Archivio del Tag ‘popolo’
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Magaldi: guerra ai massoni che hanno ucciso la democrazia
«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».C’è stato un tempo, invece, in cui uomini decisivi come Mohandas Karamchand Gandhi, Enrico Mattei, John Fitzgerald e Robert Kennedy, Martin Luther King e Salvador Allende, insieme ad Aldo Moro, Olof Palme, Thomas Sankara, Yithzak Rabin ed altri «poterono essere assassinati senza ritegno, vergogna e giusta vendetta per i loro aguzzini», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt, mettendo in fila i maggiori omicidi politici del ‘900 (più quello di Rabin) per accusare la regia “controiniziatica” di quelle uccisioni, orchestrate da elementi della supermassoneria reazionaria ai vertici del potere. «Ora è giunto il tempo della memoria celebrativa per questi eroi della massoneria progressista brutalmente eliminati e sottratti all’affetto di chi li amava, ammirava e seguiva», scrive Magaldi, rivelando in tal modo la cifra massonica dei leader citati. «Ora – aggiunge – è arrivato il tempo di una condanna storica e morale severissima per quegli assassini controiniziati che violarono tanto i propri giuramenti massonici quanto ogni legge ed etica umana». A partire dalla lettura di “Massoni”, cui seguirà il secondo volume – in uscita nella primavera 2019 – l’autore ha fornito «nomi e cognomi di certi personaggi e spiegazioni esaurienti e circostanziate dei loro misfatti», portando il caso all’attenzione della pubblica opinione.Nel libro, Magaldi ha descritto chiaramente «le gesta eroiche di quelle avanguardie massoniche progressiste che hanno rivoluzionato il mondo sin dal XVIII secolo e dato vita a società libere, aperte, democratiche, laiche, tolleranti, ecumeniche, parlamentarizzate, costituzionali e fondate sullo Stato di diritto, sull’uguaglianza delle opportunità, sulla giustizia e mobilità sociale». Avverte Magaldi: «Adesso e in futuro, comunque, nessuno potrà più perpetrare crimini come quelli segnalati sopra, per miriadi di ragioni». E’ in corso, spiega, una «guerra globale (e anti-convenzionale) infra-massonica». Una lotta che si annuncia «dura e titanica», ma in cui «tutti saranno costretti a “giocare” in modo relativamente “pulito” e con il giusto fair-play». Soprattutto, conclude Magaldi, «questa guerra contro l’incubo neoaristocratico e neoliberista la vincerà l’alleanza tra massoni progressisti e popolo», ovvero «cittadini comuni consapevoli, oltre che fieri, del proprio diritto-dovere alla sovranità». In altre parole: il tempo del ritorno della democrazia sostanziale è giunto, assicura Magaldi, impegnato – a partire dall’Italia – a contrastare la “teologia” neoliberista che ha impoverito i popoli, svuotando gradualmente la democrazia.«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».
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La lebbra europea: quella del vomitevole, xenofobo Macron
La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia (e di Francia) disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano anti-Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa orrenda e mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?Parole che ricordano quelle del mentore di Macron, il tristemente celebre Jacques Attali: ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità? Un grande economista francese, Alain Parguez, invitato a Rimini da Paolo Barnard per il primo, storico summit sulla sovranità monetaria, lavorò all’Eliseo – insieme ad Attali – con il presidente socialista Mitterrand, ai tempi in cui la Francia era ancora la Francia, e non un mero ingranaggio dell’euro-imbroglio. Insigne accademico, Parguez racconta dello smottamento “reazionario” dello stesso Mitterrand, fortemente propiziato dal potente gruppo di pressione incarnato proprio da Attali, che Parguez definisce «un monarchico, travestito da socialista». Avvertimenti: dopo l’omicidio del leader socialdemocratico Olof Palme in Svezia, Mitterrand deve aver intuito quale trattamento sarebbe stato riservato ai “ribelli”, ai leader contrari al nuovo ordine neoliberista in fase di insediamento, in Europa. Dopo la parentesi di Jacques Chirac, che tenne la Francia fuori dalla Guerra del Golfo, il potere “nero” conquistò direttamente l’Eliso, non più restando dietro le quinte ma piazzando il suo uomo – Nicolas Sarkozy – sulla poltrona presidenziale. Risultati tangibili: orrore e violenza, il Medio Oriente in fiamme, la nascita dell’Isis, la macelleria della Libia.Da Sarkozy – ora finalmente nei guai con la giustizia francese – lo stesso linguaggio da saloon esibito da Macron: «Ne avete abbastanza di questa feccia», disse, agli abitanti “bianchi” delle banlieues parigine “infestate” di migranti. «Ora ci penseremo noi a toglierli di mezzo». Poi venne il tempo del socialista incolore François Hollande, fotocopia (molto sbiadita) del repubblicano Chirac. Hollande, ha svelato Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni”, militava nella superloggia progressista “Fraternitè Verte”, a cui aveva promesso la fine del rigore socio-economico. Ma il suo governo è stato letteralmente travolto dall’emergenza terrorismo, dalla strage di Charlie Hebdo a quella del Bataclan, fino al massacro di Nizza. Sotto ricatto, con servizi segreti “colabrodo” e ministri sempre più “di destra” (fino all’esordiente Macron), Hollande ha tradito ogni promessa elettorale, imponendo ai lavoratori francesi l’harakiri della Loi Travail, il Jobs Act transalpino, destinato a favorire le aziende penalizzando i dipendenti. Contro l’ectoplasmatico Hollande, ennesimo politico di sinistra passato armi e bagagli al neoliberismo dell’ultra-destra economica, in Francia si è levata la protesta sovranista di Marine Le Pen, votata però alla sconfitta per via delle tare xenofobe del suo Front National. A quel punto, l’élite “nera” ben rappresentata da personaggi come Attali ha fatto la sua mossa, lanciando l’erede di Sarkozy: Emmanuel Macron.Un enfant prodige venuto dal nulla, lo presentarono i giornali, per i quali “il nulla” può essere, eventualmente, anche la filiale bancaria francese della famiglia Rothschild. Corressero il tiro: Macron, scrissero, almeno sul piano politico è un self-made assoluto. Falso, anche questo: il suo maestro Attali è stato (ed è) uno degli uomini di potere più influenti d’Europa. Milita saldamente ai vertici della massoneria sovranazionale di stampo oligarchico, abilissima nell’infiltrare la sinistra europea traviandone i leader, dall’anziano Mitterrand all’allora giovane D’Alema. Banche e multinazionali, con un’unica cabina di regia per le grandi operazioni politiche: una su tutte, l’Unione Europea senza democrazia e la moneta europea senza sovranità. Da quella scuola – la più pericolosa, per l’Europa – proviene Emmanuel Macron: è l’ennesimo avatar del potere nero, insinuatosi nelle istituzioni per svuotarle ulteriormente di democrazia, sulla rotta della privatizzazione universale. Una teologia funesta e spacciata per verità di fede, insieme al dogma dell’austerity – tagliare la spesa pubblica per impoverire la classe media, moltiplicando i profitti stellari dell’élite anche grazie al dumping salariale garantito dai migranti, a loro volta costretti a fuggire dai paesi d’origine, saccheggiati sempre dalla medesima oligarchia.Sarebbe un errore madornale equiparare Macron alla Francia o, peggio ancora, ai francesi come popolo: il piccolo monarca per conto terzi, insediato all’Eliseo dalla peggior risma di parassiti in circolazione in Europa, ha ormai contro la maggioranza dei suoi connazionali. Lo contestano i sindacati, la sinistra di Mélenchon, il Fronte Nazionale della Le Pen. L’elettore medio – operaio, impiegato, agricoltore, imprenditore – ha capito che Emmanuel Macron non è l’uomo che sembrava essere: non sta dalla parte dei francesi, è manovrato da padroni potenti che non amano nessuno e detestano tutti – i francesi, gli italiani, i greci e ogni altra “plebaglia europea”, per citare l’ineffabile Attali. E’ questa, fin fondo, la buona notizia: i popoli stanno cominciando a capire con chi hanno davvero a che fare. E in questa spettacolare procedura di sofferta autocoscienza ha un ruolo di primissimo piano proprio il neonato governo italiano, antropologicamente diversissimo dai predecessori: per i padroni occulti di Macron dev’essere un film dell’orrore, l’inaudito spettacolo dei ministeri italiani occupati da grillini e leghisti. Ringhia, Macron, perché è il cane da guardia di un palazzo oscuro che adesso comincia ad avere paura del popolo. Insulta e minaccia, Macron, perché – come i suoi padroni – sa che i popoli di tutta Europa (cominciando da quello francese) guardano l’Italia che sfida Bruxelles, e prendono nota. Il tempo dei Macron potrebbe finire prima del previsto.La prima a capirlo è stata Angela Merkel, sveltissima a indossare i panni improbabilissimi dell’amicona dell’Italia, paese che il suo governo ha letteralmente azzoppato a colpi di rigore: la sola operazione Monti, decisa tra Berlino e Francoforte nei santuari supermassonici frequentati da ex italiani come Mario Draghi, è costata al nostro paese la perdita di 400 miliardi di Pil e del 25% del potenziale industriale del “made in Italy”. Rideva, Angela Merkel – insieme al suo compagno di merende Sarkozy – quando i media italiani colonizzati dallo straniero bombardavano a tappeto il lebbroso di turno, l’inguardabile Berlusconi. Oggi alla Merkel (e al suo nuovo sodale, Macron) è passata di colpo la voglia di ridere: finalmente, l’Italia li preoccupa. «L’Italia traccia le strade», disse il l’esoterista rosacrociano Rudolf Steiner, pensando al Rinascimento: una quasi-profezia ben nota ai massoni reazionari del massimo potere, quali Sarkozy, Merkel, Macron e compagnia complottante.La loro paura è che la strada tracciabile oggi dall’Italia gialloverde, vera e propria incognita politica, sia quella di un’Europa da rivoltare da cima a fondo, sfrattando dai loro troni gli usurpatori regnanti, i piccoli boss del nuovo, deprimente Sacro Romano Impero costruito con l’imbroglio, la frode finanziaria, la menzogna economistica, il crimine sociale dell’ordoliberismo mercantilista post-capitalistico e parassitario. Un regime occulto, a cui i governi fanno da paravento istituzionale. Un sistema autoritario e privatistico, sleale, scorretto e bugiardo, governato nell’ombra da élite che detestano il popolo, la democrazia e la plebaglia europea nel suo insieme, mezzo miliardo di straccioni e lebbrosi, a cui oggi l’Italia potrebbe tracciare una nuova strada, meno lorda di sangue greco e africano, di strazio italiano inferto dai tagli – senza anestesia – su lavoro e pensioni, sanità e scuola. Il consenso democratico di cui oggi godono Salvini e Di Maio, almeno il 60% degli elettori, l’ometto Macron se lo può solo sognare. Infatti gracchia, stizzito come un qualsiasi dittatore pericolante, i suoi insulti razzisti e xenofobi – un regalo illuminante, per chi ancora non aveva capito chi fosse, davvero, il micro-napoleonico Emmanuel Macron.La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia, insieme a una parte di Francia, disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano contro l’Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, insicurezza sociale, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?
