono nelle mani dei potentati economico-finanziari. Per questo non ti scrivo per chiederti l’eroismo, anche se in Italia abbiamo avuto tanti giornalisti, che hanno pagato con il sangue, il coraggio di dire la verità al potere, sia esso politico, economico-finanziario o mafioso. Ti scrivo solo per chiederti di mettere qualche ‘sassolino’ nell’ingranaggio dell’informazione, facendo passare qualche notizia in più sui drammi dei più poveri, soprattutto del sud del mondo. Ti confesso che mi fa tanto male vedere come l’informazione in questo paese sia così provinciale, così centrata sui nostri problemi, così persa nei meandri dei pettegolezzi della nostra vita politica e sociale.
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Noi ex cittadini, ora sudditi del Trattato Transatlantico
C’era una volta lo Stato di diritto. Con il Ttip, il Trattato Transatlantico in via di approvazione semi-clandestina da parte degli Usa e dell’Unione Europea, nessun governo avrà più il potere di tutelare liberamente i diritti dei cittadini: scuola, sanità, ambiente, economia, sicurezza alimentare. L’ultima parola spetterà a tribunali speciali, chiamati a tutelare gli interessi del business contro quelli del cittadino. Allo Stato “colpevole” di difendere il suo popolo, con leggi a garanzia del lavoro e del welfare pubblico, non resterà che pagare salatissime sanzioni. E’ chiaramente eversivo il carattere del super-trattato che potrebbe entrare in vigore tra due anni, scritto sotto dettatura delle maggiori multinazionali e delle grandi lobby americane ed europee, col placet dell’Unione Europea. In pratica, a diventare legge – contro l’interesse pubblico dei cittadini – sarà il profitto dei “padroni dell’universo”. Un super-diktat, il loro, che sembra voler azzerare in un colpo solo due secoli di democrazia occidentale.I nuovi “tribunali” orwelliani dotati di poteri speciali, accusa Lori Wallach su “Le Monde Diplomatique” in un intervento ripreso da “Micromega”, riconosceranno anche il diritto del capitale ad acquistare sempre più terre, risorse naturali, strutture, fabbriche, e senza alcuna contropartita: le multinazionali non avranno alcun obbligo verso gli Stati e potranno avviare delle cause dove e quando vorranno. Per capire quello che succederà basta sfogliare i giornali: società europee hanno già avviato contenziosi legali contro l’aumento del salario minimo in Egitto o contro la limitazioni delle emissioni tossiche in Perú, grazie alla protezione di trattati come il Nafta. Altro esempio: il gigante delle sigarette Philip Morris, contrariato dalla legislazione anti-tabacco dell’Uruguay e dell’Australia, ha portato i due paesi davanti a un tribunale speciale. E il gruppo farmaceutico americano Eli Lilly intende farsi giustizia contro il Canada, “colpevole” di aver varato un sistema di brevetti che rende alcuni medicinali più accessibili. E ancora: il fornitore svedese di elettricità Vattenfall esige diversi miliardi di euro dalla Germania per la sua “svolta energetica”, che norma più severamente le centrali a carbone e promette un’uscita dal nucleare.«Non ci sono limiti alle pene che un tribunale può infliggere a uno Stato a beneficio di una multinazionale», continua Lori Wallach. Un anno fa, l’Ecuador si è visto condannato a versare la somma record di 2 miliardi di euro a una compagnia petrolifera. E anche quando i governi vincono il processo, essi devono farsi carico delle spese giudiziarie e di varie commissioni, che ammontano mediamente a 8 milioni di dollari per caso, dilapidati a discapito del cittadino. «Calcolando ciò, i poteri pubblici preferiscono spesso negoziare con il querelante piuttosto che perorare la propria causa davanti al tribunale». Lo ha appena fatto il Canada, «abrogando velocemente il divieto di un additivo tossico utilizzato dall’industria petrolifera». A partire dal 2000, il numero di questioni sottoposte ai tribunali speciali è decuplicato, creando un fiorente vivaio di consulenti finanziari e avvocati d’affari. E’ il vivaio in cui sguazzano le super-lobby dei poteri forti, come il Trans-Atlantic Business Dialogue. Le stesse che dettano le loro regole – da anni – alla Commissione Europea, la quale poi le trasforma puntualmente in direttive comunitarie.Creata nel 1995 con il patrocinio della Commissione di Bruxelles e del ministero del commercio Usa, la super-lobby Tabd non è altro che «un raggruppamento di ricchi imprenditori», impegnato in un “dialogo” «altamente costruttivo» tra le élite economiche dei due continenti, l’amministrazione di Washington e i commissari di Bruxelles. Il Tabd «è un forum permanente che permette alle multinazionali di coordinare i loro attacchi contro le politiche di interesse generale che restano ancora in piedi sulle due coste dell’Atlantico». Il suo obiettivo, pubblicamente dichiarato, è di eliminare quelle che definisce come «discordie commerciali» (trade irritants), vale a dire di operare sui due continenti secondo le stesse regole e senza interferenze da parte dei poteri pubblici. Di fatto, archiviati i tradizionali strumenti di pressione, le super-lobby oggi si apprestano a ricattare gli Stati con minacce estorsive, dettando direttamente le nuove leggi. La Camera di Commercio Usa e la potente lobby “Business Europe”, ovvero «due tra le più grandi organizzazioni imprenditoriali del pianeta», hanno espressamente richiesto ai negoziatori del Ttip di riunire attorno a un tavolo di lavoro un campionario di grossi azionisti e di responsabili politici affinché questi «redigano insieme i testi di regolamentazione» che avranno successivamente forza di legge negli Stati uniti e in Unione Europea.Di fatto, aggiunge Lori Wallach, le multinazionali mostrano una notevole franchezza nell’esporre le loro intenzioni: sugli Ogm, ad esempio, la Monsanto auspica che «il baratro che si è scavato tra la deregolamentazione dei nuovi prodotti biotecnologici negli Stati uniti e la loro accoglienza in Europa» sia presto colmato, proprio grazie al Trattato Transatlantico che imporrebbe agli europei il loro catalogo di organismi geneticamente modificati. E l’offensiva non è meno vigorosa sul fronte della privacy. La Coalizione del commercio digitale (Digital Trade Coalition, Dtc), che raggruppa industriali del Net e del hi-tech, preme sui negoziatori del Ttip per togliere le barriere che impediscono ai flussi di dati personali di riversarsi liberamente dall’Europa verso gli Stati Uniti. E l’Us Council for International Business (Uscib), un gruppo di società che ha massicciamente rifornito la Nsa di dati personali, «l’accordo dovrebbe cercare di circoscrivere le eccezioni, come la sicurezza e la privacy, al fine di assicurarsi che esse non siano ostacoli cammuffati al commercio».Anche le norme sulla qualità nell’alimentazione sono prese di mira. L’industria statunitense della carne vuole ottenere la soppressione della regola europea che vieta i polli disinfettati al cloro. All’avanguardia di questa battaglia, il gruppo “Yum!”, proprietario della catena di fast food Kentucky Fried Chicken (Kfc), può contare sulla forza d’urto delle organizzazioni imprenditoriali. Un gruppo di pressione come l’Istituto Americano della Carne, deplora «il rifiuto ingiustificato [da parte di Bruxelles] delle carni addizionate di beta-agonisti, come il cloridrato di ractopamina», un medicinale utilizzato per gonfiare il tasso di carne magra di suini e bovini. A causa dei rischi per la salute degli animali e dei consumatori, la ractopamina è stata bandita in 160 paesi, tra cui gli stati membri dell’Unione Europea, la Russia e la Cina. Per la filiera statunitense del suino, invece, il divieto di impiegare quella sostanza «costituisce una distorsione della libera concorrenza a cui il Ttip deve urgentemente porre fine». Avvertono i produttori americani di suino: «Non accetteremo altro risultato che non sia la rimozione del divieto europeo della ractopamina».Nel frattempo, dall’altra parte dell’Atlantico, gli industriali raggruppati in “Business Europe”, denunciano le «barriere che colpiscono le esportazioni europee verso gli Stati uniti, come la legge americana sulla sicurezza alimentare». Dal 2011, essa autorizza infatti i servizi di controllo a ritirare dal mercato i prodotti d’importazione contaminati. Anche in questo caso, i negoziatori del Ttip sono pregati di fare tabula rasa. Si ripete lo stesso con i gas a effetto serra. L’organizzazione “Airlines for America” (A4A), braccio armato dei trasportatori aerei statunitensi, ha steso una lista di «regolamenti inutili che portano un pregiudizio considerevole alla [loro] industria» e che il Ttip, ovviamente, ha la missione di cancellare. Al primo posto di questa lista compare il sistema europeo di scambio di quote di emissioni, che obbliga le compagnie aeree a pagare per il loro inquinamento a carbone. Bruxelles ha provvisoriamente sospeso questo programma; A4A esige la sua soppressione definitiva in nome del «progresso». Se nessuno fermerà il Trattato Transatlantico, il destino della nostra civiltà è praticamente segnato.C’era una volta lo Stato di diritto. Con il Ttip, il Trattato Transatlantico in via di approvazione semi-clandestina da parte degli Usa e dell’Unione Europea, nessun governo avrà più il potere di tutelare liberamente i diritti dei cittadini: scuola, sanità, ambiente, economia, sicurezza alimentare. L’ultima parola spetterà a tribunali speciali, chiamati a tutelare gli interessi del business contro quelli del cittadino. Allo Stato “colpevole” di difendere il suo popolo, con leggi a garanzia del lavoro e del welfare pubblico, non resterà che pagare salatissime sanzioni. E’ chiaramente eversivo il carattere del super-trattato che potrebbe entrare in vigore tra due anni, scritto sotto dettatura delle maggiori multinazionali e delle grandi lobby americane ed europee, col placet dell’Unione Europea. In pratica, a diventare legge – contro l’interesse pubblico dei cittadini – sarà il profitto dei “padroni dell’universo”. Un super-diktat, il loro, che sembra voler azzerare in un colpo solo due secoli di democrazia occidentale.
