Archivio del Tag ‘politica’
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“Contro il Covid vaccinatevi voi, che a me viene da ridere”
Come era facile immaginare, qualcuno, dopo aver terrorizzato tre miliardi di persone sulla presunta pandemia del Covid-19, ora vuole imporre il vaccino a tutti. È un affare da qualche trilione di dollari che certamente i globocrati cercheranno di non farsi scappare. Il piano, finora, sembra essere riuscito: generare un virus non letale ma pericoloso per la società in quanto contagiosissimo e in grado di paralizzare uno Stato se non addirittura uno o più continenti; spaventare a morte la gente per il pericolo di contagio; lanciare l’allarme per il crollo dell’economia nazionale invitando tutti a tirare la cinghia per il bene comune; chiedere a tutti, per lo stato di necessità, di farsi spiare dai servizi segreti con la App “Immuni”; obbligare la popolazione a farsi vaccinare; rendere tutti docili e sottomessi come neppure fu nel Medioevo. I fatti si sono susseguiti secondo copione sotto i nostri occhi. Così siamo diventati facili prede della psicosi alimentata ad arte dai mass media, a loro volta finanziati da “filantropi” esperti in terrorismo globale, perché la paura è l’arma più potente per annichilire le masse.L’Italia è la più colpita (dopo la Cina e la Corea del Sud) in quanto priva di indipendenza a qualsiasi livello nonché la più debole in senso politico dell’intero Occidente, a causa di governanti – spesso analfabeti – palesemente eterodiretti e telecomandati dall’estero. Ma quando tutto sembrava riuscito alla perfezione, molti medici e virologi hanno detto che si trattava della più grande bufala della storia dell’umanità, che si trattava di un virus influenzale ancora sconosciuto ma per il quale, finalmente, le cure ci sono e il vaccino non serve. Alcuni di loro sono Zangrillo, Tarro, Montanari, De Donno, insieme a Paolo Ascierto che col Tocilizumab – un farmaco utilizzato per curare l’artrite reumatoide – ha sconfitto il Covid-19 rendendo Napoli l’unica metropoli italiana sanificata (da quando c’è l’epidemia, in tutta la Campania ci sono stati circa 5.000 casi e un migliaio di morti; a Napoli ci sono stati tanti morti quanti ve ne sono stati a Tortona).Il dubbio resta, poiché in tutta questa storia qualcosa non torna. Anche perché si parla di vaccino pur sapendo che il coronavirus è mutevole, e un vaccino finirebbe per non avere altro effetto se non quello di renderne dipendente chi lo fa, con grande piacere di chi, coi richiami, glielo venderà a vita. Che il vaccino possa essere inutile, tra i tanti, lo dice anche Mike Ryan, responsabile delle emergenze dell’Oms, il quale in questi giorni ha dichiarato ufficialmente: «Speriamo di trovare un vaccino efficace, ma non è garantito che questo accada». Eppure la quasi totalità della stampa nazionale continua imperterrita a terrorizzare gli italiani sul pericolo Covid-19, sulla inevitabile ricaduta d’autunno, sulla necessità improrogabile di vaccinarsi. C’è addirittura un piano europeo per finanziare il vaccino anti-Covid in forza d’un accordo tra i ministri della salute europei, mentre l’alleanza a quattro, Italia, Germania, Francia e Olanda, ha già in tasca il contratto con la multinazionale britannica AstraZeneca, che entro l’anno permetterà di vaccinare tutti gli over 65, più sanitari e forze dell’ordine.Ebbene, che il vaccino l’avrebbe venduto AstraZeneca, noi di “Alessandria Oggi” l’abbiamo pubblicato esattamente tre mesi fa. Profeti? Chissà. Gli è che qualcosa puzza, perché tutto potrebbe far parte di un piano molto ben congegnato che sta funzionando alla perfezione. E avrebbe potuto chiudersi con successo se non ci fosse stato chi gridava: “Il Re è nudo!”, mentre ci sarà certamente chi, come chi scrive, rifiuterà di farsi vaccinare. Il vaccino sarà reso obbligatorio? E io me ne frego. Vaccinatevi pure voi, che a me vien da ridere.(Andrea Guenna, “Vaccinatevi voi, che a me vien da ridere”, da “Alessandria Oggi” del 13 giugno 2020).Come era facile immaginare, qualcuno, dopo aver terrorizzato tre miliardi di persone sulla presunta pandemia del Covid-19, ora vuole imporre il vaccino a tutti. È un affare da qualche trilione di dollari che certamente i globocrati cercheranno di non farsi scappare. Il piano, finora, sembra essere riuscito: generare un virus non letale ma pericoloso per la società in quanto contagiosissimo e in grado di paralizzare uno Stato se non addirittura uno o più continenti; spaventare a morte la gente per il pericolo di contagio; lanciare l’allarme per il crollo dell’economia nazionale invitando tutti a tirare la cinghia per il bene comune; chiedere a tutti, per lo stato di necessità, di farsi spiare dai servizi segreti con la App “Immuni”; obbligare la popolazione a farsi vaccinare; rendere tutti docili e sottomessi come neppure fu nel Medioevo. I fatti si sono susseguiti secondo copione sotto i nostri occhi. Così siamo diventati facili prede della psicosi alimentata ad arte dai mass media, a loro volta finanziati da “filantropi” esperti in terrorismo globale, perché la paura è l’arma più potente per annichilire le masse.
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Magaldi: presto Conte non sarà più un problema, per l’Italia
Giuseppe Conte e i suoi consigliori si dimostrano sull’orlo di una crisi di nervi, sempre più disorientati e incapaci di comprendere quello che si sta muovendo attorno a loro: un po’ come la classe dirigente aristocratica del preludio della Rivoluzione Francese. Ovviamente oggi Conte è inquieto: sa che grandi manovre si muovono, da una parte all’atra dell’Europa e del mondo, ma in questo momento – a meno di qualche illuminazione sulla via di Damasco – non può che seguire la sua strada verso l’autodistruzione. Cosa può venire, da questi Stati Generali? Poco di buono, anche perché – in una situazione d’emergenza come questa – per essere credibile, un governo prima tira fuori i soldi e poi parla, progettando sul medio e lungo termine. Qui invece ci sono pochissimi soldi (spesi in modo inappropriato) e molte chiacchiere, appese peraltro a quelle che saranno decisioni europee. Qualche maligno sostiene che le discussioni in corso, negli Stati Generali e altrove, siano su come spartirsi denari per fini inconfessabili e a volte in termini clientelari, di rafforzamento del proprio ruolo? Denari che comunque verranno, prima o poi, dall’Europa: troppo tardi, per molte aziende e attività produttive che saranno ormai distrutte.Intere categorie e filiere produttive si sentono discriminate: c’è uno strabismo, un arbitrio, nel propiziare la ripresa di questa o quella attività, o di rendere difficilissima, ostica (con norme lunari e inappropriate) la ripresa dell’attività che si svolgeva. Magari, dal punto di vista di qualcuno, questa devastazione economica non è un problema, se quel qualcuno punta a rielvare attività, inserendosi in un mercato devastato; c’è anche questo aspetto, purulento e verminoso. Le valuteremo, le risultanze degli Stati Generali. Vedremo quali topolini avrà partorito, questa montagna (diroccata) di Giuseppe Conte. E appena gli Stati Generali saranno finiti lanceremo il nostro ultimatum, come Movimento Roosevelt, che scadrà il prossimo 10 settembre. Non si tratta di un ultimatum impositivo, prevaricatore, prepotente; si tratterà semplicemente di alcune richieste: il minimo sindacale di ciò che un governo degno di questo nome dovrebbe fare, a ristoro e indennizzo dei cittadini e di tutti i lavoratori che, dopo una quarantena forzata, stentano a riprendere la via della normalità e, spesso, anche della propria sussistenza.La Milizia Rooseveltiana avrà il suo battesimo di fuoco il 5 ottobre, nel caso il governo non recepisse le nostre propposte. Gli Stati Generali sono un teatro in negativo, cui contrapporremo il teatro in positivo della Milizia Rooseveltiana. Indendiamoci: Giuseppe Conte non è un’aquila. Credo che nella sua inadeguatezza pesi anche la scarsa visione d’insieme. E’ un uomo che ha troppi “consigliori”, che lo tirano per la giacchetta e peraltro lo inducono a sbagliare. Lui è un furbastro, che naturalmente si barcamena. Ma vive alla giornata, non ha una visione lunga: non potrebbe averla. La sua stessa pseudo-ascesa politica di breve respiro, destinata a durare ancora un pochino ma non troppo, è figlia dell’improvvisazione, del situazionismo, della disinvoltura trasformistica con cui è succeduto a se stesso sconfessando tutta una serie di cose e ritagliandosi un nuovo ruolo. Oggi addirittura sogna qualcosa che per gli italiani sarebbe un incubo, cioè un ulteriore proseguimento della sua carriera istituzionale. Con i suoi “consigliori”, naturalmente, Conte segue quello che noi massoni democratici gli facciamo sapere, pubblicamente e privatamente. Ma segue anche tutt’altro spartito.Dare retta a quello che gli stiamo suggerendo significherebbe trasfomarsi. Noi ce lo auguriamo, che questo possa accadere in extremis, per la fiducia laica nella possibilità di cambiamento di ciascuno, e nell’auspicio ottimista che chiunque possa fermarsi prima del baratro: baratro per sé e per gli italiani, verso cui questo governo sta conducendo un’intera nazione. Mi sembra però che il rumore intorno a Conte sia tale, che questi nostri moniti – che farebbe bene a considerare con più attenzione – per ora “scivolano”. Incrementando la nostra iniziativa anche con l’azione di piazza, questo rumore diventerà più inquietante, più difficile da rimuovere. Però nel frattempo accadranno cose, a livello generale, che probabilmente derubricheranno il problema-Conte come un problema per il popolo italiano. Il popolo italiano ha problemi più gravi, del governo Conte: e cioè quello della maggioranza che lo sostiene. Conte è figlio di una classe politica decadente e decaduta, inefficace, cialtrona, vile. Incapace di avere una sua linea politica per l’Europa, incapace di immaginare una proiezione geopolitica ed estera per l’Italia; incapace di sposare il paradigma economico offerto da Mario Draghi nella sua limpida lettera-manifesto pubblicata a fine marzo sul “Finalcial Times”. E’ una classe politica che, come Conte, vive alla giornata. Conte rappresenta bene questa classe politica, questo ammasso di politicanti senza futuro.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Gioele Magaldi Racconta”, su YouTube il 15 giugno 2020).Giuseppe Conte e i suoi consigliori si dimostrano sull’orlo di una crisi di nervi, sempre più disorientati e incapaci di comprendere quello che si sta muovendo attorno a loro: un po’ come la classe dirigente aristocratica del preludio della Rivoluzione Francese. Ovviamente oggi Conte è inquieto: sa che grandi manovre si muovono, da una parte all’atra dell’Europa e del mondo, ma in questo momento – a meno di qualche illuminazione sulla via di Damasco – non può che seguire la sua strada verso l’autodistruzione. Cosa può venire, da questi Stati Generali? Poco di buono, anche perché – in una situazione d’emergenza come questa – per essere credibile, un governo prima tira fuori i soldi e poi parla, progettando sul medio e lungo termine. Qui invece ci sono pochissimi soldi (spesi in modo inappropriato) e molte chiacchiere, appese peraltro a quelle che saranno decisioni europee. Qualche maligno sostiene che le discussioni in corso, negli Stati Generali e altrove, siano su come spartirsi denari per fini inconfessabili e a volte in termini clientelari, di rafforzamento del proprio ruolo? Denari che comunque verranno, prima o poi, dall’Europa: troppo tardi, per molte aziende e attività produttive che saranno ormai distrutte.
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Il Corriere: gli Stati Generali di Francheschiello, il Re Sòla
«Tornassi indietro, rifarei tutto uguale». Il primo segnale che qualcosa non andava avremmo forse dovuto coglierlo il giorno che Conte andò per la prima volta in Lombardia, il 27 aprile, un paio di mesi dopo il primo caso di Codogno. Insomma, dal premier di un paese che piange 35 mila morti e conta 235 mila casi di Covid-19 ci si sarebbe potuto aspettare qualche dubbio in più sulla propria performance. Ma gli indizi, da allora, si sono succeduti e moltiplicati: un tratto sovrano, non sovranista ma proprio sovrano, una leggera megalomania, una folie de grandeur sembra essersi impadronita dell’ex avvocato del popolo, trasformando la narrazione dell’umile figlio della patria strappato alla sua amata professione, in quella del padre della patria vocato a una missione salvifica. «Rifarei tutto uguale» l’aveva detto solo Trump. E anche «tutto il mondo ci copia». «Renderò edotto il Parlamento», invece, l’avrebbe potuto dire Trump perché lui è presidente, non del Consiglio ma degli Stati Uniti. Invece neanche Trump l’ha detto. Conte sì, quando ha annunciato, con grazia, che dal sistema emergenziale dei Dpcm sarebbe passato a informare le Camere a scadenze fisse. Ma le frasi non dicono tutto. E poi ci vuole un orecchio allenato per coglierne la progressiva enfasi monarchica.Le immagini contano di più. Il cortile di Palazzo Chigi addobbato con guida rossa e standing portavoce per una conferenza stampa aveva una innegabile assonanza presidenziale con la coreografia dell’Eliseo. E il concedersi a microfoni e telecamere del press pack in Piazza Colonna, beh, quello sembra preso pari pari dai meeting informali con la stampa e le tv del premier inglese davanti a Downing Street. Manca il giardino della Casa Bianca, ma forse a Villa Pamphilj si potrà riparare. Naturalmente è bastato dire «Stati Generali» per evocare un sospetto di sovranità, anche se in realtà molto sfortunata, perché l’esito della manovra politica di Luigi XVI per risolvere la grande emergenza del suo regno fu così orribile da restare proverbiale. Ma siamo certi che Conte non avesse di certo in mente quel Borbone quando ha usato la fatidica immagine. Secondo alcuni dei suoi critici si immaginava piuttosto come un predecessore del decapitato, il Re Sole. Secondo altri, più cattivi, il Borbone cui rischia di assomigliare è di un altro ramo: Franceschiello, l’ultimo re delle Due Sicilie.C’è chi dice che Conte lo fa perché si è messo in testa di dotarsi di un suo partito, che i sondaggi danno tra il 12 e il 15, un po’ meno di quanto davano al partito di Monti mentre questi era a Palazzo Chigi, giusto per memoria di quanto transit gloria mundi. C’è chi invece insinua che nella sua testa siano state piantate ambizioni più grandi, visto che nel 2022 si elegge il Capo dello Stato, e se il Parlamento tiene fino ad allora ad eleggerlo dovrebbe essere l’attuale maggioranza. Confesso che non credo a queste maldicenze. La minaccia di farsi un partito, fatta circolare in queste settimane, sembra più che altro un’assicurazione per tenersi i partiti che ha: come minaccia verso i Cinquestelle per esempio funziona, attenti che se andiamo alle urne vi rubo un po’ di voti. E la storia del Capo dello Stato, beh, se uno vuole fare il Capo dello Stato la prima attività cui si applica è quella di conquistarsi qualche amico nell’opposizione, perché la maggioranza politica del momento non è mai bastata per salire al Quirinale, e questa volta meno che mai, visto che dovrebbe contare sulla lealtà di Renzi.Forse le cose sono più semplici, e più casuali. Forse non è estraneo un elemento di improvvisazione che nella cultura politica di Conte è quasi inevitabile, viste le origini. Non si vuol qui dire che possa essere paragonato al personaggio di un dramma romantico di Victor Hugo, Ruy Blas, valletto di un altro conte che si ritrova a fare il primo ministro di Spagna per una somiglianza. Ma certo il nostro Conte è un premier per caso, asceso a Palazzo Chigi per mancanza di un leader vincente alle elezioni, e rimastoci grazie a un ribaltamento di maggioranza. Il fatto è che l’uomo ha un eloquio indubbiamente fluente, forse retaggio di oratoria da avvocato, è intelligente e ha una certa simpatia fisica, e certe volte ci si affida un po’ troppo. Si dovrà dunque essere comprensivi per qualche stonatura istituzionale. Come quando, l’altro giorno, ha risposto al centrodestra che chiedeva di essere consultato nelle sedi istituzionali, che Villa Pamphilj lo è, visto che è sede di rappresentanza, mentre quelli intendevano la sede dei rappresentanti, il Parlamento.Se di qualcosa Conte aveva bisogno per dare forza istituzionale ai suoi Stati Generali quella era proprio la partecipazione delle opposizioni; darne l’annuncio senza averli prima conquistati all’idea è stata dunque più ingenuità e fregola mediatica che arroganza. Né, se il mestiere politico fosse stato più radicato, il premier si sarebbe mai fatto scappare, per descrivere il programma dei lavori, che la prima serata avrebbe visto la partecipazione di «grandi ospiti internazionali», mutuando alla perfezione il lessico di Amadeus. Ma queste sono nuances. Più pericoloso per un aspirante sovrano, soprattutto quando incontra vis-à-vis il popolo come ha fatto l’altra sera parlando con un contestatore in piazza, è mostrare di non sapere che il reddito di cittadinanza non è di 800 euro per tutti, ma molto, molto meno per tanti. Perché ricorda troppo da vicino la storia delle brioche di un’altra personalità coinvolta nella storia degli Stati Generali: Maria Antonietta.(Antonio Polito, “Conte, frasi e scenografie solenni: l’enfasi da Re Sole dell’avvocato del popolo”, dal “Corriere della Sera” del 12 giugno 2020).«Tornassi indietro, rifarei tutto uguale». Il primo segnale che qualcosa non andava avremmo forse dovuto coglierlo il giorno che Conte andò per la prima volta in Lombardia, il 27 aprile, un paio di mesi dopo il primo caso di Codogno. Insomma, dal premier di un paese che piange 35 mila morti e conta 235 mila casi di Covid-19 ci si sarebbe potuto aspettare qualche dubbio in più sulla propria performance. Ma gli indizi, da allora, si sono succeduti e moltiplicati: un tratto sovrano, non sovranista ma proprio sovrano, una leggera megalomania, una folie de grandeur sembra essersi impadronita dell’ex avvocato del popolo, trasformando la narrazione dell’umile figlio della patria strappato alla sua amata professione, in quella del padre della patria vocato a una missione salvifica. «Rifarei tutto uguale» l’aveva detto solo Trump. E anche «tutto il mondo ci copia». «Renderò edotto il Parlamento», invece, l’avrebbe potuto dire Trump perché lui è presidente, non del Consiglio ma degli Stati Uniti. Invece neanche Trump l’ha detto. Conte sì, quando ha annunciato, con grazia, che dal sistema emergenziale dei Dpcm sarebbe passato a informare le Camere a scadenze fisse. Ma le frasi non dicono tutto. E poi ci vuole un orecchio allenato per coglierne la progressiva enfasi monarchica.
