Archivio del Tag ‘pil’
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Bagnai: perché Hollande sarà costretto a tradire gli elettori
Gli ottimisti la vedono come Gad Lerner, che “festeggia” la sconfitta europea di Angela Merkel: che in Francia perde il suo fedele alleato Sarkozy e in Grecia vede vacillare il suo “commissario” Lucas Papademos, indebolito dal crollo dei due partiti storici della democrazia ellenica, i conservatori di Nuova Democrazia e i socialisti del Pasok. Brutte notizie anche dal fronte interno tedesco: nello Schleswig-Holstein la Cdu segna un record negativo, anche se la Spd e i Verdi non possono gioire, perché il successo dei “Pirati” toglie loro i consensi necessari per una tradizionale “alternativa progressista”. Ma poi, naturalmente, ci sono anche i pessimisti. Fra questi, l’economista Alberto Bagnai, che “smonta” il successo di Hollande: la Francia in piena crisi è a un passo dal dramma, e – nonostante le promesse dei socialisti – anche su Parigi potrebbe spalancarsi il baratro del “massacro sociale”.
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Sapelli: il nemico è l’euro, non il debito. Monti? Ignorante
Le banche italiane già tutte fallite? Sto solo dicendo che questa grande ondata di liquidità è andata alle banche, non è finita all’economia reale. Questo spiega perché noi siamo davanti a un pericolo di deflazione gravissima: vuol dire che si abbassano i prezzi e nessuno lavora più, le imprese non hanno più nessun interesse a lavorare. E’ quello che sta capitando adesso: non hai più marginalità. E un’impresa su tre, dopo Natale, ha chiuso. Quindi: l’ossessione del debito pubblico è una fola degli economisti neoclassici che scrivono sul “Corriere” e dicono cose teoricamente non sostenibili. Nel 2008 dicevano che la crisi non esisteva. Io, avessi detto una cosa così, non sarei più uscito di casa per la vergogna.
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No-Imu, rivolta fiscale contro la “patrimoniale dei poveri”
Primi segnali di rivolta nell’Italia ricattata dai poteri forti della finanza mondiale, che hanno imposto il governo Monti per tagliare la spesa sociale fino a pretendere la follia del pareggio di bilancio: lo Stato non più sovrano e ridotto a campare di tasse, senza poter più investire un solo euro sui cittadini. Il primo a sollevarsi è stato Paolo Barnard: «Sbagliato pagare le tasse per un totale che superi il 40% del Pil, il saldo deve restare attivo a favore della popolazione», tenendo conto che oggi la spesa pubblica sfiora il 50% del prodotto interno lordo. Se Barnard propone una “autoriduzione” orizzontale dei tributi, la battaglia politica si concentra sull’Imu, l’imposta sulla casa che resuscita l’Ici: abolirla fu un errore, dice Monti, rimproverando Berlusconi. Proprio la rivolta contro l’Imu viene ora agitata da Roberto Maroni, che spera di far dimenticare gli scandali della Lega. E il Piemonte di Roberto Cota sarà la prima Regione italiana a “licenziare” Equitalia. Concorde persino il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.
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Barnard: stop tasse a Monti, in nome del popolo italiano
Perché pagare le “nuove tasse di Monti”, se il governo tecnico è stato imposto forzando la Costituzione, per ordine dell’élite finanziaria mondiale che sta piegando ai suoi voleri l’intera Europa? Se l’obiettivo finale è il pareggio di bilancio, ovvero la certificazione della morte clinica dello Stato come “sindacato dei cittadini”, l’unica strada è sabotare il governo “golpista”, usando la sua stessa arma: il denaro. Dopo aver denunciato il premier e il capo dello Stato per il “golpe finanziario” che sta mettendo in ginocchio l’Italia, Paolo Barnard lancia un appello esplicito all’obiezione fiscale verso la tassazione speciale dell’austerity: il giornalista propone una sorta di “autoriduzione” delle imposte, in modo che il prelievo tributario non superi il 40% del Pil. Violare apertamente la normativa? Per Barnard, sarebbe una “risposta” perfettamente democratica al carattere «illegittimo» del governo che la impone.
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Monti sbaglia tutto: e da oggi, salvare l’Italia sarà illegale
Il pareggio di bilancio, di fatto, sancisce l’illegalità del keynesismo. Secondo John Maynard Keynes, nei periodi di recessione, con la “domanda aggregata” insufficiente, era lo Stato, tramite il deficit spending, a far ripartire l’economia. Secondo questo principio, il deficit si sarebbe poi ripagato quando la crescita fosse ripresa. Ora, impedendo costituzionalmente il deficit di bilancio dello Stato – se non per casi eccezionali e comunque per periodi di tempo limitati – tutto ciò sarà impossibile. Da oggi il nostro paese abbraccia ufficialmente l’ideologia economica per la quale la priorità è evitare il deficit spending, ossia che lo Stato possa finanziare parte della domanda indebitandosi. Questa cosa può sembrare apparentemente ragionevole per paesi indebitati come il nostro, ma in realtà è assolutamente folle. Così facendo, si stanno replicando gli errori drammatici degli anni ’30.
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Mai così ricchi: la finanza scommette sulla nostra rovina
Quello che il mondo chiama “crisi”, per loro è il paradiso: “loro” sono quelli che moltiplicano favolosi profitti, proprio mentre noi stiamo affondando. Mai come oggi la casta finanziaria del pianeta ha realizzato guadagni stellari, puntualmente sorretta dalla Federal Reserve che negli Stati Uniti ha pompato dollari nei serbatoi di Wall Street salvando dalla bancarotta tecnica la contabilità speculativa delle super-lobby. Peggio ancora in Europa, dove i tecnocrati di Bruxelles – non eletti da nessuno e nominati di fatto dalle grandi corporation – impongono il rigore a tutto il continente, per proteggere i privilegi della finanza. Che intanto galoppa indisturbata tra oceani di miliardi di carta, frutto della speculazione: oggi l’economia virtuale delle banche d’affari vale 14 volte più dell’economia reale, quella che produce beni e servizi.
