Archivio del Tag ‘popolo’
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Magaldi: l’Italia è salva, grazie a Grasso e ai D’Alema-boys
Sicché sarebbe Pietro Grasso, detto Piero, il formidabile anti-Renzi? O meglio l’anti-Renzusconi, l’eroe carismatico che si opporrà all’ennesimo inciucio che ci attende? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. Abbiate fede: prima o poi gli italiani avranno finalmente un Parlamento degno – non ancora nella primavera 2018, però. Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e promotore del Pdp, Partito Democratico Progressista, che ancora aspetta di nascere su base popolare, mediante assemblea costituente con libera adesione. Obiettivo: fare piazza pulita dei personaggi che hanno condannato il paese al declino, e che – lungi dal farsi da parte – animano l’imbarazzante farsa dell’ennesima campagna elettorale inutile. Nessuno dei tre poli osa raccontare la nuda verità, l’inaccettabile sottomissione ai poteri forti europei che hanno costretto il sistema-Italia a fare harakiri. Renzi e Berlusconi, in attesa di sedersi allo stesso tavolo, fanno a gara a chi le spara più grosse, in termini di promesse elettorali palesemente impossibili da mantenere, sotto il regime di euro-austerity. Mentre il grillino Di Maio – altrettanto lontano dalla realtà – fa il turista a Washington, evitando accuratamente la sponda progressista. E a Roma intanto chi spunta? Pietro Grasso, il nuovo campione degli indimenticabili Bersani e D’Alema, notoriamente amatissimi dagli italiani.«C’è da ridere per non piangere, se il rinnovamento deve partire da Grasso», dice Gioele Magaldi a David Gramiccioli di “Colors Radio” all’indomani della convention romana dei fuoriusciti dal Pd renziano, alleati degli ex-Sel e di gruppi ancora più esigui della sinistra, come quello di Civati. «Già magistrato dignitoso, Grasso è un signore di 72 anni che è stato miracolato da alcune poltrone, come la presidenza del Senato: si è dimesso, tra virgolette, dal Pd, ma non ricordo che si sia erto a difensore della democrazia e dei diritti quando tutti quanti, da destra a sinistra, avallavano il Fiscal Compact varato dal governo Monti, anche con i voti di Bersani, D’Alema, Speranza e compagni, tutti provenienti dalla filiera Pci». Insiste Magaldi: «L’aver pienamente sottoscritto le peggiori le politiche di rigore è davvero il peccato originale di questa sedicente sinistra italiana». E aggiunge: «Chi può pensare, davvero, che il rinnovamento del paese possa venire da un personaggio come Grasso? Non direi che sia stato un presidente del Senato memorabile: e oggi il popolo “de sinistra” dovrebbe entusiasmarsi, plaudire? Immagino quanta eccitazione e quanti fremiti, alla vista di Grasso che arringa le folle. C’è davvero da piangere, da singhiozzare».Per il dopo-elezioni, non c’è bisogno di profezie: sondaggi alla mano, Renzi e il Cavaliere saranno “costretti” a una riedizione del Patto del Nazareno. Larghe intese, ma dalla vita breve: Magaldi prevede «crisi parlamentari sempre più ravvicinate, nei prossimi tempi, perché la situazione è insostenibile: c’è una decadenza dell’Italia che ormai questa classe dirigente nel suo complesso non è in grado di fronteggiare», men che meno «gli spaventapasseri della convention romana della sinistra, vecchi notabili variamente riciclati, che oggi ci vengono a cantare questa canzone stonata: e sono più aristocratici loro, nei rapporti umani e anche nella visione politica, di altri che vengono collocati a destra». Magaldi pensa al futuro Pdp e ragiona da allenatore: «Basta con questa finzione, noi lavoriamo per un partito davvero popolare: non ci interessa la rappresentazione populista, demagogica e squinternata che fa del popolo una macchietta, vogliamo una politica finalmente all’altezza dell’Italia, fondata su sovranità, dignità e diritti». Si tratta di ripartire da zero, per una «credibile rigenerazione politica di un paese malgovernato per 25 anni dai sedicenti centrodestra e centrosinistra». Il punto si svolta? Dire no alla truffa del rigore, dogma ideologico imposto dall’élite finanziaria. E’ la parola d’ordine su cui, promette Magaldi, si costruirà il Pdp, già partire dalla prossima legislatura, parlando anche a parlamentari «disgustati» dello spettacolo in arrivo.Sicché sarebbe Pietro Grasso, detto Piero, il formidabile anti-Renzi? O meglio l’anti-Renzusconi, l’eroe carismatico che si opporrà all’ennesimo inciucio che ci attende? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. Abbiate fede: prima o poi gli italiani avranno finalmente un Parlamento degno – non ancora nella primavera 2018, però. Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e promotore del Pdp, Partito Democratico Progressista, che ancora aspetta di nascere su base popolare, mediante assemblea costituente con libera adesione. Obiettivo: fare piazza pulita dei personaggi che hanno condannato il paese al declino, e che – lungi dal farsi da parte – animano l’imbarazzante farsa dell’ennesima campagna elettorale inutile. Nessuno dei tre poli osa raccontare la nuda verità, l’inaccettabile sottomissione ai poteri forti europei che hanno costretto il sistema-Italia a fare harakiri. Renzi e Berlusconi, in attesa di sedersi allo stesso tavolo, fanno a gara a chi le spara più grosse, in termini di promesse elettorali palesemente impossibili da mantenere, sotto il regime di euro-austerity. Mentre il grillino Di Maio – altrettanto lontano dalla realtà – fa il turista a Washington, evitando accuratamente la sponda progressista. E a Roma intanto chi spunta? Pietro Grasso, il nuovo campione degli indimenticabili Bersani e D’Alema, notoriamente amatissimi dagli italiani.
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Cremaschi: elezioni di regime, tutti allineati ai diktat Ue
Un anno fa la maggioranza del popolo italiano, con una partecipazione al voto largamente superiore a quella delle consultazioni politiche e amministrative, bocciava la riforma costituzionale di Renzi. Non era solo il leader del Pd ad essere duramente sconfitto. Il sistema finanziario, la Confindustria, la grande stampa, tutta la élite intellettuale, la Ue e Obama, che avevano sostenuto il cambiamento costituzionale, venivano battuti. Era un pronunciamento di popolo, simile ad altri che hanno sconvolto la politica europea; un pronunciamento che, partendo da posizioni molto diverse, esprimeva lo stesso intendimento: respingere la controriforma sociale e politica voluta dalle élite della globalizzazione liberista. Cosa è rimasto dopo un anno di quel voto nel sistema politico? Nulla. Il governo è in pura continuità con quello precedente e i principali schieramenti, neppure nelle battute, fanno rifermento a quel voto. Solo le forze a sinistra del Pd ogni tanto ricordano quel referendum e la Costituzione negata, salvo poi proporre la ricostituzione di un centrosinistra senza Renzi. Quelle forze rimpiangono proprio lo schieramento politico responsabile della devastazione dei diritti costituzionali, come e forse più della destra.Il movimento lanciato all’assemblea del Brancaccio aveva provato a richiamarsi con più forza al voto popolare di rottura di una anno fa, ma poi è rifluito nella politica tradizionale della sinistra. E per questo si è sciolto. Non si può mettere il vino nuovo negli otri vecchi, come pure ha detto uno dei suoi promotori. Nel frattempo l’Unione Europea ha già messo l’ipoteca sul risultato elettorale, quale che esso sia. La Ue ha già ottenuto da Gentiloni la piena conferma del folle meccanismo automatico di innalzamento dell’età pensionabile, il che ha portato ad un po’ di sceneggiate con Cgil, Cisl e Uil, nessuno dei quali aveva in realtà mai rivendicato l’abrogazione della legge Fornero. Inoltre la Ue ha già prenotato il mese di maggio per una nuova manovra di tagli, concedendo al governo ed alle principali forze politiche unicamente la possibilità di una campagna elettorale che faccia finta di niente. Da quel 5 agosto 2011 in cui Draghi e Trichet scrissero la lettera sulle cose da fare, tutti i governi italiani hanno adottato quel testo come programma. E se qualche impegno è saltato, ci pensa o ci penserà il pilota automatico, come il presidente della Bce ha chiamato le decisioni economiche che vengono imposte all’Italia e agli altri paesi della Ue sotto controllo della Troika.A fine anno si dovrebbe poi votare in Parlamento la conferma definitiva del Fiscal Compact, cioè di quel trattato, già recepito in Costituzione con la modifica (quasi unanime) dell’articolo 81, che cancella tutti i principi e i diritti sociali della nostra Carta, nel nome del pareggio di bilancio e della riduzione del debito. Insomma la rottura di popolo di un anno fa non ha avuto alcuna vera conseguenza negli indirizzi di fondo del sistema politico, dove tutte le principali forze sono alla ricerca di patenti di rispettabilità e approvazione proprio da quei poteri italiani, europei, americani, che avevano puntato sulla vittoria di Renzi al referendum. Il risultato di tutto questo è un sistema politico sempre più autoritario ed escludente, che non a caso registra un crollo vertiginoso della partecipazione al voto, che oramai riguarda la metà o meno ancora della popolazione. A cosa serve votare se chiunque vinca non cambia niente, al di là di chiacchiere urla o promesse, questa è la convinzione che si diffonde. E il ritorno di Berlusconi, ora sostenuto anche da Scalfari, è la più sfacciata conferma di questo sistema che non cambia.Il M5S raccoglie e probabilmente raccoglierà ancora il consenso genuino di chi rifiuta le tradizionali politiche del palazzo e chiede ben altro. Ma gli elogi a Rajoy, il viaggio negli Usa, la ricerca del dialogo con Macron da parte di Di Maio, dimostrano che la leadership di quel movimento cerca prima di tutto di legittimarsi con le élites liberiste, che non danno mai benedizioni gratuite. Non c’è alcuna corrispondenza tra il voto di un anno fa e il sistema politico: quest’ultimo si muove tutto dentro il quadro della controriforma liberista, proponendo unicamente alternative all’interno di essa. Chi rivendica lavoro e eguaglianza sociale. Chi vuole la scuola pubblica, lo stato sociale e l’intervento pubblico nell’economia contro il dominio del mercato. Chi vuole la difesa dell’ambiente contro l’incuria e la devastazione delle grandi opere. Chi rifiuta e combatte l’oppressione e la violenza di sesso, di razza, di classe. Chi rifiuta ed odia lo sfruttamento, il dominio della finanza, il capitalismo. Chi soffre e chi lotta sa o deve sapere che è necessaria una rottura di sistema.Solo la rottura con i vincoli Ue, con gli impegni militari Nato, con trent’anni di politiche liberiste sempre eguali a se stesse, solo la rottura con il sistema politico e culturale della controriforma crea un’alternativa, un’alternativa fondata su quei principi sociali della Costituzione che oggi sono brutalmente negati dal potere. La coraggiosa proposta elettorale di Je So Pazzo per me è su questo che deve misurarsi. Non si tratta di aggiungere altre parole al chiacchiericcio del palazzo, ma di dare voce e forza a chi rialza la testa e vuole ribellarsi. L’appuntamento elettorale può essere solo un passaggio, e neppure dei più importanti, di questa ribellione organizzata contro il sistema e contro tutte le sue finte alternative. Un passaggio che serva ad accumulare ed unire forze per tutti i conflitti che si aprono e si dovranno aprire. Noi di qua, voi di là, solo se si dice questo ha senso partecipare a queste elezioni, governate dal regime che ha perso il referendum un anno fa.(Giorgio Cremaschi, “Elezioni: noi di qua, voi di là”, da “Micromega” del 26 novembre 2017).Un anno fa la maggioranza del popolo italiano, con una partecipazione al voto largamente superiore a quella delle consultazioni politiche e amministrative, bocciava la riforma costituzionale di Renzi. Non era solo il leader del Pd ad essere duramente sconfitto. Il sistema finanziario, la Confindustria, la grande stampa, tutta la élite intellettuale, la Ue e Obama, che avevano sostenuto il cambiamento costituzionale, venivano battuti. Era un pronunciamento di popolo, simile ad altri che hanno sconvolto la politica europea; un pronunciamento che, partendo da posizioni molto diverse, esprimeva lo stesso intendimento: respingere la controriforma sociale e politica voluta dalle élite della globalizzazione liberista. Cosa è rimasto dopo un anno di quel voto nel sistema politico? Nulla. Il governo è in pura continuità con quello precedente e i principali schieramenti, neppure nelle battute, fanno rifermento a quel voto. Solo le forze a sinistra del Pd ogni tanto ricordano quel referendum e la Costituzione negata, salvo poi proporre la ricostituzione di un centrosinistra senza Renzi. Quelle forze rimpiangono proprio lo schieramento politico responsabile della devastazione dei diritti costituzionali, come e forse più della destra.