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Distanziamento: tutto il male che hanno deciso di farci
Con il passaggio alla cosiddetta fase 2 della crisi sanitaria, s’inaugura la società della distanza, e si identifica nella socialità e nella fisicità dei rapporti umani il nemico pubblico numero uno. Nonostante il declino delle infezioni e lo spopolamento dei reparti ospedalieri, il ritorno alla “normalità” appare come un miraggio sempre più lontano. È legittimo ipotizzare se il distanziamento sociale sia, più che il costo necessario da pagare per combattere il virus, l’obiettivo politico di una agenda tesa a riformare antropologicamente la nostra società. L’emergenza sanitaria ha generato una crisi senza precedenti, in cui per mesi la popolazione intera è stata messa praticamente agli arresti domiciliari, in molti casi privata dei propri affetti, dell’amicizia, del lavoro, della stabilità, di una visione del futuro; dopo che è stata distrutta un’economia intera, devastata la scuola, sospese le libertà costituzionali, e messo la cittadinanza sotto stretta sorveglianza con droni ed elicotteri. Ora lo Stato “consente” il ripristino parziale di alcune libertà, purché si rispetti il principio fondante del nuovo mondo tecno-scientifico: il distanziamento sociale. Ovvero, la cittadinanza è sottoposta a un livello di controllo bio-politico in cui lo Stato determina perfino lo spazio fisico entro cui le viene consentito muoversi.La giustificazione di misure apparentemente totalitarie risiede nella necessità di disciplinare gli individui, affinché i loro comportamenti non facilitano la diffusione del virus, in una rinnovata logica del “vincolo esterno”. Cosi facendo da un lato si colpevolizza la popolazione degradandola a ruolo di “infante” da “educare” tramite il controllo paterno dello Stato. Dall’altra si sposta la lente d’ingrandimento dalla dimensione macro della pandemia globale, che si sviluppa attraverso dinamiche complesse che sfuggono al controllo delle unità, alla dimensione micro dell’individuo. Quest’ultimo da mera unità biologica, è potenziale vettore del virus, e quindi è portatore di rischi non soltanto a sé stesso, ma soprattutto ad altri. Questo potenziale pericolo biologico ha giustificato (nella fase 1) la riduzione della vita sociale ad uno stato di segregazione domestica ed esclusivo consumo alimentare. Il problema pertanto non è più il virus in sé, ma gli individui, le unità, senza le quali il virus non potrebbe trasmettersi e non potrebbe esistere. Conseguentemente, la guerra al virus trova la sua prassi nel conflitto verso gli individui, o più precisamente nei confronti della socialità attraverso cui i comportamenti degli individui si manifestano.La guerra al virus, condotta a fine di salute pubblica e quindi con il fine di salvare la vita, diventa una guerra contro la vita stessa, intesa come la manifestazione sociale dei comportamenti umani. In altre parole combattendo il virus combattiamo noi stessi, e la nostra stessa idea di vita. Per questo motivo la narrazione dominante si concentra adesso sul ritorno alla socialità, che infrange le regole della tecno-distopia. Si colpevolizzano gli individui identificando il capro espiatorio del momento negli assembramenti della movida e degli aperitivi, che sostituiscono i runner e i proprietari di cani. Ad essere vietate sono tutte quelle manifestazioni sociali che potrebbero mettere in pericolo la sopravvivenza biologica, come una risata con gli amici, una pacca sulla spalla, una stretta di mano, un abbraccio (come pubblicizzato in una campagna di sensibilizzazione della regione Veneto). Insomma tutte quei comportamenti che distinguono l’uomo dalla macchina. Chi non si adegua viene giudicato come un pazzo o un irresponsabile da additare e marginalizzare. Di conseguenza lo Stato aumenta la repressione, punendo ad esempio coppie che si abbracciano in pubblico, o vietando passeggiate sul bagnasciuga, o autorizzando il trattamento sanitario obbligatorio per chi dissente, e cosi finisce per avvitarsi in un’assurda spirale di autoritarismo.È arduo spiegare come mai, nonostante l’appiattimento della curva e lo spopolamento dei reparti ospedalieri, le libertà e la socialità siano ancora consentite in edizione limitata. Il timore di chi scrive è che il distanziamento sociale non sia il mezzo ma il fine. D’altronde non possiamo essere certi dell’efficacia del distanziamento nel contrastare la pandemia, ed è lecito che nel dibattito pubblico si sollevino dubbi. Se non è certo che il distanziamento aiuti a contrastare il virus, è sicuro invece che abbia effetti collaterali di varia natura, tra i quali troviamo, banalmente, quelli sociali. Esso infatti colpisce in primo luogo le relazioni e contribuisce al quel processo di svalutazione, perpetrato dal capitalismo neoliberista, di quelli che Stefano Bartolini definì i beni relazionali. Si procede nel percorso di atomizzazione della comunità, nel separare il corpo nelle sue parti, in continuità con quella società liquida teorizzata da Bauman nell’era ante-virus, in cui il cittadino altro non era che un consumatore, depoliticizzato, alienato, impotente in un contesto globalizzato e condannato a una condizione di “solitudine”. In secondo luogo il distanziamento impedisce l’aggregazione e quindi la libertà politica stessa nel suo atto di germinazione, perché la politica è comunità, condivisione e partecipazione. Condannare gli assembramenti, seppur nella veste dell’happy hour o dell’aperitivo, equivale a condannare l’aggregazione politica e di conseguenza castrare ogni pulsione di dissenso nei confronti della narrativa dominante.Come osserva Agamben, l’assenza dei contatti fisici viene sostituita dai dispositivi tecnologici; ma non possiamo certo illuderci che potremmo avere per tutto soluzione di tipo smart, relegando noi stessi nel remoto, perché finiremo per ingabbiarci dietro la tastiera. Se si accetta convenzionalmente che una relazione non può essere vissuta su Facebook, discorso analogo dovrebbe valere per l’attività politica, cosi come per la scuola, e per tante attività commerciali che vivono di socialità. Per non menzionare i luoghi di lavoro, deprivati di qualunque essenza umana e sociale come la pausa caffè degli operai, in cui le nuove regole hanno istituzionalizzato l’alienazione. In un’intervista al “Financial Times”, una dipendente di un’azienda del nord ci da il senso della disgregazione del lavoro di squadra quando, quasi con malinconia, ricorda come si lavorasse prima: «A volte eravamo in quattro uno vicino all’altro, gomito a gomito, davanti a uno schermo, lavorando come se fossimo uno». Il distanziamento è anti-sociale per definizione, e solo una distopia di tipo orwelliana (in cui guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza) poteva affibbiargli tale etichetta. Esso appare in un inquietante veste di strumento di controllo bio-politico, che rilancia l’antico motto romano del divide et impera. Scusate il pessimismo, ma è difficile credere che andrà tutto bene.(Brian Cepparulo, “Distanziamento sociale: il mezzo o il fine?”, da “Osservatorio Globalizzazione” del 4 giugno 2020).Con il passaggio alla cosiddetta fase 2 della crisi sanitaria, s’inaugura la società della distanza, e si identifica nella socialità e nella fisicità dei rapporti umani il nemico pubblico numero uno. Nonostante il declino delle infezioni e lo spopolamento dei reparti ospedalieri, il ritorno alla “normalità” appare come un miraggio sempre più lontano. È legittimo ipotizzare se il distanziamento sociale sia, più che il costo necessario da pagare per combattere il virus, l’obiettivo politico di una agenda tesa a riformare antropologicamente la nostra società. L’emergenza sanitaria ha generato una crisi senza precedenti, in cui per mesi la popolazione intera è stata messa praticamente agli arresti domiciliari, in molti casi privata dei propri affetti, dell’amicizia, del lavoro, della stabilità, di una visione del futuro; dopo che è stata distrutta un’economia intera, devastata la scuola, sospese le libertà costituzionali, e messo la cittadinanza sotto stretta sorveglianza con droni ed elicotteri. Ora lo Stato “consente” il ripristino parziale di alcune libertà, purché si rispetti il principio fondante del nuovo mondo tecno-scientifico: il distanziamento sociale. Ovvero, la cittadinanza è sottoposta a un livello di controllo bio-politico in cui lo Stato determina perfino lo spazio fisico entro cui le viene consentito muoversi.