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La Terra ora ci presenta il conto di un mondo senza giustizia
Guardate che non basta, raddrizzare uno sviluppo – finora ingiusto – sostituendolo con il miraggio di una crescita economica globale finalmente equa. La voce “decrescita” (del Pil) risulta sempre sgradevole, dissonante, preoccupante: ma è purtroppo coerente con tutte le previsioni sistemiche dei climatologi, che danno alla Terra altri vent’anni, al massimo, prima del collasso ecologico che già sta avanzando in modo inquietante, con le temperature balneari registrare alle Svalbard e lo scioglimento inesorabile della calotta artica. Nel lontanissimo ‘700, il padre della fisica Isaac Newton predisse – in base a complessi calcoli – che le risorse terrestri si sarebbero esaurite entro il 2060: un pronostico, sottolinea il saggista Gianfranco Carpeoro – sinistramente coincidente con quello del governo Usa, secondo cui fra quarant’anni, di questo passo, arriveremo alla morte biologica degli oceani. Ragionamenti che possono apparire letterari e strampalati, semplici suggestioni millenaristiche calate in un mondo distratto dai mondiali di calcio o appassionato al derby Italia-Francia su Salvini, gli sbarchi selvaggi e l’opaco traffico malavitoso gestito dalle Ong. Vero, l’Europa ladrona nega all’Italia un’espansione vitale del deficit, mentre c’è chi muore in mare per un tozzo di pane. E se si tracolla tutti, sotto la furia di un pianeta stremato dai nostri abusi suicidi?
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Massoni al governo e corruzione a Roma, Di Maio dov’era?
Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è rimpito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».Nel bestseller “Massoni”, il presidente del Movimento Roosevelt ha rivelato l’identità supermassonica del vero potere, nell’Europa di oggi dominata da figure oligarchiche. Di fede liberalsocialista, Magaldi non rinnega il suo giudizio favorevole sui 5 Stelle: pur acerbi, hanno avuto il merito di rompere la recita italiana della finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, coalizioni di fatto sottomesse (entrambe) ai diktat dell’élite finanziaria neoliberista. Nettamente lusinghiere anche le parole che Magaldi spende per il governo Conte: è alle prese con una missione epocale, “cambiare verso” all’Europa partendo dalla cruciale trincea italiana. Ma ad una condizione: che i pentastellati la facciano finita, una volta per tutte, con la loro narrativa – inutilmente retorica – che scambia “l’onestà” per la buona politica. Salvo, appunto, inciampare nel caso imbarazzante di Lanzalone, finito nell’inchiesta sul nuovo stadio: «Non possiamo far finta di non vedere che quel signore, che oggi tutti individuano come un capro espiatorio, è stato catalpultato dall’Acea al Comune di Roma proprio da quel Di Maio che oggi propone di riformarla, l’autorità nazionale anti-corruzione». Catapultato, fra l’altro, negli uffici dell’innocente Raggi, «innocente nel senso antico con cui si parlava dei bambini: sembra infatti una bambina che gestisce una cosa più grande di lei, a cui i “grandi” del Movimento spediscono questo e quello».Attenzione: «E’ stata legittima la vittoria di Raggi, dopo il cattivo governo di centrodestra e centrosinistra, così come è giusto oggi dare una chance alla possibilità epocale di governare il paese, da parte della Lega e dei 5 Stelle». E il super-consulente grillino? «Uno risponde politicamente, non giuridicamente (e forse nemmeno moralmente) delle proprie scelte sbagliate. E la capacità di un politico – dice Magaldi, pensando a Di Maio – è anche nello scegliere persone giuste. Ma le persone scelte per Roma sono tra le più sbagliate». Magaldi vorrebbe un dibattito serio, tra i pentastellati alla guida della capitale: hanno bocciato le Olimpiadi perché sarebbero state “sentina di corruzione”, poi hanno voluto ridimensionare lo stadio della Roma perché bisognava stare attenti alle tangenti. «Poi invece si scopre che il più pulito ha la rogna, nell’amministrazione Raggi». Un consiglio? «Di Maio si liberi delle sue ipocrisie, perché rischiano di compromettere le belle possibilità di rendere un servizio a questo paese e alle amministrazioni locali governate dai 5 Stelle». Basta, davvero, con la retorica demagogica: «La corruzione e l’onestà sono categorie che appartengono al dominio giuridico della magistratura». Fanno anche parte di un ethos privato, «mentre in politica non basta essere onesti e gridare “onestà” per saper amministrare e saper scegliere i collaboratori».Il guaio del caso Roma? L’immobilismo, per la paura di finire in mezzo a una Tangentopoli. «Non si può mettere al primo posto la falsa preservazione dalla corruzione – insiste Magaldi – perché la corruzione si introduce comunque, nelle piccole come nelle grandi cose. Forse, se avessimo fatto le Olimpiadi a Roma – aggiunge – la corruzione sarebbe stata tale e quale, ma almeno avremmo avuto un’occasione di rigenerare tante strutture sportive obsolete». Niente sconti, al Campidoglio: «A me pare che tra buche, radici che spuntano ovunque e strutture fatiscenti, Roma stia morendo, nonostante le retoriche pentastellate. E’ una città tra le più belle al mondo, e avrebbe bisogno di un altro spirito, solare e gioviale». Di Maio? «Faccia un mea culpa, anche solo davanti a uno specchio, dicendo: forse la devo smettere di fare l’ipocrita sulla massoneria, di fare l’ipocrita sul tema della corruzione, e di scaricare sugli altri responsabilità che sono anche mie. E lo invito a lavorare sempre meglio, come ministro dello sviluppo economico, dicastero dove peraltro – aggiunge Magaldi – sono arrivati sottosegretari di tutto rispetto». Per esempio Michele Geraci, che ha insegnato economia in Cina: era uno dei famosi “cervelli in fuga”, ma è tornato. «Sa meglio di altri come sviluppare rapporti con quel mondo complesso che è la Cina. E ha senpre sostenuto la piena compatibilità tra reddito di cittadinanza e Flat Tax, quasi precostituendo l’incontro politico tra Lega e 5 Stelle».Geraci, ma non solo: «Qui si prendono sottosegretari come Armando Siri, come Luciano Barra Caracciolo. Si prenderanno fior di tecnici nei gabinetti e nelle direzioni generali ministeriali, tecnici anche di area “rooseveltiana”: checché ne dica la pletora degli sconfitti (dalla storia e dal popolo italiano) il governo Conte è dotato di ottime competenze». E attenzione: molti dei suoi esponenti sono massoni progressisti, o comunque «dialogano proficuamente con i circuiti massonici progressisti». E’ un fatto, assicura Magaldi: «Questo è un governo ad alta densità massonica progressista». Di più: se c’è un esecutivo vicino alla massoneria democratica, è proprio questo. «Guardando agli ultimi governi italiani, forse nessuno ha avuto una così alta densità massonica», insiste Magaldi: «Ed è un governo di prim’ordine, che ha delle competenze straordinarie. Quindi, Di Maio e gli altri ne siano all’altezza, mettendo da parte ipocrisie e superficialità nello scegliere i collaboratori, magari in base all’appartenenza alla “famiglia” politica intesa come clan». E’ chirurgico, Magaldi, nella critica ai 5 Stelle: «Temo molto questa ipocrisia, e spero che la loro maturazione politica elimini proprio questo aspetto, che forse è il più insidioso e anche il più autodistruttivo. E’ bene che il Movimento 5 Stelle impari a essere laico. C’è la magistratura, ci sono degli indagati – e non è detto che, se uno viene arrestato, sia colpevole».Il costruttore Parnasi, accostato a Salvini? «Non ho nessuna simpatia per lui», premette Magaldi: «Ho notizia di gente che ha dovuto citarlo a giudizio perché non ha pagato professionisti che avevano lavorato per lui. Rincorso in tribunale, ha dovuto poi contrattare risarcimenti». Ma, di nuovo, è meglio evitare di essere ipocriti: «Tutti qui paiono cadere dalla Luna, ma chiunque conosca la realtà romana sa che Parnasi non