Archivio del Tag ‘popoli’
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Craxi nel ‘90: soldi ai poveri, e il mondo guarirà entro il 2020
«Proporre ai paesi poveri del mondo un “contratto di solidarietà” che rompa, entro il 2020, il ciclo infernale della miseria e della fame». Così parlava Bettino Craxi a Parigi nel lontanissimo 1990. La proposta: cancellare il debito del Terzo Mondo. Noi cos’abbiamo fatto, in trent’anni, su quel fronte? Meno di zero. Il 2020 è praticamente arrivato, e quei paesi (sempre più poveri) vomitano disperati sulle sponde del Mediterraneo. Rileggere oggi le parole di Craxi – riportate all’epoca dai quotidiani – fa semplicemente piangere: qualcuno ricorda una sola sillaba, di tenore paragonabile, pronunciata negli ultimi decenni da uno qualsiasi dei famosi campioni dell’Unione Europea? Siamo sgovernati da infimi ragionieri e grigi yesmen al servizio del capitale finanziario neoliberista che i tipi come Craxi li ha esiliati in Tunisia, trasformandoli in profughi politici – corsi e ricorsi, nell’amara ironia della storia: importiamo derelitti, dopo aver cacciato leader autorevoli e dotati di visione strategica. Nel ‘90, Craxi intervenne nella capitale francese in qualità di rappresentante personale del segretario generale dell’Onu per i problemi del debito del Terzo Mondo, dinanzi alla Conferenza parigina dei 41 paesi più poveri del pianeta.Un discorso, scrisse Franco Fabiani su “Repubblica” – nel quale Craxi ha ripercorso quelli che ha definito «i sentieri statistici della povertà che solcano il globo con la loro sfilata di drammatici indici della miseria e del sottosviluppo, dall’America latina all’Asia, dal Medio Oriente all’Africa subsahariana». Circa un miliardo di persone definite povere nelle statistiche ufficiali della Banca Mondiale (senza comprendere la Cina) costrette a fare i conti con risorse inferiori a quelle che occorrono per il minimo vitale. Erano quattro, per Craxi, i maggiori problemi da affrontare: nodi che – ieri come oggi – turbano, in questo contesto drammatico, «la ricerca dell’equilibrio e della prosperità di tutto il nostro pianeta: le guerre, la povertà, il debito, il degrado ecologico e ambientale». Africa e Asia, Medio Oriente, America Latina: aree tormentate negli anni ‘80 da guerre, guerriglie tra Stati e popoli e gruppi di diverse ideologie. Tragedie che hanno prodotto «distruzioni e persecuzioni, ma anche e soprattutto costi economici enormi, che hanno aumentato a dismisura l’indebitamento». Di qui la ricetta di Craxi, proposta alle 150 delegazioni presenti a Parigi: sviluppare una cooperazione con questi paesi per mettere fine ai conflitti e alleviare il debito, cominciando dai paesi che rispettano i diritti umani.In una parola: «Concentrare gli sforzi politici e finanziari per spezzare l’intreccio perverso guerra-povertà». E quindi, innnanzitutto: fare il possibile per evitare nuove guerre. Quella in agenda nel ‘90 era la prima Guerra del Golfo, a cui il “profeta” Craxi si opponeva: un conflitto nel Golfo, sosteneva, «trascinerebbe con sé un carico incalcolabile di distruzioni e di conseguenze tragiche di cui proprio i paesi più poveri sarebbero le prime vittime». Ed ecco la proposta strategica: «Cancellare sino al 90% del debito bilaterale, mentre il restante 10% dovrebbe essere convertito in moneta locale, per farlo affluire ai progetti di sviluppo economico, di formazione di capitale umano e di tutela dell’ambiente». La cancellazione del debito verso i paesi poveri «comporterebbe un onere annuo pari al 10% del Pil dei paesi donatori, cui si dovrebbe aggiungere almeno una percentuale identica di nuovi aiuti». In questo modo, secondo Craxi, «si potrebbe avere una robusta crescita dei paesi più poveri che consentirebbe loro di debellare la fame entro il 2020». Unica condizione: la stabilità del prezzo del petrolio, e quindi la pace. Un simile discorso, oggi, in Europa, avrebbe bisogno di un traduttore specializzato: la lingua di Craxi sembra estinta, come quella dei Sumeri.«Proporre ai paesi poveri del mondo un “contratto di solidarietà” che rompa, entro il 2020, il ciclo infernale della miseria e della fame». Così parlava Bettino Craxi a Parigi nel lontanissimo 1990. La proposta: cancellare il debito del Terzo Mondo. Noi cos’abbiamo fatto, in trent’anni, su quel fronte? Meno di zero. Il 2020 è praticamente arrivato, e quei paesi (sempre più poveri) vomitano disperati sulle sponde del Mediterraneo. Rileggere oggi le parole di Craxi – riportate all’epoca dai quotidiani – fa semplicemente piangere: qualcuno ricorda una sola sillaba, di tenore paragonabile, pronunciata negli ultimi decenni da uno qualsiasi dei famosi campioni dell’Unione Europea? Siamo sgovernati da infimi ragionieri e grigi yesmen al servizio del capitale finanziario neoliberista che i tipi come Craxi li ha esiliati in Tunisia, trasformandoli in profughi politici – corsi e ricorsi, nell’amara ironia della storia: importiamo derelitti, dopo aver cacciato leader autorevoli e dotati di visione strategica. Nel ‘90, Craxi intervenne nella capitale francese in qualità di rappresentante personale del segretario generale dell’Onu per i problemi del debito del Terzo Mondo, dinanzi alla Conferenza parigina dei 41 paesi più poveri del pianeta.
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Piramide schiavista: gli “amici” dei migranti sono i loro killer
Si dice spesso che quello dell’immigrazione sia “un problema complesso”, e che non lo si possa quindi risolvere con una semplice formula di due righe. Questo è verissimo, ma quando poi si cerca di analizzare questa complessità ci si trova davanti ad un garbuglio intricato di concetti che tendono a mescolarsi continuamente fra di loro. Forse un piccolo grafico può aiutare, se non altro a separare fra di loro i vari livelli del problema. Al livello più basso ci sono sicuramente i migranti stessi. Ovvero la carne umana, l’oggetto del contendere, la cristallizzazione fisica del problema reale. Centinaia di migliaia di disperati che lasciano le loro terre vuote di promesse alla ricerca di un futuro migliore. Queste masse si spingono istintivamente verso nord, attratte dal miraggio del benessere europeo. Ma fra loro e questo miraggio si frappone un problema: il viaggio. I paesi europei infatti non accettano un’immigrazione libera, da qualunque parte del mondo. E’ quindi necessario arrivare in Europa con metodi illegali. E qui subentrano gli schiavisti, che si approfittano del desiderio di queste persone di raggiungere l’Europa, e ne traggono un notevole vantaggio economico.I migranti vengono raccolti in veri e propri lager sulle coste africane, e vengono spediti con mezzi di fortuna attraverso il mare, dopo essere stati torturati, schiavizzati e sfruttati, e dopo che a loro è stato spremuto dalle tasche fino all’ultimo soldo che possedevano. In mezzo al mare ci sono ad attenderli le navi delle Ong, che rappresentano il “lato buono” dello schiavismo. Mentre i negrieri africani sfruttano apertamente i migranti prima di mandarli in mezzo al mare, coloro che li raccolgono lo fanno – almeno ufficialmente – per motivi umanitari. Chi paghi il costo di queste navi, chi paghi lo stipendio ai suoi marinai, chi paghi le tonnellate di viveri che trasportano non è mai stato molto chiaro, perché a quanto pare queste Ong non sono obbligate ad una particolare trasparenza finanziaria. Ma diciamo, almeno per adesso, che siano tutti motivati da puro spirito umanitario, e andiamo avanti. Una volta che le navi hanno raccolto in mare i naufraghi li rifocillano, li curano se ne hanno bisogno, e li scaricano in qualche porto europeo, quasi sempre italiano (o almeno fino a ieri le cose funzionavano così).A questo punto entrano in scena i popoli europei, ovvero coloro che si vedono riversare queste masse di migranti nelle loro strade e nelle loro piazze, e che non sono quasi mai contenti di assistere a questo spettacolo. Un po’ perché la presenza di questi migranti crea un senso di insicurezza fisica nelle popolazioni, un po’ perché si teme una lenta ma irreversibile “colonizzazione” del nostro sistema culturale (curioso, vero? I colonizzatori di una volta temono oggi di essere colonizzati). I popoli europei lamentano la loro insoddisfazione per questa “invasione” di popoli africani, e quindi si rivolgono alla politica perché metta un freno a questo fenomeno. E così i politici, che traggono la loro linfa vitale dallo stesso consenso popolare, cercano di agire in modo da ottenere un ampliamento del loro supporto elettorale. Ma c’è anche un altro aspetto della faccenda, che impedisce ai politici di viaggiare tutti nella stessa direzione: i migranti infatti creano problemi, ma rendono anche dei soldi. Molti soldi. Per ogni migrante presente sul suolo nazionale, lo Stato eroga 35 euro a testa al giorno. E di questi 35 euro soltanto due vanno direttamente nelle tasche dei migranti. Tutti gli altri vengono dati alle cooperative che li gestiscono, e che – teoricamente – dovrebbero mantenerli in modo dignitoso.Ma tutti sappiamo che buona parte di quei soldi rimangono invece nelle tasche delle cooperative stesse. Il guadagno è proprio lì, nel non dover rendere conto allo stato di come vengono spesi i soldi ricevuti. E a questo punto sarebbe stupido pensare che queste cooperative non abbiano un legame, diretto o indiretto, proprio con quella politica che determina da una parte i flussi migratori, e dall’altra i flussi di denaro verso di loro. La famosa frase di Buzzi, «c’è più da guadagnare con i migranti che con la droga», sintetizza il problema in maniera esemplare. Abbiamo quindi, da una parte, una classe politica che vorrebbe soddisfare le necessità di sicurezza e tranquillità della propria popolazione, ma dall’altra una classe politica che è anche inevitabilmente tentata di fare affari con l’immigrazione stessa. Nascono così i due partiti: quello del “tutti a casa”, e quello dell’“accogliamoli a braccia aperte, siamo tutti fratelli su questo pianeta”. Ovvero, il cosiddetto “razzismo xenofobo” da una parte, e il cosiddetto “buonismo universale” dall’altra. Ma, fra i politici che incarnano queste diverse posizioni e la popolazione che tende a polarizzarsi su di esse, esiste una categoria intermedia, che è quella dei giornalisti. Sono loro infatti a rimestare nel calderone, e a fare continuamente leva – nei loro infiniti talk-show – sulle varie emozioni della popolazione. A volte calcano in modo quasi terroristico sul senso di insicurezza diffuso, altre volte promuovono in modo disgustoso il buonismo a 360°.E fin qui abbiamo descritto solo quella che può essere la parte visibile del problema, e cioè la catena di interessi concorrenti che ci ha portato allo scontro sociale a cui siamo assistendo in questi giorni. Poi però c’è il lato nascosto del problema, ovvero le élites finanziarie. “Quelli che hanno i soldi”, tanto per capirci, ovvero quelli che detengono il vero potere nel mondo di oggi. Sono infatti le stesse élites finanziarie, nella forma di inappuntabili corporations, che hanno invaso e depauperato il continente africano nell’ultimo secolo, e che non esitano a causare guerre e genocidi pur di trarre un vantaggio economico per i propri azionisti. E’ quindi lo sfruttamento macro-economico dei grandi capitali che sta alla base dell’impulso migratorio dall’Africa verso l’Europa. E nel cedere a questo impulso, gli stessi africani vengono ad alimentare, nel micro, tutta una catena di sub-economie che rendono denaro a schiavisti, mafiosi e forse alle stesse organizzazioni “umanitarie” che gestiscono il fenomeno migratorio. Pensate che bello: a generare il problema all’ultimo livello sono quelli del primo livello. E in mezzo ci sono tutti gli altri – ci siamo noi, e ci sono loro – a scannarci gli uni contro gli altri per un tozzo di pane dal mattino alla sera.(Massimo Mazzucco, “La piramide del fenomeno migratorio”, dal blog “Luogo Comune” del 13 giugno 2018).Si dice spesso che quello dell’immigrazione sia “un problema complesso”, e che non lo si possa quindi risolvere con una semplice formula di due righe. Questo è verissimo, ma quando poi si cerca di analizzare questa complessità ci si trova davanti ad un garbuglio intricato di concetti che tendono a mescolarsi continuamente fra di loro. Forse un piccolo grafico può aiutare, se non altro a separare fra di loro i vari livelli del problema. Al livello più basso ci sono sicuramente i migranti stessi. Ovvero la carne umana, l’oggetto del contendere, la cristallizzazione fisica del problema reale. Centinaia di migliaia di disperati che lasciano le loro terre vuote di promesse alla ricerca di un futuro migliore. Queste masse si spingono istintivamente verso nord, attratte dal miraggio del benessere europeo. Ma fra loro e questo miraggio si frappone un problema: il viaggio. I paesi europei infatti non accettano un’immigrazione libera, da qualunque parte del mondo. E’ quindi necessario arrivare in Europa con metodi illegali. E qui subentrano gli schiavisti, che si approfittano del desiderio di queste persone di raggiungere l’Europa, e ne traggono un notevole vantaggio economico.