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Björkdahl: il Sudafrica sa chi è il vero killer di Olof Palme
Il caso Dag Hammarskjöld mi ha collegato a Olof Palme. Due leader svedesi, entrambi sostenitori di piccole nazioni sulla scena mondiale, entrambi restii ad essere controllati dai superpoteri globali, entrambi morti di morte violenta: su mandato dei medesimi superpoteri? Per 11 anni ho indagato sul misterioso incidente aereo che uccise l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld. Indagine riassunta nel documentario “Cold Case Hammarskjöld”. Nel 2014, durante un viaggio di ricerca per il documentario, il caso dell’assassinio dell’ex primo ministro Olof Palme mi cadde letteralmente in braccio quando, alla fine di una cena, il giornalista De Wet Potgieter mi passò i documenti del cosiddetto dossier Deepsearch. I documenti, preparati dal defunto generale Tai Minnaar, descrivono come il Sud Africa definisse Palme “nemico dello Stato” e forniscono i nomi di persone presumibilmente coinvolte nel decidere, pianificare e attuare il suo assassinio. Più tardi capii che questi documenti erano ritenuti falsi da molti in Svezia. Ma l’anno successivo, a Pretoria, incontrai il generale in pensione Chris Thirion, ex capo dell’intelligence militare (Mi) del Sud Africa, e lui dichiarò nella mia telecamera che quei documenti nel dossier Deepsearch sembravano autentici. Egli affermò anche di essere personalmente convinto che il Sudafrica avesse compiuto quell’assassinio.Attraverso l’indagine Hammarskjöld avevo costruito una vasta rete di contatti: ex agenti dell’intelligence, ex-militari, storici e giornalisti. Per il caso Palme, uno dei contatti più utili fu un ex general-maggiore, Tienie Groenewald, che al momento dell’omicidio di Palme era stato responsabile del ramo Interpretazione della National Intelligence in Sudafrica. Egli mi raccontò storie affascinanti su come l’intelligence militare sudafricana collaborava con la Cia, come gli israeliani aiutarono il Sudafrica ad acquisire la bomba nucleare, ma non mi fu di grande aiuto per il caso Palme. Dopo il nostro ultimo incontro, lo chiamai e gli dissi che lui, più di chiunque altro, era in grado di aiutare a risolvere il caso Palme. Menzionai la ricompensa di 50 milioni di corone svedesi (circa 5 milioni di euro) e avanzai l’idea di un accordo in cui la Svezia avrebbe concesso l’immunità dall’accusa e il Sudafrica avrebbe convinto i suoi cittadini coinvolti nell’assassinio a diventare puliti.Il giorno seguente, un dipendente dell’intelligence militare sudafricana mi chiamò e mi invitò a un incontro con un generale nella sezione segreta (non lo nominerò ma in seguito verificai la sua identità). Mi disse di andare all’hotel Hyatt a Sandton, Johannesburg. Era il 1 ottobre 2015. Da lì fui scortato in un ristorante quasi vuoto, lì vicino, dove incontrai il generale. Lui andò dritto al nocciolo della questione, dandomi i nomi di quelli che disse fossero coinvolti nella morte di Palme – e mi disse che il Sudafrica era disposto ad aiutare la Svezia ad arrivare alla verità. In cambio, il Sudafrica sperava in relazioni più strette con la Svezia. Una condizione per un tale accordo sarebbe stata l’immunità dall’azione penale per tutti coloro che agirono per ordine dell’ex governo sudafricano. Il generale suggerì che il motivo avrebbe potuto essere sia politico (Palme e la Svezia avevano sostenuto l’Anc – il movimento patriottico di Nelson Mandela, NdT) che economico, anche se non elaborò ulteriormente questo punto. Egli affermò che l’intelligence militare sudafricana era disposta a iniziare una discussione, ma solo con le sue controparti svedesi: politici e media dovevano essere esclusi dal dialogo.Io dissi che il motivo centrale di una simile iniziativa sarebbe stato renderne pubbliche le conclusioni, in modo che sia la famiglia Palme che il popolo svedese potessero mettere la parola fine. Dopo un’intensa discussione, concordammo di consentire alle agenzie di intelligence di avviare la discussione, partendo da quel nostro incontro. Il generale era stupito che io stessi indagando sull’omicidio di Palme come hobby. Sottolineò che stavo correndo enormi rischi e che i cospiratori mi avrebbero semplicemente ucciso se si fossero sentiti minacciati. Nel novembre 2015 consegnai il materiale all’intelligence nazionale svedese (Säpo), che a sua volta lo passò all’unità di polizia che indagava sulla morte di Palme. Per i successivi due anni e mezzo non sentii più nulla e, nell’aprile 2018, cercai un incontro con il nuovo procuratore per il caso Palme, Krister Petersson. Gli raccontai la mia storia e mi fece piacere notare che ne era già a conoscenza. Non solo, Petersson mi chiese di far sapere al generale del Mi che lui era disposto ad andare in Sudafrica per incontrarlo.Non fui mai più in grado di ristabilire il contatto con il generale sudafricano, ma a giugno 2018 riuscii a consegnare il messaggio al Mi tramite un altro contatto. Di nuovo ci fu silenzio, fino a poche settimane fa quando una fonte di intelligence in Sudafrica mi informò che il 18 marzo si era tenuto a Pretoria un incontro tra rappresentanti dei due governi per discutere del caso Palme. In un normale caso giudiziario in Svezia, l’immunità dall’azione penale sarebbe impensabile. Ma il caso dell’assassinio di Olof Palme è unico. Perciò spero che le autorità svedesi possano fare un’eccezione, a condizione che i responsabili dell’assassinio confessino. Penso che sarebbe un gesto rispettabile da parte loro aiutare il popolo svedese a chiudere quel caso. Penso che il bisogno di sapere sia più importante del bisogno di punire.(Göran Björkdahl, “Il Sudafrica sa chi assassinò Olof Palme”, da “Tlaxcala” del 9 giugno 2020, ripreso da “Come Don Chisciotte” con traduzione dall’inglese di Leopoldo Salmaso. Per la morte del premier socialista svedese Olof Palme, assassinato a Stoccolma il 28 febbraio 1986, si è appena concluso un processo che, dopo tanti anni, ha lasciato l’amaro in bocca agli svedesi: si accusa un estremista di destra, Stig Engstrom, senza tuttavia dissipare i molti dubbi ancora aperti sul caso. L’economista Dag Hammarskjöld è stato invece un diplomatico, già presidente della Banca di Svezia, poi segretario generale delle Nazioni Unite; carica ricoperta per due mandati, dal 1953 fino alla sua morte nel 1961, occorsa a causa di uno strano incidente aereo avvenuto in Africa meridionale durante una missione di pace. Gli fu conferito postumo il Premio Nobel per la Pace per la sua attività umanitaria. Il saggista Gianfranco Carpeoro, massone, ricorda che Palme era un 33esimo grado del Rito Scozzese: secondo Carpeoro, il carismatico leader svedese, punto di riferimento per i socialisti europei con le sue politiche di welfare, è stato assassinato da servizi segreti agli ordini dell’élite massonica reazionaria e neoliberista che vedeva in Palme un ostacolo insormontabile per l’affermarsi del globalismo post-democratico e dell’Unione Europea così come sarebbe nata a Maastricht. Lo stesso Carpeoro lo ha ricordato nella primavera 2019 a Milano, in occasione del convegno che il Movimento Roosevelt ha dedicato alla figura di Palme, insieme a quelle di Carlo Rosselli e del leader africano Thomas Sankara. A essere implicato nell’omicidio Palme, secondo le fonti di Björkdahl, è ovviamente il regime sudafricano dell’apartheid, durato fino al 1991).Il caso Dag Hammarskjöld mi ha collegato a Olof Palme. Due leader svedesi, entrambi sostenitori di piccole nazioni sulla scena mondiale, entrambi restii ad essere controllati dai superpoteri globali, entrambi morti di morte violenta: su mandato dei medesimi superpoteri? Per 11 anni ho indagato sul misterioso incidente aereo che uccise l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Dag Hammarskjöld. Indagine riassunta nel documentario “Cold Case Hammarskjöld”. Nel 2014, durante un viaggio di ricerca per il documentario, il caso dell’assassinio dell’ex primo ministro Olof Palme mi cadde letteralmente in braccio quando, alla fine di una cena, il giornalista De Wet Potgieter mi passò i documenti del cosiddetto dossier Deepsearch. I documenti, preparati dal defunto generale Tai Minnaar, descrivono come il Sud Africa definisse Palme “nemico dello Stato” e forniscono i nomi di persone presumibilmente coinvolte nel decidere, pianificare e attuare il suo assassinio. Più tardi capii che questi documenti erano ritenuti falsi da molti in Svezia. Ma l’anno successivo, a Pretoria, incontrai il generale in pensione Chris Thirion, ex capo dell’intelligence militare (Mi) del Sud Africa, e lui dichiarò nella mia telecamera che quei documenti nel dossier Deepsearch sembravano autentici. Egli affermò anche di essere personalmente convinto che il Sudafrica avesse compiuto quell’assassinio.
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Magaldi: avviso a Conte, in autunno la Rivoluzione Italiana
E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».«E’ vero, le élite le progettano: ma poi le rivoluzioni le fa la gente, se capisce che deve scendere in strada al momento giusto. Che nel nostro caso si sta rapidamente avvicinando», assicura Magaldi. «Parlo di un riscatto nazionale, civile ed economico: in palio c’è l’Italia, esattamente come nel Risorgimento, di cui il 20 settembre 1870 rappresenta l’epilogo, con la conquista di Roma». Premessa: il presidente del Movimento Roosevelt, entità metapartitica nata nel 2015 per tentare di rimettere insieme i cocci della politica italiana, di massoneria se ne intende. «Il mondo in cui viviamo è stato interamente progettato da massoni: lo Stato diritto, le istituzioni laiche, il suffragio universale. La democrazia non ce l’ha portata la cicogna: è stata un’idea dei massoni che nel ‘700 rovesciarono l’Ancien Régime, in Francia e in America, dando inizio alla modernità politica». Queste cose, Magaldi le ha ricordate nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Un bestseller italiano, trasformatosi in long-seller e – dice l’autore – costato il trono a Giorgio Napolitano, nientemeno, indicato come appartenente alla superloggia “Three Eyes”.Grande regista, Napolitano, dell’imbarazzante operazione (interamente massonica) che portò il “fratello” Mario Monti a Palazzo Chigi con l’incarico di inguaiare il paese, tagliando la spesa sociale e quindi determinando deliberatamente una crisi terribile, tale da far crollare il gettito fiscale fino a far esplodere il debito pubblico. Obiettivo: rendere l’Italia sempre più debole, facile preda dei suoi avidi “becchini”. Francia e Germania? «Non esattamente: si tratta di gruppi apolidi, supermassonici, che usano in modo cinico le istituzioni – Ue, singoli paesi – per i loro scopi inconfessabili, speculativi e privatistici. E’ un’élite sovranazionale, economicamente neoliberista e politicamente reazionaria, post-democratica». Di fronte a questo, avverte Magaldi, le antiche distinzioni ideali (destra-sinistra) non contano più niente, da quando – archiviate le ideologie – i politici della sinistra si sono rassegnati, proprio come quelli della destra, ad eseguire ordini impartiti dall’alto: dalla stessa élite senza patria che, dagli anni Settanta in poi, ha cominciato a “smontare” la democrazia sociale dei diritti in tutto l’Occidente, attraverso entità paramassoniche come la Trilaterale, fino ad arrivare, oggi, a guardare alla Cina come modello.Una società autoritaria, quella cinese, basata sulla sorveglianza orwelliana del cittadino-suddito. «Non a caso – fa osservare Magaldi – il disastro Covid è esploso a Wuhan all’indomani della cocente umiliazione inflitta a Xi Jinping dall’unico politico capace di opporsi al dilagare dell’egemonia di Pechino: Donald Trump, oggi infatti assediato dai manifestanti antirazzisti alla vigilia delle elezioni, e alle prese con la drammatica crisi economica indotta dal lockdown, che ha cancellato gli ottimi risultati ottenuti dalla Casa Bianca nel far volare l’economia americana». Beninteso: «Trump farebbe meglio ad ascoltare i manifestanti genuinamente indignati per lo scandalo del razzismo che serpeggia tra i poliziotti stratunitensi: una piaga rispetto alla quale, peraltro, lo stesso Barack Obama, primo presidente “nero”, in otto anni non ha fatto assolutamente niente». Ma attenzione: «I manifestanti violenti sono manipolati: imputano assurdamente a Trump l’omicidio di George Floyd».Ecco perché, aggiunge Magaldi, sarebbe da ciechi non scorgere i manovratori: a loro, del razzismo non importa nulla. «Vogliono solo impedire che Trump venga rieletto, perché ha osato sfidare la loro “creatura”, la Cina, e anche l’opaca Oms foraggiata da Pechino, braccio operativo del “terrorismo sanitario” che ha usato il Covid come un’arma», con obiettivi plurimi: mettere ko l’economia per indebolire i politici, e confiscare – in modo inaudito, in Occidente – le libertà democratiche nelle quali siamo cresciuti. E’ una specie di inferno, quello che si sta spalancando: qualcuno sta cercando di far apparire “normale” il coprifuoco, il distanziamento, la chiusura irreparabile di aziende e negozi. Scenario che in Italia si sta traducendo nella morte civile di interi settori strategici, come il turismo. «E se domani qualcuno si inventa un altro virus, fabbricandolo in laboratorio? Che facciamo: richiudiamo tutto?». Il primo a sentire puzza di bruciato è stato Bob Dylan: con la canzone “Murder Most Foul”, il grande cantautore (Premio Nobel per la Letteratura) a fine marzo ha messo in relazione la pandemia – e i “falsi profeti” del vaccino universale – con la cupola di potere che nel 1963 assassinò John Kennedy a Dallas. Addirittura?Ebbene sì. «Un’unica filiera – dice Magaldi – collega la fine dei Kennedy al manifesto “La crisi della democrazia”, promosso dalla Trilaterale di Kissinger: il primo a sdoganare il regime cinese con l’idea di farne un’alternativa, mostruosa, per un Occidente non più libero, e oggi infatti ricattato dalla paura grazie a un virus “cinese” che, in questo, è ancora più efficace del terrorismo “islamico”, anch’esso coltivato da menti massoniche». Magaldi sa di cosa parla: già “venerabile” della prestigiosa loggia romana Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, oggi è il “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, circuito massonico progressista collegato con le superlogge sovranazionali più avanzate, sul piano dell’impegno sociale democratico, come la “Thomas Paine”. Altra notizia: a quel circuito appartiene lo stresso Dylan, «massone ultra-progressista, oggi sceso in campo in prima persona perché il pericolo che stiamo correndo è veramente grande: il mondo rischia di non essere più lo stesso, se gli oligarchi avranno mano libera nel gestire l’emergenza Covid a modo loro».La sensazione è che l’attacco sferrato – l’imposizione del lockdown “cinese”, l’avvento della nuova polizia sanitaria – sia un riflesso di autodifesa, da parte di un’élite che teme di perdere il potere. Parlano da sole le clamorose diserzioni in atto, ai piani alti, tutte annunciate con largo anticipo proprio da Magaldi: Mario Draghi e Christine Lagarde hanno abbandonato il fronte reazionario (dominio finanziario, privatizzazioni) e oggi parlano un’altra lingua, insieme alla stessa dirigenza del Fmi, fino a ieri schierata dalla parte del rigore. «Fine dell’austerity», raccomandò Draghi, a marzo, sul “Financial Times”: se non si inonda l’economia di miliardi a costo zero, che non si trasformino in debito, il nostro sistema produttivo crollerà. «Oggi, gli unici soldi veri che l’Italia sta ricevendo sono quelli della Bce assicurati dalla “sorella” Lagarde», sfidando i falchi tedeschi. E’ così l’importante, l’Italia? Eccome: «Ci crediate o meno, è il luogo in cui si combattono e si combatteranno alcune battaglie decisive per la democrazia e la libertà, per il futuro della globalizzazione», assicura Magaldi.Spiegazione: fuggita la Gran Bretagna, in Ue – a parte il Belpaese – restano solo due grandi player, Germania e Francia: ma i rigidi assetti politici di Berlino e Parigi non consentono margini di manovra. Che l’Italia fosse l’unico laboratorio possibile, per riformare la governance continentale, lo si era già visto nel 2018, col Parlamento nel caos dopo il voto: il boom dell’incognita 5 Stelle, il Pd umiliato tra le macerie del renzismo (riformatore solo a chiacchiere) e l’impennata della Lega, ad archiviare l’obsoleto centrodestra. Come sarebbe andata a finire lo si capì da subito: «Saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare», proclamò l’eurocommissario tedesco Günther Oettinger, «massone reazionario», mentre lo spread saliva prontamente. Poteri forti: «Fu Bankitalia – dice Magaldi – a convincere Mattarella a negare il ministero dell’econonia a Paolo Savona, che era lì apposta per provare a cambiare le regole che ci penalizzano da decenni». Il resto è cronaca: lo stesso Salvini la buttò in caciara enfatizzando il problema-migranti, per nascondere il fallimento gialloverde. «Lui e Di Maio dovettero ingoiare il rospo: a loro, Bruxelles non concesse neppure un irrisorio incremento del deficit».Unico accenno di riforma, l’alleggerimento fiscale vagheggiato dal leghista Armando Siri, messo però fuori gioco da un semplice avviso di garanzia. «Salvini si arrese, staccando la spina». Elezioni? Macché: i 5 Stelle – pur di non perdere la poltrona – si aggrapparono al «partito di Bibbiano», abbracciando uno Zingaretti che, fino a tre giorni prima, giurava: «Mai, con quei populisti». Cambiarono i suonatori, ma non lo spartito: ancora e sempre rigore, vigilato dall’emissario di turno dei soliti poteri (Roberto Gualteri, Pd, forgiato dall’eterna tecnocrazia di Bruxelles). Obiettivo: tirare a campare, in un’Italia sempre più precaria e impoverita, senza nessuna speranza nell’unica svolta politico-economica ormai drammaticamente indispensabile: la rottamazione della grande bugia neoliberista, del debito pubblico come colpa nazionale. «Il “fratello” Draghi si è ricordato delle sue origini, citando il New Deal di Roosevelt: senza un massiccio intervento statale, l’economia frana nella spirale della crisi». E’ la lezione di Keynes, oggi rispolverata dal fronte massonico progressista che si oppone alle restrizioni catastrofiche imposte con l’alibi del Covid, tra le mille opacità della gestione italiana della pandemia più strana e più sospetta della storia. Un disastro, per gli italiani. Ma per “Giuseppi”, una grande occasione.Il piccolo, oscuro “avvocato del popolo” – mai sentito nominare da nessuno, prima del 2018 – si è trasformato di colpo in mini-dittatore, miracolato dal coronavirus proprio quando il suo governicchio incolore stava per cadere. «Conte ha sbagliato tutto quello che poteva: ha agito in ritardo nel creare zone rosse e ha permesso la grande “fuga” dalla Lombardia contaminata, poi ha chiuso gli italiani in casa facendo crollare l’economia e in più li ha lasciati senza aiuti: c’è ancora chi aspetta la cassa integrazione». Su che pianeta vive, il Conte che l’11 giugno si è stupito di essere accolto in piazza al grido di “buffone”? Ci tiene proprio, a replicare le gesta delle varie Maria Antonietta della storia? Non si era accorto, che l’esaperazione popolare sta per esplodere? Cattive notizie, per “Giuseppi”: un sondaggio di inizio giugno svela che è Mario Draghi l’italiano che oggi riscuote più fiducia. «Credo che a volte la storia sia sarcastica, ironica, beffarda», commenta Magaldi. «Il Conte che convoca gli Stati Generali, richiamando la Francia del ‘700, non sa che quell’assemblea portò direttamente alla rivoluzione contro chi l’aveva convocata?».