se la passava benissimo», dice Magaldi. «E’ un signore che ha fatto cose dubbie, perché non pagare i collaboratori è sgradevole. Però è anche vero che questo “poveraccio”, come tanti altri imprenditori, si trova di fronte a una macchina burocratica elefantiaca». Succede spesso, in Italia: «Magari ti impegni in un progetto per anni, e prima di essere pagato dal committente pubblico devi anticipare denari, ottenere fidi, passare per le forche caudine della burocrazia – e questo è valso anche per Parnasi». Bisognerà vedere, alla fine, se quella che magari è definita corruzione poi non sia «il tentativo di ottenere, in modo privilegiato, quello che un imprenditore dovrebbe ottenere più facilmente per via ordinaria».E comunque, laicamente, Magaldi preferisce sempre attendere che qualcuno venga giudicato «non in primo, ma in terzo grado». Queste, continua Magaldi, sono vere e proprie lezioni: per i 5 Stelle, con il loro mito della “purezza”, ma anche per la Lega, «che con Salvini è cambiata, d’accordo», ma nel suo Dna e nella sua storia conserva pur sempre «il famoso cappio, agitato in Parlamento», eloquente simbolo di «atteggiamenti forcaioli tuttora presenti in alcuni segmenti della base». Lo Stato di diritto tutela tutti: «Parnasi è innocente fino a prova contraria, al di là degli arresti: spesso la gente in Italia è stata arrestata indebitamente, e nessuno l’ha risarcita in modo adeguato». Parnasi e Lanzalone, dunque, «meritano il beneficio del dubbio, come i loro stessi referenti politici». Prudenza: «Bisogna attendere, perché spesso la macchina della giustizia si muove con una sincronia strana, e il fango che si getta addosso a delle persone per presunti reati e crimini poi si scopre essere inconsistente sul piano giuridico». Magaldi confida nell’esperienza di Conte, come giurista, per arrivare a una robusta sburocratizzazione complessiva del sistema-Italia: «Abbiamo bisogno che gli imprenditori non siano mai indotti a corrompere per poter fare normalmente il proprio lavoro».Al tempo stesso – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, rivolto ai 5 Stelle – abbiamo bisogno che i funzionari pubblici siano pagati adeguatamente: «Se cadessero nella rete della corruzione, a quel punto, sarebbero ancora più spregevoli. Ma è impossibile approvare il pauperismo al ribasso promosso dai pentastellati, in base al quale si vorrebbero abbassare gli emolumenti: perché mai costringere a uno stipendio da fame una persona onesta che affronti gli incerti della politica, magari dopo aver abbandonato la sua professione?». Meglio osservare con realismo la situazione italiana: «Proprio per la remunerazione irrisoria delle cariche, molte persone capaci non vanno a fare l’amministratore pubblico, con tutti i rischi che questo comporta, rispetto alle immense responsabilità dell’ufficio». Ne prenda atto un grillino come Alessandro Di Battista, oggi più moderato nei toni, dopo esser stato per anni tra i più accaniti sostenitori della moralità pubblica esibita come bandiera. Tagli degli stipendi e abolizione dei vitalizi? Errore ottico, dice Magaldi: chi ha tagliato lo Stato, mortificando la politica, l’ha fatto per costruire l’attuale sistema basato sulla privatizzazione universale.«La visione neoliberista, di cui noi tutti siamo vittime in questi decenni – spiega Magaldi – vuole che i dirigenti pubblici abbiano dei tetti sempre più al ribasso, nella remunerazione, anche se hanno responsabilità pesantissime e il rischio di essere indagati per un nonnulla, vista anche la complessità elefantiaca delle burocrazie e degli atti giuridici che devono compiere». Tutti addosso al politico che sbaglia, fingendo di non vedere cosa accade nel cosiddetto “mercato”, dove non ci sono più regole che tengano. «Ormai il settore privato è il regno della giungla», sottolinea Magadi: «Si è divaricata la forbice tra il salario dell’operaio o lo stipendio dell’impiegato e la paga del grande manager, che magari fa parte di una cricca di briganti che si spartiscono le poltrone delle grandi società transnazionali, come nel famigerato caso dei manager che hanno spolpato Telecom». L’antidoto? Evitare di cadere nella trappola retorica sapientemente costruita dalla manipolazione del massimo potere. Meglio dunque ribaltare «la teologia dogmatica neoliberista, in base alla quale nel privato tutto è possibile, mentre il pubblico dev’essere controllato, vessato, aggredito e delegittimato».Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è riempito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».
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Lilli e i suoi fratelli, la guerra dei media contro il popolo bue
Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, come di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.A Salvini, in prima serata, “Lady Bilderberg” ha riservato tutte le domande tenute nel cassetto per anni, mai poste a nessuno in precedenza: ma più che le risposte del neo-ministro, a fare notizia era l’evidente dispetto dipinto sul volto dell’dell’ex anchorman del Tg2 craxiano, poi eletta europarlamentare dell’Ulivo prima di tornare, come se niente fosse, a fare “informazione”. Dietlinde Gruber, detta Lilli, di fronte al capo leghista ha sfoderato un piglio bellicoso da Watergate – ma Bob Woodward e Carl Bernstein, vincitori del Pulitzer, mai avrebbero accettato (per dignità professionale) di farsi arruolare ufficialmente tra le fila degli avversari politici di Nixon. E se proprio fossero stati invitati al Bilderberg, avrebbero messo in messo in piazza qualche notizia, intercettata tra quelle segrete stanze. La giornalista de La7 invece partecipa ai “caminetti” a porte chiuse, di cui non riferisce nulla ai suoi telespettatori, e poi – come se niente fosse – carica Salvini a testa bassa, ricordandogli che George Soros è in realtà un grand’uomo, un vero filantropo, essendo la sua Open Society dedita essenzialmente a opere di bene. Lui, Soros: il più celebre speculatore della storia, il più noto supermassone di potere, profeta delle rivoluzioni colorate e ispiratore di “home jobs” insanguinati come il golpe in Ucraina, coi cecchini sui tetti a sparare sulla polizia di Yanukovich per poi far ricadere la colpa sul governo, da abbattere con mezzi criminali.Dopo aver terremotato l’Africa, l’élite francese neoliberista e neocoloniale gioca allo scaricabarile e prova a colpire direttamente l’Italia, anche per distrarre un’opinione pubblica che, oltralpe, ha già perso la fiducia che aveva nell’oscuro, opaco Macron, sodale occulto dei peggiori Soros in circolazione? Niente paura: a reti unificate, le testate italiane – giornali che più nessuno legge – si schierano compatte col francese e contro l’italiano, scelgono il paese che sta cercando di sfrattare l’Italia dalla Libia e si avventano contro il ministro che ha avuto l’ardire di rimettere in discussione l’ipocrisia europea. Salvini fa politica: per la prima volta, un italiano riesce a spaccare in due la Germania e a dividere Berlino da Parigi. Ragione in più per trattarlo da nemico pubblico, in Italia. A malmenarlo, con inaudita violenza, è proprio la Gruber, che utilizza una scheda televisiva per dimostrare che la Francia ha accolto più rifugiati, rispetto all’Italia. Salvini però la smentisce all’istante: i dati esibiti a “Otto e mezzo” sono vecchi, risalgono al 2015. La verità, oggi, è ribaltata: l’Italia accoglie, la Francia non più. Dati ufficiali, del Viminale: una notizia, in teoria – ma non per Lilli Gruber e soci: a loro, le notizie sono l’ultima cosa che interessano, impegnati come sono nella loro rabbiosa crociata contro il popolo italiano e i mascalzoni che ha osato mandare al governo.Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, nemmeno fossero di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.
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Tav, binario morto: fine della Torino-Lione voluta dall’élite?