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La Gruber al Bilderberg, Mazzucco: davvero ve ne stupite?
Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.Nulla che, ovviamente, possa sperare di perforare il muro di gomma della cosiddetta informazione televisiva, nonostante il ruolo anche istituzionale del politico maltese – europarlamentare dal 2013. Ma appunto: qualcuno si aspetta, davvero, che Lilli Gruber e soci si mettano, di punto in bianco, a raccontare qualcosa che assomigli alla verità? Certo che no, rispondono ormai 3 italiani su 4: secondo l’ultimo sondaggio targato Pew Research, l’Italia è il paese europeo con meno fiducia, in assoluto, nei propri media mainstream, cartacei e radiotelevisivi. I soloni di “Repubblica” e del “Corriere”? Possono, appunto, continuare a pontificare a reti unificate nei salotti come quelli della Gruber, ma il prestigio dei loro giornali è in caduta libera, così come loro vendite. Secondo i ricercatori statistici, ormai l’Italia “gialloverde” la verità se la cerca altrove: il 50% del campione ammette di informarsi direttamente sul web, se vuol tentare di capire cosa sta succedendo nel paese e nel resto del mondo. Un italiano su due – come confermato platealmente dal risultato elettorale – sa benissimo che non può più fidarsi della “fabbrica delle fake news” denunciata magistralmente da Marcello Foa, nel saggio “Gli stregoni della notizia” che smaschera le bufale “vendute”, una dopo l’altra, dai grandi media.La Gruber al Bilderberg? Siamo seri, sottolinea Mazzucco: se il più malfamato club finanziario del mondo pubblica le liste degli invitati e pure l’ordine del giorno per il summit di Torino, significa che poi tanto segreto non è. «Esistono, le vere società segrete? Certamente. E in quanto tali, appunto, agiscono nella massima segretezza: non c’è caso che possiamo venire a sapere quello che combinano». Ma attenzione, avverte Mazzucco: «Il fatto che qualcuno provi a cambiare il mondo segretamente, non significa che poi ci riesca». Il nuovo ordine mondiale? Un progetto in pieno corso, ma non lineare: ci sono complotti, provocazioni, forzature. Ma non è un’unica piramide: anche ai vertici, ci sono spaccature profonde. «E poi esistono contropoteri, popoli, elezioni. Nel nostro piccolo ci siamo anche noi, che – facendo informazione – possiamo fare la nostra parte per limitare i danni provocati dalla manipolazione». La tesi della “massoneria buona” opposta a quella “cattiva”? «Perfettamente coerente con la divisione fondamentale dell’umanità: da una parte chi vuol tenere tutto per sé, e dall’altra chi tende, per indole e per cultura, a essere più generoso e democratico». L’importante, dice Mazzucco, è non dimentare mai che la storia non procede per linee rette. E comunque, nella storia, ci siamo anche noi.Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.
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Sorpresa: non sono più i nostri nemici a gestire lo spread
Colpo di scena: non sono più i soliti “signor no” europei, da Mario Draghi ad Angela Merkel, a pilotare lo spread, fino a ieri usato come clava contro l’Italia. «Visto? Lo spread cala, da quando si è insediato il governo Conte», sottolinea a “Colors Radio” Gioele Magaldi, il primo a svelare il retroscena massonico che ha opposto Sergio Mattarella a Paolo Savona. «E’ in atto un duro confronto in seno alla massoneria sovranazionale: da una parte l’ala conservatrice, che sostiene l’establishment europeo, e dall’altra i circuiti massonici progressisti, scesi in campo per difendere il governo “gialloverde”». Tema: interpretare l’Italia come banco di prova per la fine del rigore euro-tedesco, con i suoi terminali italiani. Ieri Monti e Napolitano, poi i pallidi Letta, Renzi e Gentiloni, fino all’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, vicinissimo a Draghi, e ovviamente allo stesso Mattarella, arrivato al punto di interdire a Savona l’accesso al ministero dell’economia, dopo aver spedito Conte in udienza da Visco. Poi però è accaduto qualcosa che Berlino, Bruxelles e Francoforte non potevano prevedere: il loro braccio di ferro sullo spread è crollato subito, mentre Trump calava sulla Germania la mazzata dei dazi sull’acciaio. Il “golpe bianco” è durato solo 48 ore: giusto il tempo di capire che, forse, qualcosa – in Europa – è cambiato una volta per tutte: la “cricca del rigore” non potrà più ricattare e intimidire intere nazioni, in spregio al voto popolare?Ci attendono settimane piene di incognite, ammette Magaldi, perché il vero scontro – sul piano internazionale – è appena cominciato. Certo, oggi fa impressione vedere la cancelliera di ferro che scende a più miti consigli e si affretta, fuori tempo massimo, a riconoscere che l’Italia è stata completamente abbandonata di fronte all’emergenza-migranti che ha gonfiato la Lega di Salvini. Già esponente della superloggia sovranazionale progressista Thomas Paine, attraverso il Grande Oriente Democratico lo stesso Magaldi, presidente del Movimento Rooasevelt, è in prima linea nell’ambiente culturale massonico-progressista che vede nell’Italia il possibile punto di svolta della lunghissima crisi europea. «Sarà proprio dal nostro paese che partirà una riscossa democratica su scala continentale», profetizzava già nel 2014, presentando il saggio “Massoni” (Chiarelettere) che svela l’identità supermassonica del vero potere europeo, negli ultimi trent’anni in mano a cripto-massoni oligarchici, reazionari e neo-aristicratici (gli inventori del rigore spacciato per normalità fisiologica, dopo aver svuotato la democrazia confiscando sovranità a colpi di diktat).E’ il ben noto scenario dell’orrore organizzato dall’Ue e da Berlino: bilanci strozzati dai vicoli di spesa, e quindi crisi, disoccupazione, tasse, risparmi in fumo, giovani in fuga. Uno scempio deciso dagli eurocrati, veri e propri nemici dell’unità europea: grazie a loro, infatti, è esploso l’euroscetticismo ormai maggioritario. Che fare? Ovvio: estendere la spesa, dopo aver contrattato con Bruxelles l’intero sistema Ue. Impossibile mettere in campo il programma “gialloverde” (Flat Tax, reddito di cittadinanza pensioni dignitose) senza prima “sbullonare” l’ordoliberismo teutonico, oggi messo sotto attacco direttamente dagli Usa, scesi in campo accanto all’Italia. Magaldi tifa per il governo Conte, ma con giudizio: «Guai se aumenta l’Iva, perché sarebbe una misura pericolosamente recessiva. E guai se arretra, sul terreno dei diritti civili». Naturalmente, i media mainstream “vedovi” del Pd sono saltati addosso al ministro leghista Lorenzo Fontana, protagonista di un’infelice uscita sulle unioni civili. «Apprezzo però la tempistività con cui è intervenuto Salvini, chiarendo che Fontana parlava a titolo personale: le sue idee non rientrano nel programma di governo».L’ottimismo di Magaldi non è incondizionato: «Ci sono ottime premesse, insieme alla garanzia che Paolo Savona – l’uomo che Mattarella non voleva – costituirà una sapiente cabina di regia per gestire con Bruxelles la rinegoziazione dei trattati europei. Però bisogna stare a vedere che cosa realmente questo governo riuscirà a fare». E a chi si interroga sull’affidabilità dei 5 Stelle, Magaldi risponde con lo sguardo del politologo: «In tandem con Salvini, i pentastellati hanno avuto il merito storico di rompere la finzione dello scontro apparente tra centrodestra e centrosinistra, che in vent’anni hanno solo finto di combattersi, sottoscrivendo in realtà tutte le politiche di rigore imposte, via Ue, da un’oligarchia privatistica: quella che oggi, finalmente, guarda con preoccupazione alla svolta democratica italiana». A quanto pare, il futuro potrebbe rimettersi a correre, archiviando il mancato riformatore Berlusconi e il suo sodale Renzi, ultimo yesman del potere eurocratico. Sta cambiando tutto? Per il 14 luglio – data non casuale – Magaldi annuncia l’avvio di grandi manovre per la creazione di un nuovo soggetto politico liberalsocialista, che si metta in marcia – da posizioni keynesiane – per supportare il “cambio di paradigma”, oggi affidato alla compagine giudata da Conte. Obiettivo: demolire, per sempre, la grande menzogna neoliberista del rigore “virtuoso”, inventata dall’élite per derubare i popoli.Colpo di scena: non sono più i soliti “signor no” europei, da Mario Draghi ad Angela Merkel, a pilotare lo spread, fino a ieri usato come clava contro l’Italia. «Visto? Lo spread cala, da quando si è insediato il governo Conte», sottolinea a “Colors Radio” Gioele Magaldi, il primo a svelare il retroscena massonico che ha opposto Sergio Mattarella a Paolo Savona. «E’ in atto un duro confronto in seno alla massoneria sovranazionale: da una parte l’ala conservatrice, che sostiene l’establishment europeo, e dall’altra i circuiti massonici progressisti, scesi in campo per difendere il governo “gialloverde”». Tema: interpretare l’Italia come banco di prova per la fine del rigore euro-tedesco, con i suoi terminali italiani. Ieri Monti e Napolitano, poi i pallidi Letta, Renzi e Gentiloni, fino all’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, vicinissimo a Draghi, e ovviamente allo stesso Mattarella, arrivato al punto di interdire a Savona l’accesso al ministero dell’economia, dopo aver spedito Conte in udienza da Visco. Poi però è accaduto qualcosa che Berlino, Bruxelles e Francoforte non potevano prevedere: il loro braccio di ferro sullo spread è crollato subito, mentre Trump calava sulla Germania la mazzata dei dazi sull’acciaio. Il “golpe bianco” è durato solo 48 ore: giusto il tempo di capire che, forse, qualcosa – in Europa – è cambiato una volta per tutte: la “cricca del rigore” non potrà più ricattare e intimidire intere nazioni, in spregio al voto popolare?