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Solidarietà ai No-Tav, superata quota 100.000 euro
Per il sig. Alberto Perino: vi prego non mollate, siete l’orgoglio del popolo italiano. La Valsusa paura non ha (da Bologna). Orgogliosi di difendere la nostra terra e i beni. In gamba tutti voi. Difesa del territorio dalle lobby. Resistere. Non mollate. Forza ragazzi continuate così. Solidarietà agli eroici No Tav. Per una giusta causa. Scusate il basso importo, sono con voi. Colpevoli di difendere la nostra terra. Grazie per tutto. Solidarietà. Sostegno alla resistenza. Grazie ragazzi. Val di Susa resiste. La solidarietà non ha frontiere. Avanti No Tav. Un piccolo contributo (100) per una grande vittoria. Forza Alberto, forza tutti i no tav. Teniamo duro. Causa: mi andava. Tenete duro. Siete grandi. Siamo con voi. Stasera salto la pizza. Tenete duro.Ragazzi, non ho più 1 euro e tra un po’ sforo il fido, ma per voi volentieri, per voi proprio volentieri. Certo che vi aiutiamo a resistere, grazie. So che è per una giusta causa. Lo so è poco, ma di più non posso. Non mollate mai. Concorso spese assurde. Siamo tutti con voi. Continuate così. Piccolo aiuto a resistere. Forza no tav, resistete. La mia è una semplice goccia ma sono con voi. Davide contro Golia. Rompiamogli i marroni. Contributo per chi ha i coglioni per difendere il proprio territorio. Grazie per la tenacia. Con tutto il cuore. Non siete soli. Non tanto, ma di cuore. Forza ragazzi! Ultima speranza dell’ItaliaVi mando quello che avrei dovuto versare allo Stato per la Tares (30 euro). Per Perino e Co. Aiuto per richiesta di danni immaginari per centinaia di migliaia di Euro. Forza non mollate, state difendendo la libertà di tutti. Ne ho pochi, ma ve li meritate alla grande. Continuate, un giorno troveremo il coraggio di fare altrettanto (da Castelfranco Veneto). Per combattere i farabutti della Tav. Nessuno è solo. A l’è già dura. Per il popolo No Tav. Forsa fieuij. Magari con un bell’esposto alla Corte dei Conti per truffa ai danni dello Stato da Sitaf e Ltf ce li facciamo restituire…(Dal sito “NoTav.info” del 3 febbraio 2014, messaggi di solidarietà per i No-Tav dagli italiani che sostengono la raccolta fondi per Alberto Perino, Loredana Bellone e Giorgio Vayr, condannati in sede civile a pagare oltre 200.000 euro per un’azione dimostrativa di protesta contro la campagna di trivellazioni del 2010 per il progetto della linea Tav Torino-Lione).Per il sig. Alberto Perino: vi prego non mollate, siete l’orgoglio del popolo italiano. La Valsusa paura non ha (da Bologna). Orgogliosi di difendere la nostra terra e i beni. In gamba tutti voi. Difesa del territorio dalle lobby. Resistere. Non mollate. Forza ragazzi continuate così. Solidarietà agli eroici No Tav. Per una giusta causa. Scusate il basso importo, sono con voi. Colpevoli di difendere la nostra terra. Grazie per tutto. Solidarietà. Sostegno alla resistenza. Grazie ragazzi. Val di Susa resiste. La solidarietà non ha frontiere. Avanti No Tav. Un piccolo contributo (100) per una grande vittoria. Forza Alberto, forza tutti i no tav. Teniamo duro. Causa: mi andava. Tenete duro. Siete grandi. Siamo con voi. Stasera salto la pizza. Tenete duro.
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Contro il popolo italiano: golpisti, da Roma a Bruxelles
«Colpo di Stato». Giulietto Chiesa è esplicito: «Se qualcuno ha un termine più adatto per descrivere questa situazione, lo dica». Legge elettorale, la “porcata” di Renzi e Berlusconi, ancora con liste bloccate e controllate dai partiti, senza possibilità di indicare preferenze. «Questa legge che si sta costruendo è un vero e proprio tentativo di privare gli italiani di una rappresentanza reale», anche se la Consulta, la Corte Costituzionale, ha appena espresso un giudizio chiarissimo, in favore del sistema proporzionale. Eppure, Pd e Forza Italia vogliono il maggioritario verticistico, con parlamentari “nominati” e candidati imposti dalle segreterie. Tutto questo, grazie anche a Napolitano: «Abbiamo un presidente della Repubblica che consente – approva, sollecita – delle cose illegali». Ovvero: «Si sta utilizzando un Parlamento illegale, costruito contro il popolo italiano, per fare un’altra legge che sarà contro il popolo italiano». Attenzione: “lo vuole l’Europa”, si potrebbe dire. In effetti è così: l’attuale assetto europeo teme la democrazia.«Quando è nata l’Europa – ricorda Giulietto Chiesa ai microfoni di “Siracusa Oggi” – c’era l’idea di fare un nuovo Stato – un vero e proprio nuovo Stato, una conferedazione – in pace, che non aveva precenti nella storia degli uomini: mai era accaduto che un paese si formasse con il consenso. Bene, questa Europa non c’è più, è stata cancellata». Parlano i fatti, a cominciare dalle carte: «Ci sono due documenti-chiave, il Trattato di Maastricht e il Trattato di Lisbona, che negano questa Europa. E invece pensano a un’Europa in un cui i più forti diventano ancora più forti, e i più deboli vengono abbandonati a se stessi. E i più deboli siamo noi: Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda». Domanda: a chi serve quest’Europa indebolita e azzoppata dalla crisi? Sappiamo che gli Usa si stanno concentrando sul Pacifico, per fronteggiare l’avanzata economica e geopolitica della Cina. Sempre gli Stati Uniti puntano a lacerare l’Ucraina, per poi spingere l’avamposto Nato fino ai confini con la Russia. Tutto questo ci conviene? «La mia risposta è no», dice Giulietto Chiesa. «Stati Uniti ed Europa non hanno interessi coincidenti».Prima ancora di un’Italia sovrana, sostiene il fondatore del laboratorio politico “Alternativa”, dobbiamo avere un’Europa sovrana. «Significa che dobbiamo passare da questa società, che è insostenibile, a una società sostenibile – che è possibile». Per farlo, però, «occorre una strategia politica di transizione». Che punti, prima di tutto, ad assicurare all’Europa le risorse primarie di cui ha bisogno. «Alle nostre frontiere abbiamo la Russia: 9 fusi orari, il più grande paese del mondo, che ha tutte le risorse energetiche e minerarie, domani anche alimentari. Ma perché non facciamo un patto di cooperazione strategica con la Russia?». Alternativa che l’establishment filo-atlantico di Bruxelles non prende neppure in considerazione, per ora. Ecco perché sono potenzialmente decisive le elezioni europee di maggio: con l’operazione Tsipras, liste civiche a sostegno del leader greco di Syriza come candidato comune alla presidenza della Commissione Europea, la musica potrebbe cambiare. «A giugno potremmo avere in Europa un gruppo di 60-70 deputati in grado di costituire un baluardo per aprire questo tema. Io credo che sia possibile. Se l’Italia si presenta in Europa e chiede di contare, noi saremo molto più forti di quanto siamo oggi».«Colpo di Stato». Giulietto Chiesa è esplicito: «Se qualcuno ha un termine più adatto per descrivere questa situazione, lo dica». Legge elettorale, la “porcata” di Renzi e Berlusconi, ancora con liste bloccate e controllate dai partiti, senza possibilità di indicare preferenze. «Questa legge che si sta costruendo è un vero e proprio tentativo di privare gli italiani di una rappresentanza reale», anche se la Consulta, la Corte Costituzionale, ha appena espresso un giudizio chiarissimo, in favore del sistema proporzionale. Eppure, Pd e Forza Italia vogliono il maggioritario verticistico, con parlamentari “nominati” e candidati imposti dalle segreterie. Tutto questo, grazie anche a Napolitano: «Abbiamo un presidente della Repubblica che consente – approva, sollecita – delle cose illegali». Ovvero: «Si sta utilizzando un Parlamento illegale, costruito contro il popolo italiano, per fare un’altra legge che sarà contro il popolo italiano». Attenzione: “lo vuole l’Europa”, si potrebbe dire. In effetti è così: l’attuale assetto europeo teme la democrazia.