Sindaco di Torino dal 2001 al 2011, Chiamparino esprime al meglio la storica conversione neoliberista dell’ex sinistra piemontese, passata dalla lotta operaia sotto le bandiere del Pci alle platee del Lingotto all’ombra del Pd veltroniano e renziano. Dopo aver gestito le Olimpiadi Invernali 2006 che hanno ridato fiato all’economia torinese prostrata dal declino della Fiat, Chiamparino è passato – in modo disinvolto – dalla guida della città alla presidenza della Compagnia di San Paolo, potentissima fondazione bancaria del primo istituto di credito italiano, per poi tornare tranquillamente alla politica: oggi è presidente della Regione Piemonte. “Siete praticamente finiti”, disse cordialmente ai NoTav nel 2010, festeggiando quella che immaginava fosse la fine della resistenza popolare della valle di Susa contro la maxi-opera. “Siete rimasti in quattro gatti”, disse ai militanti, che risposero con una marcia di 40.000 persone. Da allora, la battaglia NoTav si è letteralmente incendiata, anche con pesanti strascichi giudiziari. E nel frattempo è cambiata la percezione nazionale del fenomeno: decine di personaggi pubblici – scrittori, cantanti, attori, registi – si sono schierati dalla parte dei valligiani, bocciando la Torino-Lione come una inutile, pericolosa devastazione.La novità è che, dopo le elezioni del 4 marzo, questo pensiero è diventato maggioranza, nel paese: il governo gialloverde frena, sui cantieri valsusini. I penstastellati dovranno “passare sul corpo di Chiamparino” se vogliono cestinare la Torino-Lione? Si tranquillizzi, gli risponde il ministro grillino Danilo Toninelli: in valle di Susa potrebbe non passare nessun treno. Al che, Chiamparino rilancia e “convoca” a Torino l’esecutivo, che però risponde picche. Un affronto, per il presidente della Regione: «L’esempio che arriva dal governo non è di rispetto istituzionale», dice Chiamparino, irritato anche con Salvini, “colpevole” di avergli ricordato che «il contratto di governo prevede, per tutte le grandi opere, una nuova analisi costi-benefici». Chiamparino attacca il neo-ministro dell’interno, definendolo «un primo ministro ombra, in campagna elettorale permanente, che non mostra alcun rispetto istituzionale». Davvero? «Se pensava di farsi da solo il monologo sulla Torino-Lione e altre opere che invece dovranno passare da una seria analisi costi-benefici previste nel contratto di governo, strumentalizzando ai fini politici la sua carica istituzionale, è stato servito», replicano i parlamentari piemontesi del Movimento 5 Stelle, chiudendo il caso della mancata partecipazione del governo al summit torinese.Ancora più dura la risposta leghista: «Se un governatore fantasma, sparito da Torino e dal Piemonte, si ricorda di esistere solo per attaccare Salvini e la Lega, significa che l’incontro sulle infrastrutture era solo un pretesto», dice Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera e segretario regionale del Piemonte. «Chiamparino sa bene che il mio ministero sta lavorando alacremente per una “project review” di certe importanti opere della sua regione», precisa lo stesso Toninelli: «Quando sarà il momento, saremo noi a convocare un tavolo istituzionale con tutte le parti in causa». E aggiunge: «Il governo è cambiato: forse il presidente Chiamparino ha difficoltà a farsene una ragione». L’esecutivo è cambiato perché gli italiani hanno votato, democraticamente. E hanno scelto Lega e 5 Stelle: di questo, proprio, l’establishment sembra non riuscire a capacitarsi. E tra le macerie dell’ex centrosinistra, tutto quello che riesce a pigolare il Pd è la paura che venga cancellato il maxi-appalto del secolo, per il super-treno che nessuno vuole – a parte Chiamparino e la potente lobby dell’alta velocità valsusina, che in trent’anni non ha mai trovato modo di spiegare, al popolo, a cosa (e a chi) servirebbe davvero, quel maledetto treno, destinato a restare in eterno – secondo tutti gli esperti – nient’altro che un patetico, miliardario binario morto.«Dovranno passare sul mio corpo», avverte Sergio Chiamparino, ultimo guardiano politico della linea Tav Torino-Lione. Clinicamente morto, come progetto strategico, il Tav della valle di Susa resta il supremo totem del super-potere oligarchicoche ha fatto carne di porco della democrazia europea, criminalizzando ogni voce di dissenso. Banche, partiti, mafia e maxi-opere: per 25 anni le grandi lobby hanno dettato legge, affidando interi tratti della rete ferroviaria superveloce direttamente alla criminalità organizzata, come denunciato da Ferdinando Imposimato. Nel suo “Libro nero dell’alta velocità”, un analista come Ivan Cicconi vede “il futuro di Tangentopoli”, tra «scelte note e occulte, bugie consapevoli e inconsapevoli», come il “finto” finanziamento privato. Il giallista Massimo Carlotto spiega che le grandi opere sono notoriamente «una lavanderia per riciclare denaro sporco». Rischi sistemici inevitabili? Inconvenienti in agguato in ogni maxi-appalto? Ma nel caso della valle di Susa è peggio: perché l’ipotetica linea-doppione, fotocopia dell’attuale Torino-Modane che già collega Italia e Francia via traforo del Fréjus, è completamente inutile. Lo dicono 360 esperti dell’università italiana e lo conferma la stessa autorità elvetica incaricata dall’Ue di monitorare i trasporti transalpini. L’utilità della Torino-Lione? Una leggenda metropolitana. Ma non per Sergio Chiamparino e il gruppo di potere che rappresenta.
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Magaldi: l’ottimo Salvini e gli ipocriti che uccisero Sankara
Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.Sembrano storie lontane, ma sono vicinissime: probabilmente non sarebbe mai neppure esistita, una nave Aquarius carica di profughi, se il leader rivoluzionario del Burkina Faso non fosse stato assassinato nel 1987, dopo aver chiesto ad alta voce la cancellazione del debito per l’Africa e, al tempo stesso, la fine degli “aiuti” della Banca Mondiale e del Fmi. «I vostri prestiti diventano la nostra schiavitù», ripeteva. «L’Africa ha tutto, per farcela benissimo da sola; basta che ci lasciate in pace, liberi di svilupparci senza più il peso del debito, e delle multinazionali che portano via le nostre risorse». Il prestigio di Sankara stava infiammando paesi decisivi come il Senegal e la Costa d’Avorio, il Kenya, il Camerun. Che Africa avremmo, oggi, se in quei paesi fosse cresciuta una generazione di politici come Sankara? Certo non se lo domandano i buonisti della domenica stile Roberto Saviano, prontissimi ad aprire il fuoco contro i partiti del governo gialloverde, a cui la ex sinistra italiana (insieme ai media mainstream) non perdona di aver vinto le elezioni, il 4 marzo. Ragione in più per smascherare l’impostura dei finti amici dei migranti, che utilizzano la disperazione dei profughi solo per gettare fango sul neonato esecutivo.Finalmente abbiamo un governo all’altezza della situazione, dichiara Magaldi a “Colors Radio”, «dopo tanti anni di premier imbelli e ministri imbelli, figure veramente mediocri che si sono succedute sulle poltrone ministeriali». Per il presidente del Movimento Roosevelt, «Salvini ha mostrato il minimo sindacale di carattere e di fermezza – e con lui Conte, che è un signore dai modi aristocratici ma che ha avuto posizioni ferme. E anche nel Movimento 5 Stelle c’è stata perfetta solidarietà rispetto alle posizioni di Salvini». Tra parentesi: gli italiani apprezzano. Sondaggi alla mano, in 7 su 10 approvano senza riserve l’operato del leader leghista. Certo, si registra anche l’inevitabile strascico polemico di apparati politici ormai alla deriva, completamente spiazzati dalla svolta italiana: «Rimangono ovviamente i latrati di alcune testate giornalistiche e di alcuni ambienti politici che giocano a mistificare la questione gridando al razzismo, al fascismo, alla xenofobia», dice Magaldi. «Peccato che poi scopriamo (con piacere) che anche in casa Pd e in alcuni ambienti della cosiddetta sinistra qualcuno ha detto: intanto Salvini ha fatto quello che Minniti avrebbe voluto fare e non ha potuto fare per via di quel baciapile un po’ ipocrita di Del Rio, che all’epoca – come ministro delle infrastrutture – impedì cose analoghe».Perfettamente allineato a Salvini, invece, il neo-ministro Danilo Toninelli, che ha competenza sui porti e sulla Guardia Costiera. In sintesi: «Il governo Conte e il ministro Salvini hanno agito benissimo», scandisce Magaldi. «Hanno messo un freno a quella che è una modalità inaccettabile di gestione del problema immigrazione nel Mediterraneo». Attenzione: è un problema italiano, ma anche europeo e globale: «Dovrebbe farsene carico la Nato e magari anche l’Onu, se esistesse ancora e avesse una capacità di intervento». Già, appunto: dove sono, le Nazioni Unite? Non fanno altro che «promuovere le proprie agenzie – accusa Magaldi – ingrassando funzionari che spesso di tutto si occupano, tranne che di diffondere i principi di quella dichiarazione universale dei diritti umani che proprio all’Onu era stata approvata settant’anni fa». Brutto spettacolo: «Una struttura super-burocratica, l’Onu, che al pari dell’Europa è molto al di sotto delle sue potenzialità e anche delle sue retoriche». L’Aquarius? Siamo seri: «Non era una zattera alla deriva, ma una nave perfettamente funzionante. Ed è stata accompagnata, scortata, assistita con opportuni soccorsi sanitari». Parliamoci chiaro: «Ci sono Ong che lucrano sulla tratta di migranti, spesso poi utilizzati anche da associazioni criminali».Molti, una volta sbarcati, vivono “fuorilegge”, non avendo titolo per essere accolti come rifiugiati. Beninteso: «Hanno titolo, giustamente, per sognare una vita migliore in un nuovo paese: ma allora dovrebbero essere inquadrati in un progetto», sostiene Magaldi, che si dichiara «a favore dell’accoglienza a prescindere, e anche della libertà di emigrare». Ma qui non si tratta di scelte libere: è un esodo di disperati in fuga, di fronte al quale trionfa l’ipocrisia. «Nessuno si fa carico di andare a risanare i paesi di provienienza dei migranti, in mano a dittature sanguinose, con popolazioni tenute in condizioni di vita non dignitose. Si preferisce invece farsi carico di trasportare questi poveretti nelle nostre società, dove già sono compressi i diritti, non c’è un clima di socio-economico espansione. E così si fomenta una guerra al ribasso: perché i poveri migranti lavorano spesso in nero, peggiorando ulteriormente le condizioni dei lavoratori italiani: diventano una concorrenza semi-schiavile al ribasso rispetto ai ceti meno abbienti occidentali». E poi, sinceramente: «Quanti di loro sono utilizzati dalla criminalità organizzata?». E ancora: «Che senso ha che vi siano addirittura navi che, per mestiere e per lucro, vanno a prendere i migranti e li scaricano in Italia, anziché in Spagna o in Francia?».Quindi, ribadisce Magaldi, quella di Salvini è stata «un’ottima mossa», che infatti «ha indotto subito a più miti consigli quelli che in Europa avevano sempre ignorato le nostre richieste, reiterate ma velleitarie, da parte di altri governi, di guardare in modo collegiale al problema migrazioni». Nessuno – a Parigi o Madrid – può dare lezioni all’Italia. Al contrario, è ora che Bruxelles prenda nota: la pacchia è finita, per gli eurocrati che giocano allo scaricabarile, travestiti da crocerossine. E anche qui, buone notizie: «In molti hanno riveduto e corretto il giudizio sull’azione di Salvini, dopo aver visto le reazioni scomposte, ipocrite e pretestuose di alcuni governi europei, decisi a non accogliere i migranti a casa loro ma desiderosi di vedere l’Italia nel caos, lasciata sola di fronte a questo problema». La storia è feroce, quando diventa farsa: gli sponsor delle Ong sono gli stessi oligarchi che hanno distrutto il lavoro in Europa e fatto esplodere la fame in Africa. Ecco perché diventa emblematico, oggi, il nome del compianto presidente del Burkina Faso, marxista e massone, protagonista di una rivoluzione esemplare e nonviolenta in nome del popolo sovrano: l’ex Alto Volta come modello per un’Africa dignitosa e prospera, libera e decolonizzata. L’Africa per la quale Thomas Sankara perse la vita: un’Africa che, se oggi esistesse, di certo non esporterebbe disperazione.Oggi, sottolinea Malaldi, proprio Sankara «potrebbe diventare il vessillo di un ripensamento delle politiche sull’Africa», aprendo la strada all’idea – formulata da Craxi nel 1990 – di andare finalmente ad “aiutare a casa loro” quei poveretti derubati dall’Occidente, in fuga da un continente abbandonato alla dittatura delle multinazionali e privo di investimenti in strutture politiche, economiche e sociali. «Proprio l’aver ucciso personaggi come Sankara – insiste Magaldi – è stato un modo, da parte di coloro che negli anni ‘80 stavano costruendo questa cattiva globalizzazione, per arrestare uno sviluppo autonomo e dignitoso dell’Africa. Un modo per continuare a depredarla, per poi determinare questi esodi biblici di disperati». Mano tesa all’Africa dei Sankara di domani? Se l’Italia è il primo paese europeo a fermare la tratta degli schiavi, potrebbe essere – nel prossimo futuro – anche il primo a rilanciare una nuova politica euro-mediterranea, come quella già perseguita dai vari Mattei e Moro? «Come annunciato, oggi l’Italia è finalmente al centro di una guerra tra democrazia e oligarchia: e se si vince la battaglia in Italia – dice Magaldi – forse si può cambiare molto, a livello globale».Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.