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Il Sole 24 Ore: votate pure, intanto lo Stato non esiste più
In un paese come l’Italia, anestetizzato e abbindolato dalla propaganda e dalla disinformazione, non si è ancora capito in quale baratro ci hanno portato. E – per quanto possa sembrare incredibile – non lo hanno capito nemmeno quelli che ci hanno trascinato quaggiù. Intendo la classe politica. Infatti, alla vigilia della corsa elettorale, sui giornali si leggono annunci di programmi mirabolanti che stanno per essere sfornati dai diversi schieramenti: dal taglio delle tasse alle pensioni, dal reddito di cittadinanza ai finanziamenti allo stato sociale, dai fondi per la scuola a quelli per lottare contro la disoccupazione fino al ritorno del famoso articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Bene. C’è solo un problema: le chiavi e il portafoglio di casa nostra sono ormai in mano ad altri. In Italia non governano più gli italiani. In maniera molto chiara – quasi brutale – lo ha fatto presente Sergio Fabbrini in un inciso del suo editoriale pubblicato dal “Sole 24 Ore”, dove si legge: «I politici italiani continuano a pensare come se fossero all’interno di uno Stato sovrano indipendente». Attenzione, non sono parole pronunciate da un “pericoloso” sovranista, ma da un commentatore che – come il suo giornale – aderisce all’ideologia dell’Unione Europea. Rileggete quelle parole perché sono vere e drammatiche, sebbene quel commentatore – come la gran parte degli editorialisti dei giornali – ritenga tutto questo un gran progresso.Bisognerebbe domandare agli italiani: a voi è mai stato detto che non siamo più «uno Stato sovrano indipendente»? Vi è mai stata chiesta una chiara autorizzazione a disfarsi della nostra sovranità? Vi sono mai state spiegate le conseguenze? Ci rendiamo conto che siamo praticamente sudditi della “Grande Germania” chiamata Unione Europea? Per la verità alcune voci inascoltate lo hanno gridato ai quattro venti, ma sono state fulminate sui giornali con continue accuse di sovranismo, di populismo e di nazionalismo. Oggi, in questa Italia, un Enrico Mattei verrebbe considerato un pericolo sovranista e nazionalista. Perché costruì l’Eni avendo come bussola il nostro interesse nazionale. Nel 2017 gli sarebbe impossibile. Il giornale della Confindustria ieri c’informava del «radicale cambiamento» che si è verificato ovvero che «lo Stato nazionale non esiste più in Europa» (sic!). Ripeto: non sono parole di Salvini o della Meloni, ma degli stessi europeisti. È la realtà dei fatti. Certo, in teoria è ancora in vigore l’articolo 1 della Costituzione secondo cui “la sovranità appartiene al popolo” italiano. Ma nella realtà non è più così. Lo abbiamo visto nel 2011 quando è stato rovesciato l’ultimo governo scelto dagli italiani e lo vediamo continuamente con la sottomissione alla Ue.Quelli del centrosinistra sono stati così zelanti da andare perfino oltre ciò che l’Europa (o meglio: la Germania) chiedeva, attribuendo alle norme europee valore costituzionale. Giulio Tremonti in una intervista a “Libero” ha spiegato che «la sinistra italiana, tra il 2000 e il 2001» ha introdotto «non richiesta, nell’articolo 117 della Costituzione la formula della nostra sottomissione quando si afferma che il potere legislativo dello Stato è subordinato “ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, intendendo per ordinamento comunitario non solo i trattati, ma anche i regolamenti e le direttive europee». È un’ idea così geniale che ovviamente gli altri Stati d’ Europa si sono ben guardati dal farsela venire. I volenterosi governanti italiani sono i soli ad averla escogitata. Così siamo obbligati a recepire tutto, bail-in compreso e non importa se contraddice l’articolo 47 della nostra Costituzione sulla tutela del risparmio. Ovviamente la decisiva perdita di sovranità c’ è stata anzitutto quando abbiamo rinunciato alla nostra moneta, errore che paghiamo salatamente.Eppure eravamo stati avvertiti anche da premi Nobel per l’ economia, come Paul Krugman, che nel 1999, sul “New York Times”, scriveva: «Adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera con tutti i danni che ciò implica». Ecco la vera questione: non siamo più uno Stato sovrano e indipendente, non abbiamo più una moneta e ci vengono imposte delle politiche e delle norme che fanno l’interesse nazionale altrui, non il nostro. Ci hanno ridotto a un “fake Stato”. Una colonia. La classe politica che ci ha portato a questo punto, e che adesso fischietta distrattamente facendo finta che esista ancora uno Stato italiano sovrano e indipendente, deve rendere ragione di questa follia, alla luce dei risultati devastanti di questi anni. Se le elezioni non affrontano questo problema saranno soltanto un altro modo per prendere in giro un popolo che è stato impoverito, ingannato, tradito ed espropriato perfino della sua sovranità.(Antonio Socci, “In Italia non governano più gli italiani ma l’Europa, e non fa il nostro interesse”, dal quotidiano “Libero” del 21 novembre 2017).In un paese come l’Italia, anestetizzato e abbindolato dalla propaganda e dalla disinformazione, non si è ancora capito in quale baratro ci hanno portato. E – per quanto possa sembrare incredibile – non lo hanno capito nemmeno quelli che ci hanno trascinato quaggiù. Intendo la classe politica. Infatti, alla vigilia della corsa elettorale, sui giornali si leggono annunci di programmi mirabolanti che stanno per essere sfornati dai diversi schieramenti: dal taglio delle tasse alle pensioni, dal reddito di cittadinanza ai finanziamenti allo stato sociale, dai fondi per la scuola a quelli per lottare contro la disoccupazione fino al ritorno del famoso articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Bene. C’è solo un problema: le chiavi e il portafoglio di casa nostra sono ormai in mano ad altri. In Italia non governano più gli italiani. In maniera molto chiara – quasi brutale – lo ha fatto presente Sergio Fabbrini in un inciso del suo editoriale pubblicato dal “Sole 24 Ore”, dove si legge: «I politici italiani continuano a pensare come se fossero all’interno di uno Stato sovrano indipendente». Attenzione, non sono parole pronunciate da un “pericoloso” sovranista, ma da un commentatore che – come il suo giornale – aderisce all’ideologia dell’Unione Europea. Rileggete quelle parole perché sono vere e drammatiche, sebbene quel commentatore – come la gran parte degli editorialisti dei giornali – ritenga tutto questo un gran progresso.
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Pareggio di bilancio, Orlando: mi vergogno, la Bce ci ricattò
«Se non inserite il pareggio di bilancio nella Costituzione, vi tagliamo i viveri: restate a secco, senza stipendi». Così la Bce di Mario Draghi ricattò il governo, che dovette piegarsi: la norma ammazza-Italia fu varata l’8 maggio 2012 dall’esecutivo guidato dal super-tecnocrate Mario Monti, per avere effetto a partire dal 2014. A rivelarlo è il ministro della giustizia, Andrea Orlando. Lo ricorda “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, che rende pubblico un frammento della conversazione tra Orlando, il giurista Gustavo Zagrebelsky e la giornalista Silvia Truzzi, durante la festa del “Fatto Quotidiano” il 2 settembre 2016. «Speriamo che questa confessione muova gli elettori e i cittadini verso la scelta di governi più decisi nella tutela dei loro interessi», scrive “Scenari Economici”, riproponendo le dichiarazioni rese dal ministro, esponente del Pd. «Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi, sostanzialmente, i poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali», dice Orlando, in modo esplicito: «I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto».Aggiunge Orlando: «La modifica – devo dire abbastanza passata sotto silenzio – della Costituzione per quanto riguarda il tema dell’obbligo di pareggio di bilancio non fu il frutto di una discussione nel paese». Quella decisione, continua il ministro, «fu il frutto del fatto che a un certo punto la Banca Centrale Europa, più o meno – ora la brutalizzo – disse: “O mettete questa clausola nella vostra Costituzione, o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese”». Nessuno aveva mai rivelato questo retroscena, perlomeno in termini così chiari. E spicca, anche nel passaggio seguente, la sincerità politica di Andrea Orlando: «Io devo dire che è una delle scelte di cui mi vergogno di più, mi vergogno di più di aver fatto». E insiste: «Io penso che sia stato un errore approvare quella modifica. Non tanto per il merito, che pure è contestabile, ma per il modo in cui si arrivò a quella modifica di carattere costituzionale». Commenta “Scenari Economici”, il newsmagazine di Antonio Maria Rinaldi: «Vi rendete conto del peso di queste parole? Un’entità non eletta da nessuno può ricattare e piegare un governo democraticamente eletto!».E’ la drammatica verità, confessata – con insolita franchezza, per un politico – da un esponente del governo italiano: un’ammissione di completa impotenza. «I governi nazionali appaiono deboli fantocci nelle mani di poteri superiori», sintetizza “Scenari Economici”: «Nessun rispetto del popolo, nessun rispetto della Costituzione, solo sopraffazione e applicazione della legge del più forte! I politici appaiono solo come piccoli burattini senza coraggio». Il pareggio di bilancio è notoriamente una norma “suicida”, figlia dell’ideologia neoliberista e imposta per amputare, deliberatamente, la capacità di spesa, cioè di investimento. «Il deficit pubblico è, al netto, la ricchezza reale dei cittadini, imprese e famiglie», sottolinea Paolo Barnard. «Al contrario, il pareggio di bilancio prefigura un “saldo zero”: lo Stato non spende per i cittadini più di quanto i cittadini stessi non versino in tasse». Risultato: la morte clinica dello Stato come motore finanziario dell’economia nazionale privata. «E’ perfettamente inutile tagliare le tasse – ricorda l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt – se prima non si aumenta la spesa pubblica, senza la quale va in sofferenza il comparto economico privato».Tra i silenziosi “approvatori” della norma-killer, per l’economia italiana, figura anche Pierluigi Bersani, allora leader del Pd, che impose al suo gruppo parlamentare di piegare la testa di fronte al ricatto dell’oligarchia eurocratica, pur sapendo che il pareggio di bilancio avrebbe compromesso quella stessa Costituzione in nome della quale, lo scorso 4 dicembre, si alzarono barricate contro la proposta renziana di porre fine al bicameralismo perfetto, sopprimendo il Senato elettivo. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ha più volte denunciato l’ipocrisia bersaniana: «Com’è possibile oggi appellarsi esplicitamente all’articolo 1 della Costituzione “fondata sul lavoro”, se si è votato per lesionarla, quella Carta costituzionale, impedendole di garantire posti di lavoro?». Dopo lo strappo con Renzi, Bersani e Speranza hanno dato vita a Mdp insieme a D’Alema, cioè l’uomo che si vantò – da premier – di aver fatto registrare il record europeo nelle privatizzazioni. Oggi, di fronte allo sbando generale della politica – nessun vero programma salva-Italia da Pd, Berlusconi e 5 Stelle – non può che stupire la franchezza di un politico come Andrea Orlando: abbiamo sbagliato, dice, e me ne vergogno.«Se non inserite il pareggio di bilancio nella Costituzione, vi tagliamo i viveri: restate a secco, senza stipendi». Così la Bce di Mario Draghi ricattò il governo, che dovette piegarsi: la norma ammazza-Italia fu varata l’8 maggio 2012 dall’esecutivo guidato dal super-tecnocrate Mario Monti, per avere effetto a partire dal 2014. A rivelarlo è il ministro della giustizia, Andrea Orlando. Lo ricorda “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, che rende pubblico un frammento della conversazione tra Orlando, il giurista Gustavo Zagrebelsky e la giornalista Silvia Truzzi, durante la festa del “Fatto Quotidiano” il 3 settembre 2016. «Speriamo che questa confessione muova gli elettori e i cittadini verso la scelta di governi più decisi nella tutela dei loro interessi», scrive “Scenari Economici”, riproponendo le dichiarazioni rese dal ministro, esponente del Pd. «Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi, sostanzialmente, i poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali», dice Orlando, in modo esplicito: «I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto».