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Obama finanzia i terroristi, a insaputa degli americani
Dopo la guerra in Afghanistan contro i sovietici, molti autori hanno messo in evidenza il ruolo degli Stati Uniti come finanziatori del terrorismo internazionale. Tuttavia, fino ad ora si trattava solo di azioni segrete, di cui finora Washington non si era assunta la paternità. Un passo decisivo è stato compiuto con la Siria: il Congresso ha approvato il finanziamento e l’armamento di due organizzazioni rappresentative di Al-Qaeda. Ciò che era in precedenza il segreto di Pulcinella ora è diventato la politica ufficiale del “Paese della libertà”: il terrorismo. In violazione delle risoluzioni 1267 e 1373 del Consiglio di sicurezza, Il Congresso degli Stati Uniti ha votato il finanziamento e l’armamento del “Fronte al-Nusra” e dell’“Emirato islamico dell’Iraq e del Levante”, due importanti organizzazioni di Al-Qa’ida e classificate come “terroriste” dalle Nazioni Unite. Questa decisione sarà valida fino al 30 settembre 2014.Lo ricorda il francese Thierry Meyssan, giornalista indipendente, in un’analisi pubblicata da diverse testate e ripresa da “Megachip”. Il paradosso della guerra in Siria? «Le immagini sono esattamente il contrario della realtà». Secondo i media mainstream, il conflitto oppone da un lato gli Stati raccoltisi intorno a Washington e Riyadh, intenti a difendere la democrazia e condurre la lotta mondiale contro il terrorismo, e dall’altra la Siria e i suoi alleati russi, «diffamati come dittature che manipolano il terrorismo». Se tutti sono ben consapevoli del fatto che l’Arabia Saudita non è una democrazia, bensì una monarchia assoluta, «laddove la tirannia di una famiglia e di una setta controlla un intero popolo», gli Stati Uniti godono invece dell’immagine di un democrazia, paladina della “libertà”. Eppure, una notizia-bomba come quella del finanziamento ufficiale della guerriglia jihadista è stata censurata, dal momento che il Congresso «si è riunito segretamente per votare il finanziamento e l’armamento dei “ribelli” in Siria». Può sembrare incredibile, ma «il Congresso tiene incontri segreti che la stampa non può menzionare».Ecco perché la notizia,originariamente pubblicata dall’agenzia di stampa britannica Reuters, è stata «scrupolosamente ignorata dalla stampa e dai media negli Stati Uniti e dalla maggior parte dei media in Europa occidentale e nel Golfo: solo gli abitanti del “resto del mondo” avevano il diritto di conoscere la verità». Poiché nessuno ha letto la legge appena approvata, aggiunge Meyssan, non si sa che cosa stabilisca esattamente. «Tuttavia, è chiaro che i “ribelli” in questione non mirano a rovesciare il governo siriano – ci hanno rinunciato – ma piuttosto a “insanguinarlo”. Ecco perché non si comportano come soldati, ma come terroristi». Sicché l’America, presunta vittima di Al-Qaeda l’11 Settembre e poi leader mondiale della “guerra al terrorismo”, di fatto finanzia «il principale focolaio terroristico internazionale», in cui agiscono due organizzazioni ufficialmente subordinate ad Al-Qaeda. «Non si tratta più di una manovra oscura dei servizi segreti, ma piuttosto di una legge, pienamente assunta, ancorché approvata a porte chiuse per non contraddire la propaganda».D’altra parte, continua Meyssan, ci si chiede in che modo la stampa occidentale – che da 13 anni imputa ad Al-Qaeda di essere l’autrice degli attentati dell’11 Settembre – potrebbe mai spiegare all’opinione pubblica la sua decisione. Infatti, la speciale procedura seguita in questo caso (Cog, “continuità di governo”) è protetta anch’essa dalla censura. «È anche per questo che gli occidentali non hanno mai saputo che, nel corso di quell’11 settembre, il potere era stato trasferito dai civili ai militari, dalle 10 del mattino fino a sera, e durante tutto quel giorno gli Stati Uniti erano governati da un’autorità segreta, in violazione delle loro leggi e della loro Costituzione». Lo stesso discorso annuale di Barack Obama sullo stato dell’Unione «si è trasformato in un eccezionale esercizio di menzogne». Davanti ai 538 membri del Congresso che sin dall’inizio lo applaudivano, il presidente ha dichiarato: «Una cosa non cambierà: la nostra determinazione a non permettere ai terroristi di lanciare altri attacchi contro il nostro paese». E ancora: «In Siria, sosterremo l’opposizione che respinge il programma delle reti terroristiche».Eppure, quando la delegazione siriana ai negoziati di “Ginevra 2” ha sottoposto – a quella che s’intendeva rappresentare come la sua “opposizione” – una mozione, esclusivamente basata sulle risoluzioni 1267 e 1373 del Consiglio di sicurezza, a condanna del terrorismo, questa è stata respinta senza causare alcuna protesta da parte di Washington. E per una buona ragione: il terrorismo sono gli Stati Uniti, e la delegazione “dell’opposizione” riceve i suoi ordini direttamente dall’ambasciatore Robert S. Ford, presente in loco». Ford è stato assistente di John Negroponte in Iraq. Nei primi anni ‘80, ricorda Meyssan, Negroponte aveva contrastato la rivoluzione nicaraguense arruolando migliaia di mercenari e alcuni collaboratori locali, costituendo i cosiddetti “Contras”. La Corte internazionale di giustizia, cioè il tribunale interno delle Nazioni Unite, ha condannato Washington per questa ingerenza che non osava pronunciare il proprio nome. Poi, negli anni Duemila, Negroponte e Ford riproposero lo stesso scenario in Iraq. Questa volta però l’intento era di annientare la resistenza nazionalista facendola combattere da Al-Qaeda.Oggi, mentre i siriani e la delegazione dell’“opposizione” discutevano a Ginevra, a Washington il presidente Obama, applaudito meccanicamente dal Congresso, ha continuato il suo esercizio di ipocrisia: «Noi lottiamo contro il terrorismo non grazie all’intelligence e alle operazioni militari, ma anche rimanendo fedeli agli ideali della nostra Costituzione e restando un esempio per il mondo intero. E continueremo a lavorare con la comunità internazionale per dare al popolo siriano il futuro che merita: un futuro senza dittatura, senza terrore e senza paura». La guerra orchestrata dalla Nato in Siria ha già causato più di 130.000 morti, secondo i dati del Mi6, l’intelligence inglese. La beffa: «I carnefici attribuiscono la responsabilità al popolo che osa contrastarli e al suo presidente, Bashar el-Assad». Durante la guerra fredda, conclude Meyssan, la Cia «finanziava lo scrittore George Orwell affinché immaginasse la dittatura del futuro: Washington ha creduto così di svegliare le coscienze di fronte alla minaccia sovietica». In realtà, l’Urss «non ha mai assomigliato all’incubo di “1984”, intanto che gli Stati Uniti ne sono diventati l’incarnazione».Dopo la guerra in Afghanistan contro i sovietici, molti autori hanno messo in evidenza il ruolo degli Stati Uniti come finanziatori del terrorismo internazionale. Tuttavia, fino ad ora si trattava solo di azioni segrete, di cui finora Washington non si era assunta la paternità. Un passo decisivo è stato compiuto con la Siria: il Congresso ha approvato il finanziamento e l’armamento di due organizzazioni rappresentative di Al-Qaeda. Ciò che era in precedenza il segreto di Pulcinella ora è diventato la politica ufficiale del “Paese della libertà”: il terrorismo. In violazione delle risoluzioni 1267 e 1373 del Consiglio di sicurezza, Il Congresso degli Stati Uniti ha votato il finanziamento e l’armamento del “Fronte al-Nusra” e dell’“Emirato islamico dell’Iraq e del Levante”, due importanti organizzazioni di Al-Qa’ida e classificate come “terroriste” dalle Nazioni Unite. Questa decisione sarà valida fino al 30 settembre 2014.