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Governo, l’ipocrita divieto che discrimina i massoni (onesti)
A pagina 8 dell’accordo di governo stipulato tra Lega e M5S c’è un punto che ha colpito la mia attenzione: il divieto di incarichi di governo per persone appartenenti alla massoneria. Un punto demagogico e populista, che dimostra, nel migliore dei casi, l’ignoranza di chi ha redatto l’accordo, nel peggiore una vera e propria malafede. Vediamo perché. In massoneria esiste la possibilità di essere iscritti a logge cosiddette coperte, in cui il nome dell’affiliato è tenuto segreto e quindi nessun documento, firma, o lista, potrà mai provare la sua appartenenza alla massoneria (dall’indagine Why Not, effettuata da De Magistris, ad esempio, venne fuori che Prodi e altri membri illustri del governo erano iscritti a una loggia di San Marino, considerato uno Stato estero). La massoneria non è un’associazione segreta, quindi l’esserne affiliati non viola alcuna legge dello Stato; tale esclusione è, quindi, anche costituzionalmente illegittima: l’esclusione dagli incarichi di governo avrebbe dovuto essere correttamente formulata prevedendo l’esclusione per iscritti a logge coperte, o deviate, o comunque con un intento palesemente criminale (ma in tal modo sarebbe sorta una contraddizione evidente, perché chi è iscritto ad organizzazioni criminali non lo va certo a dire in giro, e quando viene scoperto deve essere buttato fuori non tanto per la sua affiliazione, ma per i crimini commessi).Vi sono ordini e associazioni, di stampo massonico, ma non considerate tali; Opus Dei, Cavalieri di Malta, ordini cavallereschi… non si capisce perché il divieto non valga anche per queste associazioni; esistono inoltre organizzazioni esoteriche, di stampo non massonico, molto più pericolose della massoneria stessa, come abbiamo da sempre detto in questo sito. La massoneria ha fatto la storia d’Italia degli ultimi due secoli; Garibaldi, Mazzini, Cavour, tanto per fare degli esempi, erano massoni; la maggior parte dei padri costituenti del ’47 erano massoni. C’è una contraddizione evidente tra il formare il governo di una repubblica che è stata fondata dalla massoneria, vietando l’ingresso al governo ai membri di quell’istituzione che è stata determinante nella fondazione dell’attuale Stato democratico (chi scrive ritiene poi che la nostra Costituzione sia un imbroglio, ma questa è tutta un’altra storia… formalmente si dicono tutti ossequiosi alla Costituzione, e quindi entrano in contraddizione con se stessi ad essere ossequiosi a qualcosa che risulta scritta in gran parte da massoni).Come ha ben evidenziato nel corso di questi anni il massone Gioele Magaldi, insieme a Gianfranco Carpeoro, molti uomini politici di governo erano e sono massoni; Berlusconi, Craxi, Monti, Prodi, solo per fare qualche esempio. Ma, ipotizzo, anche molti nomi del passato di cui la loro appartenenza alla massoneria non è mai stata conclamata. Nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata” di Gioele Magaldi si fanno molti nomi; e altri nel libro “Fratelli d’Italia” di Ferruccio Pinotti, solo per fare qualche esempio. Salvini inoltre era alleato con Berlusconi. Lo sapeva o no di essere alleato con un massone? Presumo di sì, dato che, anche se i media mainstream non ne hanno parlato quasi mai (fatta eccezione per la questione della loggia P2; ma Magaldi nel suo sito ha dimostrato come ben altro fosse il rapporto di Berlusconi con la massoneria), molta eco ha avuto la questione su Internet, in particolare sul sito del Grande Oriente Democratico. Infine, il provvedimento discrimina proprio le persone migliori; nel senso che, quando un massone dichiara di essere tale, vuol dire che non ha nulla da nascondere. E rivendicandolo spesso con orgoglio, come Carpeoro e Magaldi, ad esempio, fa un’opera di trasparenza. Paradossalmente è chi invece lo nasconde che è pericoloso per la società, ma potrà entrare lo stesso nel governo.In altre parole, con questo provvedimento da duri e puri, si rischia di discriminare le persone migliori, e favorire come sempre i peggiori, coloro che tramano nell’ombra e fingono di essere persone diverse. Il problema non è la massoneria in sé, potendo esistere criminali non massoni, e massoni non criminali. Il problema è la legalità. E l’accordo di governo, così concepito, pone un problema molto grave: o i nostri governanti non capiscono nulla di massoneria (dimostrando in questo modo di non conoscere la storia, e neanche il funzionamento della società civile) o l’accordo è dettato da una malafede evidente, e serve solo a gettare fumo negli occhi dei cittadini. Immediatamente dopo la formazione del governo, infatti, viene fuori la notizia che il neo-ministro Paolo Savona sarebbe iscritto alla massoneria americana. Nulla di strano in questo. Nessuna replica da parte del governo. Ma soprattutto, un chiaro avvertimento a non tirare troppo la corda, altrimenti verranno fatti altri nomi e il governo avrà anche altri problemi. Risulta evidente, quindi, che questo punto dell’accordo di governo serve unicamente a ingraziarsi le simpatie del popolo, che di massoneria non sa nulla; e a darsi una facciata di duri e puri, che serve unicamente a rendersi ridicoli; più o meno come quando Bossi un giorno dichiarò: «Contro l’Italia massona e ladrona, noi siamo per l’Italia di Garibaldi e Mazzini»; peccato che Garibaldi, Mazzini e Cavour fossero, come abbiamo detto, massoni.(Paolo Franceschetti, “Lega, M5S e massoneria”, dal blog “Petali di Loto” del 15 giugno 2018. In calce al post, Franceschetti ricorda di non essere mai stato tenero con la massoneria, avendo anche dato alle stampe libri come “Sistema massonico e Ordine della Rosa Rossa”, che indagano sulla matrice rituale di origine massonica di alcuni tra i peggiori crimini della storia italiana, a partire da quelli del Mostro di Firenze. Sulla presenza di massoni nel governo gialloverde, infine, Gioele Magaldi ha svelato l’identità supermassonica del ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, fino a ieri legato ai circuiti neo-conservatori di Mario Monti ed Enrico Letta, ora avvicinatosi agli ambienti delle Ur-Lodges di segno progressista che sostengono l’esecutivo Conte. Quanto a Craxi, Gianfranco Carpeoro ha precisato che il leader del Psi, mai iniziato alla massoneria, fu però associato ad una superloggia massonica sovranazionale. Sempre Carpeoro ritiene evidente la vicinanza dello stesso Gianroberto Casaleggio rispetto alla massoneria britannica, attraverso un personaggio come Enrico Sassoon).A pagina 8 dell’accordo di governo stipulato tra Lega e M5S c’è un punto che ha colpito la mia attenzione: il divieto di incarichi di governo per persone appartenenti alla massoneria. Un punto demagogico e populista, che dimostra, nel migliore dei casi, l’ignoranza di chi ha redatto l’accordo, nel peggiore una vera e propria malafede. Vediamo perché. In massoneria esiste la possibilità di essere iscritti a logge cosiddette coperte, in cui il nome dell’affiliato è tenuto segreto e quindi nessun documento, firma, o lista, potrà mai provare la sua appartenenza alla massoneria (dall’indagine Why Not, effettuata da De Magistris, ad esempio, venne fuori che Prodi e altri membri illustri del governo erano iscritti a una loggia di San Marino, considerato uno Stato estero). La massoneria non è un’associazione segreta, quindi l’esserne affiliati non viola alcuna legge dello Stato; tale esclusione è, quindi, anche costituzionalmente illegittima: l’esclusione dagli incarichi di governo avrebbe dovuto essere correttamente formulata prevedendo l’esclusione per iscritti a logge coperte, o deviate, o comunque con un intento palesemente criminale (ma in tal modo sarebbe sorta una contraddizione evidente, perché chi è iscritto ad organizzazioni criminali non lo va certo a dire in giro, e quando viene scoperto deve essere buttato fuori non tanto per la sua affiliazione, ma per i crimini commessi).