«La storia dell’appello agli Stati Generali non andrà a finire bene nemmeno stavolta», dice Magaldi in web-streaming su YouTube. Una pessima suggestione storica: «Chi li aveva convocati nel 1789 credeva di poter manipolare il popolo, fingendo di concedere una consultazione vasta per il bene collettivo: in realtà si volevano propinare le solite ricette, che non concedevano significative riforme – economiche, politiche e sociali». La storia si ripete? «A un sempre più stralunato Giuseppe Conte (e ai suoi consigliori ancor più stralunati, tanto per le questioni comunicative che per quelle economiche e legislative), quella storia avrebbe dovuto consigliare di scegliersi un altro titolo, per questa convocazione», aggiunge Magaldi. «Ma credo ci sia una sorta di “cupio dissolvi”: ognuno persegue il proprio destino – e questo vale anche per Giuseppe Conte e i suoi, che avranno un destino di disfatta. Dunque, se ci sono gli Stati Generali, andranno a finire come nel caso della Rivoluzione Francese. E’ davvero uno scivolone clamoroso: significa quasi attribuirsi in partenza un esito catastrofico, come quello degli Stati Generali parigini».Magaldi annuncia un ultimatim che il Movimento Roosevelt presenterà a Conte entro una decina di giorni: «Faremo una proposta precisa, facile da attuare in tempi brevissimi, per ognuno degli attuali ministeri: c’è bisogno di sostenere gli italiani, subito, con azioni chiare e immediate». Precisa Magaldi: «Noi siamo laici, non “tribali”: non ci interessa chi fa le cose che servono, l’importante è che le faccia». Conte? «Deve liberarsi – testualmente – di tutte le pervicaci e rapaci cazzate che vengono anche dal piano Colao». Privatizzare quel che ancora ci resta: «Tutte storie già viste, stroncate molto bene da Giulio Sapelli, ottimo economista italiano che tiene alta la fiaccola keynesiana: Sapelli ha ricordato che le proposte di Colao assomigliano alle cose che si insegnano nelle scuole per manager, mal digerite e certamente poco adatte alla realtà concreta». Se il governo si libererà «dalle elaborazioni irrisorie che verranno da questi Stati Generali», tanto meglio: «Non ci sarà bisogno, il 5 ottobre, di scendere in piazza». Il problema è anche come affrontarla, la piazza: Magaldi sta creando la Milizia Rooseveltiana, qualcosa che in Italia non sè ancora visto.«Sarà un teatro nonviolento ma fermo, scomodo e inflessibile nel denunciare quello che non va e nel proporre soluzioni ragionevoli». Milzia? Ovvio il riferimento, autoironico, al fascismo delle origini, specularmente capovolto a partire dallo slogan: “Dubitare, disobbedire, osare”, anziché “Credere, obbedire e combattere”. «Mobilitare il popolo è un’operazione complicata, difficile: la maggior parte dei manifestanti sono irrisori, nelle loro dimostrazioni di piazza». Magaldi pensa ai Gilet Arancioni di Pappalardo: «I media li sfottono, come se ormai fosse una follia il solo fatto di protestare civilmente. Ma gli obiettivi che indicano – riforme costituzionali, uscita dall’Ue e dalla Nato – richiedono decenni, a prescindere da come li si giudichi». Sul fronte opposto, c’è l’increscioso modello-Sardine: «Molto rumore per nulla: proposte irrisorie se non pericolose per la democrazia, come la pretesa della censura sui social per i ministri». Magaldi ha le idee chiare: «Non è più tempo di analisi, ma neppure di manifestazioni inutili: si sfila e si intonano cori, ma non si porta a casa niente. Vedrete: finiranno nel nulla anche le manifestazioni contro Trump».Da dove deriva, Magaldi, le sue sicurezze? Ovvio, dalle informazioni riservate di cui dispone: il back-office del grande potere, che oggi è spaccato in due. Da una parte il “partito del lockdown” e della polizia sanitaria, dall’altra i partigiani della democrazia. Gli uni hanno usato il sistema-Cina per forzare la mano e deformare l’Occidente, mentre i loro avversari hanno investito sul più impensabile degli alleati – l’orco Donald Trump – per sfrattare dai piani alti i supermassoni “golpisti”, travestiti da democratici. Esempi? I Clinton: Bill ha relagato i pieni poteri a Wall Street, stracciando il Glass-Steagall Act (voluto da Roosevelt mezzo secolo prima) che impediva alla finanza speculativa di mettere in pericolo in risparmio privato. Quanto a Hillary, ha orchestrato le bolle di sapone dei vari Russiagate, obbedendo al “partito della guerra”. Di mezzo c’è stata la strategia della tensione planetaria gestita, secondo Magaldi, dalla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush: roba loro, l’11 Settembre. Bottino: il saccheggio del Medio Oriente, grazie all’alibi del terrosismo islamico.«Osama Bin Laden – ricorda Magaldi – fu reclutato da Zbigniew Brezisinski in funzione antisovietica ai tempi dell’invasione dell’Afghanistan. Quello che pochi sanno – aggiunge l’autore di “Massoni” – è che Bin Laden fu iniziato alla superloggia “Three Eyes”, la stessa di Brzesinki e Kissinger». Poi i Bush lo dirottarono nella “Hathor”, «che più tardi affiliò anche Abu-Bakr Al Baghdadi, a cui venne dato il compito di mettere in piedi l’Isis, le stragi in Iraq e in Siria, i sanguinosi attentati in Europa». Fu lì, dice sempre Magaldi, che la piramide del potere occulto iniziò a incrinarsi: allo stesso saggio “Massoni”, forte di 6.000 pagine di documenti riservatissimi, hanno contribuito “grandi pentiti” del fronte oligharchico. Massonicamente, Magaldi li comprende: «Se sei consapevole del fatto che è stata la tua organizzazione, a fondare la modernità a colpi di rivoluzioni, un bel giorno puoi anche pensare di farne quello che vuoi, del mondo che hai fabbricato». Grave errore: «Noi progressisti li chiamiamo contro-iniziati: hanno tradito l’impegno massonico, che è per il bene di tutti, non di pochi. La loro è una filosofia: si sentono appartenenti a una sorta di “aristocrazia dello spirito”, si credono gli unici autorizzati a decidere i destini dell’umanità».Per questo, Magaldi li definisce neoaristocratici: «Vorrebbero ereditare il potere assoluto dell’aristocrazia di un tempo, che proprio i massoni abbatterono – in Francia, peraltro, anche con il contributo di elementi della stessa aristocrazia, e persino del clero: le logge del ‘700 erano davvero interclassiste». Discorsi che potrebbero sembrare lunari, non avessimo di fronte un tizio come “Giuseppi”, che qualcuno continua a scambiare per un politico dotato di un qualche spessore, e che ora s’è messo in testa di convocare a settembre gli Stati Generali, come quelli che nel 1789 scavarono la fossa alla corte di Parigi. Magaldi è drasticamente esplicito: «C’è un lavoro possente, condotto ai piani alti: aspettatevi di tutto, nelle prossime settimane». Qualcosa, a dire il vero, s’è già visto: in tempo di pace, non sarebbero mai circolate intercettazioni come quelle che imbarazzano Renzi (i servizi italiani utilizzati per fabbricare prove false contro Trump per il Russiagate) e che travolgono il capo dell’Anm, Palamara, impegnato a trescare col Pd per tagliare le gambe a «quella merda di Salvini», in una palude maleodorante di favori. Ma il bello deve ancora arrivare, assicura Magaldi: crolleranno pezzi interi di establishment.La partita italiana ha rilievo mondiale, insiste Magaldi: solo da qui si può pensare di scardinare l’attuale euro-sistema, che lascia Conte in mutande e gli italiani in bolletta persino di fronte al Covid. «Il governo va incalzato con proposte che non potrà rifiutare: soluzioni ragionevoli, da attuare subito». Giorno per giorno, gli italiani vedono la reale dimensione del dramma: il Mes è un piccolo imbroglio, il Recovery Fund resta un miraggio. Serve qualcuno che, finalmente, prenda il toro per le corna e pretenda quello che ci spetta: miliardi, per uscire dal coma. E non solo: va sfidato, una volta per tutte, il regime bugiardo dell’austerity. Nessuna legge economica vita di metter mano a una super-spesa pubblica, in tempi di crisi. Occorre agire. Se non ora, quando? «Il 5 ottobre, se Conte non ci avrà ascoltato, scenderà in campo la Milizia Rooseveltiana», annuncia Magaldi. «Le nostre idee devono camminare sulle baionette (nonviolente) della nostra capacità rivoluzionaria, pacifica e gandhiana, che però si esercita in piazza».«Occorre mobilitare sempre più persone, in modo costante e veemente, che gridino il loro “basta”. Persone accigliate, severe. Persone che non hanno più voglia di ridere, perché c’è poco da ridere. Questo è un momento gravissimo, per le sorti dell’umanità e del popolo italiano». Non è più tempo di blog e video su YouTube, di manifestazioni innocue e velleitarie, di analisi acute e controcorrente. «Il punto vero è che poi, queste cose, devono diventano azione (nonviolenta), perché solo nell’azione ci si unisce, e si diventa popolo sovrano». L’azione vera – scandisce Magaldi – è quella di chi dice, «di fronte al potere, al popolo e a quei giornalisti che hanno ancora la schiena diritta», quali sono le cose che si potrebbero fare in uno, due o tre mesi. «La soluzione, oggi, non è nell’infinita analisi e nell’infinito racconto: arriva un momento, che è quello dell’azione». Per inciso: mezzo mondo sta osservando l’Italia, che finora a subito ogni imposizione ma sta cominciando ad agitarsi. Gli Stati Generali a settembre? Brutta storia: per Conte e Colao finirà malissimo, profetizza Magaldi. A una condizione: che a scendere in campo, finalmente, siano gli italiani. Non bastano, le élite democratiche: serve il popolo, per rivoluzionare la governance. Per chi non l’avesse ancora capito: la sgangherata Italia è l’epicentro di questo terremoto mondiale.E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».
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Soros e Bannon, nemici per finta: sono uniti contro la Cina
La narrazione mediatica degli ultimi anni li ha individuati come ideologi e ispiratori di fronti contrapposti, sovranisti contro globalisti, qualificandoli come irriducibili nemici. Tuttavia, Steve Bannon e George Soros sono e restano connazionali, pensano e agiscono con categorie politiche e ideologiche di matrice statunitense e hanno oltre Atlantico il centro propulsore delle loro mosse. Non stupisce, dunque, vederli ora dichiararsi in maniera congiunta preoccupati dall’ascesa della Cina e intenti ad avvertire i paesi europei della minaccia di un forte legame commerciale e politico con Pechino. L’89enne finanziere di origini ungheresi e il 66enne ideologo sovranista hanno espresso con chiarezza le loro posizioni parlando con due quotidiani italiani. Soros, intervistato da “Repubblica”, ha attaccato la Cina di Xi Jinping unendo un’analisi tipica del suo sostegno all’ideologia dei diritti umani a una considerazione “geopolitica”: «Xi Jinping è un dittatore, che ha consolidato un regime basato su principi totalmente opposti a quelli dell’Unione Europea – dice – ma questo non è ancora ben chiaro ai paesi della Ue, né agli ambienti industriali, specialmente in Germania, che vedono la Cina come un partner economico, senza rendersi conto che fare dipendere le nostre infrastrutture dalla tecnologia cinese ci espone a ricatti e condizionamenti».Bannon, invece, ha parlato al “Corriere della Sera” che, contattandolo per parlare della riapertura della sua scuola politica alla Certosa di Trisulti, ha avuto modo di confrontarsi con lui sulla sua visione del contesto globale: Bannon definisce la sfida dell’Occidente “giudaico-cristiano” alla Cina la battaglia «la battaglia contro un partito radicale che non si fermerà davanti a nulla per il dominio del mondo». Si nota come in Bannon ritornino i toni apocalittici e millenaristi che lo avevano reso noto in passato nel corso della sua carriera come “stratega” delle forze populiste e sovraniste del Vecchio Continente. Bannon ne ha anche per quelli che sono da lui ritenuti i principali ostacoli alla sua strategia anti-cinese nella penisola italiana. Da un lato il Movimento Cinque Stelle, «che hanno ceduto al Partito comunista cinese, a una dittatura totalitaria», dall’altro il Vaticano, definito «pozzo nero di corruzione, incompetenza e dissolutezza». Pochi casi più della presente convergenza sulla Cina aiutano a capire quanto la presunta incompatibilità tra Soros e Bannon sia una narrazione strumentale: i due rappresentano le principali manifestazioni della proiezione oltre Atlantico degli interessi strategici Usa.Soros, da un lato, protagonista già a partire dagli anni Ottanta di assidue campagne di finanziamento volte a erodere il terreno ai regimi comunisti dell’Est Europa, è portavoce e capofila dell’ala liberal-progressista del mondo a stelle e strisce. Un’ala, con relativi apparati, gruppi d’influenza e cordate politiche, favorevole a difendere lo status quo e la narrazione della globalizzazione in quanto estremamente favorevole al mantenimento della supremazia e della centralità statunitense nel mondo. Capace di portare avanti un’agenda ideologica (in cui l’apertura delle frontiere al libero commercio e alla libera circolazione dei capitali sono molto spesso sottovalutate rispetto al più visibile sostegno alla libera circolazione degli uomini) che ha preso piede soprattutto nella sinistra europea in cerca di punti di riferimento dopo la caduta del Muro e l’avvio della globalizzazione. Bannon, invece, rilancia in tono “sovranista” la narrazione che aveva già animato l’azione degli Stati Uniti ai tempi dell’egemonia dei gruppi neoconservatori nell’epoca di George W. Bush.Dunque: occidentalismo spinto, esaltazione del legame con alleati come Israele contro un mondo, quello islamico, ritenuto compatto nella sua incompatibilità con l’Occidente; critica formale alla globalizzazione in nome del primato dell’interesse americano (il famoso “America First” di Trump) senza la sostanziale volontà di stravolgere la governance mondiale; rilancio delle culture wars contro la presunta egemonia dell’ideologia del “politicamente corretto”; sdoganamento dell’ideologia economica neoliberista. Un’ideologia che Pietrangelo Buttafuoco ha definito una «minestra revotata dei neo-con occidentalisti». Soros e Bannon rappresentano dunque due diverse anime degli apparati di potere americani, in certi momenti estremamente duri nel loro confronto e nella loro dialettica (la fase attuale non fa eccezione), ma concordi sul nocciolo duro dell’interesse nazionale statunitense, ovvero il mantenimento del controllo geopolitico sull’Europa e la lotta contro qualsiasi forma di potere esterno capace di sfidare l’egemonia americana nel mondo.La comune critica alla Cina segnala la salda convinzione dei decisori strategici di Washington che sia arrivato il tempo di iniziare a capire come regolare i conti con Pechino. E in questa campagna gli Usa hanno bisogno dell’Europa come alleato fedele, non tentato da cedimenti all’Impero di Mezzo. La critica alla Cina, in un certo senso, fa cadere il velo di ipocrisia su Soros e Bannon che i loro sostenitori e i loro critici hanno in larga misura volutamente ignorato: i “sovranisti” duri e puri denunciavano Soros come l’architetto di ogni complotto e il sostenitore di una presunta “invasione” di migranti, mentre la sinistra liberal ha sempre visto in Bannon una sorta di Nosferatu, di guru anti-europeista. In entrambi i casi, volutamente, manca l’affermazione più importante, e cioè la natura esterna dei centri propulsori dell’azione di Soros e Bannon. Parlando di Bannon, l’ex presidente del Parlamento Europeo e vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani ha dichiarato, commentando l’avvicinamento di Lega e Fratelli d’Italia a Bannon: «Come si fa ad essere sovranisti italiani se poi arriva un americano a dirci che dobbiamo essere sovranisti americani?». Una frase del genere potrebbe valere, a rovescio, anche per i sostenitori di Soros, sempre più simili all’idealtipo della New Left americana, incapace di una critica ai problemi economici e sociali del sistema perché di esso esponente organica.Soros e Bannon sono gli “zii d’America” che hanno offerto al mondo politico europeo fondi, propulsione ideologica e organizzazione per strutturare una nuova dialettica. Nel caso di Bannon il risultato è stato addirittura più radicato, in quanto l’ex consigliere di Donald Trump è riuscito a impiantare in Europa un’ideologia che ha, nelle sue priorità, diverse assonanze con l’interesse nazionale dell’amministrazione Usa: essa, infatti, dal sovranismo incassa la destabilizzazione dell’Unione Europea, nell’ottica del divide et impera, un avvicinamento all’asse costruito in Medio Oriente con Israele e Arabia Saudita e, ora, la dura e profonda critica alla Cina. Condivisa da Soros, che nell’evoluzione in senso gradito a Pechino della globalizzazione avrebbe da perdere in influenza assieme alla sua ala politica di oltre Atlantico. Il problema di fondo è la debolezza politica dell’Europa: continente incapace di produrre spinte ideologiche o politiche propulsive, sviluppi innovativi o idee da portare al grande dibattito mondiale, ma anche di esercitare la minima influenza sui decisori dell’ordine mondiale. Soros o Trump, Bannon o Xi che sia, l’Europa è sempre vista come oggetto, e non come soggetto, delle dinamiche internazionali. E questo certifica più di ogni altra considerazione il declino del Vecchio Continente.(Andrea Muratore, “Come mai Soros e Bannon la pensano uguale, sulla Cina?”, dall’inserto “InsideOver” de “Il Giornale” del 30 maggio 2020).La narrazione mediatica degli ultimi anni li ha individuati come ideologi e ispiratori di fronti contrapposti, sovranisti contro globalisti, qualificandoli come irriducibili nemici. Tuttavia, Steve Bannon e George Soros sono e restano connazionali, pensano e agiscono con categorie politiche e ideologiche di matrice statunitense e hanno oltre Atlantico il centro propulsore delle loro mosse. Non stupisce, dunque, vederli ora dichiararsi in maniera congiunta preoccupati dall’ascesa della Cina e intenti ad avvertire i paesi europei della minaccia di un forte legame commerciale e politico con Pechino. L’89enne finanziere di origini ungheresi e il 66enne ideologo sovranista hanno espresso con chiarezza le loro posizioni parlando con due quotidiani italiani. Soros, intervistato da “Repubblica”, ha attaccato la Cina di Xi Jinping unendo un’analisi tipica del suo sostegno all’ideologia dei diritti umani a una considerazione “geopolitica”: «Xi Jinping è un dittatore, che ha consolidato un regime basato su principi totalmente opposti a quelli dell’Unione Europea – dice – ma questo non è ancora ben chiaro ai paesi della Ue, né agli ambienti industriali, specialmente in Germania, che vedono la Cina come un partner economico, senza rendersi conto che fare dipendere le nostre infrastrutture dalla tecnologia cinese ci espone a ricatti e condizionamenti».