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Scanu: sovranità svenduta illegalmente all’oligarchia Ue-Bce
Dalle parole di Mattarella, protagonista dello strano veto su Paolo Savona all’economia, fermato sulla soglia di quel ministero “in nome dei mercati”, sembrerebbe che i trattati europei abbiano ridotto a zero la nostra sovranità. Ma è davvero così? Aderendo ai trattati europei – si domanda Patrizia Scanu – abbiamo ridotto a tal punto la nostra sovranità, quantomeno cedendone una parte? E soprattutto: «Se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione?». Ovvero: «La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere?». In prospettiva: «Come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione?», si chiede Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt. «Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?». Il gesto di Mattarella, aggiunge la Scanu, «appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi: si tratta della compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero) e i trattati europei».Sovranità? Un concetto complesso, «lungamente dibattuto nella filosofia del diritto, in parallelo al percorso storico che porta alla formazione degli Stati moderni». Intesa come sovranità dello Stato – argomenta Patrizia Scanu – esprime l’idea che lo Stato, inteso come persona giuridica, abbia esclusivo potere nell’ambito del proprio territorio. Uno Stato indipendente da altri poteri esterni, che esercita una supremazia nei confronti dei suoi abitanti. Il filosofo Thomas Hobbes, che pure aveva una visione assolutista del potere statale, lo vedeva comunque originarsi da un “contratto sociale” stretto fra gli uomini: per contenere la violenza insita nella loro natura, gli individui cedono la sovranità allo Stato, sottomettendosi totalmente ad esso. «Nella versione più attuale, che si avvale delle riflessioni successive di Grozio, Althusius, Locke e soprattutto Rousseau, e delle discussioni dei coloni della Nuova Inghilterra fra ‘600 e ‘700 – spiega la professoressa Scanu – la sovranità non solo si origina, ma resta nel popolo, poiché gli esseri umani ne sono titolari a prescindere dall’ordinamento giuridico dello Stato». Si parla perciò di “sovranità popolare”, nel senso che i cittadini – individui liberi e sovrani, portatori di diritti – concordano di delegare allo Stato la sovranità, per far funzionare la società in modo ordinato, restandone però unici titolari.I governanti – almeno nelle democrazie indirette – sono rappresentanti del popolo, scelti ed espressi dalla sovranità popolare e agiscono in nome e per conto del popolo, che li può revocare e sostituire. Come recita l’articolo 1 della Costituzione Italiana, “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ovvero la esercita per lo più nelle modalità della democrazia indiretta e rappresentativa e nella cornice dell’ordinamento giuridico dello Stato. La Costituzione, sottolinea Patrizia Scanu, prevede anche una limitazione alla sovranità. All’articolo 11, dice: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La Costituzione dice, insomma, che la sovranità è e resta del popolo, ma che lo Stato può accettare particolari limitazioni alla sovranità all’unico scopo di assicurare la pace e la giustizia a livello internazionale (sentite evidentemente come un bene superiore) e in condizioni di parità con altre nazioni.Ma limitare – a certe condizioni – la propria sovranità vuol dire cederla? No: limitare e cedere non sono ha stessa cosa, come ha rilevato il Gip del tribunale di Cassino, Massimo Lo Mastro, in un decreto emesso in risposta ad una opposizione all’archiviazione di una denuncia dell’avvocato Marco Mori contro Laura Boldrini. «Proprio perché senza sovranità lo Stato non esisterebbe, i limiti della Costituzione in materia di compressione del potere d’imperio dello Stato sono rigorosi». Proprio per questo, scrive Lo Mastro, il legislatore si è occupato di sanzionare penalmente la lesione del potere d’imperio dello Stato: si parla infatti di “delitti contro la personalità giuridica internazionale dello Stato” ove ne risultino integrati gli estremi soggettivi e oggettivi. Sulla base dell’articolo 11 della Costituzione, aggiunge il magistrato, la sovranità non può dunque essere ceduta, ma solo limitata. E anche le mere limitazioni hanno ulteriori “limiti”: «Fermo il divieto assoluto di cessioni, la limitazione della sovranità può avvenire unicamente in condizioni di reciprocità ed al fine esclusivo (ogni altra soluzione è stata espressamente bocciata in seno all’Assemblea Costituente) di promuovere un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni».Limitare, precisa il magistrato, significa «circoscrivere un potere entro certi limiti», ovvero «omettere di esercitare il proprio potere d’imperio (che pure deve rimanere intatto) in una determinata materia, oppure di esercitarlo all’interno di certi limiti generalmente riconosciuti dal diritto internazionale ai fini di pace e cooperazione fra le nazioni». Tutto questo, purché il contenimento del proprio potere (che “appartiene al popolo”) sia in ogni caso rispettoso dei limiti costituzionali. «La cessione di sovranità – chiosa Lo Mastro – comporta invece la consegna ad un terzo di un potere d’imperio proprio di uno Stato che così per definizione perde anche la propria indipendenza». Questo vuol dire che, se cessione di sovranità c’è stata – e c’è stata sicuramente, scrive Patrizia Scanu, visto che se per esempio la Bce è indipendente ed ha sovranità monetaria – significa che noi vi abbiamo rinunciato e abbiamo perso l’indipendenza. Una cessione dunque «non legittima»: chi l’ha permessa «ha commesso un reato». Alla lettera: «Nessun trattato europeo può avere più forza della nostra Costituzione. Un presidente della Repubblica non può subordinare la sovranità popolare ai vincoli di trattati internazionali; semmai deve fare il contrario», scrive la Scanu, visto che «ha giurato di difendere la Costituzione», non i trattati europei.Restando al popolo la sovranità, quei trattati «possono pacificamente essere ridiscussi o rigettati, purché nelle forme previste dalla Costituzione, ovvero se questa è la volontà del popolo, espressa con il voto». Questo, osserva Patrizia Scanu, «vuol dire anche che la via d’uscita da questa situazione intollerabile consiste nel riprendersi la sovranità così malamente compressa e calpestata». In altre parole: «Rivendicare sovranità – prima di tutto, sovranità monetaria – non vuol dire né tornare agli Stati nazionali del periodo pre-bellico né uscire dall’Unione Europea né necessariamente uscire dall’euro. Vuol dire al contrario portare a compimento quel processo di federazione europea che farebbe dell’Europa un contrappeso adeguato al dominio delle grandi potenze, Usa e Cina soprattutto (non certo spettatori disinteressati)». Significa «riprendersi la facoltà di emettere moneta nazionale», magari sotto forma di Stato-note o di crediti fiscali, come spiega da tempo l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: una misura percorribile anche senza uscire dall’euro. Vuol dire «riportare sotto controllo dei cittadini i poteri extranazionali, non eletti e cooptativi che ci hanno imposto questo ordine neoliberista», in primis la Commissione Europea e la Bce per «riportare in primo piano il benessere e i diritti dei cittadini, invece delle esigenze della finanza internazionale».Insiste Patrizia Scanu: «Non è pensabile una sovranità europea che si costituisca per cessione della sovranità nazionale, come sommatoria di non-Stati, perché senza sovranità popolare non c’è Stato democratico, e se i cittadini di un paese non possono esprimere la loro volontà politica, non siamo più in democrazia». Lo Stato moderno? «E’ entrato in crisi con la globalizzazione, ma non abbiamo ancora inventato una forma politica diversa». I trattati europei? «Sono contratti giuridici fra Stati nazionali, che sono i soggetti contraenti, ciascuno pienamente titolare della propria sovranità: rinunciare ad essa è un suicidio». Impossibile fare scempio in questo modo del vecchio continente: «L’Europa è troppo ricca di storia e di differenze nazionali perché esse possano essere ignorate, ma è anche effettivamente portatrice di una cultura condivisa e di una coscienza comune. Lo scenario attuale è desolante, perché disattende i principi istitutivi dell’Unione Europea». Lo ricorda lo stesso Paolo Savona nel 2015: in teoria, l’Ue aveva formalmente promesso «lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale», senza trascurare «la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».La crisi della Grecia – osserva Savona – ha mostrato quanto la realtà sia lontana dalle enunciazioni di principio: «Invece di uscire dal paradosso di un non-Stato europeo formato da non-Stati nazionali si intende approfondire questa strana configurazione istituzionale, perché appare vantaggiosa a pochi paesi capeggiati dalla Germania». Per Patrizia Scanu, «stiamo assistendo a una feroce competizione economica fra gli Stati dell’Unione, a cominciare dal mercantilismo tedesco, a uno spaventoso trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi e dall’economia reale ai mercati finanziari». E abbiamo governi che, uno dopo l’altro, «hanno tradito lettera e sostanza della Costituzione, cedendo progressivamente quote di sovranità per loro indisponibili, rendendoci subalterni a poteri oligarchici, estranei e autoreferenziali che tutto hanno a cuore, fuorché il nostro interesse di cittadini». Prima risposta: «Prendere consapevolezza del colossale inganno perpetrato a nostro danno, con l’illusione del sogno europeo». E quindi, «ridiscutere radicalmente i trattati europei, per rifondare l’Europa su basi autenticamente democratiche». Può sembrare un paradosso, conclude Patrizia Scani, ma «chi critica l’euro e i trattati europei ha l’Europa più a cuore di chi si straccia le vesti di fronte ad ogni ipotesi di cambiamento, come stanno facendo in questi giorni i dirigenti del Pd ormai in pieno stato confusionale, e intanto svende senza contraccambio (almeno per noi) la nostra sovranità nazionale, la nostra economia e il nostro futuro».Dalle parole di Mattarella, protagonista dello strano veto su Paolo Savona all’economia, fermato sulla soglia di quel ministero “in nome dei mercati”, sembrerebbe che i trattati europei abbiano ridotto a zero la nostra sovranità. Ma è davvero così? Aderendo ai trattati europei – si domanda Patrizia Scanu – abbiamo ridotto a tal punto la nostra sovranità, quantomeno cedendone una parte? E soprattutto: «Se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione?». Ovvero: «La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere?». In prospettiva: «Come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione?», si chiede Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt. «Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?». Il gesto di Mattarella, aggiunge la Scanu, «appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi: si tratta della compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero) e i trattati europei».
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Massoni, manovre, bugie e omissioni sull’Italia gialloverde
Un presidente della Repubblica che ammette a reti unificate che il paese è ostaggio dei mercati finanziari privati. L’oligarchia euro-tedesca che minaccia apertamente la fine dell’Italia. E l’uomo di Trump che si precipita a Roma per ostacolare i terminali di Berlino e, infine, premere in senso opposto sull’establishment conservatore. Obiettivo: far nascere un governo ibrido e sotto ipoteca, con promesse impossibili da mantenere senza prima scardinare il paradigma teologico europeista del rigore suicida, imposto a mano armata dalla massoneria reazionaria che ha in mano la governance della Germania, della Bce e dell’Unione Europea. L’analista geopolitico Federico Dezzani sottolinea il ruolo di primo piano svolto dall’asse angloamericano nella crisi italiana, evidenziando le mosse di Steve Bannon e dell’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg, che ha incontrato Salvini e Di Maio a fine marzo. Quindi i britannici: «Lo stesso Movimento 5 Stelle è un prodotto più inglese che americano, come dimostrano la lunga carriera di Gianroberto Casaleggio presso il colosso dell’informatica inglese Logica Plc e il doppio passaporto, italiano e britannico, del figlio Davide». Sempre secondo Dezzani, Londra ha giocato un ruolo decisivo nella nascita del governo giallo-verde «attraverso il “protestante” Jorge Mario Bergoglio che, a sua volta, ha schierato l’ancora influente Conferenze Episcopale Italiana».
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Foa e Mélenchon: umiliare l’Italia, il piano è euro-tedesco
«L’establishment europeista ha deciso di spezzare le reni all’Italia, come ha già fatto con la Grecia». Per Marcello Foa, lo scenario che si profila è il seguente: «Scatenare una crisi paurosa del debito pubblico italiano, spingendo lo spread a livelli mai visti». Ovvero: «Provocare il panico, fino al momento in cui l’Italia verrà commissariata e Mattarella invocherà per il bene supremo del paese la fiducia a Cottarelli (già in carica) e/o l’introduzione di misure straordinarie, come il rinvio sine die delle elezioni e la conseguente distruzione della reputazione e della popolarità di Salvini e di Di Maio, che verranno indicati come i responsabili di questa crisi». Se il piano avrà successo, aggiunge Foa sul “Giornale”, servirà da monito a tutti i paesi europei dove i movimenti “populisti” sono in ascesa. E comporterà la definitiva sottomissione dei popoli europei alle oligarchi. «Come dire: colpirne uno per educarne cento. Perché queste sono le logiche, indegne e autoritarie». Per questo motivo, sottolinea Foa, «opporsi è un dovere civico e morale: il piano deve fallire». In ogni caso, scrive Giampaolo Rossi sempre sul “Giornale”, proprio il capo dello Stato è al centro di questo incredibile «disastro istituzionale», che sta mettendo in pericolo l’Italia. La scena è eloquente: il paese è indifeso, con il presidente della Repubblica che si piega apertamente al potere – più forte – dei cosiddetti “mercati”.«Berlino fatica a formare il governo italiano»: così si esprime sulla situazione italiana il leader di ‘La France Insoumise’, Jean-Luc Mélenchon, attraverso un articolo sul suo blog. Con la lucidità che lo contraddistingue, rileva “L’Antidipliomatico”, l’esponente della gauche francese afferma: «La catastrofe è consumata, in Italia. Uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea è stato colpito dai fulmini della Commissione Europea e dei suoi padroni berlinesi. L’Unione Europea ha mostrato il suo pugno di ferro. Piuttosto che avallare la nomina di un ministro delle finanze sconveniente per Berlino, il presidente della Repubblica italiana ha fatto terra bruciata». Estremamente esplicito il giudizio di Mélenchon sul ruolo svolto da Sergio Mattarella: «Il deplorevole presidente italiano – scrive il leader della sinistra francese – compie il suo ruolo con la consapevolezza rude di tutti i curatori fallimentari. Nomina un dirigente del Fondo Monetario Internazionale soprannominato ‘Mister Tagli’. Tutto è detto, con questo soprannome», che ben illustra le presunte virtù di Carlo Cottarelli. Rincara la dose Mélenchon: «Quali motivazioni ha, questo presidente, per compiere una tale violazione della volontà popolare espressa dal voto degli italiani?».«Il presidente italiano – continua Mélenchon – ha invocato, come argomento finale, il rischio di aumentare il divario tra i tassi di interesse tedeschi e italiani. Il guinzaglio, che tiene tutti i paesi per la gola». Come ai bei tempi dello Sme, il “serpente monetario” europeo, in cui «il valore della valuta di ciascun paese dell’Unione Europea era fisso rispetto a quello degli altri, e quindi del più forte». In questo momento, aggiunge il politico francese, «la moneta unica mostra chiaramente che cos’è: non protegge alcun paese, li allinea tutti sulla politica economica della Germania». Jean-Luc Mélenchon, infine, indica chi sono i veri responsabili di quella che si profila come la più grave crisi istituzionale italiana: «L’unica e sola responsabilità per la situazione viene dai dettami di Bruxelles e dalla brutalità dei governanti tedeschi. Berlino lotta per trovare burattini convincenti in Italia per garantirsi il suo dominio». Di fronte a questo, l’inquilino del Quirinale non ha opposto alcuna resistenza: ha anzi dichiarato apertamente, nel suo sconcertante discorso alla nazione, che all’Italia conviene piegarsi alla legge del più forte.«L’establishment europeista ha deciso di spezzare le reni all’Italia, come ha già fatto con la Grecia». Per Marcello Foa, lo scenario che si profila è il seguente: «Scatenare una crisi paurosa del debito pubblico italiano, spingendo lo spread a livelli mai visti». Ovvero: «Provocare il panico, fino al momento in cui l’Italia verrà commissariata e Mattarella invocherà per il bene supremo del paese la fiducia a Cottarelli (già in carica) e/o l’introduzione di misure straordinarie, come il rinvio sine die delle elezioni e la conseguente distruzione della reputazione e della popolarità di Salvini e di Di Maio, che verranno indicati come i responsabili di questa crisi». Se il piano avrà successo, aggiunge Foa sul “Giornale”, servirà da monito a tutti i paesi europei dove i movimenti “populisti” sono in ascesa. E comporterà la definitiva sottomissione dei popoli europei alle oligarchie. «Come dire: colpirne uno per educarne cento. Perché queste sono le logiche, indegne e autoritarie». Per questo motivo, sottolinea Foa, «opporsi è un dovere civico e morale: il piano deve fallire». In ogni caso, scrive Giampaolo Rossi sempre sul “Giornale”, proprio il capo dello Stato è al centro di questo incredibile «disastro istituzionale», che sta mettendo in pericolo l’Italia. La scena è eloquente: il paese è indifeso, con il presidente della Repubblica che si piega apertamente al potere – più forte – dei cosiddetti “mercati”.