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Della Luna: ci tocca smascherare l’Ue e attaccare per primi
«Il governo Salvini-Di Maio rischia di essere mitragliato, se resta a metà del guado». Gli interessi economici che stanno dietro Ue e Bce – scrive Marco Della Luna – già si muovono per denigrare, delegittimare e sgambettare il nuovo governo, nato dalla resistenza al loro potere e alle loro pratiche. «Cercheranno di coglierlo in fallo, di tendergli agguati, di dividerlo comprandone parti, e di farlo cadere, così da completare la sottrazione dell’autonomia politica e delle risorse economiche delle nazioni, iniziando con quelle più vulnerabili e incravattabili, come l’Italia». Perciò questo governo «può vincere la partita solo se attaccherà per primo», ovvero: se, dopo la fase di insediamento, «metterà a nudo e delegittimerà quegli stessi interessi prima i essere fatto fuori da essi, rovesciando il loro tavolo». Quindi, secondo Della Luna, deve «smettere di fare l’europeista benpensante, sostituire i corpi estranei al suo interno e cantar chiara la verità a quella gente che dovrà sostenere il contrattacco dei “mercati” (della Bce, dell’Eurogruppo, del rating)». Il governo gialloverde «dovrà anche lavorare – assieme agli altri governi “populisti” e agli Usa – non a riformare un ordinamento eurocratico (Ue, euro) che non è riformabile perché è nato proprio per quello che sta facendo, e neppure a prepararsi per uscire da esso unilateralmente – cosa che sarebbe devastante – ma invece a farlo crollare così da liberarsene tutti, per ritrovare la libertà politica, il diritto dei cittadini a un voto effettivo, e usarla per costruire un’Europa diversa (se possibile), cioè per le nazioni e non per gli usurai e per gli autocrati irresponsabili».Secondo Della Luna, è necessario che il governo Conte si ritiri anche dal Trattato di Velsen, «per prevenire che, in caso di caduta del governo e di sommosse popolari più o meno spontanee, ci arrivi la polizia militare antisommossa Eurogendfor a reprimere e a instaurare la dittatura degli usurai stranieri». Se Lega e 5 Stelle indugeranno invece a metà del guado, senza spiegare chiaramente ciò che è l’Unione Europea, che interessi serve e che scopo ha, fingendo che essa sia rinegoziabile e riformabile, che possa diventare “democratica” anziché autocratica, allora – insiste Della Luna – quei medesimi interessi «li faranno fuori con attacchi mediatici, giudiziari e finanziari – come hanno fatto fuori tutti coloro che cercarono di portare avanti una politica di interesse nazionale italiano: Mattei, Moro, Craxi». La chance dei gialloverdi – ripete l’avvocato Della Luna, autore di saggi assai critici sull’euro-sistema – sta in questo: «Delegittimare, prima di essere delegittimati e poi rottamati». In sintesi: «Se continueranno a lungo a fare i moderati per farsi accettare, sono fritti. O attaccano l’Ue e l’euro, e fanno la storia; oppure si allineano per le poltrone». Scoprire i giochi – aggiunge Della Luna – significa iniziare a spiegare all’opinione pubblica quello a cui l’Europa è servita – ad esempio raccontando, come ha fatto D’Alema, che la Bce prestava i soldi allo 0,75% ai banchieri francesi e tedeschi, i quali a loro volta usavano quel denaro per comprare i titoli del debito pubblico greco che pagavano il 15% di interesse «e corrompevano i governanti greci affinché facessero debito pubblico anche per comprare prodotti tedeschi come le navi da guerra».La storia è tristemente nota: quando la Grecia non ce l’ha più fatta a pagare gli interessi usurari, «l’Unione Europea ha imposto all’Italia e ad altri paesi di prestare soldi alla Grecia a un tasso inferiore a quello a cui li prendevano prestito – non per aiutare la Grecia, ma per far realizzare ai predetti banchieri i loro incassi usurari, anziché arrestarli (modelli analoghi sono stati applicati a Spagna, Portogallo, Irlanda)». Questo, aggiunge Della Luna, è quello che ha fatto innanzitutto Monti, tassando i beni immobili e facendone crollare il valore di circa un terzo, cioè di circa 2.000 miliardi, «che sono stati distrutti come patrimonio nazionale; e per far questo egli era stato messo a Palazzo Chigi e nominato senatore a vita». Ergo, «bisogna far capire alla gente che l’Ue è una costruzione progettata e realizzata dagli usurai per realizzare una usura radicale fino al totale svuotamento dei risparmi e degli assets dei paesi sottomessi». Per questo, secondo l’avvocato, il potere di Bruxelles «non è riformabile». Negoziare? Serve solo a «far emergere più visibilmente la sua non-riformabilità». Discorsi ieri impossibili da proporre, ma oggi non più: «Credo che gli ultimi avvenimenti abbiano predisposto l’opinione pubblica a capire», sostiene Della Luna, citando il caso di Mattarella: bocciando l’euroscettico Savona sotto pressione dell’Ue e della Bce, il Quirinale «ha fatto percepire come, riforma dopo riforma, senza che fosse dichiarato, il paese è stato portato a una degradata condizione di dipendenza e sottomissione a interessi esterni, tale da impedirgli di uscire dalla rotta prestabilita e da vanificare quindi la volontà del suo elettorato».Giuseppe Conte è in precario equilibrio tra “rassicuratori” euro-allineati e fautori dello strappo con l’Ue? Finora non ha chiarito quali misure adotterà in concreto, qualora i partner europei egemoni rifiutassero di rinegoziare i trattati, a cominciare da quelli sull’euro e sui migranti. «Se si va a trattative senza prospettare contromisure in caso di indisponibilità della controparte, non si ottiene un fico secco», taglia corto Della Luna. «Lega e 5 Stelle non hanno per il momento spiegato agli italiani che la situazione di sudditanza e squilibrio a danno dell’Italia, che essi vogliono cambiare rinegoziando i trattati comunitari, non si è creata per errore o per accidente». E’ stata invece «creata deliberatamente e programmaticamente, da precisi interessi, secondo un itinerario prestabilito molto tempo fa». Sicché, per cambiare le regole serve una forza superiore a quella che sostiene gli interessi contrari all’Italia. Dov’è questa forza? «Può venire solo da un’operazione di smascheramento del progetto eurocratico, che si colleghi a una ribellione concertata col gruppo di Visegrad, con l’Austria, con gli Usa». Un’operazione «diretta ad abbattere l’Ue e l’euro», bonificando il sistema da «speculatori e nuovi kapò franco-tedeschi».Secondo Della Luna, la nuova maggioranza «sta lasciando inespressa, non comunicata e non proposta al dibattito pubblico, la dinamica di fondo, in cui si colloca anche l’insieme delle caratteristiche nocive della costruzione comunitaria». La coalizione gialloverde «non ha ancora detto alla gente che, semplicemente, le cose che non vanno bene non sono venute in essere perché le hanno volute i tedeschi oppure una lobby di banchieri internazionali oppure di tecnocrati a Bruxelles». Salvini e Di Maio non hanno ancora detto a chiare lettere che queste regole-capestro «servono e corrispondono all’interesse del capitale finanziario internazionale che guida i processi di riforma». Per massimizzare il proprio potere e per conformare il mondo e le società e ai propri interessi, il neoliberismo ha bisogno precisamente di questo, «ossia di creare una dipendenza unilaterale della politica, delle nazioni e delle singole persone (togliendo loro le scelte politiche e lasciando esistere un simulacro di democrazia solo finché rimane nei binari voluti dal capitale) dal cartello bancario privato che produce e concede moneta e credito». Risultato raggiunto «togliendo agli Stati la sovranità monetaria e sottoponendoli alla pressione irresistibile del rating del loro debito pubblico». La ricetta di Della Luna? Denunciare il mostro, e attaccare per primi.«Il governo Salvini-Di Maio rischia di essere mitragliato, se resta a metà del guado». Gli interessi economici che stanno dietro Ue e Bce – scrive Marco Della Luna – già si muovono per denigrare, delegittimare e sgambettare il nuovo governo, nato dalla resistenza al loro potere e alle loro pratiche. «Cercheranno di coglierlo in fallo, di tendergli agguati, di dividerlo comprandone parti, e di farlo cadere, così da completare la sottrazione dell’autonomia politica e delle risorse economiche delle nazioni, iniziando con quelle più vulnerabili e incravattabili, come l’Italia». Perciò questo governo «può vincere la partita solo se attaccherà per primo», ovvero: se, dopo la fase di insediamento, «metterà a nudo e delegittimerà quegli stessi interessi prima i essere fatto fuori da essi, rovesciando il loro tavolo». Quindi, secondo Della Luna, deve «smettere di fare l’europeista benpensante, sostituire i corpi estranei al suo interno e cantar chiara la verità a quella gente che dovrà sostenere il contrattacco dei “mercati” (della Bce, dell’Eurogruppo, del rating)». Il governo gialloverde «dovrà anche lavorare – assieme agli altri governi “populisti” e agli Usa – non a riformare un ordinamento eurocratico (Ue, euro) che non è riformabile perché è nato proprio per quello che sta facendo, e neppure a prepararsi per uscire da esso unilateralmente – cosa che sarebbe devastante – ma invece a farlo crollare così da liberarsene tutti, per ritrovare la libertà politica, il diritto dei cittadini a un voto effettivo, e usarla per costruire un’Europa diversa (se possibile), cioè per le nazioni e non per gli usurai e per gli autocrati irresponsabili».