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Bizzi: ci schiavizzano mentendo, come previsto da Orwell
Ripubblicare oggi, nel giugno del 2020, un’opera come “1984″ di George Orwell «non rappresenta soltanto un preciso dovere culturale ed editoriale». Rappresenta, anche e soprattutto, «un chiaro messaggio politico e di denuncia sociale». Mai prima d’ora, infatti, dal 1949 – l’anno in cui Eric Arthur Blair (il vero nome di Orwell) pubblicò a Londra la sua ultima e più nota opera letteraria, “Nineteen Eighty-Four” – il mondo in cui viviamo ha rischiato realmente di precipitare nei cupi e allucinanti scenari, così mirabilmente descritti da questo scrittore singolare e visionario. Lo scrive lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, nel presentare (insieme a Marco Della Luna) una riedizione dell’incubo del Grande Fratello in piena era Covid. «Molto probabilmente – scrivi Bizzi, nella prefazione – la drammatica situazione che stiamo ancora vivendo a livello globale sarà un giorno menzionata nei libri di scuola dei nostri figli e nipoti come il più grande inganno degli ultimi secoli». Un grande inganno «perpetrato, ai danni dei popoli, da una certa élite di potere che, con il pretesto di una falsa pandemia e servendosi di un “virus” abilmente ingegnerizzato in laboratorio, ha tentato di accelerare (per tutta una serie di ragioni che andremo a spiegare) il progetto di instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale».Un Nuovo Ordine Mondiale «già da molto tempo pianificato ed annunciato, fondato sul forzato depopolamento e sul controllo tecnocratico totale dei cittadini di un mondo sempre più globalizzato». Gli strumenti: progressiva accentrazione di tutte le risorse e le ricchezze, e distruzione delle identità etniche, nazionali, culturali e religiose. E graduale restringimento, fino ad arrivare alla totale eliminazione, dei diritti civili e delle libertà democratiche sanciti dalle vigenti costituzioni nazionali. «Diritti civili e libertà democratiche conquistati dai popoli con il sangue, attraverso secoli di incessanti lotte e battaglie». Come ricorda lo stesso Della Luna, avvocato e scrittore di successo nonché autore (insieme a Bizzi) dei testi inediti che concorrono alla prefazione a questa riedizione del capolavoro di Orwell, oggi i popoli della Terra «sono divenuti superflui», perché i metodi di produzione del potere e della ricchezza «si sono accentrati nel controllo di poche grandi famiglie dinastiche». Un’oligarchia che «decide a porte chiuse, sopra quanto rimane delle istituzioni delle democrazie formali nazionali». Oligarchie che «non necessitano più delle masse di lavoratori, consumatori, combattenti di cui necessitava fino a non molto tempo fa il capitalismo industriale produttivo».Di conseguenza, «cittadini e lavoratori hanno perso quella capacità di negoziare che fino all’altroieri ha rappresetato forse la sua unica e ultima risorsa». Cittadini che quindi «stanno inesorabilmente perdendo reddito, diritti, sicurezze, voglia di far figli». In sintesi, scrive Bizzi, stanno perdendo il loro stesso futuro, «condannati a una prospettiva di vita forse ancora peggiore di quella decrittaci da Orwell nel suo romanzo». Ciò che sta accadendo dall’autunno del 2019, «con il rilascio (intenzionale) il 19 di ottobre a Wuhan, in Cina, di un virus ingegnerizzato in laboratorio e con la sua propagazione palesemente “anomala”», cioè saltando letteralmente (a parte la Corea) tutte le nazioni confinanti con la Cina e diffondendosi direttamente in paesi come l’Iran, l’Italia, gli Stati Uniti e il Brasile. Su Facebook, già il 29 aprile, Bizzi le aveva chiamate “Prove tecniche di dittatura”, evidenziavo le inquietanti analogie tra gli strumenti e i metodi repressivi in uso nei paesi dell’Est Europa al tempo della Guerra Fredda e le misure «antidemocratiche e anticostituzionali» adottate in Italia dal governo Conte «con il pieno avvallo del Capo dello Stato, senza alcun voto parlamentare e con la totale connivenza e complicità delle cosiddette “opposizioni”».Impietoso, il parallelo tra il 2020 e la vita nei paesi del cosiddetto “socialismo reale” prima della caduta del Muro di Berlino. Primo punto: controllo totale dei cittadini, dei loro spostamenti e delle loro telefonate. «All’epoca non esistevano certe “applicazioni”, ma lo Stato non si faceva sfuggire niente, con l’impiego massiccio e sistematico di semplici ma efficienti metodi “tradizionali”, quali intercettazioni, pedinamenti, posti di blocco, e ricorrendo ad una estesa rete di delatori», ricorda Bizzi. «Ognuno era pronto, per paura e per evitare a sua volta di essere additato come un “nemico dello Stato”, a denunciare il proprio vicino, perfino i propri amici e familiari». Ci ricorda qualcosa di vicinissimo a noi? «Con il pretesto dell’instaurazione dapprima di “zone rosse” e poi di un lockdown esteso all’intero territorio nazionale, in spregio ai più elementari diritti sanciti dalla Costituzione, sessanta milioni di cittadini italiani sono stati di fatto costretti agli arresti domiciliari, con la simultanea forzata chiusura di oltre il 90% delle attività produttive e degli esercizi commerciali e con il divieto di spostamento e di libera circolazione».Agli italiani non è stato impedito solo di lavorare, e quindi di mantenere la propria famiglia, ma è stato loro “consentito” di uscire di casa «solo per ragioni di stretta necessità, uno solo per nucleo familiare, e con il divieto di allontanarsi a più di duecento metri dal proprio domicilio!». E ovunque, posti di blocco e pattuglie «a vigilare su una simile follia». Forze dell’ordine «incredibilmente potenziate per l’occasione, con l’acquisto di migliaia di nuovi automezzi, camionette blindate, elicotteri, droni e un notevole incremento di organico». Un’operazione dispendiosissima, sostiene Bizzi, «che poteva essere pianificata solo con diversi mesi di anticipo», e riguardo alla quale «nessun parlamentare di “opposizione” si è degnato di indagare o di avanzare un’interrogazione». Ciliegina sulla torta, «il ricorso alla sistematica delazione, da parte di vicini di casa improvvisatisi ignominiosamente spie da balcone, per l’individuazione e il sanzionamento dei “trasgressori”». Un controllo ferreo, agevolato dal punto 2 dell’operazione: totale censura e piena omologazione della stampa e delle televisioni al pensiero unico, proprio come avveniva nei regimi dell’Est Europa.«Esattamente quello che è successo e che sta ancora (mentre scrivo) succedendo in Italia: sistematica censura delle notizie “scomode” e arbitraria cancellazione o rimozione – da siti Internet, social network come Facebook e Twitter e da piattaforme come Youtube – di articoli, interviste, testimonianze e video che osavano mettere in discussione il pensiero unico imposto dal regime». Sconcertante, il “ministero della verità” istituito a Palazzo Chigi da Andrea Martella (Pd) per “bonificare” il web dalle notizie scomode. A questo si sono aggiunte «azioni di censura e di delegittimazione (fino al vero e proprio linciaggio mediatico) di politici, intellettuali, giornalisti, medici e scienziati che non si allineano con la narrazione imposta dal governo». E’ la legge della “società fondata sulla menzogna” (terzo caposaldo, per Bizzi, dei regimi coministi). La prassi: «Falsificazione totale dei dati economici e delle statistiche». Ovvero: «A dispetto di ogni evidenza, ciò che lo Stato affermava e comunicava ai cittadini diveniva verità assoluta e doveva essere accettato alla stregua di un dogma di fede». Anche in questo caso, in Italia «continua ad esserci una spudorata falsificazione dei dati e delle statistiche, sia da un punto clinico che economico».Bizzi denuncia la «palese falsificazione per eccesso del numero dei decessi», con l’inclusione forzata (nei numeri comunicati dai teatrali bollettini televisivi della Protezione Civile) dei morti «per qualsiasi patologia, anche per infarto o incidente stradale». In parallelo, la deformazione dei dati economici, «con la promessa, da parte del governo, di aiuti alle imprese e alle famiglie mai effettivamente erogati». E anche in questo caso, «con la demonizzazione e il discredito di chiunque si permettesse di criticare o di contestare le “verità” imposte dal regime». Parlava da sola (e lo fa ancora) il quarto punto indicato da Bizzi, nell’inquietante parallelo con l’Est Europa: lunghe code fuori da negozi e supermercati. «Altra situazione da incubo, creata ad arte dal regime per incrementare il senso di paura e di emergenza». Mentre nei paesi comunisti le code erano dovute all’effettiva penuria di generi di prima necessità, «le immense code fuori da supermercati e uffici postali che sono diventate una regola in Italia fin dall’inizio del lockdown sono state attentamente studiate e pianificate», per creare disagio, allarme e paura.In parallelo (punto 5) gli assembramenti rigorosamente vietati, che Bizzi preferisce chiamare “assemblamenti”: «I “puristi” della lingua Italiana qui mi criticheranno, ma io preferisco usare la parola “assemblamento” (che è effettivamente da sempre in uso nella lingua parlata), piuttosto che “assembramento”, una parola ruvida e stonata che gli Italiani hanno imparato a conoscere solo con gli incostituzionali decreti contiani». Attenzione: con questo pretesto sono stati negati anche il diritto di sciopero e quello di manifestazione. Già a febbraio, un intellettuale come Alessandro Benati annotava: «Le parole, la liturgia, i segni e i gesti di questa pandemia illustrano quanto chi sta orchestrando la nostra presunta salvezza fisica abbia profondamente in odio l’Essere Umano». Esempio, il “distanziamento sociale”: «In queste due innocue paroline è racchiuso il massimo disprezzo che certe potenze hanno per il massimo che può esprimere appunto l’uomo: l’amore e la libertà. L’algido e asettico neo linguaggio tecno-scientocratico tenta di far passare con ciò il messaggio che la tua salvezza (fisica, e solo fisica) debba passare dall’abdicazione a tutto ciò che Tu sei realmente, e che ti distingue da tutti gli altri Esseri del Cosmo: un essere d’amore e libero, capace di esprimere questi due valori Universali anzitutto nei confronti degli altri Esseri Umani, cioè nel sociale».Libertà, continua Benati, che va vista «come manifestazione dello Spirito attraverso i talenti nell’arte, nella cultura, nel lavoro manuale o intellettuale». Amore, «declinato ad esempio come solidarietà, in campo economico». Distanziamento sociale: «Due paroline innocue che nascondono invece un potenziale anti-umano inimmaginabile». Questa «sottrazione di umanità», aggiungeva Benati, è alimentata da personaggi «che non hanno per niente a cuore la vostra libertà e il vostro amore: anzi, si nutrono proprio del vostro dolore, della vostra volontà inespressa (vedi i talenti di cui sopra), della vostra sofferenza, e soprattutto della vostra adesione a queste forme-pensiero, siano esse parole, rituali, gesti, immagini». Bizzi concorda sulla pericolosità dei termini: sarebbe stato meglio evocare un distanziamento “fisico”, provvisorio. L’aggettivo “sociale”, invece, sottolinea «quanto l’obiettivo del governo e dei suoi manovratori internazionali sia proprio quello di spezzare i legami sociali tra le persone, di annientare ogni forma di aggregazione e di socialità», mortificando «l’indole e l’essenza stessa dell’essere umano, che è un animale sociale per definizione».Nel suo parallelo coi paesi del “socialismo reale”, Bizzi inserisce (punto 6) anche l’assenza di qualsiasi opposizione politica. Non che non in quel mondo non esistesse, un’opposizione formale: ma era appunto solo cosmetica, serviva a legittimare la finzione di una democrazia esclusivamente nominale, assorbendo il dissenso in modo che non potesse disturbare la macchina statale. «Nell’Italia di oggi il quadro non solo non è molto dissimile, ma è addirittura peggiore», accusa Bizzi. «I partiti di “opposizione” hanno del tutto tolto la maschera, dimostrando di essere totalmente funzionali e asserviti al pensiero unico del regime e ai suoi disegni totalitari, tecnocratici e antidemocratici». Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia «si sono piegati agli aberranti decreti anticostituzionali del governo, legittimando in questo modo la sospensione dei più elementari diritti democratici dei cittadini». Non solo: esponenti di spicco di quei partiti «hanno deliberatamente incrementato il clima di paura e di repressione, dimostrandosi più filogovernativi degli stessi partiti che sostengono l’esecutivo». Per non parlare «di quegli amministratori e sindaci di centrodestra che, degni emuli di Goebbels e di Mengele, non hanno esitato a ricorrere alla barbara pratica dei trattamenti sanitari obbligatori per silenziare i dissidenti».