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Carotenuto: Iran-Israele, gli oligarchi della prossima guerra
La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.Ognuno ha una parte di ragione, ma nessuno la racconta giusta: la destra israeliana investe sulla paura ben sapendo che Israele «dispone di un territorio così piccolo che, in caso di guerra, potrebbe essere invaso in mezza giornata». Al tempo stesso, Tel Aviv – che denuncia il pericolo del nucleare iraniano – finge di non sapere di disporre di 230 testate atomiche: «Un potenziale pari almeno a quello della Francia e probabilmente della Gran Bretagna, tale da mettere Israele in grado di colpire anche le capitali europee, con missili o almeno con aerei». Sul fronte opposto, non è che l’Iran sia un modello tranquillizzante: «E’ un paese imperialista, fautore di un Islam ostile all’Occidente, e che persegue un suo cinico disegno di potenza regionale». La Russia? «In tanti vedono in Putin una sorta di pacificatore». Ma, al di là dell’effettivo ruolo di stabilizzazione attualmente svolto, il Cremlino «non fa altro che gli interessi della potenza russa». A sua volta, il fronte islamico è spaccato: e gli sciiti iraniani sono quelli che più si sono avvantaggiati dall’aggressione occidentale contro paesi sunniti come l’Iraq. Per l’Occidente, una sequenza di autogol a catena: oggi i soldati di Teheran combattono in Siria al fianco di Assad, il presidente che Obama voleva rovesciare. E in Siria si sono saldati con la potente milizia sciita di Hezbollah, proveniente dal Libano.Gli apprendisti stregoni che dopo l’11 Settembre hanno dato alle fiamme il Medio Oriente devastando l’intera regione, dall’Iraq alla Siria, dalla Libia allo Yemen, oggi vedono Israele accerchiato da nemici filo-iraniani. A sua volta, lo Stato ebraico enfatizza il pericolo per invocare come sempre il supporto degli Usa, senza il quale Tel Aviv non potrebbe disporre del temibile apparato militare che ne fa la principale potenza dell’area. Facile profeta, anni fa, il generale americano Wesley Clark: rivelò che i neocon firmatari del Pnac, il Piano per un Nuovo Secolo Americano, prima ancora del Duemila avevano messo nel mirino tutti i paesi – dall’Afghanistan alla Siria – poi effettivamente colpiti dalle guerre “per conto terzi” a cui stiamo assistendo, con strascichi grottechi che si estendono alla Somalia, dove miliziani filo-sauditi combattono contro guerriglieri armati dal rivale Qatar. Smisurate follie innescate dalla Cia e dal Mossad, che hanno regalato consenso e influenza territoriale proprio all’Iran, l’unico paese – della famosa lista nera – non ancora attaccato direttamente. Succederà a breve? Il rischio è concreto, ammette Carotenuto: ma in caso di guerra, aggiunge, Teheran si rivelerà un osso durissimo. E in ogni caso, prima o poi, avrà l’atomica: raggiungerà cioè una parità strategica con Israle, che già oggi potrebbe cancellare l’Iran a suon di bombe.Carotenuto invita a leggere la situazione evitando semplificazioni o, peggio, l’errore tipico delle tifoserie che parteggiano per gli ipotetici buoni contro gli altrettanto ipotetici cattivi. Si fa presto a dire “Israele”, “l’Iran”, “gli Usa”, come se in guerra fossero intere nazioni. Si tratta di élite pericolose, di oligarchie nascoste. La guerra la fanno davvero, ma il più delle volte sotto falsa bandiera – utilizzando il terrorismo – e comunque agitando retoriche patriottiche che non corrispondono mai alle vere intenzioni degli oligarchi che intessono trame dinamitarde, ogni giorno più pericolose. Da decenni il Medio Oriente petrolifero è la polveriera del mondo: possono cambiare gli attori e il copione può subire variazioni, ma la sostanza non cambia. L’uomo che volle fermare una volta per tutte questa follia – Yitzhak Rabin – fu assassinato nel ‘95 a Tel Aviv: non da palestinesi, ma da un estremista ebraico. Da allora, la situazione è preciptata: l’11 Settembre, le guerre “americane”, l’orrore dell’Isis e l’affermarsi della potenza iraniana, a sua volta – sostiene Carotenuto – controllata da un gruppo di potere “oscuro” che non finirà mai in televisione. Tutti si guardano in cagnesco, col dito sul grilletto. Il pericolo di un’esplosione cresce. Ma i popoli della regione non hanno mai avuto una sola occasione per parlarsi e chiarirsi, in modo trasparente. A dominare, più che mai, è il vecchio copione della guerra, fondato sulla menzogna di chi agita bandiere ma pensa soprattutto ai soldi, sapendo che in ogni caso il “vortice della tensione” è l’alimento perfetto per rendere eterna la logica aberrante del conflitto, che pare destinata a non finire mai. Fino a quando?La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.
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Paolo Rumor: un potere segreto ci domina da 12.000 anni
Un’entità clandestina, sinistra perché invisibile. Segretamente dominante, e molto antica: vecchia di millenni, addirittura. «Mi addolora, aver scoperto l’esistenza di un’Europa nascosta e parallela: interviene nella politica e anche nella cultura, condizionando il nostro mondo». E’ qualcosa di proto-storico, quasi eterno: oggi, attraverso i suoi emissari, questa entità fantasma «agisce accorpando fattori monetari e produttivi, di cui paghiamo le conseguenze sulla nostra pelle», come si è visto nella débacle dell’ultimo decennio. «La distruzione dell’equilibrio monetario europeo è frutto di queste persone». Una cupola misteriosa di origine antichissima: addirittura 12.000 anni. Paolo Rumor la chiama, semplicemente, “la Struttura”. Risalirebbe alla notte dei tempi, nel territorio che vide fiorire la civiltà sumera e poi quella egizia. Ne parlò a suo padre, Giacomo Rumor, l’esoterista e politico francese Maurice Schumann, tra i fondatori del gollismo: gli rivelò, per iscritto, l’esistenza plurimillenaria della “Struttura”. Una conferma viene dal cardinale Montini, futuro Papa Paolo VI e amico di Giacomo Rumor, coinvolto dal Vaticano nella gestazione dell’unità europea per bilanciarne l’esuberante componente massonica.Nomi che ricorrono: il padre di Paolo Rumor era cugino del più celebre Mariano Rumor, esponente della Dc e per 5 volte primo ministro italiano. Lo Schumann menzionato, invece, non ha nulla a che vedere con l’altro Schuman (sempre francese, ma con una sola “enne” nel cognome), cioè l’eurocrate Robert, considerato – insieme al connazionale Jean Monnet – tra i padri fondatori dell’Ue. La notizia? Questo potere oligarchico si considera discendente di una filiera ininterrotta di dominatori, lunga qualcosa come 12 millenni. E’ la verità, piuttosto scioccante, contenuta nel saggio “L’altra Europa”, edito da Panda. Libro che Paolo Rumor ha scritto con l’aiuto del politologo Giorgio Galli, grande conoscitore del ruolo occulto dell’esoterismo nella politica, e dell’architetto Loris Bagnara, studioso dell’archeo-astronomia egizia della piana di Giza. La tesi: un’unica piramide di potere si “passa il testimone” attraverso le epoche, all’insaputa dei popoli che governa – ieri per mezzo di sovrani e condottieri, oggi più prosaicamente attraverso i politici, il più delle volte inconsapevoli del “grande gioco”. Una visione che fa impallidire l’élite “feudale” denunciata da Paolo Barnard, risalente “soltanto” al medioevo, o l’intreccio delle potentissime Ur-Lodges messe clamorosamente in piazza da Gioele Magaldi.«Il progetto iniziale non era di unire l’Europa ma il bacino del Mediterraneo, dove allora si era sviluppata la civiltà», premette Paolo Rumor nella lunga intervista concessa a Fabio Frabetti ai microfoni di “Border Nights”. Tutto nasce dopo la morte del padre, Giacomo Rumor, nel 1981. Il figlio era al corrente del lavoro “diplomatico” condotto dal genitore quarant’anni prima. Brillante avvocato e fervente cattolico, impegnato nella Resistenza, Giacomo Rumor era stato coinvolto nel gruppo di studi promosso dallo stesso presidente americano Roosevelt per preparare l’Europa antifascista del dopoguerra. Erano incontri discreti, spesso clandestini: «Mio padre andava e veniva da Vienna o dal Sud della Francia viaggiando sotto falso nome. In tempo di guerra può sembrare pazzesco, eppure dovevano aver trovato un sistema per evitare controlli». Giacomo Rumor entra in stretto contatto con Maurice Schumann, futuro segretario di Stato francese, che lo mette a parte della verità indicibile. Rumor ne rimane scosso: «Mio padre era un cattolico convinto, e come tale provava fastidio per l’esoterismo», racconta il figlio. La componente esoterica era evidente in Schumann, e a Giacomo Rumor non piaceva. «In effetti dopo un po’ mio padre ha rinunciato all’incarico, rendendosi conto che l’Europa nasceva con un consistente lascito massonico».A Simone Leoni, della rivista “Fenix”, Paolo Rumor riassume l’origine (sconcerante) del libro. «Mio padre non aveva intenzione di pubblicare gli incartamenti in suo possesso, né di rendere noto ciò che aveva conosciuto», premette. «Riteneva che il pubblico non fosse in grado di accettare ciò che lui era venuto a sapere dai suoi privilegiati interlocutori francesi». In sostanza, Giacomo Rumor «pensava che il mondo non fosse ancora maturo per sostenere l’impatto emotivo che possono provocare gli eventi storici reali, quelli mai divulgati al pubblico». Poi, però, all’inizio deglo anni ‘90, Paolo Rumor si accorge che molti indizi stanno ormai venendo a galla, e quindi decide di pubblicare «gran parte di ciò che possedevo». E aggiunge: «Mi sono sentito liberato da un peso che mi gravava sulla coscienza: quello di trattenere notizie che in definitiva appartengono alla collettività e alla storia».Forme di unità continentale sono state l’Impero Romano e poi il Sacro Romano Impero. Ma, secondo Rumor (in base alle carte di suo padre, ottenute da Schumann) l’attuale Unione Europea sarebbe figlia di un progetto molto più antico: il primo disegno organico, scrive, è databile nel II secolo dopo Cristo. Ma risalirebbe in realtà a una determinazione stabilita addirittura attorno al 10.000 avanti Cristo. Ufficialmente, ricorda Rumor, il moderno progetto-Europa è nato dal Mouvement Européen francese, nei primi decenni del 1900. Ma è stato “incubato” da un cenacolo esclusivo del ‘700, l’Ordine delle Ardenne (o di Stenaj), a sua volta risalente al potere imperiale di Roma. La “Struttura” descritta nel libro «non risulta possedere un nome definito», spiega l’autore: «Si maschera dietro altre compagini associative, dinastiche e religiose». Nell’elenco custodito da suo padre, «figura risalire fino al 136 dopo Cristo, ma si parla di un’antecedenza molto maggiore». In altre parole: «Possiamo ritenere che essa esistesse anche durante il periodo romano e alessandrino, evidentemente con scopi diversi da quello prettamente ufficiale, cioè l’unificazione del bacino mediterraneo, in quanto a quel tempo era stata di fatto raggiunta tramite la dominazione romana».Nello scritto che Schumann consegnò a Giacomo Rumor verso la fine degli ani ‘40, «si enunciava un’antecedenza della cosiddetta “Struttura” al decimo millennio avanti Cristo». E’ precisa anche l’ubicazione dell’entità di potere, «centrata prevalentemente nel basso corso del Nilo, nel Golfo Persico (ma in aree oggi sommerse), nel Golfo di Cambaj, a Galonia Laeta, nel “continente di Colba” (non identificabile) e in altri siti di incerta collocazione». Sono dunque così remoti, gli antenati del grande potere oggi alle prese con il “nuovo ordine mondiale” globalista? L’idea di un “nuovo ciclo storico”, spiega Paolo Rumor, «trae origine da concezioni simili, proprie della religione e della visione cosmica dell’antico Egitto dinastico o di altre civiltà del Mediterraneo». L’autore ritiene che vi siano «reali e precise coincidenze tra la collocazione dei siti e la descrizione degli eventi di cui parlano gli incartamenti di monsieur Schumann». Coincidenze peraltro «avvalorate dalla ricerca paleografica avvenuta negli ultimi anni».Le cartografie conservate da Rumor «descrivono la derivazione della prima compagine organizzata in modo civile della storia». E’ la stessa dinamica illustrata nel saggio “Dominio” dall’intellettuale triestino Francesco Saba Sardi: la nascita dell’attuale modello di potere, con l’avvento del neolitico e la scoperta dell’agricoltura, da cui l’inedita necessità di controllare militarmente territori coltivabili. E’ allora che, insieme alla guerra, nasce la figura del re-sacerdote, il detentore di conoscenze