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Il nazionalismo dei poveri e la rinascita della destra
L’impoverimento accelerato della popolazione italiana non si manifesta solo come caduta del reddito, perdita del lavoro, crisi del risparmio. C’è una povertà culturale che si manifesta in connessione diretta con la povertà materiale, tanto più vistosa in un paese i cui tassi d’istruzione risultano fra i più bassi dell’Occidente. Uno dei sintomi più evidenti della povertà culturale dilagante è, scusate il bisticcio di parole, proprio il nazionalismo dei poveri. Emerso dentro alla protesta popolare che si è riconosciuta nel simbolo (non a caso) primitivo dei forconi. E’ la vecchia fandonia dell’Italia “nazione proletaria” a riproporsi in una retorica patriottica che trae forza dal suo essere rudimentale. La formula è sempre la stessa. Basta con le distinzioni fra destra e sinistra. Basta con le associazioni di rappresentanza dei diversi soggetti sociali.La deformazione televisiva di decenni di politica-spettacolo, in cui le identità artificiali vengono enfatizzate fino a obbligarci a prenderle sul serio, impone ormai come unico fattore unificante il linguaggio da stadio. Non a caso l’estrema destra ha condotto un lungo, silenzioso ma sapiente lavoro di reclutamento fra le tifoserie organizzate del calcio. E abbiamo ritrovato gli ultrà fra gli attivisti dei blocchi stradali, là dove si riconosceva perfino nella metrica degli slogan quella matrice elementare. Per giorni e giorni ho sentito ripetere come un mantra, a chiunque mi rivolgessi: «Noi siamo l’Italia, noi siamo il popolo italiano e basta». Un popolo che faceva suoi tutti gli archetipi più beceri di un nazionalismo che credevamo sorpassato dalle dinamiche commerciali, musicali, perfino gastronomiche di un cosmopolitismo entrato a far parte della nostra vita quotidiana.La rabbia interclassista degli impoveriti cerca e (forse) trova un denominatore comune nella denuncia del torto subito in quanto italiani: derubati dalla classe politica; derubati nella sovranità monetaria; derubati nei favoritismi che le istituzioni riserverebbero a chi arriva da fuori. Ho udito nella manifestazione dei Forconi in piazza del Popolo a Roma un operaio romagnolo che raccontava: «Sono iscritto alla Cgil ma non ne posso più del mio sindacato che riserva i posti di lavoro agli stranieri, e non ne posso più della Boldrini che vuole dare le case popolari solo ai rom e agli immigrati». La folla, sciaguratamente, lo applaudiva e poi cantava Fratelli d’Italia.D’accordo, obietterete, quella era una manifestazione in cui si riconosceva una presenza organizzata delle formazioni di estrema destra. O, più precisamente, si delineava una nuova presenza pubblica di quella destra sociale che il populismo berlusconiano non è più in grado di imbrigliare secondo i suoi fini. Ma temo che ci sia anche qualcosa di più profondo. Nel vuoto politico e culturale della crisi di sistema in atto, un paese costretto a fare i conti con la sua crescente marginalità com’è l’Italia contemporanea vede crescere, fra i ceti popolari, l’istinto di aggrapparsi al nazionalismo più becero. Là dove si è infranta la mitologia leghista, è l’eterno fascismo di ritorno a tornare in auge.(Gad Lerner, “Il nazionalismo dei poveri e la rinascita della destra”, articolo apparso su “Nigrizia” e ripreso dal blog di Lerner il 14 gennaio 2014).L’impoverimento accelerato della popolazione italiana non si manifesta solo come caduta del reddito, perdita del lavoro, crisi del risparmio. C’è una povertà culturale che si manifesta in connessione diretta con la povertà materiale, tanto più vistosa in un paese i cui tassi d’istruzione risultano fra i più bassi dell’Occidente. Uno dei sintomi più evidenti della povertà culturale dilagante è, scusate il bisticcio di parole, proprio il nazionalismo dei poveri. Emerso dentro alla protesta popolare che si è riconosciuta nel simbolo (non a caso) primitivo dei forconi. E’ la vecchia fandonia dell’Italia “nazione proletaria” a riproporsi in una retorica patriottica che trae forza dal suo essere rudimentale. La formula è sempre la stessa. Basta con le distinzioni fra destra e sinistra. Basta con le associazioni di rappresentanza dei diversi soggetti sociali.
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Sos No-Tav, dagli italiani 60.000 euro in soli tre giorni
I No-Tav chiedono aiuto, e l’Italia risponde: oltre 60.000 euro in soli tre giorni. E’ dirompente l’avvio della raccolta fondi promossa dal movimento della valle di Susa che si oppone alla linea Tav Torino-Lione, dopo la condanna in sede civile del portavoce Alberto Perino, insieme ad altri due militanti di primo piano, Loredana Bellone (sindaco di San Didero) e l’ex primo cittadino Giorgio Vayr. I tre sono stati “puniti” con un maxi-risarcimento danni, supeirore ai 200.000 euro. «Faremo ricorso», annunciano, spiegando però che il mancato pagamento li esporrebbe al rischio di pignoramenti. «Per questo, con molta umiltà ma altrettanta dignità e fiducia», il movimento si è rivolto a tutti gli italiani che li incoraggiano (“Non mollate, siete l’unica speranza di questo paese”) di dare un aiuto economico per far fronte «a questa batosta tremenda». Sbalorditiva la risposta, a colpi di donazioni sul conto corrente messo a disposizione per il sostegno popolare.L’episodio contestato risale alla notte tra l’11 e il 12 gennaio 2010, quando i No-Tav tentarono di opporsi alla campagna di trivellazione dei terreni che doveva preparare la stesura del nuovo progetto Torino-Lione. Una opposizione che culminò poi l’anno seguente con l’occupazione dell’area della Maddalena di Chiomonte: per impiantarvi l’attuale cantiere (destinato alla costruzione di una piccola galleria di servizio) fu necessario ricorrere alla forza per sgomberare i manifestanti. L’anno precedente, per i No-Tav il “pericolo” era rappresentato dalle trivelle: alla periferia di Susa, quella notte, Perino,Vayr e la Bellone si limitarono ad invitare i tecnici ad allontanarsi. «Poi si scoprì che era una trappola», scrivono i valsusini sul sito “NoTav.info”. Un “trucco” «per tagliare le gambe ai No Tav con una nuova tecnica: richiesta di danni immaginari per centinaia di migliaia di euro a carico di qualche personaggio del movimento», in modo da scoraggiare la protesta. La società Ltf, incaricata dei sondaggi, aveva stipulato un contratto di utilizzo temporaneo dei terreni con un’altra società: oltre 160.000 euro per pochi giorni, secondo i No-Tav «per gonfiare i costi e quindi la richiesta di danno».«Anche utilizzando questi sporchi mezzi non riusciranno a fermare la resistenza No Tav», aggiungono i militanti, già duramente provati dalla repressione giudiziaria cui il movimento è stato sottoposto. «Ci sono più di 400 persone indagate per questa resistenza contro un’opera imposta, inutile e devastante sia per l’ambiente sia per le finanze di questo Stato e che impedisce di fare tutte le altre piccole opere utili». Se gli italiani stanno dando ragione ai No-Tav – oltre 60.000 euro in tre giorni sono un esordio col botto, per una campagna di finanziamento solidale – l’altra notizia (sconcertante) riguarda la latitanza disastrosa della politica, che finora – con le sole eccezioni di Grillo, del Prc di Ferrero e di singoli europarlamentari come Gianni Vattimo e Sonia Alfano – continua a ignorare le ragioni della valle di Susa, confortate dai migliori tecnici dell’università italiana, contro un’opera devastante per il territorio, sanguinosa per le finanze pubbliche (decine di miliardi di euro) e totalmente inutile. La Francia ha deciso che riprenderà eventualmente in considerazione l’infrastruttura solo dopo il 2030, mentre la Svizzera ha appena reso noto che – sulla rotta Torino-Lione – il traffico merci lungo la linea ferroviaria italo-francese che già attraversa la valle di Susa potrebbe essere tranquillamente aumentato del 900%. Il problema infatti non è l’assenza di nuovi binari: semplicemente, non ci sono più merci da trasportare.I No-Tav chiedono aiuto, e l’Italia risponde: oltre 60.000 euro in soli tre giorni. E’ dirompente l’avvio della raccolta fondi promossa dal movimento della valle di Susa che si oppone alla linea Tav Torino-Lione, dopo la condanna in sede civile del portavoce Alberto Perino, insieme ad altri due militanti di primo piano, Loredana Bellone (sindaco di San Didero) e l’ex primo cittadino Giorgio Vayr. I tre sono stati “puniti” con un maxi-risarcimento danni, superiore ai 200.000 euro. «Faremo ricorso», annunciano, spiegando però che il mancato pagamento li esporrebbe al rischio di pignoramenti. «Per questo, con molta umiltà ma altrettanta dignità e fiducia», il movimento si è rivolto a tutti gli italiani che li incoraggiano (“Non mollate, siete l’unica speranza di questo paese”) chiedendo loro un aiuto economico per far fronte «a questa batosta tremenda». Sbalorditiva la risposta, a colpi di donazioni sul conto corrente messo a disposizione per il sostegno popolare.