«Sarà senz’altro la Storia a giudicarli – scrive Bizzi – anche se mi auguro che possano venire un giorno non molto lontano giudicati e condannati nelle aule dei tribunali». I sedicenti partiti di “opposizione” «sono ormai del tutto delegittimati agli occhi del popolo Italiano». La loro unica funzione, ormai, «è quella di catalizzare e inertizzare ogni forma di dissenso». Altro dramma (punto 7), i diritti civili: garantiti solo sulla carta. «Nella dittatura orwelliana in cui è stata precipitata l’Italia, dissentire è diventato estremamente pericoloso», scrive Bizzi. «E gli abusi esercitati dalle “forze dell’ordine”, in spregio ai più elementari diritti costituzionali, sono ormai divenuti una costante pratica intimidatoria», mentre in televisione esponenti del Pd e dei 5 Stelle «esaltano senza alcun ritegno le misure liberticide del loro governo e proclamano la sospensione della Costituzione, al pari dell’orwelliano Ministero della Verità». Così, le task force di tecnici e di “esperti” «dettano la linea politica all’esecutivo, perseguendo un’agenda che è stata imposta dall’alto». Un’azione di annientamento: «Continuano inesorabilmente a distruggere ogni diritto civile e ogni conquista sociale».Ottavo capitolo dell’infame parallelo tra l’Italia e gli ex satelliti dell’Urss, la scure sulle funzioni religiose. «Mai, nella storia, neppure durante le spaventose epidemie di peste nera del XIV° e del XVII° secolo, la libertà di culto e il diritto dei cittadini di esercitare funzioni religiose e di prendervi parte erano stati messi in discussione». E’ invece avvenuto nell’Italia del 2020. Nei paesi del blocco orientale, nonostante l’ateismo di Stato, la religione non è mai stata vietata, e le pratiche di culto venivano comunque tollerate, sia pure sotto stretta sorveglianza politica. «Nell’Italia del 2020, invece, in nome di una falsa pandemia e adducendo come pretesto il divieto di assemblamenti e il mantra del “distanziamento sociale”, le funzioni religiose (e addirittura anche i funerali!) sono state veramente cancellate e proibite con un tratto di penna, cosa che neanche Stalin in persona osò fare». E la cosa più incredibile, aggiunge Bizzi, è che questo sia potuto avvenire con il pieno assenso del Vaticano e della Cei. Bizzi non è cristiano, né indulgente nei confronti del Vaticano. «Ma la mia posizione – ribadisce – è di assoluta difesa del diritto e della libertà di culto». Accusa: «Appare ormai evidente che l’obiettivo del governo Conte e delle forze oscure che lo eterodirigono sia quello di eradicare dalla popolazione qualsiasi sentimento religioso, in nome di un dogmatismo scientista totalitario che va ben oltre i cupi scenari narratici da Orwell in “1984″».Nona e ultima verogna: l’obbligo di speciali documenti e autorizzazioni (altro che “autocertificazioni”!) per potersi spostare da una città all’altra o da una regione all’altra. «La forzata introduzione di una simile modulistica è servita a impedire la libera circolazione dei cittadini, ad alimentare il clima di paura e la cappa repressiva, e schedare tutti coloro che si sono piegati a compilare simili assurdità e a consegnarle alle autorità». Il paragone con l’Europa dell’Est al tempo del Socialismo reale è però anche in questo caso calzante: in Unione Sovietica esistevano passaporti interni, indispensabili per spostarsi da una regione all’altra. «Passaporti che le autorità spesso revocavano ai dissidenti, proprio per limitare i loro movimenti». Quei lasciapassare li descrive anche Orwell nel suo romanzo distopico. Bizzi ha lavorato per anni in Bulgaria: «Io queste cose le ho vissute, le ho toccate con mano, le ho provate davvero sulla mia pelle. So cosa significa essere costantemente sorvegliato e fermato dalla polizia». Ma c’è una differenza fondamentale: «Nei regimi comunisti il cittadino serviva, rappresentava una forza lavoro, era considerato una indispensabile ruota dell’ingranaggio statale, e veniva in un certo qual modo tutelato dal regime proprio perché “utile”».Oggi, invece, come insegna Marco Della Luna, i popoli (e, di conseguenza, i semplici cittadini) per certe élite di potere sono ormai divenuti “superflui”. «Oggi, queste élite di potere non sono semplicemente interessate a mantenere e consolidare il proprio potere: intendono dare la spinta finale verso una società dittatoriale e tecnocratica decisamente peggiore di quella immaginata da Orwell nel suo romanzo». Una società da incubo, «dominata da un ottenebrante pensiero unico scientista, in cui non esistano più diritti, democrazia e libertà civili». E per fare questo – continua Bizzi – intendono «eliminare fisicamente una consistente parte della popolazione globale, come è stato esplicitamente scritto in otto lingue diverse (inglese, spagnolo, swahili, hindi, ebraico, arabo, cinese e russo) su quell’inquietante monumento noto come Georgia Guidestones, inaugurato su committenza privata il 22 marzo 1980 su una radura della contea di Elbert, in Georgia (Stati Uniti)». Bizzi ricorda le parole di un grande massone libertario, Benjamin Franklin, tra i padri fondatori degli Stati Uniti: «Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di momentanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza».Eppure, osserva sempre Bizzi, proprio in nome in una presunta “sicurezza”, la stragrande maggioranza degli italiani, «condizionati dalla paura e da un allarmismo televisivo platealmente confezionato ad arte dal governo», ha clamorosamente dimostrato di essere «pronta a rinunciare alle proprie libertà fondamentali», per le quali le precedenti generazioni «hanno lottato, combattuto e spesso dato la vita». Secondo Bizzi, «siamo di fronte alla più grande psy-op mai messa in atto nel mondo in tempi moderni». Si tratta di «un’operazione ben pianificata e congegnata, in quanto ha saputo fare leva proprio sulla paura, sulla più recondita paura dell’essere umano: la paura della morte, per giunta per mano – in questo caso – di un nemico invisibile». Un nemico elusivo e infido, «nell’immaginario confezionato ad arte dai “controllori della matrix”: il virus «poteva assumere il volto dei nostri vicini, dei nostri amici, dei nostri familiari, dei nostri affetti più cari; poteva insinuarsi ovunque, nell’aria che respiriamo, sugli oggetti che tocchiamo, sui nostri vestiti, nel vento, nella pioggia, sulla terra, nella sabbia». Un nemico «onnipotente e onnipresente, che poteva raggiungerci e colpirci ovunque, al pari del Grande Fratello di Orwell».Ricordate il celebre assioma di Noam Chomsky, “problema-reazione-soluzione”? Il problema, in questo caso, è il “virus”. La reazione è proprio la paura. «La soluzione? Una dittatura. Medica, mediatica, sociale, tecnocratica, finanziaria, politica, culturale». Chiamatela come volete, «ma la sostanza non cambia: una dittatura è una dittatura, punto». Come osserva Marcello Pamio, con la scusa di un misterioso virus arrivato dall’Oriente «il Grande Fratello affina le armi e stringe sempre il cappio attorno alle già risicate libertà». E i nostri governanti «ci impongono così l’isolamento sociale (che fa crescere non solo la paura ma anche la rabbia e il rancore)». Vogliono il tracciamento digitale, «incrociando tabulati, carte di credito e satellitare dei cellulari, per sapere in ogni momento dove siamo e cosa stiamo acquistando». Approntano «telecamere, sensori biometrici e termici per vedere in ogni istante cosa facciamo, nell’attesa del microchip e della sparizione del contante».«Nel biochip – prosegue Bizzi – saranno registrati tutti i dati individuali, sanitari, fiscali, compreso l’Id, l’Identificativo Digitale che tutti avranno». Il denaro cartaceo, «nelle intenzioni dei grandi burattinai», dovrà sparire: lascerà il posto a una moneta virtuale, elettronica, e quindi «facilmente manipolabile, gestibile, controllabile». Attenzione: «Tutto come da copione, tutto già predisposto e pianificato, secondo i piani dell’Agenda ID2020». Niente di inatteso, peraltro – almeno per Bizzi, che appartiene alla tradizione iniziatica dei Misteri Eleusini (è autore del saggio “Da Eleusi a Firenze”, che rivela l’ascendenza “eleusina”, ad esempio della signoria medicea rinascimentale). «La mia appartenenza a elitari contesti iniziatici, della quale non ho mai fatto mistero, e l’aver operato nel settore dell’intelligence – scrive Bizzi – mi hanno da tempo fatto capire quanto profonda e ramificata sia la tana del Bianconiglio: sapevo, in sintesi, che era tutto previsto, tutto già da tempo pianificato da menti che definire criminali sarebbe un eufemismo».Menti che, ci crediate o no, «conoscono molto bene non solo la psicologia umana, ma anche i più reconditi significati dei simboli e le leggi dell’astrologia», non certo quella degli oroscopi televisivi. «Mi sto riferendo a quella particolare forma elevata di astrologia che permette di calcolare, con assoluta precisione matematica, i giorni più propizi per insediare (o destituire) un governo, per scatenare una guerra, un attentato o un’operazione di “false flag”, o addirittura per rilasciare un virus ingegnerizzato in laboratorio o qualsiasi tipo di arma biologica». Ci crediate o meno – insiste Bizzi – una qualsiasi operazione avviata dall’uomo (che si tratti di un matrimonio, di un contratto d’affari, di una dichiarazione di guerra o di un attentato terroristico) in un giorno astrologicamente non propizio è destinata a fallire, mentre avrà invece un buon esito se il giorno sarà stato attentamente scelto sulla base di tutta una serie di requisiti. «Questo lo sapevano bene gli antichi etruschi e i sovrani babilonesi, come lo sapevano bene coloro che hanno pianificato la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, l’abbattimento delle Twin Towers a New York o l’incendio di Notre Dame a Parigi».Certe élite di potere «pianificano tutto, e lo fanno da molto, molto tempo». Niente di ciò che fanno è affidato al caso, «come non lo sono i giorni in cui lo fanno». Tutto, assicura Bizzi, «viene minuziosamente calcolato», e tutte le loro operazioni recano (celata, ma non più di tanto – in determinati simboli e in determinate date) la loro “firma”, sempre riconoscibile. Si pensi, ad esempio, «all’inquietante scenografia messa in atto nella cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Londra nel 2012», con la pantomima dell’emergenza sanitaria e il ricovero di un sosia di Boris Johnson, che allora era lontanissimo dal diventare premier. Oppure, «alla satanica rappresentazione svoltasi il 1° giugno del 2016 per l’inaugurazione del tunnel del San Gottardo», con una scenografia che esibiva sudditi nell’atto di prostrarsi di fronte a un dio-caprome, «fino ad arrivare all’aberrante imposizione agli italiani, nel mese di aprile del 2020, di mascherine, non solo nei luoghi di lavoro o in spazi chiusi, ma addirittura all’aperto».Mascherine? Secondo molti medici, del tutto inutili contro il virus e dannose per la salute. Ma, «al di là della vergognosa speculazione economica che attorno ad esse c’è stata», rivestono anche un profondo e recondito significato simbolico: «In passato, simili “dispositivi” erano riservati agli schiavi, alle persone private della loro libertà». E anche oggi, sostiene Bizzi, il loro vero scopo «è quello di applicare ai cittadini un palese marchio di sottomissione, di asservimento alla paura e di riduzione al silenzio». Obiettivo: creare un esercito silenzioso di zombie mascherati e impauriti, «talmente condizionati da arrivare ad aggredire, temere e insultare chi a tale paura non si conforma, chi osa non indossare la “museruola”». Per uno psicanalista come il professor Massimo Recalcati, infatti, «l’odio è non sopportare la libertà dell’altro». Proprio quella libertà alla quale molti, troppi, hanno scelto di rinunciare in cambio di briciole di momentanea “sicurezza”, o semplicemente per paura, l’atavica paura della morte.Come la paura e la mancanza di ragione uccidono la libertà e la democrazia: lo spiega Riccardo Manzotti, psicologo e filosofo: «Come nel romanzo di Orwell, le persone sono state isolate le une dalle altre e soggette a una continua imposizione di notizie da parte di schermi installati nelle loro abitazioni». E ancora: «Il runner solitario non mette a rischio la salute fisica dei cittadini, ma mette in discussione il valore salvifico della loro presunta moralità: “Se io sto in casa a soffrire, perché non lo fa anche lui?”. E così si deve stare in casa non per evitare il virus, ma per non mettere in discussione l’autorità del governo cui la società ha demandato la propria libertà. Perché il sacrificio della libertà di tutti sia efficace, deve essere condiviso». Così, secondo Manzotti, si rivela il lato oscuro della irrazionalità: paura e ignoranza. «L’ignoranza gonfia la paura, che cerca nel sacrificio della libertà e nella sottomissione all’autorità una salvezza che viene applicata con la stupidità irrazionale propria della superstizione». Nel citare Manzotti, lo stesso Bizzi ne sottoscrive le tesi: «L’aspetto peggiore si è manifestato in tutte quelle forme di intolleranza e di miseria umana che trovano amplificazione nel razzismo da balcone. Si spiano le persone perché gli altri non sono più percepiti in quanto esseri umani, ma come un potenziale pericolo».L’applicazione rigida della legge – aggiunge Manzotti – diventa il pretesto per sfogare invidie, rivalità e complessi di inferiorità, fino al patetico astio campanilistico che ad esempio ha ispirato il governatore della Campania nella sua ridicola polemica contro la Lombardia, sottoscritta dagli hooligan che vedono nel sistema-Milano la patria dell’odiato leghismo salviniano. «Quando la libertà individuale è sospettata di egoismo, quando si avalla il principio etico-politico che la sola vera libertà è quella che esprime il bene universale – scrive sempre Manzotti – la persona è in pericolo, perché la persona è la sua libertà individuale, insindacabile, indomabile, ingiudicabile». E’ un fatto: «La paura del virus ha spinto molti a rinunciare ai propri diritti individuali». La salvezza del corpo in cambio dell’anima appare un baratto ragionevole. «Accettare il diktat dello stare a casa senza ragione non è solo un rischio sanitario (il danno che tanti avranno da questa inutile clausura domestica) ma soprattutto il fallimento del patto di ragione tra Stato e cittadino». Ovvero: «Allo Stato non si chiede di spiegare le motivazioni razionali delle regole. Ai cittadini non si chiede di comportarsi responsabilmente. Ognuno viene meno ai suoi obblighi e ci si tratta con l’indulgenza tipica di persone immature».Il patto, conclude Manzotti, non è più basato sulla ragione e sul rispetto reciproco tra persona e istituzione, ma sull’interesse e sulla paura: «E la superstizione ne è il naturale collante». Lo sciagurato slogan #iorestoacasa, infatti, «esprime il fallimento della libertà e della democrazia». Nella sua introduzione alla nuova edizione di “1984″, Bizzi cita anche un giornalista scomodo come Gianmarco Landi, che definisce la App Immuni un aberrante strumento di controllo dei cittadini, dalle connotazioni veramente orwelliane: «Ho definio idioti quelli che la installano, e ho preteso da loro un distanziamento on-line cancellando l’amicizia su Facebook». Precisa Landi: «Non volevo offendere, ma scuotere in maniera vibrante chiunque pensasse di fare questa gigantesca idiozia». L’epiteto idioti non piace? Meglio «grandissime teste del piffero»? L’appello: «La app del telefonino è una finzione astratta inutile, perché non è che uno si faccia il tampone ogni giorno, quindi a cosa servirebbe? È una roba politica, non sanitaria». Alcuni protestano: tanto, siamo già on-line e spiati da Facebook. «Immuni non è Facebook, è roba dello Stato. Come fate a non capire la differenza? Avete chat di WhatsApp con gruppi vari? Integrate vostra moglie/marito in tutte, e vedrete cosa succederà nei prossimi giorni alla vostra vita».Immuni, aggiunge Landi, esprime lo stesso concetto della metafora chat WhatsApp, moltiplicato in gravità per 10.000. «Facebook vi può illecitamente prevaricare censurandovi, ma non è lo Stato e non ha polizie e pubblici ministeri che vi possono accusare, né procedure che vi possono spedire in carcere». A Facebook – continua il giornalista – non paghiamo le tasse o le multe, «Facebook non vi pignorerà somme o beni, né vi farà fallire con una procedura concorsuale». Ancora: «Nessuno farà una legge per non farvi entrare in un locale con amici per mangiare una pizza se non avete Facebook sul telefono o potrà cacciarvi via come cani pulciosi dalla vita sociale a patto che non facciate come una qualche Autorità stabilirà per voi». Di fatto, Immuni «può hackerare il vostro telefonino ed estendere ingerenze e controlli a tutti i vostri dispositivi, anche con telefono da voi spento». E tutto questo «è la premessa per una tirannide, lo capite?». Di questo passo, si potrebbe arrivare a essere distrutti, in qualsiasi momento. «C’è anche la possibilità che magistrati o funzionari corrotti e malvagi possano agire da Grande Fratello e usare vostre info personali per godimento proprio, e magari ricattarvi o devastare le vostre vite».