supeirori su come ottenere i raccolti. Nascono anche altri soggetti sociali, assenti tra le popolazioni nomadi del paleolitico: i servi, contadini e soldati. I loro compiti: coltivare i campi, conquistarli, difenderli. Nasce, in altre parole, questo potere – configurato in forma di dominio, per la prima volta nella storia dell’umanità. Una dinamica che il libro di Paolo Rumor – inseguendo i primordi del supremo potere in forma di casta – mappa con precisione, «a partire dal noto sito di Menfi o dalla collina rocciosa ove è ubicata la Sfinge, alla periferia del Cairo odierno, fino alla sua precedente collocazione lungo gli originari siti fluviali del Tigri e dell’Eufrate, nell’Iraq meridionale, e all’interno di quello che adesso è il Golfo Persico e che, precedentemente, in un periodo che si aggira sull’8000 avanti Cristo, era ancora una pianura abitabile, non sommersa dal mare».In quest’ultima zona, tra le spiagge dell’Iraq e quelle dell’Iran, si sarebbe formato il primo nucleo che avrebbe fatto da culla alla società cui apparteneva la “Struttura” vera e propria, prima che il mare, invadendo le coste, costringesse i proto-Sumeri a spostarsi nella Mesopotamia interna e poi in Egitto. Ne parla anche Graham Hancock in “Civiltà sommerse”, edito da Corbaccio. «Ritengo che la storia dell’Egitto arcaico – dice Rumor – racconti, nella versione del mito, l’evoluzione della specie umana più di ogni altra civiltà antica». Il mito del “nuovo ciclo storico” si è poi “travasato” con mille affluenti nella cultura delle epoche posteriori, fino ai tempi moderni (dall’uomo nuovo del comunismo all’antropologia odierna della plebe globalizzata senza più diritti). «Non sarebbe la prima volta che, cercando il mito, si raggiunge la realtà», dice Paolo Rumor. Lo stesso Mauro Biglino, autore di una rilettura letterale della Bibbia, ricorda che solo grazie alla sua fede nelle pagine dell’Iliade il tedesco Heinrich Schliemann giunse a scoprire le rovine di Troia.Tornando al francese Schumann e alla storia della “Struttura”, Paolo Rumor tratteggia un network potentissimo e invisibile, fatto di uomini politici ed esponenti del mondo della cultura, ricercatori scientifici e archeologi, etnologi, antropologi. Ma anche uomini di Chiesa e personaggi delle più disparate etnie. Nel ‘900, la maggior parte dei leader del network-fantasma è di estrazione francese, inglese e germanica. «Mano a mano che si arretra nel tempo – spiega Rumor – l’elenco contempla una prevalenza francese», mentre, continuando a ritroso, «nel periodo greco-romano la componente etnica è quasi esclusivamente ebraica». L’elenco di Maurice Schumann termina all’inizio dell’era cristiana, ma attenzione: «Esiste un secondo elenco, solamente enunciato a mio padre e non consegnatogli – aggiunge Paolo Rumor – che contiene l’ascendenza dei nominativi fino all’epoca di inizio della “Struttura”», nel decimo millennio avanti Cristo. Diecimila anni dopo, nel libro di Paolo Rumor, compare il fatidico termine “Illuminati”. «E’ usato per descrivere un gruppo o categoria di persone di stirpe giudaica, vissute in Palestina in un periodo antecedente il 136 dopo Cristo». Lo stesso termine, aggiunge l’autore, indica persone vissute anche nel basso Nilo, nello stesso periodo. Coincidenze?Si chiamano infatti “illuminati” anche i re pre-dinastici, probabilmente capi tribù egizi risalenti a prima del regno di Menes, cioè il sovrano che unificò i diversi territori tribali intorno al 3100 avanti Cristo ed eresse la sua capitale, Menfi. Sempre intervistato da Leoni per “Fenix”, Rumor prova a spiegare i possibili, vertiginosi collegamenti tra la valle del Nilo e i palazzi di Bruxelles. L’ambiente esoterico-politico che si era occupato delle prime fasi dell’Europa unita, premette, condivideva «la particolare convinzione di far parte di una consorteria la cui linea ininterrotta affondava asseritamente le proprie origini nell’antichità più remota», quella del Mediterraneo del 10.000 avanti Cristo. Che intenzioni aveva, quell’élite-ombra, cent’anni fa? In teoria, diceva di voler creare «una sorta di umanità nuova, diversa da quella dei secoli precedenti», lontana dagli orrori bellici del ‘900. Sulla carta, un’umanità «ispirata a criteri di fratellanza e ad un’etica civica rinnovata», verso «un mondo migliore». In realtà, la “Struttura” si è nascosta molto bene nei gangli istituzionali: interferisce nei maggiori eventi economici scavalcando gli Stati, come sappiamo. Quello che sbalordisce è leggere che questa entità era presente già nell’antichità.Secondo i documenti presentati da Rumor, intorno ai due secoli posti a cavallo dell’era cristiana, l’oligarchia-fantasma costituiva “un diffuso movimento non conformista”, «fortemente orientato in termini religiosi» ma al tempo stesso «vocato ad azioni militari per la salvaguardia della propria identità». All’epoca, aggiunge l’autore, la centrale di potere era collocata nella Giudea sotto la dominazione romana. Ma attenzione: verso la metà del primo secolo, la “Struttura” «ha subito una violenta scissione al suo interno, ad opera di agenti infiltrati dagli occupanti militari». Una buona parte del movimento, continua l’autore, è andata a originare «quella che poi diventerà l’organizzazione cristiana delle origini». Il Cristianesimo, dunque, come “format” politico creato da metà dell’élite, inizialmente unita. «Invece, la parte rimasta fedele alle proprie origini ideologiche e storiche ha continuato ad operare come prima, mimetizzandosi in una proliferazione di fazioni e società segrete», fino ad assumere un indirizzo comune all’interno del continente europeo.Ricapitolando: «L’ambiente politico che ha dato impulso all’Unione Europea appartiene ad una “consorteria” che, asseritamente, fa risalire sé stessa alla prima organizzazione sociale nata nell’Egitto protostorico attorno al diecimila avanti Cristo. Ne esistono le prove, anche se io stesso – ammette Rumor – ho fatto fatica a prestar fede ad un tale enunciato, che cozza contro la maggior parte delle conoscenze scientifiche in materia». Ma la vera e propria novità, «che l’ambiente esoterico-politico dei costruttori dell’Europa nasconde», secondo Rumor «consiste nel fatto che quello che noi oggi conosciamo come Cristianesimo è nato in realtà come un’opera di dissimulazione, frutto del tentativo di reazione della Roma antica a quell’ambiente giudaico che si tramandava l’antichissima consorteria». Paolo Rumor invita i lettori a consultare libri come “Il mistero del Mar Morto”, di Michael Baigent (Feltrinelli), giusto per orientarsi meglio fra tornanti storici sfuggenti. Altro consiglio di lettura: le opere di Theodor Reik sull’interpretazione della Bibbia e dei miti antichi, compresa l’origine del Cristianesimo dall’Ebraismo. «Queste letture dovrebbero “corazzare” ciascuno dal non cadere nella trappola dei miti moderni e dalla superficiale interpretazione delle opere religiose in genere».Quanto alla spiazzante rivelazione de “L’altra Europa”, fino ai misfatti degli attuali oligarchi, Rumor si esprime con la massima franchezza anche a “Border Nights”: «Uno dei modi per dirigere la politica internazionale è proprio l’accentramento delle proprietà monetarie e della produzione. Oggi l’economia conta più della politica: ed è in questo modo che agisce questa organizzazione segreta, diffusa a livello mondiale». E’ lecito chiamarli Illuminati? «E’ uguale: possiamo usare sinonimi, ma la sostanza è la stessa». E il network non ha limiti, non conosce frontiere né bandiere: «Abbiamo trovato la presenza di questa “Struttura” nella Chiesa cattolica, in molte associazioni filantropiche. Soprattutto l’abbiamo trovata nella scienza, negli ambienti universitari, nella ricerca». Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, parla di due “piramidi oscure” e concorrenti, i cui vertici però si toccherebbero: uno è massonico, l’altro cattolico (ma discendente da culti preesistenti: «A Roma, il Pontifex Maximus contava più dell’imperatore»). Spiega Paolo Rumor che la “Struttura” «ha avuto modo di diffondersi nell’ultimo secolo attraverso un sistema “a cellule”; collegate tra loro, si scambiano messaggi, conoscenze, impulsi da dare all’esterno».Quello delle “cellule”, dice Rumor, è uno schema perfetto: ognuno conosce direttamente solo il proprio superiore e il diretto sottoposto. «E’ un modo molto efficace per nascondersi, per non essere identificati: ottimale, visti gli scopi prefissi». E’ la piramide degli Invisibili: «Sui politici influisce in maniera subdola, indirizzando le aspettative delle persone e promuovendo idee politiche distorte». Ha uomini ovunque. Montini, per esempio: «Telefonò a mio padre per tentare di salvare il presidente dell’Eni, Enrico Mattei, dall’attentato che lo avrebbe ucciso. Il futuro Paolo Vi ne era al corrente, perché lavorava nel servizio segreto del Vaticano». Per l’unità europea, aggiunge Rumor, il vertice cattolico «è stato molto importante, un catalizzatore di rilievo». Era preoccupata, la Santa Sede, nell’immediato dopoguerra: vedeva nascere l’Europa unita sotto una forte egemonia massonica. L’esoterismo? E’ sempre stato «il linguaggio degli ambienti elitari», dice Rumor. «Cultura ed esoterismo in Europa sono sinonimi, perché hanno dovuto “sposarsi”, in un certo senso, per poter sopravvivere: per non essere fagocitati dalla Chiesa oppure dall’Islam».Fa impressione, comunque, “scoprire” che il potere di Bruxelles sia insediato da una “Struttura” che, a quanto pare, si considera erede dei sumeri e della Valle dei Re. Un filo segreto unisce l’unione bancaria europea di Mario Draghi al mitico Codice di Hammurabi? E Papa Francesco, oltre a essere il primo gesuita al Soglio di Pietro, è dunque anche l’ultimo discendente degli antichi “scissionisti” che, nella Giudea dell’Anno Zero, spaccarono in due la “Struttura” dando inizio a una feroce lotta, sommersa e plurisecolare? L’élite vaticana è stata infatti sfidata dalla corrente di formazione esoterica che, opponendosi all’assolutismo delle monarchie e all’oscurantismo teocratico, ha dato vita alle forme attuali della modernità democratica. Alla luce di queste rivelazioni si possono rileggere sotto altra luce vicende storiche drammatiche come quelle dei Catari e dei Templari? Singolari coincidenze: la primigenia “civiltà sommersa” cui allude Maurice Schumann sarebbe stata situata nel Golfo Persico, a due passi dal Gan Eden biblico da cui si propagò la stirpe di Caino, cacciata dal “paradiso terrestre”, per poi andare incontro al “diluvio”. La storia è interamente da riscrivere, ripetono ormai molti studiosi. E forse, aggiunge Biglino, vale la pena di prendere alla lettera i libri antichi, cosiddetti “sacri”. La stessa Bibbia racconta – testualmente – l’incontro coi misteriosi Elohim, potentissimi e in possesso di tecnologie fantascientifiche. Nessuno sa ancora spiegare l’improvvisa comparsa dell’avanzatissima civiltà dei sumeri. Ci nascondono qualcosa di fondamentale sulla nostra origine, gli intramontabili signori della “Struttura”?(Il libro: Paolo Rumor, Giorgio Galli, Loris Bagnara, “L’altra Europa. Miti, congiure ed enigmi all’ombra dell’unificazione europea”, Panda Edizioni, 370 pagine, euro 18,90).Un’entità clandestina, sinistra perché invisibile. Segretamente dominante, e molto antica: vecchia di millenni, addirittura. «Mi addolora, aver scoperto l’esistenza di un’Europa nascosta e parallela: interviene nella politica e anche nella cultura, condizionando il nostro mondo». E’ qualcosa di proto-storico, quasi eterno: oggi, attraverso i suoi emissari, questa entità fantasma «agisce accorpando fattori monetari e produttivi, di cui paghiamo le conseguenze sulla nostra pelle», come si è visto nella débacle dell’ultimo decennio. «La distruzione dell’equilibrio monetario europeo è frutto di queste persone». Una cupola misteriosa di origine antichissima: avrebbe addirittura 12.000 anni. Paolo Rumor la chiama, semplicemente, “la Struttura”. Risalirebbe alla notte dei tempi, nel territorio che vide fiorire la civiltà sumera e poi quella egizia. Ne parlò a suo padre, Giacomo Rumor, l’esoterista e politico francese Maurice Schumann, tra i fondatori del gollismo: gli rivelò, per iscritto, l’esistenza plurimillenaria della “Struttura”. Una conferma viene dal cardinale Montini, futuro Papa Paolo VI e amico di Giacomo Rumor, coinvolto dal Vaticano nella gestazione dell’unità europea per bilanciarne l’esuberante componente massonica.