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Magaldi: Galloni e Rinaldi nei ministeri, contro la tecnocrazia
Tecnici per la democrazia e contro la tecnocrazia: come il leghista Armando Siri, appena nominato sottosegretario alle infrastrutture. Ma nella squadra ci sono anche gli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi, insieme a Claudio Quaranta e Aldo Storti. Nomi caldamente raccomandati da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in piena trasparenza: ci stiamo adoperando, spiega, per inserire personaggi-chiave nella nuova macchina governativa. Obiettivo: «Supportare il governo Conte e i suoi ministri, lungo l’esaltante ma insidiosissima traiettoria che li attende». Secondo Magaldi, servono esperti e tecnici di grande spessore anche nei gangli più decisivi e meno in vista, costituiti dalle super-burocrazie ministeriali: capi di gabinetto, dirigenti generali, funzionari superiori. «Hanno il compito fondamentale di supportare i membri dell’esecutivo giallo-verde nel conseguimento dei loro importanti obiettivi». Per far funzionare adeguatamente le macchine ministeriali del nuovo governo – economia e sviluppo economico, lavoro e politiche sociali, infrastrutture e trasporti, affari europei – secondo Magaldi «occorrono degli esperti-tecnici ispirati da un ideale di democrazia sostanziale, da una ferrea lealtà istituzionale verso la Costituzione repubblicana e da un’attenzione sollecita verso l’interesse del popolo sovrano».Nomi autorevoli, che sempre «sarebbero utilissimi al back-office ministeriale del governo Conte», come anticipato dallo stesso Magaldi a “Colors Radio”, nel formulare la prima “cinquina”. Il primo della lista è ovviamente Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: economista post-keynesiano allievo di Federico Caffè, Galloni è stato un altissimo dirigente del back-office ministeriale italiano, già impegnato a contrastare l’impianto del Trattato di Maastricht, denunciato come sfavorevole all’Italia. Poi c’è Antonio Maria Rinaldi, altro docente universitario, allievo di Paolo Savona e creatore del newsmagazine “Scenari Economici”: già consulente e collaboratore di diverse banche private e della Consob, Rinaldi è stato anche direttore generale della Sofid, società “capogruppo finanziaria” dell’Eni. Altro nome: Claudio Quaranta, già importante funzionario in aziende del gruppo Iri, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale malamente smantellato a suo tempo da Romano Prodi. Quaranta è un esperto di risorse umane e organizzazione gestionale; oggi è l’amministratore unico di Ics Group e coordinatore del progetto politico “Unione di Scopo”.Armando Siri? «Particolarmente adatto a un incarico viceministeriale, in questa fase», l’ha definito Magaldi, a poche dalla nomina. Per il futuro, il presidente del Movimento Roosevelt vede in Siri «un eccellente ministro dell’economia e finanze, o un titolare di altri dicasteri importanti». Neo-senatore eletto nelle fila della Lega, è l’ispiratore e curatore della «originalissima e benemerita» Scuola Politica del Carroccio. Magaldi considera Siri «tra i più importanti artefici della svolta della Lega in senso nazionale e della trasformazione del suo paradigma politico-economico in senso post-keynesiano, con inclusa proposta della Flat Tax: elementi “social”, quindi, positivamente contaminati con suggestioni autenticamente “liberali” di riduzione drastica delle aliquote fiscali». L’ultimo nome della “prima cinquina” proposta da Magaldi è quello di Aldo Storti, socio fondatore del Movimento Roosevelt nel 2015: ingegnere versato anche in studi umanistici, Storti è definito «intellettuale raffinato e studioso di tradizioni sapienziali occidentali e orientali». E’ il responsabile della regia tecnica della “Scuola politica della Lega”, nonché consulente in scienza della comunicazione e analisi socio-politiche. «La prospettiva pedagogica e culturale di area rooseveltiana – chiosa Magaldi – intende promuovere un nuovo ethos politico-civile». Tradotto: anziché tramare nell’ombra per le poltrone, è il caso di podurre esternazioni trasparenti, per rendere pubblico ciò che solitamente viene detto solo in privato.Tecnici per la democrazia e contro la tecnocrazia: come il leghista Armando Siri, appena nominato sottosegretario alle infrastrutture. Ma nella squadra dei virtuosi ci starebbero anche gli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi, insieme a Claudio Quaranta e Aldo Storti. Nomi caldamente raccomandati da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in piena trasparenza: ci stiamo adoperando, spiega, per inserire personaggi-chiave nella nuova macchina governativa. Obiettivo: «Supportare il governo Conte e i suoi ministri, lungo l’esaltante ma insidiosissima traiettoria che li attende». Secondo Magaldi, servono esperti e tecnici di grande spessore anche nei gangli più decisivi e meno in vista, costituiti dalle super-burocrazie ministeriali: capi di gabinetto, dirigenti generali, funzionari superiori. «Hanno il compito fondamentale di supportare i membri dell’esecutivo giallo-verde nel conseguimento dei loro importanti obiettivi». Per far funzionare adeguatamente le macchine ministeriali del nuovo governo – economia e sviluppo economico, lavoro e politiche sociali, infrastrutture e trasporti, affari europei – secondo Magaldi «occorrono degli esperti-tecnici ispirati da un ideale di democrazia sostanziale, da una ferrea lealtà istituzionale verso la Costituzione repubblicana e da un’attenzione sollecita verso l’interesse del popolo sovrano».
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Macron insulta l’Italia. E’ una minaccia: rischio terrorismo
Italiani «vomitevoli». Getta la maschera, Emmanuel Macron: il finto amico del Balpaese ora accusa il ministro Salvini (e il governo Conte) di inferiorità etnico-politica. Che gli italiani fossero i nuovi “untermenschen”, per l’Eliseo, lo si era intuito il 30 marzo, quando i gendarmi francesi braccarono illegalmente a Bardonecchia, in territorio italiano, proprio un migrante africano, sorpreso su un treno e trattato come un animale. Gentiloni pigolò debolmente la sua non-protesta, dopo aver promesso di inviare soldati italiani in Niger a fare la guardia ai giacimenti di uranio per conto dei francesi, chiedendo in cambio a Parigi un aiuto per rimettere ordine nel paese che proprio la Francia ha terremotato, a danno dell’Italia: la Libia del post-Gheddafi. Ora, dopo l’esordio del governo “gialloverde” schieratosi con Trump al G7 canadese, siamo già agli insulti. Casus belli: il divieto di sbarco imposto alla nave Aquarius, carica di profughi. La situazione è pericolosa, avverte Mitt Dolcino su “Scenari Economici”: l’inaudita violenza verbale di Macron suona come una minaccia di stampo mafioso. E lascia presagire il rischio di attentati terroristici contro l’Italia proprio per colpire Salvini, vicino a Marine Le Pen e alla Russia di Putin, paese rispetto al quale il governo Conte vorrebbe revocare le sanzioni economiche varate dall’Ue.In altre parole: è il panico, non appena l’Italia esce dal letargo nel quale era sprofondata, rinunciando alla politica estera. «La sfrontatezza di Macron è un segnale pericoloso», rileva Maurizio Blondet. A inquietare Parigi sul caso Aquarius, anche la mossa della “ribelle” Corsica: l’isola, da sempre indipendentista, ha sfidato Parigi candidandosi ad affiancare l’Italia nell’accoglienza in mare, attraverso i propri porti. Da qui, probabilmente, anche l’inaudita reazione di Macron, apparentemente scomposta. In realtà, secondo Dolcino, si sta palesando un disegno eversivo: «L’Italia oggi diventa ad altissimo rischio attentati, probabilmente per colpire Salvini e il governo». Il motivo? Sintetizzato in una foto: la bandiera italiana data alle fiamme insieme a quella americana, in una dimostrazione a margine del G7. «Salvini deve fare estrema attenzione», scrive Dolcino su “Scenari Economici”: il nuovo governo «verrà presto messo in discussione, probabilmente anche mettendo sotto attacco l’Italia con accuse al ministero degli interni». In che modo? «Con il terrorismo (esterno), leggasi attentati in Italia».Dolcino propone una lettura geopolitica: ai francesi risulta indigesto l’allineamento strategico dell’Italia con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna anche in tema economico, sulla «cancellazione dei dazi per tutti». Una proposta trumpiana che Dolcino definisce «geniale e pacificatoria», ma chiaramente contraria agli interessi di Cina, Francia e Germania, «che invece prosperano ad esempio coi loro prodotti sui mercati Usa anche grazie a tariffe e dazi contro le importazioni Usa 4 o 10 volte superiori a quelli statunitensi per gli omologhi prodotti, come le automobili». Dunque, «con un tempismo incredibile», ecco che «vediamo bruciare la bandiera americana, italiana e inglese in piazza da parte dei dimostranti, addirittura durante lo svolgimento dello stesso G7». Dolcino insiste: «Salvini deve fare molta attenzione, perché quella bandiera italiana in fiamme rappresenta molto più di quanto può apparire: l’Italia diventa ufficialmente un problema di grado superiore, da risolvere da parte di coloro che volevano un fronte comune anti-Usa, fronte che può essere sommariamente condensato nei poteri che mirano a sostituirsi agli Usa al comando del Vecchio Continente».Terrorismo, dunque? Segnalando le recenti intercettazioni di armi alle frontiere terrestri del Belpaese, Dolcino ritiene che, da oggi, l’Italia sia a massimo rischio attentati sul proprio suolo. «Immagino che le forze dell’ordine sappiano bene di cosa sto parlando», aggiunge. «Faccio presente che, a prescindere dall’etichetta che potrebbe essere data a tali ipotetici – e speriamo mai attuati – attacchi (Isis, anarchici, immigrati) nel caso dovessero essere perpetrati molto probabilmente non bisognerebbe guardare molto lontano, ad est o in Medio Oriente, ma vicino, a nord e a nord-ovest». Impossibile dimenticare chi è Emmanuel Macron, incredibilmente presentato dai media come outsider della politica transalpina. Già dirigente della Banca Rothschild, Macron ha collaborato con i vari governi della presidenza Hollande, arrivando a fare il ministro dell’economia nella peggior stagione democratica