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E Dio salvò la regina (dal populismo della turbolenta Diana)
Alla fine di agosto di vent’anni fa, le cronache rosa del mondo si tinsero di nero: morì in un misterioso incidente stradale la star di quegli anni, Lady Diana Spencer. Già in vita Lady D. era circondata da un alone di simpatia e di sostegno mediatico, anche perché era vista come la donna che metteva in crisi i compassati protocolli e rituali della monarchia, si presentava come donna libera, principessa da favola e da rotocalco, ma anche da impegno umanitario e da crociate buoniste nel mondo. Per questo la sua morte tragica e precoce fu subito sospettata di essere stata un assassinio per levare di mezzo una bomba a orologeria per la monarchia britannica. In quei giorni e poi nelle indagini che seguirono, nella ridda di voci che si susseguirono riempendo le copertine dei settimanali e le prime colonne dei quotidiani, si ebbe la percezione che la monarchia inglese non sarebbe sopravvissuta al ciclone Diana. La regina Elisabetta pareva piegata sotto il fuoco degli attacchi e delle insinuazioni, il principe Carlo godeva di antipatia globale, aggravata poi dall’unione con Camilla; la monarchia era rimessa in discussione come un arnese anacronistico, ipocrita e crudele.E Lady D. diventava una specie di Mito Globale, affiancata a Madre Teresa di Calcutta; la sua morte fu vista come un atto di accusa alla Tradizione nel nome della libertà al femminile. Tralascio le storie e le dicerie sulla leggerezza di Lady D, sui suoi amori, sulle sue vicende che gettavano un’ombra di discredito sulla Corona e che rivelavano quanto lei fosse inadeguata al ruolo e agli obblighi che comporta. E mi soffermo invece sulle sue conseguenze: ripensando al lutto planetario per la sua morte, alla ricca letteratura pop che la celebrava come una santa, un’eroina e una martire del femminismo contro la tradizione e l’assurdo mondo dei re, noto che il tempo, alla fine, abbia mostrato la sua saggezza. Oggi quella vecchia regina che sembrava sulla via del declino se non della destituzione, è ancora viva e vegeta e ha festeggiato i 65 anni del suo regno, circondata da rispetto e simpatia. E quella vecchissima monarchia, che sembrava eclissarsi dietro le orecchie a sventola di Carlo, ha ritrovato una sua vitalità e un grande consenso.Di Lady D, e del suo alone romantico, è rimasta la simpatia trasferita sui figli e sui nipoti; ma stavolta la loro figura non sono viste fuori e contro la dinastia ma perfettamente dentro, integrate nel segno della monarchia e della continuità dinastica. Perché la gente ama la continuità, si affida alle tradizioni come alla paternità e alla maternità di un popolo, e ama la magnificenza, la lontananza, la regalità dei sovrani. Non solo perché ama sognare, e dunque nello splendore di una Casa Reale proietta i suoi sogni infantili e i suoi desideri di gloria. Ma perché vede riflessa in quell’immagine, in quei castelli da favola, in quelle residenze che vissero grandi eventi, quel filo di continuità con la propria storia, col passato di una nazione, di un impero, di una civiltà. Ciò non toglie nulla alla modernità, alla libertà e alla democrazia, ma li compensa, generando equilibrio tra novità e tradizione, tra popolo e sovranità, tra sacralità e profanità, tra rito e pratica quotidiana.Sulla questione Lady D. non sappiamo i veri contorni della vicenda, della sua vita e soprattutto della sua morte. Ma sappiamo che un’istituzione secolare, millenaria, non può piegarsi ai capricci e alle volontà pur comprensibili di una singola persona. Noblesse oblige, c’è un protocollo da rispettare, la regalità ha oneri e onori e tra i primi c’è quello di rinunciare ai suoi piaceri privati quando è in gioco la dinastia. Da principe godi di tanti privilegi ma devi sapere che quel che fai non risponde solo ai tuoi desideri e alle tue pur umane inclinazioni, ma rientra in un cerimoniale, in una simbologia, in una ritualità, in uno stile che danno il senso della regalità. La monarchia risponde a un altro metro, a un altro criterio rispetto alla leadership popolare. In una cerimonia pubblica, Re Luigi XVI di Borbone, il sovrano poi ghigliottinato dai rivoluzionari, doveva raggiungere l’altare allestito all’aperto ma cominciò a piovere a dirotto all’improvviso e il Re non volle bagnarsi, rinunciando a raggiungere l’altare. Quarantanni dopo, il re borghese Luigi Filippo d’Orleans in una cerimonia pubblica, rifiutò di essere riparato da un ombrello perché volle bagnarsi come i suoi sudditi. Col metro democratico moderno, condanniamo il primo ed elogiamo il secondo. Ma non si considera che un Re non può farsi vedere come uno qualunque, sotto la pioggia, magari con la parrucca e il trucco disfatti dall’acqua, reso quasi ridicolo nel suo sfarzo e nella sua solennità.Un Re deve mantenere il suo decoro, la sua regalità, e se non riesce a compiere la sua cerimonia conservando la sua immunità dai fattori climatici, è meglio che preservi la sua distanza. Luigi Filippo, invece, aveva già aperto le porte al presidenzialismo, alla democrazia repubblicana, se non al populismo. E pur di strappare il consenso e il plauso dei suoi sudditi si improvvisava uno di loro; ben sapendo però – e qui è l’ipocrisia delle monarchie borghesi e poi dei leader popolari – che re sarebbe rimasto a tutti gli effetti e con tutti i privilegi, magari quando non lo vedeva nessuno… Con Lady D e la Regina Elisabetta avvenne una cosa del genere: fece simpatia l’umanità di Lady D., la sua voglia di vivere, le sue trasgressioni, i suoi amori, il suo sguardo dolce da cerbiatto, il suo populismo mediatico con le sue performance progressiste. Ma la dignità di una storia, di una dinastia, di una tradizione furono salvaguardate dalla severa coerenza di una regina che regna sovrana ancora oggi. Dio salvò la Regina, non la turbolenta principessa.(Marcello Veneziani, “E Dio salvò la Regina”, da “Il Tempo” del 30 agosto 2017).Alla fine di agosto di vent’anni fa, le cronache rosa del mondo si tinsero di nero: morì in un misterioso incidente stradale la star di quegli anni, Lady Diana Spencer. Già in vita Lady D. era circondata da un alone di simpatia e di sostegno mediatico, anche perché era vista come la donna che metteva in crisi i compassati protocolli e rituali della monarchia, si presentava come donna libera, principessa da favola e da rotocalco, ma anche da impegno umanitario e da crociate buoniste nel mondo. Per questo la sua morte tragica e precoce fu subito sospettata di essere stata un assassinio per levare di mezzo una bomba a orologeria per la monarchia britannica. In quei giorni e poi nelle indagini che seguirono, nella ridda di voci che si susseguirono riempendo le copertine dei settimanali e le prime colonne dei quotidiani, si ebbe la percezione che la monarchia inglese non sarebbe sopravvissuta al ciclone Diana. La regina Elisabetta pareva piegata sotto il fuoco degli attacchi e delle insinuazioni, il principe Carlo godeva di antipatia globale, aggravata poi dall’unione con Camilla; la monarchia era rimessa in discussione come un arnese anacronistico, ipocrita e crudele.
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Pornografia e feticismo, la postmodernità delle anime morte
La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.Schiavitù economica contrabbandata come libertà per i singoli, ma fino a un certo punto, perché si mina alla base il concetto di uguaglianza (perché dovremmo essere uguali? L’individuo non deve essere uguale a nessun altro) per favorire l’individualismo thatcheriano. Negli ultimi 10 anni si sono diffuse in Europa vari tipi di forze politiche, che sono state definite dal potere “populismi”: Indignados, Sovranisti, Podemos, M5S. Ma secondo l’ordine simbolico e linguistico imposto dal potere, con il solo obiettivo di rinsaldare il proprio dominio sui dominati, è necessario controllare la popolazione, e mantenere la massa schiavizzata in una condizione di subalternità, in modo tale che la neolingua possa diventare veicolo di potenziamento dei valori del neoliberismo. Dal 1989 il capitale ha adottato una nuova neolingua, e chiunque metta in discussione il potere oligarchico viene demonizzato come disfattista, complottista, o populista. La categoria di populista serve esattamente a diffamare ogni prospettiva che assuma la parte del Servo e non del Signore (“Fenomenologia dello spirito”, W. Friedrich Hegel).Oggi viene diffamato chiunque prenda la difesa dei lavoratori precarizzati e schiavizzati, perché ciò contraddice il potere, che vuol contrabbandare i propri dogmi ideologici come fossero interessi universali: concorrenza, competitività, globalizzazione, delocalizzazione, cancellazione dell’articolo 18, licenziabilità senza giusta causa, flessibilità. Chiunque abbia il coraggio di svelare il vero significato oscurato della neolingua viene silenziato come populista e complottista, incapace di accettare la mera ricostruzione dei fatti e degli eventi prospettata dalla mediatizzazione della realtà, che il potere ci mostra quotidianamente sugli schermi televisivi. Il termine “populismo” o “antipolitica”, viene quindi usato dal potere con toni spregiativi e diffamatori, è diventato una specie di parolaccia. E i media ci presentano una realtà confusa e distorta, Grillo come Trump, Raggi come Obama, l’imperatore buono, Premio Nobel per la pace, in realtà ha sostenuto 7 guerre in contemporanea (Afghanistan, Libia, Somalia, Pakistan, Yemen, Iraq e Siria).Modernità e Postmodernità. Termini che indicano lo spirito di una civiltà, nel suo divenire storico, antropologico e culturale. La distinzione va ricercata secondo un’analisi marxista, l’aforisma di Marx, per cui «la cultura dominante coincide perfettamente con la cultura della classe dominante» (Karl Marx, “Ideologia tedesca”). Le realtà virtuali, l’iperrealtà, sono la matrice della Postmodernità, strettamente correlate all’uso di macchine creatrici di virtualità: Pc, Tablet, iPhone… Se la “produzione” è la cifra della Modernità, la “simulazione” è quella della Postmodernità. La Postmodernità ridimensiona la produzione per favorire la simulazione, sposta ingenti masse di salariati dalle fabbriche al terziario o oltre, azzera quella middle class che era il volano dell’economia dei consumi, chiude impianti produttivi. La disoccupazione di massa è la vera piaga della postmodernità: felicità virtuale e disperazione reale.L’Illuminismo aveva concentrato l’attenzione sull’impatto politico della nuova mentalità scientifica, che inneggiava all’“Homo faber fortunae suae”, e aveva indotto i nuovi uomini a sostenere le prime grandi rivoluzioni della storia, Rivoluzione Americana 1776, Rivoluzione Francese 1789. Il background filosofico culturale entro cui nasce il populismo è dunque l’età postmoderna, che propone una narrazione sempre più inquieta e socialmente devastante, dove le solide narrazioni della modernità si sono frantumate contro il nonsense di un sistema sociale globalizzato, sfilatosi verso una remota periferia a-ideologica. Diversi autori hanno percepito in anticipo l’avvento del postmoderno, e lo hanno interpretato attraverso la loro acuta sensibilità, a partire dagli anni ’70: Jean-François Lyotard, Guy Debord, Jean Baudrillard, Marc Augé, Zygmunt Bauman. Al popolo postmoderno non interessa la “verità” dei fatti né il senso degli eventi, perché vuole ascoltare solo le narrazioni, favole illusionistiche, simulacri evanescenti, emersi direttamente dal nuovo oscuro inconscio collettivo, e dalla società dello spettacolo.Le nuove minacce metropolitane sono: migranti e clandestini che invadono il paese, offrendo manodopera a basso costo, ingrossando le file della microcriminalità e minando così la serenità sociale; grottesche crociate contro l’Islam; politiche di austerity che massacrano l’economia dell’Italia, divenuta il Sud Europa. La “notizia” della postmodernità è una fake news, consiste nella negazione stessa dell’informazione, perché non mira a informare sulla “verità” dei fatti, ma li reinterpreta deformandoli, proprio per oscurarli completamente (Marco Travaglio, “La scomparsa dei fatti”). Jean-François Lyotard, nel suo testo “La condizione postmoderna” (1979), conia il nuovo termine di “postmoderno” per definire l’epoca attuale. Il termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. Lo sviluppo tecnologico diventa sempre più invasivo per il benessere neurovegetativo umano (“Psyche e Techne”, Umberto Galimberti). La pornografia dei media produce la molteplicità dei linguaggi, la contaminazione degli stili, un citazionismo ossessivo (film di Quentin Tarantino), tipico di un’epoca che non ha più nulla da dire, se non ripetere all’infinito, in