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Via i parassiti della finanza, e avremo ancora un futuro
Il principale processo storico che sta segnando il nuovo secolo, cioè lo spostamento del baricentro geopolitico dall’Atlantico al Pacifico, condanna l’Europa a diventare sempre più periferica. La crescente proiezione internazionale di una Cina punta chiaramente a diventare potenza navale oltreché commerciale, in Estremo Oriente ma anche in direzione dell’Africa e del Medio Oriente. Questo impegnerà direttamente gli Usa e li obbligherà ad una scelta fondamentale: Cina o ancora Giappone, come alleati strategici? Certo, Russia e India non staranno a guardare. E’ questo lo scenario nel quale Gaetano Colonna invita ad analizzare la grande crisi che sta travolgendo l’Eurozona. Se il vecchio continente perde terreno nel forziere petrolifero mediorientale, l’influenza cinese continua a crescere in teatri strategici per gli Stati Uniti, dall’Iran al Pakistan fino al continente nero, che rappresenta un’enorme riserva di materie prime e terre coltivabili.Di conseguenza, osserva Colonna su “Clarissa”, torna alla ribalta il ruolo del Mediterraneo: decisivo snodo geografico e culturale tra Africa, Vicino Oriente ed Europa, il “mare nostrum” «diverrà, se possibile, ancora più rilevante di quanto non lo sia già stato dalla fine del XIX secolo, quale linea di comunicazione vitale per gli imperi anglosassoni, oltreché frontiera fra il Nord ed il Sud del mondo». Di recente, il protagonismo neo-coloniale della Francia (appoggiato da Usa e Israele) ha relegato l’Italia a «alla semplice condizione di piattaforma logistica dei grandi alleati occidentali». Ma se l’Occidente deve comunque fare il conti con la Cina, questo influisce anche sul nuovo ruolo della Russia di Putin, la cui condizione ricorda quella dell’impero zarista di cent’anni fa, schiacciato a oriente dalla potenza giapponese e ad occidente dall’impero germanico.Oggi, riconosce Colonna, la politica estera russa ha costruito un asse preferenziale con la Cina, dato che in Occidente la pressione della Nato e degli Usa non si è minimamente allentata, né l’Unione Europea ha saputo smarcarsi dalla vecchia politica atlantica ereditata dalla guerra fredda. Smaltita la «passeggera ubriacatura filo-occidentale» del disastroso governatorato di Eltsin, «pur non perseguendo più una politica da superpotenza» la Russia post-sovietica «non rinuncia al suo ruolo di grande potenza sullo scenario mondiale», e per questo non rinuncia «ad una propria forte capacità militare, in grado di tutelare i propri fondamentali interessi strategici». Ora, alla luce della nuova gravitazione del mondo sull’Oceano Pacifico, si tratta di vedere se la Russia di Putin «seguirà la propria vocazione asiatica oppure quella europea».E’ davvero singolare, osserva Colonna, che l’Europa «continui a seguire pedissequamente i desiderata americani, rivolti ad isolare la Russia sul piano internazionale, invece di perseguire una propria assai più realistica politica di avvicinamento ed integrazione con il grande paese che costituisce la sola efficace copertura del nostro continente rispetto a qualsiasi ambizione cinese». Ma il peggio è in assoluto l’Italia: ancora una volta, il nostro paese si “scopre” collocato – dalla geografia e dalla storia – al crocevia delle forze da cui dipende il futuro del pianeta, ma le classi dirigenti italiane non se ne sono accorte. In loro c’è una «evidente mancanza di coscienza» dell’importanza geopolitica dello Stivale. E questo è «uno dei fattori più gravi e preoccupanti della nostra attuale condizione storica». Colonna la definisce «devastante pochezza» di uomini «privi di un sentire vivamente operante e non retorico per la patria». Mezzi uomini, «colpevolmente ignari delle prove che anche l’Italia si troverà presto a dover affrontare».Là fuori, infatti, impazza la grande crisi: ci si muove tra macerie economiche, provocate dall’oligarchia finanziaria che ha devastato la “democrazia del lavoro”. «La lezione del 2007-2008 non è stata compresa: basterebbe questa affermazione per definire lo scenario dell’economia mondiale dei prossimi mesi e anni», sostiene Colonna. «I grandi centri finanziari mondiali, che elaborano le strategie sistemiche dell’economia mondiale, dimostrano di non volere e di non potere rinunciare all’orientamento speculativo che è insieme all’origine della crisi che ha investito il sistema-mondo nell’ultimo quinquennio». Questa avidità cieca è anche «il fondamento stesso del potere dei “padroni dell’universo”, come questi oligarchi amano definirsi». Lo dimostra il fatto che «nessuna delle regolamentazioni statunitensi o europee ha affrontato le tre questioni che avrebbero dovuto essere preliminari all’adozione di qualsiasi modalità di risoluzione della crisi». Ovvero: paradisi fiscali, finanza speculativa fuori controllo e agenzie di rating che si fingono soggetti terzi, ma sono in realtà pilotati e pienamente complici dei grandi speculatori.L’Occidente ha risposto in un solo modo, cioè tutelando i monopolisti del crimine finanziario: negli Usa coi salvataggi delle banche “troppo grandi per fallire”, tenute in piedi coi dollari della Fed, e in Europa spremendo senza pietà paesi interi, con super-tasse e tagli selvaggi alla spesa vitale, cioè “fiscalizzando” le rovinose perdite del sistema finanziario internazionale, il cui conto viene fatto pagare ai lavoratori. Nessuna alternativa in campo, finora, «per il semplice fatto che, da oltre mezzo secolo, sono i centri finanziari mondiali a condizionare gli Stati-nazione dell’Occidente, grazie alla formazione di una vera e propria classe dirigente internazionale che occupa con continuità le posizioni chiave, indipendentemente dalle alternanze di governo e dalle competizioni elettorali». Classe dirigente «cui viene affidata la puntuale esecuzione di strategie economiche, monetarie e legislative costruite a livello globale». Si tratta di «una vera e propria oligarchia economico-politica internazionale, che ha progressivamente svuotato di significato la democrazia parlamentare occidentale», visto che il popolo è stato privato della sua prerogativa essenziale (la sovranità) e anche della sua principale forza politica (il lavoro).La finanziarizzazione dell’economia ha infatti trasformato i sistemi industriali, togliendo al lavoro ogni potere contrattuale: dagli anni ’80 la finanza controlla le aziende, i cui pacchetti azionari sono diventati “merce” sui mercati finanziari mondiali, distogliendo il management dall’economia reale, cioè strategie produttive e commerciali. Conseguenza: progetti dalla vita sempre più breve, anziché investimenti, ricerca e sviluppo. Da parte della proprietà industriale, si è così «accentuata la tendenza a servirsi degli utili per entrare nel grande gioco finanziario, piuttosto che reinvestire nel futuro delle imprese». Per questo, oggi, i grandi gruppi bancari «preferiscono investire i generosi aiuti ottenuti a spese della collettività nell’acquisto di titoli di Stato piuttosto che nel credito alle Pmi». E il peggio è che tutto questo è avvenuto nel silenzio generale della politica, incapace di elaborare un’alternativa «ai dogmi dell’economia speculativa».Risultato: «Si è persa l’occasione per prendere coraggiosamente atto della crisi come di un evento globale e non contingente, esigendo quindi, da parte delle classi dirigenti, un radicale mutamento di rotta». Pre-condizione: l’emancipazione dell’economia reale. «Imprenditori, lavoratori e consumatori» dovrebbero cioè liberarsi «dal controllo dell’oligarchia finanziaria e dalla strumentalizzazione politica dei partiti», prendendo il mano «istituzioni autonome dell’economia reale», in grado di «esigere il controllo, per esempio, della moneta e del credito». Inoltre, la crescente consapevolezza dei “limiti allo sviluppo” «impone anch’essa che le forze dell’economia reale, piuttosto che rincorrere le asticelle statistiche della “ripresa”, si impegnino a riorganizzare la produzione», in tutti i campi: energia, tecnologia, servizi, beni di largo consumo. Servono «prodotti a basso impatto, recuperabili, di elevata qualità e durata». In sostanza, per Colonna, serve una nuova alleanza strategica: imprenditori, lavoratori e consumatori devono accordarsi per sconfiggere la finanza parassitaria, e quindi «liberare l’economia dal peso congiunto del debito e della speculazione, realizzando quella democrazia del lavoro senza la quale la democrazia politica è ormai divenuta un guscio vuoto».Il principale processo storico che sta segnando il nuovo secolo, cioè lo spostamento del baricentro geopolitico dall’Atlantico al Pacifico, condanna l’Europa a diventare sempre più periferica. La crescente proiezione internazionale di una Cina punta chiaramente a diventare potenza navale oltreché commerciale, in Estremo Oriente ma anche in direzione dell’Africa e del Medio Oriente. Questo impegnerà direttamente gli Usa e li obbligherà ad una scelta fondamentale: Cina o ancora Giappone, come alleati strategici? Certo, Russia e India non staranno a guardare. E’ questo lo scenario nel quale Gaetano Colonna invita ad analizzare la grande crisi che sta travolgendo l’Eurozona. Se il vecchio continente perde terreno nel forziere petrolifero mediorientale, l’influenza cinese continua a crescere in teatri strategici per gli Stati Uniti, dall’Iran al Pakistan fino al continente nero, che rappresenta un’enorme riserva di materie prime e terre coltivabili.