della Francia, con il paese scosso dal terrorismo targato Isis. Stragi e attentati “false flag”, secondo la logica criminale della strategia della tensione: le indagini sul massacro di Charlie Hebdo, ad esempio, sono state bloccate dal segreto di Stato (segreto militare) dopo che la magistratura aveva scoperto un imbarazzante legame tra le armi del commando terrorista e un dirigente dei servizi segreti francesi, che le aveva acquistate in Belgio.Definendo “vomitevole” la nuova politica italiana – promossa a furor di popolo il 4 marzo dal 55% degli elettori – Macron svela il suo vero volto di pericoloso oligarca: è il pupillo di Jacques Attali, il supermassone reazionario che irrise la «plebaglia europa», testualmente, per essersi illusa sull’euro, credendo davvero che la moneta unica fosse stata creata per la «felicità» del popolo. Proprio Attali è uno dei maggiori architetti dell’Europa del rigore, ben incarnata dall’allievo Macron: l’attuale presidente francese, altissimo esponente dell’élite finanziaria che ha fatto praticamente sparire la democrazia in Europa insieme ai diritti del lavoro, ha infatti annunciato tagli colossali nel welfare transalpino e la riduzione drastica del pubblico impiego. Più ancora della Merkel, il supermassone neo-aristocratico Macron è il vero campione dell’eurocrazia banditesca contro la quale gli italiani hanno appena votato. Peggio: è il capo politico di un paese devastato da attentati attribuiti alla manovalanza islamista, ma tutti sinistramente contrassegnati da eloquenti simbologie massoniche, dall’epopea dei Templari sanguinosamente riproposta – in codice – nella mattanza del Bataclan, fino alla strage di Nizza del 2016 attuata il 14 luglio, data “sacra” per la massoneria progressista che – anche dalla nuova trincea italiana – sarebbe impegnata a contrastare la cupola del potere “nero” che si è impadronito dell’Europa, schiacciando i popoli nella morsa dell’austerity.Italiani «vomitevoli». Getta la maschera, Emmanuel Macron: il finto amico del Balpaese ora accusa il ministro Salvini (e il governo Conte) di inferiorità etnico-politica. Che gli italiani fossero i nuovi “untermenschen”, per l’Eliseo, lo si era intuito il 30 marzo, quando i gendarmi francesi braccarono illegalmente a Bardonecchia, in territorio italiano, proprio un migrante africano, sorpreso su un treno e trattato come un animale. Gentiloni pigolò debolmente la sua non-protesta, dopo aver promesso di inviare soldati italiani in Niger a fare la guardia ai giacimenti di uranio per conto dei francesi, chiedendo in cambio a Parigi un aiuto per rimettere ordine nel paese che proprio la Francia ha terremotato, a danno dell’Italia: la Libia del post-Gheddafi. Ora, dopo l’esordio del governo “gialloverde” schieratosi con Trump al G7 canadese, siamo già agli insulti. Casus belli: il divieto di sbarco imposto alla nave Aquarius, carica di profughi. La situazione è pericolosa, avverte Mitt Dolcino su “Scenari Economici”: l’inaudita violenza verbale di Macron suona come una minaccia di stampo mafioso. E lascia presagire il rischio di attentati terroristici contro l’Italia proprio per colpire Salvini, vicino a Marine Le Pen e alla Russia di Putin, paese rispetto al quale il governo Conte vorrebbe revocare le sanzioni economiche varate dall’Ue.
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Rifkin: potere al popolo, così l’Italia cambierà quest’Europa
Il nuovo governo rappresenta una opportunità. Non quella di formare semplicemente un nuovo esecutivo, bensì quella di preparare un piano di lungo termine per trasformare l’economia delle comunità locali, dando più potere al popolo e facendo così dell’Italia, che ha una creatività pro capite straordinaria, il “faro” della trasformazione dell’Ue, per entrare nella nuova fase del “sogno europeo”, in nome del principio di sussidiarietà, che è scritto nei trattati ma viene poco applicato. E’ il momento per tutta Italia di fare un grosso respiro, di fare un passo indietro e di chiedersi: chi siamo noi come popolo? Ho passato trent’anni in Italia, sono stato in ogni comunità locale: la creatività pro capite in Italia è semplicemente straordinaria, perché c’è un’enorme diversità culturale, che è una ricchezza. Oggi ogni regione d’Italia dovrebbe sfruttare il proprio patrimonio culturale, al di là dei confini, iniziando a mostrare l’Italia come il faro della prossima fase del “sogno europeo”. Ricordatevi che sono stati gli italiani, con Altiero Spinelli, a portare l’Europa nel “sogno europeo”. Ora è un nuovo inizio: non penso che nessuno dica di no all’Europa. Ma è tempo di riflettere, a livello italiano ed europeo, su come passare meglio alla prossima fase del sogno europeo. E di fare le trasformazioni necessarie per rendere l’Europa più collaborativa e più forte, più adatta agli interessi delle comunità locali d’Europa: questa è la chiave.Dal voto è emersa volontà della gente di contare di più. Quello attuale è un momento di opportunità per due partiti politici, il Movimento 5 Stelle e la Lega, che hanno passato molto tempo organizzando i rispettivi elettorati, per fare una grossa differenza. Non solamente per avere un altro governo in carica: questa è un’opportunità, non va sprecata. Bisogna creare una road map economica, muovendo verso la Terza Rivoluzione Industriale, portando l’Italia su una strada che può essere il faro per la prossima fase, per quello che vogliamo dappertutto, in Europa e nel mondo: più potere al popolo, più potere distribuito, in modo che le persone possano avere un maggior diritto di parola sul loro destino economico. C’è un principio, nel Trattato di Roma, il principio di sussidiarietà, che dice che il potere deve iniziare nelle comunità locali, dove le persone vivono la loro vita. Il potere deve essere laterale, non verticale. C’è una legittima constatazione che il mondo, per come è governato ora, si sta muovendo troppo verso le élite, e penso che sia una constatazione giustificata, in tutto il pianeta. E ora penso che in posti come l’Italia, ma anche in giro per il mondo, le persone dicano “vogliamo avere più controllo sulla nostra economia e sulle nostre vite”.Questa è una cosa positiva. Non credo che nessuno in Italia dirà che vuole uscire dall’Europa. Ma credo che sia legittimo pensare che ora, dopo cinquant’anni di Ue, ci sono altri cinquant’anni davanti a noi e, quindi, sarebbe bene fare proposte in modo che ogni livello di governance sia più in sintonia con quello che succede tra i 500 milioni di persone che vivono nelle comunità locali. Credo fermamente nel principio di sussidiarietà, che è la rivoluzione che non è ancora accaduta. Il principio di solidarietà è nei trattati e sospetto che molte persone in Europa non sappiano neppure che esiste. Il potere, secondo i trattati, nasce nelle comunità locali e nelle Regioni. Tutto quello che dobbiamo fare è prendere sul serio questo principio e sviluppare un piano per la Terza Rivoluzione Industriale in Italia e in Europa. Questo è il principio basilare della governance europea – in teoria, ma non in pratica. Ora in Europa è un momento in cui gli elettori votano e quello che sento dire loro, al di là della retorica, è “dobbiamo avere un maggior diritto di parola sul nostro destino economico nelle comunità in cui viviamo”.Questo non preclude la globalizzazione, ma diventa glocalizzazione. Ogni comunità locale, grazie alle tecnologie, può impegnarsi con Regioni in tutto il mondo e cercare nuove opportunità economiche: non è teoria, ma pratica, sta già succedendo. Quello di cui abbiamo bisogno ora è una visione di governo che sia commisurata alla piattaforma trasparente e digitale laterale che stiamo creando: e quella visione è il principio di sussidiarietà. Che non preclude l’esistenza degli Stati-nazione, né dell’Ue, ma significa che tutto il potere decisionale deve partire dai luoghi in cui le persone vivono e lavorano. Bisogna creare una road map economica, muovendo verso la Terza Rivoluzione Industriale, portando l’Italia su una strada che può essere il faro per la prossima fase, per quello che vogliamo dappertutto, in Europa e nel mondo: più potere al popolo, più potere distribuito, in modo che le persone possano avere un maggior diritto di parola sul loro destino economico.(Jeremy Rifkin, “Con il governo del cambiamento più potere al popolo e alle comunità locali”, riflessione a margine del Brussels Economic Forum 2018, pubblicata dal “Blog delle Stelle” sulla base della ricostruzione offerta dell’agenzia Adnkronos. Economista, sociologo e ambientalista statunitense, Rifkin è il teorico della Terza Rivoluzione Industriale. Autore di saggi tradotti in tutto il mondo, collabora con alcune tra le più importanti testate giornalitiche europee, come il “Guardian”, “El Pais”, “L’Espresso” e la “Suddeutsche Zeitung”).Il nuovo governo rappresenta una opportunità. Non quella di formare semplicemente un nuovo esecutivo, bensì quella di preparare un piano di lungo termine per trasformare l’economia delle comunità locali, dando più potere al popolo e facendo così dell’Italia, che ha una creatività pro capite straordinaria, il “faro” della trasformazione dell’Ue, per entrare nella nuova fase del “sogno europeo”, in nome del principio di sussidiarietà, che è scritto nei trattati ma viene poco applicato. E’ il momento per tutta Italia di fare un grosso respiro, di fare un passo indietro e di chiedersi: chi siamo noi come popolo? Ho passato trent’anni in Italia, sono stato in ogni comunità locale: la creatività pro capite in Italia è semplicemente straordinaria, perché c’è un’enorme diversità culturale, che è una ricchezza. Oggi ogni regione d’Italia dovrebbe sfruttare il proprio patrimonio culturale, al di là dei confini, iniziando a mostrare l’Italia come il faro della prossima fase del “sogno europeo”. Ricordatevi che sono stati gli italiani, con Altiero Spinelli, a portare l’Europa nel “sogno europeo”. Ora è un nuovo inizio: non penso che nessuno dica di no all’Europa. Ma è tempo di riflettere, a livello italiano ed europeo, su come passare meglio alla prossima fase del sogno europeo. E di fare le trasformazioni necessarie per rendere l’Europa più collaborativa e più forte, più adatta agli interessi delle comunità locali d’Europa: questa è la chiave.