«Se pensate di installare questo cavallo di Troia, un “bellissimo” regalo del governo filo-cinese e filo-coronavirus, non siete solo idioti secondo me: siete dei pazzi, degli incoscienti, dei criminali, e sareste responsabili della diffusione della cultura Big Brother di “1984″». Raccomanda Landi: «Leggetevi questo libro, e magari anche altri, prima di cliccare o aprire bocca, e poi traetene le conclusioni, su quanto o meno è stato corretto definire un tale vostro comportamento tipico degli idioti». Che il pericolo sia reale, secondo Bizzi, lo si constata anche rileggendo una storica conferenza di Rudolf Steiner, grande e indiscusso maestro. Era il 27 ottobre 1917. «Parole incredibilmente profetiche, che costituiscono un vero e proprio monito per il nostro presente». Disse Steiner: «Gli spiriti delle tenebre sono in mezzo a noi, sono qua. Dobbiamo restare in guardia in modo da accorgerci quando li incontriamo, in modo da comprendere dove si trovano. Perché la cosa più pericolosa nel prossimo futuro sarà abbandonarsi inconsciamente a tali influssi, che realmente esistono intorno a noi. Infatti, che l’uomo li riconosca o meno, non fa alcuna differenza per la loro reale esistenza. Ma soprattutto, per questi spiriti delle tenebre sarà importante portare confusione, dare false direzioni in ciò che si sta ora diffondendo in tutto il mondo e per cui gli spiriti della luce continueranno a operare nella direzione giusta».Secondo Steiner, il pensiero materialista avrebbe ostacolato in ogni modo lo sviluppo di una certa spiritualità. «Gli spiriti delle tenebre ispireranno le vittime di cui si nutrono, gli uomini che abiteranno, persino ad inventare un vaccino per deviare verso la fisicità, fin dalla prossima infanzia, la tendenza delle anime verso la spiritualità». Così parlava, Steiner, esattamente cent’anni fa. «Come oggi si vaccinano i corpi contro questo e quello, così in futuro si vaccineranno i bambini con una sostanza preparata in modo che attraverso la vaccinazione, queste persone saranno immuni dallo sviluppare in sé la “follia” della vita spirituale – follia, ovviamente, dal punto di vista materialistico». Tutto questo, aggiungeva il padre dell’antroposofia, tende a mettere a punto «il metodo con cui si potranno vaccinare i loro corpi, in modo che essi non potranno sviluppare inclinazioni verso idee spirituali, ma crederanno per tutta la loro esistenza solo alla materia fisica». Steiner, già allora, accusava una certa «inclinazione all’inganno» da parte della medicina: «Oggi si vaccina contro la tubercolosi, così domani si vaccinerà contro la disposizione verso la spiritualità». Steiner vedeva quindi «qualcosa di particolarmente paradossale», in arrivo «in un futuro prossimo e anche più remoto». Un caos così brutale – secondo Steiner – da propiziare, infine, «la vittoria degli spiriti della luce».«È pur vero che molti italiani si stanno svegliando, stanno uscendo dalla “caverna” e prendono gradualmente coscienza del grande inganno che è stato pianificato e attuato ai loro danni», ammette Bizzi, «ma pochi di questi risvegliati – aggiunge – comprendono realmente la vastità, la portata e le finalità di questo grande inganno che stanno vivendo». E purtroppo è anche vero che la maggioranza dei nostri concittadini «non intende minimamente svegliarsi e uscire dalla matrix». Infatti «si sta inesorabilmente incamminando di proposito verso un futuro di schiavitù, caratterizzato dal controllo totale delle persone mediante il riconoscimento facciale, la tecnologia 5G e il monitoraggio di ogni spostamento». Un mondo segnato «dalle vaccinazioni di massa, dall’impianto di microchip sottocutanei e dall’abolizione del denaro contante». Un futuro in cui «sarà abolita ogni forma di socialità e di affettività», e in cui l’infame “distanziamento sociale” diventerà «una regola permanente, anche all’interno dei nuclei familiari». Un futuro, insomma, in cui «non ci sarà spazio per il dissenso, in cui sarà vietato anche solo pensare». Un mondo in cui «chiunque potrà essere sottoposto a trattamenti sanitari obbligatori ed essere “rieducato” e “riprogrammato”, come nei peggiori gulag sovietici e laogai cinesi». La democrazia? «Sarà solo un vago e incerto ricordo, cancellato con un tratto di penna dai libri di storia». Saremo davvero solo numeri, cancellabili dalla memoria di un computer a piacimento dei nostri governanti? «È questo il futuro che volete per voi e per i vostri figli?». Conclude Bizzi: «Italiani, svegliatevi, finché siete in tempo, perché di tempo non ne è rimasto molto. Il 1984 di Orwell è adesso, è drammaticamente adesso!».(Il libro: George Orwell, “1984″, edizioni Aurola Boreale, 250 pagine, 20 euro. Contiene un saggio introduttivo di Nicola Bizzi e una prefazione di Marco Della Luna).Ripubblicare oggi, nel giugno del 2020, un’opera come “1984″ di George Orwell «non rappresenta soltanto un preciso dovere culturale ed editoriale». Rappresenta, anche e soprattutto, «un chiaro messaggio politico e di denuncia sociale». Mai prima d’ora, infatti, dal 1949 – l’anno in cui Eric Arthur Blair (il vero nome di Orwell) pubblicò a Londra la sua ultima e più nota opera letteraria, “Nineteen Eighty-Four” – il mondo in cui viviamo ha rischiato realmente di precipitare nei cupi e allucinanti scenari, così mirabilmente descritti da questo scrittore singolare e visionario. Lo scrive lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, nel presentare (insieme a Marco Della Luna) una riedizione dell’incubo del Grande Fratello in piena era Covid. «Molto probabilmente – scrivi Bizzi, nella prefazione – la drammatica situazione che stiamo ancora vivendo a livello globale sarà un giorno menzionata nei libri di scuola dei nostri figli e nipoti come il più grande inganno degli ultimi secoli». Un grande inganno «perpetrato, ai danni dei popoli, da una certa élite di potere che, con il pretesto di una falsa pandemia e servendosi di un “virus” abilmente ingegnerizzato in laboratorio, ha tentato di accelerare (per tutta una serie di ragioni che andremo a spiegare) il progetto di instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale».
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De Bortoli: gli invidiosi incapaci ora attaccano la Lombardia
Ancora oggi mi sento un po’ appestato. Non esco da Milano. Rimango a casa il più possibile. Ascolto racconti di amici che sono andati fuori dalla Lombardia e sono stati accolti da battutine, insinuazioni, cattiverie. Alcuni hanno dovuto subire anche un cartellone che diceva: “Torna a casa tua”. Sono cose che mettono a disagio e feriscono le persone. Uno spirito anti-lombardo è emerso nel paese. Come se vedere colpita questa Regione, sempre definita un modello, anziché suscitare vicinanza, desse un piacere che i tedeschi definiscono con una parola precisa: “schadenfreude”, gioia per le disgrazie altrui. Non è più inaccettabile. Bisogna reagire. Dire basta. Credo che si tratti di un pregiudizio radicato, che ha moventi sociali, politici, economici. Come spesso accade con i pregiudizi, essi sono degli strumenti straordinari per costruire alibi. Ti consentono di non guardare dentro casa tua. Ti levano la fatica di misurare i risultati che hai raggiunto, confrontandoli con quelli altrui. La Lombardia e Milano rappresentano l’Italia che ce la fa nel mondo. Il paese che riesce a competere nella globalizzazione. Puntare il dito contro di esse, alleggerisce la coscienza di chi non è riuscito a fare altrettanto. Gli consente di non guardarsi allo specchio, scaricando tutta la responsabilità altrove.Anche la Lombardia ha commesso degli errori. Soprattutto, di comunicazione. La giunta farebbe bene a riconoscerli e spiegare perché li ha commessi. Io però – da lombardo – mi faccio anche un’altra domanda. Mi chiedo: perché siamo diventati antipatici? Credo che, a volte, siamo stati troppo orgogliosi dei nostri primati, esaltando le nostre virtù fino a sfiorare l’arroganza. Forse, abbiamo avuto anche un atteggiamento semi-colonialista, proiettando un’immagine di noi stessi che chiedeva un adeguamento ai nostri numeri. Senz’altro, abbiamo sbagliato qualcosa anche noi. Però la Lombardia è stata investita dal contagio con una violenza inusitata. Si è trovata di fronte un nemico che nessuno conosceva e, all’inizio, tutti abbiamo sottovalutato, incluso io. La giustizia deve andare sino in fondo, perché i familiari delle vittime e il paese devono conoscere la verità. Non si può però accettare la criminalizzazione preventiva che è stata fatta. Stiamo parlando di una terra che è stata martoriata, con decine di migliaia di morti. Dobbiamo avere rispetto. Un conto è capire cosa non ha funzionato. Un altro conto è alimentare processi sommari. Che sono inaccettabili.Le posizioni sbrigative e sprezzanti contro Milano e la Lombardia nascondono un’invidia sociale nei confronti di chi è stato sempre ritenuto migliore. Sta succedendo in Italia qualcosa di simile a quello che accade in Spagna con la Catalogna ed è successo in Gran Bretagna con Londra, ed è all’origine della Brexit: si detesta chi è più ricco, chi è riuscito a cavarsela nel mondo, chi ha espresso al meglio le proprie capacità. Perché non scatta, invece, l’emulazione? Perché bisognerebbe partire dal riconoscere le proprie mancanze, dandosi come obiettivo quello di colmarle. L’Italia, invece, è un paese di continui e incessanti dualismi. Quello tra Nord e Sud è uno dei più longevi. Negli ultimi anni, il dislivello si è tradotto in un risentimento del Sud verso il Nord. Infatti, già prima della pandemia, il ministro Provenzano aveva detto che Milano non restituisce nulla. Ora, questo rancore si è manifestato più platealmente. Dentro, ci vedo un disprezzo dell’impresa, una diffidenza nei confronti dell’industria, una rivincita della statalizzazione contro il mercato. Sottilmente, il liberismo viene ritenuto responsabile di quello che è successo. Non ci sono prove che sia così. Però lasciarlo intendere serve a proporre un ritorno al ruolo dello Stato, il cui luogo d’elezione naturale è Roma.Gli ospedali privati, in Lombardia, si sono dati da fare, come si sono dati da fare tutti. La solidarietà con il pubblico è scattata. Forse si può rimproverare un ritardo, ma non si può attaccare il privato in quanto privato, il modello lombardo in quanto lombardo. Dimenticando che ogni anno 165.000 persone vengono a curarsi qui da altre Regioni. In Italia, la sanità di sette Regioni è stata commissariata. Abbiamo visto malcostume, ruberie, cattive gestioni scaricate sulle spalle dei contribuenti. E ora il problema italiano sarebbe la sanità lombarda? Il pregiudizio anti-lombardo è radicato in una parte della sinistra italiana. Politicamente, Milano è percepita come la città di Craxi, di Berlusconi, di Bossi, ora di Salvini. È qualcosa di estraneo, che la sinistra non è mai riuscita ad afferrare fino in fondo. Anche Sala, che oggi è sindaco della città, è come se venisse da fuori, non facendo parte della tradizione Pd. C’è anche il fatto che la sinistra non ha mai parlato la lingua delle imprese piccole e grandi che costituiscono l’economia del Nord. Però, anziché interrogarsi sul perché, cercando di rimediare, oggi imbocca la scorciatoia della diffidenza.Ma non si può risollevare il paese coltivando un sentimento anti-industriale, sospettando chi intraprende e produce. La Lombardia vale il 22% del Pil italiano. Ha 54 miliardi di residuo fiscale, pur contando il 16% della popolazione nazionale. Come si fa a non capire che senza Milano e la Lombardia l’Italia non si metterà mai in piedi? Propongo una tregua. Sospendiamo le polemiche. Rimettiamo insieme il paese. Cerchiamo di comprendere cosa è successo, non per colpire l’uno o l’altro, ma per riparare gli errori e farci trovare pronti in autunno, se ce ne sarà bisogno. Nel frattempo, la giustizia farà il suo dovere. Quel che so – e che mi addolora – è che ci stiamo lasciando andare alle piccinerie. Alla volgarità di frasi come ‘Milano da bare’. Alla grettezza regionalistica. Tanti piccoli noi contro voi. Ma veramente vogliamo tornare ai pregiudizi? Al milanese bauscia, al ligure tirchio, al calabrese scansafatiche? C’è davvero qualcuno che crede che si possa uscire dall’angolo così?(Ferruccio De Bortoli, dichiarazioni rilasciate a Nicola Mirenzi nell’intervista “Nel paese c’è un inaccettabile spirito anti-lombardo”, pubblicata dall’”Huffington Post” il 7 giugno 2020. Milanese, giornalista e saggista, De Bortoli è stato per due volte direttore del “Corriere della Sera”, di cui oggi è uno dei principali editorialisti).Ancora oggi mi sento un po’ appestato. Non esco da Milano. Rimango a casa il più possibile. Ascolto racconti di amici che sono andati fuori dalla Lombardia e sono stati accolti da battutine, insinuazioni, cattiverie. Alcuni hanno dovuto subire anche un cartellone che diceva: “Torna a casa tua”. Sono cose che mettono a disagio e feriscono le persone. Uno spirito anti-lombardo è emerso nel paese. Come se vedere colpita questa Regione, sempre definita un modello, anziché suscitare vicinanza, desse un piacere che i tedeschi definiscono con una parola precisa: “schadenfreude”, gioia per le disgrazie altrui. Non è più inaccettabile. Bisogna reagire. Dire basta. Credo che si tratti di un pregiudizio radicato, che ha moventi sociali, politici, economici. Come spesso accade con i pregiudizi, essi sono degli strumenti straordinari per costruire alibi. Ti consentono di non guardare dentro casa tua. Ti levano la fatica di misurare i risultati che hai raggiunto, confrontandoli con quelli altrui. La Lombardia e Milano rappresentano l’Italia che ce la fa nel mondo. Il paese che riesce a competere nella globalizzazione. Puntare il dito contro di esse, alleggerisce la coscienza di chi non è riuscito a fare altrettanto. Gli consente di non guardarsi allo specchio, scaricando tutta la responsabilità altrove.