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Tav, la talpa occulta della Casta che ci scava nelle tasche
Probabilmente non vincerà nessuno e perderemo tutti. Sulle grandi opere si sta scommettendo il futuro delle nostre economie, in particolare in Italia, perché le architetture finanziarie che si costruiscono su queste grandi opere sono meccanismi per scavare un debito pubblico occultato nella contabilità di società di diritto privato. Il cosiddetto project financing, del quale si riempiono la bocca molti politici quando le risorse pubbliche vengono a mancare, è esattamente il meccanismo che ha prodotto la crisi del 2009. In quel caso, il debito era costruito su finanziamenti privati; in questo caso, l’impacchettamento del debito è costruito sul debito pubblico. E il project financing è esattamente questo: una talpa, che provoca un debito pubblico futuro che prima o poi, inevitabilmente, emergerà. Questa talpa è già partita da molti anni – dall’inizio degli anni ’90, dal “dopo Tangentopoli” in poi – ed emergerà, prima o poi, perché è un debito occultato.
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Licenziare per crescere? Barnard: siete bugiardi e criminali
Licenziare per crescere? Follia, ossimoro. Ma attenti: il nuovo dogma riciclato dal club di Mario Monti in realtà è roba vecchia. La coniò cent’anni fa l’economista inglese Arthur Cecil Pigou, alfiere della scuola “neoclassica” europea, nemica dell’economia democratica fondata sulla condivisione progressiva della ricchezza prodotta. Quello di Pigou non era un errore, ma un calcolo: impoverire milioni di lavoratori significa innanzitutto concentrare fortune inaudite nelle mani di pochissimi “rentiers”, veri eredi dei nobili che in Francia nel 1789 esasperarono il paese fino a far scoppiare la Rivoluzione. Come può un lavoratore amputato nel reddito essere poi colui che consuma abbastanza da sorreggere l’economia a cui l’azienda stessa si rivolge? E, come disse Keynes: in un’economia che soffre per il calo dei consumi, a loro volta come fanno le aziende ad assumere lavoratori?
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Via banchieri e cialtroni, riprendiamoci il nostro denaro
Perché l’Eurozona è in crisi? Come si può uscire da questa situazione? Ci sono alternative alle teorie dominanti che ci hanno trascinati in questa voragine? Sì, eccome. Lo hanno spiegato, al meeting di Rimini promosso da Paolo Barnard e totalmente auto-finanziato dai partecipanti, i super-economisti “eretici” che la soluzione giusta l’hanno già confezionata, con grande successo, per la spettacolare rinascita dell’Argentina. Una sola strada: archiviare l’euro e tornare a una moneta sovrana creata per i cittadini e non contro di loro. Piccolo problema: l’attuale classe dirigente, italiana ed europea. Da spazzare via al più presto, con nuove elezioni capaci di selezionare idee utili e democratiche, per un futuro di speranza. Passaggio intermedio: diventare «il peggior incubo dei banchieri», per dirla con il professor William Black, uno degli economisti neo-keynesiani che hanno accettato la scommessa di Barnard.
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Siamo in recessione, Draghi: scordatevi la pace del welfare
L’Europa scivola verso la recessione, e Mario Draghi è contento: vede «buoni segnali», beato lui. E’ impazzito? Tutt’altro: si limita a constatare che l’inaudito piano di sequestro della sovranità nazionale dei paesi europei a beneficio delle potentissime lobby finanziarie di Bruxelles procede a tappe forzate. Prima mossa: dare ossigeno alle banche ma non alle aziende, per indebolire l’Europa del Sud. Seconda: impedire agli Stati, attraverso il “Fiscal Compact”, di spendere a deficit per i propri cittadini, rilanciando l’occupazione. Obiettivo finale, testualmente: «Riforme strutturali per liberalizzare il settore dei beni e dei servizi e rendere il mercato del lavoro più flessibile». L’unica soluzione parrebbe dunque la privatizzazione dei beni comuni: quelli che gli italiani hanno tentato di difendere coi referendum del giugno scorso.
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Se perdi il lavoro sono guai: flexecurity, una favola danese
Per la riforma del lavoro, il premier Mario Monti è stato molto chiaro: «Ci muoveremo con moderazione verso modelli che esistono con successo in Nord Europa a partire dalla Danimarca, che è la più celebrata in termini di “flexsecurity” (mix tra flessibilità e sicurezza), anche se non diventeremo necessariamente danesi». Quindi, tutti a Copenhagen a studiare questo modello di successo. Peccato che, negli ultimi anni, sia notevolmente peggiorato e non garantisca più i migliori lavoratori: se perdi il lavoro, hai meno tempo per trovarne un altro – e ormai ti tocca accettare un impiego qualsiasi. A dirlo è un italiano che in Danimarca c’è da più di 40 anni, Bruno Amoroso, economista e professore emerito della storica università di Roskilde, a 35 chilometri dalla capitale danese.
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Pallante: se fossi laureato in economia e non in lettere
Dopo avere letto il post “La decrescita totalitaria”, di Stefano Feltri, ho immaginato di essere un “economista”, ed ho fatto un paio di considerazioni. Ad esempio, se fossi laureato in economia e non in lettere, mi domanderei: chi ha governato l’economia e la finanza nei decenni passati, chi la sta governando, chi ha la responsabilità della crisi che sta sconvolgendo i paesi industrializzati, chi è incapace di trovare le misure di politica economica adeguate per uscirne: i laureati in economia o i laureati in lettere?