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Sul web la censura Ue: ma oscurare la verità non è reato?
Solo in Italia ci sono 10 milioni di account Internet che corrispondono a persone ormai abituate a informarsi sul web, per avere lumi sui retroscena che i media mainstream non svelano. Basta questo, secondo Glauco Benigni (presidente di Wac, Web Activists Community) a spiegare la crescente voglia di bavaglio che pervade palazzi, ministeri e alte cariche pubbliche. Per mascherarla, l’establishment ricorre all’ennesimo inglesismo abusivo e infestante, “fake news”. Una propaganda martellante fatta di minacce, dietro al pretesto incarnato da un altro neologismo, quello che trasforma in “hater” (odiatore) anche chi esprime indignazione verso l’abuso politico di potere. Ora siamo alla vigilia di una censura grottesca e sistemica, presentata come definitiva dal Ministero della Verità di un’istituzione tra le meno democratiche al mondo, la Commissione Europea. L’inglese Julian King, commissario alla sicurezza, avverte: saremo inondati di “fact-checkers”, almeno ventimila, incaricati di organizzare una sorta di delazione di massa per criminalizzare qualsiasi fonte difforme da quelle istituzionali. Attenzione, però: l’oscuramento della libertà d’opinione non è solo un atto odioso e antidemocratico. Non è solo pericoloso per tutti, come la storia insegna. La lesione di un diritto fondamentale non è anche un reato?Fino a quando potranno restare impuniti, i presunti “ladri di verità” che impediscono all’opinione pubblica di acquisire dati su quanto avviene ogni giorno nel mondo? E’ annosa la polemica sulla disinformazione che finisce per coprire crimini gravissimi, inclusi quelli che l’Onu definisce “contro l’umanità”. In occasione del recente bombardamento dimostrativo sulla Siria, motivato dal presunto impiego di armi chimiche da parte del governo di Damasco, Marcello Foa – in tarda serata, su RaiTre – ha accusato i colleghi di aver dato per scontata la versione ufficiale degli Usa, rifiutando di constatare l’assenza di prove: non risulta infatti che Assad abbia colpito civili con i gas (né è dimostrato che altri abbiano impiegato agenti chimici a Douma: non ci sono prove che la popolazione siriana sia stata effettivamente colpita, quel giorno). In collegamento da Washington, la corrispondente Giovanna Botteri si è difesa in modo singolare, affermando che è inevitabile il rischio di essere imprecisi nelle cronache sulla Siria, dal momento che ai reporter è vietato l’accesso al teatro bellico – diversamente da quanto accaduto, ad esempio, in Iraq. Peccato che, proprio in occasione della Guerra del Golfo, fece la sua comparsa il primo degli inglesismi poi tristemente noti, “embedded”: in Iraq, i giornalisti “impacchettati” furono costretti a vedere solo quanto stabilito dal comando del generale Norman Schwarzkopf.Fu la prima volta, nella storia del giornalismo bellico. Se ne lamentarono, i veterani premiati dal Pulitzer: la prima vittima della guerra è sempre la verità, dissero, ma in Iraq si passò il limite, giungendo alla censura preventiva apertamente dichiarata. Assistemmo così al festival delle fake news governative: dal set hollywoodiano con i poveri cormorani intrappolati nel petrolio fino alla (mai avvenuta) strage degli innocenti, la bufala dei neonati “massacrati nelle incubatrici dai soldati di Saddam” a Kuwait City. Notizie false, regolarmente “bevute” da centinaia di reporter e offerte, come amaro aperitivo, a milioni di lettori e telespettatori, mentre i missili “intelligenti” grandinavano sulla testa delle famiglie di Baghdad. E ora che il bavaglio di massa torna prepotentemente di moda, quale guerra preoccupa i censori dell’Unione Europea? Quella contro la possibile verità su un’istituzione che si professa europeista e invece lavora intensamente contro l’Europa unita, contro la concordia e la prosperità dei popoli europei? Temono le elezioni del 2019, i lobbisti privatizzatori di Bruxelles: a loro, il celebre paladino della trasparenza universale Mark Zuckerberg ha appena promesso la massima vigilanza, sulle pagine del maggior social network del mondo. Il Grande Fratello non permetterà che siano veicolate verità sgradite: saranno “bannate”, dai possessori dell’infrastruttura informatica.Il web, beninteso, non è la palestra assoluta della libertà: immenso motore economico, è strettamente controllato dai suoi dominus, dagli algoritmi di Google, da fantasiosi tecno-stregoni come quelli di Cambridge Analytica. Il web è anche una pattumiera di malcostume e violenza verbale: si è lasciato credere che chiunque, protetto dall’anonimato di un nickname, potesse arbitrariamente distribuire insolenze, insulti e minacce. Forse però varrebbe la pena di ricordare ai legislatori che non siamo nel far west: esistono leggi a tutela dei cittadini, che sanzionano reati come la diffamazione. Di colpo non bastano più? Servono normative speciali, d’emergenza? E soprattutto: sono legali, le disposizioni speciali? Così come è un reato la calunnia, perché mai non dovrebbe essere perseguita per legge anche la distorsione della verità, che rende cieco il pubblico di fronte agli eventi? Ancora più grave è il proposito di “spegnere” programmaticamente le voci libere del web, magari segnalate dagli invisibili censori (penalmente irresponsabili) dell’impunita Unione Europea. Non è reato, occultare la verità? Non sarebbe materia, questa, su cui consultare innanzitutto i più autorevoli giuristi? Come in ogni questione controversa, l’ultima parola non potrebbe spettare a un tribunale? La parte civile, in questo caso, rappresenterebbe mezzo miliardo di persone: i cittadini dell’Unione Europea.(Giorgio Cattaneo, “Sul web la censura Ue, ma oscurare la verità non è reato?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 30 aprile 2018).Solo in Italia ci sono 10 milioni di account Internet che corrispondono a persone ormai abituate a informarsi sul web, per avere lumi sui retroscena che i media mainstream non svelano. Basta questo, secondo Glauco Benigni (presidente di Wac, Web Activists Community) a spiegare la crescente voglia di bavaglio che pervade palazzi, ministeri e alte cariche pubbliche. Per mascherarla, l’establishment ricorre all’ennesimo inglesismo abusivo e infestante, “fake news”. Una propaganda martellante fatta di minacce, dietro al pretesto incarnato da un altro neologismo, quello che trasforma in “hater” (odiatore) anche chi esprime indignazione verso l’abuso politico di potere. Ora siamo alla vigilia di una censura grottesca e sistemica, presentata come definitiva dal Ministero della Verità di un’istituzione tra le meno democratiche al mondo, la Commissione Europea. L’inglese Julian King, commissario alla sicurezza, avverte: saremo inondati di “fact-checkers”, almeno ventimila, incaricati di organizzare una sorta di delazione di massa per criminalizzare qualsiasi fonte difforme da quelle istituzionali. Attenzione, però: l’oscuramento della libertà d’opinione non è solo un atto odioso e antidemocratico. Non è solo pericoloso per tutti, come la storia insegna. La lesione di un diritto fondamentale non è anche un reato?
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Bestie di Satana, depistaggi: ridono i satanisti che contano
Quella delle Bestie di Satana è una delle vicende giudiziarie più importanti al mondo, in materia di satanismo. La “Bbc” definì questa storia una delle più scioccanti della storia d’Italia del dopoguerra. E’ importante per tanti motivi. Innanzitutto per il numero di omicidi attribuiti all’organizzazione: 4, per i quali ci sono state varie condanne, anche all’ergastolo, e altri 18 omicidi e/o sparizioni che, a torto o ragione, vengono attribuiti dai media, giornali e Tv, e dalla letteratura specifica, alla setta. Rilevante è anche il numero delle persone coinvolte: 9 persone, 9 condanne. Ergastolo per Paolo Leoni; due ergastoli per Nicola Sapone; 27 anni per Eros Monterosso e 29 per Marco Zampollo, 16 per Pietro Guerrieri, 20 ad Andrea Volpe, 16 a Mario Maccione e 23 ad Elisabetta Ballarin. La vicenda assume una rilevanza mondiale perché è uno dei pochissimi casi in cui viene condannata una setta satanica al completo. L’altro caso, anch’esso di rilevanza mondiale, fu il cosiddetto caso Manson, risalente al 1969. In altre parole, l’importanza di questo processo, già notevole di per sé, aumenta a maggior ragione se si tiene presente che chiunque si occupi di satanismo deve comunque avere a che fare con le “Bestie di Satana”, che entrano a buon diritto nella storia ufficiale del satanismo e dei serial killer, contribuendo a dare una fisionomia e un contorno a tutto questo settore specialistico.In tutti i libri specialistici su sette e serial killer c’è sempre uno spazio considerevole dato a questa organizzazione e ai suoi componenti. Le Bestie di Satana sono studiate da criminologi, esperti di satanismo, docenti, semplici appassionati, ma compaiono anche in testi che parlano di religione; ad esempio il “Dizionario delle religioni in Italia”, a cura di Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli, un’enciclopedia monumentale e dettagliatissima, dedica uno spazio abbastanza ampio alle Bestie di Satana; accanto quindi ai movimenti buddisti, induisti, e ovviamente cattolici, protestanti e ortodossi, e accanto ai gruppi di cosiddetta magia cerimoniale, o esoterici, come Templari, Golden Dawn, Oto, ecc., compaiono le Bestie di Satana. Peraltro, a seguito della rilevanza di questi fatti, si è aperto in tutto il mondo un dibattito sul rapporto tra satanismo e musica metal; psicologi, educatori, comitati di genitori, la Chiesa stessa tramite personaggi famosi come Padre Amorth, si sono mobilitati in dibattiti, manifestazioni, approfondimenti sul tema.Numerosi sono anche i libri dedicati alla setta: “I ragazzi di Satana”, di Offeddu e Sansa, pubblicato nel 2005; “Le Bestie di Satana”, a cura di Gabriele Moroni (il libro è uscito nel 2004, quando ancora il processo di primo grado non si era concluso, e in esso già si davano per colpevoli Monterosso, Zampollo e Leoni); “L’inferno tra le mani”, di Stefano Zurlo e Mario Maccione (il libro, uscito nel 2011, è la storia delle Bestie di Satana vista dalla personale ottica di uno dei “pentiti” della setta); “Le sette di Satana”, di Mario Spezi (altro libro curioso, uscito nel 2004; la particolarità del libro è data dal fatto che anch’esso esce prima della sentenza di primo grado; nel titolo la T della parola Satana è più grande delle altre, di color oro, e circondata da un’aura rossa, ciò che ricorda un po’ il simbolo dell’“Ordine della Rosa Rossa e della Croce d’Oro”). Tantissimi anche i programmi Tv, da “Chi l’ha visto” a “La linea d’ombra”, fino al recente “Mistero” su Italia Uno.Quando iniziai a occuparmi delle Bestie di Satana, ero già abituato a processi farsa in cui il colpevole additato dai media non c’entra assolutamente niente con le accuse che gli vengono addebitate e il responsabile è addirittura il magistrato inquirente, d’accordo con giornalisti e avvocati coinvolti a vario titolo nell’incastrare i malcapitati di turno (fenomeno, questo, che parte da Jack lo Squartatore e arriva fino al recente caso nostrano del Mostro di Firenze; ma ulteriori casi di innocenti assolutamente inconsapevoli sono il caso Cogne e quello di Erba) e pensavo che non mi sarei stupito di niente. Eppure anch’io sono partito con un preconcetto, purtroppo frutto del condizionamento mediatico: cioè sono partito dalla convinzione che almeno i ragazzi che avevano confessato, ovverosia Volpe, Maccione e Guerrieri, fossero responsabili. Il dubbio, se c’era, per me riguardava solo gli altri, a cui non era stata attribuita alcuna partecipazione materiale ai delitti, ma esclusivamente un concorso morale: Monterosso, Zampollo e Leoni. A parte invece deve essere considerata la figura di Sapone, che viene additato da Volpe e Maccione come