modalità sempre diverse, le stesse tematiche.Ne è derivata la perdita di centralizzazione nell’organizzazione dello Stato (federalismo), la perdita di sovranità (euro, Ue), un aumento dei “processi di disgregazione dello Stato Nazione”. L’Occidente sta vivendo una stagione sconcertante, attraversata dalle rapidissime trasformazioni scientifico-tecnologiche. Con grande lucidità, Lyotard propone una partizione storiografica tra l’epoca moderna (secoli XVII e XX) e l’epoca post-moderna, che si è affermata compiutamente nel tardo Novecento. I moderni e i postmoderni professano una visione dell’uomo, della società e in genere della realtà, antitetiche nei loro aspetti più essenziali. L’idea forte dei moderni è il progresso umano, essi concepiscono la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l’uomo realizza e arricchisce le proprie facoltà. L’idea forte della modernità è il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell’uomo di esercitare la ragione. Ciò che definisce l’essenza della condizione post-moderna, invece, è proprio la negazione della capacità umana di produrre il progresso, una sorta di nichilismo dei valori. Ne segue la negazione della scuola e dell’università come agenti di socializzazione e orientamento di valori. La perdita di potere e di funzione sociale dell’intellettuale, che a partire dall’età dei Lumi era stato la coscienza della modernità. Tutto molto strano per quella che viene definita la «società della conoscenza».Guy Debord, di formazione hegeliana e marxista, è stato uno dei critici più importanti delle società occidentali avanzate. L’incipit della “Società dello Spettacolo” (1967) riprende a un secolo di distanza quello del “Capitale” (1867) di Marx: «Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci». L’incipit dell’opera di Debord è: «Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli» (“La Società dello Spettacolo”). Secondo Debord, La caratteristica principale del capitalismo moderno consiste nell’accumulazione del capitale, nell’espansione delle tecnologie della comunicazione, e nel «feticismo delle merci». Quest’aspetto dello spettacolo è sicuramente «la sua manifestazione sociale più opprimente» («Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini»). Tuttavia lo spettacolo è necessariamente falso ed ingannevole, giacché struttura le immagini secondo gli interessi di una parte della società.«Per il fatto stesso che lo spettacolo è separato, è il luogo dell’inganno dello sguardo e il centro della falsa coscienza». Lo spettacolo è così il prodotto della mercificazione della vita moderna, il progresso del capitalismo consumistico verso il feticismo e la reificazione. E poi, giacché la comunicazione dei media è unilaterale, il Potere giustifica se stesso attraverso un incessante discorso elogiativo del capitalismo e delle merci da esso prodotte. «Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere». Lo spettacolo del capitalismo presuppone quindi l’assenza di dialogo, poiché è solo il potere a parlare. «Il sistema economico fondato sull’isolamento è una produzione circolare di isolamento». Ridotto al silenzio, al consumatore non resta altro che ammirare le immagini che altri hanno scelto per lui. L’altra faccia dello spettacolo è l’assoluta passività del consumatore, il quale ha esclusivamente il ruolo, e l’atteggiamento, del pubblico, ossia di chi sta a guardare, e non interviene. In questo modo lo spettatore è completamente dominato dal flusso delle immagini, che si è ormai sostituito alla realtà, creando un mondo virtuale nel quale la distinzione tra vero e falso ha perso ogni significato.È vero ciò che lo spettacolo ha interesse a mostrare. Tutto ciò che non rientra nel flusso delle immagini selezionato dal potere, è falso, o non esiste. Come l’immagine si sostituisce alla realtà, la visione dello spettacolo si sostituisce alla vita. I consumatori piuttosto che fare esperienze dirette, si accontentano di osservare nello spettacolo tutto ciò che a loro manca. Per questo lo spettacolo è il contrario della vita. Debord descrive in questi termini l’alienazione del consumatore: «Più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio». In una società mercificata, sostiene Debord, è la merce ad avere un ruolo centrale. Ogni merce promette il soddisfacimento dei bisogni, e quando arriva l’inevitabile delusione, dovuta al fatto che tali bisogni sono fittizi e manipolati, subentra una nuova merce pronta a mantenere la promessa disillusa dall’altra. Si crea così una concorrenza tra le merci, rispetto alla quale il consumatore frustrato è un mero spettatore.Questo modello impregna di sé, ormai, tutta la vita sociale, divenendo il prototipo di ogni competizione, compresa quella politica. Questa si riduce alla competizione tra leader che vendono la propria immagine come una merce, e fanno promesse che non manterranno mai. Il tutto nell’assoluta passività e apatia dei “cittadini”. Alle regionali siciliane Vittorio Sgarbi si presenta con un movimento, “Rinascimento siciliano”, insieme a Morgan e Giulio Tremonti, proponendo un trinomio decisamente bizzarro, composto da vecchi arnesi della politica spettacolo, camuffati da nuova proposta rinascimentale. La società è completamente dominata da immagini falsificate che sostituiscono la realtà, facendo scomparire qualsiasi verità al di là della falsificazione continua. Ciò determina una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo e quindi anche della democrazia. La finzione di democrazia è mantenuta in vita solo attraverso la costruzione di un nemico comune, il quale consente una falsa unità che ricopre la realtà della separazione gerarchica tra dirigenti ed esecutori. È questo il ruolo del terrorismo. «Questa democrazia così perfetta fabbrica da sé il suo inconciliabile nemico, il terrorismo. Vuole infatti essere giudicata in base ai suoi nemici piuttosto che in base ai suoi risultati».La mondializzazione dell’economia è l’apogeo di questo processo che si distingue da ciò che l’ha preceduta per un solo elemento, ma d’importanza decisiva. «Il fatto nuovo è che l’economia abbia cominciato a fare apertamente guerra agli umani; non più soltanto alle possibilità della loro vita, ma anche a quelle della loro sopravvivenza». Si può quindi affermare che «l’economia onnipotente è diventata folle, e i tempi spettacolari non sono altro che questo». Nella comunità la comunicazione prende la forma del dialogo e della discussione ai quali ciascuno può partecipare, condizione necessaria per prendere decisioni in comune. Questa comunicazione diretta è l’opposto di quella unilaterale dello spettacolo, nel quale una parte separatasi dalla totalità pretende di essere l’unica a parlare impartendo ordini che il resto della società deve limitarsi ad eseguire. Per essere rivoluzionario, dunque, il proletariato dovrebbe riprendere coscienza del tempo storico, ossia del fatto che l’economia è il vero motore della storia. A questa presa di coscienza si oppone lo spettacolo che cerca di perpetuarsi diffondendo la finzione di un eterno presente che pretende di aver posto fine alla storia.Jean Baudrillard poi, altro acuto osservatore del postmoderno, ha illustrato la frammentazione dell’identità e l’immagine frammentata del mondo e dell’uomo, confezionata dai mass media contemporanei, i quali trasformano il mondo in una serie di pseudo-eventi di natura spettacolare. Per lo spettatore dei media tutto si riduce ad apprezzare l’intensità e le sensazioni della superficie delle immagini, senza poter attivare in modo consistente meccanismi di identificazione e di proiezione nei confronti di personaggi e caratteri. Baudrillard inizia con la critica polemica verso il capitalismo. Smantellate le grandi teorie che guardavano alla realtà come un sistema complesso ma ordinato e descrivibile (“Idealismo o Positivismo”), il presente diventa ora un insieme di segni. Oggi predomina una iperrealtà virtuale, fatta di segni e simulacri (“Simulacri e simulazioni”, 1981). Ad essere messo in discussione è il concetto di realtà, non di verità, come spesso era accaduto in passato. Lo sguardo di Baudrillard che si proietta sul quotidiano è pessimistico, per non dire tragico e drammatico. La cultura produce qualcosa senza significato, e la sola branca del reale che è in grado di tenere in mano le sorti dell’uomo è l’industria, la società dei consumi.I nuovi media hanno giocato un ruolo cruciale nella fabbricazione del significato o finto valore della realtà. Nel suo libro “Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?” (1996), Baudrillard ha spiegato come la televisione abbia sostituito la realtà. Tutto ciò che vediamo attraverso lo schermo è una comunicazione artificiale, un reale contraffatto, che diventa la vera realtà. Consideriamo Disneyland, Las Vegas, dove tutto è incastrato in un meccanismo di funzionamento invidiabilmente impeccabile, un mondo finto che però funziona alla perfezione. Ci rechiamo volontariamente in tali luoghi perché attratti dalla spettacolarità magnetica della ri-creazione, della meraviglia, del simulacro. Siamo assorbiti dalla manipolazione dei media, dei programmi informatici e delle psicologie commerciali. Qual è l’originale realtà per noi? Viviamo di segni e simulacri realtà virtuali o siamo in grado di coglierne la differenza con criticità? Viviamo nei non-luoghi, definiti così da Marc Augé nel libro “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità”. Gli spazi privi di identità, relazioni e storia: autostrade, svincoli e aeroporti, mezzi di trasporto, grandi centri commerciali, outlet, campi profughi, sale d’aspetto, ascensori… ecc ecc. Spazi in cui milioni di individui si incrociano senza entrare in relazione, senza entrare in contatto, senza discutere, parlare, guardarsi, dialogare… l’esatto contrario dell’agorà di Atene, culla della democrazia. Sospinti solo dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare viaggi e percorsi.I nonluoghi sono prodotti della società della postmodernità, dove i luoghi della memoria sono confinati e banalizzati in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di “curiosità” o di “oggetti interessanti”. Le differenze culturali sono massificate, in ogni centro commerciale possiamo trovare cibo cinese, italiano, messicano e magrebino. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì. I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente, caratterizzato dalla precarietà assoluta dalla provvisorietà, dal viaggio, dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. Nel film “The Terminal” di Steven Spielberg, il protagonista, Tom Hanks, un cittadino di un immaginario Stato dell’Europa orientale, atterra a New York e dopo aver scoperto che nel suo paese è avvenuto un colpo di Stato, diviene improvvisamente un uomo senza nazionalità, e perciò impossibilitato sia a uscire nella tanto agognata New York, sia a fare ritorno a casa, quindi resta prigioniero e si integra perfettamente nel nonluogo. I nonluoghi sono presenti anche sulla moneta Euro, con l’effigie di edifici e monumenti privi di identità e di storia, a differenza delle immagini presenti sulla Lira di Caravaggio, Verdi, Montessori, Galileo, Marconi, Colombo…Gli utenti si accontentano della sicurezza di poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti preferita o la medesima disposizione degli spazi all’interno di un aeroporto. Da qui un paradosso: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio e degli altri nonluoghi (“Villaggio globale”, Marshall McLuhan). Il rapporto fra i nonluoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli, parole o voci preregistrate. L’esempio lampante sono i cartelli affissi negli aeroporti vietato fumare oppure non superare la linea bianca davanti agli sportelli. L’individuo nel nonluogo perde tutte le sue caratteristiche di cittadino e i suoi ruoli personali per continuare a esistere solo ed esclusivamente come cliente o utente. Non vi è un riconoscimento delle classi sociali, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell’entrata o dell’uscita dal nonluogo; per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/ passeggeri/ clienti/ consumatori che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole.La società che si vuole democratica non pone limiti all’accesso ai nonluoghi. Farsi identificare come consumatori solvibili, attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare. Anche il concetto di “viaggio” è stato pesantemente attaccato dalla surmodernità: i grandi “nonluoghi” posseggono ormai la medesima attrattività turistica di alcuni monumenti storici. Il più grande centro commerciale degli Stati Uniti d’America, il “Mall of America”, richiama oltre 40 milioni di visitatori ogni