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Lira più euro: terza via, per evitare la morte dell’Italia
Mantenere lo scudo dell’euro come valuta internazionale di scambio, ma tornare subito alle monete sovrane nazionali: è l’unica via per salvare l’economia dei paesi rovinati dalla moneta unica europea, cioè tutti tranne la Germania. Per Enrico Grazzini, si tratta semplicemente di recuperare lo storico progetto del Bancor, avanzato da Keynes a Bretton Woods. Prima, però, le forze politiche devono capire – una volta per tutte – che l’attuale euro-sistema non è che sia “in crisi”: al contrario, è stato progettato esattamente per funzionare così, cioè premiando solo i tedeschi a danno di tutti gli altri. Obiettivo finale evidente: indebolire l’Europa sulla scenario geopolitico. «Oggi perfino Romano Prodi, l’uomo politico che ha fatto entrare l’Italia nell’euro, riconosce che l’Europa è un disastro, una minaccia». La Germania «impone all’Europa una sorta di nuovo Trattato di Versailles». Neoliberismo sfrenato, estremistico. Risultato: milioni di famiglie sul lastrico, aziende in crisi, catastrofe sociale ed economica.Innanzitutto, scrive Grazzini su “Micromega”, occorre «riconoscere che questa Ue è diventata esattamente il contrario di quella auspicata dai padri costituenti». Ovvero: «Non è più un progetto di libertà, di democrazia, di cooperazione e di pace tra i popoli, ma il preciso disegno di centralizzare rigidamente l’economia dei paesi europei sotto la guida tedesca per imporre politiche neoliberiste di smantellamento delle economie nazionali a favore del capitale del nord Europa, Germania in testa». La dimostrazione più recente del miope disegno egemonico tedesco? «E’ il progetto fasullo di “unione bancaria”», appena approvato dai ministri delle finanze dell’Unione. Grazie all’intervento del tedesco Wolfgang Schäuble, che ha rifiutato ogni meccanismo di mutualizzazione dei rischi con copertura di fondi pubblici, il progetto peggiora drasticamente la situazione: «I privati (azionisti, obbligazionisti e i correntisti con più di 100.000 euro) si faranno carico in prima persona delle difficoltà delle banche in crisi, poi interverranno i fondi nazionali creati grazie a nuove tasse da applicare alle banche stesse, e infine tra dieci anni interverrà anche in ultimissima istanza un minuscolo fondo europeo sempre di origine bancaria».In questo modo, cioè «senza alcuna copertura pubblica di livello europeo», secondo Grazzini «appena una banca sarà percepita come in difficoltà, i correntisti, gli azionisti e gli obbligazionisti fuggiranno, creando una spirale perversa di fuga. Il caso Cipro insegna». Così, in modo deliberato, «si incentiva il meccanismo di panico che condanna le banche dei paesi deboli a vantaggio delle banche dei paesi forti». Wolfgang Münchau, prestigioso editorialista del “Financial Times”, considera l’accordo per unione bancaria «un esercizio per prolungare il congelamento del credito bancario» in Europa. Con questo accordo – che secondo Münchau non avrebbe dovuto neppure essere siglato dai governi dell’Eurozona, come del resto anche quello del Fiscal Compact, perché è suicida – i governi del sud Europa «si sottomettono senza condizioni ai desiderata tedeschi». Sicché, l’unione bancaria «rischia di diventare un boomerang pericolosissimo e di fare precipitare le crisi bancarie».Anche le cosiddette “riforme strutturali” peggioreranno ulteriormente la situazione, continua Grazzini. La neoeletta premier Angela Merkel vuole imporre il suo progetto di austerità grazie ad accordi di programma per rendere “più competitiva” l’Europa – con lo smantellamento della sanità, dell’istruzione, la drastica compressione degli interventi pubblici, dei salari e delle pensioni, la diminuzione delle tasse per le corporations. «Gli accordi per le dolorose riforme strutturali, impopolari e del tutto inutili, verranno addirittura finanziati dalla Ue. Chi però non farà i “compiti a casa” andrà incontro a sanzioni automatiche imposte dalla Ue e dalla Troika – Ue, Bce, Fmi. In questa maniera si vuole imporre la sottomissione dei paesi europei». Di fronte a questo, si erge un ostacolo scoraggiante: la totale inconsistenza della politica, che in Italia non ha ancora “capito” quello che sta succedendo. «Puntare a riformare l’Unione Europea cedendo ancora quote di sovranità in campo istituzionale, finanziario ed economico, costituisce un errore madornale: significa stringere la corda alla quale gli europei si sono impiccati».Il sistema dell’euro, aggiunge Grazzini, «non è riformabile in queste condizioni politiche e in tempi compatibili con l’avanzare della crisi e della disoccupazione». Ma purtroppo – ed ecco il nostro grande problema – sembra che il ceto politico dirigente della sinistra «non sia all’altezza di comprendere la nuova realtà». Vendola «sogna ancora gli eurobond e la mutualizzazione dei debiti», e punta ad aderire (ancora senza risposta) al gruppo dei partiti socialisti europei che, a suo tempo guidati da Tony Blair e Gerhard Schröder, sono proprio quelli che più di altri «hanno promosso la deregolamentazione dei mercati finanziari e del lavoro». A sinistra di Sel, anche in Italia si tenta coraggiosamente di creare una lista di sostegno ad Alexis Tsipras, il dirigente di Syriza candidato della sinistra radicale europea alla presidenza della Commissione Ue. «Il gruppo della sinistra europea di opposizione è molto più realistico e critico verso l’euro, la Ue e le larghe intese italiane, tedesche e greche. Tuttavia anche la sinistra europea sembra orientata a mantenere la moneta unica, ovviamente riformata».Così però l’opposizione alla politiche di austerità potrebbe diventare poco credibile agli occhi di una opinione pubblica sempre più esasperata dalla crisi, obietta Grazzini. «Beppe Grillo e il “Movimento 5 Stelle” attaccano frontalmente la Ue e l’euro ma poi non sanno ancora quale soluzione realmente proporre, a parte il referendum: in effetti il M5S sembra sicuro che prima o poi l’euro si spaccherà e che l’Italia sarà comunque costretta a uscire dalla moneta unica». Il grande pericolo è che «mentre la sinistra non capisce il dramma in cui si sta ficcando l’Europa – e, anche quando è al governo, come in Francia, fa infuriare la sua base elettorale popolare imponendo tagli al welfare e al lavoro – la destra, e soprattutto la destra estrema, quella peggiore e razzista, guadagna milioni di voti protestando contro l’euro e il capitalismo finanziario». Scenario prevedibile: «Silvio Berlusconi e Matteo Salvini punteranno astutamente la loro campagna elettorale soprattutto contro l’euro. Non è difficile ipotizzare che grazie alla protesta contro l’euro e le tasse potrebbero rivincere le elezioni. E’ quindi urgente che la sinistra riconosca finalmente che questa Ue e questo euro non hanno sbocco».Per Grazzini, l’unica soluzione è il ritorno – immediato – alla sovranità monetaria. Per evitare un’uscita improvvisa dall’euro, che secondo l’analista metterebbe ulteriormente a rischio le nostre disastrate economie, basterebbe mantenere anche l’euro «come moneta comune di fronte alle altre valute internazionali, come il dollaro e lo yen». Un po’ come il Bancor di Keynes. Il recupero della sovranità monetaria? «E’ ovviamente un’operazione non facile, ma sarebbe meno dolorosa che continuare su questa strada senza sbocchi dell’euro attuale». La Germania ovviamente si opporrebbe. Ma poi, rinunciando all’euro come moneta unica, «non dovrebbe più temere di pagare per le altre nazioni, e l’opinione pubblica europea ne sarebbe felice». In sostanza, «si tratterebbe di convenire un sistema di cambi fissi aggiustabili tra le monete nazionali, avendo come riferimento l’euro come moneta comune (l’euro-lira, l’euro-marco, l’euro-peseta)». La Germania «potrebbe così ritornare al suo beneamato marco gestito dalla arcigna Bundesbank», ma anche gli altri paesi europei «potrebbero ritrovare la loro autonomia in campo economico».Si tratta di una soluzione decisiva e risolutiva, perché «i paesi più deboli potrebbero inizialmente svalutare la loro moneta per riequilibrare la bilancia dei pagamenti, rilanciare l’occupazione e ridurre i debiti, e i governi europei potrebbero decidere politiche espansive per uscire dalla crisi e abbassare il rapporto debito-Pil». Moneta sovrana: benzina necessaria per uscire dalla gabbia dell’euro, che produce soltanto la tragica spirale di contrazioni – consumi, redditi, credito – nella quale stiamo precipitando. Grazzini vede strategico, di fronte a un simile scenario, il ruolo della futura Bce: la banca centrale farebbe da «camera di compensazione per le transazioni europee», come la Clearing Union progettata da Keynes, e metterebbe in piedi un meccanismo per penalizzare «sia i paesi con eccessivi surplus commerciali – come la Germania – che quelli con deficit strutturali delle bilance commerciali, come l’Italia e i paesi del sud Europa». Deficit e surplus sarebbero tassati in proporzione alla loro dimensione e alla loro durata. Obiettivo: «Ridurre le posizioni creditrici e debitrici della bilancia dei pagamenti, fino ad ottenere tendenzialmente un saldo zero».Quello è ovviamente il punto contro cui la Germania «sparerebbe a zero». Ma, grazie al meccanismo di compensazione con penalità simmetriche, «il commercio nell’area euro potrebbe aumentare in maniera equilibrata per tutti». Il nuovo euro, insomma, «funzionerebbe come una unità di conto», proprio come il Bancor di Keynes, e «non come riserva di valore». Sarebbe una “moneta virtuale” e un “paniere” delle monete nazionali europee. «La valuta comune sarebbe gestita dalla Bce e utilizzata per tutte le operazioni con i paesi extraeuropei», con l’impegno a mantenere tassi finanziari stabili. Il “nuovo euro” «rappresenterebbe la barriera comune di fronte alla speculazione del mercato monetario internazionale: questo sistema garantirebbe la necessaria flessibilità interna e la stabilità monetaria verso il resto del mondo, dal momento che un “paniere di valute” è certamente più stabile di una moneta unica».Secondo analisti come Daniela Palma e Guido Iodice, questo tipo di “euro del futuro” «salva il mercato unico e la possibilità di una costruzione politica più solida dell’Unione Europea». Inoltre, la “moneta virtuale europea” «non richiede trasferimenti fiscali o unificazioni dei debiti dei singoli Stati, superando le principali obiezioni oggi poste alle soluzioni di tipo “federale”». Enrico Grazzini torna a rivolgersi direttamente alla politica, cioè all’unica leva democratica a nostra disposizione per tentare di salvare l’economia dall’euro-catastrofe: «Perché le forze della sinistra europea e il “Movimento 5 Stelle” non propongono questa soluzione?». Già, perché? Persino Prodi, massimo “padre” dell’euro, oggi si mostra “pentito” e propone un asse con Francia e Spagna per fronteggiare la Germania. Ma senza ancora riconoscere che il passaggio obbligato resta quello del ritorno alla moneta sovrana, a disposizione dello Stato (e senza limiti) per affrontare le emergenze e dare ossigeno all’economia.Mantenere lo scudo dell’euro come valuta internazionale di scambio, ma tornare subito alle monete sovrane nazionali: è l’unica via per salvare l’economia dei paesi rovinati dalla moneta unica europea, cioè tutti tranne la Germania. Per Enrico Grazzini, si tratta semplicemente di recuperare lo storico progetto del Bancor, avanzato da Keynes a Bretton Woods. Prima, però, le forze politiche devono capire – una volta per tutte – che l’attuale euro-sistema non è che sia “in crisi”: al contrario, è stato progettato esattamente per funzionare così, cioè premiando solo i tedeschi a danno di tutti gli altri. Obiettivo finale evidente: indebolire l’Europa sulla scenario geopolitico. «Oggi perfino Romano Prodi, l’uomo politico che ha fatto entrare l’Italia nell’euro, riconosce che l’Europa è un disastro, una minaccia». La Germania «impone all’Europa una sorta di nuovo Trattato di Versailles». Neoliberismo sfrenato, estremistico. Risultato: milioni di famiglie sul lastrico, aziende in crisi, catastrofe sociale ed economica.