l’esecutore e il mandante di tutti i delitti (tanto che lui si beccherà addirittura due ergastoli); ma mentre Leoni, Monterosso e Zampollo si dichiarano innocenti, Sapone semplicemente dichiara di “non ricordare nulla”.Misi quindi le mani alle carte processuali con questa idea di base e iniziai a scartabellare gli atti, a parlare con alcuni testimoni, e inoltre a dialogare con Paolo Leoni, oltre che con Marco Zampollo via lettera. Via via che procedevo con lo studio degli atti e dell’intera vicenda, mi rendevo conto che i fatti erano completamente diversi da come appaiono sui media. Di più. Tutta la vicenda è una completa montatura, ove i media hanno provveduto a romanzare e falsare una realtà processuale già falsa di per sé. Il che ha come risultato una conclusione molto semplice, ma al tempo stesso terrificante: nessuno dei ragazzi è coinvolto davvero in questa vicenda, perlomeno non nei termini in cui vengono presentati sui media. Alcuni sono completamente innocenti. Altri forse non lo sono del tutto, ma comunque non hanno commesso i fatti dei quali si autoaccusano. Non esisteva alcune setta satanica denominata Bestie di Satana, che è un’invenzione giornalistica. Non c’era alcun gruppo organizzato. Tutta la vicenda insomma è un immenso teatrino, che ha visto dei ragazzi completamente innocenti in carcere, mentre i veri colpevoli sono liberi; e, come accade nei migliori casi di cronaca nera di rilevanza mondiale, i veri colpevoli andrebbero ricercati altrove, tra persone altolocate, politici, magistrati, avvocati, e non tra una banda di ragazzi con un titolo di studio di terza media e senza né arte né parte. Esattamente, né più né meno, come accadeva nei delitti di Jack lo Squartatore, del Mostro di Firenze, e del femminicidio di Ciudad Juarez.Vediamo di raccontare quindi quello che molti di questa vicenda non sanno, precisando che la versione ufficiale, quella raccontata da tutti i media, la diamo per conosciuta. Chi non la conoscesse può consultare la voce di Wikipedia o uno qualsiasi dei siti in cui viene riassunta la storia delle Bestie di Satana, sempre uguale in ogni sito specialistico, senza mai alcuna voce discordante. Qui, in sintesi, ci limitiamo a dire che nel 2004 Andrea Volpe, Mario Maccione e Pietro Guerrieri, confessarono 4 omicidi: quelli di Fabio Tollis e Chiara Marino nel 1998; quello di Andrea Bontade sempre del 1998; e quello di Mariangela Pezzotta nel 2004. Questi tre ragazzi con le loro confessioni accusarono anche altri: Nicola Sapone, Paolo Leoni, Eros Monterosso e Marco Zampollo. Il primo fu accusato di aver partecipato a tutti e quattro i delitti come esecutore e mandante. Gli altri furono accusati di aver partecipato moralmente, di aver approvato l’operato della setta e di avere in qualche modo concordato i primi due omicidi. La verità? Quello che i media non hanno detto, e che mai diranno, è ciò che segue.La caratteristica più eclatante di tutto il processo è data dalla constatazione che l’intera versione di Maccione e Volpe è falsa. Anche nella parte in cui i due “pentiti” si autoaccusano dei delitti di Chiara Marino e Fabio Tollis, infatti, il racconto è platealmente inattendibile. Si evince dalla narrazione che la notte del delitto del 1998, Fabio Tollis e Chiara Marino vennero uccisi a colpi di coltello e di badile, in modo barbaro; non risulta però dai loro racconti che dopo l’omicidio i ragazzi si siano cambiati di abito e lavati dal sangue; secondo i loro racconti, invece, dopo aver seppellito i cadaveri, sarebbero rientrati in auto e tornati a casa, e i loro familiari non si sarebbero accorti di nulla. Di più. Mario Maccione, interrogato durante il processo, dirà che si era solamente macchiato i pantaloni; ma siccome indossava due paia di pantaloni, si limitò a levarsi il pantalone sporco (senza ricordare se lo avesse buttato o portato con sé). La versione viene confermata sempre da Maccione nel suo ultimo libro, “L’inferno tra le mani”, ove il ragazzo specifica che l’indomani si era svegliato al mattino con gli abiti puliti e il giubbotto di pelle intatto. Una cosa impossibile da realizzare, in un bosco, di notte. Uccidere barbaramente due persone in quel modo, infatti, significa imbrattarsi di sangue dalla testa ai piedi; significa che gli abiti sono non semplicemente sporchi, ma completamente inzuppati di sangue tanto da poterli strizzare come se fossero stati lavati. Quindi è impossibile rientrare in auto senza sporcare i sedili il volante, le portiere, in modo tale da non essere notati poi da chiunque.Di conseguenza, dopo un delitto simile, è necessario avere un luogo dove potersi lavare e cambiare degli abiti, che devono poi essere fatti sparire in una discarica o un altro posto simile, perché è difficilissimo mandare via il sangue dagli abiti. Già questo particolare basterebbe per invalidare tutta la ricostruzione di Volpe e Maccione, e per capire che è tutto assolutamente falso. Ma non è finita qui. Che la versione dei due “pentiti” sia falsa è dimostrato anche dall’incredibile numero di particolari discordanti nelle loro versioni dei fatti; entrambi infatti non sono d’accordo quasi su nulla, e forniscono versioni differenti su chi sedeva davanti e chi dietro, su chi avrebbe sferrato il primo colpo, sul momento in cui avrebbero indossato i guanti di lattice che furono poi trovati nella fossa di Chiara Marino e Fabio Tollis, sulle modalità con cui convinsero Fabio e Chiara a salire in auto, ecc. Addirittura non sono d’accordo neanche sul movente dei primi due omicidi. Inverosimile poi è che i ragazzi abbiano potuto trovare la strada per arrivare alla tomba precedentemente scavata, nel bosco e di notte, e che Fabio e Chiara non si siano insospettiti a vedere i loro “amici” portare con loro coltelli, guanti, pale.Infine, pochi sanno che nell’ansia accusatoria, e a processo finito, Andrea Volpe accuserà Nicola Sapone e Paolo Leoni di un altro omicidio, quello di Andrea Ballarin avvenuto nel 2004, autoaccusandosi dello stesso reato; si scoprirà che Sapone il giorno del delitto era in vacanza a Cuba e Volpe verrà processato per calunnia, perché confesserà di essersi inventato tutto. Risultato: sparisce la cassetta con la registrazione dell’interrogatorio di Volpe. E Volpe viene assolto. E nessuno, né giornalisti né magistrati, si interrogano sul motivo per cui Volpe avrebbe mentito su un fatto così grave; a nessuno viene il dubbio che se una persona mente in questo modo, forse potrebbe aver mentito anche sul resto. A nessuno viene in mente di ascoltare e interrogare gli altri condannati, per sentire la loro versione, che potrebbe essere importante per la ricostruzione dell’intera vicenda. No. Al contrario, Volpe continua a comparire in Tv, ad essere interrogato, e magari prima o poi scriverà un libro; le Tv mandano addirittura in onda un “confronto” tra il padre di una delle vittime, Michele Tollis, e lo stesso Volpe, che si incontrano per un colloquio davanti alle telecamere. Mentre continua a regnare il silenzio sulle versioni fornite da Leoni, Zampollo e Monterosso.Nessuno, soprattutto, si interroga per capire se dietro a tutto questo ci siano dei mandanti, ci sia una regia, non essendo possibile che una persona arrivi addirittura ad inventarsi un omicidio mai commesso per mera voglia di protagonismo, o per gioco. Sempre lo stesso Volpe in un’intercettazione dirà: «Se la gente mi infogna io tiro dentro un sacco di gente, mi invento nomi a palla… a quel punto credono a me». Nonostante ciò, Volpe verrà ritenuto “attendibile”. E ancora, dai vari mass media, continua ad essere ritenuto fonte attendibile sol perché si è autoaccusato. Attendibile viene ritenuto anche Maccione, nonostante nel suo libro “L’inferno tra le mani” dica a più riprese di non ricordare mai nulla perché era sempre strafatto di droga (cosa che invece negli atti processuali è stata smentita da Volpe, il quale dice che erano lucidissimi). Tutto il libro è, in pratica, un racconto con un unico leit motiv: io non volevo, e se ho partecipato è perché sono stato costretto, e in ogni occasione ero drogato, quindi non ricordo bene. Sempre Maccione dice che le Bestie di Satana hanno ucciso circa 18 persone tra Milano e Varese. Tra queste 18 persone ci sarebbero Doriano Molla (trovato ucciso con un filo elettrico al collo; la procura archivierà come suicidio quello che è un evidente omicidio), Christian Frigerio (scomparso e mai ritrovato), Andrea Ballarin (trovato impiccato), Stefano Longone e altri: 18 persone di cui non ricorda il nome, il luogo, le modalità della morte.Una delle cose più impotranti da sottolineare in tutta questa vicenda è che non è mai esistita nessuna setta satanica. Infatti il tribunale ha escluso l’associazione a delinquere e nessuno dei ragazzi è stato condannato in base all’articolo 416 del codice penale. Nel “Dizionario dei serial killer” a cura di Ruben De Luca, invece, viene presentata addirittura la struttura della setta e i metodi di reclutamento. La fonte dell’autore? Il “Corriere della Sera”. Anche il nome Bestie di Satana è un’invenzione. Racconta Maccione che il nome fu dato al gruppo un giorno che si trovarono a fare un rito in una casa abbandonata; un nome dato per caso, inventato lì per lì. Ma un gruppo organizzato, in particolare una setta satanica, che ha l’onore di comparire addirittura in un dizionario delle religioni, deve avere dei libri di testo, dei riti di iniziazione, delle regole precise, dei gradi. Altrimenti non è una setta, non è una religione, ma è solo, al massimo, un gruppo di sbandati senza un’ideologia. Nulla di nulla è emerso dagli atti del processo. Anzi, a domanda precisa, i “rei confessi” Volpe e Maccione hanno risposto che non ricordavano alcun rituale, alcuna formula e non avevano alcun libro di testo; anzi, non sapevano neanche la differenza tra plenilunio, novilunio, e luna piena.Messo alle strette, Maccione dirà che avevano un libro di testo, il “Necronomicon”; peccato però che questo libro sia un romanzo di Lovecraft, e non un testo satanico. Inoltre le decisioni di questa fantomatica setta venivano prese addirittura in luoghi aperti al pubblico, in mezzo alla folla; la decisione di uccidere Chiara Marino e Fabio Tollis, ad esempio, sarebbe stata presa alla Fiera di Sinigallia, un mercatino delle pulci, in stile Porta Portese, affollato più o meno come una metropolitana all’ora di punta. Non è mai esistito alcun capo. I giornali hanno riportato in genere come capo della setta Paolo Leoni. Ma nessuno dei ragazzi che hanno “confessato” ha mai additato Paolo Leoni come il vero capo. O meglio, di volta in volta è stato additato (ma dai giornali) Nicola Sapone, talvolta Maccione, mentre di recente, nel suo libro “L’inferno tra le mani”, lo stesso Maccione dice che “la mente del gruppo era Zampollo”, e sempre nello stesso libro Paolo Leoni viene indicato come una sorta di idiota che sbavava di invidia perché non partecipava mai agli omicidi in prima persona. In altre parole, Mario Maccione nel suo ultimo libro smentisce il ruolo di capo di Leoni.In alcuni articoli di giornale come capo della setta viene indicato Andrea Volpe. La verità è che negli atti processuali si legge che le decisioni venivano prese collegialmente e non c’era una vero capo. Una strana setta, quindi, senza un capo, se non per i giornali. Paolo Leoni riesce a dimostrare che il giorno in cui – a detta di Volpe e Maccione – venne presa la decisione di uccidere Fabio e Chiara, era in realtà al lavoro; ma i giudici riterranno irrilevante la circostanza. Ci sarebbe molto altro da dire, ma per gli approfondimenti rimandiamo alla lettura degli atti processuali. Brevemente: testimoni che cambiano versione continuamente; testimoni che si contraddicono a vicenda; testimoni a favore che non vengono considerati; prove a discarico non ammesse e non considerate; la mancanza di un movente per il delitto di Fabio e Chiara (di volta in volta verrà detto che il