anno. Scrive il critico Michael Crosbie nella rivista “Progressive Architecture”: «Si va al Mall of America con la stessa religiosa devozione con cui i Cattolici vanno in Vaticano, i Musulmani alla Mecca, i giocatori d’azzardo a Las Vegas, i bambini a Disneyland». Anche i centri storici delle città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada. L’identità storica delle città è stata ridotta a stereotipo di richiamo turistico. Nell’Europa che tenta di fermare l’ingresso dei migranti, si crea un’ambivalenza dei nonluoghi: quelli dell’abbondanza, e quelli della miseria, come campi profughi, centri di detenzione dei migranti et similia. In essi però l’identità è pericolosa per chi ci si trova, poiché espone al rischio di espulsione o incarcerazione.Zigmunt Bauman è stato forse il pensatore, che ha meglio interpretato il disorientamento contemporaneo. Molti saggi di grande successo, a partire da “Dentro la globalizzazione” del 1998, o “Modernità liquida” del 2000, lo hanno decretato il guru del pensiero della postmodernità. La modernità liquida, concetto fra i più noti del sociologo, ci dice che con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso sono finite anche le certezze del passato in ogni ambito, dal welfare al lavoro fisso, dalla sanità pubblica alle pensioni, la postmodernità le ha smontate tutte, dissacrandole e mescolandole a pulsioni nichilistiche. L’unica comunità dell’individuo è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo tutti noi senza più una missione comune (“Amore liquido”, 2003 o “Vita liquida”, 2005). La fase che viviamo è propizia alla nascita dei populismi, che nascono dall’indignazione. Dagli Indignados ad Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito viene fortemente contestato, con istanze naturalmente diverse ma sempre antisistema. La modernità poggiava sull’etica del lavoro, perché il capitalismo produttivo aveva bisogno di quadri dirigenziali, che facessero funzionare le industrie, fonte del proprio profitto, quindi c’era necessità di welfare, scuola pubblica, benessere per la collettività destinata a gestire le fabbriche.Al contrario, la postmodernità esalta l’estetica del consumo, che trasforma il mondo in un “immenso campo di sensazioni sempre più intense”. Un mondo spesso investito dalla pubblicità o dal venditore di turno. L’esasperazione della soggettività, trova anche incredibili attuazioni tecnologiche come la realtà virtuale (“La solitudine del cittadino globale”, 1999). Bauman in particolare nel libro “Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida” del 2014, parla di un approccio del tutto diverso rispetto alle strutture di potere. Jeremy Bentham e Michel Foucault avevano parlato di Panopticon, inteso come carcere centralizzato che controlla migliaia di detenuti, e in cui bastano pochi agenti di sicurezza per la custodia, metafora evidente del potere centralizzato della modernità e del suo controllo sulla società moderna. Bauman invece parla di un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo, in cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e le persone, o meglio le loro emanazioni digitali, i cui rischi più elevati sono la privacy, la libertà di azione e di scelta. La novità postmoderna è che questo spazio del controllo ha perso i muri, e a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono a collaborare al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto oscuro nascosto sotto a quello seduttivo.La globalizzazione è dunque un processo intimamente legato alle forze di mercato che ha ripercussioni su molti altri settori della vita, in pratica è una nuova forma d’imperialismo finanziario, impadronirsi dell’economia degli Stati, della loro moneta e della loro sovranità. Le forze economiche, infatti, hanno trasceso la dimensione nazionale, hanno perso ogni legame col territorio, dettano legge e non si prefigurano più come sistema produttivo dell’uomo per l’uomo, ma come sistema auto-referenziale, fine a se stesso. Le corporation trasnazionali muovono in uno spazio extraterritoriale, volano sopra i confini dello Stato nazionale, fino ad oggi strumento di rappresentazione delle identità sociali, eludendo ogni sorta di controllo politico e collettivo, ignorando le differenze economiche, politiche, culturali, etniche e religiose delle singole nazioni. Il potere della globalizzazione economica è ormai senza volto e senza luogo, introduce la flessibilità come dogma e preannuncia l’incertezza delle esistenze, vissute nell’affannosa rincorsa per rimanere nella società dei consumi. Il potere ci tiene in scacco lasciandoci soli, levandoci qualsiasi capacità di autodeterminazione e programmazione futura.Nascere in Italia 40 anni fa significava avere buone probabilità di vivere la propria vita in quegli stessi luoghi, avere la speranza di trovare un lavoro vicino a casa, di conoscere i propri concittadini, la possibilità di fare previsioni verosimili sul proprio futuro. Oggi, si nasce in luoghi che mediamente vengono lasciati nella prima adolescenza, i giovani seguono opportunità di lavoro fugaci, sempre più volatili ed evanescenti, i lavoratori vengono assunti in aziende che da un momento all’altro potrebbero delocalizzare. Le spinte all’individualismo e alla competizione determinano questo stile di vita veloce che porta con sé nuova alienazione: quella dell’uomo e dei suoi rapporti. Per il cittadino globale la leggerezza e la velocità di spostamento sono caratteristiche fondamentali, meno vincoli si hanno e più si è pronti alla sopravvivenza nella selva-mondo virtuale, senza barriere né confini. Anche le relazioni umane, dice Bauman, si adeguano e si plasmano sulla base di un consumo ipertrofico, sono sempre più numerose ma sempre più brevi e superficiali. E così, la nostra situazione affonda in un mare di indifferenza, che è l’unica arma di difesa valida a breve termine nei confronti dell’incertezza di ogni giorno.Nella postmodernità è nata una nuova immagine di società, come spazio che racchiude una molteplicità di individui senza più alcuna cornice comune, sempre più uguali nei loro destini ma sempre più divisi e soli nelle proprie vite. Aumenta poi costantemente il divario tra la condizione dei poveri e quello dei ricchi. Il populismo, in modo particolare il M5S, per quanto riguarda la situazione italiana, è quindi la reazione culturale e politica rispetto alle condizioni sociali drasticamente mutate nel tempo della postmodernità, dopo il golpe messo in atto dalla nuova classe sociale dominante, quell’aristocrazia finanziaria che mira a distruggere i diritti del lavoro, a proletarizzare la middle class, a desovranizzare gli Stati, ad americanizzare l’Europa. Data la potenza propagandistica dei media, riuscirà veramente a vincere le prossime elezioni politiche e a prendere il potere? Oppure sarà costretto inevitabilmente ad abbandonare istanze essenziali delle proprie battaglie, soggiogato dalla potenza della restaurazione liberista?(Rosanna Spadini, “Populismi e postmodernità”, da “Come Don Chisciotte” del 28 settembre 2017).La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.
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Caro Mattarella, io mi dimetto da italiano: siamo in sfacelo
Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia. In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano. Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me. Voglio restituire la mia carta d’identità. Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore. Sì, signor presidente, mi dimetto. Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano. Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato. Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere. Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore. Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano. Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.Dopo un’oculata riflessione, durata circa vent’anni ed iniziata con l’età della ragione, guardandomi intorno e facendo una precisa disamina di quanto accaduto, in particolare negli ultimi anni, non posso che confermare quanto scrittole nel primo paragrafo. Crisi economica, mancanza di aiuti agli italiani costretti in degenza economica, le continue pagliacciate da parte dei partiti istituzionali ed aziende sane capaci di fornire lavoro a migliaia di persone portate dallo Stato al fallimento. Questo lo scenario targato Italia 2017. Il governo mantiene e difende, esclusivamente, clandestini, extracomunitari ed immigrati. Chiunque, l’importante che non sia italiano. Il tutto mentre i giovani, figli di questa terra, sono costretti a scappare dal proprio paese. Lo fanno perché non sono tutelati e non hanno nessuna garanzia di trovare un impiego solido, capace di donare speranza nell’avvenire. Nel mentre gli anziani, dopo una vita spesa facendo sacrifici su sacrifici, vedono riconosciuta da questo Stato una pensione da miseria. Inoltre vogliamo parlare degli italiani costretti a dormire in macchina? Uomini e donne scaraventati fuori dal loro nido perché non possono più far fronte ad un mutuo, le banche li strangolano, oppure sfratti dagli alloggi popolari.In questo scempio, le forze dell’ordine sono costrette a lavorare senza nessun tipo di garanzia, trattati peggio dei delinquenti e utilizzando mezzi completamente obsoleti. Infine le famiglie costrette ancora nei container in attesa di un alloggio dopo i, vari, terremoti che hanno sconquassato lo stivale. Chiedere in Irpinia come vivono, a distanza di 37 anni, da quando la terra tremò lasciando le certezze un lontano ricordo. Senza dimenticare il livello vessatorio a cui sono arrivate le tasse nella nostra nazione. Gli esattori, inesorabili vampiri, pronti ad avventarsi sul nostro estenuante ed umile lavoro. Proprio per questi motivi decido di rifiutare la nazionalità italiana e di dimettermi dal ruolo di cittadino italiano. Dalla data odierna mi considero apolide e pertanto richiederò accesso agli aiuti dedicati ai cittadini stranieri residenti sul nostro territorio, oppure in attesa del permesso di soggiorno. Non voglio essere più italiano, quindi rinuncio a tale incombenza. Ci era rimasta un’unica arma a disposizione: il voto. Ormai, ritengo, inutile anche questa espressione democratica da parte dei cittadini. Le malefatte, trasversali, della nostra infausta classe politica – maggioranza, minoranza, sinistra, destra, centro e a stelle – mi rendono certo che nessuno, politicamente parlando, può invertire la rotta in cui l’Italia si è immessa.In questo marasma cito le parole di uno dei padri della patria, Dante Alighieri: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Divina Commedia di una nazione alla deriva. Per come la politica da seconda repubblica, in linea continua con la prima, agisce e rappresenta la nazione è opportuno e necessario voltargli le spalle. Si votassero da soli. Oppure si facciano votare da chi li ritiene adeguati e si riconosce nella loro cronica incapacità professionale e indegnità morale. Vent’anni in cui ci hanno tolto tutto, anche i sogni, quelli nostri e delle generazioni che verranno. Ci hanno rubato l’unico valore a cui tutti potevano accedere: la libertà. Mi assale e sprofondo in un indomabile senso di vergogna. Lottare? Sì, l’ho fatto con i mezzi che avevo a disposizione, ma purtroppo lottare in questo paese non porta a nulla concreto. Perché questo sistema ed il Dna del nostro popolo, opportunista e disunito, non vuole cambiare o cambierà solo davanti ad un pallone da calcio. La mia, sia chiaro, non è una resa, ma una presa di coscienza della situazione attuale. La lascio alle sue incombenze, citando un altro grande siciliano, Franco Battiato: “Povera patria. Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni. Questo paese è devastato dal dolore. Ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”.(Andrea Pasini, “Non voglio più essere un italiano”, dal blog di Pasini sul “Giornale” del 1° novembre 2017. Giovane imprenditore, Pasini gestisce il blog “Senza paura” sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti).Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia. In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano. Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me. Voglio restituire la mia carta d’identità. Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore. Sì, signor presidente, mi dimetto. Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano. Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato. Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere. Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore. Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano. Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.