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Giulietto Chiesa: con Tsipras, contro questa infame Ue
Ok a una una lista civica italiana per candidare il capo di Syriza, Alexis Tsipras, alla guida della Commissione Europea: la proposta di Barbara Spinelli, intervistata dal giornale greco “Avgì”, ci permette di «andare alle elezioni del prossimo maggio meno disarmati», sostiene Giulietto Chiesa. Tsipras sarà alla guida di una coalizione “di sinistra”, e nello stesso tempo «alla testa di un partito che potrebbe aspirare al governo della Grecia martoriata dalla violenza neo-liberista». Attenzione, Tsipras è anche «un simbolo della resistenza europea contro le politiche di austerità imposte dalla Trojka». Ha ragione la Spinelli: «In questo momento non c’è candidato migliore e meglio rappresentativo delle istanze popolari e democratiche europee», mentre la politica italiana offre lo sconfortante spettacolo delle “larghe intese”, promosse da un presidente come Napolitano che «è uscito ripetutamente dalle sue prerogative costituzionali», perseguendo un disegno di sostanziale obbedienza ai diktat di Bruxelles, con risultati catastrofici: economia ko, Italia costretta a svendere tutto.Per Giulietto Chiesa, fondatore del laboratorio politico “Alternativa”, Barbara Spinelli coglie nel segno anche quando avverte che i «vecchi partiti della sinistra radicale» non dovranno essere l’architrave della proposta-Tsipras, perché «abbiamo bisogno di qualcosa di più grande, qualcosa per scuotere la coscienza della società», superando i margini molto esigui dei rottami della sinistra “arcobaleno”. Se il Partito della Sinistra Europea ha lanciato anch’esso, nel suo congresso costitutivo di Madrid, la candidatura Tsipras, al di là delle migliori intenzioni – secondo Chiesa – il perimetro storico della sinistra rischia di essere un limite invalicabile, un vicolo cieco. Ne è convinto anche il direttore di “Micromega”, Paolo Flores D’Arcais: «La parola sinistra rischia di essere equivoca, oggi: paradossalmente, non usarla è meno equivoco che usarla», dal momento che “sinistra”, per molti, è ormai in contrapposizione con gli ideali di giustizia e libertà.La parola “sinistra” ricorda l’esperienza fallitmentare del socialismo reale, nonché «la catastrofe politica e ideale che ha seguito la sparizione del Pci». E richiama alla mente «i partitini che si definiscono neocomunisti e che sono una parodia», non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Rimettere in piedi qualcosa a tutti i costi, ripartendo sempre da quel disastro storico, per Aldo Giannuli ha tutta l’aria di un «accanimento terapeutico». Insistere con l’idea della “ricostruzione della sinistra”, aggiunge Giulietto Chiesa, significa anche restare fuori dalla realtà, prigionieri della logica degli steccati. E oltretutto «taglia fuori, in linea di partenza, ogni rapporto con gli otto milioni di elettori del “Movimento 5 Stelle”», cioè «l’unico insediamento istituzionale di una opposizione in Italia». Vero, il movimento diretto da Grillo e Casaleggio resta refrattario a qualsuasi alleanza. Ma perché «tagliarlo fuori dal dialogo che potrebbe condurre ad una lista civica nazionale come quella che noi proponiamo»?A differenza della sinistra in Italia, in Grecia Syriza è una forza politica in forte ascesa. Valide alcune istanze del Partito della Sinistra Europa, così come del “Movimento 5 Stelle”, ma la forma-partito «è un evidente ostacolo a ogni convergenza, ed è dunque prodromo di sconfitta». Barbara Spinelli propone un’alleanza civica «di cittadini attivi, di persone della società civile», disposti a mobilitarsi per Tsipras. «La strada è quella dei contenuti», continua Chiesa. «Se si sceglie Tsipras come candidato comune, sarà necessario fare riferimento alla sua intelligenza politica e alle sue posizioni: che non sono quelle del rifiuto dell’Europa, ma che la vogliono radicalmente cambiata». Un’Europa che sia una “unione”, diversa dall’attuale “equilibrio di potenze”, basato sugli egoismi nazionali, che si è trasformato nel dominio dei più forti sui deboli, senza meccanismi di riequilibrio economico e sociale.Giulietto Chiesa scende nei dettagli: serve un’Europa democratica e solidale, pacifica e non imperiale. Un’Europa «che cancelli i trattati di Maastricht e di Lisbona, fino al Fiscal Compact e a quel mostro intollerabile che è la costituzione, in corso, di Eurogendfor», la temuta super-gendarmeria europea (sostanzialmente antisommossa) non sottoposta a nessuna magistratura. Serve un’Europa non più ostile, «con una banca centrale interamente pubblica, i cui soci sono le banche centrali interamente pubbliche dei paesi membri». Una nuova Bce, che sia «prestatore in ultima istanza» e «abbandoni la linea dell’austerità». E infine «un’Europa che svolga un ruolo autonomo e sovrano nel contesto internazionale, interlocutrice non più subalterna degli Stati Uniti, propugnatrice di una partnership strategica con la Russia». Questo è Tsipras, «e con questo noi siamo in perfetta sintonia». Ma, aggiunge Chiesa, «occorre verificare chi, in Italia, lo è. E trovare un punto di convergenza che sia comprensibile per le grandi masse popolari di questo paese».Attenzione: l’interlocutore potenziale è costituito da milioni di elettori, a una condizione: «Questo programma non lo si può fare con l’illusione di trasformare il Partito Democratico. La sua dirigenza (non necessariamente i suoi elettori) non è riconducibile ai valori della Costituzione. Infatti è da lì che viene l’attacco a quei valori, impersonato dal presidente della Repubblica». Meglio dunque «riflettere seriamente», anche «per evitare di rimanere intrappolati su posizioni anti-europee che si stanno rapidamente diffondendo a partire dalle destre più o meno estreme», come dimostra l’appello del 27 dicembre, indirizzato ai “maggiordomi” italiani ed europei da parte di un gruppo di intellettuali guidati da Etienne Balibar. Un cambio di rotta per l’Europa? «Si tratta ora di vedere se e quante personalità indipendenti sono pronte ad assumersi la responsabilità di questo passo, rappresentato dalla creazione di una lista civica nazionale». I movimenti che lottano per i “beni comuni” saranno pronti a rispondere all’appello? Per Giulietto Chiesa serve «un programma sintetico, da proporre a milioni di italiani, comprensibile a tutti ed espresso in pochi punti». “Alternativa” nel propone uno, lapidario: «L’Italia non parteciperà più a nessuna azione militare fuori dai suoi confini».Ok a una una lista civica italiana per candidare il capo di Syriza, Alexis Tsipras, alla guida della Commissione Europea: la proposta di Barbara Spinelli, intervistata dal giornale greco “Avgì”, ci permette di «andare alle elezioni del prossimo maggio meno disarmati», sostiene Giulietto Chiesa. Tsipras sarà alla guida di una coalizione “di sinistra”, e nello stesso tempo «alla testa di un partito che potrebbe aspirare al governo della Grecia martoriata dalla violenza neo-liberista». Attenzione, Tsipras è anche «un simbolo della resistenza europea contro le politiche di austerità imposte dalla Trojka». Ha ragione la Spinelli: «In questo momento non c’è candidato migliore e meglio rappresentativo delle istanze popolari e democratiche europee», mentre la politica italiana offre lo sconfortante spettacolo delle “larghe intese”, promosse da un presidente come Napolitano che «è uscito ripetutamente dalle sue prerogative costituzionali», perseguendo un disegno di sostanziale obbedienza ai diktat di Bruxelles, con risultati catastrofici: economia ko, Italia costretta a svendere tutto.