movente erano i soldi, o il fatto che Chiara fosse “la Madonna” e dovesse essere uccisa perché una setta satanica doveva sopprimere una figura così pura, o il fatto che Chiara forse volesse parlare; addirittura Maccione sostiene nel suo ultimo libro la bizzarra tesi secondo cui Chiara e Fabio volessero essere uccisi di loro spontanea volontà). E poi, immancabile in tutti i delitti di rilevanza mediatica, la mancanza dell’arma del delitto.Alla luce di tutto ciò non stupisce più di tanto che i libri usciti sulle Bestie di Satana siano tutti datati 2004 e 2005 – tranne l’ultimo scritto da Mario Maccione e Stefano Zurlo – cioè in un periodo antecedente al processo, quando le indagini erano ancora in corso. Il motivo è abbastanza semplice: qualunque giornalista dovesse oggi avvicinarsi a questo tema e leggere gli atti processuali, si troverebbe davanti una realtà completamente diversa rispetto a quella prospettata da giornali e Tv e inevitabilmente scoperchierebbe un calderone di proporzioni immani. Non a caso uno dei pochi giornalisti che hanno provato a proporre una tesi alternativa fu Alberto Ballarin, padre di Elisabetta, che scrisse un libro dal titolo “Satanisti della mutua”, ma morì prima che il libro potesse uscire in stampa. In conclusione, la vicenda delle Bestie di Satana è una delle tante farse giudiziarie che servono ad intrattenere gli spettatori della Tv, affinché non si informino mai sulla realtà attorno, e a depistare chi studia, o anche i semplici appassionati, da quello che è il vero satanismo. Il vero satanismo è un fenomeno organizzato e diffuso su scala mondiale; che coinvolge alti politici, imprenditori, avvocati, magistrati, giornalisti, professionisti di ogni risma; che vede ogni anno solo in Italia la morte di centinaia di bambini e la scomparsa nel nulla di tante persone.Alcune di queste organizzazioni sono addirittura ufficiali. Hanno dei loro siti, i loro libri di testo, i loro seguaci in ogni parte del mondo: la Chiesa di Satana di Anton La Vey; il Tempio di Seth di Michael Aquino. Queste organizzazioni sono serie, pericolose e organizzate, avendo appoggi nei presidenti americani o di Stati europei, potendo contare sull’appoggio di forze di polizia, carabinieri, magistratura; alcune indagini, come quelle relative al caso Dutroux, sono arrivate a lambire i reali del Belgio, famiglie nobili, cardinali, politici. I libri di queste organizzazioni sono talvolta in libera vendita nelle librerie esoteriche. Purtroppo, a fronte della disinformazione sul vero satanismo, l’informazione ufficiale continua a presentarci il satanismo come un fenomeno dovuto ad alcuni metallari con la terza media e senza un lavoro fisso, per continuare a nascondere quello che avviene ogni giorno sotto i nostri occhi. Per nascondere, ad esempio, un caso come quello del magistrato Paolo Ferraro, il Pm della procura di Roma che, incappato in una vera setta satanica, che aveva radici in ambito militare, è stato destituito nel giro di poche ore per infermità mentale dal suo lavoro di magistrato. Di Paolo Ferraro però i mass media non parlano. Di Paolo Leoni, Eros Monterosso e Marco Zampollo sì.(Paolo Franceschetti, estratto da “Le Bestie di Satana: la verità”, pubblicato su “Petali di Loto” sulla base di un post precedente, del 10 gennaio 2012. Franchetti studiò il caso dopo esser stato chiamato in causa, come legale, da alcuni dei ragazzi condannati: «Avvocato, ci aiuta a capire perché siamo in carcere? Non abbiamo ammazzato nessuno». Indagatore dei misteri italiani, Franceschetti ha anche ricostruito un quadro simbologico della vicenda: i cognomi di alcuni dei giovani arrestati – Leoni, Zampollo e Volpe, così come il nome di Tollis, Michele – richiamerebbero i personaggi dell’Apocalisse di Giovanni; Franceschetti rileva che l’anno di massima esposizione mediatica del caso, il 2004, fu quello segnato dalla firma del Trattato di Lisbona, la famigerata “Costituzione europea” redatta dall’oligarchia finanziaria e concepita come strumento di vessazione di massa, per mezzo dell’austerity).Quella delle Bestie di Satana è una delle vicende giudiziarie più importanti al mondo, in materia di satanismo. La “Bbc” definì questa storia una delle più scioccanti della storia d’Italia del dopoguerra. E’ importante per tanti motivi. Innanzitutto per il numero di omicidi attribuiti all’organizzazione: 4, per i quali ci sono state varie condanne, anche all’ergastolo, e altri 18 omicidi e/o sparizioni che, a torto o ragione, vengono attribuiti dai media, giornali e Tv, e dalla letteratura specifica, alla setta. Rilevante è anche il numero delle persone coinvolte: 9 persone, 9 condanne. Ergastolo per Paolo Leoni; due ergastoli per Nicola Sapone; 27 anni per Eros Monterosso e 29 per Marco Zampollo, 16 per Pietro Guerrieri, 20 ad Andrea Volpe, 16 a Mario Maccione e 23 ad Elisabetta Ballarin. La vicenda assume una rilevanza mondiale perché è uno dei pochissimi casi in cui viene condannata una setta satanica al completo. L’altro caso, anch’esso di rilevanza mondiale, fu il cosiddetto caso Manson, risalente al 1969. In altre parole, l’importanza di questo processo, già notevole di per sé, aumenta a maggior ragione se si tiene presente che chiunque si occupi di satanismo deve comunque avere a che fare con le “Bestie di Satana”, che entrano a buon diritto nella storia ufficiale del satanismo e dei serial killer, contribuendo a dare una fisionomia e un contorno a tutto questo settore specialistico.
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L’Italia frana e il Pd le ha offerto solo la mistica del Jobs Act
«Ok, abbiamo perso. Volete i nostri voti, in Parlamento? Benissimo: preparatevi a sostenere alcune nostre proposte, quelle che in caso di vittoria avremmo attuato noi». Questo sarebbe un parlare politico, responsabile, incisivo. E invece il Pd, rottamato dalla catastrofe elettorale, tiene il muso. E si rifugia, per ora, in un Aventino che sarà anche «legittimo e coerente con l’esito delle urne», ma certo non utile a costruire futuro. Anche perché, a monte, manca il tassello fondamentale: «Renzi dovrebbe innanzitutto dire: abbiamo sbagliato», anziché lasciar credere che a “sbagliare” siano stati gli elettori, che non avrebbero compreso la qualità e la mole del lavoro svolto dal governo. “Non ci hanno compreso”, è il refrain. “Non siamo stati capaci di farci capire”. Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, «questa vicenda del Pd che non gioca più, che non vuole più giocare, racconta benissimo questa politica che ha abdicato al suo ruolo costruttivo, accontentandosi di un ruolo meramente rappresentativo e oleografico». Una mediocrità imbarazzante, nella quale peraltro affonda l’ex riformismo italiano, quello dei sedicenti “progressisti” che hanno votato il governo Monti e la legge Fornero, senza avere nemmeno il coraggio di rimettere in discussione almeno il pareggio di bilancio in Costituzione, inserendolo nel fatale referendum del dicembre 2016.La cifra del tenore politico in casa Pd, dice Magaldi ai microfoni di “Colors Radio”, la offrono le meste esternazioni dei renziani Orfini, Lotti, Martina, «non a caso incolori e privi di qualsiasi carisma, come tutti quelli del Giglio Magico», assolutamente anonimi, fatta eccezione per la Boschi (che si fa notare per «la notevole avvenenza e l’astuzia nella cura del suo “particulare”») e per il misterioso Carrai, «personaggio scaltro, che appare e scompare». Sconfitti, i renziani ripetono: «Lasciateci perdere, per il governo vedetevela voi. Noi abbiamo perso, non vogliamo governare: lo faccia chi ha vinto, cioè 5 Stelle e Lega, con o senza Forza Italia al seguito». Peccato, si rammarica Magaldi: «E’ una posizione formalistica», sterile, ma certo non inaspettata. «In tutta questa storia del renzismo prevale sempre il lato formale», rileva Magaldi. «Hanno prevalso gli slogan, le propagande, le affermazioni altisonanti che dovevano sostituire la realtà: la mistica del Jobs Act, la mistica della crescita del paese. Ho ascoltato esterrefatto Alessandra Moretti, l’ex “lady like”, dire che loro pensavano che la ripresa avrebbe premiato il Pd, invece il paese reale ha una percezione diversa».«Non è questione di percezione», obietta Magaldi: «E’ che sono stronzate quelle che vengono dichiarate a reti unificate sulla ripresa: gli indicatori economici utilizzati sono fasulli (ma finiscono per convincere anche i loro propagatori), mentre il paese continua a essere in ginocchio da troppi anni, la disoccupazione galoppa e l’economia gira poco e male». E anziché aprire gli occhi e ammettere i suoi errori (evidentissimi agli elettori) il Pd «continua la sua triste narrativa renziana, dove quello che conta non è la sostanza». Ben diverso, aggiunge Magaldi, se Renzi dicesse: «Ho capito dove ho sbagliato, quindi offro un supporto al governo 5 Stelle (o a un altro governo) sulla base di alcuni progetti, che sono nostri. Non li vogliono? Pazienza, ma noi facciamo politica perché vogliamo fare delle cose, abbiamo questi progetti che avremmo attuato se avessimo vinto, e quindi se qualcuno li vuole sostenere andiamo avanti insieme». Questo, conclude Magaldi, «sarebbe un ragionamento di sostanzialità politica, e cioè: tu testimoni quello che è il tuo progetto politico – sia che perdi, sia che vinci. E invece siamo al tatticismo. Si dice: abbiamo perso, ci lecchiamo le ferite».In più, aggiunge, dopo la Caporetto del 4 marzo, «nel Pd prevale ancora un’identificazione fortissima con il sentire personale di Renzi», l’ex rottamatore arrivato al capolinea. In realtà, secondo Magaldi, dovrebbe essere rottamato l’intero centrosinistra italiano: di fatto, ha consegnato l’Italia a poteri oligarchici privati, coronando il sogno antidemocratico dell’ultimo Kalergi, adottato da Jean Monnet e dagli altri padrini storici di quest’Europa “antieuropeista”, che rema contro i propri popoli mettendoli l’uno contro l’altro a colpi di mercantilismo e culto del rigore. Finisce nei guai un paese come l’Italia, che oggi – tra le altre cose – si ritrova senza una politica all’altezza della situazione «e senza uno straccio di ideologia, tranne l’unica rimasta in piedi: quella neoliberista». Tatticismi, appunto: «Compreso il peggiore in assoluto, ipotesi di cui nessuno parla: la possibilità teorica che il centrodestra, in silenzio, possa “pescare” seggi tra i tanti grillini neo-eletti, come auspicato dallo stesso Berlusconi». Niente male, come inizio, per l’ipotetica Terza Repubblica fondata sugli equivoci, mentre il paese continua a crollare.«Ok, abbiamo perso. Volete i nostri voti, in Parlamento? Benissimo: preparatevi a sostenere alcune nostre proposte, quelle che in caso di vittoria avremmo attuato noi». Questo sarebbe un parlare politico, responsabile, incisivo. E invece il Pd, rottamato dalla catastrofe elettorale, tiene il muso. E si rifugia, per ora, in un Aventino che sarà anche «legittimo e coerente con l’esito delle urne», ma certo non utile a costruire futuro. Anche perché, a monte, manca il tassello fondamentale: «Renzi dovrebbe innanzitutto dire: abbiamo sbagliato», anziché lasciar credere che a “sbagliare” siano stati gli elettori, che non avrebbero compreso la qualità e la mole del lavoro svolto dal governo. “Non ci hanno compreso”, è il refrain. “Non siamo stati capaci di farci capire”. Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, «questa vicenda del Pd che non gioca più, che non vuole più giocare, racconta benissimo questa politica che ha abdicato al suo ruolo costruttivo, accontentandosi di un ruolo meramente rappresentativo e oleografico». Una mediocrità imbarazzante, nella quale peraltro affonda l’ex riformismo italiano, quello dei sedicenti “progressisti” che hanno votato il governo Monti e la legge Fornero, senza avere nemmeno il coraggio di rimettere in discussione almeno il pareggio di bilancio in Costituzione, inserendolo nel fatale referendum del dicembre 2016.