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Viganò tifa Trump: Covid e rivolte, è l’inferno firmato Nwo
Signor Presidente, stiamo assistendo in questi mesi al formarsi di due schieramenti che definirei biblici: i figli della luce e i figli delle tenebre. I figli della luce costituiscono la parte più cospicua dell’umanità, mentre i figli delle tenebre rappresentano una minoranza assoluta; eppure i primi sono oggetto di una sorta di discriminazione che li pone in una situazione di inferiorità morale rispetto ai loro avversari, che ricoprono spesso posti strategici nello Stato, nella politica, nell’economia e anche nei media. Per un fenomeno apparentemente inspiegabile, i buoni sono ostaggio dei malvagi e di quanti prestano loro aiuto per interesse o per pavidità. Questi due schieramenti, in quanto biblici, ripropongono la separazione netta tra la stirpe della Donna e quella del Serpente. Da una parte vi sono quanti, pur con mille difetti e debolezze, sono animati dal desiderio di compiere il bene, essere onesti, costituire una famiglia, impegnarsi nel lavoro, dare prosperità alla Patria, soccorrere i bisognosi e meritare, nell’obbedienza alla Legge di Dio, il Regno dei Cieli. Dall’altra si trovano coloro che servono se stessi, non hanno principi morali, vogliono demolire la famiglia e la Nazione, sfruttare i lavoratori per arricchirsi indebitamente, fomentare le divisioni intestine e le guerre, accumulare il potere e il denaro: per costoro l’illusione fallace di un benessere temporale rivelerà – se non si ravvedono – la tremenda sorte che li aspetta, lontano da Dio, nella dannazione eterna.Nella società, Signor Presidente, convivono queste due realtà contrapposte, eterne nemiche come eternamente nemici sono Dio e Satana. E pare che i figli delle tenebre – che identifichiamo facilmente con quel deep state al quale Ella saggiamente si oppone e che ferocemente le muove guerra anche in questi giorni – abbiano voluto scoprire le proprie carte, per così dire, mostrando ormai i propri piani. Erano così certi di aver già tutto sotto controllo, da aver messo da parte quella circospezione che fino ad oggi aveva almeno in parte celato i loro veri intenti. Le indagini già in corso sveleranno le vere responsabilità di chi ha gestito l’emergenza Covid non solo in ambito sanitario, ma anche politico, economico e mediatico. Scopriremo probabilmente che anche in questa colossale operazione di ingegneria sociale vi sono persone che hanno deciso le sorti dell’umanità, arrogandosi il diritto di agire contro la volontà dei cittadini e dei loro rappresentanti nei governi delle Nazioni. Scopriremo anche che i moti di questi giorni sono stati provocati da quanti, vedendo sfumare inesorabilmente il virus e diminuire l’allarme sociale della pandemia, hanno dovuto necessariamente provocare disordini perché ad essi seguisse quella repressione che, pur legittima, sarà condannata come un’ingiustificata aggressione della popolazione.La stessa cosa sta avvenendo anche in Europa, in perfetta sincronia. È di tutta evidenza che il ricorso alle proteste di piazza è strumentale agli scopi di chi vorrebbe veder eletto, alle prossime presidenziali, una persona che incarni gli scopi del deep state e che di esso sia espressione fedele e convinta. Non stupirà apprendere, tra qualche mese, che dietro gli atti vandalici e le violenze si nascondono ancora una volta coloro che, nella dissoluzione dell’ordine sociale, sperano di costruire un mondo senza libertà: Solve et coagula, insegna l’adagio massonico. Anche se può apparire sconcertante, gli schieramenti cui ho accennato si trovano anche in ambito religioso. Vi sono Pastori fedeli che pascono il gregge di Cristo, ma anche mercenari infedeli che cercano di disperdere il gregge e dare le pecore in pasto a lupi rapaci. E non stupisce che questi mercenari siano alleati dei figli delle tenebre e odino i figli della luce: come vi è un deep state, così vi è anche una deep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio. Così, il Nemico invisibile, che i buoni governanti combattono nella cosa pubblica, viene combattuto dai buoni pastori nell’ambito ecclesiastico. Una battaglia spirituale della quale ho parlato anche in un mio recente Appello lanciato lo scorso 8 maggio.Per la prima volta gli Stati Uniti hanno in Lei un Presidente che difende coraggiosamente il diritto alla vita, che non si vergogna di denunciare le persecuzioni dei Cristiani nel mondo, che parla di Gesù Cristo e del diritto dei cittadini alla libertà di culto. La Sua partecipazione alla Marcia per la Vita, e più recentemente la proclamazione del mese di aprile quale National Child Abuse Prevention Month sono gesti che confermano in quale schieramento Ella voglia combattere. E mi permetto di credere che entrambi ci troviamo compagni di battaglia, pur con armi differenti. Per questo motivo ritengo che l’attacco di cui Ella è stato oggetto dopo la visita al Santuario nazionale San Giovanni Paolo II faccia parte della narrazione mediatica orchestrata non per combattere il razzismo e per portare ordine sociale, ma per esasperare gli animi; non per dare giustizia, ma per legittimare la violenza e il crimine; non per servire la verità, ma per favorire una fazione politica. Ed è sconcertante che vi siano vescovi – come quelli che ho recentemente denunciato – che, con le loro parole, danno prova di essere schierati sul fronte opposto. Essi sono asserviti al deep state, al mondialismo, al pensiero unico, al Nuovo Ordine Mondiale che sempre più spesso invocano in nome di una fratellanza universale che non ha nulla di cristiano, ma che evoca altresì gli ideali massonici di chi vorrebbe dominare il mondo scacciando Dio dai tribunali, dalle scuole, dalle famiglie e forse anche dalle chiese.Il popolo americano è maturo e ha ormai compreso quanto i media mainstreamnon vogliano diffondere la verità, ma tacerla e distorcerla, diffondendo la menzogna utile agli scopi dei loro padroni. È però importante che i buoni – che sono in maggioranza – si sveglino dal torpore e non accettino di esser ingannati da una minoranza di disonesti con fini inconfessabili. È necessario che i buoni, i figli della luce, si riuniscano e levino la voce. Quale modo più efficace di farlo, pregando il Signore di proteggere Lei, Signor Presidente, gli Stati Uniti e l’umanità intera da questo immane attacco del Nemico? Dinanzi alla forza della preghiera cadranno gli inganni dei figli delle tenebre, saranno svelate le loro trame, si mostrerà il loro tradimento, finirà nel nulla quel potere che spaventa fintanto che non lo si porta alla luce e si dimostra per quello che è: un inganno infernale. Signor Presidente, la mia preghiera è costantemente rivolta all’amata Nazione americana presso la quale ho avuto il privilegio e l’onore di essere stato inviato da Papa Benedetto XVI come Nunzio apostolico. In quest’ora drammatica e decisiva per l’intera umanità, Ella è nella mia preghiera, e con Lei anche quanti La affiancano nel governo degli Stati Uniti. Confido che il popolo americano si unisca a me e a Lei nella preghiera a Dio onnipotente. Uniti contro il Nemico invisibile dell’intera umanità, benedico Lei e la First Lady, l’amata Nazione americana e tutti gli uomini e le donne di buona volontà.(Carlo Maria Viganò, “Siamo nella battaglia tra figli della luce e figli delle tenebre”, lettera che l’arcivescovo, già Nunzio apostolico negli Stati Uniti, ha fatto consegnare personalmente a Donald Trump. La pubblica il 7 giugno 2020 il sito “UnUniverso”, rinviando al blog di Aldo Maria Valli per la versione integrale della missiva).Signor Presidente, stiamo assistendo in questi mesi al formarsi di due schieramenti che definirei biblici: i figli della luce e i figli delle tenebre. I figli della luce costituiscono la parte più cospicua dell’umanità, mentre i figli delle tenebre rappresentano una minoranza assoluta; eppure i primi sono oggetto di una sorta di discriminazione che li pone in una situazione di inferiorità morale rispetto ai loro avversari, che ricoprono spesso posti strategici nello Stato, nella politica, nell’economia e anche nei media. Per un fenomeno apparentemente inspiegabile, i buoni sono ostaggio dei malvagi e di quanti prestano loro aiuto per interesse o per pavidità. Questi due schieramenti, in quanto biblici, ripropongono la separazione netta tra la stirpe della Donna e quella del Serpente. Da una parte vi sono quanti, pur con mille difetti e debolezze, sono animati dal desiderio di compiere il bene, essere onesti, costituire una famiglia, impegnarsi nel lavoro, dare prosperità alla Patria, soccorrere i bisognosi e meritare, nell’obbedienza alla Legge di Dio, il Regno dei Cieli. Dall’altra si trovano coloro che servono se stessi, non hanno principi morali, vogliono demolire la famiglia e la Nazione, sfruttare i lavoratori per arricchirsi indebitamente, fomentare le divisioni intestine e le guerre, accumulare il potere e il denaro: per costoro l’illusione fallace di un benessere temporale rivelerà – se non si ravvedono – la tremenda sorte che li aspetta, lontano da Dio, nella dannazione eterna.
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Il patriottismo dei mascalzoni sorregge il regime di Conte
Su, finitela con questa mascherata. Da quando, il 1° giugno, Sergio Mattarella ha invocato l’unità del paese allo scopo di delegittimare la manifestazione dell’opposizione del giorno dopo, la Cupola italiana – quell’intreccio di poteri che occupa istituzioni, governo, scena politica, media di Stato e giornaloni, poteri giudiziari e sanitari – ripete ogni giorno il mantra di restare uniti contro il virus, la destra e la piazza, che poi ai loro occhi coincidono. La chiamano unità ma intendono uniformità. La chiamano comunità ma intendono conformità. Ho speso una vita a difendere l’unità d’Italia e a cercare, al di là delle ragioni di parte, quell’essenza nazionale e comunitaria che ci porta, bene o male, a sentirci uniti in uno stesso destino di popolo. Erano idee forti, fino a qualche tempo fa, la comunità come destino, l’unità del popolo; e chi le usava – come me – veniva guardato con sospetto di fascioreazionario e nazionalpopulista: oggi vengono usate, anzi sbandierate, per salvare il governo Conte, il regime sanitario in vigore e gli assetti di potere vigenti. Quelle parole del gergo identitario le usa perfino il presidente Mattarella e i suoi organi di stampa e di riproduzione (della sua voce) le ripetono a pappagallo.
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Emanuele: rivoglio la mia scuola, i miei amici, la mia libertà
Ci ha messi in ginocchio, il virus, lo ha fatto sotto tutti i punti di vista: economia, industria, sport, politica, scuola, istituzioni e, perché no, LIBERTÀ libertà: già, quella che il Covid ci ha negato per mesi. Libertà di andare al cinema, allo stadio, a mangiarci una pizza per poi dire che a casa quella di tua mamma è più buona, libertà di andarsi a fare una passeggiata, di correre e sporcarsi le ginocchia e le scarpe in un prato, libertà di litigare e prendersi a botte con un amico, baciarsi e abbracciarsi con un parente o, meglio dire in questi tempi, un “congiunto”, libertà di fare la spesa in famiglia in un affollatissimo centro commerciale, di passeggiare per via Roma a Torino con tua madre che si ferma ogni tre vetrine e tu non ce la fai più. Libertà di andare a scuola, vedere i propri amici e compagni di classe, essere interrogato da un professore oppure scrivere un tema di due ore in classe, chiedendo al tuo compagno di banco che traccia ha scelto, non perché ti interessi veramente, ma solo per farti richiamare dalla professoressa. Ci manca tutto questo, che noi più comunemente chiamiamo normalità.Dal periodo di quarantena o lockdown stiamo utilizzando la Dad (didattica a distanza) per l’apprendimento. I primi giorni ero un po’ in difficoltà perché a casa avevamo solo due dispositivi per tre persone e non riuscivo tanto nel seguire le spiegazioni e a stare dietro ai compiti, ora mi trovo meglio ma preferisco di sicuro lamentarmi per la sveglia che suona alle sei per prepararmi psicologicamente per l’inizio della giornata scolastica, piuttosto che fissare per ore uno schermo; penso che quasi tutti i ragazzi, seppur maledicendo costantemente la scuola e i professori con le loro verifiche ed interrogazioni, vogliano tornarci, tra quei banchi, perché diciamocelo francamente, almeno fino alla maturità la scuola è la nostra vita, lí costruiamo amicizie che ci segneranno per sempre, vivremo momenti felici e infelici, che rimarranno segnati col pennarello nero indelebile nella nostra memoria.(Emanuele Zallio, “Rivoglio la mia scuola, i miei amici, la mia libertà”, 6 giugno 2020. Emanuele ha 15 anni, è iscritto al primo anno dell’Istituto Superiore Des Ambrois di Oulx, in valle di Susa, provincia di Torino. In queste riflessioni sintetizza il suo punto di vista sul disagio provato durante l’emergenza Covid, da cui il paese non è ancora uscito).Ci ha messi in ginocchio, il virus, lo ha fatto sotto tutti i punti di vista: economia, industria, sport, politica, scuola, istituzioni e, perché no, libertà: già, quella che il Covid ci ha negato per mesi. Libertà di andare al cinema, allo stadio, a mangiarci una pizza per poi dire che a casa quella di tua mamma è più buona, libertà di andarsi a fare una passeggiata, di correre e sporcarsi le ginocchia e le scarpe in un prato, libertà di litigare e prendersi a botte con un amico, baciarsi e abbracciarsi con un parente o, meglio dire in questi tempi, un “congiunto”, libertà di fare la spesa in famiglia in un affollatissimo centro commerciale, di passeggiare per via Roma a Torino con tua madre che si ferma ogni tre vetrine e tu non ce la fai più. Libertà di andare a scuola, vedere i propri amici e compagni di classe, essere interrogato da un professore oppure scrivere un tema di due ore in classe, chiedendo al tuo compagno di banco che traccia ha scelto, non perché ti interessi veramente, ma solo per farti richiamare dalla professoressa. Ci manca tutto questo, che noi più comunemente chiamiamo normalità.