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Mistero della Fed, il super-potere che domina il mondo
Le potenze del capitalismo finanziario avevano un piano chiarissimo, un obiettivo di lungo termine: «Creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, capace di dominare il sistema politico di ogni nazione e l’economia del mondo». Questo sistema «doveva essere controllato con modalità feudali delle banche centrali del mondo, attraverso accordi segreti». Cardine del sistema, la Banca per i regolamenti internazionali di Basilea, privata e controllata dalle banche centrali mondiali, a loro volta privatizzate. «Ogni banca centrale punta a dominare il suo governo attraverso la capacità di controllare i prestiti sui titoli di Stato, manipolare le valute estere, influenzare il livello di attività economica del paese e condizionare politici cooperativi e compiacenti attraverso ricompense economiche nel mondo del business». A scattare questa fotografia dello scenario attuale è il globalista Carroll Quigley, nel libro “Tragedia e speranza. Una storia del mondo nel nostro tempo”. L’aspetto sconvolgente, fa notare Mauro Bottarelli, è che quel libro uscì nel lontano 1966.Tutto chiaro: nuovo ordine mondiale. Ovvero: il capitalismo finanziario sfratta le sovranità nazionali, cioè l’economia pubblica e democratica, smantellando il potere degli Stati. Scomparso nel ’77, Quigley era un membro molto influente del “Council on Foreign Relations”, il super-salotto che detta l’agenda economica, finanziaria e geopolitica americana attraverso le sue sedi di Washington e New York. Tra i suoi 1.4000 membri, il vero super-potere mondiale, figurano militari e grandi banchieri, rettori universitari e direttori di giornali e televisioni, i vertici delle fondazioni Ford e Rockefeller, presidenti americani (Hoover, Eisenhower, Johnson e Nixon) e segretari di Stato come Edward Reilly Stettinius, Dean Acheson, John Foster Dulles, Christian Archibald Herter e Dean Rusk. Essendo la banca centrale più potente al mondo, la Federal Reserve – che ha appena compiuto cent’anni – era dunque destinata, fin dalla seconda metà degli anni Sessanta, a un ruolo egemone per portare a termine il progetto globalista. Obiettivo: imporre la sua agenda ai governi, scavalcando la funzione pubblica.Murray Rothbard, economista americano di scuola austriaca, descrive così la banca centrale Usa: «L’operazione più segreta e meno riconducibile al governo federale non è, come ci si potrebbe aspettare, la Cia, la Dia, o qualche altra agenzia di intelligence super-segreta», perché tutte le strutture di intelligence sono comunque sottoposte al controllo democratico del Congresso. In segretezza, la Fed batte ogni altra struttura: «Il Federal Reserve System non è riconducibile a nessuno, non ha un budget, non è soggetto a nessun controllo e nessuna commissione del Congresso conosce le sue operazioni o le può davvero supervisionare». La Federal Reserve, che ha il controllo totale del sistema monetario statunitense, «non deve rendere conto a nessuno». Ecco perché per la Fed, come anche per le altre banche centrali, «è sempre stato importante investirsi di un’aura di solennità e di mistero». Infatti, «se la popolazione sapesse ciò che sta succedendo, se fosse in grado di strappare la tenda che copre l’imperscrutabile Mago di Oz, scoprirebbe ben presto che la Fed, lungi dall’essere la soluzione indispensabile al problema dell’inflazione, è essa stessa il cuore del problema».Nessuna sorpresa che un liberale puro con Rothbard abbia in odio la Fed, ammette Bottarelli su “Il Sussidiario”, ma il cuore del problema è: le banche centrali, Fed in testa, anche grazie a questa crisi sono oggi il potere principale a livello politico ed economico. «Cosa sarebbe oggi Wall Street senza la Fed e la sua liquidità? Dove sarebbero i tassi dei Treasuries e quindi il cuore stesso del sistema immobiliare dei mutui, già massacrato dai subprime? Cosa sarebbe l’America senza gli stop-and-go della Fed sul “taper”, capaci di livellare tassi e far sgonfiare e rigonfiare – evitando l’esplosione – la bolla di liquidità? Temo sarebbe un paese schiantato dalla più colossale crisi finanziaria dal 1929, superata – un eufemismo, vista l’economia reale e le sue grida di dolore – creando la più grossa bolla speculativa e di credito della storia. E, di fatto, rendendo il Congresso poco più che un’appendice, cui far recitare melodrammi a soggetto come quello dello “shutdown” o del “debt ceiling”, pantomime che tornano ciclicamente».La leva del comando è nelle mani della Fed, molto più che all’epoca di Alan Greenspan: «Lo sta diventando ora, grazie a questa crisi che ha reso tutti – finanza, economia, politica – dipendenti dalla Fed e dalle sue azioni. Se la Fed vuole crolla tutto, se non vuole gonfia bolle come bambini durante una festa e fa sfondare a Wall Street un record dopo l’altro, visto che comunque i suoi “azionisti di maggioranza” grazie a quei record e a quella liquidità fuori controllo, macinano soldi su soldi». E la stessa Bce? «Non è forse diventata il fulcro dell’intero sistema Europa, politico ed economico, grazie a questa crisi?». Unione bancaria, supervisione unica, regolamenti per i fallimenti e le nazionalizzazioni di istituti, tassi d’interesse, operazioni di finanziamento e rifinanziamento: «Quale Stato può andare contro la Bce? Nessuno, e l’Italia ne sa qualcosa. Chi ha creato, infatti, se non l’Eurotower, il cordone ombelicale tra debito sovrano e sistema bancario, con la liquidità offerta a costo zero alle banche affinché con quei soldi comprassero titoli di Stato dei paesi in crisi, abbassando artificialmente lo spread?».Quello che Bottarelli chiama «incesto» è oggi sotto gli occhi di tutti: «Solo le banche italiane hanno 450 miliardi di debito pubblico nei bilanci, quelle greche hanno ricomprato il 99% del debito ellenico detenuto da soggetti esteri, spalancando le porte al fallimento del paese senza conseguenze, quelle spagnole pure, quelle portoghesi anche». I governi di questi paesi possono forse fare qualcosa al riguardo? «No, devono sottostare alle regole della Bce, la quale può uccidere o lasciare in vita un governo come una banca con una semplice decisione sui tassi, visto che non esiste più alcuna leva di sovranità per le nazioni». La Bce di Trichet era così forte? «No, lo sta diventando sempre più e sempre più in fretta quella di Mario Draghi, uomo Goldman Sachs». Eccesso dietrologico? «Forse, ma rileggete le parole di Carroll Quigley, datate 1966». Nient’altro che un’unica, colossale “coincidenza”? Certo, ha il suo peso l’insaziabile avidità dei banchieri affaristi. Ma c’era soprattutto un duplice obiettivo da centrare: «Far purgare un sistema ormai marcio, tra derivati e altre porcherie, e contestualmente preparare il campo per l’ascesa della Fed e delle altre banche centrali a nuovi riferimenti politici».Perché chi ha visto nascere questa crisi è stato deriso e isolato? Evidente: rischiava di rivelare la vera natura dell’operazione. La verità è che il 15 settembre 2008 qualcuno ha deciso che la crisi doveva prendere un’altra piega e un’altra velocità, insiste Bottarelli. Chi ha deciso di far morire Lehman Brothers, salvando tutti gli altri? E’ stata proprio la Fed di Ben Bernanke, di concerto con l’ex segretario al Tesoro, Henry Paulson. Quel fallimento, aggiunge Bottarelli, aveva un scopo preciso: «Tramutare la Fed nel motore immobile del sistema economico-politico-finanziario Usa e mondiale». Inutili le proteste di Dick Fuld, già capo di Lehman Brothers: «Paulson ha fornito dati compromessi agli altri istituti di credito quando c’era bisogno di aiutarci, non avevamo problemi di liquidità». Il riferimento di Fuld è noto: nella notte del 14 settembre 2008, quindi il giorno prima della bancarotta, ci fu un meeting fra Paulson e i vertici delle principali banche di Wall Street. Erano presenti anche il presidente della Fed di New York, Timothy Geithner, il numero uno di Bank of America, Kenneth Lewis, e il capo della Sec, Christopher Cox. Per tenere in piedi la Lehman Brothers servivano 100 miliardi di dollari. Ma a porre il veto furono Paulson e la Merrill Lynch. Gli altri non mossero un dito e Lehman fallì.Attenzione: nella stessa settimana della bancarotta di Lehman Brothers, aggiunge Bottarelli, sono state salvate American International Group e la stessa Merrill Lynch, mentre fu concesso a Goldman Sachs e Morgan Stanley di diventare holding bancarie. Perché invece a Lehman Brothers fu impedito di cambiare statuto? La Lehman non era certo la sola a ottenere liquidità a breve termine “esternalizzando” le perdite, «ma la differenza è che affondando Lehman Brothers si affondava un simbolo e si rimetteva Wall Street, così come il Congresso, nelle mani della Fed, inviando anche uno scossone globale agli altri sistemi finanziari esposti verso l’ex gigante». All’epoca, un maxi-salvataggio pubblico non sarebbe ancora stato facilmente digeribile dagli americani, dalla politica e dai mercati. «Ma poi i tempi cambiano», e alla Casa Bianca arriva il primo presidente di colore, che «promette di far pagare il conto della crisi a Wall Street», e invece «la facilita con ogni mossa, lasciando campo sempre più libero allo strapotere della Fed». Un altro democratico, Bill Clinton, grande alfiere della globalizzazione, fu il primo «a creare le condizioni della crisi subprime con la sua politica di mutui a cani e porci con garanzie zero», facendo «pagare il conto dei fallimenti ai cittadini che compravano qualsiasi cartaccia gli venisse proposta come investimento». Tutte coincidenze?Le potenze del capitalismo finanziario avevano un piano chiarissimo, un obiettivo di lungo termine: «Creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, capace di dominare il sistema politico di ogni nazione e l’economia del mondo». Questo sistema «doveva essere controllato con modalità feudali delle banche centrali del mondo, attraverso accordi segreti». Cardine del sistema, la Banca per i regolamenti internazionali di Basilea, privata e controllata dalle banche centrali mondiali, a loro volta privatizzate. «Ogni banca centrale punta a dominare il suo governo attraverso la capacità di controllare i prestiti sui titoli di Stato, manipolare le valute estere, influenzare il livello di attività economica del paese e condizionare politici cooperativi e compiacenti attraverso ricompense economiche nel mondo del business». A scattare questa fotografia dello scenario attuale è il globalista Carroll Quigley, nel libro “Tragedia e speranza. Una storia del mondo nel nostro tempo”. L’aspetto sconvolgente, fa notare Mauro Bottarelli, è che quel libro uscì nel lontano 1966.