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Dieudonné e le reti dell’orrore: bambini uccisi dai potenti
Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».Non è difficile mettere fuori gioco Dieudonné, che è «dichiaratamente antisemita». La stessa Francesconi premette: «Non condivido tutto quello che il comico sostiene sugli ebrei». Ma il punto è un altro: la questione non riguarda “gli ebrei”, o meglio i sionisti, ma i bambini. Spesso sequestrati, violati e abusati. Torturati, e infine “sacrificati”. «Durante i suoi spettacoli il comico francese ha parlato più volte dei bambini che vengono violati durante disgustosi rituali sessuali praticati dai “grandi” di questo mondo», avverte la blogger. Per cui, «vi è il legittimo sospetto che questa possa essere la vera ragione dell’interdizione dei suoi spettacoli». In particolare, Dieudonné si è occupato del caso dei fratelli Roche: un caso di malagiustizia che in anni recenti ha suscitato molto clamore in Francia e ha fatto venire allo scoperto le strette connessioni tra pedofilia e magistratura deviata. I due fratelli, Charles-Louis e Diane Roche, hanno denunciato il coinvolgimento di politici e magistrati francesi in pratiche pedofile “controiniziatiche”, a cui pare fosse legato anche il loro padre, il magistrato di Tolosa Pierre Roche. La rivelazione: il potere di una magistratura “nera”, incaricata di insabbiare le indagini e proteggere gli “orchi”, tutti insospettabili.Poco prima di morire di cancro, l’uomo aveva confidato ai figli il terribile segreto che per anni aveva custodito: l’esistenza di una costola deviata della magistratura, «il cui obiettivo segreto è di insabbiare tutte le inchieste e le indagini che provano l’esistenza delle reti pedocriminali e che tentano di fare luce sulle coperture istituzionali di cui i pedofili godono». Bingo: nel suo spettacolo, Dieudonné aveva ospitato uno dei due fratelli, Charles-Louis, «che ha potuto esprimersi liberamente in una sorta di monologo durante il quale ha denunciato i loschi traffici di cui è a conoscenza e in cui pare fosse implicato anche il padre». Il comico ha bollato senza mezzi termini le reti pedofile dell’orrore, definendole «reti sataniste», a capo delle quali vi sarebbe un «gruppo segreto», meglio conosciuto come «élite mondialista». Che cosa ha rivelato di così destabilizzante per i poteri occulti il figlio del defunto magistrato Pierre Roche? Durante lo spettacolo di Dieudonné, «Charles-Louis ha testimoniato sulle confessioni fattegli dal padre che riguardavano i crimini di cui si era macchiato durante l’esercizio della sua carica».In particolare, in punto di morte, Pierre Roche avrebbe «rivelato al figlio di aver partecipato a delle orge nella regione di Tolosa, in compagnia di altre personalità francesi altolocate». Durante queste orge «i partecipanti abusavano di prostitute, di vagabondi rapiti per strada e di bambini». Attenzione: erano «orge che finivano sempre con l’uccisione rituale delle piccole vittime, dopo averle sottoposte a ogni tipo di tortura». Federica Francesconi definisce quelle atroci serate «cerimonie controiniziatiche». Un’allusione precisa: viene chiamato “contro-iniziato” un soggetto che abbia ricevuto un’iniziazione esoterica (per esempio massonica) e che poi faccia un uso distorto, capolvolto, delle conoscenze che gli sono state trasmesse. Per la massoneria democratico-progressista sono “contro-iniziati” gli uomini del massimo potere, aderenti a superlogge internazionali che nei fatti rinnegano gli ideali della stessa tradizione massonica (libertà, uguaglianza, fratellanza) per “pervertire” in senso neo-oligarchico l’ordine mondiale, retto da una casta più o meno occulta di super-potenti, assolutamente reazionari, contrari cioè ai diritti, al benessere e al progresso del 99% della popolazione.Per alcuni di essi si tratta di una vera e propria forma di religione, scrive Gianfranco Carpeoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, in cui illustra la dottrina ottocentesca del marchese Saint-Yves d’Alveidre: in base alla teoria della “sinarchia”, l’élite (“illuminata” per auto-elezione) ha il diritto-dovere di governare le masse, visto che il popolo – rozzo e ignorante – non avrebbe gli strumenti per decidere da sé. In altre parole, la democrazia è una bestemmia. E proprio allo svuotamento sostanziale della democrazia si è dedicata l’élite eurocratica, che secondo Dieudonné è anche rigorosamente pedofila. Uccidere un bambino mediante un sacrificio rituale significa “uccidere” il futuro che non ti piace, quello degli altri, al tempo stesso propiziando il tuo: lo sostiene Giuseppe Genna, tra le pagine del romanzo “Nel nome di Ishmael” che svela una realtà abominevole: quella dell’omicidio “rituale” dei bambini, abusati dai pedofili, come viatico “magico” per sanguinosi attentati politici organizzati dall’oligarchia tramite settori deviati dei servizi segreti. Un incubo, simile a quello descritto da Charles-Louis Roche nello spettacolo di Dieudonné. E quelle orge francesi, dice il figlio del giudice, erano quasi sempre filmate, «verosimilmente per ricattare a vita i partecipanti», ne deduce la Francesconi.«I partecipanti alle serate orgiastiche erano tutti membri della massoneria deviata francese la quale, tramite i filmati, teneva sotto scacco i suoi affiliati per obbligarli a lasciarsi manovrare nell’esercizio dei rispettivi ruoli pubblici», aggiunge la blogger. «La testimonianza dei due fratelli Roche è molto importante perché per la prima volta, tramite i suoi figli, un notabile, uno dei membri di questi gruppi occulti che governano i sistemi istituzionali di quasi tutti gli Stati, viola il voto di segretezza e omertà a cui è obbligato per rivelare al mondo i segreti inconfessabili dell’élite satanista». La terribile ricostruzione è proposta anche da un documentario su Dieudonné ripreso da YouTube. Il documento conferma che Charles-Louis Roche ha approfittato dell’ospitalità del comico per rendere pubblica la testimonianza del genitore, e quindi denunciare l’esisternza delle «reti dell’orrore» delle quali padre, magistrato di alto grado, è stato membro, prima di morire. O meglio: «Prima di essere assassinato», si afferma, sostenendo che il giurista non sarebbe morto in modo naturale. E dai media «silenzio totale», visto che gli organi di stampa «eseguono gli ordini».Secondo Charles Louis-Roche, l’ideologia del gruppo cui aveva appartenuto il padre «consiste in un progetto culturale, a cominciare dalla legge, dalla morale e dalla discendenza che ha come scopo la violazione, la tortura e la morte di bambini di età compresa tra i pochi mesi di vita e i 10 anni». Ne parla anche la sorella, Diane Roche: «Reti pedofile, sataniste e mafiose all’interno delle quali dei bambini vengono filmati e contemporaneamente torturati, violati e uccisi». Nello spettacolo di Dieudonné, Charles-Louis Roche ha dichiarato che il padre gli aveva rivelato che a tali reti pedofile «appartengono esponenti del mondo della politica, gli editori, la finanza, i medici». Quali sono le attività di questi circoli? «Consistono nell’organizzare serate estreme, alcune delle vere e proprie rappresentazioni teatrali, che sono di due tipi». Il primo tipo consiste in una “storia della pesca di Cristo”, forse un rituale controiniziatico: «Per festeggiare la Natura, la serata degenera nel sadomasochismo e nel consumo di stupefancenti, che servono per aumentare il piacere dei partecipanti e che costituiscono un doppio premio». Vengono utilizzate anche prostitute e ragazze provenienti da famiglie disagiate: «Sono le candidate ideali per sparire senza lasciare traccia».E chi sarebbero i protettori di queste reti pedofile? Charles-Louis Roche elenca i nomi di 71 magistrati francesi attualmente in carica: li definisce «corrotti» e sostiene che facciano «esattamente ciò che il potere politico ordina loro di fare». Dentro a queste reti esisterebbe un metodo comune di dissuasione, per evitare che troppe verità scomode vengano divulgate. «Questo metodo – denuncia il documentario – consiste nell’ostacolare e nel ricorrere a minacce molto dissuasive per ridurre al silenzio grandi uomini come Dieudonné, il belga Marc Vervloesem ed altri, che hanno rivelato alcune verità e che quindi costituiscono per questi mostri, questi assassini di bambini, un pericolo». Costoro avrebbero «minacciato di rapire i figli di Dieudonné, che ha contribuito a denunciare queste reti pedofile sataniche». Aggiungono gli autori del video: «Sono perfettamente al corrente che Dieudonné conosce l’esistenza di queste reti pedofile, che ha contribuito a denunciare». Si parla di personaggi potentissimi e protetti da impunità assoluta: «Sono coloro che attualmente detengono il potere sulla Terra». Le chiavi del potere, per loro, sarebbero «l’adorazione di Moloch, una delle rappresentazioni di Lucifero simboleggiato da un gufo o da una civetta», nonché il più prosaico «controllo privato della moneta».«Secondo i loro precetti satanici – continuano i documentaristi francesi – l’adorazione del diavolo deve manifestarsi attraverso rituali e cerimonie che coinvolgono bambini, rituali che si rivelano alla presenza di alcuni simboli che li rappresentano». Il filmato accusa in particolare un prestigioso avvocato di origine ebraica, Alain Jacubowicz, che avrebbe minacciato Dieudonné, invitandolo (sinistramente) a «ridere bene con i suoi figli». Jacubowicz è il presidente della Licra, la Lega antirazzista francese, specializzata nella lotta contro l’antisemitismo, che «ha fatto di Dieudonné il bersaglio preferito di una diffamazione mediatica imbastita per screditare il comico e le sue denunce pubbliche contro i poteri occulti», scrive Federica Francesconi. «Jacubowicz è anche colui che ha difeso il B’nai B’rith e il Concistoro israelita durante i processi “Barbie”, “Touvier” e “Papon”, criminali e torturatori nazisti che durante la Seconda Guerra Mondiale si resero responsabili dell’uccisione di migliaia di ebrei». Il B’nai B’rith è un’associazione ebraica di stampo massonico, mentre il Concistoro israelita è l’istituzione rappresentativa degli ebrei di Francia.Quindi Jacubowicz è uno dei massini rappresentanti della comunità ebraica francese, «ma non un personaggio esattamente limpido se, come denunciato da Dieudonné, in un’aula del tribunale, davanti a decine di persone, ha minacciato di nuocere ai suoi figli pronunciando quell’inequivocabile frase dal sapore satanista», aggiunge Francesconi: “ridere bene coi propri figli” può essere un’allusione ai riti infernali di chi “ride” uccidendo bambini? «Ma si sa: a certi personaggi è permesso dire di tutto», aggiunge Francesconi. Certi big «godono dell’immunità pressoché integrale della magistratura», quindi non temono che il loro prestigio sociale possano essere scalfito. «E’ curioso che pochi mesi prima della strage del presunto commando jihadista contro la redazione di Charlie Ebdo, in Francia un disegnatore satirico, Plantu, sia stato assolto in un processo che lo vedeva accusato di incitamento all’odio religioso e alla violenza», aggiunge la blogger, dopo aver disegnato in una vignetta l’allora pontefice Benedetto XVI nell’atto di sodomizzare un bambino. Palntu era stato assolto: quella vignetta «era soltanto una denuncia dell’omertà e del silenzio dei vertici ecclesiastici sul fenomeno sommerso della pedofilia nella Chiesa», e non già un atto di accusa indiscriminato contro tutti i cattolici. «Peccato che la stessa libertà di espressione non venga riconosciuta anche a Dieudonné, forse perché, a differenza di Plantu, punta il dito contro l’onnipotente e tentacolare comunità ebraica? A voi la risposta».Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».
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Incolore e insapore: la teologia Ikea, glaciazione dell’anima
Lo sguardo cade oltre l’enorme finestra, sulla balaustra con i colori aziendali della multinazionale: azzurro e giallo. Ormai anche nel Mediterraneo ci sono chiari segni di imminente glaciazione importata dal nord. Le dimensioni delle nostre finestre, una volta modeste in relazione al parallelo, oggi aumentano a dismisura come se l’effetto serra al suo interno fosse quello auspicato alle latitudini polari. I colori stessi sono slavati, spenti. Giallino e azzurrino, appunto. Siamo ben distanti dal bianco accecante delle case del sud o dalle colorite case pastello di San Francisco. Anche lì i colori non sono vivaci, ma quelle tinte pastello così varie non possono che mettere buonumore. Parola questa preclusa a giallini e azzurrini, a cui associo piuttosto noia e fastidio. Giallo noia e azzurrino fastidio, abbinamento perfetto per il ristorantino Ikea in cui mi trovo. Uscito dalle casse rigorosamente cashless con la libreria in kit nel carrello avevo visto quell’invitante immagine di fish and chips. “Perchè no?”, mi ero detto. Mi veniva in mente quell’abbuffata di fish and chips in quella bettola vicino a Londra, in quel fast food popolare, trafficato e senza pretese. Le porzioni erano abbondanti e unte, e avevo ancora in bocca quel gusto inesplicabile di merluzzo fritto assieme alle patate fresche. Perchè no?Mi armo quindi di buona volontà e mi avvicino al totem automatico. In teoria le cose erano semplici: con il touch screen si seleziona ciò che si vuole, si paga e si da lo scontrino all’assistente dietro al bancone. Tocco con l’indice il terminale che cambia schermata. Adesso devo pagare. Poco sotto c’è la feritoia dentro cui bisogna far scorrere la banconota. Certo, potrei anche pagare con il bancomat, ma ho una specie di idiosincrasia verso i pagamenti di spiccioli via banca: non ce la faccio, lo trovo di una miseria inenarrabile. Cerco prima con calma poi con un crescendo di disperazione di infilare la banconota ma non c’è verso. Il meccanismo pare rifiutare qualsiasi tentativo. Mi guardo intorno. C’è una coppia di coetanei a cui chiedo lumi. Mi dicono di non saperne granché, osserviamo imbarazzati quel macchinario infernale che mi nega la possibilità di pagare. Poi la signora vede la luce: bisogna dare un consenso via touchscreen.I computer hanno sempre qualche cazzo di meccanismo prioritario che non esiste nelle relazioni tra noi umani. Vogliono sempre qualcosa in più che noi non siamo abituati a dare. Addirittura la meccanica è più umana: l’auto mica ti domanda “sei sicuro che mi vuoi spegnere?” (o che vuoi accendere il tergicristallo e che ne hai diritto) al contrario del computer. Se devo pagare un cassiere non esiste motivo per cui quest’ultimo mi chieda se voglio davvero pagare e resti in attesa che io pigi un preciso tasto che non riesco ad individuare. Se mi trovo davanti a lui è solo per un motivo: devo pagare. Lui incassa e lì finisce la storia. Con i computer questa banale e ampiamente consolidata razionalità non fa parte dell’insieme di logiche perverse che lo animano. A questa incongruenza si somma il delirio del touchscreen. Mi torna in mente quella coppia di turisti a Firenze che mi chiedono se posso fare loro una foto con lo smartphone di ordinanza. No problem, I’m happy to help you. Certo, come no? Ogni volta che lo toccavo quell’oggetto insensato si trasformava in lettore Mp3, client di posta elettronica o qualsiasi altra diavoleria. Niente foto. Alla fine ho dovute passare l’ordigno multifunzione a mia figlia, che ha saputo domarlo.Ecco, quelle logiche non mi appartengono, lo voglio affermare con tutto me stesso. Purtroppo la società digitale non ne può più fare a meno. Lo scopo fu dichiarato nel lontano 1933 alla World’s Fair di Chicago: «Science finds, industry applies, man conforms». Lo scontro è epocale: i comportamenti umani devono fare i conti con procedure di astrazione sempre maggiori voluti da scienza e messi in opera dalla tecnologia. Millenni di consuetudini sociali vanno riviste in funzione dei desiderata di banchieri, tecnologi e scienziati. Maledicendo il momento in cui avevo deciso di dedicarmi alla ristorazione nordica e incapace di accettare la sconfitta inflittami dalla tecnologia cashless, riesco finalmente ad inserire la banconota nella fessura, opportunamente apertasi dopo il complicato comando touchscreen. L’inserviente strappa il biglietto emesso dal totem e in cambio mi porge l’agognata vaschetta. Lascio il carrello fuori ed entro nell’area ristorazione. L’ambiente è anonimo in stile ecochic. Fanno bella mostra di sé l’arredamento in pseudo legno stile nordico dai colori slavati, l’angolo per la raccolta differenziata del pattume ed il finestrone di cui sopra. Nessun accenno ad una qualsiasi vivacità. Alzo lo sguardo oltre la balaustra: anche il mondo lì fuori sembra accogliere il diktat svedese. Un viavai di grigi camion e auto che rallentano per entrare in autostrada, o accelerano per uscirne. Trasporto gommato di merci che vanno a riempire magazzini piccoli e grandi come l’Ikea e agenti di commercio che propongono tali merci. Non riesco ad immaginare altro in quel traffico.Mi appoggio ad un tavolo alto senza sedermi e inizio a mangiare. Nessun gusto particolare, evitiamo le cose definite quindi anche i gusti decisi come capperi e acciughe. Niente che mi ricordi quel fish and chips dei britannici. Eppure anche loro sono ben al nord. Ma hanno le cabine del telefono rosso acceso, scusa se è poco. Per curiosità sono andato a vedere come sono le cabine telefoniche svedesi. Che ci crediate o meno sono colorate sempre in stile “evitiamo ogni entusiasmo”. Tipico il verde affanno, variante del verde marcio. Non se ne esce vivi. Mi viene sete e con un euro si ha la possibilità di bere fino a scoppiare (non di salute, non preoccupatevi). La scelta è enorme: un sacco di distributori automatici. Peccato che i relativi gusti non siano poi così differenti. A parte la base sostanziosa di aspartame (ci scommetto che per dare un bel po’ di gusto dolce non usano lo zucchero) ci sono vari coloranti. Me ne verso un dito alla volta per tipo dentro al bicchiere di carta riciclabile e decido che della semplice acqua è mille volte meglio di quegli intrugli chimici. Ma l’acqua non è presente nei distributori, la vendono solo in bottiglie di plastica (riciclabile) e bisogna fare un altro biglietto al totem. No, grazie. Per oggi basta così. Butto la vaschetta ed il bicchiere di carta nel bidone del riciclo ed esco da quel posto sconsolato.“Ma se ti fa così schifo perché ci vai, allora?”. Giusta domanda. La risposta è semplice: con gli stipendi che girano il risparmio è d’obbligo. Non sarei mai riuscito a comprare l’arredamento della camera di mia figlia da un artigiano senza vendermi un rene. Per carità, paragonare il lavoro di un falegname mobiliere al prodotto industriale svedese è una bestemmia urlata in chiesa alla domenica mattina durante la messa. Diciamo che se mi serve un letto con cassettoni ed un armadio laccato bianco e sono disposto a sorvolare sul fatto che la laccatura in realtà è un deposito di plastica melaminica su strato di avanzi di legno e cartone pressati questa soluzione economica e presuntuosamente ecochic (sempre di riciclo si tratta) può andare bene. Ed il mio rene rimane sempre lì, a mia disposizione. In realtà la multinazionale in questione ha catapultato il gusto verso l’amore (dettato da necessità economiche) per il falso. Anche i poveri possono permettersi il lusso, basta che sia apparente. E qui non c’entrano per nulla i cinesi: è tutta roba made in Eu. Inesorabilmente la nostra percezione, telecomandata dalle lobbies, sta sviluppando un interesse morboso verso l’estetica dimenticandosi l’anima delle cose.Il telefonino è diventato oggetto di culto in quanto virtualizza esteticamente ogni relazione con il reale. La virtualità è oggi la parola d’ordine: gli amici non si incontrano a casa ma su Facebook, i contanti spariscono per lasciare spazio al cashless, il legno viene sostituito da melaminico stampato con venature di varie essenze, il succedaneo dei musicisti si chiama sequencer e via elencando. E’ il trionfo del ready made: i centri commerciali devono essere zeppi di cheap solutions predisposte ad hoc per chi non ha tempo né soldi da perdere in lente operazioni e pianificazioni. E il ready made è l’esatta contrapposizione all’animismo: nulla ha più anima, esiste solo un’unica ontologia digitale. Il trionfo del monoteismo virtuale ed astrattivo. Sconfitta l’idea antica che anche gli oggetti possano avere una propria ontologia con un preciso senso del Sé a cui possiamo essere legati, la postmodernità ci ha consegnato una panoplia di insensatezze il cui unico riferimento è la fenomenologia del digitale. Pensateci un momento: se togliete il digitale dalla vostra vita, cosa resta oggi? Niente Internet, niente computer, niente telefonini, niente tv. Non si salvano neanche le auto: senza il digitale spariscono praticamente tutte quelle che si vedono in giro.In realtà le nostre vite sono comandate dal digitale: la noiosissima e lunghissima serie di zeri ed uno ha preso il sopravvento sull’analogico, ovvero la variazione infinita tra un minimo ed un massimo, capace di sfumature quasi impercettibili. L’oggetto analogico ha un’anima che la mente digitale non riesce più ad individuare e riconoscere. Viviamo in un universo on-off e la narrazione primaria (Big Bang) ci vuole figli casuali di una fluttuazione quantistica. Il ready made nato esattamente un secolo fa come denuncia di un sistema di valori senz’anima (urinoir di Duchamp) è diventato oggi il riferimento culturale primario. L’osservanza delle procedure ha soppiantato la comprensione del disegno generale che non appartiene più all’uomo. Siamo oggetti a disposizione delle macchine e del caso, dice Heisenberg. Triste epilogo della Res Cogitans cartesiana. «I believe that the horrifying deterioration in the ethical conduct of people today stems from the mechanization and dehumanization of our lives. A disastrous by-product of the development of the scientific and technical mentality» (Albert Einstein).(Tonguessey, “Ikea”, da “Come Don Chisciotte” del 24 ottobre 2017).Lo sguardo cade oltre l’enorme finestra, sulla balaustra con i colori aziendali della multinazionale: azzurro e giallo. Ormai anche nel Mediterraneo ci sono chiari segni di imminente glaciazione importata dal nord. Le dimensioni delle nostre finestre, una volta modeste in relazione al parallelo, oggi aumentano a dismisura come se l’effetto serra al suo interno fosse quello auspicato alle latitudini polari. I colori stessi sono slavati, spenti. Giallino e azzurrino, appunto. Siamo ben distanti dal bianco accecante delle case del sud o dalle colorite case pastello di San Francisco. Anche lì i colori non sono vivaci, ma quelle tinte pastello così varie non possono che mettere buonumore. Parola questa preclusa a giallini e azzurrini, a cui associo piuttosto noia e fastidio. Giallo noia e azzurrino fastidio, abbinamento perfetto per il ristorantino Ikea in cui mi trovo. Uscito dalle casse rigorosamente cashless con la libreria in kit nel carrello avevo visto quell’invitante immagine di fish and chips. “Perchè no?”, mi ero detto. Mi veniva in mente quell’abbuffata di fish and chips in quella bettola vicino a Londra, in quel fast food popolare, trafficato e senza pretese. Le porzioni erano abbondanti e unte, e avevo ancora in bocca quel gusto inesplicabile di merluzzo fritto assieme alle patate fresche. Perchè no?
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Militari e Cia, Fbi e Israele: la verità sulla fine di Kennedy
Cari lettori, alcuni di voi stanno insistendo perché io continui a occuparmi della storia della sparatoria di Las Vegas, mentre altri mi chiedono come agire per sostenere il rilascio dei documenti relativi all’assassinio del presidente Kennedy. Apprezzo il fatto che voi siate interessati e insoddisfatti delle dichiarazioni ufficiali. La mia risposta è che già sappiamo molto di più di quanto sia scritto nei file, grazie ad esaurienti ricerche, quali il libro di James W. Douglass “Jfk and the Unspeakable” (Simon&Schuster, 2008). La mia risposta è anche che, indipendentemente da cosa sappiamo o quali siano i fatti, la versione ufficiale non verrà mai cambiata. Per esempio, sappiamo come fatto inconfutabile che Israele attaccò la Uss Liberty, infliggendo enormi perdite fra il personale della Us Navy, mentre il governo degli Stati Uniti continua a sostenere che si sia trattato solo di un errore, nonostante le dichiarazioni inequivocabili a sostegno del contrario da parte della Moorer Commission, diretta da Tom Moorer, ex comandante delle Operazioni Navali e capo degli Stati Maggiori Riuniti statunitensi.La mia risposta è anche che sarebbe meglio spendere tempo tentando di prevenire sul nascere le cospirazioni, come quella dell’infinita sequenza di bugie e accuse contro la Russia, che stanno trasformando un paese amico in un nemico e stanno rinnovando il rischio di un Armageddon nucleare. Infatti, la più grande teoria cospiratoria in corso è quella – che viene dal complesso militare e di sicurezza, dal Comitato Democratico Nazionale, e dalla “presstituzione” mediatica – secondo la quale la Russia, in combutta con Donald Trump, abbia manomesso le elezioni presidenziali statunitensi. Il governo russo sa che questa è una bugia, e nel momento in cui vede una bugia, ripetuta infinitamente da ormai un anno senza nemmeno uno straccio di prova a sostegno, il governo russo concluderà ovviamente che Washington sta preparando alla guerra il popolo americano. Mi è impossibile immaginare una politica più incosciente e sconsiderata di quella di distruggere la fiducia della Russia verso le intenzioni di Washington. Come ha detto Putin, la più grande lezione che gli ha insegnato la vita è che «se una battaglia è inevitabile, colpisci per primo».Se davvero volete sapere chi abbia ucciso il presidente Kennedy e perché, leggete “Jfk and the Unspeakable”. Sì, ci sono anche altri libri, con ricerche accurate, che potete leggere. Douglass conclude che Kennedy fu ucciso perché optò per la pace. Stava per iniziare a lavorare con Chruščëv per far finire la Guerra Fredda. Rifiutò la copertura della Cia per l’invasione della Baia Dei Porci. Respinse l’operazione Northwoods predisposta dagli Stati Maggiori: un piano per condurre attacchi sotto falsa bandiera contro gli americani per accusare Castro e giustificare un cambio di regime. Rifiutò di confermare il generale Lyman Lemnitzer al comando degli Stati Maggiori Riuniti. Disse al comandante generale della Marina statunitense David Shoup che era sua intenzione ritirare le truppe dal Vietnam. Disse che dopo la sua rielezione avrebbe «rotto la Cia in 1000 pezzi». Tutto questo era una minaccia per il complesso militare e della sicurezza, e fu questo che convinse esponenti di quei due apparati che egli era troppo morbido verso il comunismo e ciò rappresentava un rischio per la sicurezza nazionale.Il filmato del corteo, girato da Zapruder, mostra che il proiettile che uccise Kennedy lo colpì di fronte, facendo esplodere il retro della sua testa. Si vede la moglie di Kennedy, Jackie, alzarsi dal sedile della limousine per recuperare un pezzo della testa finito sul cofano. Altri filmati di turisti mostrano che pochi attimi prima dello sparo gli agenti del Secret Service vennero rimossi dalle vicinanze della limousine presidenziale per lasciare aperta la traiettoria dello sparo che doveva avere come bersaglio il presidente Kennedy. Esiste un filmato dove si vede un agente del Secret Service che protesta per l’ordine ricevuto. Ai dottori venne ordinato di falsificare le “prove” mediche, in modo che si potesse sostenere che Kennedy fu colpito da dietro. Addetti del corpo medico della Navy che assistevano i medici nel corso dell’autopsia testimoniarono che, con loro costernazione, ricevettero degli ordini dall’ammiraglio Calvin Galloway di ignorare qualunque ferita d’entrata nella parte anteriore del corpo. Uno di costoro disse, nel corso di una testimonianza: «All’improvviso capii che il mio paese non era molto meglio di un paese del terzo mondo. Da quel momento in poi non ho più avuto fiducia, né rispetto, per il governo».Il dottor Charles Crenshaw, uno dei dottori che furono costretti a mentire, successivamente ruppe il suo silenzio con un libro. Ne ricevette una violenta campagna mediatica di discredito. Il tenente comandante William Pitzer, direttore del reparto audiovisivo del Bethesda Naval Hospital, filmò l’autopsia. Il filmato mostra chiaramente il foro d’entrata sulla faccia. Pitzer venne trovato morto sul pavimento dello studio di produzione del National Naval Medical Center. Fu classificato come suicidio, dovuto a un colpo di proiettile. Come al solito. J. Edgar Hoover e l’Fbi sapevano che Oswald — che Douglass ritiene fosse a libro paga sia della Cia che dell’Fbi — fu mandato a Cuba su ordine della Cia per predisporre in anticipo un suo ruolo come capro espiatorio. Ovviamente a sua insaputa. Tuttavia, Hoover, assieme a Lyndon B. Johnson, Earl Warren e i membri della Warren Commission era consapevole dell’impossibilità di comunicare al popolo americano che il loro presidente era stato assassinato dai militari e dalle agenzie di sicurezza statunitensi.In una fase rischiosa della Guerra Fredda, sarebbe stato chiaramente sconsiderato distruggere la fiducia degli americani nel loro stesso governo. Finian Cunningham ha composto il riassunto di gran parte delle prove accumulate. Tutti gli esperti da tempo sono giunti alla conclusione che le affermazioni della Warren Commission furono una copertura. Io non sono un esperto. Non ho speso 30 anni o più, come Douglass, investigando, intervistando testimoni, esaminando le risultanze di morti non chiarite di altri testimoni, e ricostruendo i fatti con le voluminose informazioni disponibili. Se volete sapere cosa è successo, posate il vostro smartphone, spegnete il vostro schermo, e leggete il libro di Douglass o un altro libro analogo.(Paul Craig Roberts, “L’omicidio Kennedy”, dal blog di Craig Roberts del 28 ottobre 2017, ripreso da “Megachip” con traduzione a cura di Leonardo Mazzocchi e Giulietto Chiesa).Cari lettori, alcuni di voi stanno insistendo perché io continui a occuparmi della storia della sparatoria di Las Vegas, mentre altri mi chiedono come agire per sostenere il rilascio dei documenti relativi all’assassinio del presidente Kennedy. Apprezzo il fatto che voi siate interessati e insoddisfatti delle dichiarazioni ufficiali. La mia risposta è che già sappiamo molto di più di quanto sia scritto nei file, grazie ad esaurienti ricerche, quali il libro di James W. Douglass “Jfk and the Unspeakable” (Simon&Schuster, 2008). La mia risposta è anche che, indipendentemente da cosa sappiamo o quali siano i fatti, la versione ufficiale non verrà mai cambiata. Per esempio, sappiamo come fatto inconfutabile che Israele attaccò la Uss Liberty, infliggendo enormi perdite fra il personale della Us Navy, mentre il governo degli Stati Uniti continua a sostenere che si sia trattato solo di un errore, nonostante le dichiarazioni inequivocabili a sostegno del contrario da parte della Moorer Commission, diretta da Tom Moorer, ex comandante delle Operazioni Navali e capo degli Stati Maggiori Riuniti statunitensi.
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Formica: Italia, 25 anni anni di false rivoluzioni moralistiche
La destra europea, in tutte le sue espressioni, appare all’attacco ed unita, mentre la sinistra procede in ordine sparso ed è in ripiegamento. La destra nelle società moderne è sempre viva, la sinistra deve sempre rinascere. La destra è un elemento costitutivo della realtà esistente nella società. La sinistra è una manifestazione della volontà di gruppi e di forze della società per un cambio dell’esistente. La destra è sempre unita perché tutela l’esistente. La sinistra è divisa perché diverse sono le visioni per la costruzione di un futuro. Per la destra l’elemento unificante è nelle cose. Per la sinistra l’unità è ricerca e mediazione al suo interno. La forza attuale della destra è nella incapacità della sinistra a trovare il baricentro di una nuova costruzione delle comunità nazionali e sovranazionali. Renzi l’omologo di Berlusconi a sinistra? Tra Renzi e Berlusconi vi sono molti punti in comune. Tutti e due ritengono che siano superate le grandi culture che condizionarono il conflitto sociale e politico nella costruzione delle democrazie moderne.Tutti e due ritengono: 1) che il potere sia indivisibile e quindi unificabile sotto una guida illuminata; 2) che le istituzioni rappresentative debbano essere funzionali all’esercizio del potere esecutivo; 3) che le disuguaglianze sociali siano attenuate dalla carità pubblica. La differenza tra Berlusconi e Renzi riguarda invece la diversità delle platee a cui si rivolgono. Berlusconi parla al moderatismo di massa; Renzi, invece, guarda alle tradizionali forze popolari approfittando della stanchezza generata in loro, dalle grandi paure per l’incerto futuro. Paradossalmente Berlusconi è un conservatore con venature liberaldemocratiche, mentre Renzi è simile a de Maistre, massone monarchico, cattolico reazionario, negatore di ogni Costituzione dello Stato moderno e avversario dichiarato della Rivoluzione Francese.I rischi di questi referendum in Veneto e Lombardia? Per valutarli bisogna tenere d’occhio l’evoluzione/involuzione del sistema politico. Se la degenerazione istituzionale in atto dovesse proseguire, è fatale che l’autonomismo degeneri in secessionismo. Differenze e analogie fra la crisi del sistema politico del 1992-93 e quella attuale? La differenza tra il ’92 e il ’93 è notevole. Venticinque anni fa il sistema istituzionale politico era intaccato e non era imploso. Dopo venticinque anni di accettazione passiva di una falsa rivoluzione moralistica da parte dei partiti residuali della Prima Repubblica e dei partiti novisti, il sistema democratico-parlamentare si è disfatto. La discussione e le votazioni sulla legge elettorale in corso non segnano la fine del parlamentarismo democratico, ma provocano nella opinione pubblica una pericolosa convinzione: il Parlamento è un ente inutile.(Rino Formica, dichiarazioni rilasciate ad Aldo Giannuli nell’intervista pubblicata sul blog di Giannuli il 27 ottobre 2017).La destra europea, in tutte le sue espressioni, appare all’attacco ed unita, mentre la sinistra procede in ordine sparso ed è in ripiegamento. La destra nelle società moderne è sempre viva, la sinistra deve sempre rinascere. La destra è un elemento costitutivo della realtà esistente nella società. La sinistra è una manifestazione della volontà di gruppi e di forze della società per un cambio dell’esistente. La destra è sempre unita perché tutela l’esistente. La sinistra è divisa perché diverse sono le visioni per la costruzione di un futuro. Per la destra l’elemento unificante è nelle cose. Per la sinistra l’unità è ricerca e mediazione al suo interno. La forza attuale della destra è nella incapacità della sinistra a trovare il baricentro di una nuova costruzione delle comunità nazionali e sovranazionali. Renzi l’omologo di Berlusconi a sinistra? Tra Renzi e Berlusconi vi sono molti punti in comune. Tutti e due ritengono che siano superate le grandi culture che condizionarono il conflitto sociale e politico nella costruzione delle democrazie moderne.
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Lassù qualcuno ci odia: Halloween, per abituarci all’orrore
Alla fine, Halloween è passata, per fortuna. Ma ha lasciato sul terreno il solito cimitero di sporcizia: morti per finta, zombie per ridere, incubi per scherzo, sangue per celia. Su questa funebre sagra d’importazione si è detto e scritto tanto e molti si sono giustamente soffermati su un paio di considerazioni ineccepibili se non ovvie, trascurandone però una terza, quella più inquietante. Quanto alle prime due, ci sbrighiamo in fretta: riguardano la funzione sociale e quella economica di Halloween. La festività del due novembre non ci appartiene affatto, com’è noto, non sgorga dalla nostra tradizione patria. È, in tutto e per tutto, un’americanata di derivazione anglosassone, un carnevale di orrori, un folklore plastificato promosso a tutto volume, in tutto il mondo, dalla regia unificata dei media unificati per dotare le masse già spaesate del globo anche di una loro brava (e spaesante) celebrazione globalizzata. Sulla funzione economica non vale neppure la pena di soffermarsi, tanto è evidente: Halloween è un business stratosferico e – quanto più si diffonde, grazie anche al contributo del popolo coglione, assuefatto e teledipendente – tanto più si accumula la grana nei granai di chi la detiene.Ora veniamo al terzo aspetto, quello meno approfondito, di questa festività pagana. La sensazione è che vi sia una regia occulta a favorirne il successo su scala mondiale. ‘Occulta’ non nel senso letterale di ‘nascosta’ (le implicazioni complottistiche, pur possibili, mettiamole da parte), ma in quello paranormale di ‘maligna’. ‘Occulta’ in quanto densamente impregnata del lato oscuro della forza. Halloween è, a tutti gli effetti, la festa delle porte spalancate alle potenze delle Tenebre. Non conta tanto che le Tenebre esistano o meno – la stragrande maggioranza degli evoluti abitanti dell’evoluto Occidente ovviamente non ci crede – quanto che le loro lugubri ombre si allunghino sulla psiche individuale conscia, e sull’inconscio collettivo; proprio come un’entità provvisoriamente libera di scorrazzare nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle nostre piazze non già contrastata o frenata o inibita, ma addirittura vezzeggiata, corteggiata, blandita. Il quizzino ormai idiomatico (sintesi sublime dell’intera baracconata) è: dolcetto o scherzetto?Nella sua innocente formulazione sottende – in controluce, simile all’ectoplasma impercettibile di uno spettro – un colpevolissimo e mafioso avvertimento: preferisci pagare o morire? Sì, lo sappiamo, è tutto solo un gioco, ma fino a che punto le nostre deboli menti, già intossicate dal male, lo percepiscono per tale? Questo profluvio di putridi gadget e di impiccati da vetrina è davvero solo un passatempo per esorcizzare il dì dei defunti? O non è piuttosto un nuovo rito che – sottotraccia, in incognito – ci sta addestrando al culto infero del Disordine e del Caos? Già ne siamo quotidianamente bombardati: ogni giorno, in fondo, si officia un Halloween ‘laico’ attraverso gli schermi lordi di sangue e di corpi ammazzati della tivù. Ora ci siamo regalati anche un bel Natale di morte. Lassù, davvero, qualcuno ci odia.(Francesco Carraro, “Lassù qualcuno ci odia”, dal blog di Carraro del 4 novembre 2017).Alla fine, Halloween è passata, per fortuna. Ma ha lasciato sul terreno il solito cimitero di sporcizia: morti per finta, zombie per ridere, incubi per scherzo, sangue per celia. Su questa funebre sagra d’importazione si è detto e scritto tanto e molti si sono giustamente soffermati su un paio di considerazioni ineccepibili se non ovvie, trascurandone però una terza, quella più inquietante. Quanto alle prime due, ci sbrighiamo in fretta: riguardano la funzione sociale e quella economica di Halloween. La festività del due novembre non ci appartiene affatto, com’è noto, non sgorga dalla nostra tradizione patria. È, in tutto e per tutto, un’americanata di derivazione anglosassone, un carnevale di orrori, un folklore plastificato promosso a tutto volume, in tutto il mondo, dalla regia unificata dei media unificati per dotare le masse già spaesate del globo anche di una loro brava (e spaesante) celebrazione globalizzata. Sulla funzione economica non vale neppure la pena di soffermarsi, tanto è evidente: Halloween è un business stratosferico e – quanto più si diffonde, grazie anche al contributo del popolo coglione, assuefatto e teledipendente – tanto più si accumula la grana nei granai di chi la detiene.